Appunti di filosofia da Dizionario di Filosofia di Nicola Abbagnano (…)Il concetto della Storia come progresso ha come sua caratteristica l’affermazione del carattere problematico o non inevitabile del progresso stesso; giacchè se il progresso è necessario la Storia è piuttosto un ordine provvidenziale di cui tutti i momenti sono egualmente perfetti in quanto tutti indispensabili alla perfezione o al perfezionamento dell’insieme. La Storia come progresso problematico è un’idea illuministica; e suppone una misura del progresso stesso cioè una norma o un ideale cui la Storia cerca di avvicinarsi o che essa cerca di realizzare ma che non trova mai in essa un’adeguazione perfetta. G. B. Vico ha espresso questo ideale nel concetto di una Storia ideale eterna “sopra la quale, egli disse, corrono in tempo le Storie di tutte le nazioni nei loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini” (Sc. Nuova, De’ principi). La Storia ideale eterna è l’ordine universale ed eterno che la storia temporale, o anzi le varie storie temporali dei vari tempi e nazioni, tendono ad adeguare, senza mai riuscirvi perfettamente e anzi talvolta precipitando nella confusione e nella rovina (Ibid., Conchiusione dell’opera). Vico intendeva la storia ideale eterna come la successione progressiva di tre età (degli dei, degli eroi. e degli uomini) e la permanenza indefinita nell’ultima, che è la conclusione del ciclo. Voltaire considerò invece come norma e misura del progresso storico l’illuminismo: la liberazione della ragione umana dai pregiudizi e il suo porsi come guida della vita singola e associata dell’uomo (cfr. specialmente il Essai sur les mrurs, 1740; Philosophie de l’hisioire, 1765). Kant segui lo stesso criterio, suggerendolo tuttavia soltanto come un “filo conduttore. per orientarsi fllosoficamente nella Storia dei popoli”. Egli scrisse: “A misura che le limitazioni all’attività personale saranno tolte, che a tutti sarà riconosciuta la libertà religiosa, si produrrà per gradi, pur con intervalli di illusioni e fantasie, l’illuminismo come un gran bene che la specie umana può derivare perfino dalle mire ambiziose di potenza dei suoi dominatori” (Idee zu einer allgemeinen Geschichte, 1784, tesi VIII). Secondo Jaspers, l’unico fine progettabile della Storia è l’unità dell’umanità raggiungibile non già attraverso la scienza o l’uniformità linguistica o culturale ma soltanto attraverso o l’illimitata comunicazione di ciò che è diverso storicamente, quale può realizzarsi in un dialogo incessantemente condotto al livello di una lotta amorevole” (Vom Ursprung und Ziel der Geschichte, 1949). Altri criteri o norme possono certo essere proposti o stati proposti come misura del progresso nella Storia; ma le caratteristiche di questa nozione non mutano finché non si ammetta l’inevitabilità del progresso. Con l’affermazione dell’inevitabilità del progresso, il progresso stesso diventa inconcepibile (come Hegel vide): giacchè se la storia è necessaria, ogni momento di essa è tutto ciò che dev’essere e non può essere migliore o peggiore degli altri. La concezione della necessità della Storia è la concezione della Storia come piano provvidenziale. La nozione di piano provvidenziale è implicita in ogni millenaristno o chiliasrno (v.): ogni dottrina siffatta include l’idea di uno sviluppo necessario degli eventi umani, sino al raggiungimento di uno stato definitivo di perfezione. SCIENZA NUOVA. Espressione con cui G. B. Vico designò la sua opera maggiore, pubblicata per la prima volta nel 1725 e in nuove edizioni nel 1730 e nel 1744. Il titolo completo Principi di una scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni dice l’intento dell’opera. Vice si proponeva di instaurare una SCIENZA NUOVA che avesse per suo compito la ricerca delle leggi che sono proprie del mondo della storia umana, al modo in cui la Storia naturale ricerca leggi del mondo naturale. Vico vuol essere il Bacone del mondo della storia e si propone di rintracciare l’ordine di tale mondo e di esprimerlo in leggi. Le fondamentali caratterizzazioni che egli dà della Scienza nuova sono le seguenti (cfr. specialmente SCIENZA