CAPITOLO 15: IL CORPORATE FINANCE Di: Stefano Piantelli Il sociologo americano Abraham Maslow nel 195430, nel suo “Motivation and Personality” ha posto le basi per lo studio del comportamento della persona. Le sue assunzioni sono poi state riprese e sviluppate negli anni successivi sino a creare una scuola di pensiero. Maslow ha teorizzato una piramide dei bisogni dove salendo verso la sommità della stessa l’individuo soddisfa gradualmente bisogni più complessi, partendo dalle necessità fisiologiche (mangiare, dormire) per giungere all’ultimo livello al bisogno di autorealizzazione e di successo. Condizione necessaria per poter percepire ed affrontare i bisogni del livello successivo è quella di aver soddisfatto i bisogni del livello precedente. Figura 15.1: Piramide dei bisogni di Maslow Rilevanza Successo Stima Appartenenza Sicurezza Fisiologici Necessità E’ innegabile che, salendo nella piramide, la ricchezza patrimoniale dell’individuo debba aumentare sia come elemento necessario per il raggiungimento dei livelli più elevati, sia come conseguenza dell’aver effettivamente raggiunto il livello più elevato, in una duplice veste di causa/effetto. Tra le categorie che si situano al livello più elevato della piramide si trovano di norma gli imprenditori, che nella vita hanno osato e saputo rischiare in proprio, realizzando, acquisendo o comunque gestendo un’azienda. Gli imprenditori si pongono quindi come una categoria assolutamente particolare di individui, che mediamente hanno investito nella loro azienda una parte molto importante del proprio patrimonio (spesso quella principale), a cui certamente danno una valutazione qualitativa più elevata rispetto al resto delle loro attività ed in particolare rispetto al patrimonio mobiliare personale. 30 Maslow A.H.,Motivation and Personalità, New York, Harper, 1954. 15. Il Corporate Finance A ciò si aggiunga che l’azienda, se ben condotta, è fonte continua di flussi di cassa e di accrescimento della ricchezza (anche se non sempre e non soltanto di quella mobiliare, poiché normalmente i flussi di cassa vengono principalmente reinvestiti nell’azienda stessa). La conseguenza è che la categoria degli imprenditori rappresenta uno dei più importanti target per l’attività di private banking, forse in assoluto il principale, e non soltanto per le dimensioni del patrimonio accumulato o per la possibilità di accrescimento dello stesso, ma anche per la capacità di affrontare le novità e le opportunità con spirito aperto e per la rete di relazioni sociali che normalmente gli imprenditori possono vantare. Infine, aspetto assolutamente fondamentale che occorre non dimenticare mai, è che l’imprenditore gode generalmente della stima e dell’apprezzamento delle altre classi di clientela tipiche del private banking e quindi rappresenta un veicolo privilegiato insostituibile per la diffusione del brand della private bank e la sua connotazione positiva. Con tali premesse, si può immediatamente comprendere come la semplice consulenza in ordine alla miglior allocazione e gestione del patrimonio mobiliare dell’imprenditore non sia in molti casi sufficiente per la corretta impostazione del rapporto di private banking con tale categoria di clienti. Occorre infatti considerare approfonditamente che la parte più importante qualitativamente, e spesso anche quantitativamente, del patrimonio dell’imprenditore è investita nella sua azienda. Si consideri ad esempio che la rilevanza dell’azienda è tale che in moltissimi casi l’imprenditore tende a sottostimare o a non curarsi quasi della qualità dei suoi investimenti personali e delle relative performances pur di ottenere condizioni più vantaggiose per l’azienda, che rappresenta il vero centro dei suoi interessi. Per le realtà di private banking emerge allora prepotentemente la necessità di fornire consulenza anche sull’azienda, vista non tanto come cliente finale (dovendosi in tal caso parlare di corporate banking), quanto piuttosto come parte del patrimonio del cliente. 15.1 Definizione di corporate finance Le operazioni di corporate finance (traducibile in italiano con “finanza straordinaria”) sono costituite da tutte le attività che vengono poste in essere per passare da una situazione aziendale di partenza di tipo A ad una di arrivo di tipo B, attraverso un cambiamento strutturale dell’azienda, che può coinvolgere anche un mutamento della compagine azionaria, con l’obiettivo di creare valore per gli azionisti. Ecco quindi che tipicamente il punto di vista di chi è preposto a fornire consulenza nelle operazioni di corporate finance deve diventare quello dei soci dell’azienda; ovvero, nelle aziende controllate da singoli nuclei familiari, quello dell’imprenditore. A titolo di esempio possono essere citate come operazioni di corporate finance le cessioni o acquisizioni d’azienda, di ramo d’azienda, di quote o pacchetti di azioni sociali; il finanziamento di progetti di investimento rilevanti, compreso l’eventuale start-up di nuove realtà; il salvataggio di complessi aziendali in difficoltà; il passaggio dell’azienda agli eredi/successori dell’imprenditore; il reperimento di capitale di rischio sia attraverso l’inserimento di investitori di private equity, che attraverso la quotazione sui mercati regolamentati. 