Gestione odontoiatrica e patologie cardiovascolari

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REVIEW
N
egli ultimi decenni i progressi nell’ambito della medicina preventiva e
della farmacologia hanno consentito
di raggiungere una riduzione della mortalità
e delle complicanze a breve e lungo termine
di numerose patologie sistemiche; tra queste, le malattie dell’apparato cardiocircolatorio rivestono un ruolo di primaria importanza essendo le patologie più diffuse negli
Stati Uniti e in molti altri Paesi, e con una
prevalenza in aumento nelle fasce di età più
avanzata (WHO, 1995).
Attualmente, anche pazienti con serie alterazioni della funzionalità cardiaca, o con aritmie importanti, riescono non solo a sopravvivere, ma a condurre una vita qualitativamente accettabile; perciò, sempre più frequentemente, l’odontoiatra si troverà nella
situazione di dover curare pazienti affetti da
tali patologie. L’odontoiatra che intende
trattare pazienti cardiopatici dovrebbe non
solo saper affrontare eventuali emergenze
cardiologiche, ma saper anche differenziare i
pazienti a rischio da quelli sui quali è possibile intervenire con ragionevole tranquillità.
Da un’analisi della letteratura internazionale, si evidenzia da un lato che non esistono
studi controllati, su casistiche sufficientemente ampie, capaci di quantificare il rischio
di eventi gravi o decessi durante un intervento odontoiatrico in pazienti cardiopatici; dall’altro, sono numerosi gli studi che propongono linee guida o norme di comportamento da rispettare quando l’odontoiatra si
accinge a trattare un paziente affetto da
patologia cardiaca; comunque, anche in
quest’ultimo caso, in letteratura è scarsa l’evidenza, verosimilmente per ragioni etiche,
che tali protocolli siano veramente necessari
per la maggior parte dei pazienti con patologie cardiovascolari che richiedono cure
odontoiatriche.
In generale, dalla letteratura si evince che
nei pazienti con patologia cardiocircolatoria
nota, sotto controllo clinico e terapeutico,
gli eventi acuti gravi in seguito a procedure
Gestione
odontoiatrica
e patologie
cardiovascolari
Federica Demarosi
Università degli Studi di Milano. Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria. Unità di
Patologia e Medicina Orale (Direttore: Prof. Antonio Carrassi)
Q IL PROBLEMA: Le patologie dell’apparato cardiocircolatorio oltre a colpire
una percentuale elevata della popolazione italiana, hanno una prevalenza in
aumento soprattutto nelle fasce di età più avanzata. Di conseguenza, sempre
più spesso l’odontoiatra si troverà nella condizione di dover curare nel proprio ambulatorio pazienti affetti da tali patologie.
Q LE EVIDENZE: Dalla revisione della letteratura descritta in questo lavoro
emerge che sebbene siano stati proposti numerosi protocolli, linee guida e
norme di comportamento da rispettare quando l’odontoiatra si accinge a trattare un paziente affetto da patologia cardiovascolare, a oggi non esistono
studi controllati, su casistiche sufficientemente ampie, capaci di quantificare
il rischio di eventi gravi o decessi durante un intervento odontoiatrico in
pazienti cardiopatici e, comunque, dai lavori presenti in letteratura si evince
che nei pazienti con patologia cardiocircolatoria nota, sotto controllo clinico e
terapeutico, gli eventi acuti gravi in seguito a procedure odontoiatriche, sono
meno frequenti di quanto si possa pensare; il rischio è verosimilmente variabile per i diversi tipi di cardiopatie e per i diversi interventi odontoiatrici.
Q CONCLUSIONI: L’insorgenza di complicanze durante procedure odontoiatriche di varia natura in pazienti affetti da patologie cardiocircolatorie rappresenta un’eventualità estremamente rara. Tale rischio è verosimilmente più
elevato in una popolazione ristretta di soggetti cardiopatici (ASA III e IV)
che, per le compromesse condizioni di salute, è indicato seguire, dal punto
di vista odontoiatrico presso centri specializzati. In generale, uno degli aspetti più importanti da tener presente nella gestione di un paziente cardiopatico,
oltre alla patologia di base, è il controllo dello stress.
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DentalClinics
PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
Il rischio di eventi
cardiovascolari
dipende dal tipo
di patologia e
dall’intervento
odontoiatrico.
odontoiatriche, sono meno frequenti di
quanto si possa pensare; oltretutto, il rischio
è verosimilmente variabile per i diversi tipi
di cardiopatie e per i diversi interventi odontoiatrici.
