Psicoanalisi e Inconscio
A)
Termini come “psicologia del profondo”, “psichiatria dinamica”, “analisi
dell’inconscio” indicano un campo di ricerche vasto ed eterogeneo, già indiscutibilmente
aperto molto tempo prima della comparsa delle teorie freudiane, della cui validità, comunque,
non sempre la cultura scientifica contemporanea si è mostrata troppo convinta1.
La psicoanalisi sta un po’ a tutte queste ricerche, come il marxismo al precedente
pensiero socialista: le dottrine messe a punto da Freud e dai suoi allievi hanno in qualche
modo unificato in un settore abbastanza definito (pur nella varietà d’impostazione delle
maggiori scuole) un insieme estremamente eterogeneo di teorie e proposte pratiche. Sicché, la
perplessità che da sempre la scienza aveva mostrato per tali indirizzi si è rivolta soprattutto
verso la psicoanalisi: è certo uno dei “paradossi” della cultura attuale il fatto (rilevato tra gli
altri da Abbagnano e Fornero) che sulla validità teorica e sull’efficacia pratica di questa
dottrina, così importante per la cultura del nostro secolo, ci sia tuttora il massimo disaccordo.
La considerevole fioritura di ricerche sulla psicologia del profondo, a partire
soprattutto dalla seconda metà dell’Ottocento, rappresenta un aspetto non secondario della
crisi del modello scientifico proposto dall’illuminismo (e per certi versi dal primo
positivismo): tale modello era legato ancora ad una visione “deterministica” e
“meccanicistica” della realtà, psiche umana compresa, ed al conseguente progetto di
pervenire, se non a una spiegazione complessiva, totalizzante, della realtà stessa, almeno ad
una sua descrizione in termini di leggi precise, indiscutibili e razionalmente comprensibili2.
In questo senso è il concetto stesso di “inconscio”, ossia di un processo psichico non
immediatamente accessibile alla coscienza - e dunque estraneo al razionalismo (o
all’intellettualismo) propri della cultura occidentale3 - a mettere in discussione il progetto di
cui si diceva sopra: come ben rileva lo stesso Freud nell’ultimo capitolo della sua
Interpretazione dei sogni, l’inconscio non costituisce solo un problema, ma addirittura il
problema della psicologia in quanto scienza.
Del resto, come già prima si accennava, non si tratta di un concetto del tutto recente: a
parte la discutibilità di certi troppo facili e sommari accostamenti tra la figura dell’analista
freudiano o junghiano e quella del guaritore-sciamano propria di culture (antiche e moderne)
diverse da quella ufficiale delle società europee, è innegabile che alcuni elementi della teoria e
della prassi psicoanalitiche sono formalmente affini, o comunque rimandano in qualche modo
a quelli presenti nei rituali magico-simbolici di tali culture.
1
Si veda p. es. il giudizio già espresso da Comte, per cui la psicologia in generale non ha statuto di
scienza, in quanto riguarda essenzialmente un ambito privato, non direttamente osservabile e
traducibile in conoscenza collettiva.
2
La scienza del nostro secolo, liberandosi da un lato di queste antiche pretese, ancora legate ad
una visione “epistemica” della conoscenza, non per questo accetterà senz’altro i modelli di tipo
psicoanalitico, spesso considerati a loro volta come residui del vecchio dogmatismo metafisico, data la
loro non-verificabilità (o falsificabilità) nel quadro di una costruzione “pubblica” del sapere (si veda, fra
tutte, la posizione di K. Popper).
3
Non va comunque trascurata l’importanza di varie anticipazioni, in campo filosofico, del moderno
concetto di “inconscio” : anche senza volersi spingere indietro fino alla dottrina platonica della
reminiscenza o al pitagorismo, è certo che nella dottrina di Leibniz l’osservazione e l’interpretazione di
fenomeni psichici al di sotto della soglia di coscienza ha un ruolo fondamentale. Herbart, che si rifà per
molti versi a Leibniz, è poi da considerare come uno dei più diretti anticipatori della moderna psicologia
del profondo.
Da millenni i rituali magici d’Oriente e d’Occidente si basano sul convincimento che
certi processi invisibili possano determinare la salute o la malattia (fisica e psichica) di un
individuo; sia in forma di influssi tra persone diverse, sia come attivazione di meccanismi
interiori al corpo ed alla psiche individuali di cui, peraltro, il diretto interessato può restare del
tutto inconsapevole.
