Psicoanalisi e Inconscio A) Termini come “psicologia del profondo”, “psichiatria dinamica”, “analisi dell’inconscio” indicano un campo di ricerche vasto ed eterogeneo, già indiscutibilmente aperto molto tempo prima della comparsa delle teorie freudiane, della cui validità, comunque, non sempre la cultura scientifica contemporanea si è mostrata troppo convinta1. La psicoanalisi sta un po’ a tutte queste ricerche, come il marxismo al precedente pensiero socialista: le dottrine messe a punto da Freud e dai suoi allievi hanno in qualche modo unificato in un settore abbastanza definito (pur nella varietà d’impostazione delle maggiori scuole) un insieme estremamente eterogeneo di teorie e proposte pratiche. Sicché, la perplessità che da sempre la scienza aveva mostrato per tali indirizzi si è rivolta soprattutto verso la psicoanalisi: è certo uno dei “paradossi” della cultura attuale il fatto (rilevato tra gli altri da Abbagnano e Fornero) che sulla validità teorica e sull’efficacia pratica di questa dottrina, così importante per la cultura del nostro secolo, ci sia tuttora il massimo disaccordo. La considerevole fioritura di ricerche sulla psicologia del profondo, a partire soprattutto dalla seconda metà dell’Ottocento, rappresenta un aspetto non secondario della crisi del modello scientifico proposto dall’illuminismo (e per certi versi dal primo positivismo): tale modello era legato ancora ad una visione “deterministica” e “meccanicistica” della realtà, psiche umana compresa, ed al conseguente progetto di pervenire, se non a una spiegazione complessiva, totalizzante, della realtà stessa, almeno ad una sua descrizione in termini di leggi precise, indiscutibili e razionalmente comprensibili2. In questo senso è il concetto stesso di “inconscio”, ossia di un processo psichico non immediatamente accessibile alla coscienza - e dunque estraneo al razionalismo (o all’intellettualismo) propri della cultura occidentale3 - a mettere in discussione il progetto di cui si diceva sopra: come ben rileva lo stesso Freud nell’ultimo capitolo della sua Interpretazione dei sogni, l’inconscio non costituisce solo un problema, ma addirittura il problema della psicologia in quanto scienza. Del resto, come già prima si accennava, non si tratta di un concetto del tutto recente: a parte la discutibilità di certi troppo facili e sommari accostamenti tra la figura dell’analista freudiano o junghiano e quella del guaritore-sciamano propria di culture (antiche e moderne) diverse da quella ufficiale delle società europee, è innegabile che alcuni elementi della teoria e della prassi psicoanalitiche sono formalmente affini, o comunque rimandano in qualche modo a quelli presenti nei rituali magico-simbolici di tali culture. 1 Si veda p. es. il giudizio già espresso da Comte, per cui la psicologia in generale non ha statuto di scienza, in quanto riguarda essenzialmente un ambito privato, non direttamente osservabile e traducibile in conoscenza collettiva. 2 La scienza del nostro secolo, liberandosi da un lato di queste antiche pretese, ancora legate ad una visione “epistemica” della conoscenza, non per questo accetterà senz’altro i modelli di tipo psicoanalitico, spesso considerati a loro volta come residui del vecchio dogmatismo metafisico, data la loro non-verificabilità (o falsificabilità) nel quadro di una costruzione “pubblica” del sapere (si veda, fra tutte, la posizione di K. Popper). 3 Non va comunque trascurata l’importanza di varie anticipazioni, in campo filosofico, del moderno concetto di “inconscio” : anche senza volersi spingere indietro fino alla dottrina platonica della reminiscenza o al pitagorismo, è certo che nella dottrina di Leibniz l’osservazione e l’interpretazione di fenomeni psichici al di sotto della soglia di coscienza ha un ruolo fondamentale. Herbart, che si rifà per molti versi a Leibniz, è poi da considerare come uno dei più diretti anticipatori della moderna psicologia del profondo. Da millenni i rituali magici d’Oriente e d’Occidente si basano sul convincimento che certi processi invisibili possano determinare la