Da un punto di vista pratico, l’obiettivo primario durante una seduta odontoiatrica di
un paziente cardiopatico consiste nell’assicurare che le modificazioni emodinamiche
indotte dal trattamento odontoiatrico non
superino le riserve cardiovascolari del
paziente. Ciò è raggiungibile innanzitutto
minimizzando, durante la seduta, qualunque
variazione dei parametri emodinamici, ossia
mantenendo ottimali i valori di pressione
arteriosa (PA), frequenza cardiaca (FC), gettata cardiaca e domanda di ossigeno del miocardio (Matsuura H, 1993). Per il raggiungimento di tali obiettivi l’odontoiatra deve
tenere in considerazione i seguenti aspetti:
Q lo stress
Q la patologia cardiaca
Q il tipo di anestetico
Stress sotto controllo
Il controllo dello stress rappresenta senza
dubbio uno dei momenti più importanti
nella prevenzione di complicanze durante un
intervento odontoiatrico sia nel paziente
sano sia, a maggior ragione, in un paziente
con patologia cardiocircolatoria. Infatti,
mentre un soggetto sano in condizioni di
stress è in grado di incrementare il lavoro
del proprio apparato cardiocircolatorio
senza alcuna conseguenza, tale situazione
può essere difficilmente o non sostenuta da
un soggetto con ridotto compenso cardiocircolatorio (Montebugnoli L, 2002). Di conseguenza, obiettivo primario durante una
seduta odontoiatrica in un paziente cardiopatico è minimizzare qualunque variazione
dei parametri emodinamici, ossia mantenere ottimali i valori di pressione arteriosa
(PA), frequenza cardiaca (FC), gettata cardia-
22
Anno II - n°2 - maggio 2008
ca e domanda di ossigeno del miocardio
(Matsuura H, 1993). In particolare, la FC è un
indice molto affidabile per la valutazione
delle condizioni psicofisiche del paziente
sottoposto a intervento odontoiatrico. Le
sue variazioni mostrano un andamento
caratteristico e comune a tutti i pazienti con
un picco iniziale, verosimilmente correlato
allo stato emotivo (ansia, stress, preoccupazione) del paziente che si accentua dopo l’esecuzione dell’anestesia. Questo incremento
è probabilmente maggiormente correlato
allo stato emotivo del paziente che al vasocostrittore presente nell’anestetico. Durante
l’intervento la FC si riduce progressivamente
sino al ripristino dei valori basali di riposo e
addirittura nella fase finale si raggiungono
valori di FC inferiori a quelli di partenza, probabilmente indicativi della completa tranquillità che il paziente raggiunge alla fine
dell’intervento. Aspetto da non sottovalutare
è che i maggiori picchi di aumento della FC
si ottengono in concomitanza a stimolazioni
dolorose (Azzini M, 1989).
In conclusione, poiché la stabilità emodinamica è alterata significativamente dallo
stress fisiologico e psicologico (paura) del
paziente, le linee di comportamento consigliate all’odontoiatra durante un intervento
su un soggetto cardiopatico prevedono
innanzitutto il controllo dello stress.
Riportiamo di seguito, come esempio, un
protocollo di riduzione dello stress suggerito
per pazienti significativamente compromessi
dal punto di vista cardiologico (Rose LF,
2002):
Q appuntamenti brevi, preferibilmente al
mattino quando il paziente è ben riposato e
ha una maggiore riserva fisica;
Q impiego di una anestesia locale profonda
per minimizzare il discomfort causato dalla
percezione del dolore;
Q applicare una sedazione cosciente pre- e/o
post-operatoria;
Q garantire un ottimo controllo del dolore
post-operatorio.
REVIEW
Anche se la maggior parte degli autori suggerisce che l’impiego di protocolli di riduzione dello stress durante una seduta odontoiatrica è associato a un miglior controllo
della stabilità emodinamica del paziente, è
scarsa l’evidenza che tali protocolli siano
indispensabili per la maggior parte dei
pazienti con patologia cardiovascolare o che
essi riducano l’insorgenza di complicanze in
seguito a interventi odontoiatrici in tali
pazienti (Rose LF, 2002).
La patologia cardiaca
Nella gestione di un paziente cardiopatico
un aspetto che l’odontoiatra non può non
considerare è il tipo di patologia cardiaca in
atto e/o il tempo trascorso dall’ultimo episodio acuto (Tabella 1).
Patologia cardiaca ischemica. L’ischemia
cardiaca che si manifesta nella maggior
parte dei casi come angina pectoris o infarto
del miocardio, è la causa più comune di
morte improvvisa negli Stati Uniti (Findler
M, 1993; Findler M 1994; Leviner E 1992).
