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(…)Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.
--- Per andare dove, amico?
--- Non lo so, ma dobbiamo andare. (…)
Jack KEROUAC, On the Road (Sulla Strada).
“…ero destinato alla strada, a fare l’inventario del mio paese natio, con questo pazzo di Neal”.
Jack KEROUAC, On the Road (Sulla Strada), libro secondo.
On the Road (Sulla Strada), Jack Kerouac e la Beat
Generation: il quotidiano tormento di cercare uno
stile nuovo, una storia nuova e soprattutto un
nuovo modo di vedere la realtà.
A mo’ di premessa metodologica.
“Non stendere un piano di lavoro- diceva Charles Péguy- ma
seguire le indicazioni, i segni”.
Jack KEROUAC fa letteralmente sua quest’affermazione dello
scrittore francese e si tuffa nel vasto quanto complesso mondo
delle sue esperienze, cercando di comprendere le miserie del
presente e di capire l’uomo, il mondo, la sua epoca. Lo scrittore
franco-canadese ha bisogno di scrivere ma non rimane
prigioniero della cronaca, registra i suoi movimenti, ogni sua
impressione e cerca di risolvere domande o dubbi attraverso il
suo vagabondare.
KEROUAC ha sempre pensato in un’ottica non di sistema. Ha respinto “ideologie” politiche e
scuole letterarie e ha guardato con diffidenza alle avanguardie perché secondo lo scrittore esse
nascono come sovvertitrici di vecchi schemi ma ne propongono altri solo apparentemente nuovi.
Il successo che conseguirono gli scrittori della cosiddetta
Beat Generation era dovuto al fatto che proponevano
forme nuove di dialogo e sapevano adeguare la materia
narrativa al variare delle situazioni esterne in cui si
trovavano a vivere, si rapportavano alla realtà e
lasciavano che essa entrasse nelle loro pagine e che li
aiutasse a trovare le risposte che cercavano.
KEROUAC ha preferito insistere sull’emozione piuttosto
che sull’esaustività dei fatti e dei dettagli. Il suo obiettivo
da cui non ha mai deviato è stato quello di cercare la
verità in ciò che appare e non dietro le apparenze. Coerente con questo principio KEROUAC ha
sempre mediato tra la realtà contingenziale e l’essenza umana servendosi nei suoi scritti di
personaggi noti facilmente individuabili, con nomi e cognomi leggermente alterati che facevano
parte della cerchia di persone di cui aveva conoscenza diretta e con cui aveva stretto contatti
personali. I suoi rapporti con Ginsberg, Cassady e Burroughs non sono basati tanto su una
comunanza di pensieri quanto su di un’attenta e intima partecipazione alla vita di tutti i giorni fatta
d’intense relazioni di amicizia che impedisce loro di separarsi.
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Per KEROUAC e la sua “banda” di amici, la vita è stata l’ineliminabile punto di partenza.
Bisognava ripartire dalla vita per riuscire ad andare davvero in fondo e anche oltre, portare la
propria realtà esistenziale fuori dalle deformazioni operate dai media, riuscire a far emergere dalle
contraddizioni, dalle ambiguità
e dai contrasti una profonda
umanità, una generosità e una
grande umiltà nonostante gesti
o
azioni
esibizionistiche,
spavalderie e gradassate con
l’alcol messe in mostra per
vincere una forma di timidezza
quasi morbosa e la paura e
l’ossessione della morte.
Il rapporto che lega tutti gli
scrittori della Beat Generation
non si esauriva nella sfera
letteraria perché fu soprattutto
un rapporto di amicizia e di
sostegno reciproco. Ciascun
artista non stava sullo sfondo,
in qualche modo impersonale,
invisibile ed estraneo, ne dava
testimonianza
diretta,
riportando
episodi
vissuti
essenziali per capire qualcosa di
sé e del periodo storico in cui viveva. La vita si faceva così necessaria alla letteratura che traeva da
essa il suo pieno senso, la sua completa realizzazione e grazie a essa poteva approfondire temi,
propositi, comportamenti mai affrontati prima fino ad andare a cogliere sfumature sempre più
sottili.
Questo modesto intervento su “On
the Road” e su Jack KEROUAC non
si propone come tentativo di spiegare
il libro in sé, ma come ricerca delle
ragioni che hanno spinto lo scrittore
franco-canadese a proporre questo
romanzo, con particolare attenzione
alle influenze, ai rimandi, alle
contaminazioni
e
alle
compenetrazioni tra Letteratura e
Arte, tra Letteratura e vita. Esso vuole
monopolizzare l’attenzione del lettore
sui legami che ci sono tra il libro e
l’autore.
L’esercizio
delle
interpretazioni mostra quanto un libro
sia sfuggente a ogni definizione
precisa ed esaustiva, sempre pronto a
essere afferrato da interpretazioni
diverse e pertinenti come se non
possedesse una sua identità o ne
possedesse una, abbastanza vaga da
poter aderire ad un ampio elenco di
identità più precise. L’identità sostanziale del libro di Kerouac deriva dall’essere il prodotto di una
ben determinata persona e l’unica cosa che si può spiegare, è il rapporto tra l’autore e il libro o
meglio ancora tra più libri dello stesso.
Kerouac poteva fare due scelte: guardare il libro da lontano, rimanendone fuori, estraneo,
distaccato, oppure provare a entrare in una struttura narrativa che l’autore non ha mai visto come
astratta o comunque molto elastica, ma, al contrario, concreta e solida. La sua scelta non poteva che
essere la seconda, quella razionale e pragmatica, dove il pragmatismo consisteva appunto in quel
metodo socio-biografico adottato dal critico letterario più illuminato del suo tempo Malcolm
COWLEY(1898-1989) che considerava gli autori da lui osservati come personaggi vivi e connessi
pagina per pagina alle storie da loro narrate.
È solo dall’intimo legame tra libro e autore che poi si potranno formulare ipotesi, si potranno
tentare alcune interpretazioni. Com’è chiaro anche che ricostruire la vita dell’autore, verificare
l’identità sostanziale del libro, ricercare le confluenze tra vita e libro, non sono altro che
interpretazioni.
In fondo, cercare di capire l’autore significa mettersi dal suo punto di vista. E cercare di ricostruire
il procedimento di creazione del libro significa pure seguire il metodo di lavoro a livello più
specificatamente tecnico, la strutturazione delle idee, la loro genesi e la loro evoluzione.
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Così sappiamo che il testo On the Road 1 dello scrittore franco-canadese Jack KEROUAC(19221969) è stato pubblicato per la prima volta il 5 settembre 1957, che per scriverlo l’autore ha attinto a
numerosi taccuini o quaderni(ben nove) nei quali trasferiva impressioni, fatti e sentimenti che
provava nel corso dei suoi molteplici viaggi, che il libro diventò in seguito un mito, un simbolo, un
cult intramontabile per intere generazioni di lettori fino ad essere considerato se non una sorta di
manifesto certamente un testo di riferimento della cosiddetta Beat Generation. In una lettera datata
il 22 maggio 1951 e indirizzata all’amico e “compagnon de route”, Neal Cassady, Jack così scrive:”
Ho raccontato tutta la strada adesso….Sono andato veloce(tre settimane) perché la strada impone
rapidità”: Spiega poi con dovizia di particolari che tra il 2 e il 22 aprile ha scritto il suo On the
Road su di un rotolo di carta(lo scroll), tutt’intero per non perdere tempo a cambiare i fogli, lungo
circa trentasei metri, un romanzo completo di 125.000 parole, senza punteggiatura né capitoli. E in
aggiunta riferiva di averlo scritto senza sosta mentre ascoltava la musica be-bop alla radio e di aver
utilizzato quel cospicuo materiale fatto di aneddoti, documenti che aveva raccolto dal 1947 al 1950,
un ricco quanto dettagliato elenco di elementi, fatti e riflessioni che riteneva assolutamente
necessari alla stesura del romanzo.
In conformità a queste utili informazioni sappiamo che il romanzo di Kerouac comprende cinque
parti o libri ed è scritto sotto forma di episodi ambientati alla fine degli anni quaranta e i cui
personaggi sono tutti giovani “beatniks” in viaggio senza sosta per tutti gli Stati Uniti.
Tra costoro vi è Dean Moriarty, amico di Sal Paradise, alter ego
letterario dello stesso Kerouac e voce narrante del libro. Moriarty è
in realtà Neal Cassady, un giovane dell’ovest, uscito da un
riformatorio e il cui stile di vita è in netto contrasto con la
concezione borghese della necessità di avere una fissa dimora, un
lavoro, un buon grado di responsabilità. Moriarty come i suoi
compagni di viaggio e amici ha solo interesse per una vita
spericolata ed intensa, fatta di innumerevoli esperienze. Egli
desidera esplorare l’immensità del continente nordamericano,
conoscere il brivido del sesso, della musica jazz, delle accese
discussioni nei bar sotto l’effetto dell’alcool. Sal, invece, é uno
studente cresciuto nell’est che ha aspirazioni letterarie conosce a
New York Dean e ne resta profondamente influenzato per il singolare stile di vita e per la passione
del girovagare in cerca di esperienze e di nuovi incontri.
Dean decide di ripartire per l’ovest e Sal lo raggiunge; è il primo di una lunga serie di viaggi che
imprimono una diversa dimensione alla vita di Sal. La fuga di Dean, in fondo vero protagonista di
tutta la storia, ha in sé una caratteristica eroica. Sal non può fare a meno di ammirarlo, anche
quando febbricitante, a Città del Messico, è abbandonato dall’amico che torna negli Stati Uniti.
Col passare del tempo Sal/Jack si rende, però, conto che l’inquietudine dell’amico che lo porta a
sperimentare tutto ciò che può esserci di nuovo e di proibito, è dovuta alla sua incapacità di adattarsi
alla società, problema di cui soffrono quasi tutti i membri del movimento della Beat Generation.
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Esistono tre versioni complete di On the Road: 1) la versione originale del rullo unico (scroll); 2) quella composta da
297 pagine ampiamente rivista e corretta; 3) quella composta da 347 pagine rivista da Kerouac e probabilmente da
Helen Taylor, editrice presso la A.A.Viking Press.
Poiché mancano le date dei due manoscritti, sono necessari altri studi e ricerche perché il confronto tra le tre versioni
sia più motivato e puntuale. C’è da osservare che sul foglio di copertina del manoscritto di 297 pagine c’è un precedente
titolo olografo ben curato “The Beat Generation” con sotto la scritta “a cura di John Kerouac”, cancellato poi e
sostituito da On the Road scritto con meno cura ma a grandi lettere per scrivervi sopra a mano e a grandi lettere,
“Jack”.
La versione di 347 pagine è dattiloscritta a doppia interlinea su di un foglio che non è uniforme. Il testo è stato rivisto e
corretto da Kerouac e presenta aggiunte e cancellazioni a mano.
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Dopo ogni viaggio Sal si sente sempre peggio e desidera così di tentare di avere un luogo fisso e un
lavoro che abbia senso. Ritorna a New York e lui che aveva fatto gli studi universitari riprende a
frequentare l’università e a condurre una vita normale ma dopo aver rivisto Dean/Neal che aveva
ripreso a viaggiare, decide di partire anche lui. Nel romanzo è descritto con incisività l’incontro con
il carismatico Dean Moriarty, chiaramente e direttamente ispirato a Neal Cassady che a quanto pare
esercitò su Kerouac nella vita reale la stessa”influenza malefica” che Dean ha nei confronti di Sal.