salute o la malattia (fisica e psichica) di un individuo; sia in forma di influssi tra persone diverse, sia come attivazione di meccanismi interiori al corpo ed alla psiche individuali di cui, peraltro, il diretto interessato può restare del tutto inconsapevole. Questi meccanismi sono poi intesi da tali culture come espressione di forze divine o demoniache che, in qualche modo, farebbero dell’uomo il teatro del loro scontro: nella tradizione cristiana ha avuto importanza non secondaria la pratica (tuttora esistente) dell’esorcismo, ossia della liberazione, per intervento di un ministro della chiesa, di un uomo “posseduto” da forze demoniache. Si può dire anzi che per molti secoli i confini tra la “malattia mentale” e la possessione demoniaca (o, per converso, l’ispirazione divina) siano stati, nella nostra cultura, assai labili se non del tutto indefiniti. B) E’ soprattutto sulla scia del rinnovamento illuministico che, nella seconda metà del Settecento, la psicoterapia comincia ad affrancarsi dalla cultura religiosa: il medico tedesco F. Mesmer (n. 1734) prende ad esempio le distanze dalla pratica esorcistica, sostenendo l’origine “naturale” dei disturbi psichici. Questo anche se la sua teoria del “magnetismo animale”, che presuppone l’esistenza di un “fluido cosmico” attuantesi in ogni essere vivente, non è molto lontana dalla cultura alchimistica del Rinascimento, o addirittura da certi aspetti della saggezza orientale. Il grande sviluppo della scienza e della tecnica tra Settecento ed Ottocento tende successivamente ad indirizzare le ricerche psicologiche verso un modello sperimentale, affine a quello delle scienze fisiche, con l’abbandono di certi residui di matrice magico-religiosa (secondo il modello proposto tra gli altri da Comte). E tuttavia questa velocissima affermazione della cultura scientifico-tecnologica non va esente da problemi: proprio perché le grandi certezze del passato vanno così rapidamente tramontando a beneficio dell’organizzazione pratica della civiltà, quest’ultima non può non avvertire il “disagio” che accompagna la perdita di punti di riferimento finora considerati assoluti, specie quando si tratta di teorizzare ed operare sulla stessa realtà umana. La scienza non è in grado di dare tutte le risposte (come invece cercano di fare da secoli religione e filosofia) ed è allora inevitabile un serrato confronto tra la nuova e la vecchia organizzazione del sapere, in cui non è sempre agevole riportare all’una o all’altra i vari elementi che vengono alla luce, soprattutto perché la stessa cultura scientifica resta ancora a lungo, ambiguamente, legata alla pretesa di costituirsi come la vera, oggettiva descrizione del mondo. La dottrina psicoanalitica è probabilmente una delle principali espressioni di questo conflitto: che in essa i problemi superino di gran lunga le certezze non è dunque cosa che dovrebbe stupire. Uno dei maggiori contributi al superamento della tesi del “magnetismo animale” è rappresentato dall’opera del neurologo francese J. M. Charcot (n. 1825) il quale mette a punto la tecnica dell’ipnosi, ossia di un procedimento non già legato a misteriosi flussi cosmici, ma alla suggestione che il medico può esercitare sul paziente, influendo sulla sua psiche al di sotto della soglia cosciente. Il metodo di Charcot sembrava dare interessanti risultati soprattutto nella cura delle nevrosi di tipo isterico. 2 J. Breuer, medico viennese di cui Freud fu all’inizio collaboratore, applicò ancora la terapia ipnotica, ma individuando la sua efficacia non tanto nella suggestione, quanto nel processo catartico che tale tecnica poteva produrre nel paziente. Si trattava cioè di rendere accessibili a quest’ultimo, sotto l’influsso ipnotico, certi ricordi spiacevoli, altrimenti dimenticati, rivivendo i quali egli era in grado di liberarsene, “scaricando” in tale esperienza ogni tensione accumulata inconsciamente in proposito4. C) Dopo aver praticato la terapia tramite ipnosi insieme a Breuer, Freud sviluppò la convinzione che tale tecnica fosse sostanzialmente accessoria rispetto all’effettivo