15.2 Organizzazione dell’attività di corporate finance in una private bank L’organizzazione dell’attività di corporate finance a supporto dell’attività di private banking è compito delicato non tanto e non solo per la necessità di creare e gestire un gruppo di risorse con specifiche professionalità, in genere non comuni sul mercato, quanto piuttosto nel regolare i rapporti tra i private banker ed i componenti del team di corporate finance. Sorge infatti il problema di distinguere tra gli obiettivi primari del cliente e quelli del suo private banker, i quali non sempre sono coincidenti. Inoltre vi è la necessità di considerare la naturale e spesso conseguente diffidenza dello stesso private banker nel presentare ai clienti il servizio di corporate finance interno, o peggio esterno, al gruppo. II - Gli strumenti e soluzioni per la gestione della ricchezza Se infatti l’operazione di corporate finance genera cassa, tipicamente in caso di cessioni di beni, partecipazioni, rami d’azienda o interi complessi aziendali, il private banker sarà ovviamente favorevole al realizzarsi della stessa, sperando di poter poi beneficiare del conseguente incremento della raccolta. Diversamente, ove l’operazione comporti un investimento finanziario che va a ridurre le disponibilità liquide del cliente, spesso per un arco temporale medio-lungo, il private banker sarà meno propenso alla sua realizzazione. Occorre quindi che le strutture di direzione dialoghino con il private banker nell’analizzare le conseguenze delle operazioni: vista l’importanza primaria che esse hanno, quasi sempre l’esigenza del cliente ove non soddisfatta dalla struttura interna della private bank viene poi comunque veicolata e risolta da un altro operatore concorrente, con il concreto rischio di perdere la fidelizzazione del cliente medesimo. Altro problema che frequentemente si verifica è legato all’attribuzione del successo dell’operazione. Molto spesso i deal di corporate finance hanno un impatto mediatico positivo e ricadute reddituali non irrilevanti per la private bank. Trattandosi di operazioni complesse, la maggior parte del lavoro viene svolto dal nucleo di corporate finance, mediamente per decine di giorni/uomo di impegno nell’arco anche di diversi mesi. Occorre pertanto dosare sapientemente le ricadute positive sul singolo private banker che ha presentato l’operazione. Quando invece l’operazione non va a buon fine possono verificarsi attriti interni legati all’ovvia insoddisfazione del cliente che si può ripercuotere sul private banker. Occorre evidenziare che il tasso di insuccesso nelle operazioni di corporate finance è mediamente abbastanza alto. Questo può verificarsi anche quasi subito o, peggio, quando l’operazione sembra conclusa. È del tutto opportuno spiegare anticipatamente al private banker cosa può succedere, quali sono i tempi di realizzazione del deal, i rischi, i punti di forza e l’eventuale peggioramento delle relazioni con il cliente. D’altronde, se il servizio di corporate finance è valido e, meglio ancora, l’operazione ha successo, il grado di fidelizzazione del cliente diventa spesso assoluto. Figura 15.2: Schema di organizzazione interna Direzione Rete di Private Banker Presentazione cliente Team di Corporate Finance Manifestazione dell’interesse al deal Esecuzione del lavoro Clienti Un ulteriore aspetto rilevante che occorre considerare attentamente è quale tipo di formazione in tema di corporate finance è opportuno dare ai private banker. Le tecnicalità alla base della professione sono piuttosto complesse e richiedono basi universitarie di economia aziendale, matematica finanziaria e statistica, oltrechè una certa esperienza in termini di deal affrontati e, se possibile, chiusi con successo. 15. Il Corporate Finance Appare quindi poco produttivo attivare una formazione approfondita dei private banker. Meglio invece dare un’idea delle varie tipologie di operazioni di finanza straordinaria e delle soluzioni generalmente adottabili, con l’obiettivo di porre i private banker in condizione di percepire correttamente le esigenze del cliente e di poterle veicolare agli specialisti. 15.3 La valutazione d’azienda La valutazione d’azienda rappresenta sempre più sovente il primo passo necessario prima di intraprendere una vera e propria operazione straordinaria, quale la cessione dell’azienda o parte di questa, il finanziamento di un progetto, la quotazione in borsa, etc. A differenza del patrimonio mobiliare gestito nell’ambito di un normale rapporto di private banking (azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari quotati), che può essere valutato attraverso i prezzi di mercato, o del patrimonio immobiliare, i cui parametri di mercato sono facilmente reperibili, il patrimonio rappresentato dall’azienda non è immediatamente valutabile. Per questo motivo l’imprenditore prima di intraprendere un’operazione straordinaria normalmente richiede ai propri consulenti una valutazione indipendente della propria azienda. La valutazione, pur dovendo essere il più oggettiva possibile, non può prescindere dalla tipologia di operazione per la quale viene condotta. La valutazione di un’azienda presuppone una conoscenza a 360° di ogni aspetto che riguardi il mercato in cui questa opera (dinamiche del settore ed analisi dei concorrenti), la sua storia, la sua vita interna (organizzazione, contabilità, marketing dei prodotti, tecnologia, gestione della finanza, ricerca e sviluppo), le relazioni che questa intrattiene con l’ambiente esterno (clienti e fornitori), le strategie di sviluppo e le prospettive per il futuro. Tutti gli elementi vengono poi tradotti in una misura, o meglio in un valore. Valutare un’impresa non significa quindi tradurre in poche formule e grandezze i numeri di bilancio o quote di mercato, ma significa piuttosto fornirne una visione di sintesi considerando e ponderando le differenti variabili, sia interne che esterne, che la caratterizzano. Nelle attività di corporate finance collegate al private banking spesso si possono verificare problemi quando la valutazione oggettiva dell’azienda è significativamente più bassa rispetto a quella che ne dà il cliente. Questo può accadere