“Passò più di un anno prima che rivedessi Dean…Avevo passato, scrive Sal/Jack un tranquillo
Natale in campagna, me ne resi conto quando rientrammo in casa e vidi l’albero, i regali, sentii il
profumo del tacchino che arrostiva e ascoltai i discorsi dei parenti. Ma ora mi era tornata
l’irrequietezza, un’irrequietezza di nome Dean Moriarty e stavo per lanciarmi in un’altra
scorribanda sulla strada”, sulle tracce degli scrittori che aveva molto amato da giovane e cioè J.
London, E. Hemingway, Th. Wolfe e F.Scott Fitzgeral.
On the Road (Sulla Strada) è il romanzo di due giovani che partono in autostop per la California
alla ricerca di qualcosa che non trovano, si perdono lungo la strada, ritornano dove erano partiti,
sempre proiettati verso qualcos’altro.
La storia di On the Road è ispirata quindi ai viaggi che Jack Kerouac ha fatto insieme all’amico,
anch’egli aspirante scrittore, Neal Cassady, tra l’estate del 1947 e l’inverno 1948. Essa è
fondamentalmente un testo autobiografico che Kerouac cominciò a scrivere nel 1951 quando da
quei viaggi era appena tornato, portando con sé un mucchio di appunti scritti durante il percorso. Fu
allora che, armato di un rotolo di carta che aveva inserito nella sua
macchina per scrivere per non dover perdere tempo a cambiar pagina
quando finiva il foglio, ordinò i suoi preziosi appunti che da lì a poco
sarebbero diventati il suo indiscusso capolavoro, rievocando e romanzando
nello stesso tempo, le folli avventure dei suoi lunghi vagabondaggi su e
giù per il grande continente americano. La “gioventù bruciata” è
soprattutto una ricerca di ciò che si è perduto e che si sente il bisogno di
ritrovare anche a costo di cercarlo lontano dagli altri, lontano anche da sé,
fuggendo da quella società massificata e borghese che il boom economico post-bellico aveva creato
in America. Nel suo romanzo On the Road la ricerca e la fuga s’intrecciano, sono un tutt’uno, si
integrano e si completano a vicenda. Esattamente come si completano i sogni e le aspirazioni di Sal
e di Dean, apparentemente molto diversi, in realtà intrinsecamente uguali; essi non hanno bisogno
di sapere cosa stanno cercando e dove andare, percepiscono semplicemente che ciò che cercano è
altrove e che devono lasciarsi andare alla strada e che la strada saprà condurli dove devono arrivare.
La strada è allora uno stimolo, una necessità e insieme una guida, un cammino sicuro da percorrere
e da ripercorrere fino a quando non si è sfiniti, fino a quando non si è fatto tutto quello che essa può
offrire. Così è specialmente per Dean e per riflesso per Sal che forse non sarebbe mai partito se non
avesse incontrato quella forza della natura che è Dean, come lo definisce Kerouac/Sal la prima volta
che lo vede e cioè “un eroe con le basette nel nevoso West”. In realtà Dean é distante anni luce dal
concetto classico di eroe. Se di eroismo si può parlare, il suo eroismo sta nella sua tormentata
frenesia, nella sua inesauribile sete di vita. Cresciuto in sostanza da solo, non ha conosciuto la
madre e il padre, vagabondo e alcolizzato è stato del tutto assente nella sua vita, eppure Dean lo
cerca nei bassifondi di Denver e tenta di riprendersi il suo passato, di percepire l’eco delle sue
radici. Sal segue Dean ciecamente, ascolta le sue parole come quelle di un profeta, prende in ogni
momento le sue difese contro tutti dandogli sempre ragione. È Dean/Neil il vero motore di On the
Road. L’energia vitale e la forza di persuasione irradiano senza sosta da questo personaggio che
possiamo odiare o amare nello stesso tempo ma che resta talmente eclettico e seducente da
imprimersi facilmente nella memoria di qualsiasi lettore.
On the Road (Sulla Strada) è certamente uno dei testi più influenti e popolari della seconda parte
del XX° secolo, per cui rievocare le circostanze della sua composizione e della sua pubblicazione ci
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sembra assolutamente una priorità, comunque una “démarche” sicuramente interessante che potrà
consentirci non soltanto di seguire lo scrittore al lavoro, con le sue ambizioni, le ansie, i suoi
convincimenti, i suoi rifiuti ma soprattutto di farci comprendere la storia di una metamorfosi. Sono
questi gli anni di profonda trasformazione in cui Kerouac, giovane e promettente scrittore, aspira a
diventare lo scrittore più dotato della sua generazione.
Sappiamo che dal 1947 al 1949 l’autore del libro Sulla Strada lavorò alla scrittura del suo primo
libro, The Town and the City, testo che annuncia numerosi temi che saranno poi ripresi e trattati
nella versione originale di On the Road, versione che si apre con la morte del padre, avvenimento
che chiude anche il The Town and the City il secondo libro è da leggersi come la continuazione
del primo. C’è da notare che tra il 1948 e il 1951 Kerouac è alle prese con un enorme volume di
documenti che, scrive nell’ottobre 1948 sul suo diario, “lo ossessiona al punto che non può più
nasconderlo”. Il 19 ottobre dello stesso anno Kerouac scrive all’amico Hal Chase che i suoi progetti
di scrittura “lo sopraffanno, persino nei caffé, alla presenza di sconosciuti”.
Lo scrittore franco-canadese rischia di smarrirsi dentro quest’abbondanza d’idee e di particolari e si
rende conto dell’assoluta necessità di fare ordine nelle sue idee e di definire meglio i sogni da
rincorrere. Spesso fa visita a John Clellon Holmes per leggergli il libro e apprezza le
considerazioni critiche del suo amico, in particolare quelle sui personaggi che, secondo Holmes,
restavano abbondantemente nei limiti della composizione classica: “le frasi lunghe e complesse alla
Melville” non si confacevano al suo autore che provava un senso d’impotenza e di fallimento che lo
destabilizzava e lo irritava. Di fronte a queste annotazioni Kerouac appariva sempre più convinto
che le forme tradizionali erano d’impedimento alla comprensione del vero senso della sua opera.
On the Road segna così l’inizio di un processo creativo che permetterà a
Kerouac di smontare gli elementi tradizionali del romanzo per formulare un
nuovo processo di scrittura capace di renderlo libero di fronte alla pagina
“bianca”. The Town and the City mostra come la generazione del secondo
dopoguerra tendesse a disperdersi nei quartieri “equivoci e transazionali”
come dirà William Burroughs, è una contro cultura che stava emergendo a
New York in seno a quel mosaico di comunità underground in cui viveva
uno accanto all’altro scrittori, artisti, prostitute, drogati, omosessuali,
musicisti e hipster. In questi quartieri la gente si sentiva chiusa, costretta, e
aveva l’urgenza di muoversi. Anche Kerouac prova un sentimento di
smarrimento, d’incertezza. Avverte il peso della decomposizione della sua
famiglia a Lowel, il caos degli anni di guerra, la morte del padre che lasciano lui, profondamente
tradizionalista, allo sbando e che lo spingono a guardare con molta attenzione e sensibilità verso chi
è costretto ad allontanarsi, suo malgrado, dall’ambito familiare fino a perdere le proprie radici
affettive e culturali. È del tutto evidente che questo sentimento d’intranquillità, di timore e
d’insicurezza abbia ispirato Kerouac ad avere fiducia nella positiva virtù del muoversi in accordo
con quanto credono gli americani che vedono nello spostamento un modo per conoscersi meglio.
Da Walt Whitman con il suo Song of the open road a Cormac Mc Cartly con La Strada, a Jack
London con il romanzo La Strada, Diari di un vagabondo il racconto della strada ha sempre
avuto una posizione centrale nella rappresentazione che l’America fa di se stessa. Quando nel 1949
Kerouac prende la decisione di mettere la strada al centro del suo secondo romanzo, nei suoi
appunti leggiamo che la sua scelta è dettata da Dio che gli indica il cammino. E fedele al messaggio
di Dio, lo scrittore franco-canadese porrà il tema della strada al centro della sua vita.
Dal 1940 in poi Kerouac compone prima un breve racconto di quattro pagine intitolato Where the
Road begins( Là dove la strada comincia) in cui esplora il fascino potente della grande strada.
Anche The Town and the City è un racconto di strada. Il suo protagonista Joe Martin, ebbro
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dall’odore acre dei gas di scarico che si respirano sulle strade, si sente irresistibilmente votato a
intraprendere un favoloso viaggio verso ovest. Kerouac come tutti gli americani è anche lui un
nostalgico dell’ovest, sinonimo di salute, di apertura spirituale, di libertà e di gioia di vivere. In On
the Road lo scrittore però esprime il convincimento che è assolutamente auspicabile trovare, alla
fine della strada, un luogo, una dimora dove fermarsi e stabilire la residenza. Con Kerouac, questa
forma d’idealismo elementare connaturato al popolo americano decaduta a causa dei tempi assai
difficili che si stavano vivendo è ripristinata così come il desiderio di raccontare la vita di chi vive
ai margini, degli sbandati e dei delusi.
On the Road (Sulla Strada) è
anche il romanzo di Neal Cassady,
il “fratello” perduto e ritrovato di
Kerouac. Eternamente giovane,
avventuroso,
Neal
Cassady
rappresenta la parte dionisiaca di
Jack. In Visions of Cody, Cassady
è descritto come chi “sorridente,
in compagnia di Jack, guarda il
sole declinare, appoggiato con i
gomiti alla balaustra”. Ma la sua
filosofia di pazzo della velocità e
d’imbroglione fa di lui un uomo
assai pericoloso da cui a volte si
sente il bisogno di fuggire. I due
amici si sono incontrati nel 1947
ma
dovranno
attendere
il
dicembre 1948 per fare insieme
una nuova e appassionante
avventura. Con il susseguire delle
versioni del romanzo, Neal
Cassady si chiamerà Vern Pomery
Jr., Dean Pomery jr., Dean
Pomeray jr., Neal Cassady, Dean
Moriarty e in Visions of Cody
sarà Cody Pomeray. In On the
Road Kerouac precisa meglio il
suo rapporto con Neal e scrive:
”Io m’interesso a lui(Neal) come mi sarei interessato a mio fratello che è morto quando avevo
cinque anni. Per dirla tutta, insieme ci divertivamo e vivevamo la nostra vita senza punti fermi”.
Sul finire del mese di dicembre 1948, Kerouac e Cassady fanno due viaggi con LuAnna Henderson
e Al Hincle da Rocky Mount fino a Ozone Park nello stato di New York, dove abita la famiglia di
Kerouac. Dopo aver passato le feste di fine anno, il quartetto scende ad Algiers in Louisiana per far
visita all’amico comune Bill Burroughs e alla sua famiglia. Da lì Cassady, LuAnna e Kerouac
partono per San Francisco per far ritorno poi a New York. Il 29 marzo 1949 lo scrittore francocanadese viene a sapere che la casa editrice Harcourt Brace ha accettato di pubblicare il suo The
Town and the City. Kerouac è contento della buona notizia e continua a lavorare al nuovo
romanzo On the Road e a riempire i suoi taccuini di progetti. Il 23 aprile scrive all’amico Alan
Harrington per comunicargli che avrebbe continuato con impegno la stesura del suo secondo libro.
