Il collettivo biopolitico Fuxia block nasce all’interno dell’occupazione del laboratorio FUOri COntrollo nella primavera 2006: un percorso di conflitto urbano che ha fatto della riappropriazione di spazi, tempi e saperi critici le pratiche e gli obiettivi del suo agire. Nel Fuxia sono iscritti autodeterminazione, autonomia, autogestione, liberazione, laicità. È una scommessa politica che non tenta di naturalizzare la storia ma cambiarla attraverso azioni e riflessioni che mettano in discussione l’assegnazione di ruoli socialmente determinati, l’imposizione di ideologie mistificanti rispetto ai nostri desideri, l’accettazione di dogmi oscurantisti che tra il velo di una morale universale normalizzano il controllo soggettivo. Nella sfiducia di qualunque schema cognitivo precostituito, il Fuxia block getta uno sguardo critico e destrutturante sulla realtà. Non crediamo che ad identità omologanti si possano contrapporre altre identità ugualmente omologanti. Preferiamo tenere aperte tutte le possibilità di espressione, cambiamento, crescita o messa in discussione. Il sospetto che, dietro a qualunque identità immobile e definita, si nasconda una forma di censura e di controllo, ci assale inesorabilmente. Conquistare l’autodeterminazione e liberare i nostri desideri sempre e comunque turberà il tranquillo svolgersi dei cliché quotidiani: e questo ci piace. Sappiamo anche di avere delle eredità storiche. Del pensiero della differenza ci piace la prospettiva differente, capace di rovesciare il senso e la percezione della realtà; ma non siamo certi che il femminismo oggi possa essere la risposta adeguata al sessismo e al modello patriarcale della società. Ad un modello plasmato su un genere non vogliamo contrapporne uno opposto quanto speculare. La domanda che ci poniamo prima di tutte è: cosa significa essere donna – o uomo – oggi? Cosa caratterizza la peculiarità di un genere rispetto all’altro? Come si possono definire le mille sfaccettature in cui si manifestano sessualità, comportamenti, poteri, desideri e pratiche diffuse nella società? O meglio: è proprio necessario farlo? Ci spaventa il sistematico uso strumentale di categorie che non scaturiscono più da un conflitto o una contraddizione sociale, ma che, una volta assunte, vengono utilizzate dal lessico della politica ufficiale. Quando tutti gli attori istituzionali concordano su qualcosa, ci suona automaticamente un 1 sul controllo dei corpi, sul governo della società. Mettendo tra parentesi i nostri preconcetti, quelli che ci hanno insegnato, imposto. Vogliamo interrogare le protagoniste dei femminismi di ieri per comprendere l’oggi, confrontarci con esperti di diritto e bioetica per studiare gli interventi legislativi sulla vita (e sulla morte) di ognuno, chiederci e chiedere se l’identità di genere debba essere discriminante per scelte politiche e sociali, in un momento storico in cui ognuno di noi si porta appresso molteplici ruoli ed identità sociali. A partire dai nostri desideri e dalla consapevolezza delle differenti identità che compongono il nostro essere sociale, come possiamo liberarci dal controllo, dal comando sulle nostre vite, dalle censure etiche e religiose? campanello d’allarme: quello del rischio della mistificazione delle istanze nate nel conflitto sociale. È quello che vediamo oggi, quando esponenti donne di estrema destra si fanno paladine dei diritti delle donne, mentre additano la violenza degli uomini immigrati come causa delle violenze aprendo la strada alla xenofobia dei pacchetti sicurezza di matrice fascistoide. La realtà si sovrappone e si sfrangia di continuo. L’identità rigida non può che spezzarsi. Qual è il frame principale su dobbiamo soffermarci? L’essere donna o uomo è oggi sufficiente a dare delle risposte rilevanti rispetto alla nostra condizione? Forse davvero prima di dare delle risposte paradossali è sempre meglio formulare delle domande intelligenti. Questo è quello che fuxia block si propone di fare: aprire uno spazio di discussione critica e di analisi sulla politica della