abbastanza frequentemente, poiché è raro che l’imprenditore riesca a valutare in maniera distaccata la propria azienda: tende a prevalere un coinvolgimento diretto che porta la valutazione su livelli più alti rispetto a quelli di mercato. Non è raro che questi problemi blocchino il deal anche nelle sue fasi iniziali. La valutazione di un’azienda consiste nel ricorso a concetti, criteri e metodi finalizzati ad esprimere una misura del capitale economico che sia: razionale: deriva da un procedimento logico, chiaro e coerente; dimostrabile: ogni dato deve essere supportato da fonti certe e verificabili, supportate da dati contabili; oggettiva: prescinde il più possibile da giudizi soggettivi del valutatore; stabile: il più possibile svincolata da elementi variabili o mutamenti di opinione. Nella pratica professionale i diversi metodi di valutazione spesso combinano in maniera differente le suddette caratteristiche. Le possibili cause del ricorso ai procedimenti di stima nell’ambito della finanza aziendale possono essere sintetizzate: operazioni di finanza straordinaria; operazioni di finanziamento subordinato al raggiungimento di determinati risultati; esigenze di controllo interno e di monitoraggio per verificare l’eventuale opportunità di cedere aree d’affari che distruggono valore o di sviluppare aree che ne creano; II - Gli strumenti e soluzioni per la gestione della ricchezza introduzione di meccanismi di remunerazione del management legati al valore per gli azionisti; analisi degli asset aziendali a fini dell’adeguamento delle scritture contabili alle normative IAS/IFRS. I metodi di valutazione aziendale possono essere distinti in due macro categorie: i metodi analitici (patrimoniale, reddituale, misto reddituale patrimoniale, finanziario); i metodi empirici (società comparabili, transazioni comparabili). La scelta del metodo di valutazione varia spesso in base alle finalità che sta alla base del suo ricorso. I metodi patrimoniali hanno preso piede in Europa ed in Italia come procedimenti di stima con l’obiettivo principale di fornire un giudizio di congruità di un valore dato (ad esempio una perizia per determinare un rapporto di concambio in un’operazione di fusione). I metodi reddituali fondano invece il valore dell’azienda sulla sua capacità di generare reddito tenendo conto dell’incertezza associata al verificarsi di tali redditi. I metodi finanziari, nati e sviluppatosi nei paesi anglosassoni, sono generalmente ritenuti più razionali e determinano il valore di un’azienda sulla base del valore attuale dei flussi di cassa che la medesima prevede di generare negli esercizi futuri. Tali metodi sono in grado meglio di ogni altro di evidenziare quei flussi monetari, a disposizione degli azionisti ed eventuali investitori, che residuano dopo gli investimenti effettuati dall’azienda, necessari per garantirne la crescita o quanto meno il perdurare della medesima in condizioni di economicità. I metodi empirici stimano il valore del capitale economico di un’azienda sulla base di valori espressi dal mercato azionario (multipli di società comparabili quotate) o sulla base dei prezzi espressi dal mercato delle operazioni di M&A (multipli di transazioni comparabili). Tali metodi si sono diffusi fortemente negli ultimi duri decenni soprattutto a causa dell’incremento del numero delle operazioni di fusione ed acquisizione e della maggiore trasparenza ad esse associata; dello sviluppo degli investimenti in private equity, nonché dalla maggiore professionalità che viene comunemente riconosciuta agli operatori professionali e dalla significativa crescita dei prezzi di Borsa degli ultimi anni. 15.4 Il passaggio generazionale Uno dei temi di maggiore attualità nel tessuto produttivo italiano, dove private banking e corporate finance generalmente trovano un terreno fertile per la collaborazione è il ricambio generazionale in azienda. Questo è un tema che riguarda non solo il futuro delle grandi dinastie imprenditoriali, ma soprattutto la piccola e media impresa italiana, dove la dipendenza dall’imprenditore spesso fondatore dell’azienda e la scarsa presenza di manager di qualità rende il passaggio molto più difficile. Questo fenomeno non riguarda solo aspetti successori e fiscali, sebbene molto importanti, ma soprattutto la continuità stessa dell’azienda di famiglia. Per questo motivo è fondamentale affrontare il problema per tempo, anche con decisioni difficili per l’imprenditore sia dal punto di vista affettivo che gestionale. Ovviamente il problema del ricambio generazionale non si pone quando l’imprenditore ha individuato un discendente di cui ha fiducia, che abbia sia le capacità che la volontà di affrontare il difficile compito di gestire l’azienda. Il problema è altrettanto semplice quando l’imprenditore non ha discendenza o questa non è interessata a proseguire l’attività dei genitori. Nel primo caso l’unica preoccupazione sarà di accompagnare il figlio/nipote nel passaggio di testimone, trasferendogli le conoscenze di una vita di lavoro, lasciando però la porta aperta alle novità che questi vorrà apportare. Nel secondo caso la soluzione sarà la cessione dell’azienda a terzi, siano questi dipendenti della stessa o meno. 15. Il Corporate Finance Il ricambio in azienda diviene più complesso quando l’imprenditore ha una famiglia numerosa, di cui solo alcuni componenti sono interessati a gestire l’azienda, o forse solo alcuni sono veramente in grado di farlo. La scelta di chi porre nei ruoli di responsabilità è sempre complessa, anche perché chi la compie è affettivamente coinvolto. La scelta dei successori in azienda presuppone che se vi sono altri figli, questi mantengano un ruolo subordinato in azienda o ne escano del