Gli raccontò tra l’altro dell’arresto di Bill Burroughs a New Orleans per possesso di droghe e di
armi, dell’arresto di Allen Ginsberg a New York con Herbert Hunke, Vicki Russel e Little Melody.
E precisò che la polizia aveva fatto irruzione nell’abitazione di Ginsberg e vi aveva trovato droga e
prodotti alimentari rubati. Tutto ciò portò Kerouac a confessare che la sua vita era a una svolta.
In maggio Kerouac parte per Denver, in tasca una somma di mille dollari ricevuta come anticipo
dell’imminente pubblicazione. È affascinato dall’idea di sistemare la sua famiglia nella dimora che
ha sognato da anni. Ma continua a non essere sereno. Una domenica di maggio scrive di avere
difficoltà, a Denver come ad Azone Park, ad avviare il progetto di scrittura di On the Road e
confessa che considera la scrittura, la sua vera passione, il suo unico lavoro. Riconosce altresì che
per fare bene questo mestiere ci voglia più impegno e determinazione. Il 2 giugno i suoi familiari
(la mamma, la sorella, il cognato e il nipote) vengono a fargli visita nella nuova casa di Denver.
Nella prima settimana di luglio Kerouac si ritrova solo perché i suoi familiari non trovandosi bene
nell’ovest erano ritornati a Ozone Park. Il 16 luglio Robert Giroux, consulente editoriale di Harcourt
raggiunge l’autore per lavorare insieme sul manoscritto The Town and the City. Kerouac rivede e
corregge e scrive a macchina una nuova versione del romanzo che intitola Shades of the Prison
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(Ombre della prigione). Esso è ispirato ai viaggi che Kerouac aveva fatto con Cassady qualche
tempo prima e alle storie che Neal gli aveva raccontato sulla sua infanzia. È facile cogliere in questa
nuova versione un sentimento di fiducia e di speranza perché l’autore sa che la pubblicazione del
suo primo libro è imminente. Un periodo dominato da un “facile ottimismo” secondo Howard
Cunnel anche se affiora un sentimento di paura dopo l’arresto e la detenzione in carcere dei suoi
amici più cari. Teme, infatti, di essere anche lui arrestato quale testimone e complice dell’omicidio
di Dave Kammerer per mano di Lucien Carr avvenuto nell’agosto del 19442. Nello stesso mese
dopo aver chiuso la casa di Denver per raggiungere Neal e Carolyn Cassady a San Francisco e aver
assistito allo sgretolamento della coppia, i due amici ritornano a New York e Kerouac riprende il
suo” incoerente lavoro” su On the Road mentre sempre con l’ausilio di Robert Giroux definisce il
suo The Town and the City la cui uscita è prevista per primavera. Nel frattempo lo scrittore
franco-canadese mette ancora mano a una versione riveduta e corretta di Shades of the Prison
House formata da cinquantaquattro pagine scritte a macchina con interlinea doppia. Il 29 agosto
Kerouac confessa di non avere il coraggio né la determinazione per portare a termine la scrittura del
suo secondo romanzo. Attraversa una fase molto critica, non riesce di capire perché suo padre è
morto e ciononostante vuole mettersi alla prova. Senza “feu ni lieu”, dopo la rottura del suo
matrimonio con Edie, si attacca a un sogno, quello di ritrovare la sua famiglia. In novembre scrive
dell’esistenza di un nuovo percorso e della necessità di ritornare a uno stile più semplice. Il
romanzo On the Road comincerà dalla prigione di New York per spostarsi poi a New Orleans e a
San Francisco e di lì a Denver per fare ritorno su Times Square a New York. I temi sono quelli
dell’incertezza della vita e dell’ossessione della morte. La ricerca del padre (morto) e di Dio
testimonia il suo convincimento che la morte è vista come la base per comprendere la vita, quella
profonda tristezza da cui non si può sfuggire. La morte di suo padre Leo, di Gerardo, suo fratello, di
Sebastiano, il suo migliore amico, la morte che prende a volte le sembianze di uno sconosciuto
brutto e deformato, che perseguita il viaggiatore in qualsiasi luogo egli vada, è in grado di colpire il
vissuto dell’uomo. Solo la scrittura può rivestire di un carattere mitico la vita, può combattere
l’instabilità della vita riducendo l’ampiezza delle sofferenze e dei problemi.
Alla fine l’esasperazione che Kerouac prova dopo essersi impegnato per più di due anni sul
romanzo che procede lentamente, si risolve con l’appello diretto a Dio affinché lo aiuti ad uscire da
questo ingombrante labirinto. Intanto Kerouac fa recapitare a Robert Giroux il suo Go on the Road
e questi, senza rifiutare categoricamente il testo gli suggerisce di rivedere la storia. Kerouac più che
dedicarsi alla revisione del testo comincia a scrivere il 20 dicembre 1950 una nuova versione che
intitola questa volta Souls on the Road (Anime sulla strada).
Occorreranno ancora sei anni perché On the Road sia pubblicato, ma nessuno degli editori
interpellati leggerà la versione definitiva. Kerouac si mette subito a rivedere il testo. Paul Maher,
suo biografo, annota che il romanzo è ormai trascritto su pagine separate per dare al testo un aspetto
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Il fatto di sangue cui si fa riferimento e che battezza nella violenza il movimento letterario della Beat Generation si
consumò lungo il fiume Hudson, nel ridente Riverside Park, vicino al West End Bar, oggi chiamato Havana Central. Si
tratta di un Bar posto di fronte alla Columbia University molto frequentato da amici e scrittori quali Ginsberg, Kerouac,
Burroughs, Lucien Carr, la fidanzata e prima moglie di Kerouac Edith Parker e David Kammerer che si innamora di
Carr. Il 13 agosto del 1944, Carr stufo delle avances aggressive uccide Kammerer al Riverside Park e ne getta il
cadavere nell’Hudson. L’arma del delitto, un coltello da boy scout, è nascosta da Kerouac e anche Burroughs aiuta
l’amico assassino. I due amici non sono mandati alla sbarra per complicità e scrivono insieme nel 1945 un romanzo sul
delitto dal titolo E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche. Jack Kerouac tornerà sull’assassinio in The Town
and the City (La città e la metropoli) e Burroughs ripara a Parigi, mentre Allen, all’epoca diciottenne e che ancora non
aveva rivelato a nessuno la sua omosessualità, scrisse tutto un diario, ricostruendo tra l’altro anche la drammatica
vicenda che cementò la nascita della Beat Generation. Ginsberg divide il diario in cinque parti che temporalmente
percorrono gli anni dal dicembre 1943 all’agosto 1945, desideri, progetti, descrizioni delle chiacchierate con gli altri
scrittori e amici del gruppo e soprattutto inizia a scrivere un romanzo, incompiuto, cui dà il titolo di Bloodsong. Qui
troviamo, per sua stessa ammissione, la versione romanzata di quella tragedia che ha visto protagonisti Carr e
Kammerer e i suoi amici testimoni increduli.
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più convenzionale, più invitante per gli editori. Lo scrittore apporta modifiche dal lato tipografico,
cancella certi passaggi, ne inserisce altri. Insomma questi interventi mirati anticipano il pensiero di
Malcolm Cowley che chiede di ridurre il manoscritto, contrariamente al pensiero dei precedenti
editori che volevano che Kerouac conservasse il suo libro nella versione originale dell’aprile 1951.
Ci sono molte ragioni che spingono Kerouac a intervenire sul romanzo On
the Road e che lo convincono a sopprimere certe scene al posto di altre. Una
delle più probabili è che col passare degli anni cresce in Kerouac il timore che
il suo libro non possa vedere la luce. Kerouac è scoraggiato anche perché
vede che Go di Holmes e Howl di Ginsberg hanno un grande successo di
pubblico e di critica. Per cui è pienamente disposto a fare tutte le modifiche
che gli vengono richieste. Per alleggerire il testo, lo scrittore franco-canadese
si dichiara pronto a sfrondare il racconto di numerose scene particolarmente
spinte riguardanti la componente omosessuale, al fine di evitare un eventuale
processo per diffamazione che avrebbe certamente ostacolato la pubblicazione
del romanzo. Così Kerouac s’impegna a limare la celebre immagine di Neal e
di Ginsberg, amanti e omosessuali dichiarati. Il passaggio corretto appare
nella versione definitiva pubblicata nel modo seguente : ”…ma che ardono, che ardono, che ardono
come favolosi ceri di chiesa gialli e che esplodono come un raggio attraverso le stelle e al centro si
vede scoppiare la luce centrale azzurra”. Questo passaggio, uno dei più conosciuti di On the Road
è un esempio del complesso processo di revisione e di riscrittura che permette a Kerouac di
attenuare il contenuto sessuale del suo romanzo con la conseguenza, però, di smorzare la
dimensione erotica dell’immagine.
Significativi quanto pesanti da sopportare sono i continui controlli di Malcolm Cowley le aggiunte
di migliaia di virgole inutili piuttosto che le soppressioni di certe scene.
Poiché non ha avuto nemmeno il tempo di leggere il testo finale prima della sua stampa, Kerouac
dichiarerà di non essere stato messo in grado di “sostenere il suo stile”. Qual è la versione migliore?
Quella sul rotolo di carta o quella pubblicata? La versione-scrool sembra chiaramente più oscura,
più problematica giacché è l’opera di un uomo più giovane: nella primavera del 1951 Kerouac ha
ventinove anni e ne avrà trentacinque quando On the Road sarà pubblicato. La storia del romanzo
raccontata dall’autunno 1948 alla primavera del 1951 è di un autore alla ricerca di una sua identità e
di uno stile intimista la versione pubblicata risente delle richieste e dei criteri stabiliti dalla casa
editrice A.A.Viking.
Il 10 giugno 1951, a fronte del fragile e irrecuperabile matrimonio di Kerouac con Joan Haverty, la
sua seconda moglie, che incinta ritorna da sua madre dopo il rifiuto del marito di riconoscere il
bambino che portava in grembo, Kerouac comunica a Cassady che “il libro è finito e consegnato in
attesa di ricevere il consenso di Giroux”. L’editore, però, insiste che il testo sia rivisto e riscritto
sotto forma di pagine. Lo scrittore franco-canadese all’inizio rifiuta categoricamente dicendo che è
stato lo Spirito Santo ad averglielo dettato. È poco probabile che Kerouac abbia corretto il romanzo
dopo questo incontro ma siamo certi che la conversazione con Giroux ha avuto il merito di far
riflettere l’autore e di convincerlo a ribattere il suo libro in una forma più convenzionale. Ora se
Giroux dichiara di apprezzare il libro, la dirigenza di Harcourt-Brace lo rifiuta perché “troppo
nuovo, troppo insolito e con le sue storie di vagabondi appassionati di musica jazz, di droghe e di
omosessuali, il romanzo, certamente, richiama l’intervento della censura”. Il 6 giugno la nuova
agente Rae Everitt scrive a Kerouac informandolo di aver letto il romanzo tutto di un fiato e di
preferire le ultime tre parti alle prime due, sostiene pure che il libro comincia in modo un po’ goffo
come se cercasse di abituare il lettore a questo suo”stile particolare” e che secondo lei il
manoscritto non dovrebbe superare le trecento pagine.