Essa è di solito causata da una riduzione del
flusso sanguigno nelle coronarie, da un’au-
Q
PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI
Malattie organiche del cuore Disordini funzionali
Q Malattie del miocardio
Ipertensione*°
Cardiopatia ischemica*°
Cardiomiopatie
Q Malattie dell'endocardio
Malattia reumatica del cuore
Anomalie congenite°
Endocardite infettiva
Q Malattie del pericardio
Pericardite
Versamento pericardico
Alterazioni del ritmo
Tachicardia
Bradicardia
Altre aritmie
Alterazioni del volume
ematico
Patologie valvolari
* cause di morte più comuni nei Paesi sviluppati
° cause più frequenti di scompenso cardiaco
Tabella 1
mentata richiesta di ossigeno da parte del
miocardio o da entrambe.
Circa l’1 per cento della popolazione soffre
di angina e la prevalenza aumenta con l’età.
Esistono tre tipi di angina: stabile, instabile
e variabile (angina di Prinzmetal). L’angina
stabile è in genere causata da restringimenti
aterosclerotici delle coronarie e si manifesta
con episodi di dolore, non frequenti, di solito precipitati da sforzi fisici o stress emozionali. La terapia usata più comunemente nel
trattamento di questi pazienti è a base di
nitrati come la nitroglicerina, beta-bloccanti
e calcio antagonisti. In occasione di una
seduta odontoiatrica è consigliato programmare appuntamenti di breve durata, utilizzare piccole quantità di vasocostrittore nell’anestesia locale e, inoltre, ricorrere alla sedazione cosciente preoperatoria o intraoperatoria; si può anche somministrare ossigeno
attraverso un sondino nasale. I farmaci di
prima scelta nel trattamento di un attacco di
angina sono ossigeno 100 per cento e nitroglicerina sottolinguale. Al fine di prevenire
un attacco di angina durante la seduta, si
può consigliare al paziente di assumere una
compressa di nitroglicerina sublinguale
prima di ogni appuntamento. Si fa diagnosi
di angina instabile quando si assiste a un
drammatico aumento della frequenza e della
severità degli attacchi anginosi oppure
quando compaiono attacchi anche a riposo.
I pazienti con angina instabile in genere non
devono essere sottoposti a cure odontoiatriche, se non previo colloquio con il medico
curante. Nei casi di emergenza odontoiatrica, è necessario somministrare prima dell’intervento ansiolitici al fine di ridurre lo
stress e il rilascio endogeno di adrenalina;
inoltre, prima e durante il trattamento l’odontoiatra deve strettamente monitorare lo
stato emodinamico e la saturazione di ossigeno. L’angina di Prinzmetal, meno comune
delle precedenti, solitamente compare a
riposo ed è causata da uno spasmo delle
arterie coronarie. La gestione del paziente
PUNTO CHIAVE
Chi soffre di angina
instabile deve
chiedere un parere
al cardiologo prima
di sottoporsi a cure
odontoiatriche.
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
Nei primi sei mesi
dopo un infarto
del miocardio
è meglio evitare
qualunque
trattamento
odontoiatrico.
con questa forma di angina è quella descritta per l’angina instabile (Rose LF, 2002;
Jowett NI, 2000; Greenwood M; 2002).
La maggior parte dei clinici e ricercatori raccomandano di non eseguire trattamenti
odontoiatrici nei sei mesi successivi un
infarto del miocardio (Perusse R, 1992;
Findler M 1994). Questa raccomandazione si
basa sull’evidenza che il picco di mortalità
dopo un infarto si verifica durante il primo
anno, poiché in questo periodo si assiste ad
un aumento dell’instabilità del miocardio
post-infartuato. Durante i primi sei mesi le
cure odontoiatriche si devono limitare a trattare le situazioni di emergenza e in questa
fase è buona abitudine contattare il medico
curante prima di iniziare la procedura odontoiatrica. Comunque, il trattamento dell’emergenza odontoiatrica deve essere risolutivo, poiché la persistenza del dolore potrebbe potenziare le alterazioni emodinamiche o
aggravare un’aritmia. Il protocollo descritto
precedentemente per l’angina instabile
potrebbe essere impiegato anche per eseguire cure odontoiatriche entro i primi sei
mesi dall’infarto. Dopo i primi sei mesi dall’infarto, la maggior parte dei pazienti può
essere trattata impiegando tecniche simili a
quelle usate nei pazienti con angina stabile,
come per esempio appuntamenti di breve
durata e protocolli di riduzione dello stress
(Rose LF, 2002).