tutto. In questo caso il problema di liquidare coloro che non partecipano alla vita aziendale prima o poi si presenterà. Quando il patrimonio dell’imprenditore è sufficientemente diversificato tra azienda ed altri asset (immobili, liquidità etc.) si tende a lasciare questi ultimi a coloro che non proseguono a lavorare in azienda. Ma quando non vi è una diversificazione sufficiente o l’unico asset familiare è l’azienda, è più complesso gestire la successione. In questo caso però esistono degli strumenti di finanza straordinaria che consentono di rendere liquida una parte dell’azienda senza comprometterne il controllo familiare. Se l’impresa ha le dimensioni sufficienti e le caratteristiche necessarie, la quotazione in borsa è una delle soluzioni. In sede di IPO la parte della famiglia che vorrà liquidare la propria partecipazione potrà farlo ad un prezzo considerato per definizione di mercato. Ma non sempre le aziende hanno le caratteristiche per una quotazione e talora si deve pertanto ricorrere ad altri strumenti. Un’altra soluzione al problema del ricambio generazionale può essere la ricerca di un socio finanziario o industriale che acquisisca le quote dei familiari che vogliono essere liquidati. Questa attività può essere gestita dalla private bank attraverso il proprio team di corporate finance, che aiuta a gestire per conto di tutta, o solo di parte, della famiglia l’intero processo. Un altro strumento è sempre più utilizzato nelle medie aziende i cui soci debbono risolvere il problema del passaggio generazionale: il Family Buy Out o FBO. Questo strumento si basa su un’operazione di Leveraged Buy Out (LBO), ma ha la caratteristica di essere organizzato e gestito dalla famiglia. Lo strumento del LBO è stato introdotto dai fondi di private equity che per massimizzare il ritorno sul capitale investito (IRR), utilizzano ricorso alla leva finanziaria. Lo schema societario prevede la costituzione di una società veicolo che viene in parte capitalizzata da un fondo di private equity ed in parte raccoglie debito bancario (leva finanziaria). Con il capitale si procede all’acquisto del 100% dell’azienda obiettivo. Si prevede di solito la successiva fusione per incorporazione della azienda acquisita nella società veicolo ed il rimborso del debito bancario attraverso i flussi di cassa generati dalla nuova realtà frutto della fusione. L’esempio italiano più recente ed eclatante di LBO è l’acquisizione del Gruppo Telecom da parte dell’imprenditore Colaninno e dei suoi soci. Lo schema del LBO ha trovato poi diverse varianti a seconda dei soggetti coinvolti nell’operazione: Management Buy Out (MBO) se sono coinvolti nell’azionariato anche i manager dell’azienda, Management Buy In (MBI) se sono coinvolti invece manager esterni, BIMBO se sono coinvolti entrambi. Caratteristica del FBO è invece il coinvolgimento di parte della famiglia a cui fa capo l’azienda. Lo schema prevede che una parte della famiglia, che può essere o meno affiancata da un fondo di private equity, costituisca e capitalizzi una società veicolo che si indebita per acquisire l’intera azienda di famiglia. I fondi necessari per capitalizzare la società veicolo possono essere anticipati da una banca ai familiari che acquisiscono attraverso un finanziamento ponte (cosiddetto bridge financing), il quale sarà rimborsato con i proventi della cessione della propria partecipazione. Questo strumento consente di raggiungere il duplice obbiettivo di liquidare una parte dei familiari e garantire la continuità in azienda, senza il coinvolgimento di terzi soggetti. Infatti un’operazione di FBO necessiterà dell’intervento di un socio finanziario (ad esempio un fondo di private equity) solo nel caso in cui il debito necessario a liquidare i familiari sia eccessivamente elevato rispetto alla capacità di generare flussi di cassa dell’azienda. In questo caso il socio finanziario sottoscriverà una parte dell’aumento di capitale della società veicolo ed affiancherà la nuova generazione di imprenditori. II - Gli strumenti e soluzioni per la gestione della ricchezza Il poter gestire all’interno questo tipo di operazione consente alla private bank di mantenere uno stretto legame con tutta la famiglia, sia di quella parte che viene liquidata, sia quella che continua a svolgere l’attività imprenditoriale. 15.5 Mergers & Acquisitions (fusioni e acquisizioni) L’integrazione dei mercati mondiali, la concorrenza, il rapido sviluppo di nuove tecnologie, i problemi di ricambio generazionale sono solo alcuni dei fattori che spingono gli imprenditori a prendere l’importante decisione: vendere o comprare. La scelta di cedere la propria azienda è sempre dolorosa per quegli imprenditori che l’hanno creata, ma è spesso l’unica strada per garantirne la continuità. Talvolta, al contrario, la miglior soluzione per rafforzare la propria impresa è quella di acquisire altre aziende per accedere a nuovi mercati, nuove tecnologie, per raggiungere dimensioni sufficienti per confrontarsi ad armi pari con clienti e fornitori o anche solamente per ottenere economie di scala. La difficile scelta è spesso condivisa dall’imprenditore con i suoi più stretti collaboratori e consulenti quali il commercialista, l’avvocato e non di rado il private banker. Per quest’ultimo il poter disporre all’interno della propria struttura di un team di professionisti competenti in operazioni di M&A rappresenta un’opportunità per poter offrire ai propri clienti una consulenza di qualità e soprattutto indipendente da conflitti di interesse. La differenza tra un team di M&A di una banca commerciale e quello di una private bank è la totale focalizzazione di quest’ultimo sulla creazione di valore per il cliente imprenditore rispetto alla focalizzazione verso l’oggetto della transazione (l’impresa appunto). Nell’operazione di cessione dell’azienda, in particolare, esistono diverse fasi critiche nelle quali l’advisor deve necessariamente godere della massima indipendenza rispetto all’impresa stessa, cosa che in una banca commerciale, che affida l’azienda cliente, si rischia spesso di perdere. 