8
Dopo aver trascorso un mese circa al Veteran Hospital nel Bronx per una crisi di flebite, Kerouac
scrive all’amico Ed Wite e gli comunica che”sta scrivendo da cima a fondo l’epopea di Neal”. In
ottobre, applicando al suo romanzo la nuova tecnica del “croquis”, Kerouac incomincia a tagliare il
primo dei nove taccuini di appunti e il 9 ottobre informa l’amico Cassady che gli avrebbe
indirizzato “tre pagine dattiloscritte” della nuova e corretta versione di On the Road e che le frasi
così riviste gli sembrano più complesse.
Nell’autunno 1951 Kerouac riceve da Carl Solomon, editore presso l’A.A.Vyking Press, la proposta
contrattuale di pubblicare oltre il suo libro nella collana Ace, altri suoi testi(tre in tutto). Il 26 marzo
1952 la dirigenza dell’A.A.Vyn Press scrive a Kerouac una lettera con allegato copia del contratto
per la pubblicazione di On the Road e la comunicazione che un primo anticipo di
duecentocinquanta dollari era stato spedito alla madre e che si aveva fretta di leggere il testo
definitivo. Il 7 aprile Kerouac suggerisce all’A.A.Vyn Press di pubblicare una versione ridotta del
romanzo in formato tascabile perché teme che la casa editrice non voglia pubblicare la versione
integrale del libro.
Si apre una sorta di circuito emotivo. Holmes legge il libro provando un misto di collera e
d’incredulità, si augura che Kerouac attenui il tono e il ritmo della sua scrittura. Anche Allen
Ginsberg legge il testo. “Io non vedo come si potrebbe pubblicare questo libro” scrive all’amico
Kerouac l’11 giugno. Ci sono dei passaggi che gli sembrano essere tra i migliori in America, ma il
libro è a volte”delirante nel senso peggiore del termine” con la sua “confusione cronologica, i suoi
passaggi surreali che non hanno né capo né coda”. Carl Solomon è ancora più inorridito. Il 30
luglio scrive a Kerouac una lettera esacerbata nella quale riferisce che”le cinquecento pagine che
seguono le prime ventitré non corrispondono in niente al romanzo…Dopo la pagina ventitré, i nove
decimi (quasi la totalità) del testo gli sembrano un”guazzabuglio incoerente”.
Jack Kerouac é molto risentito e ne ha ben ragione. E difatti nel rispondere il 5 agosto alle severe
opinioni di Solomon, rileva con forza che se la nuova versione di On the Road sarà considerata
impubblicabile ciò dipenderà unicamente dalla miopia degli editori. “Accusare il libro d’incoerenza
“non è--a suo parere-- soltanto un errore in termini, ma anche una prova di vigliaccheria e di morte
intellettuale”. “Io non ho scritto On the Road -aggiunge l’autore- per vendetta o costrizione, io l’ho
scritto con la gioia nel cuore, convinto che presto o tardi, qualcuno saprà vederlo senza i
paraocchi del tempo attuale e che vi apprezzerà quella libertà di espressione che si realizzerà in un
futuro imminente”.
Solomon risponde a sua volta alla “strigliata” di Kerouac dicendo:” È possibile che abbiate ragione
quando ci accusate di non possedere il sentimento di chiaroveggenza e di lasciare guidare i nostri
gusti dalla televisione. Ma non abbiamo preteso di essere dei profeti…ed è possibile pure che il
rifiuto di pubblicare Visions of Cody nel 1952 ci esponga al ridicolo tra venticinque anni”.
La verità è che Solomon è tenuto a giudicare i manoscritti che arrivano liberamente alla casa
editrice presso cui lavora sulla base dei criteri esistenti e il romanzo di Kerouac costruito con
l’innovativa tecnica del “croquis” è una esperienza del tutto nuova, sconosciuta al comitato di
lettura incaricato di formulare un giudizio di accettazione o di rifiuto motivato.
Per Kerouac gli anni che segnano il rifiuto dei due manoscritti da parte degli editori sono anni
difficili, costellati da frequenti e repentini spostamenti che lo vedono errare tra la Carolina del Nord,
San Francisco, il Messico e New York. Sono anche gli anni di crisi economica se di ritorno dal
Messico accetta di lavorare per un po’ di tempo nel campo dell’industria tessile prima e dei trasporti
ferroviari poi ed è costretto ad abitare in una piccola stanza d’albergo nei bassifondi di San
Francisco. E tutto questo per mettere da parte del denaro che gli servirà per ritornare in Messico.
9
Nonostante la grave crisi economica e di liquidità, solo, senza una famiglia né una moglie, la sua
brillante prosa messa in atto in On the Road e in Visions of Cody non si attenua né subisce
inflessioni o contraccolpi. Anzi c’è da osservare che la sua scrittura prende più slancio e sicurezza.
In Messico finisce di scrivere il suo Doctor Sax riguardante la sua infanzia e di ritorno a Richmond
Hill scrive Maggie Cassady. É un Kerouac più soddisfatto quello che scrive a Holmes di essere
“all’apice della maturità artistica”.
Nel luglio del 1953, Malcolm Cowley s’interessa attivamente all’opera di Jack Kerouac 3.
Considera infatti Kerouac il più interessante dei nuovi scrittori e giudica la prima versione de On
the Road il solo manoscritto che poteva essere pubblicato nell’immediato. La seconda versione del
libro dello scrittore franco-canadese conteneva, a suo parere, passaggi espressi in una solida
scrittura, ma riconosceva che “non c’era alcuna traccia di una trama”. Le sue riserve riguardano il
fatto che l’autore, quando parla di sé (Sal) o di Dean (Neal) si esprime per sentenze e che su certi
episodi considerati oggettivamente tra i migliori pesa il rischio che vengano giudicati osceni. Ciò
malgrado Cowley ritiene che On the Road meriti di essere pubblicato. Si trattava soltanto di
adattarlo ai criteri stabiliti dalla Viking Press e che occorreva intervenire tagliando un po’
dappertutto. La versione che Viking rifiuta è quella composta di duecentonovantasette pagine
mentre, su proposta dello stesso Cowley, Arabella Porter, redattrice capo al New Word Writing
accetta di pubblicare il Jazz of the Beat Generation in cui ritroviamo alcuni passaggi cancellati di
On the Road e altri tratti da Visions of Cody. Jack Kerouac è abbastanza soddisfatto. Finalmente il
mondo delle lettere si sta interessando alle sue opere e scrive a Cowley assicurandolo di essere
pronto a “scavalcare il parapetto del ponte”, intendendo con questa immagine metaforica di essere
disposto a fare qualsiasi cosa per vedere il suo romanzo finalmente esposto sui ripiani delle librerie.
Cowley per risposta gli conferma che On the Road è sottoposto alla lettura attenta e scrupolosa da
parte dei consulenti editoriali e che una volta che il libro fosse ritornato nelle sue mani si sarebbe
attivato per farlo pubblicare. In attesa il critico letterario Cowley lo invita a preparare un testo breve
che possa fare da prefazione al libro perché Viking esamini il testo in modo più favorevole.
Il 16 settembre Kerouac è informato della volontà di Viking Press di pubblicare On the Road ma
alle seguenti condizioni: 1)”che noi riusciamo a fare i cambiamenti necessari(tagli e
rimaneggiamenti);2) che noi abbiamo la certezza che il libro non sarà censurato per immoralità;3)
che il libro non ci attirerà azioni giudiziarie per diffamazione”. Com’è facilmente comprensibile la
questione che più preoccupa la direzione della casa editrice e che crea in tutto il suo “entourage”
vive inquietudini riguarda la possibilità che il libro sia accusato di oscenità. I passaggi che suscitano
maggiori perplessità e paure sono quelli in cui s’incontrano personaggi rispettabili amici di lunga
data di Kerouac. Al fine di prevenire azioni incresciose ingestibili sul piano giudiziario, Malcolm
Cowley, in nome della dirigenza della Viking Press, propone che i personaggi evocati nel romanzo
firmino una sorta di documento liberatorio permettendo, di fatto, al romanzo di non cadere nelle
strette maglie della censura. Il 20 settembre nel ricordare di essere sempre disposto ad apportare
tutte le modifiche richieste al testo, lo scrittore statunitense conferma la sua piena collaborazione. Il
12 ottobre Cowley ritorna sui rischi che la pubblicazione dell’opera potrebbe generare e precisa a
Kerouac che”non basta cambiare il nome dei personaggi modificando alcuni tratti fisici per
prevenire eventuali azioni giudiziarie, se il personaggio è in grado di riconoscersi in questo o quel
3
Malcolm Cowley è stato una figura di primissimo piano nella storia della letteratura americana del XX° secolo. È a
tutti nota la stima che Cowley ha coltivato per Hemingway e per William Faulkner. Per quest’ultimo letterato ha
impegnato le sue migliori energie e capacità per ravvivare la sua reputazione in discesa con la pubblicazione per Viking
Press nel 1946 di The Portable Faulkner. Nato nel 1898 e impegnato come Hemingway nella Prima Guerra mondiale
come autista di ambulanza, Malcolm Cowley è stato redattore capo di The New Republic dal 1929 al 1944, al seguito
d’Hedmund Wilson, fino a diventare presidente dell’Istituto nazionale delle arti e delle lettere nel 1956. Consigliere
letterario presso la casa editrice Viking, Cowley ha fatto parte del gruppo di eminenti storici delle lettere sulla
“Generazione perduta”. A lui si deve l’affermazione che gli scrittori non spuntano isolatamente ma appaiono in schiere
con sullo sfondo anni relativamente vuoti.
10
dettaglio”. La questione sembra al critico letterario assai grave e crede che sia opportuno
immaginare altri modi o strategie. Per questo Cowley propone che tutti i personaggi firmino un
documento che certifichi il loro libero consenso a essere citati e a far parte del testo.
Quanto a Kerouac, è
problema riguardante le
giudiziarie è a parere suo
poiché è sicuro di
le
liberatorie
che nel frattempo è
cambiamenti necessari.
stampati
per
la
assicura la responsabile
che può ottenere la firma
citati nel suo libro, in
Moriarty e di Carlo Marx (Allen Ginsberg).
ottimista. Scrive che il
possibili
azioni
di
facile
soluzione
ottenere “rapidamente”
debitamente firmate e
pronto a eseguire tutti i
E difatti, ricevuti gli
liberatoria,
Kerouac
editoriale Helen Taylor
di tutti i protagonisti
particolare di Dean
Segue un periodo di stasi che in aggiunta alla lunga attesa di vedere pubblicato il suo On the Road
diventa per lo scrittore franco-canadese insopportabile, “con le proporzioni di un assurdo martirio”.
Ciò spinge l’autore a chiedere più volte di ritirare il suo manoscritto da Viking Press, ma ritorna
sempre sulle sue decisioni convinto che la Viking Presse sia la sola che possa dare le migliori
garanzie.
Kerouac per quasi tutto il 1956 attende la conclusione della vicenda di per sé intricata. È un
Kerouac ansioso che vorrebbe sapere di più della situazione e apprezza la sincerità di Malcolm
Cowley ma ha forti dubbi su altre persone che lavorano per Viking. Confessa di aver subito i
peggiori soprusi ma è convinto che questa situazione d’inquietudine non cambierà per niente il
tremendo sentimento che sta provando ora e cioè quello di “sentirsi già morto, di essere un morto
vivente”.
Il rapporto di accettazione definitiva che Cowley ha trasmesso alla direzione di Viking Press arriva
sul finire del 1956 e in esso Cowley rende noto che il comitato di accettazione del manoscritto ha
dovuto affrontare i problemi di oscenità e di diffamazione e che su questi due punti l’autore di On
the Road è stato collaborativo nel senso che ha operato gran parte dei cambiamenti proposti,
riducendo tra l’altro la lunghezza del testo.