Questi meccanismi sono poi intesi da tali culture come espressione di forze divine o
demoniache che, in qualche modo, farebbero dell’uomo il teatro del loro scontro: nella
tradizione cristiana ha avuto importanza non secondaria la pratica (tuttora esistente)
dell’esorcismo, ossia della liberazione, per intervento di un ministro della chiesa, di un uomo
“posseduto” da forze demoniache. Si può dire anzi che per molti secoli i confini tra la
“malattia mentale” e la possessione demoniaca (o, per converso, l’ispirazione divina) siano
stati, nella nostra cultura, assai labili se non del tutto indefiniti.
B) E’ soprattutto sulla scia del rinnovamento illuministico che, nella seconda metà del
Settecento, la psicoterapia comincia ad affrancarsi dalla cultura religiosa: il medico tedesco F.
Mesmer (n. 1734) prende ad esempio le distanze dalla pratica esorcistica, sostenendo
l’origine “naturale” dei disturbi psichici. Questo anche se la sua teoria del “magnetismo
animale”, che presuppone l’esistenza di un “fluido cosmico” attuantesi in ogni essere vivente,
non è molto lontana dalla cultura alchimistica del Rinascimento, o addirittura da certi aspetti
della saggezza orientale.
Il grande sviluppo della scienza e della tecnica tra Settecento ed Ottocento tende
successivamente ad indirizzare le ricerche psicologiche verso un modello sperimentale, affine
a quello delle scienze fisiche, con l’abbandono di certi residui di matrice magico-religiosa
(secondo il modello proposto tra gli altri da Comte). E tuttavia questa velocissima
affermazione della cultura scientifico-tecnologica non va esente da problemi: proprio perché
le grandi certezze del passato vanno così rapidamente tramontando a beneficio dell’organizzazione pratica della civiltà, quest’ultima non può non avvertire il “disagio” che
accompagna la perdita di punti di riferimento finora considerati assoluti, specie quando si
tratta di teorizzare ed operare sulla stessa realtà umana.
La scienza non è in grado di dare tutte le risposte (come invece cercano di fare da
secoli religione e filosofia) ed è allora inevitabile un serrato confronto tra la nuova e la
vecchia organizzazione del sapere, in cui non è sempre agevole riportare all’una o all’altra i
vari elementi che vengono alla luce, soprattutto perché la stessa cultura scientifica resta
ancora a lungo, ambiguamente, legata alla pretesa di costituirsi come la vera, oggettiva
descrizione del mondo. La dottrina psicoanalitica è probabilmente una delle principali
espressioni di questo conflitto: che in essa i problemi superino di gran lunga le certezze non è
dunque cosa che dovrebbe stupire.
Uno dei maggiori contributi al superamento della tesi del “magnetismo animale” è
rappresentato dall’opera del neurologo francese J. M. Charcot (n. 1825) il quale mette a
punto la tecnica dell’ipnosi, ossia di un procedimento non già legato a misteriosi flussi
cosmici, ma alla suggestione che il medico può esercitare sul paziente, influendo sulla sua
psiche al di sotto della soglia cosciente. Il metodo di Charcot sembrava dare interessanti
risultati soprattutto nella cura delle nevrosi di tipo isterico.
2
J. Breuer, medico viennese di cui Freud fu all’inizio collaboratore, applicò ancora la
terapia ipnotica, ma individuando la sua efficacia non tanto nella suggestione, quanto nel
processo catartico che tale tecnica poteva produrre nel paziente. Si trattava cioè di rendere
accessibili a quest’ultimo, sotto l’influsso ipnotico, certi ricordi spiacevoli, altrimenti
dimenticati, rivivendo i quali egli era in grado di liberarsene, “scaricando” in tale esperienza
ogni tensione accumulata inconsciamente in proposito4.
C)
Dopo aver praticato la terapia tramite ipnosi insieme a Breuer, Freud sviluppò la
convinzione che tale tecnica fosse sostanzialmente accessoria rispetto all’effettivo
meccanismo che innescava il processo “catartico”: il nodo essenziale della terapia era proprio
il conflitto inconscio, la persistenza di elementi psichici (ricordi e soprattutto desideri)
rimossi dalla sfera cosciente del nevrotico, al riconoscimento dei quali altre vie potevano
condurre con maggiore efficacia.
