CAPITOLO IV – Prima Parte LA RESTITUZIONE DEI BENI CULTURALI ILLECITAMENTE ESPORTATI DAL TERRITORIO DI UNO STATO DELL’UNIONE LA DIR. 93/7 CEE ED IL DIRITTO NAZIONALE 1. Le due fonti sovranazionali. Premesse. In questa parte del Corso trattiamo di due fondamentali fonti del diritto di ispirazione europea e sovranazionale per il nostro settore, aventi entrambe per oggetto la restituzione – in generale – di beni culturali illecitamente usciti da uno Stato dell’Unione. Una precisazione, però, è quanto mai necessaria, in vista del tema che ci accingiamo a trattare; ed è una precisazione assolutamente coerente con le avvertenze che fin qui abbiamo più volte fatto, a proposito della scarsezza quantitativa delle disposizioni tecnicamente di diritto europeo in tema di tutela dei beni culturali. Infatti le fonti, delle quali qui parleremo (la Direttiva 93/7/Cee e la Convenzione UNIDROIT di Roma del 24 giugno 1995), solo in un senso ampio possono entrare a far parte di un programma di legislazione europea dei beni culturali. La Direttiva, evidentemente, pur se emanata in sede centrale, è stata ampiamente recepita nella legislazione nazionale, per confluire oggi in una serie di articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio (gli artt. 75-86 precisamente); la natura di “diritto europeo” resta, dunque, nei motivi ispiratori, anche se tecnicamente lo studio della materia dovrebbe essere riservato al cultore del diritto interno. Limitandoci, per ora, a segnalare proprio la ratio (il “motivo ispiratore”) di tale Direttiva, possiamo osservare che essa venne formulata per temperare le preoccupazioni, derivanti dall’apertura delle frontiere al mercato, in relazione ad un possibile depauperamento del patrimonio nazionale. Il fatto di rendere possibile la libera circolazione delle merci, nella quale nozione astrattamente rientrano i beni culturali, faceva cioè temere il peggio, specialmente per quei Paesi tradizionalmente individuati come depositari o custodi – per nuove scoperte – di un gran numero di beni di rilevo (Spagna, Italia, Grecia ...). La Convenzione UNIDROIT (ratificata in Italia con la Legge 7 giugno 1999, n. 213), poi, ancor meno rientrerebbe nello spettro d’indagine dello studioso del diritto comunitario, poiché si tratta di una normativa convenzionale internazionale alla quale hanno volontariamente aderito e dato ratifica singoli Paesi di tutti i Continenti, non solo dell’Unione. In questo caso, però, dal momento che le disposizioni di attuazione nazionale della Convenzione hanno un concreto impatto sulla circolazione e sulla restituzione dei beni anche tra e verso Paesi dell’Unione (qualche volta costituendo strumento alternativo alle stesse regole derivanti dal recepimento della Direttiva citata) conviene qui trattarne del pari. L’analisi dovrà perciò procedere, con ordine, guardando anzitutto alle disposizioni del diritto italiano che traducono oggi la Dir. 93/7/Cee. 1 2. Gli artt. 75-86 del Codice dei beni Culturali e del Paesaggio che recepiscono attualmente la Direttiva 93/7/Cee. L’identificazione del bene. Il primo comma dell’art. 75 del Codice, in linea con quanto era possibile nella previsione dell’art. 13 della Direttiva 93, pone anzitutto un limite temporale di applicazione. Infatti, la disciplina sulla restituzione è dichiarata applicabile ai beni usciti illecitamente da uno Stato membro solo a partire dal 1°gennaio 1993. In questa disposizione si evidenzia la prevalenza accordata all’esigenza di tutelare le situazioni pregresse - quelle cioè verificatesi prima di quella data - rispetto al fine di tutela dei patrimoni dei singoli Stati. Lo stesso comma pone anche un primo problema interpretativo, consistente nell’esatta attribuzione di significato all’espressione “usciti illecitamente” con riferimento al bene culturale. In questa dizione si debbono ritenere compresi: - i beni usciti dallo Stato membro a seguito di reati come, per esempio, il furto del bene1; - i beni usciti in violazione delle regole dello Stato – del quale il bene fa parte – sulla protezione del patrimonio culturale, o del Regolamento Cee 3911/92 studiato nelle parti precedenti; - i beni che, pur esportati regolarmente in modo temporaneo, non sono rientrati nel termine previsto nello Stato di origine; - i beni per i quali è stata rilasciata autorizzazione all’esportazione temporanea, ma non sono state rispettate le prescrizioni adottate dalla pubblica Autorità col provvedimento autorizzativo (per esempio, prescrizioni in ordine alla custodia, alla conservazione del bene, etc.). Bisogna subito precisare qualcosa, però, sull’eventuale rilievo della violazione del Regolamento Cee 