Secondo il noto critico letterario Malcolm Cowley On the Road non è un grande romanzo. Il libro,
secondo lui, però riceverà una tenue accoglienza ma susciterà molto interesse presso il pubblico, si
venderà molto bene, forse molto di più di quanto auspicabile e conoscerà più ristampe anche in
formato tascabile.
Il contratto tra Jack Kerouac e la
dirigenza della Viking Press è
datato il 10 gennaio 1957 e sulla
base del documento contrattuale
Kerouac riceverà un anticipo di
mille dollari, di cui duecento
all’atto della firma, centocinquanta
al momento in cui il manoscritto è
accettato e il saldo con pagamenti
di cento dollari per sei mesi. Per
quanto riguarda i diritti d’autore
Kerouac riceverà il 10% delle
copie vendute sui primi diecimila
esemplari,
il
12,5%
sui
duemilacinquecento successivi e
poi il 15% sui rimanenti.
Il 24 febbraio Malcolm Cowley
scrive a Kerouac informandolo che
il suo nuovo romanzo, Angeli della desolazione, all’attenzione del comitato di lettura di Viking
11
Press, è stato rifiutato. Nello stesso
sarà stampato quanto prima e che
Sembrerebbe che tutto vada come
Kerouac è preoccupato per la
intentato contro Howl 4 del suo
oscenità, processo che comincerà in
inquieto che si lamenta con Keit
ricevuto le bozze definitive del suo
della foto da allegare al libro e delle
mettere in atto per la promozione
queste notizie Kerouac confessa di
paura.
tempo gli precisa che On the Road
certo venderà parecchie copie.
auspicato. Ma non è così, perché
possibile risonanza del processo
amico Allen Ginsberg, accusato di
agosto. È un Kerouac assai
Jenisson di non aver ancora
romanzo e che non è a conoscenza
azioni che la casa editrice vorrà
pubblicitaria dello stesso. Senza
sentirsi molto solo, triste e di aver
Le metamorfosi di Neal Cassady.
On the Road (Sulla Strada) è anche il romanzo di Neal Cassady,
personaggio che subisce una serie di cambiamenti che lo liberano da una
connotazione puramente romantica per diventare un simbolo, un mito. Il
contesto nel quale Kerouac incontra Cassady è rivelatore dell’importanza
personale e simbolica che rivestirà nella sua opera.. Siamo nel dicembre
del 1946, alla fine di un anno in cui Kerouac è stato ospedalizzato a causa
di una trombosi, ha perso suo padre Leo e ha subito l’annullamento del
suo primo matrimonio con Frankie Parker. Più giovane di lui di quattro
anni, Neal Cassady incarnerà la vita e la gioventù e il tentativo di superare
il carattere effimero dell’esistenza e lo stato di soggezione dell’essere rispetto al tempo. Il
sentimento della mortalità e dell’inevitabile perdita che lo ossessiona lo soffoca e che
l’accompagnerà per tutta la vita, ha origini lontane nel tempo: la morte nel 1926 di suo fratello
Gerardo di nove anni. Kerouac vede in Cassady, anche lui cattolico, il fratello la cui morte è stata al
centro della sua educazione di cattolico praticante. Nei suoi romanzi come nella corrispondenza,
Kerouac lo chiama suo”fratello”. Questo stretto legame è ancora più esplicitamente espresso nella
versione- scroll di On the Road, nel quale fin dalle prime pagine è risaltato il sentimento di perdita
4
“Urlo” è poesia epica e intimista, universale e autobiografica, legata in gran parte a fatti e situazioni vissuti da una rete
di amici scrittori come Kerouac, Burroughs, Cassady. Ogni strofa è un episodio della loro quotidianità: viaggi, discorsi,
camminate per le strade che duravano tutta la notte, bevute, sesso e droga.
Howl è diviso in quattro parti. La prima tratta della disperazione della vita e delle coscienze e, nello stesso tempo, della
gioia furibonda dell’essere vivi. È totalmente autobiografica, c’è lui, Allen, i suoi amici, le loro strade, città, parchi; e
c’è Neal Cassady, il grande non contraccambiato amore della sua vita. La seconda parte è dedicata a quello che
Ginsberg chiama Moloch(divinità antica risuscitata dal mostro-città). Il poema è scritto sotto l’effetto del peyote(sorta
di droga contenente vari alcaloidi tra cui la mescalina). La terza parte è dedicata a Carl Solomon che Ginsberg incontrò
in manicomio, dove rimase rinchiuso per quasi un anno. Tratta della pazzia, uno degli incubi della vita di Ginsberg,
segnato dalla schizofrenia della madre. La quarta parte è una specie di litania. La pubblicazione di Howl nel 1956,
considerato un poema profano sull’omosessualità e le convinzioni comuniste del suo autore scossero l’intellighenzia
americana e provocarono uno scandalo di dimensioni nazionali. Il libro fu sequestrato. Ginsberg e l’editore Lawrence
Ferlinghetti furono processati per oscenità e immoralità. Ma l’assoluzione un anno dopo fece di Allen Ginsberg l’eroe
dei contestatori. A lui s’ispirarono gli altri protagonisti del ventennio successivo, Bob Dylan, Yoko Ono, Patti Smith e
persino l’ex presidente cecoslovacco Vaclav Havel.
Per chi volesse leggere L’Urlo e altre poesie di Allen Ginsberg consigliamo il seguente suo testo, Jukebox
all’idrogeno, Ugo Guanda Editore, 2006, Parma, con la prefazione e la traduzione, testo originale a fronte, di Fernanda
Pivano, attenta studiosa della cultura e della società americana e conoscitrice in prima persona di quasi tutti gli
esponenti della Beat Generation.
12
e di abbandono provato dal giovane Jack per la mancanza del padre che condivide con Cassady il
cui padre è un misero uomo in rotta con tutti.
Neal Cassady, dunque,
occupa il posto di padre, di
fratello, di maestro e di
guida
nella
costante
ricerca di riallacciare i
rapporti con tutto ciò che
non ha più; un modo forse
per
contrastare
una
mancanza che crea in lui
una
sensazione
di
abbandono
e
d’evanescenza e anche per
superare il peso della vita.
“La vita non basta” scrive
Kerouac nel 1949 nel suo
diario. C’è una tensione tra le verità soggettiva delle origini, per lui autentiche anche se in parte
mitizzate e avvolte da un’atmosfera romantica e la realtà oggettiva che lo circonda.
La versione-scroll e quella pubblicata l’attestano. Anche quando Cassady è assente, diventa
presente perché per lo scrittore è un mito. Un amico molto stretto di Kerouac, Hal Chase, come
Cassady originario di Denver, gli aveva fatto leggere le lettere di quest’ultimo e l’aveva informato
di tutto ciò che sapeva di questo misterioso ladro di macchine che parla come un ubriaco,
dongiovanni, ragazzo di strada, giovane sposo e da poco uscito dal riformatorio. È così che Neal
Cassady aveva assunto l’aspetto di un “emarginato integrale”, incarnando l’individuo che non fa
concessioni, un personaggio “particolare” che non può che piacere a Kerouac. Anzi possiamo dire
che Cassady sarà lo strumento che permetterà allo scrittore franco-canadese di vivere un’altra
esistenza. Nel suo diario Kerouac spiega che il nuovo romanzo On the Road parlerà di “due
giovani che partono per un viaggio per trovare qualcosa che in verità non trovano” e questa è la
tematica centrale che serve a meglio caratterizzare la relazione tra lui e Cassady, uniti nel ricercare
l’essenza dell’essere e dell’autenticità. In sostanza Kerouac vede in Neal Cassady la possibilità di
accedere a un’esistenza autentica e vera, totalmente soggettiva e impulsiva, al di fuori di norme
adottate dalle istituzioni conservatrici della società e della cultura dell’epoca, che annulli gli ostacoli
del tempo oggettivo e immutevole che tengono a freno l’esperienza e l’espressione.
“Io voglio una gioia continua” scrive Kerouac su uno dei nove taccuini di viaggio preparatori a On
the Road. “Perché dovrei accontentarmi vigliaccamente di un’altra cosa?”. Quello che Kerouac
desidera è vivere una grande passione che regoli le sue relazioni personali piuttosto che coltivare
voltairemente con calma borghese il praticello del proprio giardino. Per Kerouac questa ricerca di
autenticità fa parte del dualismo che segna la sua vita e la sua produzione letteraria. Essa oscilla tra
due imperativi distinti ma ben legati, la vita familiare e i piaceri immediati, la tradizione e il
progresso, l’attaccamento al passato e le trasgressioni socioculturali. Kerouac è sempre più convinto
che nell’inseguire la vita occorra spostarsi in tutte le direzioni e mai orientarsi verso una sola. Ciò
che è fondamentale è il richiamo alla spontaneità e a un modo di intendere la vita esclusivamente
fondato sulla soggettività e sul momento. In questo modo il dominio del tempo sull’individuo è
interrotto. “Il buon momento è adesso” dice Neal e questa rottura con il tempo-oppressione è per
Kerouac il mezzo per esprimere il desiderio di superare la precarietà della sua storia personale e
quella dell’America dal passato leggendario. Attraverso le molteplici e mutevoli rappresentazioni
che ne dà, Kerouac fa di Cassady il mediatore della sua ricerca di autenticità, colui che gli permetta
di esprimere l’instabilità e l’eccitamento della sua stessa vita, le ambizioni e il dualismo a cui è
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messo di fronte. Neal/Dean è il movimento continuo che oscilla tra progetti professionali, il
matrimonio e la famiglia da un lato, e la “follia” dall’altro.
L’immagine di Neal Cassady si evolve così: dapprima mito, leggenda, ideale, poi realtà nel corso
delle esperienze che i due amici hanno insieme. Tuttavia quando la loro relazione si sbriciola, Jack
ritorna al mito, alla leggenda, all’ideale. Nel testo-scroll di On the Road, Kerouac, profondamente
deluso dall’ovest e da Neal, così spiega la ragione della sua ricerca: “Tutto ciò che volevo, tutto ciò
che Neal voleva, tutto ciò che il mondo voleva, era di penetrare nel cuore delle cose, come nel
ventre materno…All’epoca nutrivo molti sogni romantici e alzavo gli occhi verso la mia stella
sospirando. La verità è che quando si muore, si muore e finché si vive, si, si vive e queste non sono
bugie di Harvard”.
Jack Kerouac comincia col fare di Neal/Dean l’incarnazione della
potenziale autenticità, pur situandolo ai margini della società e della
cultura, lui, autore di crimini, il ”giovane pregiudicato avvolto di
mistero”, impulsivo, gli suggerisce nuovi modi di fare esperienze, e
simboleggia l’ovest da conoscere dove Jack/Sal non è ancora mai
andato.
Il viaggio da New York a San Francisco nella speranza di trovare la
vita grazie ai piaceri immediati è l’avvenimento più rilevante che
coinvolge i due personaggi. Questo viaggio è anche il momento in cui
la visione che Jack ha di Neal comincia a sfaldarsi così come anche è
riconsiderato il senso di autenticità “In quell’anno, ho perduto la
fiducia in Neal” dice Jack/Sal, abbandonato dall’amico subito dopo il
suo arrivo a San Francisco. Kerouac capisce che il “vero” Cassady è
diverso dall’immagine che ha di lui. Nel testo-scroll si evince la
separazione tra i due amici fin dall’inizio di questo cruciale viaggio
poiché lo scrittore così si esprime:”Ci aspettavamo di trovare sempre
una forma di magia, alla fine della strada. Curiosamente Neal ed io stavamo per trovarla da soli
prima della conclusione del viaggio”.
