le battaglie di eretum nell`età dei re alcune osservazioni sulle

LE BATTAGLIE DI ERETUM NELL’ETÀ DEI RE
ALCUNE OSSERVAZIONI SULLE ANTICHITÀ
ROMANE DI DIONIGI DI ALICARNASSO
Alessandro De Luigi
Il territorio dell’attuale comune di Monterotondo, com’è noto,1
nell’antichità rappresentava una sorta di zona di confine tra diverse
popolazioni: Sabini a nord, con la città di Eretum; Latini a sud, con
le città di Nomentum e Crustumerium; Etruschi ad ovest, al di là del
Tevere, con il grande centro di Veio, oltre a Falisci e Capenati. Oltre
il Tevere, proprio nel territorio capenate, si trovava anche il santuario di Feronia, una divinità probabilmente di origine sabina, qui
oggetto di un culto dai caratteri che, proprio sulla scorta di quanto
ci racconta Dionigi di Alicarnasso (III, 32), potremmo definire “internazionali”.2
Le fonti letterarie indicano che i rapporti di queste popolazioni
con Roma, fin dalla sua fondazione, si sono rivelati spesso complessi e problematici, in particolare con Sabini ed Etruschi, dando origine a numerose guerre per il controllo della via Salaria, dalle quali
Roma finirà per districarsi soltanto agli inizi del IV secolo a.C.,3 con
la caduta di Veio.4
È proprio in questo contesto di scontri per l’egemonia sul territorio della bassa Sabina che compare la città di Eretum, sicuramente la più vicina all’attuale Monterotondo.5
Il retore greco Dionigi di Alicarnasso, nelle sue Antichità Romane,6
scritte al tempo di Augusto, ricorda più di una volta questa città sabina (III, 32; III, 59; IV, 3; 51; V, 45; XI, 3). I passi sono relativi ad un
periodo compreso tra il regno di Tullo Ostilio ( VII sec.),7 e la metà
del V secolo, in età alto-repubblicana, all’epoca dell’oligarchia dei
Decemviri.8 Altra fonte importante su Eretum è Livio, i cui passi
fanno riferimento solamente all’età repubblicana, e precisamente
agli anni centrali del V secolo, ossia al periodo dei Decemviri (III, 26;
29;9 38; 4210), poi alla seconda guerra punica, e precisamente al 211,
quando Annibale marciò su Roma e saccheggiò il santuario di
Feronia (XXVI, 11; 23): nel primo passo si dice che, secondo la versione dello storico Celio Antipatro, il condottiero cartaginese, mentre marciava verso Roma, deviò la marcia da Eretum verso il santuario (evidentemente attraversando il Tevere), per saccheggiarlo; nel
secondo si rileva semplicemente un prodigio avvenuto quell’anno in
questa città, ovvero una pioggia di pietre.
A parte il periodo della guerra annibalica, i passi di Dionigi e
Livio che ricordano Eretum lo fanno sempre in relazione a battaglie,
anche piuttosto accanite, tra Romani e Sabini. Ad essere più precisi, in età regia (dove l’unica fonte è Dionigi), entrano in gioco a fianco dei Sabini anche gli Etruschi, ed in particolare i Veienti, interessati ovviamente a controllare la riva sinistra del Tevere. Nel quadro
rientra anche il centro latino di Fidenae, quasi sempre pronto all’alleanza con la città etrusca transtiberina, a tal punto da essere considerato da Livio come etrusco tout-court.11
In questa sede vorrei dunque limitarmi a passare in rassegna gli
scontri che, secondo Dionigi, si sarebbero svolti ad Eretum durante l’età dei re, pur con la ovvia consapevolezza di parlare di personaggi e fatti collocati a metà tra la storia ed il mito. Tuttavia, come
ben sappiamo, il mito ha sempre un fondamento di verità, non
nasce mai a caso: ragion per cui non si può evitare di commentare
queste remote imprese che, secondo la nostra preziosa fonte (a sua
volte debitrice di altre ancora più prestigiose, come Varrone), sembrerebbero comunque aver rappresentato delle vittorie importanti
per le sorti di Roma, con gli stessi monarchi protagonisti sul campo.
Come si noterà, mi soffermerò in particolare sul secondo di tali
scontri, che avrebbe visto combattere insieme ben due re (ad essere precisi un re ed un futuro re) di Roma. Ad ogni modo anche la
narrazione delle altre due battaglie, come ogni altro racconto di
Dionigi, contiene elementi che possono suscitare curiosità e suggerire degli spunti di discussione per chiunque abbia interessi di
carattere antiquario.