NUOVA del 1744, 1, Del metodo): 1. la scienza nuova nuova è una ‘teologia civile ragionata della provvidenza divina’: cioè la dimostrazione dell’ordine provvidenziale che si va attuando nella società umana a misura che l’uomo si solleva dalla sua caduta e dalla sua miseria primitiva. Vico contrappone questa teologia civile alla teologia fisica della tradizione, la quale dimostra l’azione provvidenziale di Dio nella natura; 2. la scienza nuova è ‘una storia delle umane idee sulla quale sembra dover procedere la metafisica della mente umana’: essa è cioè la determinazione dello sviluppo intellettuale umano dalle rozze origini fino alla ‘ragione tutta spiegata’. In questo senso essa è anche una “critica filosofica che mostra l’origine delle idee umane e la loro successione”; 3. in terzo luogo la scienza nuova tende a descrivere ‘una storia ideale eterna, sopra la quale corrano in tempo le storie di tutte le nazioni nei loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini’. Come tale, la scienza nuova è anche una scienza dei principi della storia universale e del diritto naturale universale; 4. la scienza nuova è inoltre ‘una filosofia dell’autorità’ cioè della tradizione, giacchè dalla tradizione desume le prove di fatto (o filologiche) che accertano l’ordine di successione delle età della storia. Appunti di filosofia da la Filosofia nel suo sviluppo storico di Reale-Antiseri 4.3. La mediazione sintetica fra verità (filosofia) e certezza (filologia) Il vero è l’idea (filosofia), il certo è il fatto (filologia). Verità e certezza, o verità e fatto (verum etfactum con vertuntur) devono compenetrarsi fino alla loro convertibilità. Non il vero fuori del fatto o il vero senza il fatto, ma il fatto nel vero e il vero nel fatto. Si tratta cioè di inverare il certo e di accertare il vero, il che trasforma la coscienza dei fatti in scienza dei medesimi. Da qui il carattere empirico-teorico del discorso complessivo di Vico, nel quale i due versanti sono irriducibili e insieme indissociabili. Platone (« l’uomo quale dee essere») non può essere dissociato da Tacito (« l’uomo quale è effettivamente stato»). Riprendendo un principio spinoziano (« ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexto rerum»), Vico, sempre nella Scienza Nuova, scrive che: «L’ordine delle idee dee procedere secondo l’ordine delle cose». E un principio che dall’ordine logico è trasposto nell’ordine storico. Il processo ideale (la filosofia) deve ritrovarsi nel processo storico, senza tradirne il contenuto e senza sconvolgerne l’ordine di nascita e di sviluppo. In particolare, potremmo riassumere i contributi che apportano la filosofia e la filologia, per quella mediazione sintetica che porta alla conoscenza della storia umana, nel modo che segue. a) Il vero o l’impianto teorico che la filosofia elabora e offre alla filologia si articola dunque in tre nuclei teorici: l’idea eterna o progetto ideale, risultante da quell’ insieme di valori giustizia, verità, sacralità della vita, ecc. tematizzati da Platone; la loro incidenza nella mente umana, cui le indagini empiriche devono in ultimo approdare, perché altrimenti non spiegheremmo la costanza nella storia di certi eventi e la loro capacità di creare tradizione; e infine, per pervenire a una soddisfacente spiegazione di un fatto storico rilevante, occorre ricostruire la genesi o le condizioni che ne hanno consentito la nascita e indicare le modificazioni provocate sugli stessi uomini che ne sono gli attori. b) La filologia è una scienza, intesa ad accertare i fatti con l’intento di fare emergere tutta la «sapienza volgare» in essi contenuta. La filologia non è più una serie slegata di rilievi grammaticali, bensì una ricostruzione, attraverso il reperimento del materiale documentario linguaggi, istituzioni, eventi rilevanti di quel mondo di bisogni, di passioni e insieme di latenti idealità con cui e attraverso cui la storia è sorta e si è affermata. È questa la sapienza volgare (filologia) che, partecipando della sapienza ideale (filosofia) ci consente di guardare alla storia non più come a un mondo caotico e informe, bensì come a una serie