A questo punto della storia, la visione romantica che avvolgeva Neal/Dean si sbriciola. Descritto
come misero, con un dito fasciato, più che mai legato a un mondo concreto e corporeo, Cassady va
smarrendo la sua “santità” e umiltà e il testo vale più per i fatti che racconta che per la visione
romantica che vi aleggiava attorno.
E la demistificazione che ne deriva modifica di colpo la relazione che Jack, personaggio e antieroe,
tiene con Neal. Il loro rapporto diventa più distante e Jack Kerouac è consapevole
dell’irrealtà/fallimento della visione che aveva di Neal e cercherà di riscrivere la storia in una nuova
versione di On the Road dal titolo Visions of Cody che, iniziata nel maggio 1951, sarà pubblicata
postuma nel 1972. Al libro è affidata la visione evolutiva di Cassady e a Cody Pomeray, nuovo
nome di Cassady, sarà assegnato un ruolo più vasto e accurato, ricco di dettagli più concreti.
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“No ideas but in Things” (Le idee esistono solo nelle cose).
William Carlos Williams.
“ Ma che m’importa: la strada è la vita”.
Jack KEROUAC, On the Road, Libro secondo.
On the Road e la critica.
*****************************
On the Road (Sulla Strada) fu pubblicato il 5 settembre 1957 un
testo certamente non convenzionale ma che può rappresentare, a
detta di molti studiosi, una vera svolta storica nella letteratura,
nel costume e nella cultura non solo americana ma di molte
generazioni a venire.
La recensione di On the Road di Gilbert MILLSTEIN apparsa sul New York Times è il primo
commento che Kerouac legge in un bar poco prima della mezzanotte del 5 settembre 1957. In
compagnia di Joyce Johnson che lo ospitava, Kerouac era andato in un’edicola di giornali a
Broadway per poterlo leggere in anticipo. Secondo Millstein il libro è un autentico capolavoro e la
sua pubblicazione, un “avvenimento storico epocale”. Il critico elogia il virtuosismo tecnico del suo
autore e considera il romanzo come “l’espressione più chiara e più rilevante della generazione che
Kerouac stesso definì “beat” e di cui è la principale incarnazione”.
Nell’articolo su The Dharma Bums di Kerouac apparso sul The Village Voice, Allen
GINSBERG si rammarica che On the Road non sia stato pubblicato nella sua forma più
interessante ma spezzato dall’uso della punteggiatura che, a suo parere, ha modificato ritmi e swing
del romanzo rendendo l’effetto di senso più convenzionale. E tutto questo era dovuto all’intervento
dei consulenti editoriali presuntuosi operanti nelle case editrici.
Allen Ginsberg aveva apprezzato la tecnica innovativa che aveva permesso all’autore di scrivere
diversi e lunghi passaggi tra divagazioni deliranti con unaprosa brillante, uno stile del tutto
innovativo che aveva spaventato gli editori che non smettevano di accusarlo di incoerenza e che
spiegava l’esitazione a leggerlo perché temevano di scoprire un catalogo delle debolezze umane.
Jack Kerouac nel dirsi sostanzialmente d’accordo con quanto espresso da Ginsberg ribadisce che i
peggiori dubbi sopravvengono quando ci si trova di fronte a un grande libro.
Il poema Howl (L’Urlo) che Ginsberg
sicuramente influenzato dal metodo
Kerouac. L’Urlo nasce, infatti, come
scrittura in cui Ginsberg, come ha
insegue, rincorre i propri pensieri ed
ritmo. Ginsberg era, infatti, convinto
cui la mente esprime se stessa.
si apprestava a scrivere fu
della scrittura spontanea di
una lunga improvvisazione di
imparato a fare da Kerouac,
emozioni con il loro originale
che la poesia fosse la lingua con
Per John CLELLON HOLMES,
Kerouac col suo On the Road
ha manifestato” il bisogno di credere,
anche in un contesto in cui
credere è impossibile”. Holmes
sostiene che la differenza tra la
“Lost Generation”(La generazione perduta) e la “Beat Generation” consiste nel fatto che
quest’ultima”vuole credere, anche davanti all’impossibilità di farlo in termini convenzionali, come
vivere diventa ancor più cruciale del perché vivere”.
Se Millstein vede On the Road come una professione di fede in seno ad una società americana
convenzionale e priva di propositi spirituali, altri critici meno favorevoli , senza ignorare la bellezza
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e la freschezza esuberanti dello stile di Kerouac, non riconoscono alla sua opera una dimensione
spirituale.
Nel New York Times di domenica 8 settembre David DEMPSEY scrive così: “Jack Kerouac ha
scritto un libro che distrae, un libro piacevole a leggere ma che si legge come si entra in un
baraccone da fiera: i mostri ci affascinano, senza pertanto far parte della nostra vita”.
Altre critiche sono palesemente ostili. Come quella di Robert C. RUART contenuta nell’articolo
apparso sul New York World-Telegram & Sun, nel quale On the Road è visto come una
“confessione spudorata” che dura sei anni.
Il 28 ottobre, sul New Leader, William MURRAY giudica Kerouac per niente un artista giacché
per essere tale sono necessarie due qualità, il senso di disciplina e l’unità di proponimenti che la
scrittura di Kerouac non ha. Ciò malgrado On the Road resta per lui un libro importante perché
comunica direttamente e in modo non letterario un’esperienza emotiva del tempo.
Il 6 febbraio 1958, Patricia Mc MANUS, addetto stampa presso la Viking Press, parla della
necessità di tre ristampe del libro di Kerouac poiché già dalle prime letture il romanzo aveva
suscitato dibattiti e interessanti polemiche tra chi sosteneva positivamente il romanzo e chi lo
avversava. Riporta inoltre con soddisfazione che due università americane avevano inserito On the
Road nel programma di letteratura.
Il dibattito sorto attorno a Jack Kerouac e al suo capolavoro supera la normale polemica letteraria
per affrontare la “tecnica di scrittura spontanea”, tecnica che ha permesso allo scrittore statunitense
di rompere la frontiera tra biografia e fiction e di avere molti punti in comune con temi e strutture
dei grandi romanzi americani come Moby Dick di H.Melville e Il Grande Gatsby di F.Scott
Fitzgeral.
Per finire c’è da menzionare l’articolo di Robert BRUSTEIN, The Cult of unthink, pubblicato il
15 settembre 1958 nel quale Kerouac è associato ai gruppi-ribelli, emuli di Marlon Brando e di
James Dean. La Beat Generation, dice Brustein, è una generazione di giovani inaciditi e ribelli,
tutto muscoli e niente cervello, pronti a reagire con la violenza di fronte alla più piccola
provocazione. Il severo giudizio di Brustein provoca una pronta e risentita risposta da parte
dell’autore del libro. Il 24 settembre Kerouac, da sempre pacifista e antimilitarista, scrive queste
accalorate parole:” I miei personaggi non fanno parte di orde di agitatori né di bande di
delinquenti; non portano addosso coltelli. Con On the Road ho voluto scrivere un libro sulla
tenerezza tra giovani turbolenti, indisciplinati, come vostro padre ha potuto esserlo verso il 1880.
Io non ho mai, assolutamente mai, esaltato un personaggio violento. Dean Moriarty e Sal Paradise
sono due individui da non biasimare, contrariamente ai loro detrattori”.
16
JACK KEROUAC (1922-1969), il profeta della
Beat Generation.
***********************
Jack KEROUAC nasce nel 1922 da una famiglia
franco-canadese nella cittadina agricola di Lowell nello
stato del Massachusetts e muore nel 1969 a S.
Petersburg, Florida, dove si era ritirato a vivere l’anno
precedente con la terza moglie e la mamma invalida.
Di formazione cattolica il piccolo Jack cresce seguendo
rigidi principi religiosi. Trascorre la sua infanzia a
Lowell e i primi anni della maturità sull’East Coast.
Frequenta la Columbia University di New York dove
peraltro non arrivò mai a conseguire la laurea.
Abbandona tutto per inseguire la vita degli hipsters,
giovani ragazzi che vivevano al di fuori delle regole
della società contemporanea. In seguito s’imbarca come
marinaio nella Marina Mercantile e visita vari porti
atlantici e mediterranei. Dopo un anno passato in marina
torna al Greenwich Village di New York diventato il
quartiere generale di beatnicks e riprende a frequentare i suoi vecchi amici Neal Cassady,
W.S.Burroughs, Allen Ginsberg conosciuti intorno al 1950, praticando con loro quello che diventò
il modello di vita della “Beat Generation”: il nomadismo, il rifiuto dell’opulenza americana, la
ricerca di nuove dimensioni visionarie nella droga. Queste esperienze sono descritte nel suo
romanzo capolavoro On the Road (Sulla Strada) pubblicato nel 1957 e considerato per decenni
come il manifesto del movimento. Il romanzo ha molto successo e resta certamente l’opera più
riuscita di Kerouac per la novità stilistica (il tentativo di creare una prosa “spontanea” sul modello
della libera improvvisazione della musica jazz) e per i suggestivi legami col ricorrente mito
americano del tema del viaggio. Il suo primo libro The Town and the City( La città e la metropoli)
è pubblicato nel 1950. I suoi libri successivi sono The Subterraneans (I sotterranei (1958), The
Dharma Bums (I vagabondi del Dharma) 1958, che documenta l’interesse di Kerouac per le
filosofie orientali, Big Sur (1962), uno dei suoi romanzi più intensi, dominato da un forte senso
musicale della lingua e l’ultimo voluminoso romanzo di memoria, Vanity of Duluoz (La vanità di
Duluoz), (1968), tutti hanno un carattere molto autobiografico sulla scia di On the Road, ma nelle
sue ultime creazioni poetiche si nota una certa stanchezza.
Fino alla fine Kerouac visse combattendo contro il suo fisico minato dall’alcol e da una vita di
eccessi.
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“ Ed io arrancavo loro appresso come ho fatto tutta la mia vita con la gente che m’interessa,
perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono i pazzi della vita, pazzi per
parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano
o dicono un luogo comune…”.
Jack KEROUAC, On the Road (Sulla Strada), Mondadori (collana Classici Moderati).
“BEAT GENERATION”, origine del
nome e del movimento.
Con la Beat Generation si intende
comunemente un movimento letterario e sociale
che si sviluppa negli Stati Uniti tra il 1950 e il
1960. Nato a New York, influenzato da Céline
e dai surrealisti francesi, favorì quei
cambiamenti sociali e culturali che l’America
del secondo dopoguerra stimava assolutamente
necessari per far fronte alle pressanti esigenze
provenienti dalle nuove generazioni di giovani che apparivano molto delusi, sfiduciati,
destabilizzati.
Il termine inglese “beat” che cominciava a sentirsi con frequenza un po’ dappertutto legato all’altro
“generation”ha parecchi usi e per questo si presta a diversi e contraddittori significati.
Era stato usato per la prima volta a Time Square nel 1947 da Herbert Huncke, ma l’atto di nascita
ufficiale è il 1952, anno di pubblicazione di Go di John CLELLON HOLMES che è considerato il
primo racconto “beat” e dell’articolo This is the Beat Generation (New York Times Magazine, 16
novembre 1952) che segna l’inizio della divulgazione del termine “beat” e del tentativo di
classificare o meglio di etichettare un’intera generazione.