Ipertensione. La pressione arteriosa varia
durante la giornata, con l’età e in risposta a
numerosi fattori tra cui lo stress e la paura
che spesso accompagnano il paziente
durante una visita o una seduta odontoiatrica. La diagnosi di ipertensione si basa sul
riscontro di valori di pressione arteriosa
costantemente superiori a 140/90 mm/Hg.
Ancora oggi è elevato il numero di soggetti
ipertesi che non sanno di esserlo e, altro
dato allarmante, quasi il 50 per cento dei
pazienti ipertesi in trattamento non sono
compensati. Di conseguenza, prima di ese-
Q
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Anno II - n°2 - maggio 2008
guire un intervento odontoiatrico è buona
abitudine misurare la pressione arteriosa, in
particolare nei pazienti che dichiarano di
essere ipertesi o che presentano fattori di
rischio per l’ipertensione. Inoltre, in questi
pazienti è necessario un ottimo controllo
dello stress e del dolore, fattori che possono
scatenare imprevisti e indesiderati aumenti
della pressione arteriosa. A tal fine si può
ricorrere alla sedazione cosciente e/o all’ipnosi (Jowett NI, 2000).
Q Aritmie e pacemakers. I pazienti con aritmia possono richiede speciali precauzioni
durante una procedura odontoiatrica.
Inoltre, non va dimenticato che molti farmaci antiaritmici hanno effetti collaterali che
interessano il cavo orale come l’ipertrofia
gengivale e la xerostomia. L’impiego di anestetici locali con vasocostrittore può essere
controindicato nei pazienti affetti da aritmie
refrattarie e, in generale, le cure odontoiatriche andrebbero eseguite sotto stretto monitoraggio cardiologico (Findler M, 1994).
I pacemakers e i defibrillatori automatici
impiegati, in aggiunta alla terapia farmacologia, nel trattamento di alcune aritmie sono
associati a un basso rischio di endocardite
infettiva e non richiedono la profilassi antibiotica prima di un trattamento odontoiatrico. I vecchi modelli di pacemakers erano
unipolari e potevano essere inattivati da
dispositivi in grado di generare un campo
elettromagnetico, come gli strumenti a ultrasuoni e gli elettrocauteri. La maggior parte
dei pacemakers impiantati negli ultimi 30
anni sono bipolari e generalmente non sono
influenzati dai piccoli campi elettromagnetici come quelli creati dagli strumenti odontoiatrici. I defibrillatori cosiddetti automatici
che si attivano senza un comando, ossia in
risposta a un stimolo fisiologico come per
esempio un’alterazione della frequenza
respiratoria o un movimento improvviso,
possono mettere in pericolo il paziente
durante una procedura odontoiatrica. Infatti,
REVIEW
CONDIZIONI A RISCHIO DI SVILUPPARE UN'ENDOCARDITE BATTERICA,
SECONDO LE NUOVE INDICAZIONI
Quadri cardiaci da considerare a rischio e che richiedono la profilassi:
Q Episodi precedenti di endocardite batterica
Q Sostituzione di valvole cardiache (meccaniche o biologiche)
Q Interventi chirurgici di correzione o costruzione di shunt polmonari o sistemici
Tabella 2
INTERVENTI ODONTOIATRICI A RISCHIO DI INDURRE BATTERIEMIA E CHE QUINDI
RICHIEDONO UNA PROFILASSI ANTIBIOTICA, COME DA NUOVE INDICAZIONI
Tutte le procedure odontoiatriche che prevedono la manipolazione di tessuti dento-gengivali, compresa ogni forma di
trattamento endodontico.
Tabella 3
le vibrazioni o i movimenti del capo che
avvengono durante una seduta odontoiatrica potrebbero attivare tali pacemakers; di
conseguenza, può essere indicato stabilizzare il campo operatorio mediante l’impiego di
un bite-block o dispositivi analoghi (Jowett
NI, 2000).
Patologie valvolari. L’obiettivo più importante dell’odontoiatra nel trattare un paziente con patologia valvolare è la prevenzione
dell’endocardite batterica. Le procedure
odontoiatriche causano spesso una batteriemia transitoria che raramente dura più di 15
minuti, ma i batteri possono colonizzare tessuto cardiaco anormale o danneggiato,
soprattutto le valvole, e causare quindi l’endocardite. La percentuale di pazienti affetti
da endocardite con una storia di trattamenti
odontoiatrici recenti varia dal 3 al 40 per
cento. La maggior parte dei casi di endocardite infettiva sostenuti da microrganismi
orali sono probabilmente causati non da
procedure odontoiatriche, ma da patologie
dentali, dalla masticazione e dalle procedure
di igiene orale (Dajani, 1997). Da una revisione della letteratura internazionale e delle
indicazioni più recenti provenienti
dall’American Heart Association (AHA),
dall’European Cardiac Society e dalla British
Cardiac Society, un gruppo di esperti della
Q
British Society for Antimicrobic
Chemotherapy ha fornito indicazioni di comportamento per l’odontoiatra. Innanzitutto,
viene posta grande attenzione alle condizioni di igiene orale dei soggetti a rischio.