In ogni caso il paziente appare ormai come il vero protagonista della terapia: egli non
deve limitarsi a subire l’influsso e la suggestione del medico (come accadeva nel metodo di
Charcot), o a seguire con atteggiamento sostanzialmente passivo il “meccanismo catartico”
innescato dall’ipnosi: egli deve invece operare direttamente un riequilibro della propria
psiche. Il medico stesso è allora una specie di “supporto” o anche di “specchio” usato dal
paziente per portare alla luce e “visualizzare” i propri problemi rimossi.
La psichiatria dinamica si configura qui, oltre e più che come interazione tra
individui, come interazione tra due differenti livelli della psiche, su entrambi i quali si attua lo
stesso rapporto terapeutico: il medico, pur mantenendo il ruolo di osservatore distaccato, pur
senza lasciarsi cioè coinvolgere nella vita emotiva del paziente, deve, in certo modo, mettere
la propria persona a disposizione di quest’ultimo, lasciare che egli instauri con lui,
inconsciamente, un certo rapporto affettivo, analizzando il quale potranno venire alla luce
proprio quei meccanismi che, invisibili, condizionano la vita del paziente stesso.
Il medico deve, per così dire, calarsi a sua volta nel proprio inconscio, instaurando un
dialogo con il suo assistito anche e soprattutto su quel livello; ed è chiaro che, perché ciò
avvenga senza ulteriori complicazioni, egli dovrà essere il più possibile padrone del terreno, il
più possibile libero da conflitti e desideri inconsci. In breve, lo psicoanalista, per condurre la
terapia in maniera ottimale, dovrebbe a sua volta essersi sottoposto a trattamento
psicoanalitico: essendo il primo ad aver messo a punto il metodo, Freud condusse per anni,
molto scrupolosamente e regolarmente, la propria autoanalisi.
L’analisi del contenuto rimosso avviene attraverso una serie di strumenti privilegiati,
primo tra tutti l’interpretazione dei sogni: questi ultimi costituirebbero infatti dei veri e
propri canali attraverso i quali l’inconscio arriverebbe a manifestarsi a livello cosciente, sia
pure in modo oscuro e distorto. Si tratta dunque, da parte dell’analista, di saper riconoscere,
attraverso il mascheramento onirico, quegli elementi pulsionali ed emotivi che il paziente non
è in grado di affrontare consapevolmente.
4
Il concetto di “catarsi” (= purificazione) non è proprio una novità, giacché esso è già proposto da
Aristotele (Poetica) in relazione alla visione delle rappresentazioni tragiche, tramite cui lo spettatore,
divenendo cosciente dei propri drammi, potrebbe affrontarli razionalmente e dominarli. D’altra parte lo
stesso rito della confessione praticato dalla chiesa cattolica è in stretto rapporto con questo concetto.
3
Interpretare un sogno è un po’ come risolvere un rebus, anche se in questo caso la
soluzione può non essere definitiva: Freud ammette che esiste sempre qualche elemento (una
sorta di “ombelico del sogno”) che non si lascia ridurre ad elementi razionalmente
comprensibili5, pur mostrandosi abbastanza ottimista sulla possibilità di mettere in luce, con
questa tecnica, gran parte delle problematiche inconsce che stanno alla base delle nevrosi.
Un altro notevole strumento d’indagine è rappresentato dalla “psicopatologia della
vita quotidiana”, ossia dall’esame e dall’interpretazione di certe disfunzioni psichiche, di
solito considerate di secondaria importanza, quali amnesie, atti mancati, lapsus etc. che
costituirebbero, in effetti, un altro modo in cui l’inconscio, il rimosso, affiorano nella sfera
della consapevolezza. Si tratta, anche in questo caso, di “messaggi da decodificare”: l’atto
mancato non esprimerebbe, da questo punto di vista, un semplice errore, un’insuccesso
comportamentale dovuto al caso, ma sarebbe la manifestazione di una precisa situazione di
conflitto interno. Una volta chiarito nel suo significato effettivo, l’atto mancato risulta in
effetti un atto riuscito anche troppo bene6.