meccanismo che innescava il processo “catartico”: il nodo essenziale della terapia era proprio il conflitto inconscio, la persistenza di elementi psichici (ricordi e soprattutto desideri) rimossi dalla sfera cosciente del nevrotico, al riconoscimento dei quali altre vie potevano condurre con maggiore efficacia. In ogni caso il paziente appare ormai come il vero protagonista della terapia: egli non deve limitarsi a subire l’influsso e la suggestione del medico (come accadeva nel metodo di Charcot), o a seguire con atteggiamento sostanzialmente passivo il “meccanismo catartico” innescato dall’ipnosi: egli deve invece operare direttamente un riequilibro della propria psiche. Il medico stesso è allora una specie di “supporto” o anche di “specchio” usato dal paziente per portare alla luce e “visualizzare” i propri problemi rimossi. La psichiatria dinamica si configura qui, oltre e più che come interazione tra individui, come interazione tra due differenti livelli della psiche, su entrambi i quali si attua lo stesso rapporto terapeutico: il medico, pur mantenendo il ruolo di osservatore distaccato, pur senza lasciarsi cioè coinvolgere nella vita emotiva del paziente, deve, in certo modo, mettere la propria persona a disposizione di quest’ultimo, lasciare che egli instauri con lui, inconsciamente, un certo rapporto affettivo, analizzando il quale potranno venire alla luce proprio quei meccanismi che, invisibili, condizionano la vita del paziente stesso. Il medico deve, per così dire, calarsi a sua volta nel proprio inconscio, instaurando un dialogo con il suo assistito anche e soprattutto su quel livello; ed è chiaro che, perché ciò avvenga senza ulteriori complicazioni, egli dovrà essere il più possibile padrone del terreno, il più possibile libero da conflitti e desideri inconsci. In breve, lo psicoanalista, per condurre la terapia in maniera ottimale, dovrebbe a sua volta essersi sottoposto a trattamento psicoanalitico: essendo il primo ad aver messo a punto il metodo, Freud condusse per anni, molto scrupolosamente e regolarmente, la propria autoanalisi. L’analisi del contenuto rimosso avviene attraverso una serie di strumenti privilegiati, primo tra tutti l’interpretazione dei sogni: questi ultimi costituirebbero infatti dei veri e propri canali attraverso i quali l’inconscio arriverebbe a manifestarsi a livello cosciente, sia pure in modo oscuro e distorto. Si tratta dunque, da parte dell’analista, di saper riconoscere, attraverso il mascheramento onirico, quegli elementi pulsionali ed emotivi che il paziente non è in grado di affrontare consapevolmente. 4 Il concetto di “catarsi” (= purificazione) non è proprio una novità, giacché esso è già proposto da Aristotele (Poetica) in relazione alla visione delle rappresentazioni tragiche, tramite cui lo spettatore, divenendo cosciente dei propri drammi, potrebbe affrontarli razionalmente e dominarli. D’altra parte lo stesso rito della confessione praticato dalla chiesa cattolica è in stretto rapporto con questo concetto. 3 Interpretare un sogno è un po’ come risolvere un rebus, anche se in questo caso la soluzione può non essere definitiva: Freud ammette che esiste sempre qualche elemento (una sorta di “ombelico del sogno”) che non si lascia ridurre ad elementi razionalmente comprensibili5, pur mostrandosi abbastanza ottimista sulla possibilità di mettere in luce, con questa tecnica, gran parte delle problematiche inconsce che stanno alla base delle nevrosi. Un altro notevole strumento d’indagine è rappresentato dalla “psicopatologia della vita quotidiana”, ossia dall’esame e dall’interpretazione di certe disfunzioni psichiche, di solito considerate di secondaria importanza, quali amnesie, atti mancati, lapsus etc. che costituirebbero, in effetti, un altro modo in cui l’inconscio, il rimosso, affiorano nella sfera della consapevolezza. Si tratta, anche in questo caso, di “messaggi da decodificare”: l’atto mancato non esprimerebbe, da questo punto di vista, un semplice errore, un’insuccesso comportamentale dovuto al caso, ma sarebbe la manifestazione di una precisa