La prima battaglia ad Eretum:
il re Tullo Ostilio fa un voto sul campo di battaglia
La prima battaglia di cui ci parla Dionigi (III, 32) è inquadrabile
nell’epoca di Tullo Ostilio, il quale avrebbe regnato, secondo la tradizione, nei decenni centrali del VII sec. Il passo fa riferimento ad
una guerra nata dopo il rapimento di alcuni maggiorenti romani da
parte dei Sabini presso il tempio di Feronia (Lucus Feroniae, presso l’attuale Fiano Romano).
Stando a quanto ci racconta Dionigi, i Sabini si sarebbero rifiutati di restituire le persone e le ricchezze rapite per il fatto che i
Romani avevano concesso asilo a dei loro disertori. Un tale atteggiamento scatenò dunque una guerra tra i due popoli, con una prima
battaglia campale (in un luogo non specificato) dall’esito incerto,
con molte perdite da entrambe le parti. La ripresa delle ostilità l’anno successivo vede invece i due eserciti accresciuti di numero
affrontarsi in campo aperto proprio presso Eretum, ad una distanza, dice Dionigi, di 160 stadi da Roma.12 In una situazione di nuovo
di estrema incertezza, il re Tullo in persona, sul campo di battaglia,
invoca gli dei promettendo, in caso di vittoria, di celebrare solenni
Frans Huys (XVI sec.), ritratto immaginario di Tullo Ostilio, Staatliche
Kunstsammlungen Dresden.
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festività in onore di Saturno e di Ops (la dea dell’abbondanza),13 e
di raddoppiare il numero dei Salii.14 La preghiera viene esaudita,
perché i Romani prendono coraggio ed alla fine, nel tardo pomeriggio, costringono i nemici a voltare le spalle, ed inseguendoli ne
uccidono molti. Successivamente si danno al saccheggio del territorio circostante il campo di battaglia, ed una volta raccolto il bottino,
tornano a Roma dove il re celebra il suo terzo trionfo. I Sabini presto si recano a Roma a chiedere la pace, e la ottengono restituendo
i prigionieri precedentemente catturati ed i disertori, e consegnando una quantità di beni adeguata a compensare quelli che essi avevano sottratto l’anno precedente ai maggiorenti romani da loro
rapiti l’anno precedente.
La seconda battaglia ad Eretum: un re ed un futuro re
combattono insieme per Roma
La battaglia successiva svoltasi presso Eretum di cui ci parla
Dionigi (III, 59) si svolge invece sotto il regno di Tarquinio Prisco
(616-579, secondo la tradizione). Qui per la prima volta entrano in
gioco anche gli Etruschi, e precisamente, come già accennato, i
Veienti (menzionati direttamente fino a III 58; il testo poi parla semplicemente di Etruschi, che Dionigi chiama Tirreni). In realtà si tratta di una battaglia di notevole importanza (alla quale avrebbero partecipato sia Tarquinio che Servio Tullio), a proposito della quale
ritengo necessario riportare per esteso il testo tradotto di Dionigi:15
L’ultima battaglia tra Romani e Tirreni fu combattuta presso la
città di Eretum nel territorio dei Sabini. Infatti i Tirreni compirono
la spedizione contro i Romani attraverso questa regione, convinti
dai maggiorenti locali, affinché i Sabini combattessero insieme a
loro. Difatti la tregua di sei anni che essi avevano concluso con
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Frans Huys (XVI sec.), ritratto immaginario di Tarquinio Prisco,
Staatliche Kunstsammlungen Dresden.
Tarquinio era già scaduta, e molti dei Sabini avevano il desiderio
di riparare alle precedenti sconfitte, dal momento che nelle città era
stata allevata un’adeguata quantità di giovani adatti alle armi.