di eventi attraverso i quali gli uomini hanno realizzato o anche disatteso la «storia ideal eterna», su cui corrono nel tempo le storie delle nazioni. Ma vediamo come Vico presenta la sua scienza della storia nei suoi nuclei centrali — — — —, Gli uomini protagonisti della storia e l’eterogenesi dei fini Scrive Vico nella Scienza Nuova: « In tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità, la quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritrovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana». L’uomo dunque è protagonista della storia. Ma quali sono i suoi tratti specifici, e come la storia, di cui è artefice, ha retroagito su di lui modificandolo? Innanzitutto, Vico ritiene che l’uomo sia per natura socievole. La socievolezza non è un tratto derivato ma originario dell’uomo. Spinto da passioni e finalità egoistiche, l’uomo, se potesse, vivrebbe da solo. Eppure, nonostante che la vita in comune esiga moderazione e raffrenamento di passioni, gli uomini si sono associati. Il che significa che la dimensione sociale, emersa nonostante i sacrifici che ha imposto, rientra nella natura stessa dell’uomo, al punto che èlecito definirlo « animale socievole». Oltre che socievole, l’uomo è libero. Cøntro il fato degli Stoici e il caso degli Epicurei, Vico sostiene la centralità dell’arbitrio umano. La storia non è il frutto di una necessità cosmica o della pura accidentalità. L’una e l’altra versione non spiegano l’andamento effettivo della storia. Essa è ciò che gli uomini hanno voluto che fosse, ma nel quadro delle condizioni e mezzi disponibili. L’arbitrio umano è di sua natura incerto e solo operando si determina e si manifesta. Ora, questa tesi sembrerebbe in contrasto con un’altra tesi, pur chiaramente ribadita dal Vico, là dove scrive: «È questo mondo, senza dubbio uscito da una mente spesso diversa e alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevano proposti ». Ebbene, nonostante questa esplicita affermazione circa le conseguenze non volute e non previste delle azioni umane, Vico scrive: « Questo che fece tutto ciò fu pur mente, perché ‘1 fecero gli uomini con intelligenza, non fu fato, perché ‘1 fecero con elezione; non caso, perché con perpetuità, sempre così facendo, escono nelle medesime cose». Per intendere questa tesi, nota come teoria dell’eterogenesi dei fini, occorre precisare il rapporto tra gli uomini e le istituzioni che gli uomini creano e che reagiscono sugli uomini modificandoli. E così, ad esempio, « l’uomo nello stato bestiale scrive Vico ama solamente la sua salvezza; presa moglie e fatti i figlioli, ama la sua salvezza con la salvezza della città [....]».Si tratta della dilatazione di interessi egoistici, più che di prospettive intenzionalmente perseguite. Se vivendo da solo cura la sua incolumità, il primitivo, diventato capo tribù, coltiva altri interessi con profonde ripercussioni psicologiche. L’uomo crea le istituzioni e queste retroagiscono sull’uomo che le ha create. È questa la via attraverso cui potenzialità nascoste e germi di idealità superiori si affermano lentamente prima che l’uomo se ne renda conto. La storia, dunque, non matura contro o nonostante l’uomo, ma è il luogo nel quale bisogni reconditi, iscritti nella sua natura, emergono e si impongono alla sua attenzione e al suo spirito che così si dilata e si affina. Di riflesso, non è possibile conoscere le istituzioni senza conoscere gli uomini e viceversa. L’uomo muta nel tempo e con esso muta anche quanto da lui è prodotto. Con l’istituto del matrimonio l’uomo primitivo soddisfa le sue passioni in modo nuovo e la sua psiche si arricchisce di un’altra emozione, l’amore. Questo nuovo sentimento funge da polo aggregatore di altri sentimenti, come il senso della proprietà e dei suoi istituti protettivi. Sono elementi nuovi provocati dagli stessi istituti creati dall’uomo che reagiscono sull’uomo, in un interscambio costante e incisivo. Queste sono pertanto le vie sotterranee attraverso cui emergono valori che ~si impongono lentamente alla coscienza, diventando poi espliciti stimoli di ricerca e di lotta. L’eterogenesi dei fini è, dunque, una tesi