1. Definizione della struttura dell’operazione; 2. Valutazione del capitale economico dell’azienda; 3. Presentazione della società; 4. Assistenza al deal; 5. Closing La prima fase del processo, la definizione della struttura dell’operazione, vede in particolare l’advisor nel difficile compito di comprendere le esigenze del proprio “cliente imprenditore” e di valutare successivamente quale soluzione possa maggiormente soddisfarle: se il cliente ha ad esempio l’esigenza di monetizzare il proprio investimento senza alcuna volontà di proseguire nella propria attività, la soluzione più appropriata potrebbe essere rappresentata dalla cessione ad un compratore industriale (trade buyer); se invece l’imprenditore manifesta la propria esigenza di monetizzare parte del proprio investimento nell’immediato ma la propria volontà/disponibilità a gestire l’azienda nel medio periodo, la soluzione migliore potrebbe essere rappresentata da un partner finanziario. La seconda fase, la valutazione del capitale economico dell’azienda, è già stata affrontata in precedenza. La terza fase, la presentazione della società attraverso l’elaborazione di un information memorandum, richiede una visione consulenziale dell’impresa, che integri i semplici aspetti economici con la descrizione dell’attività, dell’organizzazione e del mercato di riferimento dell’impresa. In questa fase viene utilizzato il materiale preparato per la valutazione dell’azienda opportunamente risistemato e corretto. Anche nella ricerca e selezione della controparte ideale è richiesto un approccio consulenziale che esula dalla normale attività degli istituti di credito: vi è infatti la necessità di comprendere a fondo il mercato in cui l’impresa opera, le possibili sinergie realizzabili con le diverse controparti, le potenziali esigenze che queste potranno manifestare (e riconoscere in termini valutativi) nel 15. Il Corporate Finance penetrare i mercati in cui l’azienda opera o nell’integrare la gamma di prodotto/servizio con quelli erogati dall’impresa. Le successive fasi della trattativa vedono l’advisor coinvolto nello studio della miglior forma tecnica di realizzazione dell’operazione (conferimento, cessione di azioni etc.) e nell’assistenza ai legali deputati alla predisposizione degli accordi (lettera di intenti, contratto di cessione, patti parasociali etc.); nel caso di operazione di acquisizione sarà inoltre necessario determinare in totale autonomia la miglior struttura finanziaria. Fa parte dell’assistenza al deal anche l’eventuale due diligence (finanziaria, legale, fiscale e ambientale) che di norma è condotta sul bene/azienda oggetto dell’acquisizione. La consulenza è dovuta sia che si stia lavorando per la parte venditrice nell’organizzare il materiale necessario e le informazioni richieste, sia, ovviamente, che si sia i consulenti della parte acquirente per l’analisi e l’esame critico della documentazione disponibile sull’obiettivo dell’acquisizione. Infine, nel “closing” si concretizza l’operazione. La trattativa finale sulle condizioni di prezzo, garanzie accessorie ed impegni anche futuri richiedono un’ottima capacità di mediazione, che spesso è più rilevante ed apprezzata di quella tecnica. La preparazione del contratto definitivo e dei suoi allegati sono l’ultimo step prima della firma. 15.6 Ricerca e strutturazione del debito Il supporto finanziario alla realizzazione di un progetto imprenditoriale è un momento chiave nella relazione tra una banca che offre servizi di private banking e il proprio cliente. La creazione di valore che ne può conseguire è infatti il primario obiettivo dell’imprenditore-cliente e di conseguenza della banca che ne cura e amministra il patrimonio. Uno dei momenti fondamentali nella strutturazione di un progetto imprenditoriale riguarda l’analisi delle fonti di finanziamento necessarie per la realizzazione del piano e la ricerca dei soggetti a cui chiederle; il cliente-imprenditore avrà dunque l’esigenza di contattare una serie di potenziali finanziatori a cui spiegare le strategie alla base del progetto e in quale modo i flussi che ne deriveranno saranno in grado di ripagare il finanziamento richiesto. La private bank può rispondere a tali esigenze mettendo a disposizione delle professionalità in grado di supportare e guidare il cliente nella ricerca e strutturazione dei finanziamenti necessari al progetto. In Italia è ancora poco diffusa la figura dell’advisor finanziario che lavora nel sistema bancario e non al di fuori di esso. Ciò comporta che si verifichi molto frequentemente che la struttura di corporate finance sia investita del problema, dando per scontato che sia la banca del gruppo a dover fornire il finanziamento e non, piuttosto, a ricercare le migliori condizioni sul sistema. In primo luogo il team di corporate finance analizza il progetto e ne condivide con l’imprenditore le strategie, evidenziando le possibili criticità o le opportunità eventualmente non ancora valutate. Una volta condivise le linee guida del progetto, il cliente viene aiutato nella predisposizione del piano economico-finanziario e nell’analisi dello sviluppo dei flussi di cassa attesi. La valutazione del mix equilibrato tra le diverse fonti di finanziamento avviene mediante l’elaborazione di modelli finanziari e l’analisi di sensitività delle diverse strutture finanziarie ipotizzate. Lo sviluppo