vita, Cosa vuol dire essere uomo? Cosa vuol dire essere donna? L’educazione che riceviamo e la cultura che apprendiamo attraverso il processo di socializzazione rende possibile l’assimilazione di valori, norme, credenze, significati collettivamente condivisi che ci fanno classificare azioni in giuste ed ammissibili, piuttosto che sbagliate ed intollerabili. Così come apprendiamo il significato di un determinato gesto, la correttezza di una certa azione, le norme di convivenza e comportamento con gli altri, impariamo sin da piccoli a identificare specifici comportamenti, atteggiamenti, emozioni come maschili o femminili. Le bambine giocano con le bambole indossando un grembiulino rosa; i maschietti, invece, amano il calcio e i giochi vivaci. Le donne sono chiacchierone, sensibili ed emotive; gli uomini razionali, aggressivi, coraggiosi. Modelli, questi, che innervano l’intera forma mentis con cui ci approcciamo al mondo. Molto spesso questi schemi non si limitano alla mera delineazione delle caratteristiche di ciò che viene considerato come appartenente alla sfera del maschile e del femminile, intese come unità separate e distinte; si addentrano in diversi aspetti della vita quotidiana, influenzando il comportamento, 2 il pensiero, l’aspetto fisico, gli abiti che si indossano, gli hobbies che si scelgono, il modo con cui si interagisce con le altre persone e con l’altro sesso. Ma esiste veramente un altro sesso? Queste caratteristiche che vengono considerate naturali non sono piuttosto manifestazioni di un indottrinamento culturale? Ci chiediamo se quest’ultimo non sia stato creato dalle istituzioni dominanti della società e riprodotto nel tempo, nel passato come oggi. La tradizione giustifica, ad esempio, la divisione dei compiti di cura e di riproduzione tra i due sessi con tesi funzionaliste. Ma, contemporaneamente, l’antropologia e gli studi sul relativismo culturale ci insegnano che tali suddivisioni derivano soprattutto da elementi culturali, determinati, a loro volta, dall’organizzazione che un gruppo sociale si è dato in uno specifico contesto, con determinate caratteristiche geografiche, naturali e necessità. Quindi, la cultura influenza le credenze ed il modo di concepire ruoli e prerogative; data la cultura come contestuale, anche tutto ciò che da questa discende lo diviene, perdendo ogni carattere assolutistico. Di conseguenza, come relazionarci nei confronti del genere e dei molteplici modi di intendere e vivere la sessualità? Il recente dibattito sulla famiglia, ad esempio, ha posto la questione su quale sia l’unità sociale di base da tutelare a livello legislativo e, culturalmente, da reputare ammissibile. Ma come si può sostenere che l’unica famiglia possibile sia quella creata da un uomo e da una donna, se si considerano i generi come culturalmente determinati e, per ciò, suscettibili alla messa in discussione? Due ragazzi gay o due ragazze lesbiche non possono creare una famiglia? Non possono essere padri? E se no, per quale ragione, dato che queste convinzioni sono generate da costruzioni culturali dominanti? Non nascondono, in realtà, vincolanti rapporti di forza che nascondono finalità di controllo e volontà di mantenere queste costruzioni sociali come permanenti? La procreazione è una scelta personale o è lecito che sia controllata da istituzioni esterne al soggetto, non necessariamente in linea con le idee da 3 difese dal singolo? Un cittadino che esce dagli schemi imposti e dall’omologazione non è più beneficiario di diritti e rispetto? In una società in continua evoluzione ed in costante mutamento come l’attuale diventa logico ed automatico ridefinire anche alcuni principi reputati fin prima inattaccabili, in quanto un mutamento culturale genera inevitabilmente nuove forme, in senso marxiano, della sovrastruttura e delle struttura, (o delle espressioni del vivere). Riteniamo, piuttosto, che l’attribuzione del genere non possa avvenire puramente su base biologica e che la componente culturale non sia solo importante nella definizione dell’identità di