Prima fuit illorum qui existimarunt huiusmodi conchas et plura huius generis illuc reducta fuisse quo tempore a diluviis aquarum superati fuerunt. Haec opinio non prorsus admittenda esse videtur, quoniam olim terra et montes non a mari, sed ab immodicis imbribus, nimirum caeli inundationibus fuerunt obruti. Praeterquamquod non in omnibus montibus, sed in quibusdam horum similia testacea lapidea observantur. La prima tesi è di coloro i quali ritengono che le conchiglie di questo tipo e di altri furono portate lì nel tempo in cui furono ricoperti dalle acque del diluvio. Ma questa opinione non va ammessa, poiché la terra e i monti non dal mare, ma dalle pioggie e dalle inondazioni del cielo furono colpiti. Peraltro questi gusci lapidei non si trovano in tutti i monti ma solo in alcuni. Secunda sententia fuit illorum qui arbitarti sunt conchylia et alia huius generis testacea in montes a mari fuisse iactata quoniam hos montes a mari factos esse asseverarunt; dum olim arena in cumulos una cum conchyliis coacervata fuit quandoquidem ubi nunc montes conspiciuntur, antiquitus mare fluctuasse pronunciarunt, quo postea paulatim recedente, huiusmodi arenarum cumuli cum testaceis nimirum montes cum insulis detecti fuerunt. La seconda tesi è quella di coloro che ritengono chele conchiglie furono gettati nei monti dal mare, poiché i monti stessi furono formati dal mare; le conchiglie furono depositate mentre si accumulava la sabbia, così che ora dove si vedono i monti, lì una volta fluttuava il mare, il quale poi ritirandosi lentamente, i monti formatisi con la sabbia frammista a sabbia emersero. Idcirco, mare recedente et solo lapidescente, conchylia ibi relicta in lapides concrevisse tradiderunt siquidem, ubi nunc est arida, ibi olim fuisse mare Aristoteles testificatur. Unde Ovidius accedens ad hanc opinionem cecinit hunc in modum: vidi factos ex aequore terras / et procul a mari conchae iacuere marinae Perciò si è raccontato che con la regressione del mare e l’indurimento del suolo, le conchiglie ivi frammiste si impietrirono, e come Aristotele afferma, ove ora è arido una volta c’era il mare. Per cui Ovidio, esprimendo una opinione simile scrisse: «Io ho visto farsi mare ciò che un tempo era terraferma, ho visto che lontano dai flutti vengono alla luce conchiglie marine». Tertia sententia, quam magis probamus, fuit illorum qui voluerunt testacea, conchylia et alia huius generis ibi absque ulla difficultate progigni posse ubi humor vel liquor ad horum generationem idoneus invenitur. Immo quando non erit aptus generationem idoneus, testam tantummmodo generari affirmarunt. Quid enim vetat quominus interdum liquor salsus in saxis reperiatur ut ex illo animalia marina viva resultent, si locus et humor id expostulent? Sin secus testae tantummodo et conchae in lucem prodeant? Quocirca nulla debemus teneri admiratione quando huiusmodi testacea in montibus inveniuntur, quae postmodum ex natura loci in lapides transmutantur. La terza tesi, che più approvo, è quella di coloro i quali vollero che i testacei, le conchiglie possano nascere senza alcuna difficoltà dove si trova un umore o un liquido idoneo alla loro generazione. Perciò quando non atto alla generazione affermano che si formi solo la conchiglia. Che cosa impedisce infatti che talvolta del liquido salato si ritrovi nei sassi di modo che da quello si generino animali marini o altrimenti i soli gusci? Per ciò non dobbiamo stupirci se testacei di questo genere si trovano sui monti, che poi sono trasformati in sassi dalla natura del luogo. Ma nel suo interno vi sono molte regioni in corrispondenza delle sue cavità, disposte in cerchio tutt’intorno ad essa […]. Tutte queste regioni sotterranee comunicano tra loro con molti canali, ora più stretti ora più larghi, ed hanno sbocchi, attraverso i quali scorre molta acqua dall’una all’altra, come in bacini. E vi scorrono anche, sotto terra, quantità inaudite di fiumi perenni e di acque calde e fredde, molto fuoco e grandi fiumi e molto di fango liquido, ora più puro ora più torbido, come in Sicilia, dove scorrono fiumi di fango davanti al torrente di lava e la lava stessa. Tutti questi fiumi si muovono in su e in giù, come se ci fosse un’oscillazione all’interno della terra; e questa oscillazione avviene per una certa configurazione naturale. Una delle voragini della terra è particolarmente grande e trapassa la terra intera da una parte all’altra. Omero parla di essa, quando dice: molto lontano, dove sotto la terra è il più profondo abisso. [Iliade VIII 14] E’ essa che egli anche altrove e molti altri poeti hanno chiamata Tartaro. In questa voragine confluiscono tutti i fiumi e da essa di nuovo defluiscono: ciascuno diventa tale quale è reso dalla qualità della terra attraverso la quale scorre. La causa del defluirvi e del confluirvi di tutte le correnti è che quest’acqua non ha né base né sostegno. Essa oscilla, quindi, e fluttua in su e in giù e l’aria e il vento intorno ad essa fanno la stessa cosa, perché la seguono, sia quando tende verso l’altra parte della terra, sia quando tende verso questa. E come respirando il fiato nel suo fluire si espira ed inspira sempre, così anche là l’aria, oscillando con l’acqua, produce, a forza di entrare ed uscire, venti terribili e straordinariamente grandi. Quanto viene scritto nel Fedone circa i mari ed i fiumi è impossibile. Vi si dice infatti che tutte le acque comunicano fra loro sotterra e che principio e sorgente di tutte le acque sarebbe il cosiddetto Tartaro, massa d’acqua al centro della terra, da cui hanno origine le acque correnti e non. Niccolò Stenone, Prodromus (1669) Non vorrei prestar troppo facilmente l’orecchio alle favolose narrazioni degli antichi, ma in esse sono presenti molte cose alle quali non negherei fede. Da esse ricavo una serie di affermazioni delle quali mi appare dubbia la falsità, piuttosto che la verità. Per esempio: il Mare mediterraneo separato dall’Oceano Occidentale; l’esistenza di un passaggio del Mare Mediterraneo al Mar Rosso; la sommersione dell’isola di Atlantide; la descrizione vera di molti luoghi nei viaggi di Bacco, Triptolemo, Ulisse, Enea ed altri. E tutto ciò anche se queste descrizioni non corrispondono alle cose così come esse sono oggi.