di tali modelli permette al consulente di scegliere insieme al proprio cliente una strategia finanziaria sostenibile ed equilibrata. Un momento fondamentale del processo riguarda quindi l’individuazione e il contatto degli istituti di credito più adatti alle esigenze del cliente e del progetto; l’esperienza di un consulente professionale può avere un ruolo determinante sia nella scelta della controparte più adatta, sia nella presentazione delle linee guida alla base del progetto. L’imprenditore viene infine assistito nella fase di stesura dei contratti di finanziamento. Le forme tecniche di assistenza possono variare a seconda della natura e degli obiettivi che l’imprenditore intende raggiungere mediante la realizzazione del proprio progetto. Tra le altre è utile menzionare le seguenti forme tecniche di finanziamento: II - Gli strumenti e soluzioni per la gestione della ricchezza corporate lending, nel caso in cui l’imprenditore ricerchi finanziamenti per effettuare nuovi investimenti al fine di espandere/diversificare il proprio business; acquisition financing, finanziamento strutturato finalizzato a progetti di acquisizione di altre imprese dello stesso settore (aumento della quota di mercato) o di settori differenti (strategia di diversificazione); bridge financing, finanziamento "ponte" concesso da istituzioni di natura bancaria a supporto di operazioni di finanza straordinaria complesse ed immediatamente rimborsato all'atto della conclusione dell'operazione ovvero in un periodo immediatamente successivo; project financing, uno strumento di finanza innovativa per cui il progetto assume autonomia giuridica dal soggetto proponente mediante la creazione di uno special purpose vehicle (società veicolo generalmente riconducibile ad una partnership pubblico-privato) che per mezzo dei flussi di cassa generati dal progetto finanziato sarà in grado di ripagare autonomamente il debito contratto. La creazione di valore per il cliente-imprenditore potrà quindi manifestarsi sia sotto forma di maggiori profitti nel corso degli anni a seguire, sia mediante la cessione (dopo un determinato periodo di tempo) di tutta o parte delle attività che avevano fatto parte del progetto finanziato e poi sviluppato. 15.7 La quotazione in Borsa Nell’ambito dei servizi di corporate finance rientra anche l’attività di consulenza per la quotazione in Borsa. Questa operazione per la sua complessità ed importanza e per il numero di attori coinvolti è senz’altro definibile come la “regina” delle operazioni di corporate finance. Occorrerebbe un intero manuale per descrivere il processo di quotazione, le attività connesse, le problematiche da risolvere. Ci si limita qui a dare una veloce panoramica degli elementi principali. La scelta della quotazione in Borsa richiede un’articolata e complessa analisi preliminare al fine di consentire agli azionisti di formarsi un giudizio sull’opportunità o meno di intraprendere il processo di quotazione. Compito del team di corporate finance è quello di indirizzare gli azionisti e di assisterli nella scelta migliore. Vi sono infatti delle alternative alla quotazione in borsa altrettanto interessanti che possono essere più indicate a seconda della situazione aziendale e degli obiettivi che gli azionisti si pongono. Vale la pena citare le operazioni di private equity o i cosiddetti private placements31. Finalità della quotazione I motivi che determinano la scelta di quotarsi in Borsa per un’azienda famigliare sono prioritariamente i seguenti: reperimento di nuovi capitali per finanziare nuovi/importanti investimenti o 1. acquisizioni; 2. desiderio da parte dell’imprenditore o di alcuni famigliari di vendere parzialmente o integralmente la propria partecipazione; 3. intraprendere un processo di managerializzazione che permetta all’imprenditore di ritirarsi progressivamente dall’attività quotidiana; 4. favorire il ricambio generazionale, affiancando ai propri figli e nipoti manager fidelizzati e motivati nel nuovo processo di sviluppo; 5. dare maggiore visibilità all’azienda sul mercato nazionale e internazionale. L’attività di preparazione alla Borsa 31 In proposito si veda anche il paragrafo relativo alle operazioni di M&A. 15. Il Corporate Finance Il consulente deve quindi svolgere l’attività di advisor indipendente nel processo di quotazione. Nell’esclusivo interesse dell’imprenditore e del suo patrimonio è compito dell’advisor assistere l’imprenditore nel processo di preparazione alla Borsa analizzando il piano di sviluppo, la struttura societaria, proponendo eventuali riorganizzazioni e ottimizzazioni (anche fiscali) al fine di valorizzare al meglio l’azienda e prepararla con maggior successo all’iter di quotazione in Borsa. La scelta di entrare in Borsa non può prescindere da un’analisi approfondita del settore nel quale opera l’azienda, degli eventuali processi di consolidamento in atto e delle prospettive future di crescita/sviluppo, eventualmente anche attraverso un’attività di preliminary-business due diligence al fine di poter conoscere il mercato di riferimento nel quale opera l’azienda, il suo posizionamento e i suoi punti di forza e di debolezza. Il management deve inoltre essere assistito nella redazione di un piano industriale (business plan) che rifletterà le aspettative future dell’azienda. Al termine di tale processo è possibile procedere ad una valutazione iniziale dell’azienda e fornire agli azionisti una range preliminare o “forchetta” di valore del capitale economico dell’azienda. Tale range di valore orienta i soci sulla convenienza o meno di procedere nella quotazione in Borsa, permettendo di meglio ponderare i costi/benefici derivanti. È inoltre opportuno informare gli azionisti sui costi