situazione di conflitto interno. Una volta chiarito nel suo significato effettivo, l’atto mancato risulta in effetti un atto riuscito anche troppo bene6. D) Il sostanziale dualismo tra coscienza ed inconscio che emerge nella visione freudiana non può comunque ridursi alla semplice contesa “simmetrica” tra desideri (o pulsioni) di natura inconscia ed una forza, più o meno cosciente, che eserciterebbe su di essi un’attività di censura. Ferma restando quest’ultima attività, il fatto essenziale è che si ha qui a che fare, anzitutto, con due sistemi (coscienza / inconscio) organizzati secondo leggi diverse; per cui accanto ai contenuti semplicemente “rimossi” va individuata un’area (probabilmente assai più vasta) che può prendere il nome di “inconscio non rimosso”, e che costituirebbe la stessa struttura di base della psiche umana. I principi che guidano l’attività di quest’area sarebbero essenzialmente diversi da quelli propri della vita cosciente: dopo aver indicato già nella sua Interpretazione dei sogni (1900) alcuni di questi principi, Freud individua nell’opera: L’Inconscio (1915) le seguenti cinque caratteristiche speciali del Sistema inconscio: 1) Assenza di mutua contraddizione tra impulsi opposti (che l’autore sembra identificare con l’assenza di negazione: l’inconscio conoscerebbe cioè solo impulsi “positivi”). A questo proposito, Freud ribadirà anche in seguito (v. Lezioni introduttive alla psicoanalisi- II Serie, 1932) che i meccanismi psichici dell’Es (v. più avanti) sono estranei al principio di [non] contraddizione. 5 Su questo aspetto insisterà particolarmente Jung, giungendo a sostenere che certi elementi del sogno non sono necessariamente da “interpretare”, da ricondurre e ridurre ad un contenuto “rimosso”, ma vanno assunti direttamente, come immagini dinamiche di per sé espressive della realtà psichica in sviluppo. 6 Questo tema sarà sviluppato in modo particolarmente approfondito da Sartre, che vede nel comportamento individuale sempre il frutto di un preciso “progetto esistenziale” in cui si attua la vera soggettività umana. Anche ogni fallimento nella sfera pratica va inteso in funzione di tale progetto, il cui carattere “inconscio” consiste dunque esclusivamente in un atteggiamento di malafede (un voler ignorare che certi comportamenti dell’uomo sono in realtà il modo in cui egli organizza la ricerca di un’identità sociale, e la propria fuga dalla libertà = angoscia). L’inconscio è dunque, per Sartre, un “mistero in piena luce”, e la dottrina psicoanalitica, tendendo a “deresponsabilizzare” il soggetto umano (cioè “oggettivando” l’inconscio stesso), risulta espressione dello “spirito di serietà”, cioè proprio del meccanismo della malafede. 4 2) Spostamento: il meccanismo tipico della proiezione, per cui cariche emotive possono essere trasferite da un’elemento ad un altro. 3) Condensazione: riferimento di cariche emotive o immagini simboliche diverse ad uno stesso oggetto. I caratteri 2 e 3 costituirebbero i tratti distintivi del processo primario (basato sul principio di piacere) proprio dell’organizzazione originaria dell’apparato biopsicologico, cui si contrappone il processo secondario (basato sul principio di realtà), specifico della vita cosciente. 4) A-temporalità: l’inconscio non rispetterebbe, da un lato, l’ordine cronologico e dall’altro non subirebbe gli effetti del tempo (permanenza inalterata dei suoi contenuti). 5) Sostituzione della realtà esterna con quella psichica (o “interpretazione letterale della metafora”): sovrapposizione del “principio di piacere” al “principio di realtà”. Lo statuto del Sistema inconscio costituisce certamente uno dei punti chiave (nonché dei più discussi) dell’intera dottrina psicoanalitica: accanto alle posizioni di quanti ritengono di poter senz’altro attribuire a tale sistema i caratteri di “irrazionalità” o “illogicità”, troviamo interpretazioni che preferiscono cogliere nell’inconscio freudiano le leggi di una logica diversa da quella cosciente (e corrente). Ad esempio, lo psicoanalista cileno Ignacio Matte Blanco ritiene possibile definire