Livelli di igiene orale ottimali devono essere
raggiunti e mantenuti sia prima di avviare il
soggetto a interventi chirurgici cardiaci (per
esempio, sostituzione di valvole) sia e periodicamente, dopo l’effettuazione di tali complesse e delicate procedure, per ridurre
potenziali sorgenti di disseminazione batterica. In secondo luogo e in antitesi con le
vecchie linee guida, sono state estremamente ridotte le categorie di pazienti a rischio di
sviluppare un’endocardite batterica e sono
state ampliate le procedure odontoiatriche
che possono rappresentare un pericolo per
tale evenienza (Tabella 2 e 3). Nella Tabella 4
sono riportati gli antibiotici da usare per la
prevenzione dell’endocardite infettiva. Nei
pazienti a rischio di endocardite infettiva è
raccomandato ridurre al minimo il numero
di sedute, effettuando per esempio più prestazioni nell’arco della stessa seduta, per
diminuire il numero di somministrazioni di
antibiotico e prevenire così l’insorgenza di
resistenze. Qualora ciò non fosse possibile,
è necessario interporre almeno due settimane fra una profilassi e la successiva; se anche
questo non fosse possibile, bisogna impie-
PUNTO CHIAVE
Nei pazienti affetti
da patologie valvolari
è fondamentale
la prevenzione
delle endocarditi
batteriche.
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
ANTIBIOTICI E SCHEMA POSOLOGICO PER LA PROFILASSI
DELL'ENDOCARDITE BATTERICA
età
Q Paziente non allergico
alla penicillina
> 10 anni
amoxicillina
3 gr per bocca
1 ora prima
e 5 anni < 10 anni
amoxicillina
1.5 gr per bocca
1 ora prima
< 5 anni
amoxicillina
750 mg sospensione
1 ora prima
Q Paziente allergico
alla penicillina
clindamicina
600 mg per bocca
clindamicina
300 mg per bocca
clindamicina
150 mg per bocca
1 ora prima
1 ora prima
1 ora prima
azitromicina
500 mg sospensione
1 ora prima
azitromicina
300 mg sosp.
1 ora prima
azitromicina
200 mg sosp
1 ora prima
Q Per via endovenosa
(ospedaliera)
amoxicillina
1 gr i.v.
poco prima della procedura
amoxicillina
500 mg i.v.
poco prima della procedura
amoxicillina
250 mg i.v.
poco prima della procedura
Q Per via endovenosa
in pazienti allergici
alla penicillina
clindamicina
300 mg i.v.
poco prima della procedura
clindamicina
150 mg i.v.
poco prima della procedura
clindamicina
75 mg i.v.
poco prima della procedura
Q Allergico alla penicillina
e inabile a inghiottire
compresse
Tabella 4
PUNTO CHIAVE
Sulla prevenzione
delle endocarditi
è opportuno che
l’odontoiatria si
aggiorni
continuamente
perché le linee guida
sono periodicamente
rivisitate.
gare un antibiotico diverso (per esempio, la
prima volta amoxicillina, la seconda clindamicina o azitromicina) (Sardella A, 2007).
Infine, in associazione alla terapia antibiotica sistemica, è buona abitudine impiegare
sciacqui a base di clorexidina prima e dopo
l’intervento.
Queste nuovissime linee guida sono ancora oggetto di vivace dibattito tra i ricercatori e, probabilmente, subiranno nei prossimi anni modifiche e innovazioni. Di conseguenza, è dovere dell’odontoiatra mantenere un continuo aggiornamento al fine di
curare i propri pazienti seguendo le linee
guida più attuali.
inferiori a 3, quindi per quasi tutti i pazienti,
non vi è indicazione a modificare o sospendere la terapia anticoagulante prima di un
intervento odontoiatrico. Comunque, compito dell’odontoiatra prima di eseguire un
intervento odontoiatrico in un paziente in
terapia anticoagulante sarà in primo luogo
richiedere il valore di INR il giorno dell’intervento e controllare che tale valore sia compreso nel range previsto per la patologia da
cui il paziente è affetto; in secondo luogo l’odontoiatra dovrà programmare con attenzione il tipo di intervento e, in caso di sanguinamento, impiegare adiuvanti dell’emosasi
(acido tranexamico).