complessivi della quotazione che dovranno essere sostenuti nel corso del processo. Tali costi comprendono commissioni di collocamento (in percentuale sull’offerta) e costi fissi (prevalentemente costi per i legali, i fiscalisti e i revisori). Progettazione e definizione dei ruoli L’organizzazione del processo di quotazione prevede come primo elemento la definizione e la strutturazione di un team di lavoro manageriale che vede coinvolte le figure chiave dell’azienda. È compito dell’advisor verificare l’adeguatezza della struttura amministrativa dell’azienda e la capacità e l’esperienza del CFO (Responsabile Finanziario) e del suo team per valutare se poter affrontare l’impegnativo iter di quotazione, che prevede la redazione di diversi bilanci e di numerosi documenti di natura contabile/finanziaria. Deve essere programmata, insieme con i legali, la creazione di una funzione che si occuperà degli affari generali e societari e che si adopererà anche dopo la quotazione per il corretto adempimento alla normativa in materia di emittenti quotati e per la programmazione e l’organizzazione degli eventi societari. Contestualmente deve essere verificata l’adeguatezza del sistema di controllo di gestione e la presenza di un sistema di budgeting e di business planning. È inoltre importante definire una corporate governance che rispecchi la volontà degli azionisti di controllo: occorrerà definire i ruoli dei diversi famigliari, incluse le nuove generazioni (figli e nipoti) definendo per tempo eventuali piani di incentivazione/stock options a favore dei manager ritenuti strategici e in grado di facilitare, eventualmente già pianificando l’inserimento e l’incentivazione del management destinato a succedere all’imprenditore, quel passaggio intergenerazionale che sarà ritenuto necessario per il futuro dell’azienda. Il processo di quotazione Borsa Una volta deciso di intraprendere il processo di quotazione32, il team di corporate finance è chiamato ad assistere l’imprenditore nella scelta del mercato nel quale quotare l’azienda. Il segmento di mercato più adatto alla caratteristiche dell’azienda può variare a seconda delle 32 In realtà accanto al processo di quotazione, è possibile ipotizzare un processo di vendita, mediante asta, a fondi di Private Equity. L’affiancamento di tale processo quello della Borsa (denominato dual track) è spesso utilizzato quando l’azionista di controllo vuole/deve incrementare le probabilità di procedere alla vendita di parte o di tutta la propria partecipazione. Tale processo, tuttavia è notevolmente dispendioso in termini di costi, di soggetti coinvolti e di impegno da parte della struttura manageriale, ed è raramente realizzato nel mercato italiano. II - Gli strumenti e soluzioni per la gestione della ricchezza dimensioni della società, delle sue prospettive di sviluppo e della capacità della società di rispondere prontamente o meno ai diversi requisiti richiesti dai vari mercati/segmenti. Figura 15.3: I mercati di quotazione in Italia Fonte: Borsa Italiana Il processo di quotazione è complesso e coinvolge l’intera struttura manageriale per un periodo che varia generalmente dai 6 mesi ai 18 mesi e può essere suddiviso in quattro fasi: 1. 2. 3. 4. progettazione e due diligence; filing e ottenimento autorizzazioni e pre-marketing; collocamento e quotazione; post-quotazione. 15. Il Corporate Finance Figura 15.4: Time table ipotesi minima di tempistica Fasi dell'IPO MESE 1 MESE 2 MESE 3 MESE 4 Riunione di lancio dell'operazione Due diligence commerciale e legale Preparazione Prospetto Informativo offering e circular Richiesta nulla osta per Prospetto Informativo a Consob Domanda di ammissione a Borsa Italiana e invio documentazione Eventuale richiesta di qualifica Star Analisi della documentazione da parte di Borsa Italiana Incontri con uffici di Borsa Italiana e Consob Visita di Borsa Italiana all'azienda Delibera di ammissione e quotazione di Borsa Italiana Eventuale rilascio di qualifica Star Nulla osta Consob a pubblicazione prospetto Definizione del range di prezzo da parte del CdA Costituzione dei consorzi di collocamento Pre-marketing (incontro analisti, distribuzione e search report) Bookbuilding e Roadshow (raccolta ordini istituzionali) (*) Fissazione del prezzo di collocamento da parte del CdA (**) OPVS Inizio negoziazioni e stabilizzazione (*) l’attività di bookbuilding può sovrapporsi al periodo di offerta pubblica; (**) la tempistica della fissazione del prezzo di collocamento dipende dalla metodologia di collocamento (fix price/openprice) adottata. Fonte: Borsa Italiana Soggetti coinvolti e ruoli Nel processo di quotazione sono coinvolti diversi soggetti: l’advisor assiste l’imprenditore nell’attività di scelta dei diversi soggetti organizzando dei beauty contest durante i quali sono selezionati i revisori (ove non ancora presenti), le banche organizzatrici del consorzio (Global Coordinators), i consulenti strategici, i legali (dell’emittente e delle banche) ed i fiscalisti. All’interno del processo di quotazione deve inoltre essere definito il ruolo del “garante” nei confronti della Borsa e più in generale del mercato, tale soggetto, denominato Sponsor per il Mercato ordinario e Listing Partner per il Mercato Expandi, dovrà rilasciare una serie di attestazioni che garantiscono il rispetto dei requisiti previsti dai regolamenti in Borsa. Tale ruolo può essere svolto dalla stessa banca nelle quale opera il team di corporate finance oppure da uno o più (nel caso di co-sponsor) Global Coordinators. Successivamente viene selezionata la società di comunicazione finanziaria (che spesso si occupa anche dell’organizzazione del road show) e la tipografia per la stampa dei prospetti. Durante i beauty