In Italiano il termine è tradotto e spiegato con varie accezioni: Beat come ribellione, Beat come
battito, Beat come ritmo, Beat come battuto, sconfitto. La sconfitta inevitabile che viene dalla
società, dalle sue costrizioni, dagli schemi imposti e inattaccabili. Beat come richiamo alla vita
libera e alla consapevolezza dell’istante. Beat come scoperta di se stessi, dei valori umani, della
coscienza collettiva, della vita sulla strada, del sesso liberato dai pregiudizi, della droga. Beat non è
politica, non è religione, nonostante sia forte la componente religiosa. Beat è libertà di essere
sconfitti, ma molto più probabilmente beat è uno dei tanti termini che non ha un vero significato
semantico ma più un significato mistico insito nell’anima battuta, beata, ritmata, ribelle di quella
generazione.
Nell’animo di Kerouac il termine inglese si è caricato di altre connotazioni
fino a identificarsi pure con il latino “beatific”. Per Jack Kerouac l’espressione
“Beat Generation” usata nel 1948 per presentare la sua “banda” di amici
(Ferlinghetti, Ginsberg, Burroughs e Corso) evocava la “beatitudine”, la
salvezza ascetica ed estatica dello spiritualismo zen, ma anche un misticismo
indotto dalle droghe più svariate, dall’alcol, dall’incontro carnale e frenetico, e
quel suono della musica be-bop, il jazz di San Francisco, sudato, vissuto e
catartico, il jazz di Charlie Parker soprannominato “The bird”, personaggio
eroico e deificato da questa generazione e di Dizzy Gillespie e di Miles Davis ammirati da tutti i
membri e sostenitori del gruppo.
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Oltre ad essere un movimento letterario provocatorio quanto innovativo, la Beat Generation è
soprattutto un gruppo di amici avidi di anticonformismo e di rivolta di fronte ad una società
americana consumistica, fragile e conservatrice che essi considerano assurda e divisiva perché
molto classista. Al gruppo originario si erano aggiunti altri tre beat, e cioè Gary Snyder, L.
Ferlinghetti (a lui si deve la pubblicazione di alcune opere beat tra cui Howl (L’urlo) uno dei più
famosi manifesti del movimento) e Gregory Corso spesso considerato il migliore della trinità Beat
che instaurerà proprio con l’autore di On the Road, il re dei beatnicks, un rapporto di odio e di
amicizia in chiave beat.
Inizialmente il gruppo di
autori uniti fra loro fin dai
tempi della Columbia
University aveva scelto
come luogo d’incontro il
Greenwich Village di New
York per discutere, fare
baldorie e per condividere
i propri lavori fino a tarda
notte, poi quando Allen
Ginsberg si trasferì nel
West Coast, San Francisco
divenne il fulcro del
movimento
beat
e
preferirono riunirsi nella
libreria
City Lights
Bookstore di Ferlinghetti
per letture pubbliche e si
caratterizzò non solo per
uno
stile
di
vita
assolutamente libero e
affrancato da “clichés” ma
soprattutto per il loro linguaggio (un vocabolario che riprende temi e parole dell’universo musicale
Jazz) e per la religione induista adottata per esplorare i mondi del subconscio.
La musica Jazz esercitò quindi su tutti gli scrittori della Beat Generation un’enorme influenza.
Giovani contestatori modularono le loro prose e versi sui battiti del jazz
esistenzialista di Charlie PARKER, secondo alcuni padre dello stile jazz
chiamato be-bop in voga nell’America degli anni cinquanta. Il Jazz, Parker
stesso e i musicisti neri che popolavano
l’America da est a ovest si ponevano due
obiettivi: liberarsi dai rigidi arrangiamenti
delle band per esprimersi e manifestare
liberamente la loro ribellione al mondo ipocritamente sorridente di
quegli anni.
Nel corso degli anni si affermò pure ma in senso peggiorativo(in
pieno maccartismo il termine era associato ai comunisti) il termine
beatnik derivato dalla fusione di beat e del satellite russo Spoutnik
che non piacque affatto a Kerouac che avrebbe certamente
apprezzato quello di hipster. Originariamente un hipster non era
il giovane cittadino appassionato della moda retrò e delle correnti
alternative ma un uomo bianco amante di jazz, di droghe e di
amore libero, la perfetta definizione del “beat”. Con la sua camicia
di taglialegna, indossata sciattamente fuori dal suo jeans slavato, con la sigaretta tra le dita e i suoi
capelli irsuti, Jack Kerouac si lascia fotografare consentendo senza volerlo a Levi’s di vendere
milioni di jeans e camice a quadri. Senza saperlo il suo look diventava una moda e costituiva
anch’esso una rivoluzione che dura ancora oggi, Jack Kerouac non amava la moda, ma si trovò con
la pubblicazione del suo capolavoro narrativo On the Road, a incarnare tutta un’epoca.
Il movimento della “Beat Generation” è sostanzialmente frutto di un’utopia che nasce all’interno di
un gruppo di amici, amanti della letteratura e insofferenti della società che vivono, delle regole e dei
tabù. I beat vogliono scappare, viaggiare, fare l’autostop ma non per un senso di fuga dalle
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responsabilità, ma per trovarsi da soli nuove regole e stili di vita. Da qui viene l’avvicinamento alla
spiritualità zen, al cattolicesimo, al taoismo che è approfondito, discusso e rimodellato in un’ottica
beat; da qui viene anche l’abuso di sostanze stupefacenti, di alcol per sedare le sofferenze, per
riunire l’io e il Tutto.
Dalla fine degli anni sessanta in poi il movimento andò pian piano scemando, come idea di gruppo,
di pari passo con la fine delle contestazioni. Lasciò dietro di sé le morti premature di Neal Cassady
e di Jack Kerouac, una lunga disapprovazione sociale e tante opere edite e inedite che attendono di
essere tradotte in molteplici lingue. E, nonostante tutto, si porta dietro la leggenda di quei ragazzi
che giravano sulle strade verso l’ignoto e che ancora oggi stimolano la fantasia di milioni di giovani
che si riaccostano al sogno, all’utopia beat, agli ideali della “generazione battuta” di cinquant’anni
fa.
Il romanzo è un”asse di molteplici relazioni”.
Jorge Luis BORGES.
On the Road e la tecnica narrativa (la prosa “spontanea”) di
Jack KEROUAC.
**********************
Che cosa determina in Kerouac l’incontenibile foga scritturale dell’aprile
1951 che lo spingerà in sole tre settimane a realizzare il suo capolavoro?
Tra le influenze fondamentali Howard Cunnel cita l’emulazione
dell’amico John CLELLON HOLMES, la prosa di Dashielle
HAMMET, il manoscritto lineare di W. S. Burroughs che si chiama
“Junk”. A tutto questo c’è da aggiungere l’importanza cruciale del testo
John ANDERSON e Cherry MARY, una lunga lettera composta di
tredicimila parole inviata da Neal Cassady che Kerouac trova sullo zerbino di sua madre a
Richmond Hill il 27 dicembre 1950 alla quale lo scrittore statunitense risponde lo stesso giorno in
modo assai empatico stimando questo trepidante racconto di una disavventura sessuale fra le
migliori cose che siano mai state scritte in America.
Con Souls of the Road Kerouac era già passato all’autobiografia senza osare ancora fare un uso
prevalente della prima persona ma ciò che lo incoraggerà e lo conforterà a farlo è precisamente il
racconto di Neal Cassady che dice “io” senza esitazione, interrotto soltanto da ciò che egli chiama
“flash-backs hollywoodiani”. Un frammento della suddetta lettera pubblicata nel libro di Cassady,
The First Third, risulta essere
molto interessante per
l’influenza che ebbe sulla prosa
di
Kerouac
che
è
“artigianale, primitiva, e ha un
certo fascino spontaneo
eroico. Cassady il 17
per metà scherzoso e per metà
marzo indirizza una lettera ad
Allen Ginsberg e lo
rimprovera per aver creato
tanto rumore intorno al
testo John ANDERSON e
Cherry MARY che l’ha
fatto tra l’altro ridere a
crepapelle perché dichiarò
di avere avuto bisogno di tre
pomeriggi e tre serate di
uso di benzedrina per scrivere
quella “porcheria”.
Non è così per Kerouac il quale
essere in grado di riunire stili
Joyce, Céline e Proust e di
del suo stile narrativo e del suo entusiasmo.
riconosce al suo amico di
degli scrittori più noti quali
saperli integrare sulla scia
20
Kerouac dice che Cassady ha scritto con una rapidità “dolorosa” che sarà poi considerata brillante.
Nelle dieci lettere che invierà a Cassady, Kerouac prenderà a prestito il suo metodo di composizione
amplificandolo e realizzando uno stile che, come nota Allen Ginsberg è quello della confidenza tra
due amici che si raccontano tutto ciò che è loro accaduto e nei più piccoli dettagli.
Per restare nell’ambito della sincerità e della verità Kerouac si serve di frasi che non seguono
necessariamente l’ordine canonico e che permettono invece l’interruzione, l’uso dei trattini, le frasi
suscettibili di dividersi, di biforcarsi. È indispensabile così che la frase sia libera, che non finisca se
non dopo parecchie pagine di ricordi, d’interruzioni, di accumulo di dettagli in modo da arrivare a
una corrente di coscienza centrata su di un solo soggetto(il racconto della strada) e su di un punto di
vista specifico(due amici che si ritrovano e si riconoscono come personaggi di Dostoïevski e si
raccontano la loro infanzia).
In On the Road leggiamo che Kerouac è sempre più convinto che Cassady diventerà un
grandissimo scrittore e che il suo secondo libro dovrà essere scritto in stile lineare con le
caratteristiche proprie della lingua orale rinunciando alla fiction e all’inquietudine per tendere
unicamente al raggiungimento della verità giacché, nota, “non c’è altra ragione per scrivere”.
Quale metodo di lavoro Kerouac ha messo in atto durante le tre settimane dell’aprile 1951?
Alcuni anni dopo Philip WHALEN ci dice che “Kerouac si sedeva di fronte alla sua macchina per
scrivere con tutti i suoi taccuini aperti sul tavolo, alla sua sinistra, e cominciava a battere a
macchina in modo rapido. Si sentiva il carrello della macchina da scrivere ritornare al punto di
partenza con continuità, regolarità e con uno scatto. Il sonaglio faceva un rumore simile a un
tintinnio e il carrello si muoveva a una velocità incredibile, più veloce di una telescrivente…Di
tanto in tanto girava una pagina dal taccuino, la guardava, la trovava priva d’interesse e
cancellava tutto o a volte una parte soltanto…E poi di fronte a qualcosa che non lo garbava,
metteva un’interiezione, rideva e continuava divertendosi come non mai”.
Secondo Holmes Kerouac si sistemava in una stanza”carina e spaziosa” a Chelsea. I suoi taccuini, i
suoi promemoria, le sue lettere erano posti accanto alla macchina per ricordargli l’ordine dei
capitoli. Il foglio di cui si serviva non era carta per telescrivente ma carta da disegno abbastanza
fine che aveva ereditato dal suo amico Bill CANNASTRA, morto in un incidente di metropolitana.