D) Il sostanziale dualismo tra coscienza ed inconscio che emerge nella visione freudiana
non può comunque ridursi alla semplice contesa “simmetrica” tra desideri (o pulsioni) di
natura inconscia ed una forza, più o meno cosciente, che eserciterebbe su di essi un’attività di
censura. Ferma restando quest’ultima attività, il fatto essenziale è che si ha qui a che fare,
anzitutto, con due sistemi (coscienza / inconscio) organizzati secondo leggi diverse; per cui
accanto ai contenuti semplicemente “rimossi” va individuata un’area (probabilmente assai più
vasta) che può prendere il nome di “inconscio non rimosso”, e che costituirebbe la stessa
struttura di base della psiche umana.
I principi che guidano l’attività di quest’area sarebbero essenzialmente diversi da
quelli propri della vita cosciente: dopo aver indicato già nella sua Interpretazione dei sogni
(1900) alcuni di questi principi, Freud individua nell’opera: L’Inconscio (1915) le seguenti
cinque caratteristiche speciali del Sistema inconscio:
1) Assenza di mutua contraddizione tra impulsi opposti (che l’autore sembra
identificare con l’assenza di negazione: l’inconscio conoscerebbe cioè solo impulsi
“positivi”). A questo proposito, Freud ribadirà anche in seguito (v. Lezioni introduttive alla
psicoanalisi- II Serie, 1932) che i meccanismi psichici dell’Es (v. più avanti) sono estranei al
principio di [non] contraddizione.
5
Su questo aspetto insisterà particolarmente Jung, giungendo a sostenere che certi elementi del
sogno non sono necessariamente da “interpretare”, da ricondurre e ridurre ad un contenuto “rimosso”,
ma vanno assunti direttamente, come immagini dinamiche di per sé espressive della realtà psichica in
sviluppo.
6
Questo tema sarà sviluppato in modo particolarmente approfondito da Sartre, che vede nel
comportamento individuale sempre il frutto di un preciso “progetto esistenziale” in cui si attua la vera
soggettività umana. Anche ogni fallimento nella sfera pratica va inteso in funzione di tale progetto, il cui
carattere “inconscio” consiste dunque esclusivamente in un atteggiamento di malafede (un voler
ignorare che certi comportamenti dell’uomo sono in realtà il modo in cui egli organizza la ricerca di
un’identità sociale, e la propria fuga dalla libertà = angoscia). L’inconscio è dunque, per Sartre, un
“mistero in piena luce”, e la dottrina psicoanalitica, tendendo a “deresponsabilizzare” il soggetto umano
(cioè “oggettivando” l’inconscio stesso), risulta espressione dello “spirito di serietà”, cioè proprio del
meccanismo della malafede.
4
2) Spostamento: il meccanismo tipico della proiezione, per cui cariche emotive
possono essere trasferite da un’elemento ad un altro.
3) Condensazione: riferimento di cariche emotive o immagini simboliche diverse ad
uno stesso oggetto. I caratteri 2 e 3 costituirebbero i tratti distintivi del processo primario
(basato sul principio di piacere) proprio dell’organizzazione originaria dell’apparato biopsicologico, cui si contrappone il processo secondario (basato sul principio di realtà),
specifico della vita cosciente.
4) A-temporalità: l’inconscio non rispetterebbe, da un lato, l’ordine cronologico e
dall’altro non subirebbe gli effetti del tempo (permanenza inalterata dei suoi contenuti).
5) Sostituzione della realtà esterna con quella psichica (o “interpretazione letterale
della metafora”): sovrapposizione del “principio di piacere” al “principio di realtà”.
Lo statuto del Sistema inconscio costituisce certamente uno dei punti chiave (nonché
dei più discussi) dell’intera dottrina psicoanalitica: accanto alle posizioni di quanti ritengono
di poter senz’altro attribuire a tale sistema i caratteri di “irrazionalità” o “illogicità”, troviamo
interpretazioni che preferiscono cogliere nell’inconscio freudiano le leggi di una logica
diversa da quella cosciente (e corrente).