un individuo, ma soprattutto determinante nello sviluppo dell’ orientamento sessuale di un individuo. Forse la scoperta del proprio genere non avviene, in tali condizioni, attraverso un viaggio introspettivo durante il quale si esplorino i propri istinti e tendenze; addirittura si dà il proprio genere per scontato e si reputano inclinazioni e comportamenti differenti da quelli ordinari come devianti, quando non deplorevoli e moralmente dissacranti. Ma non è, invece, la mentalità comune che ci circonda che canalizza i nostri ragionamenti e che esclude a priori possibilità altrimenti praticabili? Tutto ciò non impedisce riflessioni prive di costrizioni e vincoli morali? Altro tema di acceso dibattito è quello della laicità. Uno Stato che veramente si definisce tale non dovrebbe garantire parità di diritti a tutti i cittadini? Indipendentemente dagli orientamenti sessuali, senza lasciar spazio ad accuse etiche da parte della Chiesa o di qualsiasi altra fonte che basa le proprie tesi ed accuse su principi etici in realtà discutibili e non condivisi? Ci chiediamo se allo stato attuale delle cose possiamo davvero definirci liberi nei confronti delle istituzioni, quando quest’ultime legiferano su ciò che può essere legale o meno, anche in ambiti profondamente intimi e personali come quello affettivo e sessuale. Volendo trovare un modo di eliminare discriminazioni e categorizzazioni contestabili, non ci sembra opportuno imporre divieti e limiti alla libera espressione di forme di genere, derivanti da particolari vissuti ed esperienze, che producono semplicemente significati nuovi, diversi e non inferiori ai precedenti. La presa di coscienza e l’autodeterminazione del singolo diventano necessarie in una società complessa e frammentata culturalmente in cui i significati vengono appresi e definiti localmente e sono legittimamente messi continuamente in discussione e rivisitati. Con queste conferenze intendiamo riaprire la discussione sul tema di una libera sessualità, chiedendoci cosa voglia dire essere uomo, donna, omosessuale, trans, sviluppando un dibattito nuovo e libero dalle costrizioni che il vecchio paradigma impone. Vogliamo approfondire le nostre conoscenze in merito alle questioni di genere e alle disposizioni in materia messe in atto dai soggetti politici, considerando anche il fatto che simili questioni vengono troppo spesso tralasciate o trattate superficialmente. Ma come possiamo disinteressarci quando ci riguardano così da vicino, arrivando al profondo delle nostre identità di persone, qualsiasi sia la forma che adottiamo nella nostra epifania di esseri umani? Da più parti e – ormai – da troppo tempo assistiamo agli attacchi proibizionisti, antistorici e soprattutto trasversali contro la libertà di scelta e l’autodeterminazione individuale portati da politici, preti e tuttologi televisivi. In occasione delle ultime leggi, proposte di legge e referendum abrogativi (fecondazione assistita, pacs, dico…) abbiamo dovuto subire dibattiti, dichiarazioni ed encicliche che pontificavano sull’immodificabilità della famiglia eterosessuale derivante dal matrimonio, sulla naturalità dell’inclinazione femminile alla maternità, sulla personalità giuridica del feto ed altre aberrazioni simili. Abbiamo il forte sospetto che l’ipocrisia e la violenza di questi discorsi e delle norme che ne derivano, siano tese ad ordinare la società eliminando tutte le differenze e soffocando la libera scelta di ognuno in relazione agli affetti, ai rapporti interpersonali, alla sessualità, alla riproduzione. Qualunque dispositivo di comando biopolitico contiene necessariamente al suo interno forme di discriminazione, di 4 repressione della diversità e imposizione di modelli di vita omologanti. L’espressione libera di desideri e fisicità è sostanzialmente incompatibile al mantenimento di ordine, limiti, censure, controllo. Anche quando sembra che le scelte legislative possano aprirsi ai cambiamenti della società, dei comportamenti e delle scelte, la volontà di normare qualunque aspetto del vivere personale