Tuttavia l’impresa non riuscì secondo le loro intenzioni, perché
l’esercito dei Romani apparve troppo presto, e non fu possibile da
parte di alcuna delle città sabine inviare ai Tirreni delle truppe
ausiliarie regolari, ma vennero in loro aiuto solo pochi privati cittadini volontari, attratti da grandi ricompense. Da questa battaglia, la più grande tra quelle fino ad allora combattute tra i due
popoli, la potenza dei Romani, che riportarono una bellissima vittoria, ebbe uno straordinario accrescimento, ed il senato ed il
popolo concessero a Tarquinio di condurre il trionfo; viceversa
crollò il morale dei Tirreni, i quali avevano inviato a combattere
truppe da ogni città, e di molti avevano visto tornare soltanto
pochi in salvo. Quelli che combattevano schierati sul campo vennero massacrati, quelli in fuga, imbattendosi in terreni disagevoli e privi di uscita, si consegnarono ai vincitori. Dopo aver subito
una così grande disfatta, i maggiorenti delle città etrusche compirono un atto degno di uomini saggi. Infatti, dopo che il re
Tarquinio ebbe inviato un altro esercito contro di loro, essendosi
radunati in un’unica assemblea, decretarono di trattare con lui
riguardo la cessazione delle ostilità, ed inviano gli uomini più
anziani e stimati da ciascuna città, conferendo loro pieni poteri
per trattare le condizioni della pace.
Il retore di Alicarnasso non nomina in questo passo Servio Tullio,
ma lo fa nel libro successivo, quando elenca le sue imprese prima
di salire al trono, tra le quali compare, appunto, la battaglia appena
descritta (IV, 3):16
Le imprese che (Servio Tullio) compì degne di essere ricordate,
per le quali Tarquinio lo ammirò e il popolo romano lo stimò
meritevole di onore dopo il re, sono queste:
quando era ancora adolescente, durante la prima spedizione
militare che Tarquinio condusse contro i Tirreni, schierato tra i
cavalieri sembrò combattere così bene, che immediatamente
divenne famoso e guadagnò i più grandi premi per il valore primeggiando fra tutti. Poi, quando avvenne l’altra campagna militare contro lo stesso popolo, ed una violenta battaglia intorno
alla città di Eretum, poiché apparve il più valoroso di tutti, di
nuovo venne decorato dei più grandi onori da parte del re.
Poi, quando aveva circa venti anni, fu nominato comandante
delle milizie ausiliarie che i Latini inviarono, e aiutò il re
Tarquinio a consolidare il dominio sui Tirreni. Nella prima guerra
che si scatenò contro i Sabini, nominato capo della cavalleria,
volse in fuga i cavalieri dei nemici, e avendoli inseguiti fino alla
città di Antemnae, ottenne i primi onori per il valore anche da questa battaglia. Dopo aver combattuto molte altre battaglie contro lo
stesso popolo sia nella cavalleria che nella fanteria, apparve il
migliore per il coraggio e primo tra tutti gli altri fu premiato con
la corona. E quando il popolo sabino si presentò per la sottomissione e la resa delle città, poiché a Tarquinio sembrò il principale fautore anche di questa dominazione, Tullio ottenne da lui le corone
della vittoria. Era anche assai perspicace nelle riflessioni di tipo
politico, ed inferiore a nessuno nell’esprimere con le parole ciò che
pensava, abilissimo nell’adattarsi a tutte le circostanze, e nell’essere accomodante con qualsiasi persona. Dunque per questi motivi i
Romani credettero giusto farlo passare, dalla condizione di plebeo,
a quella di patrizio, attraverso una votazione, come prima
Frans Huys (XVI sec.), ritratto immaginario di Servio Tullio, Staatliche
Kunstsammlungen Dresden.
Tarquinio, e ancora prima di questo, Numa. Il re se lo rese genero
facendogli sposare una delle sue due figlie, e tutto ciò che per
malattia o per vecchiaia era incapace di portare a termine, lo affidò personalmente a lui, non solo delegandogli tutte le questioni
della sua famiglia, ma reputandolo degno di amministrare tutti gli
affari di stato. In tutti questi compiti egli fu riconosciuto affidabile e giusto, e la gente pensava che non ci fosse alcuna differenza se
si prendesse cura degli affari di stato Tarquinio oppure Tullio. A tal
punto era stata conquistata da lui attraverso i suoi benefici.
Soffermiamoci un momento su questi due passi complementari.
Nel primo (III, 59), Dionigi afferma che questa fu l’ultima battaglia combattuta tra Romani ed Etruschi: chiaramente il riferimento
è limitato al regno di Tarquinio, il quale infatti, dopo la vittoria,
impone le condizioni di pace ai Tirreni.
Gli Etruschi vanno a combattere contro i Romani vicino ad
Eretum, nella terra dei Sabini, perché vengono persuasi dai maggiorenti locali (in greco l’espressione è infatti, che letteralmente significa “convinti dai potenti di quel luogo, di là): questo può essere
inteso come Eretum nello specifico, ma più probabilmente come
territorio sabino in generale, anche sulla base di quanto viene detto
poco dopo.