Ad esempio, lo psicoanalista cileno Ignacio Matte Blanco ritiene possibile definire i
meccanismi inconsci tramite una struttura di insiemi infiniti cantoriani e prospetta (pur nella
consaputa difficoltà di “tradurre” in termini scientifici l’essenziale Alterità dell’inconscio)
l’unificazione organica delle cinque caratteristiche indicate da Freud, che sembrerebbero a
prima vista indipendenti tra di loro. Va aggiunto che, secondo Matte Blanco, l’autentica e
rivoluzionaria scoperta di Freud non consiste tanto nell’individuazione di uno psichismo
inconscio (del resto già noto), quanto nell’aver portato alla luce un diverso “modo d’essere”.
Una volta “smascherati” i meccanismi della rimozione e svelate le leggi della vita
psichica inconscia, viene in luce, secondo Freud l’assoluta centralità della sfera sessuale nel
comportamento e nelle motivazioni umane: la sessualità va intesa in senso lato, come libido ,
cioè come energia dell’organismo vivente volta al conseguimento del piacere. Tale energia
tende a localizzarsi, nelle diverse età della vita, in particolari “zone erogene” in base alle
quali si strutturano i desideri dell’individuo ed il suo rapporto con gli altri. La libido si orienta,
cioè, sia verso l’interno (secondo un modello “narcisistico” il cui caso limite è l’autismo
completo), sia verso l’esterno, facendo dell’altro l’oggetto privilegiato del desiderio. In questo
senso, il primo e fondamentale oggetto esterno di desiderio per il bambino è la figura materna,
e tale situazione induce pressoché regolarmente nei maschi un sentimento di gelosia ed ostilità
nei confronti del padre7, che viene peraltro rimosso per la sua carica distruttiva ed angosciosa:
questa situazione prende il nome di “complesso di Edipo”, e costituisce uno degli elementi più
noti e discussi della dottrina freudiana.
La situazione sopra descritta non è determinante solo nella vita dell’individuo, ma ha
per Freud un ruolo essenziale anche nello sviluppo iniziale della società, dove (come si può
osservare per certe comunità “primitive”) l’aggressività verso la figura del padre verrebbe
espressa regolarmente in immagini mitiche (v. lotte con mostri o divinità) ovvero in rituali
“totemici” legati al rapporto di ambivalenza verso un particolare animale, al contempo
sacrificato ed onorato.
7
Per le bambine la situazione sarebbe alquanto più complessa ed ambigua, esistendo in questo
caso, accanto al desiderio per la madre, anche un’attrazione per il genitore del sesso opposto. Si è
anche parlato di “complesso di Elettra”.
5
Anche nella nostra collettività civile, la figura paterna è stata tradotta soprattutto in
immagini religiose e morali: l’uomo civilizzato ha accettato di sottomettersi ad una autorità,
rinunciando ai suoi istinti aggressivi e distruttivi, ossia ha fatto del “padre” un mondo di valori
assoluti e vincolanti. Lo sbocco di queste tesi è pessimistico: fondando la civiltà l’uomo perde
qualcosa di irrecuperabile, e la sua scelta di vivere nel rispetto delle regole e dei valori sociali
è soltanto il “male minore”8.
Tornando alla terapia delle nevrosi, Freud si mostra convinto che le dinamiche
psichiche che caratterizzano i primi anni di vita del bambino siano fondamentali per il
successivo comportamento da adulto: a rigore, ogni azione e desiderio nella vita matura
sarebbero strutturati secondo gli schemi costruiti nell’infanzia. In base al sopra indicato
carattere atemporale dell’inconscio freudiano, strutture e meccanismi inconsci sembrano
pressoché indipendenti dalla vita attuale dell’individuo: forme “cristallizzate” della psiche
(instauratesi come si è visto nei primi anni o addirittura nei primi mesi di vita) che
condizionano totalmente ogni successiva scelta ed atteggiamento.
L’uomo cioè (ed in particolare il nevrotico) vive il presente alla luce del passato,
proietta sulle figure e situazioni del presente immagini della propria infanzia, instaurando
dunque sempre un rapporto illusorio, inautentico con chi lo circonda. La stessa terapia
analitica deve allora avvenire lavorando sul passato, riportandolo alla coscienza attraverso
l’interpretazione di comportamenti in apparenza motivati solo da situazioni presenti.
