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30-09-2011
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Europa
Chiese
Restituzioni
D
urante l’estate si è rimesso in moto in
diversi paesi dell’ex blocco comunista
il processo di restituzione alle Chiese
delle proprietà nazionalizzate durante il comunismo o la fondazione dello stato nazionale, per effetto anche della pressione esercitata dall’Unione Europea sui paesi interessati
all’adesione.
Serbia. In Serbia è all’esame del Parlamento una Proposta di legge sulla restituzione dei beni confiscati e sull’indennizzo,
per soddisfare una delle condizioni poste
dall’UE al paese per ottenere lo status di
candidato, e l’approvazione è attesa per la
metà di ottobre. Il valore stimato dei beni
confiscati dal regime comunista dopo il 1945
e che lo stato dovrà restituire è intorno ai 4
miliardi di euro. Il premier Tadi, che ha impresso all’adesione un’accelerazione facendo
approvare in Parlamento la mozione di condanna per il massacro di Srebrenica (cf. Regno-att. 9,2010,238) e poi con la consegna di
Ratko Mladic alla Corte penale internazionale, si aspetta di ottenere lo status di paese
candidato entro il 2011 e l’apertura dei negoziati di adesione all’inizio del 2012. Se venissero rispettati i tempi seguiti dalla vicina
Croazia, la Serbia potrebbe entrare nell’Unione nel 2020. Rimane tutto da affrontare
l’enorme scoglio dei negoziati sullo status
del Kosovo.
Nel merito della proposta di legge sulla restituzione dei beni confiscati, tuttavia, le
Chiese e comunità di fede «storiche» (Chiesa
ortodossa serba, Chiesa cattolica, Chiesa evangelica slovacca, Chiesa riformata, Chiesa evangelica, comunità islamiche ed ebraiche) hanno
criticato il passo in cui si prevede che – qualora non fosse possibile restituire i beni originariamente espropriati – sarà possibile compensarli con altri diversi o con obbligazioni.
Repubblica ceca. La Cechia è tra i pochi
paesi dell’ex blocco comunista a non aver ancora risolto la controversia tra stato e Chiese
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IL REGNO -
AT T UA L I T À
16/2011
sui beni nazionalizzati dal regime nel 1950. In
agosto i rappresentanti del governo e della
Chiesa hanno trovato un accordo sulla restituzione, in base al quale lo stato rimborserà il
56% delle ex proprietà ecclesiastiche per un
valore di 75 miliardi di corone (3,1 miliardi di
euro), a cui si aggiungeranno 59 miliardi di corone a titolo di risarcimento per i beni non restituibili. Spetta ora al governo preparare il dispositivo di legge che recepisca il contenuto
dell’accordo.
Il ministro della Cultura Jiri Besser ha ringraziato i vescovi cechi e i rappresentanti delle
altre comunità religiose coinvolte nei negoziati per la sensibilità che hanno dimostrato
nei confronti della difficile situazione economica del paese. Parallelamente alla restituzione dei beni ecclesiastici lo stato si ritirerà
progressivamente dal sistema «giuseppino»
(da Giuseppe II d’Asburgo) di finanziamento
della Chiesa, in base al quale è lo stato a farsi
carico del sostentamento del clero.
Turchia. È entrato in vigore il 27 agosto in
Turchia il decreto-legge per la restituzione
alle minoranze cristiane ed ebraica delle proprietà confiscate dallo stato. In base alla
nuova normativa tutte le minoranze religiose
riconosciute nel Trattato di Losanna, ratificato nel 1923 ad Ankara da Mustafa Kemal
Atatürk, hanno un anno di tempo per chiedere la restituzione di tutte le proprietà registrate come appartenenti alle fondazioni religiose nel censimento del 1936 e confiscate
successivamente dallo stato turco. Il decreto
non riguarderà quindi la Chiesa latina, poiché
il Trattato di Losanna riconosceva ufficialmente come «minoranze» solo quelle non
musulmane storicamente presenti sul territorio turco, cioè armeni, greci ortodossi ed
ebrei. Anche per la Turchia si tratta di un risultato delle pressioni dell’Unione Europea
per ottenere dal paese, candidato all’adesione, un allineamento all’acquis comunitario
in tema di diritti e tutela delle minoranze.