e sessuale cela la speculare volontà di contenere e limitare le possibilità di scelta. Non abbiamo la certezza che interventi legislativi come quelli sulla fecondazione assistita o le unioni omosessuali abbiano esclusivamente a che fare con le identità sessuate “donna” o “gay”. Ci sembra piuttosto che abbiano la funzione di ridurre differenze inclassificabili ed incalcolabili a categorie riconoscibili e che riproducano ordinatamente uno schema “naturale” e gerarchico delle relazioni umane. La coppia dev’essere monogama, riconoscibile e catalogabile nei registri delle anagrafi comunali, deve comunque riprodurre il modello familiare unico e chiuso rappresentato dalla coppia padre e madre, e se i sessi non si adeguano, si dovranno imitare. Ne abbiamo parlato con due attivisti nei movimenti contro la discriminazione sessuale e le ingerenze del Vaticano: Nicoletta Poidimani (Facciamo breccia) e Roberto Aere (Circolo Pink, Verona). 1)Secondo te, in che forma si esprimono e in che contesto sono inserite nella società contemporanea le discriminazioni di genere? Ha senso riconoscere come legittima la stessa differenziazione che viene usata come strumento di discriminazione? Poidimani: Le discriminazioni di genere pervadono ancora oggi tanto la sfera pubblica che quella privata: dalla disparità di educazione in famiglia, al permanere dei privilegi maschili nella stragrande maggioranza degli ambiti decisionali e lavorativi. Spesso anche in ambiti ‘di movimento’ troviamo riproposta la divisione di ruoli dominante nella società. Mettere in discussione questo stato di cose implica il ragionare in termini di rapporti di potere. L’essenzialismo strategico, proposto da Gayatri Spivak, è a questo proposito un importante strumento critico che permette di rendere politico il proprio posizionamento nel sistema dei generi senza cadere in pericolosi essenzialismi biologici (si veda it.wikipedia.org/wiki/Gayatri_Chakravorty_ Spivak) Aere: I generi hanno imparato a differenziarsi sulla spinta del movimento femminista, altrimenti per quel che riguarda noi uomini la divisione sarebbe rimasta su chi comanda e chi no in famiglia e in ogni ambito sociale. Proprio per questo, per questa vergognosa 5 miopia maschile è ancora indispensabile mantenere viva la differenziazione per dare strumenti di lotta ad ogni forma di discriminazione e soprattutto per decostruire un modello che nega alle donne diritti e dispensa gli uomini dal sentirsi parte in causa per le violenze perpetrate. 2)Che cosa pensi della proposta di legge sul 50 e 50? Poidimani: Le istituzioni attuali, dai partiti al parlamento alle accademie, hanno una connotazione fortemente patriarcale. Fin quando le istituzioni non verranno ripensate dalla radice, la presenza delle donne, anche in rapporto numerico equo col maschile, non cambierà nulla. Non si tratta, infatti, di un problema meramente quantitativo: finché non cambia la qualità, la quantità rimane una questione formale. Basti pensare ai pochi – tutti maschi, ricchi, eterosessuali, ecc – che hanno in mano il potere economico a livello globale. Il G8 ne è uno specchio significativo… Aere Rispondo passando da una altro percorso. Come gay pretendo il 100 x 100 di partecipazione e di non discriminazione in ogni ambito e grado della vita sociale, pubblica e privata. Certo appartengo ad un 'orientamento sessuale' che non ha i numeri per definirsi la metà di un tutto escludente in ogni caso, e mi piacerebbe che una lotta di genere , di orientamento sessuale e identità di genere superasse questa logica e trovasse altri percorsi di lotta che ne determinassero, indipendentemente dai numeri piena parità di cittadinanza. 