Per scrivere velocemente senza fermarsi Kerouac ebbe l’idea d’incollare i singoli fogli tra di essi in
modo che i fogli assemblati diventassero un’unica pagina con la stessa lunghezza. I segni di matita
e le intaccature prodotte dalle forbici sono ancora visibili sulla carta-scroll. Il testo si compone di un
solo paragrafo e si divide in cinque libri. La leggenda vuole che Kerouac abbia scritto il suo
romanzo On the Road sotto l’effetto della benzedrina. L’autore smentisce questa notizia quando
confida a Cassady di aver scritto il suo romanzo sotto l’effetto del caffè e ribadisce il principio “né
benzedrina, né erba, niente vale il Caffè per dopare la mente”.
Scrive in media seicento parole al giorno e dichiara di averne scritte dodici mila il primo giorno e
quindicimila l’ultimo, Kerouac trova la prima linea del testo esitante ma è certamente la sola poiché
il romanzo avanza e si sviluppa in uno stile intimo, discorsivo, sciolto e vero, con personaggi che
portano il loro vero nome. Kerouac distrugge la distinzione tra lo scrittore e “l’io” del racconto. Si
va affermando così quella tonalità intima, sincera ed empatica che Ginsberg chiamava “il discorso
che viene dal cuore”.
Da un lato l’incandescente energia di Neal dall’altro la ricerca di dare risposte a quelle questioni che
affollano la mente durante il sonno e che riempiono le sue monotone giornate. Che cos’è la vita?
Che cosa vuol dire essere vivi quando la morte, questa sconosciuta donna velata, ci assilla? Dio
mostrerà un giorno il suo volto? E ancora, la gioia può dare scacco alle tenebre?
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La lettura del romanzo non ci assicura risposte. Esso ci conferma però che la ricerca è di natura
interiore. E le lezioni che lascia la strada, la magia dei paesaggi americani attraversati con
entusiasmo servono ad illuminare e ad amplificare ogni forma di spostamento. Kerouac scrive per
farsi capire; la strada è la via della vita.
È evidente a tutti la complessa e intima condizione dell’uomo Kerouac. Fin dal 1948 lo scrittore
statunitense sente il bisogno di andare dentro se stesso più profondamente che sia possibile, giù giù
dove le parole nascono da sole, sempre alla ricerca, Kerouac si convince che questo è il modo di
scrivere più autentico, “incontrollabile, spaventoso e terribile” annota nel suo taccuino il 16
novembre. Ed è alla fine di questo taccuino del 1948 che Kerouac si sente di ringraziare Dio per il
dono di questa nuova scrittura che in lui, come in tutti gli scrittori della Beat Generation, è tutt’uno
con la vita stessa.
Questo guardare dentro se stessi, questo non programmare quello che si scriverà tra un istante è un
atto pericoloso, perché potrebbe rivelare qualcosa di noi che non ci piace che addirittura per
Kerouac, potrebbe spaventarci, ma che è necessario scrivere. Perché, come scriverà nel taccuino del
1949,”la vita non è abbastanza”, anche se la scrittura è da lì che nasce. È tra il 1949 e il 1950 che
Kerouac riflette più a mente fredda sul suo nuovo modo di scrivere. In un appunto del novembre
dello stesso anno scrive a stampatello:”NON SONO LE PAROLE CHE CONTANO, MA L’IMPETO
DI VERITA’ CHE SE NE SERVE PER I SUOI SCOPI”. E nel febbraio del 1950 entra più nello
specifico della stesura di On the Road:” On the Road è il mezzo attraverso cui, quale poeta lirico,
profeta laico e artista responsabile voglio evocare la melodia indescrivibilmente triste della notte
americana. I motivi che mi spingono a farlo non sono mai più profondi della musica stessa”. Ed è
durante quest’anno il primo accostamento che Jack comincia a intuire più che a sistematizzare tra
il jazz e la prosa spontanea, “un’arte che esprime lo spirito della mente e non quello della vita è
un’arte morta. Questo accade quando una forma d’arte descrive se stessa invece della vita”.
È del tutto evidente che Jack Kerouac è alla ricerca di una scrittura in cui identificarsi totalmente
che fosse in grado di essere tutt’uno con la storia che s’intende raccontare, un metodo di scrittura e
di composizione centrato sull’improvvisazione, sul trasferimento di segrete idee verbali nella
scrittura separata da trattini che corrispondono al prendere fiato del musicista jazz. Kerouac parla
continuamente di mente, d’immagini della mente, mai di emozioni, sentimenti; non si tratta, infatti,
di esprimere le emozioni ma le immagini che spontaneamente la mente produce e che a loro volta
producono le parole. Questo è il meccanismo spiritual-psicologico-letterario messo a punto da
Kerouac:”Mai ripensarci per migliorare o mettere ordine nelle impressioni perché la scrittura
migliore è sempre quella più personale e dolorosa, strappata, estorta alla calda culla protettiva
della mente”.
Jack Kerouac era quindi convinto che fosse la “visione” a dettare le parole, a dettare la struttura
stessa del discorso, a raccontare la “sua” storia. In questo senso la prosa di Jack, facendo appello
allo spirito che è in ognuno di noi, diventa prosa religiosa e la prosa spontanea che Kerouac
teorizzò, non può essere catalogata come”prosa sperimentale”. Nella visione di Kerouac tutti i suoi
romanzi erano un unico work in progress, senza inizio e senza fine. Un unico racconto di quello che
è lo spirito dell’uomo. Non la sua psicologia. I romanzi di Kerouac non sono romanzi psicologici, il
loro intento non è quello di spiegare la mente umana, bensì di raccontarla.
Ciò detto, On the Road rappresentò la prima prova che il metodo della prosa spontanea poteva
funzionare, anche se incontrò riserve e fu oggetto di giudizi critici.
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Particolarmente severo fu Carl Solomon, consulente editoriale presso la A.A.Viking Press e
destinatario della dedica di Howl di
Allen Ginsberg, quando rifiutò
l’accettazione del testo On the
Road di Kerouac perché vi vedeva
“un “guazzabuglio incoerente”.
Solomon, il consulente e critico
editoriale, sostiene che un romanzo
è pubblicabile se è coerente cioè se
esso mostra unità nelle sue strutture
linguistiche ed è portatore di un
chiaro e affascinante messaggio.
Ora, Kerouac contesta questo
pensiero affermando che non esiste
un testo inintelligibile e non ci sono
lettori dalle capacità percettive
limitate. Secondo lo scrittore francocanadese i racconti innovatori come
il suo On the Road diventano
comprensibili dopo che il tempo ha
fatto passare la loro singolarità nelle convenzioni. La posizione di Solomon è condivisa dalla
Nuova Critica, teoria letteraria dominante nell’America degli anni cinquanta. In conformità alle
strategie d’interpretazione formulate da Cleanth BROOKS e Robert PENN WARREN, questa
Nuova Critica situa il senso nelle qualità intrinseche delle opere letterarie, in particolare nell’unità
delle loro molteplici strutture linguistiche. In altre parole, i criteri della Nuova Critica e gli
argomenti di Solomon situano il significato all’interno dell’opera. Pur sforzandosi di mettere in
bella copia le sue idee Kerouac capisce che la storia del dopoguerra che vuole raccontare non potrà
mai realizzarsi pienamente all’interno delle convenzioni narrative esistenti. Per superare questa
difficoltà lo scrittore statunitense sottolinea sui suoi taccuini preparatori a On the Road che c’è
bisogno di una struttura differente e di uno stile diverso da quelli utilizzati per scrivere The Town
and the City.
Evitando assolutamente il racconto convenzionale, Kerouac ricerca altre soluzioni sperimentali in
materia di tecnica e d’intreccio. Capisce cioè che il suo progetto non produrrà un romanzo ma
sfocerà in un racconto in prosa di tipo ibrido. Egli abbandonerà quindi le tecniche convenzionali
sulle quali poggia il suo The Town and the City per essere” libero come lo è stato Joyce” di
comporre On the Road. Kerouac scrive che il romanzo non lo interessa e vuole allontanarsi dalle
sue leggi. Suggerisce con questo che il romanzo è un insieme di convenzioni identificabili, di leggi
che non gli saranno di nessuna risorsa per scrivere la storia che ha in testa. Nel rifiutare il romanzo
come “forma europea” Kerouac pone il principio di ciò che chiama una nuova prosa americana.
Assiduo lettore di Whitmann secondo cui il nuovo scrittore americano attingerà ai dialetti indigeni
degli Stati Uniti per produrre scritti autenticamente americani, Kerouac sostiene che per conseguire
una sostanza spirituale più profonda sia assolutamente necessario fare ricorso alla poesia epica e che
l’associazione di elementi poetici e di elementi prosaici darà più vigore alla sua prosa poiché
permette le trasformazioni più radicali del racconto. Nel suo giornale di viaggio preparatorio a On
the Road egli scrive di aver iniziato a lavorare sulla poesia e che la sua prosa è cambiata e la sua
struttura è più ricca, un modo di procedere assolutamente necessario se On the Road vuole essere
un romanzo-poema o meglio un poema narrativo o anche una “rapsodia epica”.
Nel 1949 sul suo diario lo scrittore statunitense presenta il suo progetto narrativo come una sorta di
epopea, allontanandosi dal racconto europeo per scrivere i capitoli dei suoi libri in modo scrupoloso
e accurato. È convinto che debba adottare una nuova tecnica di composizione se vuole fare uso
della struttura “tentacolare” necessaria al suo romanzo On the Road. Oltre alla tecnica, Kerouac
innova dal lato dell’intreccio preferendo le culture e le pratiche marginali in America, pur sapendo
che questa sua scelta avrebbe attirato aspre polemiche. La sua poetica populista, il convincimento
che un’arte che non è per tutti è un’arte morta, era e resta impopolare nel mondo delle lettere.
Sceglie un autostoppista per protagonista, non per testimoniare le sue esperienze sulla strada ma per
ragioni estetiche.
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Secondo Jack Kerouac la vita è una serie di”deviazioni regolari” che ci allontanano dal
raggiungimento della finalità ultima. E le deviazioni che si susseguono sono come tante svolte che
dobbiamo seguire per realizzare una rivoluzione che sia coerente e completa. Questa filosofia guida
i viaggi dei protagonisti e domina i loro sforzi perché trovino un senso ai loro continui movimenti e
ai loro progetti contrastati. Nonostante la loro frustrazione Jack e Neal continuano a ricercare la
vita, quell’evanescente stato di coscienza che poteva dare un significato alle loro divergenti
esperienze.
Nonostante le difficoltà e le incertezze del suo progetto”tentacolare” Kerouac si lascia sedurre dal
favoloso obiettivo di andare dritto alla meta, considera fallito l’uomo che punta sulla linearità e
l’unità delle proprie azioni. Di fronte alle variazioni-sorprese che la vita manifesta quasi
quotidianamente e che assai spesso ci dirottano verso altri percorsi, Kerouac, impaziente di andare
avanti, capisce che non è il percorso previsto che conta quanto il suo conseguimento dello scopo
finale grazie alle modifiche successive e impreviste dell’itinerario, accettando come parte integrante
dell’esperienza che l’orizzonte di senso si sposti, allora si può avanzare e dirigersi infine dove si era
pensato di arrivare.
Queste deviazioni dette “a catena” vedono il lettore e non più il testo come luogo di senso. Invece
di funzionare come un’opera che racchiude il suo significato all’interno di strutture ermetiche e
impermeabili, il racconto di Kerouac implica il lettore nel processo di ricerca di senso
confrontandolo con strutture insolite.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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