E)
In relazione a questo modello psicologico, un problema fondamentale riguarda il modo
corretto d’intendere i rapporti tra coscienza ed inconscio: in effetti, in certe parti della sua
opera, Freud sembra considerare la psiche come teatro di lotta tra forze contrapposte,
relativamente indipendenti tra di loro. Ad un primo modello “statico” che descriveva la psiche
come distinta in zone (conscio, preconscio, inconscio), a partire dal 1920 si sovrappone, ed in
parte si sostituisce, un secondo modello “dinamico” (“seconda topica”) che vede la psiche
stessa articolata secondo istanze diverse (Io, Super-io, Es).
L’Es è il substrato impulsivo, istintuale dell’uomo, la dimensione più profonda del
vivente, di cui ogni altro aspetto può considerarsi un prodotto o, una manifestazione di
superficie. Il Super-io costituisce invece l’apparato morale e comportamentale posto a difesa
della società (vedi l’immagine paterna di cui sopra), che, introiettato dall’individuo, avrebbe il
compito di arginare l’energia “irrazionale” ed imprevedibile dell’Es.
In questo quadro l’Io (ossia la consapevole identità sociale, prodotta nel corso dello
sviluppo dell’individuo dallo stesso processo di adattamento all’ambiente) appare, come
rileva Freud stesso, una sorta di “servitore di tre padroni”, costantemente in bilico tra le
richieste della sfera istintuale e quelle della sfera morale, nonché quelle della realtà esterna: il
[relativo] successo dell’Io in questo difficile compito distingue la personalità “sana” e
adattata, mentre uno squilibrio nel medesimo determina la personalità “nevrotica”. Esiste poi
anche la possibilità, per l’Io, di venir travolto dalle sottostanti forze pulsionali, nel qual caso si
sviluppa ciò che chiamiamo “psicosi”.
8
Le analogie con le tesi di Feuerbach o di Nietzsche sono qui evidenti: si può addirittura tracciare
un parallelo tra la “Genealogia della morale” di quest’ultimo e il “Disagio della civiltà” di Freud (anche
se lo sbocco di quest’ultima opera sembra essere proprio la rassegnazione alla società
contemporanea ed alle sue leggi). Comunque i punti di contatto della psicoanalisi con Nietzsche vanno
ben al di là di questo tema, come vedremo tra poco.
6
Ma, appunto, il problema essenziale è se Freud concepisca veramente queste tre
“istanze” come forze reali, in qualche modo indipendenti e nemiche tra di loro: in più di un
caso egli mostra la convinzione che il soggetto effettivo, il solo vero elemento dinamico della
psiche sia l’Es, l’Inconscio inteso appunto come energia vitale primaria, fondamento di ogni
“soggettività”. Ma, stando così le cose, che cosa resta del “ruolo dell’Io” nella vita quotidiana,
e nello stesso processo terapeutico?
Le interpretazioni del pensiero di Freud e le conseguenti risposte a quest’ultima
domanda sono state diverse: la cosiddetta “psicologia dell’Io” (di cui ha fatto parte la stessa
figlia di Freud, Anna) ha accentuato il ruolo dell’istanza cosciente e razionale, facendone
anzi, spesso, il centro e l’ambito privilegiato della terapia. Dall’altro canto, psicoanalisti come
il francese Jacques Lacan hanno inteso l’Io come semplice figura virtuale , produzione
“sovrastrutturale”, di modo che, se di scontro si deve parlare, questo avviene tra livelli
interpretativi di diversa profondità del Linguaggio dell’Inconscio, piuttosto che tra reali
istanze contrapposte.
Il compito della “terapia” analitica non può essere allora quello di “arginare”
l’inconscio o “scalzarlo” dalla sua sede, e neanche di mettere un tampone sulla ferita o di
aggiustare un meccanismo guasto: si tratta solo di comprendere il senso dei messaggi che
dall’inconscio di continuo provengono; o meglio ancora di recuperare il senso della centralità
del luogo in cui la “cosa”, l’Altro-dall’Io, parla.
Il problema è che, dopo Nietzsche, viene meno la stessa immagine del “centro” (intesa
almeno come struttura ontologicamente stabile): da dove proviene dunque il “messaggio”?
Che senso ha la sua “comprensione” se ogni interpretazione è provvisoria, se non è mai
scoperta ma piuttosto invenzione di significati? La “verità” che parla dal fondo è, anzitutto, un
enigma, né l’uomo, in quanto soggetto “cosciente” e “razionale” può esser considerato il
protagonista della sua soluzione.