3)Nel dibattito pubblico su unioni di fatto e procreazione assistita sembrava emergere il tentativo di imporre un certo modello di famiglia e un determinato modello di relazioni interpersonali che veniva condiviso da tutto l’arco istituzionale, compreso il Vaticano. Sei d’accordo con questa affermazione? Se si, che modello pensi si volesse ordinare e qual è la tua posizione a riguardo? Poidimani Il modello dominante di famiglia e relazioni è ancora quello clerico-fascista (da cui non è immune neppure il centro-sinistra) che col papato dell’integralista Ratzinger sta riacquisendo nuovo vigore. Si tratta di un modello che sulla divisione biologica del lavoro riproduttivo fra uomo e donna – dunque una parzialità – imposta relazioni di potere e subordinazione. Un modello che si regge anche sull’omertà nei confronti della violenza con cui gli uomini difendono il proprio ruolo dominante all’interno della famiglia nei confronti di donne e figli/e. Condivido ciò che il femminismo più radicale sostiene da decenni: la famiglia va abolita, perché è il luogo dove la subordinazione femminile si attua nelle forme più feroci e criminali. Aere Se hai il tuo modello di inquadramento sei più tranquillo e faciliti il controllo sociale. Sei inserito, normato in una dialettica tra soggetti incasellati torni utile al sistema. In questo senso credo si potesse trovare una intesa nell'arco istituzionale. L' apparente contrapposizione famiglia e pacs è fuorviante perchè sposta il livello del confronto sul terreno del 'chi se lo può permettere' scavalcando la vera e più profonda spaccatura data dal tentativo di chi intende fossilizzare la società precarizzandola e frantumandone le relazioni sociali, rinchiudendo le persone in orticelli prestabiliti e ben recintati e chi cerca in tutti i modi di non farsi 'barrare', di tenere collegate le lotte sociali, di scavalcare i recinti e attraversare i territori ridefinendo così, partendo da un se transgender migrante e precario il concetto di cittadinanza. Un'Europa che sempre più mira ad essere una fortezza economica e militare accetta ogni sorta di mediazione e discriminazione in cambio di una definizione sempre più forte di appartenenza, di sicurezza, di riconoscimento di radici comuni , magari cristiane, come garanzia di difesa da un qualsivoglia attacco esterno e disordine interno. Questo patto tra poteri forti punisce ogni diritto di cittadinanza che sfugge alla logica del controllo sociale e che si propone 'intrinsecamente disordinato e destabilizzante' , sia esso migrante, senza casa, senza reddito , gay, lesbica, transessuale , rom ...., lasciandolo in balia di un improbabile riconoscimento da parte degli stati membri sempre più nazionalisti e xenofobi. Una politica questa che crea sempre più marginalità, allontanando la cittadinanza dal cuore delle città e dal cuore 6 della politica. 4) In che modo si articola e come si esprimono le ingerenze vaticane in Italia? Secondo te in quali modi è possibile riappropriarsi di termini e pratiche quali libertà di scelta e autodeterminazione oggi? Poidimani Per essere sintetica, parlo di una piovra dai mille tentacoli, che vanno dai privilegi economici, alle ininterrotte ingerenze nella sfera pubblica, in particolare per quanto riguarda la sanità e l’istruzione, che arriva a coinvolgere la sfera affettiva e le scelte e i diritti di tutte/i. Primo, irrinunciabile passo è la lotta politica per la cancellazione del Concordato, che deve andare di pari passo con la rivendicazione delle pratiche reali di autodeterminazione degli stili di vita ‘altri’ dal modello dominante. Con il coordinamento Facciamo Breccia da un paio d’anni stiamo cercando di lavorare in questa direzione agendo su più piani, che vanno dall’approfondimento culturale alla denuncia politica della subordinazione della classe politica italiana – di destra e di sinistra – ai diktat vaticani. Questi piani convergono, annualmente, nella manifestazione NoVat che si tiene a Roma intorno all’11 febbraio, anniversario dei Patti lateranensi tra Mussolini e papa Pio XI. Nel 2008 NoVat si terrà sabato 9 febbraio, questa volta con un respiro internazionale, perché se il fiato vaticano sul collo ce lo sentiamo soprattutto in Italia, anche all’estero comincia a svilupparsi la sensibilità su queste tematiche (www.facciamobreccia.org). Aere Non basterebbe un libro per mettere in fila le ingerenze ed i soprusi che il vaticano fa sull'Italia, penso