Terapia anticoagulante. Spesso pazienti
con valvole artificiali, aritmie, pregresso
infarto del miocardio, trombosi venosa
profonda e altri problemi cardiocircolatori,
assumo farmaci anticoagulanti per via orale
(warfarin e dicumarolici) o parenterale (eparina). La maggior parte dei pazienti che
assumono anticoagulanti orali hanno valori
di INR compresi tra 2 e 3. Per valori di INR
Q Patologie cardiache congenite. I progressi in campo diagnostico e terapeutico hanno
permesso il trattamento precoce ed efficace
di numerose patologie cardiache in epoca
perinatale e in età pediatrica. Di conseguenza, l’odontoiatra può essere nelle condizioni
di dover trattare soggetti, bambini o adulti,
con tali patologie. In generale, in questi soggetti il rischio odontoiatrico più importante
Q
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Anno II - n°2 - maggio 2008
REVIEW
è l’endocardite batterica, per cui si rimanda
alla sezione dedicata a tale complicanza
(Jowett NI, 2000).
Trapianto di cuore. Le cure odontoiatriche in pazienti trapiantati di cuore, a differenza dei pazienti che hanno ricevuto trapianto di altri organi o tessuti, devono essere eseguite in strutture specializzate
(Greenwood M, 2003).
Q
Q Ictus. Anche se l’ictus è una patologia
carebrovascolare, viene qui descritta perché spesso colpisce pazienti con problemi
cardiovascolari e ipertesi. L’ictus è il risultato dell’improvvisa interruzione del flusso
di sangue e quindi di ossigeno, al cervello.
La sopravvivenza e la gravità del deficit
funzionale dipendono dal tipo di infarto e
dall’estensione della lesione (Ostuni E,
1994). Ciò di cui bisogna tener conto prima
di eseguire interventi odontoiatrici in questi pazienti è che spesso sono in terapia
con farmaci anticoagulanti. Al fine di prevenire un nuovo ictus, l’odontoiatra deve
trattare in modo aggressivo le infezioni,
poiché anche la minima infezione può alterare la coagulazione del sangue e indurre
la formazione di un trombo e il conseguente infarto cerebrale. I pazienti che hanno
avuto un ictus possono presentare disfagia
e presentare modificazioni della dieta,
masticazione, nutrizione e peso corporeo.
L’incapacità di mantenere una buona igiene orale, la paralisi o la debolezza della
muscolatura facciale possono causare alitosi, carie ed esporre il paziente a un maggior rischio di infezioni.
Questi pazienti vanno quindi sottoposti a
cicli di clorexidina per lunghi periodi. Il
riflesso della deglutizione può essere ridotto dopo un ictus e quindi va posta particolare attenzione durante un intervento
odontoiatrico, assicurando una costante
aspirazione per evitare l’aspirazione di
materiale estraneo.
L’anestetico locale
Un altro argomento molto dibattuto e ancora controverso nella gestione odontoiatrica
di un paziente cardiopatico è l’impiego di
anestetici locali con vasocostrittori. Il vasocostrittore maggiormente impiegato in
odontoiatria è l’adrenalina.
Questo argomento è stato affrontato per la
prima volta nel 1955 dalla New York Heart
Association che raccomandava un massimo
di 0,2 mg di adrenalina (meno di 11 tubofiale di anestetico con 1:100.000 di adrenalina)
durante una singola seduta odontoiatrica in
pazienti cardiopatici. Nel 1964, le conclusioni tratte da una Working Conference
dell’American Dental Association e
dell’American Heart Association sono state
che i vasocostrittori alle concentrazioni normalmente impiegate in odontoiatria non
presentano controindicazioni se somministrati in modo corretto e previa aspirazione.
Successivamente alcuni studi hanno confermato queste conclusioni, mentre altri hanno
evidenziato alterazioni della pressione arteriosa o la comparsa di complicanze in seguito all’impiego di anestetico con vasocostrittore nei pazienti cardiopatici. Comunque, la
maggior parte degli studi che ha esaminato
le modificazioni emodinamiche che occorrono in seguito all’iniezione di 1,8-5,4 millilitri
di lidocaina 2 per cento e 1:100000 di adrenalina in pazienti sani o in pazienti con
patologie cardiovascolari di lieve entità, non
ha riscontrato alterazioni significative della
pressione arteriosa o della frequenza cardiaca (Findler M, 1993; Meyer FU, 1987; Leviner
E, 1992; Brown RS, 2005). Sulla base degli
studi presenti in letteratura, è possibile concludere che 2 o 3 tubofiale di lidocaina 2 per
cento con 1:100.000 di adrenalina (36-54 mg
di adrenalina) sono ben tollerate dalla maggior parte dei pazienti ipertesi o con patologie cardiocircolarie e, inoltre, i benefici
apportati dalla vasocostrizione sono supe-
PUNTO CHIAVE
Gli anestetici locali
contenenti adrenalina,
se usati in modo
corretto e previa
aspirazione, non
danno problemi.