centrale nell’economia dell’interpretazione vichiana della storia, perché mostra con quanta fatica e per quali tortuosi sentieri la coscienza umana si chiarisca e si affermi. Solo al termine di un laborioso cammino l’uomo s’accorge di quali germi fosse dotata la sua natura. Vico infatti è persuaso che «gli uomini prima sentono senza avvertire, poi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura». — 8. La Provvidenza e il senso della storia — Vico afferma con chiarezza che la storia, oltre che opera dell’uomo, è anche opera di Dio. Due, dunque, sono gli artefici della storia, gli uomini e Dio. Ma quale il loro rapporto? Certo, non può trattarsi di un rapporto che si esprime attraverso un intervento della Provvidenza o dall’esterno o dall’interno, di segno necessitano. In entrambi i casi si cadrebbe in quel fatalismo che Vico ha respinto e si negherebbe che gli uomini, ridotti a strumenti esecutivi, siano gli effettivi protagonisti della storia. Occorre quindi escludere sia il determinismo storico, che identifica la Provvidenza con la razionalità intrinseca alla storia, sia quel provvidenzialismo miracoloso che dall’esterno riconduce gli eventi verso un fine che è fuori della storia stessa. Per intendere il rapporto in questione, occorre innanzitutto notare che per « Provvidenza» Vico intende l’artefice cli quel disegno ideale o « storia ideale eterna sopra la quale corron in tempo le storie’di tutte le nazioni ne’ loro surgimenti, progressi, stati, decadenze e fini ». Si tratta, in breve, di quell’idea eterna o insieme di idealità giustizia, bontà, sacralità della vita e del mondo, ecc. verso cui gli uomini sin dai primordi hanno orientato la loro condotta. Ma perché il Vico parla di un tale progetto e dunque della presenza attiva della Provvidenza? I primi uomini, pur dominati da passioni violente e da fantasia robusta, hanno avviato la nascita della «gran città del genere umano»; pur essendo dei « bestioni » sono diventati successivamente sempre più umani. Come spiegare tutto ciò senza presupporre negli uomini, latenti ma operanti, i germi di questo mondo ideale? Se si esclude il fato, che non spiega la libertà, e se si esclude il caso che non spiega l’ordine, occorre ammettere una mente divina artefice ditale progetto. La Provvidenza agisce, dunque, negli uomini attraverso quel progetto ideale, che non e opera degli uomini o frutto della storia. Esso non è mai compiutamente inteso, perché è negli uomini ma non creato dagli uomini, è nella storia ma non opera della storia. Gli ideali di giustizia, di bontà, di verità nella storia si realizzano o vengono conculcati, vengono proposti o traditi, ma non sono né in balia degli uomini né tantomeno in balia della storia. Pur vivendo sotto il loro influsso, l’uomo non ne diventa il padrone, perché posseggono l’uomo ma non sono posseduti dall’uomo. È questo il veicolo di comunicazione degli uomini con Dio, il ponte tra l’eterno e il tempo, tra il trascendente e lo storico. Se Galileo aveva parlato di un Dio geometra, Vico parla di un Dio provvidente perché il legame tra l’uomo e Dio non si istituisce a -livello matematico la matematica è opera dell’uomo ed è presuntuoso ritenere che riveli la struttura del reale ma a livello delle supreme idealità, e la saldatura - — — — — avviene nella storia, in cui questa dipendenza si concretizza e la parentela divina si rivela. Da qui è lecito concludere che il senso della storia è nella storia e insieme fuori della storia, come il progetto ideale che lievita il tempo senza risolversi in esso. Ed è per questo che Vico considera la storia una sorta di « teologia civile e ragionata della provvidenza divina». E poiché l’uomo ne ha prima un vago presentimento e poi una più lucida consapevolezza, si può dire che gli effetti delle azioni vanno sempre oltre l’intenzionalità esplicita degli uomini. L’uomo fa più di quanto sa e spesso non sa quello che fa. Cosciente del versante tecnico delle sue azioni, l’uomo non sempre lo è del loro versante -ideale. La teoria della Provvidenza, oltre che teoria del senso della storia, è anche teoria del limite dell’uomo e della sua coscienza. 