i meccanismi inconsci tramite una struttura di insiemi infiniti cantoriani e prospetta (pur nella consaputa difficoltà di “tradurre” in termini scientifici l’essenziale Alterità dell’inconscio) l’unificazione organica delle cinque caratteristiche indicate da Freud, che sembrerebbero a prima vista indipendenti tra di loro. Va aggiunto che, secondo Matte Blanco, l’autentica e rivoluzionaria scoperta di Freud non consiste tanto nell’individuazione di uno psichismo inconscio (del resto già noto), quanto nell’aver portato alla luce un diverso “modo d’essere”. Una volta “smascherati” i meccanismi della rimozione e svelate le leggi della vita psichica inconscia, viene in luce, secondo Freud l’assoluta centralità della sfera sessuale nel comportamento e nelle motivazioni umane: la sessualità va intesa in senso lato, come libido , cioè come energia dell’organismo vivente volta al conseguimento del piacere. Tale energia tende a localizzarsi, nelle diverse età della vita, in particolari “zone erogene” in base alle quali si strutturano i desideri dell’individuo ed il suo rapporto con gli altri. La libido si orienta, cioè, sia verso l’interno (secondo un modello “narcisistico” il cui caso limite è l’autismo completo), sia verso l’esterno, facendo dell’altro l’oggetto privilegiato del desiderio. In questo senso, il primo e fondamentale oggetto esterno di desiderio per il bambino è la figura materna, e tale situazione induce pressoché regolarmente nei maschi un sentimento di gelosia ed ostilità nei confronti del padre7, che viene peraltro rimosso per la sua carica distruttiva ed angosciosa: questa situazione prende il nome di “complesso di Edipo”, e costituisce uno degli elementi più noti e discussi della dottrina freudiana. La situazione sopra descritta non è determinante solo nella vita dell’individuo, ma ha per Freud un ruolo essenziale anche nello sviluppo iniziale della società, dove (come si può osservare per certe comunità “primitive”) l’aggressività verso la figura del padre verrebbe espressa regolarmente in immagini mitiche (v. lotte con mostri o divinità) ovvero in rituali “totemici” legati al rapporto di ambivalenza verso un particolare animale, al contempo sacrificato ed onorato. 7 Per le bambine la situazione sarebbe alquanto più complessa ed ambigua, esistendo in questo caso, accanto al desiderio per la madre, anche un’attrazione per il genitore del sesso opposto. Si è anche parlato di “complesso di Elettra”. 5 Anche nella nostra collettività civile, la figura paterna è stata tradotta soprattutto in immagini religiose e morali: l’uomo civilizzato ha accettato di sottomettersi ad una autorità, rinunciando ai suoi istinti aggressivi e distruttivi, ossia ha fatto del “padre” un mondo di valori assoluti e vincolanti. Lo sbocco di queste tesi è pessimistico: fondando la civiltà l’uomo perde qualcosa di irrecuperabile, e la sua scelta di vivere nel rispetto delle regole e dei valori sociali è soltanto il “male minore”8. Tornando alla terapia delle nevrosi, Freud si mostra convinto che le dinamiche psichiche che caratterizzano i primi anni di vita del bambino siano fondamentali per il successivo comportamento da adulto: a rigore, ogni azione e desiderio nella vita matura sarebbero strutturati secondo gli schemi costruiti nell’infanzia. In base al sopra indicato carattere atemporale dell’inconscio freudiano, strutture e meccanismi inconsci sembrano pressoché indipendenti dalla vita attuale dell’individuo: forme “cristallizzate” della psiche (instauratesi come si è visto nei primi anni o addirittura nei primi mesi di vita) che condizionano totalmente ogni successiva scelta ed atteggiamento. L’uomo cioè (ed in particolare il nevrotico) vive il presente alla luce del passato, proietta sulle figure e situazioni del presente immagini della propria infanzia, instaurando dunque sempre un rapporto illusorio, inautentico con chi lo circonda. La stessa terapia analitica deve allora avvenire lavorando sul passato, riportandolo alla coscienza attraverso l’interpretazione di comportamenti in apparenza motivati solo da situazioni