I Sabini infatti convincono gli Etruschi promettendogli aiuti militari consistenti, in quanto, dopo la scadenza di una tregua di sei
anni, si era di nuovo formata un’adeguata quantità di giovani addestrati alle armi nelle città sabine: questo fa capire come alla battaglia
non partecipassero soltanto i Sabini di Eretum, ma anche quelli di
altri centri, e che quindi, tornando a quanto si diceva sopra, gli
Etruschi fossero stati convinti non soltanto dagli Eretini, ma dall’intera nazione sabina (gens in latino; / ethnos in greco), che probabil-
mente si riuniva in un’assemblea generale, alla quale partecipavano
le singole comunità (populi in latino; póleis in greco).17
A questo punto si verifica un fatto particolare: il tempestivo intervento dell’esercito romano dissuade i Sabini dall’inviare truppe
regolari (in greco il termine usato è
, che letteralmente significa “esercito ausiliario comune”). Questo significa che i
Sabini avevano intenzione di far scendere in campo un loro esercito nazionale, che doveva essere inviato soltanto appunto “di comune accordo” tra le diverse città; ma, a un certo momento, mutando
il loro proposito iniziale, lasciano spazio soltanto alle singole iniziative di qualche privato cittadino, che chiaramente andava ad arruolarsi come mercenario, attirato dalle ingenti paghe che gli Etruschi
offrivano.18
Arriviamo poi all’affermazione più significativa del brano dionisiano: questa battaglia sarebbe stata “la più grande tra quelle fino
ad allora combattute tra i due popoli”: significa chiaramente che
la battaglia di Eretum fu, fino a quel tempo (prima metà del VI secolo), il più importante scontro tra Romani ed Etruschi, (questi ultimi
intesi, come vedremo, come nazione nella sua totalità, e non limitati ai soli Veienti). Affermazione fatta non a caso, perché infatti
nelle righe seguenti Dionigi riferisce le conseguenze che quello
scontro campale ebbe a determinare: la schiacciante vittoria di
Tarquinio, appunto, favorisce un notevole accrescimento della
potenza romana, a tal punto da indurre il senato ed il popolo a concedere al re il trionfo; viceversa per gli Etruschi significa un abbattimento del morale, perché “avevano inviato a combattere truppe
da ogni città, e di molti avevano visto tornare soltanto pochi in
salvo”. Questa affermazione di Dionigi è molto importante, perché
fa capire a chiare lettere che a questa battaglia, come si accennava,
non parteciparono solo i Veienti, che erano la comunità di stirpe tirrenica più vicina a Roma, ma furono inviate truppe “da ciascuna
città”: l’espressione sta dunque a significare chiaramente che la spedizione militare venne concordata ad un’assemblea generale delle
città-stato etrusche, ciascuna delle quali (o, più realisticamente,
quasi) evidentemente inviò un proprio contingente. Il carattere
generale di tale iniziativa etrusca viene ribadito poco dopo dallo
stesso retore di Alicarnasso, quando afferma in modo esplicito che
dopo la sconfitta “i maggiorenti delle città etrusche”, temendo la
controffensiva dei Romani, “essendosi radunati in un’unica assemblea”, stabilirono di trattare con Tarquinio le condizioni della pace,
e per questo “inviano gli uomini più anziani e stimati da ciascuna città” come ambasciatori per porre fine alla guerra. Nei capitoli
seguenti (III, 60-62) viene descritto il trattato di pace, in merito al
quale, ponendosi fine ad una guerra durata nove anni, viene sancita la sovranità di Tarquinio sulle singole città etrusche, senza tuttavia l’imposizione di alcun tributo di guerra, né di alcun cambiamento di leggi o di costituzioni. Il libro esaurisce poi la narrazione delle
imprese militari di Tarquinio descrivendo la ripresa delle ostilità
contro i Sabini, i quali, privati dell’alleato etrusco, sono costretti ad
affrontare una coalizione di Romani (guidati da Tarquinio stesso),
Etruschi (guidati da suo nipote Arrunte) e Latini (guidati dal giovane Servio Tullio): la vittoria romana consente al re di trionfare per
la terza volta (III, 63-66).19
Il secondo passo riportato (IV, 3), che costituisce un sommario
elenco delle imprese giovanili di Servio Tullio, ci è utile per ricostruire la sua partecipazione alla battaglia di Eretum assieme al re
Tarquinio Prisco.
