AMMINISTRAZIONE ED ETICA II modulo I parte ETICA (DEFINIZIONI) Etica: • dal greco → “ἔθος”; • “scienza della morale, parte della filosofia che studia la condotta umana”/“il complesso delle norme di comportamento proprie di una società o di un gruppo” (definizione da un dizionario di italiano); • scienza della condotta: a. scienza del fine (bene = realtà perfetta per natura); b. scienza del movente (bene = oggetto dell’aspirazione o del desiderio) (definizione da un dizionario di filosofia); Morale dal latino → “mos, moris”; • “complesso di principi, norme e valori propri di una comunità o di un individuo, che ne guida in comportamento verso ciò che è considerato buono e giusto” (definizione da un dizionario di italiano); • la condotta in quanto disciplinata da norme (definizione da un dizionario di filosofia). ETICA PUBBLICA (I definizione) • Etica → etica applicata → etica pubblica. • Etica pubblica = applicazione di norme etiche su tutto ciò che ha a che fare con la cosa pubblica (la polis); è propria dei cittadini di uno Stato in quanto operano nella sfera pubblica e sono, quindi, retribuiti dallo Stato stesso. • Relazione con opinione pubblica, diffusione dell’informazione, controllo dal basso. COSTITUZIONE ITALIANA ARTICOLO 54 Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. COSTITUZIONE ITALIANA ARTICOLO 97 I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. COSTITUZIONE ITALIANA ARTICOLO 98 I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero. CODICI ETICI E CODICI DI LEGGE Il codice etico • ha funzione preventiva; • prescrive al personale politico e amministrativo di uno Stato che cosa si deve fare; • non può prevedere pene o sanzioni. Il codice di leggi • ha funzione correttiva; • si occupa dell’illecito; • indica le pene o le sanzioni da applicare nei casi di non osservanza della legge. Alcuni problemi 1. Oggi ha senso o no il concetto di EP? 2. Che ruolo hanno nell’EP sanzione e prevenzione? 3. Oggi vi è richiesta di EP: che significato ha? 4. Essa implica una adesione intima, una presa di coscienza, o il codice etico può essere da solo sufficiente per diffonderla? 5. Essa è in ogni caso un’etica della responsabilità 6. Esiste, tra i tre esaminati, un modello privilegiato per l’applicazione coerente dell’E.P? ETICA PUBBLICA COME ETICA DELLA RESPONSABILITÀ Etica della responsabilità = la morale di un soggetto si giudica dagli atti che compie, tenendo conto delle conseguenze che da tali atti deriveranno e quindi della ricaduta che avranno sugli altri. ≠ Etica dell’intenzione = la morale di un soggetto si giudica dall’intenzione che guida la sua scelta di compiere un atto, indipendentemente dal fatto che l’atto sia stato realmente compiuto e dalle conseguenze che tale atto abbia avuto. L’etica pubblica può essere solo un’etica della responsabilità. ETICA PUBBLICA (II definizione) Che cos’è l’etica pubblica E una modalità specifica di giudicare la moralità della politica ossia di valutare le qualità morali dei governanti; è una particolare concezione dei rapporti tra moralità e politica. Vi sono approcci alternativi all’etica pubblica, cioè diverse possibilità di interpretare il rapporto tra moralità e politica, tra sfera privata e pubblica: Il moralismo È l’idea secondo cui i politici devono agire seguendo scopi morali. Il realismo politico È la tesi che riconosce l’autonomia della politica rispetto alla morale = la politica è immune dal giudizio morale e persegue fini diversi. IL PARADIGMA DELL’ETICA PUBBLICA (schema) Il paradigma dell’etica pubblica proposto da Pellegrino: • È alternativo a moralismo e realismo politici • È costituito dall’unione di tre tesi: 1.I politici sono talvolta esenti da doveri morali che valgono invece per tutti gli altri; 2. In altri casi i politici hanno doveri più stringenti di quelli che la morale richiede ai comuni cittadini; 3. I politici non sono immuni dal giudizio morale. LA TRATTATIVA: IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI? (A) Consequenzialismo: il fine giustifica i mezzi perché i mezzi indispensabili, cioè necessari e sufficienti, a realizzare un fine buono → sono giusti. Premessa del consequenzialismo: le azioni non sono cattive o ingiuste in sé, indipendentemente dalle loro conseguenze, ma ciò che le rende giuste o