presenti. E) In relazione a questo modello psicologico, un problema fondamentale riguarda il modo corretto d’intendere i rapporti tra coscienza ed inconscio: in effetti, in certe parti della sua opera, Freud sembra considerare la psiche come teatro di lotta tra forze contrapposte, relativamente indipendenti tra di loro. Ad un primo modello “statico” che descriveva la psiche come distinta in zone (conscio, preconscio, inconscio), a partire dal 1920 si sovrappone, ed in parte si sostituisce, un secondo modello “dinamico” (“seconda topica”) che vede la psiche stessa articolata secondo istanze diverse (Io, Super-io, Es). L’Es è il substrato impulsivo, istintuale dell’uomo, la dimensione più profonda del vivente, di cui ogni altro aspetto può considerarsi un prodotto o, una manifestazione di superficie. Il Super-io costituisce invece l’apparato morale e comportamentale posto a difesa della società (vedi l’immagine paterna di cui sopra), che, introiettato dall’individuo, avrebbe il compito di arginare l’energia “irrazionale” ed imprevedibile dell’Es. In questo quadro l’Io (ossia la consapevole identità sociale, prodotta nel corso dello sviluppo dell’individuo dallo stesso processo di adattamento all’ambiente) appare, come rileva Freud stesso, una sorta di “servitore di tre padroni”, costantemente in bilico tra le richieste della sfera istintuale e quelle della sfera morale, nonché quelle della realtà esterna: il [relativo] successo dell’Io in questo difficile compito distingue la personalità “sana” e adattata, mentre uno squilibrio nel medesimo determina la personalità “nevrotica”. Esiste poi anche la possibilità, per l’Io, di venir travolto dalle sottostanti forze pulsionali, nel qual caso si sviluppa ciò che chiamiamo “psicosi”. 8 Le analogie con le tesi di Feuerbach o di Nietzsche sono qui evidenti: si può addirittura tracciare un parallelo tra la “Genealogia della morale” di quest’ultimo e il “Disagio della civiltà” di Freud (anche se lo sbocco di quest’ultima opera sembra essere proprio la rassegnazione alla società contemporanea ed alle sue leggi). Comunque i punti di contatto della psicoanalisi con Nietzsche vanno ben al di là di questo tema, come vedremo tra poco. 6 Ma, appunto, il problema essenziale è se Freud concepisca veramente queste tre “istanze” come forze reali, in qualche modo indipendenti e nemiche tra di loro: in più di un caso egli mostra la convinzione che il soggetto effettivo, il solo vero elemento dinamico della psiche sia l’Es, l’Inconscio inteso appunto come energia vitale primaria, fondamento di ogni “soggettività”. Ma, stando così le cose, che cosa resta del “ruolo dell’Io” nella vita quotidiana, e nello stesso processo terapeutico? Le interpretazioni del pensiero di Freud e le conseguenti risposte a quest’ultima domanda sono state diverse: la cosiddetta “psicologia dell’Io” (di cui ha fatto parte la stessa figlia di Freud, Anna) ha accentuato il ruolo dell’istanza cosciente e razionale, facendone anzi, spesso, il centro e l’ambito privilegiato della terapia. Dall’altro canto, psicoanalisti come il francese Jacques Lacan hanno inteso l’Io come semplice figura virtuale , produzione “sovrastrutturale”, di modo che, se di scontro si deve parlare, questo avviene tra livelli interpretativi di diversa profondità del Linguaggio dell’Inconscio, piuttosto che tra reali istanze contrapposte. Il compito della “terapia” analitica non può essere allora quello di “arginare” l’inconscio o “scalzarlo” dalla sua sede, e neanche di mettere un tampone sulla ferita o di aggiustare un meccanismo guasto: si tratta solo di comprendere il senso dei messaggi che dall’inconscio di continuo provengono; o meglio ancora di recuperare il senso della centralità del luogo in cui la “cosa”, l’Altro-dall’Io, parla. Il problema è che, dopo Nietzsche, viene meno la stessa immagine del “centro” (intesa almeno come struttura ontologicamente stabile): da dove proviene dunque il “messaggio”? Che senso ha la sua “comprensione” se ogni interpretazione è provvisoria, se non è mai scoperta ma piuttosto invenzione di significati? La “verità” che parla dal fondo è, anzitutto, un enigma, né l’uomo, in quanto soggetto “cosciente” e “razionale” può esser considerato il protagonista della sua soluzione. Le tesi di Lacan riportano la psicoanalisi verso le sue radici nicciane: in effetti, anche al di là degli espliciti riferimenti di Freud al pensiero di Nietzsche (da cui egli riprende lo stesso termine “Es”), è certo che quel pensiero rappresenta la voce di un’intera epoca, visibilmente o invisibilmente presente in quasi tutti gli sviluppi più significativi della cultura europea tra Ottocento e Novecento. Modelli “dualistici” o anche “pluralistici” della psiche sono apparsi in ogni età storica (a partire dalla suddivisione platonica dell’anima umana), ed il tema delle “personalità multiple” è stato affrontato anche dalla grande letteratura contemporanea (si pensi a Poe, Stevenson o, nel secolo XX, a Pirandello). Anche lo psicologo francese Janet, più o meno contemporaneo di Freud, concepiva l’unità psichica come un complesso a volte contraddittorio di “tendenze gerarchizzate”, di cui possono far parte anche certi “frammenti scissi” che non riescono ad integrarsi col resto della personalità; ma quale interpretazione può dare la cultura odierna di questa “scomposizione”, disintegrazione del soggetto umano? Nel pensiero maturo di Nietzsche (che pure aveva formulato un modello dualistico, tramite le figure di Dioniso ed Apollo, nella Nascita della tragedia) ogni rapporto e conflitto non può avvenire, come per Schopenhauer, che tra maschere; la psiche si articola in figure virtuali, alla cui base sta un unico flusso di energia vitale, assolutamente irriducibile alle sue produzioni “di superficie”. Ma questa unità non ha niente a che vedere con quella del soggetto cosciente dell’antropologia occidentale: quel soggetto è, esso stesso, una maschera, non più reale dei fantasmi che si agitano al di sotto della superficie costituita dal buonsenso quotidiano. 7 Al più, e sempre in termini problematici, si delinea un compito di integrazione dell’uomo9, cioè, essenzialmente, di un ritorno alle radici profonde da cui il molteplice disgregato della psiche prende da sempre le mosse. Ma in questo tipo di “integrazione” la razionalità dell’Occidente ha un compito del tutto secondario; il linguaggio della poesia, e persino della follia hanno ben più cose da dire. E’ riconducibile il pensiero di Freud a quest’ambito filosofico? Se accettiamo la tesi di Lou Andreas Salomè (amica di Nietzsche e in seguito allieva di Freud) la psicoanalisi potrebbe costituire una vera e propria via all’avvento del Super-Uomo, essendo appunto la terapia analitica uno strumento che può mettere l’uomo in grado di attingere la propria sfera pulsionale, integrandosi ad essa e liberandosi così, almeno interiormente, da ogni costrizione morale e sociale. Probabilmente le cose non sono così semplici, e tuttavia almeno certi sviluppi (o pretese di sviluppo) della psicoanalisi contemporanea tendono a riproporre un modello del genere. Per quanto riguarda Freud si può almeno dubitare che egli abbia inteso allontanarsi tanto radicalmente dagli schemi della cultura scientifica corrente (che, non si dimentichi, era ancora fortemente permeata di “realismo” e meccanicismo): in più di un’occasione il fondatore della psicoanalisi presenta la sua teoria, non come il puro rifiuto dell’ottica prevalente nelle discipline biologiche e mediche del proprio tempo, ma piuttosto come una necessaria ricerca di frontiera in settori in cui, al momento, queste ultime non possono ancora far piena luce. Egli non esclude mai, in prospettiva, la possibilità di un riavvicinamento tra la sua ricerca e la scienza “ufficiale”. E tuttavia, mettendo tra parentesi (se pure all’inizio solo per motivi metodologici) ogni abituale riferimento a lesioni ed alterazioni organiche tipico dell’eziologia psichiatrica tradizionale, Freud si muove lungo la strada della crisi delle certezze scientifiche, cioè sulla strada, ben individuata da Weber, percorsa dalla cultura scientifica contemporanea (pur se non ancora consapevolmente