Dionigi ci dice che prima di distinguersi in questo scontro Tullio
si era già fatto apprezzare ed era diventato famoso nella prima cam-
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pagna militare che Tarquinio condusse contro gli Etruschi, nella
quale, ancora adolescente, venne schierato nella cavalleria, e, primeggiando fra tutti gli altri ottenne i più grandi onori.
Poi ricorda la battaglia che ci interessa, che avviene nella seconda
campagna militare contro gli Etruschi (da notare l’uso del termine
èthnos, corrispettivo del latino “gens”, che appunto significa “nazione”): si tratta di uno scontro di particolare accanimento (l’aggettivo
usato è karterÕj, che significa “gagliardo”, “forte”), che avviene
intorno alla città di Eretum, nel quale egli appare il più valoroso, e
viene di nuovo investito dal re dei più grandi onori. La frase che
Dionigi usa al proposito è:
stef£noij aâqij ¢riste…oij ØpÕ toà basilšwj ™kosme‹to
che letteralmente significa “di nuovo venne decorato dal re con le
corone premio del valore”. Quando Tullio combatté ad Eretum non
doveva avere ancora vent’anni, perché Dionigi subito dopo ci dice
che circa a quest’età il futuro re di Roma guidò le truppe ausiliarie
dei Latini nella successiva guerra che Tarquinio condusse, con l’aiuto anche degli Etruschi, contro i Sabini, della quale abbiamo parlato poco sopra.
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La terza battaglia di Eretum: l’ultima dell’età dei re
L’ultima battaglia presso Eretum in età regia avviene sotto
Tarquinio il Superbo (IV, 51).20 Anche in questo caso ci troviamo di
fronte ad una guerra contro i Sabini, in cui entra in gioco la città di
Fidene,21che nei primi due secoli della repubblica vedremo quasi
perennemente in conflitto con i Romani, alleata all’etrusca Veio. Nel
passo non vengono menzionati gli Etruschi.
Secondo il racconto di Dionigi, Tarquinio, mentre si trova a Suessa
Pometia, nel territorio pontino, viene informato che i soldati meglio
addestrati della gioventù sabina avevano invaso il territorio romano
con due grandi eserciti, e si erano dati al saccheggio. Un esercito era
accampato presso Eretum, l’altro presso Fidene. Tarquinio, una volta
apprese queste disastrose notizie, lasciando una piccola parte delle
proprie truppe a Suessa, si dirige a marce forzate contro le forze
nemiche accampate presso Eretum, e prende posizione su una piccola altura. A questo punto, secondo quanto racconta Dionigi, egli
sarebbe riuscito ad intercettare un corriere che faceva da tramite tra
i due eserciti sabini, riuscendo a scoprire il piano nemico di far muovere la mattina dopo all’alba le truppe accampate a Fidene, nel tentativo di chiudere i Romani in una vera e propria morsa. Grazie a
queste preziose informazioni Tarquinio elaborò dunque una contromossa, facendo allontanare di notte di nascosto una parte del proprio esercito, per occupare la via che da Fidene conduce ad Eretum
(cioè la Salaria). Con il resto dell’esercito invece Tarquinio, il giorno
dopo, quando il sole era già alto, si muove verso il nemico di stanza
ad Eretum. I Sabini perciò, vedendo una quantità relativamente
modesta di uomini marciare contro di loro, e sicuri di ricevere i rinforzi da Fidene, accettano con fiducia la battaglia campale, che per
lungo tempo rimane incerta, fino a quando le truppe che Tarquinio
la notte precedente aveva mandato verso Fidene, tornando indietro,
sorprendono i Sabini alle spalle, che non trovano di meglio che darsi
ad una disperata fuga, resa in gran parte vana dall’accerchiamento
dei Romani: la maggior parte infatti sono uccisi oppure fatti prigionieri. Tarquinio successivamente attacca l’accampamento, catturando tutti i soldati lì rimasti con tutti i beni che avevano raccolto nei
loro precedenti saccheggi. Poi si dirige verso Fidene, da dove il resto
dell’esercito sabino, ignaro del destino dei propri compagni, si era
messo in marcia verso Eretum. I Sabini si trovano improvvisamente
Frans Huys (XVI sec.), ritratto immaginario di Tarquinio il Superbo,
Staatliche Kunstsammlungen Dresden.
davanti una brutta sorpresa: si imbattono infatti nell’esercito romano, che in prima fila ostenta le teste dei loro compagni infilzate nelle
lance, con l’intenzione di atterrire il nemico.22 Il macabro espediente ha il suo effetto, perché i nemici si arrendono ed iniziano le trattative per la pace: i Sabini, infatti, temendo che anche le loro città
vengano assalite dai Romani, accettano di sottomettersi e di pagare
un tributo. A questo punto Tarquinio è libero di ritornare ad assediare Suessa Pometia, nel territorio dei Volsci, che di lì a poco conquisterà traendone un cospicuo bottino.