comunque che una delle più gravi sia quella di aver privatizzato da decenni parti dei servizi socio-sanitari, con il silenzio della sinistra, garantendosi il controllo sulla malattia e sulla cura, che dove non arriva il miracolo potrà 'l'assicurazione cattolica'. La cosa che più mi inquieta è la precisa volontà del Vaticano di affossare i Diritti Umani e tutte le conquiste sociali fatte dal dopoguerra ad oggi da parte dei movimenti, disconoscendoli e demandandoli al creatore, una operazione pericolosa di tentativo di rimozione e di negazione della nostra Memoria collettiva. Per riappropriarsi simbolicamente di spazi nostri come prima cosa sarebbe da fare uno sbattezzo di massa su tutto il territorio nazionale in una data precisa che ridia l'autodeterminazione della scelta se volere la tessera della religione cattolica oppure no. Sembra poco, una forzatura teatrale . Ma lo sbattezzo ha un significato dirompente sul controllo che il Vaticano ha sui nostri corpi dalla nascita alla morte, disconoscerlo significa mettere in difficoltà con mezzi alla nostra portata, una dittatura millenaria. Lascio a voi immaginare l'effetto. Negli ultimi anni le ministre delle pari opportunità di destra e di sinistra si sono distinte per aver invano tentato di introdurre nella legislazione delle norme sulle pari opportunità, seppellite da franchi tiratori e sessisti dichiarati. Come è noto, oggi, attraverso la campagna 50e50 ovunque si decide, la questione viene riproposta dall’Udi con una raccolta di firme per la presentazione della proposta di legge ispirata all'art.51 della costituzione: "Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive". L'articolato dispone che in ogni competizione elettorale, ogni lista di candidati debba essere costituita da un numero uguale di donne e uomini, elencati in ordine alternato per sesso e in caso di disparità numerica, lo scarto debba essere di una unità (art.3). Così anche per le liste uninominali, nel loro complesso. Movimenti, partiti e coalizioni che non rispettino le predette norme, non sono ammessi alla competizione elettorale (art.4). Sostanzialmente si può dire che questa proposta venga condivisa nell’arco istituzionale dei partiti politici in maniera trasversale: da “destra” a “sinistra” (categorie, ci sembra, ormai desuete) sono tutti d’accordo sulle pari opportunità, ma, naturalmente, lo sono più le donne che gli uomini. Alla base della proposta c’è la volontà di far emergere nella dialettica politica istituzionale una frattura ritenuta principale: quella della divisione binaria dei generi, come fattore discriminante e portatore di significati che, oltre ad avere peso di fatto sulla società, dovrebbero anche avere rilevanza sulle scelte, sulle posizioni e sulle decisioni politiche. 7 Il dibattito politico vede alcune posizioni ruotare intorno alla opportunità o meno di accedere ad un sistema di potere prettamente maschile e in quanto tale, così viene definito, corrotto, censorio e ingiusto. All’interno di queste posizioni fra loro contrapposte emerge però un’idea che le accomuna: la diversità radicale dell’universo femminile da quello maschile, e quindi dal sistema di potere e relazioni di dominio. Chi sostiene l’istanza delle quote rosa afferma la necessità di una presenza femminile nei luoghi istituzionali, presenza che permetterebbe una gestione diversa della cosa pubblica proprio perché l’approccio femminile sarebbe in sé differente. Viceversa, le posizioni critiche, pur partendo dallo stesso assunto, quello dell’alterità del pensiero e delle pratiche femminili, giungono alle conclusioni opposte: l’assenza dai luoghi del potere sarebbe espressione della volontà delle donne stesse di non entrare nel sistema di rappresentanza istituzionale e di stare, così si dice, altrove. Si dà quindi per assunta una definizione sessuata e biologica dell’essere donna (e uomo), sottintendendo che esista un’entità sociale “donna” all’interno della quale dovremmo tutte riconoscerci e condividere esperienze, prospettive, approcci. E così, ancora “naturalmente”, il nostro pensiero sarebbe volto a dimensioni diverse, ontologicamente impermeabili a dinamiche di sopraffazione e comando… Quello che non ci torna in questo dibattito è la contraddizione che emerge di fronte all’evidenza dei fatti: che le donne al potere per quanto poche ci sono, e, quando ci sono, sono come gli uomini, e cioè che il problema non è tanto il sesso di chi accede al potere, quanto il potere stesso. Così come chi sta in quell’altrove non sono solo donne. Crediamo che l’alterità alla politica ufficiale di palazzo e alle dinamiche di comando sia prerogativa di scelte politiche e di vita individuali e consapevoli, e non di eredità biologiche, ormonali o sessuali. Che esista una cultura maschilista, machista e patriarcale è una verità indiscutibile. Che questo sia un problema che investe le donne quanto gli uomini lo è altrettanto, anche se questo non sembra essere del tutto ammesso dalle donne che si battono a favore di questa proposta di legge o che la discutono criticamente. Questo introduce l’argomento che riteniamo davvero fondamentale. Se è vero che trent’anni fa la presa di coscienza delle donne ha messo in evidenza la contraddizione della neutralità della cittadinanza universale, disegnata intorno all’uomo bianco, cristiano etc, aprendo una frattura nella rappresentazione dei diritti di cittadinanza stessi imponendo la loro presenza sessuata, lo è altrettanto il fatto che oggi quella frattura si è moltiplicata. Corre lungo le molteplici linee di ruoli e identità frammentate dalla crisi della cittadinanza e dalla modernità liquida (come la chiama Bauman). Identità che si sovrappongono, si cumulano, si annullano a vicenda. Allora pensiamo che prima di parlare di quote rosa e pari opportunità sancite per legge si debba partire da un’altra prospettiva: quella che dà luce alla materialità dei conflitti che si esprimono nelle pratiche e che 8 percorrono i luoghi reali in cui viviamo. Pratiche che ognuno di noi agisce attraversando ruoli, identità meticcie, inclinazioni diverse. Queste pratiche derivano spontaneamente dal pensiero critico sviluppato dai femminismi: per quanto riguarda la decostruzione di identità e di categorie che hanno permesso storicamente la discriminazione e l’esclusione politica e sociale delle donne. Ma le superano. Come sappiamo bene, la presa di coscienza femminista ha spezzato l’unità neutralizzata sessualmente imposta dal patriarcato. L’ha spezzata per farne due parti: quella maschile e quella femminile. Ma questo in qualche modo ha riprodotto lo stesso stereotipo: prima c’erano i cittadini e adesso ci sono anche le cittadine. E tutti gli altri? E tutte le altre? Precari, migranti, clandestini, gay lesbiche e transgender… i confini flessibili della cittadinanza non sono più solo sessuati. Non possiamo fare a meno di farci i conti. Le leggi che governano la vita e la riproduzione, assegnano ruoli pubblici e privati, e definiscono la liceità e i limiti consentiti alle relazioni, non riguardano forse ognuno ed ognuna? Non vanno ad incidere sull’autodeterminazione di ogni soggetto che abbia scelto la propria sessualità liberamente? Crediamo che sia dall’autodeterminazione di ogni soggetto, a partire dai suoi desideri e dalle sue esigenze, dalle sue inclinazioni temporanee o permanenti, che dobbiamo provare a definire una nuova cittadinanza non identitaria, flessibile, adattabile e quindi resistente alle trasformazioni soggettive e storiche di cui siamo protagonisti e spettatori in ogni fase della nostra vita? Non è forse un approccio critico come questo ciò che resta profondamente attuale dei femminismi? Per sconfiggere maschilismo e discriminazione non è forse più utile decostruire le stesse categorie che sono state sempre utilizzate come strumento di controllo e comando? Crediamo che un confronto laico con tutti e tutte, anche a partire dal dibattito sulle pari opportunità, sia necessario, per provare ad immaginare come spostarci tutti in quell’altrove che non è e non deve essere più, ormai, prerogativa delle sole donne.