Le tesi di Lacan riportano la psicoanalisi verso le sue radici nicciane: in effetti, anche
al di là degli espliciti riferimenti di Freud al pensiero di Nietzsche (da cui egli riprende lo
stesso termine “Es”), è certo che quel pensiero rappresenta la voce di un’intera epoca,
visibilmente o invisibilmente presente in quasi tutti gli sviluppi più significativi della cultura
europea tra Ottocento e Novecento.
Modelli “dualistici” o anche “pluralistici” della psiche sono apparsi in ogni età storica
(a partire dalla suddivisione platonica dell’anima umana), ed il tema delle “personalità
multiple” è stato affrontato anche dalla grande letteratura contemporanea (si pensi a Poe,
Stevenson o, nel secolo XX, a Pirandello). Anche lo psicologo francese Janet, più o meno
contemporaneo di Freud, concepiva l’unità psichica come un complesso a volte
contraddittorio di “tendenze gerarchizzate”, di cui possono far parte anche certi “frammenti
scissi” che non riescono ad integrarsi col resto della personalità; ma quale interpretazione può
dare la cultura odierna di questa “scomposizione”, disintegrazione del soggetto umano?
Nel pensiero maturo di Nietzsche (che pure aveva formulato un modello dualistico,
tramite le figure di Dioniso ed Apollo, nella Nascita della tragedia) ogni rapporto e conflitto
non può avvenire, come per Schopenhauer, che tra maschere; la psiche si articola in figure
virtuali, alla cui base sta un unico flusso di energia vitale, assolutamente irriducibile alle sue
produzioni “di superficie”. Ma questa unità non ha niente a che vedere con quella del soggetto
cosciente dell’antropologia occidentale: quel soggetto è, esso stesso, una maschera, non più
reale dei fantasmi che si agitano al di sotto della superficie costituita dal buonsenso
quotidiano.
7
Al più, e sempre in termini problematici, si delinea un compito di integrazione
dell’uomo9, cioè, essenzialmente, di un ritorno alle radici profonde da cui il molteplice
disgregato della psiche prende da sempre le mosse. Ma in questo tipo di “integrazione” la
razionalità dell’Occidente ha un compito del tutto secondario; il linguaggio della poesia, e
persino della follia hanno ben più cose da dire.
E’ riconducibile il pensiero di Freud a quest’ambito filosofico? Se accettiamo la tesi di
Lou Andreas Salomè (amica di Nietzsche e in seguito allieva di Freud) la psicoanalisi
potrebbe costituire una vera e propria via all’avvento del Super-Uomo, essendo appunto la
terapia analitica uno strumento che può mettere l’uomo in grado di attingere la propria sfera
pulsionale, integrandosi ad essa e liberandosi così, almeno interiormente, da ogni costrizione
morale e sociale. Probabilmente le cose non sono così semplici, e tuttavia almeno certi
sviluppi (o pretese di sviluppo) della psicoanalisi contemporanea tendono a riproporre un
modello del genere.
Per quanto riguarda Freud si può almeno dubitare che egli abbia inteso allontanarsi
tanto radicalmente dagli schemi della cultura scientifica corrente (che, non si dimentichi, era
ancora fortemente permeata di “realismo” e meccanicismo): in più di un’occasione il
fondatore della psicoanalisi presenta la sua teoria, non come il puro rifiuto dell’ottica
prevalente nelle discipline biologiche e mediche del proprio tempo, ma piuttosto come una
necessaria ricerca di frontiera in settori in cui, al momento, queste ultime non possono ancora
far piena luce. Egli non esclude mai, in prospettiva, la possibilità di un riavvicinamento tra la
sua ricerca e la scienza “ufficiale”.
E tuttavia, mettendo tra parentesi (se pure all’inizio solo per motivi metodologici) ogni
abituale riferimento a lesioni ed alterazioni organiche tipico dell’eziologia psichiatrica
tradizionale, Freud si muove lungo la strada della crisi delle certezze scientifiche, cioè sulla
strada, ben individuata da Weber, percorsa dalla cultura scientifica contemporanea (pur se non
ancora consapevolmente riconosciuta da tutte le sue componenti). In una celebre lettera ad
Einstein, del resto, proprio Freud afferma che qualunque scienza deve, prima o poi “arrenarsi
nella mitologia”.