3911/92. Sappiamo che questo regolamento si applica solo alle vicende della circolazione da uno Stato dell’Unione ad uno Stato extracomunitario, mentre la Direttiva si potrà applicare solo in quegli Stati – dell’Unione! - che l’hanno recepita. In altri termini, è chiaro che, se il bene si trova in Australia, non può certo chiedersi la restituzione ai sensi della normativa che stiamo commentando. Tuttavia, potrebbe essere accaduto che un bene sia stato illecitamente esportato fuori dall’Unione, e successivamente sia rientrato in un altro Paese: solo questo è il caso che si confà perfettamente all’ipotesi della violazione del Regolamento stesso2. Altro e distinto problema è quello relativo alla qualificazione del bene culturale, in ragione del necessario coordinamento da operare tra le disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dello stesso art. 75. Il secondo comma recita : “sono considerati beni culturali quelli qualificati ... (in base alle norme dello Stato richiedente) ... come appartenenti al patrimonio Si noti che la Conv. UNIDROIT distingue anche terminologicamente il “ritorno”, che si riferisce solo ai beni illecitamente esportati in violazione delle regole relative, e la “restituzione”, che si applica ai beni rubati. In parte queta normativa si sovrappone e si coordina con quella della Direttiva che stiamo commentando nel testo. 2 Chiariamo con un altro esempio; esporto dall’Italia senza autorizzazione ex Reg. 3911/92 un bene a Panama; successivamente il bene viene esportato da Panama nel Belgio: posso chiedere la restituzione al detentore attuale nel Belgio ai sensi della Direttiva 93/7. 1 2 culturale nazionale ...”, mentre il terzo comma precisa che “La restituzione è ammessa per i beni culturali ricompresi in una delle seguenti categorie : a) beni indicati nell’allegato A; b) beni facenti parte di collezioni pubbliche, inventariate in musei, etc. ... c) beni inclusi in inventari ecclesiastici”. I giuristi hanno elaborato due tesi in proposito, per coordinare convenientemente i due commi. Per una prima opinione, dovrebbe prevalere l’indicazione del secondo comma, nel senso che si potrebbe perciò richiedere la restituzione di un bene, sol che esso sia parte del patrimonio culturale di uno Stato richiedente secondo la relativa legislazione. In pratica, basterebbe che, per esempio, un bene fosse qualificato dall’ordinamento francese come culturale, e la Francia ne potrebbe richiedere la restituzione, ove illecitamente uscito dal suo territorio. A questa interpretazione osta però una circostanza ben precisa, che consiste nel fatto che, così opinando, si presupporrebbe un reciproco riconoscimento dei diritti degli Stati membri, che non è consentito. In altri termini, nell’esempio fatto prima, potrebbe darsi che la Francia richieda la restituzione, poniamo, all’Italia, poiché il bene qui si trova. Ma il bene culturale per l’ordinamento francese potrebbe anche non essere tale per quello italiano: questo significa che l’Autorità statale italiana, se ordinasse la restituzione, si adeguerebbe ad un diritto che non è il proprio, quello italiano, ma a quello francese; e ciò non è possibile. E’, piuttosto, preferibile un’altra soluzione, proposta da chi intende coordinare le disposizioni del secondo e del terzo comma, nel seguente significato: il bene di cui si chiede la restituzione deve rientrare nel patrimonio dello Stato richiedente e – inoltre – far parte dell’elenco proposto nell’Allegato A o di quelle fattispecie delle lettere b) e c) dell’art. 75, terzo comma. Per questa soluzione, guardando ad un possibile esempio, per un dipinto (già in proprietà privata di un cittadino italiano) che si trova – immaginiamo - in Germania, la restituzione potrà essere accordata se: 1. il bene è di interesse culturale per la legislazione italiana; 2. il suo valore è superiore a 139.794,00 euro. Deve, poi, osservarsi che il bene può essere dichiarato di interesse culturale anche dopo la sua uscita dal territorio nazionale (ai sensi del secondo comma, sempre, dell’art. 75 del Codice); la ragione della disposizione è evidente: potrebbe darsi che di un bene, di grande interesse, sconosciuto al nostro patrimonio, si abbia notizia per la prima volta solo quando ormai si trova in terra straniera. Potrà operarsi dunque prima la dichiarazione di interesse per quel bene, e successivamente – ricorrendo le altre condizioni – chiederne la restituzione. Siamo al punto in cui una prima critica sulle parti fin qui trattate può brevemente proporsi. Un punto dolente sembra essere, come per altre circostanze, il fatto che il bene esportato debba avere un certo “valore” secondo l’Allegato “A”; e le variabili relative al “valore” (valore di mercato, prezzo di mercato, rilievo artistico effettivo, differenza di valori da località a località ...) consiglierebbero, piuttosto, l’adozione di criteri più elastici, meglio se senza alcun indicazione di “valore” del bene culturale, analogamente a quanto è avvenuto per la Convenzione UNIDROIT che tra poco vedremo. 