Il valore di tutte le proprietà confiscate è
stimato intorno a un miliardo di dollari, una cifra comunque molto inferiore ai risarcimenti
imposti alla Turchia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a conclusione di numerosi processi a partire dal 2007, molti dei quali ancora
in corso. Con il decreto appena approvato si
prevede che i processi, previa restituzione dei
beni, saranno annullati. È probabile che si avvii a soluzione anche la contesa intorno al seminario teologico del Patriarcato ecumenico,
sull’isola di Halki, chiuso dal 1971. Ai primi di
settembre quindi il patriarca Bartolomeo I ha
nominato il metropolita Elpidophoros Lambrinidis abate del monastero della Trinità (Agia
Triada), cui afferisce la scuola.
Oltre a manifestare grande soddisfazione
per la storica decisione del governo, tuttavia,
qualcuno ricorda (cf. F. Mat, in Osservatorio
Balcani & Caucaso, www.balcanicaucaso.org,
8.9.2011) che la restituzione non pareggia i
conti della storia. Le minoranze non musulmane sono ormai quasi totalmente assenti
dalla composizione della nuova società turca,
e questo è un bene non più risarcibile. Dalle
339.486 unità del censimento del 1927, quando
la popolazione totale del paese era di 13,5
milioni, sono oggi 100.000 su una popolazione di 72 milioni, a causa delle politiche discriminatorie adottate per decenni nei loro
confronti.
Croazia. In apparente controtendenza si
pone invece la controversia tra la Santa Sede
e la Croazia intorno alla proprietà del monastero di Dajla, in Croazia (paese candidato all’Unione dal 2004), dove il vescovo cattolico
locale si oppone alla restituzione della proprietà alla congregazione religiosa che la rivendica, sostenuto dal governo croato. Il monastero, che si trova in Istria, era stato donato
nel 1860 dal conte Francesco Grisoni ai monaci
dell’Abbazia di Praglia (PD), che vi rimasero
fino all’occupazione dell’Istria da parte della
Iugoslavia socialista di Tito e alla nazionalizzazione del monastero. Nel 1975 viene assegnato
all’ordine un risarcimento di 1,7 miliardi di lire
italiane in base al Trattato di Osimo. Nel 1999
la legge sulla denazionalizzazione assegna la
tenuta di Dajla alla diocesi croata di Pola e Parenzo. I benedettini di Praglia portano il caso
in tribunale. Il vescovo di Pola, mons. Ivan Milovan annuncia di aver venduto i terreni a una
società pronta a trasformare l’area in un esclusivo golf resort. Benedetto XVI nel 2008 nomina una commissione di tre cardinali, che riconosce ai benedettini il diritto alla restituzione e a risarcimenti per un totale di 25 milioni di euro. Mons. Milovan il 6 luglio è stato
sospeso da Benedetto XVI per il tempo necessario a far ratificare la decisione.
Il governo croato si oppone, sostenendo
si tratti di un tentativo di rivedere o abrogare
gli accordi di Osimo alla base dei rapporti tra
Croazia e Italia. Il 2 agosto un comunicato
della Sala stampa della Santa Sede precisa
che «la questione è di natura propriamente
ecclesiastica. Dispiace, pertanto, che sia stata
strumentalizzata a fini che cercano di presentarla in chiave politica e demagogica, come
se intendesse danneggiare la Croazia. Invece,
la decisione della Santa Sede mira esclusivamente a ristabilire la giustizia dentro la Chiesa,
peraltro con un risarcimento solo parziale».
Per tutta risposta, il 10 agosto per riaffermare la propria giurisdizione sui terreni contesi il governo di Zagabria ha dichiarato nulli i
provvedimenti che tra il 1997 e il 2002 avevano
restituito Dajla alla Chiesa croata.
D. S.
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