Osservazioni conclusive
Per quanto semileggendari possano essere gli avvenimenti raccontati dagli storici relativamente all’età dei re di Roma, questa
breve rassegna dei passi di Dionigi presenta degli aspetti non privi
di interesse, che non sembrano poi così contrastanti con i dati sinora offerti dalla documentazione archeologica.
Il primo aspetto che va infatti sottolineato è senz’altro il ruolo di
caposaldo della nazione sabina svolto da Eretum all’interno di un
territorio di confine, la cui multietnicità appare ben rappresentata
dal vicino santuario transtiberino del lucus Feroniae, “oggetto di
grande venerazione sia da parte dei Sabini che dei Latini insieme”,
secondo le parole dello stesso retore di Alicarnasso (III, 32). Non è
forse un caso che, come abbiamo visto, proprio da un episodio
legato a questo santuario (il rapimento di alcuni maggiorenti romani) avrebbe avuto origine la prima battaglia ricordata presso Eretum
tra Romani e Sabini, sotto il re Tullo Ostilio. I materiali conservati
nel Museo Archeologico Territoriale di Monterotondo, che fanno
riferimento ad un’area compresa tra le antiche città di Eretum,
Nomentum e Crustumerium, attestano infatti per l’epoca preromana una sorprendente varietà tipologica, riconducibile alle diverse
etnie ricordate dalle fonti: Sabini, Latini, Etruschi. Popolazioni
molto diverse tra loro, eppure molto vicine geograficamente, protagoniste delle guerre che Dionigi ci racconta, nell’ambito delle quali
si collocano le diverse battaglie combattute presso Eretum.
Un altro aspetto degno di essere evidenziato è quello dell’importanza di ciascuna di queste battaglie per l’esito della guerra nell’ambito della quale si svolsero.
Tullo Ostilio, vincendo la battaglia presso Eretum, vince anche la
guerra, celebra il trionfo, e costringe i Sabini a chiedere la pace.
Tarquinio Prisco, prevalendo assieme al giovane Servio Tullio nella
battaglia presso Eretum, vince anche la guerra, questa volta contro
gli Etruschi, celebra il trionfo, e costringe i nemici a chiedere una
pace vantaggiosa per i Romani. Tarquinio il Superbo, vincendo la
battaglia presso Eretum, pone fine alla guerra contro i Sabini, ottenendo condizioni di pace favorevoli.
Al di là di tali toni trionfalistici, che sicuramente deriveranno
dalle fonti annalistiche di cui Dionigi si sarà servito in maniera diretta o indiretta, la questione riguarda gli effettivi vantaggi che tali
guerre possano avere avuto nelle sorti di Roma. Quello che si coglie
in realtà, anche e soprattutto leggendo la storia di questi secoli in
generale, è il carattere essenzialmente difensivo delle guerre
descritte, attraverso le quali si cercano di respingere i tentativi egemonici Etruschi e Sabini. Roma vince ad Eretum ma non prende
Eretum, né sembra guadagnare terreno lungo la via Salaria. Lo attestano bene i fatti successivi all’ultimo re, che vedono ancora i
Romani combattere contro Sabini, Veienti e Fidenati, e sempre
lungo la stessa via.
Il racconto di Dionigi inoltre, pur esaltando le imprese gloriose
dei discendenti di Romolo, nello stesso tempo pone in evidenza il
carattere articolato delle popolazioni che vennero a scontrarsi con
Roma. Non solo la nazione (éthnos in greco, gens in latino) etrusca,
ma anche quella sabina appare come un’insieme di comunità territoriali (póleis in greco, populi in latino) che organizzano di comune accordo (evidentemente attraverso delle assemblee generali tipo
quella attestata per gli Etruschi al Fanum Voltumnae in età repubblicana) sia le azioni di guerra sia gli interventi diplomatici.