9. I ricorsi storici Così Vico traccia, ancora nella Scienza Nuova, la successione delle età storiche, in una sorta di riepilogo di quanto abbiamo già esposto: « L’ordine delle idee deve procedere secondo l’ordine delle cose. L’ordine delle cose umane procedette: che prima furono le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi, appresso le città, finalmente l’accademie. Gli uomini prima sentono il necessario, dipoi badano all’utile, appresso avvertiscono il comodo, più innanzi si dilettano del piacere, quindi si dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrappazzar le sostanze. La natura de’ popoli prima è cruda, dipoi severa, quindi benigna, appresso dilicata, finalmente dissoluta». Si tratta di un resoconto di ciò che è accaduto «l’ordine delle cose umane procedette» più che di una legge inesorabile per tutte le nazioni. L’opera della Provvidenza è universale ma non necessitante. Gli uomini conservano libertà e responsabilità, e possono mantenersi fedeli al progetto ideale eterno come anche tradirlo. Molte nazioni sono scomparse prima che raggiungessero lo stadio della maturità e alcune sono giunte di colpo, come l’America, all’ultima età. E l’Europa cristiana appare a Vico in possesso di tutti gli elementi per proseguire e permanere nello stadio della maturità, portando a ulteriore sviluppo i molti germi di civiltà di cui è dotata. Il popolo che ha seguito l’itinerario dei tre stadi è il popolo romano che camminò «con giusti passi, facendosi regolane dalla Provvidenza». Dunque, la legge dei ricorsi storici o delle cadute non è una legge universale né tanto meno necessaria. Se così fosse si ritornerebbe al deprecato fatalismo e non avrebbe senso l’intento che il Vico si è prefisso di Scienza Nuova: «Soccorrere la prudenza umana, ond’ella si adoperi perché le nazioni, le quali vanno a cadere, o non rumino o non si affrettino alla loro ruina». Tuttavia, se non è una legge necessaria, quella dei ricorsi è una possibilità oggettiva, nel senso che, date certe condizioni, si ricade nella barbarie e incombe il dovere di riprendere il cammino. Ma quali sono tali condizioni e quando ha luogo una siffatta caduta? In breve, si può dire che il ricorso ha luogo quando il dominio della ragione è tale da cadere nell’astrattezza, nella sofisticazione e quindi nel progressivo mandi-mento del sapere, ed essa non è più in grado di alimentarsi alle sorgenti profonde e remote dei sensi e della fantasia, considerate come vitali partecipazioni al progetto ideale. La perdita di rapporto simbiotico con il nostro passato o con gli stadi precedenti inaridisce le fonti della vita e del pensiero, provocando la rottura con l’ispirazione o mondo ideale della Provvidenza, sostituita dal pensiero puramente umano o da una progettazione puramente egoistica. La perdita della memoria del passato crea l’uomo senza radici e senza linfa vitale. Credendosi artefice arbitrario della sua storia, l’uomo rompe con gli ideali della verità, della giustizia e della sacralità della vita, di cui misconosce la trascendenza e che riduce a puri e semplici pretesti. La storia, dunque, per il Vico non è una sorta di sviluppo unilinear4 e progressivo, dove non c’è errore, male, o decadenza; non è una galoppata se~za possibilità di ristagni e di involuzioni; né la ragione è una forza destinata al trionfo, perché l’una e l’altra possono deteriorarsi e ristagnare, ricadendo in una sorta di nuova barbarie e di più raffinata violenza. Nella storia non tutto e sempre è positivo. La storia non giustifica, ma giudica. Quando la ragione, per la rottura con le sue sorgenti primarie, entfa in crisi, si ha l’indebolimento di tutto l’uomo e del suo mondo istituzionale. Ma anche in questo stadio di corruzione e di decadenza si fa sentire la presenza insopprimibile del progetto ideale eterno, attraverso cui opera la Provvidenza, che sprona gli uomini a riprendere la strada. Se così non fosse nessun popolo sarebbe sopravvissuto e tutti sarebbero destinati a scomparire. Per questo, «veda Bayle scrive Vico nella Conchiusione dell’opera se possan esser di fatto nazioni nel mondo senza veruna cognizione di Dio». — — — —