riconosciuta da tutte le sue componenti). In una celebre lettera ad Einstein, del resto, proprio Freud afferma che qualunque scienza deve, prima o poi “arrenarsi nella mitologia”. F) Certi spunti “anti-meccanicistici” della dottrina freudiana (che come si è visto ne consentono un collegamento non artificioso al pensiero di Nietzsche) vengono sviluppati soprattutto dal maggiore allievo di Freud, lo svizzero C. G. Jung: la riduzione delle “istanze in conflitto” a figure “mitiche”, produzioni di un sottostante processo dinamico, di per sé irriducibile a schemi fissi, permette a Jung di accentuare il distacco tra la psicologia del profondo ed i residui “deterministici” delle scienze fisiche dell’Ottocento e Novecento. Lo stesso Freud, nelle sue ultime opere, forse anche per influenza di Jung, aveva prospettato un possibile sbocco “monistico” del proprio pensiero, riconducendo la libido non più alla semplice pulsionalità “erotica”, ma anche all’esigenza di autoconservazione dell’individuo (attribuita sinora essenzialmente all’Io): la libido stessa poteva dunque apparire come il fondamento comune di tutti i fenomeni psichici. Nello stesso tempo, tuttavia, egli aveva riproposto un nuovo modello “dualistico” della psiche, individuando in una nuova coppia di pulsioni contrapposte la radice del conflitto psichico. 9 Certo questo compito ha qualcosa in comune anche con quello proposto da Fichte (recupero del Non-io), ma nel pensiero di Nietzsche si ha a che fare con una costruzione del tutto aperta, senza garanzie metafisiche e razionali:la pura invenzione del senso della vita. 8 All’impulso vitale (Eros) si contrapporrebbe cioè un impulso distruttivo (Thanatos) la cui energia può anche essere diretta all’interno del soggetto. Anche in questo caso Freud riconosce che la propria dottrina è suscettibile di sviluppi, e lascia persino aperta la possibilità che queste due pulsioni possano infine rivelarsi come aspetti complementari, poli di una stessa realtà di base: e tuttavia egli continua a rifiutare il radicale “monismo” junghiano, forse individuandone sbocchi di tipo “irrazionale”. In effetti Jung tende ad eliminare ogni assunto schematicamente “deterministico” dalla dottrina psicoanalitica, per ricondurre ogni evento psichico alla pura libertà del divenire, alla continua creatività della forza vitale che si attua anzitutto nell’uomo10. Certamente egli introduce nella sua descrizione della psiche umana tutta una serie di strutture e di tipi, ed anzi si spinge ad analizzare certe figure ricorrenti della fantasia individuale e collettiva (“archetipi”) che costituirebbero il retaggio comune della stirpe umana: ma si tratta essenzialmente di modelli dinamici, legati alla storia dell’umanità e dunque “a priori” soltanto dal punto di vista dell’individuo (cfr. le teorie di Spencer). Anche secondo Jung il superamento del disturbo psichico dev’essere rappresentato dall’integrazione tra la coscienza e l’inconscio, e tuttavia, come accade in Nietzsche, ogni progetto è a sua volta in continuo sviluppo, mai lasciandosi ridurre a schemi precostituiti. Tanto meno dunque si tratta di “tagliare via” qualcosa dalla vita emotiva dell’individuo, ma piuttosto quest’ultimo deve “portarsi al di sopra” del problema, inserirlo in una più ampia organizzazione della propria realtà: non vi sono elementi “positivi” e “negativi” in assoluto, ma tutto può essere assunto, interpretato in un contesto più complesso, secondo linee di tendenza che non sono scelte e tracciate dall’uomo, dal “soggetto cosciente”. Quest’ultimo è piuttosto il veicolo di una forza sopra-individuale che si attua per suo tramite: il primo compito della psicologia è allora svelare tale forza e lasciarla manifestare in ogni suo aspetto: “lasciar essere”, “non fare”, più o meno secondo le indicazioni dell’antica saggezza orientale, o anche secondo le tesi dell’ultimo Heidegger. 10 Collegandosi in tal modo direttamente con la filosofia di H.Bergson. Va anche notato che Jung, molto più di Freud, sembra disposto a riconoscere il debito della propria teoria nei confronti di Nietzsche. 9