Infine, un ultimo aspetto degno di curiosità che emerge da questa breve analisi del racconto dionisiano delle battaglie combattute
nel territorio di Eretum in età regia, è quello della precoce vocazione al mercenariato da parte dei Sabini, che appare già attestata nel
passo in cui è protagonista Tarquinio Prisco (e quindi in età tardoorientalizzante). I Sabini, così come le altre popolazioni italiche
dell’Appennino centrale (le gentes fortissimae Italiae di pliniana
memoria),23 sono una gente avvezza alla guerra ed alle armi, a tal
punto da mettere in vendita questa loro abilità nel combattere al
miglior offerente. Vengono assunti da popolazioni sicuramente più
ricche, come gli Etruschi, e con una cultura diversa, più ellenizzata,
la quale può permettersi di reclutare, oltre alle proprie truppe regolari, anche singoli soldati esperti dietro un lauto compenso.
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Pianta del Lazio antico
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Vulci, Tomba François (320-310 a.C.), Mastarna (Servio Tullio) libera Celio Vibenna, Roma, Villa Albani (rielaborazione da A. Sgubini Moretti (a cura
di), Eroi Etruschi e Miti Greci, 2004)
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L’abitato di Eretum nel VI secolo a.C.: in rosso le zone con maggiore concentrazione di materiale fittile; in verde la possibile estensione dell’abitato;
in celeste la posizione indicativa di tombe (da www.sabinadeltevere.it)
NOTE
1–
2–
3–
4–
5–
Cfr. P. Togninelli, Monterotondo. Il Museo Archeologico e il
Territorio, Dragoni 2006, pp. 33-67.
Togninelli, cit., p. 34; in generale sul culto di Feronia si veda
V. Iorio, Feronia, in A. De Santis (a cura), Reate e l’Ager
Reatinus. Vespasiano e la Sabina: dalle origini all’impero
(catalogo della mostra di Rieti), Roma 2009, pp. 115-119.
Tutte le date sono ovviamente a.C. Da questo punto in poi
si eviterà tale specificazione.
Veio cade nel 396. L’invasione gallica del 390, con la disastrosa sconfitta romana presso il fiume Allia (lungo la
Salaria), complica di nuovo le cose per i Romani. La definitiva conquista di Nomentum avviene infatti nel 338. Per arrivare comunque ad una definitiva sottomissione della Sabina
bisogna attendere l’impresa di M’ Curio Dentato, nel 290.
Sulla romanizzazione del territorio di Monterotondo cfr.
Togninelli, cit., pp. 69-70.
Da un passo delle antichità Romane di Dionigi (XI, 3), che fa riferimento al 450, al tempo dei Decemviri, apprendiamo che la città
era distante 140 stadi da Roma. Il passo in greco suona così:
(“questa città è situata a 140 stadi da Roma, e si trova vicino
al fiume Tevere”). Se consideriamo uno stadio come 185
metri, la distanza corrisponderebbe a 25, 9 km. In un altro
passo di Dionigi (III, 32), per altro discusso successivamente in questo lavoro, e relativo ad un’epoca ben più antica,
ovvero al regno di Tullo Ostilio ( VII sec.) si dice:
(“avviene tra di loro uno scontro intorno alla città di
Eretum, a circa 160 stadi da Roma”). La distanza sembrerebbe quindi maggiore di venti stadi (il che darebbe, sempre
considerando uno stadio come 185 m, una distanza totale
di 29,6 km da Roma). Sembrerebbe dunque esistere un’incongruenza tra i due passi dello stesso autore. Tuttavia va
anche osservato come in quest’ultimo passo non si dice
apertamente che la città dista 160 stadi da Roma, come invece in XI, 3, ma semplicemente che la battaglia si svolse intorno alla città di Eretum, a 160 stadi da Roma: quest’espressione quindi potrebbe semplicemente indicare la distanza
tra Roma ed il luogo del campo di battaglia, che pur trovandosi nei dintorni di Eretum, forse era un po’ più lontano
dalla città (20 stadi, sempre considerando questa distanza
come 185 m, corrisponderebbero a 3,7 km). Per quanto
riguarda la città di Eretum, oggetto di ampie discussioni
sulla sua esatta ubicazione, viene oggi dalla maggior parte
degli studiosi accettata l’ipotesi di individuarne il sito sull’altura di Casacotta, nel comune di Montelibretti (intorno
al km 30 dell’attuale via Salaria), oggetto di ricognizioni di
superficie da parte degli archeologi, e messo in relazione
con la vicina necropoli sabina di Colle del Forno, il cui scavo
è condotto fin dagli anni Settanta dal CNR: S. Quilici Gigli,
P. Santoro, Eretum: ricerca topografica sull’abitato in
epoca arcaica, in Quad AEI, Archeologia Laziale XII, 2,
1995, pp. 641-663; P. Santoro, Scavi nella necropoli sabina
arcaica a Colle del Forno, in Notizie degli Scavi, 1977, pp.