F)
Certi spunti “anti-meccanicistici” della dottrina freudiana (che come si è visto ne
consentono un collegamento non artificioso al pensiero di Nietzsche) vengono sviluppati
soprattutto dal maggiore allievo di Freud, lo svizzero C. G. Jung: la riduzione delle “istanze
in conflitto” a figure “mitiche”, produzioni di un sottostante processo dinamico, di per sé
irriducibile a schemi fissi, permette a Jung di accentuare il distacco tra la psicologia del
profondo ed i residui “deterministici” delle scienze fisiche dell’Ottocento e Novecento.
Lo stesso Freud, nelle sue ultime opere, forse anche per influenza di Jung, aveva
prospettato un possibile sbocco “monistico” del proprio pensiero, riconducendo la libido non
più alla semplice pulsionalità “erotica”, ma anche all’esigenza di autoconservazione
dell’individuo (attribuita sinora essenzialmente all’Io): la libido stessa poteva dunque apparire
come il fondamento comune di tutti i fenomeni psichici. Nello stesso tempo, tuttavia, egli
aveva riproposto un nuovo modello “dualistico” della psiche, individuando in una nuova
coppia di pulsioni contrapposte la radice del conflitto psichico.
9
Certo questo compito ha qualcosa in comune anche con quello proposto da Fichte (recupero del
Non-io), ma nel pensiero di Nietzsche si ha a che fare con una costruzione del tutto aperta, senza
garanzie metafisiche e razionali:la pura invenzione del senso della vita.
8
All’impulso vitale (Eros) si contrapporrebbe cioè un impulso distruttivo (Thanatos) la
cui energia può anche essere diretta all’interno del soggetto. Anche in questo caso Freud
riconosce che la propria dottrina è suscettibile di sviluppi, e lascia persino aperta la possibilità
che queste due pulsioni possano infine rivelarsi come aspetti complementari, poli di una stessa
realtà di base: e tuttavia egli continua a rifiutare il radicale “monismo” junghiano, forse
individuandone sbocchi di tipo “irrazionale”.
In effetti Jung tende ad eliminare ogni assunto schematicamente “deterministico” dalla
dottrina psicoanalitica, per ricondurre ogni evento psichico alla pura libertà del divenire, alla
continua creatività della forza vitale che si attua anzitutto nell’uomo10. Certamente egli
introduce nella sua descrizione della psiche umana tutta una serie di strutture e di tipi, ed anzi
si spinge ad analizzare certe figure ricorrenti della fantasia individuale e collettiva
(“archetipi”) che costituirebbero il retaggio comune della stirpe umana: ma si tratta
essenzialmente di modelli dinamici, legati alla storia dell’umanità e dunque “a priori” soltanto
dal punto di vista dell’individuo (cfr. le teorie di Spencer).
Anche secondo Jung il superamento del disturbo psichico dev’essere rappresentato
dall’integrazione tra la coscienza e l’inconscio, e tuttavia, come accade in Nietzsche, ogni
progetto è a sua volta in continuo sviluppo, mai lasciandosi ridurre a schemi precostituiti.
Tanto meno dunque si tratta di “tagliare via” qualcosa dalla vita emotiva dell’individuo, ma
piuttosto quest’ultimo deve “portarsi al di sopra” del problema, inserirlo in una più ampia
organizzazione della propria realtà: non vi sono elementi “positivi” e “negativi” in assoluto,
ma tutto può essere assunto, interpretato in un contesto più complesso, secondo linee di
tendenza che non sono scelte e tracciate dall’uomo, dal “soggetto cosciente”.
Quest’ultimo è piuttosto il veicolo di una forza sopra-individuale che si attua per suo
tramite: il primo compito della psicologia è allora svelare tale forza e lasciarla manifestare in
ogni suo aspetto: “lasciar essere”, “non fare”, più o meno secondo le indicazioni dell’antica
saggezza orientale, o anche secondo le tesi dell’ultimo Heidegger.
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Collegandosi in tal modo direttamente con la filosofia di H.Bergson. Va anche notato che Jung,
molto più di Freud, sembra disposto a riconoscere il debito della propria teoria nei confronti di
Nietzsche.
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