3. Segue: l’attività di collaborazione e l’esercizio dell’azione di restituzione. 3 L’art. 76 del Codice precisa poi la competenza, per le attività delle quali stiamo parlando, del Ministero, nelle sue varie articolazioni centrali e locali (Soprintendenze, etc.). La stessa disposizione assicura la cooperazione con gli altri Stati dell’Unione, consistenti in attività sia preventive (in questo senso si legge la notifica del rinvenimento di beni culturali sul nostro territorio, per i quali può presumersi un’illecita uscita da altro Stato membro; o la disposizione di ricerche del bene, etc. ...), sia genericamente successive all’individuazione del bene (disposizioni di custodia, conservazione, etc.). Dall’art. 77 in poi è articolata la disciplina dell’azione in senso proprio. Ovviamente, la nostra legislazione ha recepito la direttiva presupponendo come situato in Italia il bene richiesto da altro Stato. La legittimazione attiva compete allo Stato straniero dell’Unione dal quale il bene culturale è illecitamente uscito. Quando nel diritto processuale si parla di legittimazione, si intende con questo evidenziare chi può esercitare l’azione in giudizio; la legge fissa sempre i criteri o individua direttamente quali sono i soggetti legittimati ad agire nel processo. La singolarità della nostra disciplina appare dal fatto che non è il proprietario del bene ad agire, ma lo Stato; potrebbe apparire naturale, infatti, che se un bene sia stato rubato ad un cittadino spagnolo, che ne è proprietario, sia lo stesso cittadino a poter agire in giudizio. Qui, in realtà, l’interesse generale a proteggere i beni della cultura trova direttamente nello Stato il soggetto destinato ad attivare le tutele giudiziali, pur se ciò riguardi anche il caso particolare della proprietà violata, etc. ... Tra l’altro, questo consente di separare nettamente l’eventuale azione per l’accertamento dell’effettiva proprietà del bene, che avverrà solo dopo la restituzione del bene allo stato richiedente. E’ prioritario, infatti, che uno Stato abbia interesse a recuperare un bene indipendentemente da altre questioni sulla proprietà; né, d’altro canto, è infrequente il caso in cui il proprietario del bene l’abbia fatto uscire dal territorio nazionale proprio in quanto lo ha venduto ad uno straniero ... Qui si conferma qual è la vera preoccupazione della Direttiva che ha ispirato la normativa di cui trattiamo: essa consente di perseguire, anzitutto, l’intento di restituzione materiale del bene allo Stato di provenienza, allo scopo di mantenere o di ricostituire l’integrità violata del patrimonio di una Nazione. Successivamente, sarà il diritto nazionale di ciascuno Stato (che ha ottenuto la restituzione) a fissare il destino giuridico del bene (vedremo, in proposito, proprio l’art. 83 del Codice). Una prima differenza si coglie, dal complesso del discorso ora fatto, in relazione alla Convenzione UNIDROIT: là è legittimato lo Stato per i beni illecitamente esportati; ma è legittimato il singolo proprietario per i beni rubati. Quanto alla competenza del Tribunale, essa si determina sulla base del criterio della rei sitae, relativo cioè a dove si trova la cosa. Anche questo è un aspetto di diritto processuale, ovviamente; la legge, per sapere a quale giudice ci dobbiamo rivolgere per far valere i nostri diritti, sul territorio nazionale, ci fornisce vari criteri. In questo caso, sarà appunto il Tribunale competente per territorio rispetto al luogo ove è collocato il bene culturale illecitamente esportato3. La competenza per territorio dei tribunali è – grosso modo – corrispondente all’area della circoscrizione relativa, identificabile di solito con la Provincia dove il Tribunale ha sede. Per esempio, se un bene del patrimonio tedesco si rinviene a Castiglioncello, frazione di Rosignano, sarà competente il Tribunale di Livorno, presso il quale agirà il Governo della RFT ... 