contest i diversi soggetti invitati predispongono delle presentazioni (pitch) evidenziando le expertise del team, le referenze in operazioni di equity capital markets, il programma di lavoro e i costi stimati per la loro attività. Particolare attenzione deve essere posta sulle expertise degli attori bancari che saranno coinvolti nel progetto, sulla capacità del Global Coordinator di avere un buon placing/selling power in sede di collocamento delle azioni, sulla presenza di analisti finanziari qualificati che possano valorizzare appieno i punti di forza dell’azienda e, nel caso di offerta internazionale, sulla presenza o meno di un netwok estero. La scelta dei diversi interlocutori è quindi effettuata dal management della società con l’assistenza dell’advisor che, grazie alla sua esperienza e indipendenza, cercherà di selezionare i soggetti che meglio rispondono alle caratteristiche dell’azienda e alla tipologia di offerta prevista. II - Gli strumenti e soluzioni per la gestione della ricchezza Una volta scelti i soggetti di riferimento, il processo di quotazione può quindi avere inizio formalmente con un kick-off meeting nel quale viene definito un ruolino di marcia dettagliato nel corso dei successivi 5-6 mesi. L’attività più impegnativa, che assorbe gran parte dell’intero processo di quotazione, è legata alle due diligence di natura legale, fiscale, contabile, di business e per particolari tipologie di industrie di natura ambientale. Il processo di due diligence è portato avanti dai diversi soggetti parallelamente alla redazione del Prospetto Informativo, la cui responsabilità operativa spetta allo studio legale dell’Emittente. È quindi compito dell’advisor coordinare i diversi soggetti e verificare il rispetto dei tempi affiancando l’imprenditore, congiuntamente con i Global Coordinators, nelle fasi decisionali più critiche quali ad esempio: il timing per l’inizio del processo, la scelta del mercato/segmento di quotazione (Expandi, STAR, Segmento Ordinario), la definizione della tipologia di offerta (offerta istituzionale/pubblica), il dimensionamento della dimensione dell’offerta e sue caratteristiche (offerta di vendita e/o di sottoscrizione), la definizione di un’offerta nazionale o internazionale, il prezzo definitivo di quotazione. Al termine del processo di quotazione, l’advisor normalmente assiste in via continuativa l’azienda nel processo di crescita. 15.8 Conclusioni L’imprenditore, per le dimensioni del patrimonio, per lo spirito d’intraprendenza, per la predisposizione al rischio e per la rete di relazioni sociali che generalmente detiene rappresenta certamente uno dei target fondamentali e più attraenti per l’attività di private banking. Generalmente la parte più importante del patrimonio dell’imprenditore è investita direttamente nell’azienda, vero centro dei suoi interessi: pertanto l’attività della private bank non può limitarsi unicamente all’ordinaria consulenza sulla gestione del patrimonio mobiliare, ma deve essere in grado di affiancare e consigliare l’imprenditore nella gestione straordinaria della sua azienda ed in particolar modo deve saper offrire supporto e soluzioni per tutte quelle operazioni che comportano un cambiamento strutturale della società, quali cessioni o acquisizioni d’azienda, problematiche afferenti il cosiddetto passaggio generazionale, reperimento di capitale di rischio attraverso la quotazione sui mercati regolamentati o la ricerca di soci di private equity, il salvataggio di complessi aziendali in difficoltà o il finanziamento di progetti particolari. Alla base dell’attività è quasi sempre richiesta un’approfondita valutazione dell’azienda: l’obiettivo dell’analisi è esprimere una misura razionale, dimostrabile, oggettiva e stabile del capitale economico. A tal fine è importante tenere in considerazione anche ogni aspetto che circonda l’azienda ed il suo mercato ed è quindi necessaria un’analisi completa dell’ambito di riferimento economico, finanziario e produttivo. L’organizzazione dell’attività di corporate finance in una private bank è complessa: occorre creare e organizzare un team che abbia professionalità, esperienza e conoscenze specifiche per gestire al meglio i deal, senza tralasciare le criticità derivanti dal rapporto tra i private banker e il team di corporate finance. Occorre valutare attentamente in che modo superare la generale diffidenza del private banker nel presentare il cliente ai componenti della struttura di corporate finance e la gestione delle eventuali ricadute negative delle operazioni (che per la loro complessità possono spesso concludersi con un insuccesso), nonché viceversa delle possibilità di successo di tali operazioni e dall’attribuzione dei riconoscimenti. La presenza e l’integrazione dell’attività di corporate finance in una private bank costituiscono un’opportunità formidabile di cross-selling e di completamento dei servizi di consulenza verso le categorie degli imprenditori e dei soci di maggioranza delle società di capitali; senza un team dedicato alle operazioni di finanza straordinaria la private bank rinuncia allo sviluppo di questi clienti e si espone maggiormente ai rischi di “aggressione” da parte dei concorrenti. 15. Il Corporate Finance Bibliografia BREALEY R.A., MYERS R.A., SANDRI S., Principi di finanza aziendale, Milano, McGraw-Hill, 1999 DALLOCCHIO M., Finanza d’Azienda, Milano, Egea, 1995 DAMODRAN A., Manuale di valutazione finanziaria, Milano, McGraw-Hill. 1996 GUATRI L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Milano, Egea, 2000 GUATRI L., BINI M., I moltiplicatori nella valutazione delle aziende, Milano, Università di Bocconi Editore, 2002 PARLOTTI M., MOUGENOT G., Il private equity, Milano, De Vecchi, 2001.