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DentalClinics
PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
Piccole quantità
di vasocostrittori
sono controindicate
in chi soffre
di patologie
cardiovascolari gravi.
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Anno II - n°2 - maggio 2008
riori ai potenziali rischi cardiocircolatori
(Brown RS, 2005). Infatti, non va dimenticato, che durante un evento stressante, come
per esempio la comparsa di dolore durante
una procedura odontoiatrica, il normale rilascio di adrenalina da parte delle ghiandole
surrenali può aumentare di 20-40 volte
(Perusse R, 1992). Nei pazienti che ricevono
un’anestesia locale senza vasocostrittore,
spesso il controllo del dolore è significativamente ridotto se confrontato con il controllo
del dolore nei pazienti sottoposti ad anestesia locale con adrenalina. Per questo motivo,
i pazienti affetti da patologie cardiovascolari
che ricevono un’anestesia locale senza vasocostrittore, potrebbero rilasciare una quantità di adrenalina endogena maggiore, in
seguito alla comparsa di dolore, di quella
eventualmente somministrata con l’anestetico (Rose LF, 2002). Ne consegue la raccomandazione di somministrare l’anestesia
locale con vasocostrittore al fine di ottenere
una profonda anestesia, anche nei pazienti
affetti da patologie cardiocircolatorie lievi o
moderate; l’unica precauzione consiste naturalmente nell’aspirazione dopo l’introduzione dell’ago nei tessuti, per evitare l’iniezione
intravascolare del vasocostrittore. Alcuni
autori hanno suggerito che l’impiego della
sedazione cosciente per diminuire lo stress e
quindi ridurre il rilascio endogeno di adrenalina può essere più efficace nell’assicurare la
stabilità emodinamica nei pazienti affetti da
patologia cardiovascolare della somministrazione di anestetici senza vasocostrittore.
Anche se piccole quantità di vasocostrittore
non sono pericolose per buona parte dei
pazienti affetti da patologie cardiovascolari,
la somministrazione esogena di vasocostrittori può essere controindicata nei pazienti
con severa compromissione cardiovascolare
(che sono pazienti per i quali è spesso controindicato eseguire qualunque tipo di intervento odontoiatrico, se non in strutture specializzate), come i pazienti con angina instabile, infarto del miocardio o inserzione di
bypass coronarici recenti, aritmie non controllate, ipertensione severa e grave scompenso cardiocircolatorio (Perusse R, 1992) o
nei pazienti in terapia con alcuni farmaci
antipertensivi, antidepressivi o alfa e beta
bloccanti (Jowett NI, 2000).
Una controindicazione assoluta nei pazienti
con malattia cardiovascolare di grado severo
è invece l’iniezione intralegamentosa di anestetico locale con vasocostrittore poiché gli
effetti emodinamici sono simili a quelli
osservati in seguito a iniezione intravenosa
con adrenalina (Rose LF, 2002).
L’esperienza di uno studio
odontoiatrico milanese
Di seguito vengono riportati i risultati di
uno studio retrospettivo, condotto in un
periodo di tredici anni presso uno studio
odontoiatrico di Milano.
Obiettivi. Lo studio si poneva i seguenti
obiettivi:
Q verificare l’utilità del monitoraggio di
parametri emodinamici quali la PA, la FC e
la domanda di ossigeno del miocardio,
come indicatori di situazioni potenzialmente pericolose in pazienti cardiopatici
sottoposti a interventi odontoiatrici;
Q quantificare il rischio di incidente cardiocircolatorio in pazienti cardiopatici sottoposti a manovre odontoiatriche.
Materiali e metodi. Sono stati considerati
tutti i pazienti con patologia cardiocircolatoria pregressa o in atto che nel periodo
compreso tra il 1 gennaio 1994 e il 31
dicembre 2006 avevano ricevuto un intervento odontoiatrico di qualsiasi natura. I
pazienti sono stati suddivisi utilizzando la
classificazione ASA redatta dall’American
Society of Anesthesiologists. Questa classificazione, accettata internazionalmente,
permette una categorizzazione dei pazienti
in funzione della presenza o meno di alterazioni organiche o funzionali al momento
REVIEW
del trattamento chirurgico ed anestesiologico. Si distinguono 5 Classi che definiscono livelli crescenti di rischio a partire dalla
Classe I (paziente sano) fino alla Classe V
(paziente moribondo).