3 4 La citazione, che è l’atto introduttivo del giudizio, deve anche contenere un atto descrittivo del bene di cui si richiede restituzione, che ne certifichi la qualità di bene culturale; e deve altresì contenere una dichiarazione delle autorità competenti dello Stato richiedente che ne attesti l’illecita uscita dal territorio4. La citazione deve essere notificata al detentore o al possessore a qualsiasi titolo del bene (può essere, ad esempio, il privato collezionista che lo custodisce nella propria abitazione; il gallerista o la casa d’aste che lo ha ricevuto per mandato a vendere, etc ...), nonché al Ministero dei beni culturali, che ne annota la richiesta (tecnicamente tale formalità si dice “trascrizione”) in un apposito registro. L’art. 78 stabilisce i termini di decadenza e di prescrizione dell’azione; per quanto qui interessa, il significato di questi due termini può ritenersi analogo, trattandosi di due simili modi di perdita del diritto (qui, del diritto di agire o alla restituzione), se esso non viene esercitato per un certo tempo. Lo Stato deve promuovere l’azione entro un anno da quando ha avuto conoscenza di dove si trova il bene e di chi ne è il possessore o detentore. In ogni caso, l’azione si prescrive (non si può dunque più agire in assoluto, in giudizio) se sono passati più di trenta anni dall’uscita del bene dallo Stato che ne fa richiesta, anche se per alcuni beni l’azione non si prescrive (beni di collezioni pubbliche, etc., indicati nell’art. 75, comma 3, lettere b) e c) del Codice). Per comprendere meglio: se venne rubato in Francia un dipinto di rilievo culturale di proprietà di un privato nel 1994, con esportazione in Italia, ci sarà tempo fino al 2024 per chiederne la restituzione da parte della Francia. Se lo stesso dipinto fosse appartenuto a collezioni pubbliche, non ci saranno limiti di tempo imposti al Governo francese per chiederne la restituzione. Vi è di notevole, ulteriormente, nella disciplina nazionale che ha oggi tradotto la direttiva, la disposizione relativa all’indennizzo, che è costituito da una somma accordata dal Tribunale al soggetto che sarà tenuto a restituire il bene. Ciò è stabilito dall’art. 79 del Codice, dove si pone in rilievo, secondo una tendenza costante della legislazione europea e nazionale, la necessità che – comunque – il soggetto che chiede l’indennizzo provi di avere agito all’atto dell’acquisto con la diligenza necessaria a seconda delle circostanze. Per esempio, l’acquisto effettuato da soggetto commerciale particolarmente qualificato, che magari ha avuto anche la pessima iniziativa di unire false documentazioni di legittima circolazione autorizzata del bene, potrà senz’altro giustificare un apprezzamento positivo dell’atteggiamento dell’attuale proprietario-detentore-possessore obbligato a restituire il bene. Non avverrà ciò se, per esempio, io abbia comprato il bene da un losco figuro che, nottetempo, mi abbia proposto in luoghi equivoci l’”affare della vita”, vendendomi a buon prezzo del vasellame attico già del patrimonio culturale della Repubblica di Grecia ... In ogni caso l’eventuale indennizzo non corrisponde ad un risarcimento in senso tecnico; non potrò, per esempio, pensare di recuperare integralmente spese sostenute, prezzo pagato, etc.; ma esso sarà fissato secondo equità dal Tribunale. L’eventuale somma è pagata dallo stato che richiede la restituzione nel momento della riconsegna dello stesso. Per esempio, potrà allegarsi un provvedimento di diniego all’esportazione ... Ma sarà sufficiente la semplice dichiarazione delle Autorità (i Ministeri della Cultura od organi equipollenti secondo la legislazione di ciascuno Stato) sull’illecita uscita del bene. 4 5 Gli ultimi articoli che vediamo con una descrizione un minimo attenta sono, infine, l’art. 82 e l’art. 83, che si occupano di aspetti legati all’avvenuta restituzione di un bene, questa volta, all’Italia, anche se limitatamente, com’è ovvio, a questioni che il diritto interno può trattare: l’individuazione degli organi chiamati a chiedere la restituzione allo Stato estero dell’Unione e la destinazione del bene una volta che questo è rientrato. Quanto agli organi, il Ministero dei beni culturali agisce presso il giudice straniero di concerto con il Ministero degli esteri, avvalendosi dell’assistenza dell’Avvocatura dello Stato. Una volta ritornato il bene, se questo non appartiene allo Stato (ma, poniamo, è di un privato), il Ministero provvede alla custodia, le cui spese saranno addebitate a chi, poi, otterrà materialmente la restituzione (il proprietario italiano privato, per es.). Anzi, il rimborso è indispensabile per poter riavere il bene. Se non si sa, invece, chi sia il privato proprietario, il Ministero dà pubblicità alla restituzione con avviso sulla Gazzetta Ufficiale e con altri mezzi di comunicazione; se passano cinque anni invano (dalla pubblicazione nella Gazzetta), il bene è acquisito al demanio dello Stato Italiano, che lo assegna ad una struttura idonea ad assicurarne la tutela e la pubblica fruizione. 6