211-298; cfr. anche P. Togninelli, cit., p. 53; G. Alvino,
6–
7–
8–
9–
10 –
11 –
12 –
13 –
14 –
15 –
Antiche Strade. Lazio. Via Salaria, Roma 2003, p. 42. Di
diversa opinione S. G. Vicario, che propone una localizzazione del sito qualche chilometro più a sud, nel territorio
Comunale di Monterotondo, in località S. Anzino, sulla base
di fonti antiquarie ed archivistiche, che attestavano la presenza di rovine identificabili con l’antica Eretum in questa
località: S.G. Vicario, La Nomentana. Strada di Roma per la
Bassa Sabina, Monterotondo 1994, pp. 119-120, note 2325.
Si tratta di una monumentale opera in venti libri, pubblicata nel 7 a.C., che va dall’età degli Aborigeni e di Enea fino
all’inizio della I guerra Punica (264). Restano i primi dieci
libri interi, oltre all’undicesimo, lacunoso.
Il regno di Tullo Ostilio secondo la tradizione si colloca tra
il 673 e il 640.
V, 45 va collocato nel 503 (consolato di Publio Postumio e
Menenio Agrippa); XI, 3 corrisponde al secondo e ultimo
anno dell’oligarchia dei Decemviri (450 secondo Livio, 447
secondo la datazione di Dionigi, che segue la cronologia
delle Olimpiadi).
Questi due passi sono relativi al 458.
Questi ultimi due passi fanno riferimento al 450, secondo e
ultimo anno dei decemviri, e coincidono con Dionigi XI, 3.
Liv. I, 15: nam Fidenates quoque Etrusci fuerunt.
Considerando 1 stadio = 185 m, si hanno 29,6 km. Vedi
sopra, nota 5.
Si tratta delle feste chiamate appunto Saturnalia ed Opalia,
che avvenivano a metà dicembre.
I Salii sono antichissimi sacerdoti di Marte, che traevano il
proprio nome da “salire” (danzare). Furono istituiti da
Numa, in numero di dodici: cfr. Liv. I, 20.
La traduzione del passo è dello scrivente. Riporto di seguito il testo originale greco di Dionigi:
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Annali
2009
17 –
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La traduzione del passo è dello scrivente. Riporto di seguito il testo originale greco di Dionigi:
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Come attestato per gli Equi, gli Ernici, e gli stessi Etruschi:
cfr. A. De Luigi, L’immagine degli Equi nelle fonti letterarie,
in Studi Etruschi, vol. 69 (serie III), 2003, p. 169.
In generale sul mercenariato italico si veda G. Tagliamonte,
I figli di Marte. Ricerche di storia sociale su mobilità, mercenari e mercenariato italici in Magna Grecia e Sicilia,
Firenze 1994. Si veda anche la notizia di mercenari Volsci al
soldo degli Equi in Liv. IV, 53. Sulla possibile presenza di
mercenari italici nel territorio di Falerii, attestata da un particolare corredo tombale con armi di tipo “sabino”, si veda,
ad es., M. A. De Lucia Brolli, Una tomba orientalizzante da
Falerii: contributo alla conoscenza della necropoli dei
Cappuccini, ArchCl 50, 181-211.
Il libro si conclude con la descrizione di tutti i provvedimenti presi da Tarquinio nell’ambito dell’amministrazione
civile (III, 67-73).
La tradizione colloca il regno dell’ultimo Tarquinio tra il 534
ed il 509.
Di particolare importanza appare in questo passo la menzione di Fidene, un antichissimo centro del Lazio, per lungo
tempo protagonista di scontri contro Roma, soprattutto nei
primi due secoli della repubblica, assieme all’etrusca Veio,
interessata a stabilire una testa di ponte sulla sponda opposta del Tevere. Il legame tra Fidene e Veio comunque, stando a quanto ci racconta Livio (I, 15), sembra individuabile
già nell’età di Romolo: addirittura lo storico patavino arriva
in questo passo ad affermare che i Fidenati erano etruschi.
Un’usanza, questa, più che altro diffusa tra le popolazioni
non romane, e considerata come ‘barbara’: appare attestata, ad esempio, tra gli Equi (Dionigi, IX, 64, 1; Liv. III, 5,
9), e tra i Galli Senoni (Liv. X, 26, 11). Cfr. a proposito A.
De Luigi, cit., p. 171.
Plin., Nat. Hist., III, 106-108.