Durante l’intervento odontoiatrico, tutti i
pazienti sono stati sorvegliati con monitoraggio continuo della FC e del segnale elettrocardiografico (Lifepak 20 defibrillator/monitor, Medtronic) e con il rilievo
automatico della PA ad intervalli di due
minuti.
La registrazione manuale della PA è stata
fatta prima di iniziare l’intervento, dopo
l’anestesia, alla fine dell’intervento e nei
casi in cui il cardiologo lo riteneva necessario (per esempio in seguito alla comparsa di sensazioni dolorose e/o aumento
della FC).
È stato utilizzato, quale indice dell’impegno cardiovascolare, il consumo di ossigeno del miocardio che rappresenta il lavoro
del cuore istante per istante ed è condizionato dalla PA contro cui deve lavorare per
espellere il sangue ad ogni battito e dal
numero dei battiti per minuto, cioè la FC.
Nel caso di aumento contemporaneo di FC
e PA si possono raggiungere valori di consumo di ossigeno potenzialmente pericolosi in pazienti cardiopatici. Si sono considerati significativi valori superiori a 18.000.
Risultati. Si sono considerate le schede di
107 pazienti con patologia cardiocircolatoria
pregressa o in atto sottoposti, nel periodo
considerato, ad almeno un intervento odontoiatrico con monitoraggio cardiocircolatorio. I 107 soggetti esaminati (54 maschi e 53
femmine) avevano un’età compresa tra 21 e
88 anni (media: 64,1; mediana: 63) e appartenevano alle classi ASA II e III.
Dall’analisi dei risultati è emerso che nella
quasi totalità dei pazienti si è assistito a
modificazioni della FC e della PA durante
l’intervento, senza che questi parametri
raggiungessero valori patologici per i quali
fosse necessario l’intervento del cardiolo-
go. Nessun paziente ha sviluppato complicanze cardiocircolatorie e in nessun caso è
stato necessario somministrare farmaci o
mettere in atto manovre BLS.
Conclusioni
L’odontoiatra che nell’anamnesi riscontra
una patologia cardiocircolatoria ha il dovere di ottenere il maggior numero di informazioni relativamente alla patologia e alla
terapia pregressa o in atto. È necessario
assicurarsi che il paziente, anche il giorno
dell’intervento, abbia assunto la propria
terapia e può essere utile misurare la pressione arteriosa per individuare soggetti
ipertesi ignari di esserlo o pazienti ipertesi
non compensati dalla terapia. Nei pazienti
affetti da patologie cardiache gravi (infarto), sottoposti a interventi a livello dell’apparato cardiocircolatorio (by-pass), con
problemi cardiocircolatori diagnosticati di
recente, o in coloro che ne fanno richiesta
perché, ad esempio, particolarmente
ansiosi vi è indicazione ad eseguire un
monitoraggio cardiocircolatorio durante la
seduta odontoiatrica, eventualmente con
la presenza in studio di un cardiologo.
Inoltre, un momento fondamentale nella
gestione di un paziente cardiopatico è il
controllo dello stress, della paura e del
dolore, che rappresentano i fattori in grado
di scatenare una complicanza cardiocircolatoria in tutti i pazienti e, in misura maggiore, nei pazienti che hanno un sistema di
controllo cardiocircolatorio compromesso.
I risultati della nostra esperienza dimostrano che l’insorgenza di complicanze cardiocircolatorie in pazienti con patologia cardiaca nota durante procedure odontoiatriche di varia natura, rappresenta un’eventualità estremamente rara. È verosimile
che tale rischio possa essere più elevato in
una popolazione ristretta di soggetti cardiopatici appartenenti a categorie ASA III e
PUNTO CHIAVE
Fondamentale
assicurarsi che
il paziente abbia
assunto la terapia
anche il giorno
dell’intervento.
Anno II - n°2 - maggio 2008
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DentalClinics
PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
IV che, però, per le compromesse condizioni di salute, è indicato seguire dal punto di
vista odontoiatrico presso centri specializzati. Più comuni, sono state le alterazioni
di FC e PA che, però raramente hanno raggiunto valori in grado di scatenare complicanze cardiocircolatorie; tali variazioni
erano verosimilmente legate allo stato
emotivo e psicologico del soggetto. Di conseguenza, come accennato precedentemente, in questi pazienti l’obiettivo primario è ridurre al minimo lo stress e l’ansia
del paziente, che sono i fattori più frequentemente responsabili di alterazioni emodinamiche ed eventualmente rilevare la PA
e/o eseguire un monitoraggio cardiocircolatorio durante la seduta odontoiatrica.
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