ingiuste è il fatto che producano più bene che male. Il fine di liberare la Cacània dalla criminalità giustifica i mezzi. LA TRATTATIVA: IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI? (B) Assolutismo o deontologia: il fine non giustifica i mezzi, non c’è fine morale né obiettivo politico che giustifichi l’immoralità; ci sono cose che non si devono fare mai. Fini giusti non si possono perseguire a tutti i costi. Premessa dell’assolutismo (o deontologia): ci sono azioni assolutamente, cioè sempre e comunque, ingiuste, non importa quale sia il fine da raggiungere o le conseguenze che potrebbero produrre. Lo Stato non può scendere a patti con i criminali se non al prezzo di perdere la sua integrità e autorevolezza. MORALISMO E REALISMO POLITICI I Consequenzialismo e deontologia condividono i seguenti assunti: • le ragioni che giustificano o vietano la trattativa sono ragioni dello stesso tipo, cioè ragioni morali; • consequenzialismo e deontologia differiscono solo su quali ragioni morali considerare decisive. MORALISMO E REALISMO POLITICI II Differiscono invece in quanto: • per il consequenzialismo la ragione morale decisiva risponde all’obbligo di promuovere il bene ed evitare il male (il fine è più importante del mezzo); • per la deontologia l’obbligo di promuovere il bene ed evitare il male è solo sufficiente, ossia non predominante in presenza di certi divieti assolutamente validi (non va mai trascurato il giudizio sulla giustezza del mezzo). MORALISMO E REALISMO POLITICI III Il realismo • Condivide con il consequenzialismo la preminenza del fine (che è assoluta) • Si differenzia dal consequenzialismo perché tiene in conto non fini etici ma risultati esclusivamente politici. IL PARADIGMA DELL’ETICA PUBBLICA (schema) «La politica è esercizio del potere, ma ciò non vuol dire che essa sia immune dal giudizio morale. Certi modi di esercitare il potere possono esser opportuni politicamente, ma sono immorali. […]. Si deve essere pronti ad alcuni compromessi. Dal punto di vista dell’onestà, questi compromessi non sono giusti: sono immorali. E la loro immoralità non viene annullata solo perché permettono di realizzare politiche opportune. Il fine non giustifica i mezzi, è vero. Ma rimane ragionevole usare certi mezzi, quando non ce ne sono altri. […]. I politici non possono essere sempre innocenti. […]» (Etica pubblica. Una piccola introduzione, p. 24) Il politico che accetta la trattativa sa di aver commesso un misfatto, almeno dal punto di vista morale, ma sa anche che commetterlo era necessario nella sua condizione. RAPPORTO TRA MORALITÀ E POLITICA NELL’ETICA PUBBLICA In politica ci sono casi in cui è necessario sporcarsi le mani, compiendo azioni che sarebbero immorali per i comuni cittadini. Tuttavia, nonostante queste azioni appaiano necessarie, la sensazione di aver compiuto un atto ingiusto rimane: Se: 1. Moralismo politico: moralità e politica coincidono. 2. Realismo politico: moralità e politica sono completamente distaccate. Invece 3. Etica pubblica: moralità e politica non coincidono ma non sono neppure completamente distaccate. Il paradigma dell’etica pubblica riconosce l’esistenza di ragioni sia politiche sia morali, ma le riconosce solo come ragioni sufficienti, ossia di peso uguale o incomparabile, e non decisive. RAPPORTO TRA MORALITÀ E POLITICA NELL’ETICA PUBBLICA Dunque: Secondo il paradigma dell’etica pubblica la politica non è separata del tutto dalla moralità, né la moralità sfugge completamente a considerazioni politiche: in qualunque modo si agisca, rimane sempre un residuo = le ragioni che dettavano l’azione contraria e che non sono state prese in considerazione continuano a farsi sentire. IL DILEMMA DELLA TRATTATIVA SECONDO IL PARADIGMA DELL’ETICA PUBBLICA • Sia trattare sia non trattare sono condotte solo parzialmente giuste, sarebbero completamente giuste se tutte le ragioni fossero a loro favore, ma in molti casi le ragioni politiche e morali hanno un peso uguale e nessuna prevale. Quali ragioni per scegliere? (I) • trattare con i boss = • vincere le elezioni e varare una politica anti mafia (vs = perdere le lezioni e costringersi a una politica sterile); • rischiare di rimanere ostaggio dei boss che hanno favorito l’elezione; • abbassarsi al livello della malavita; • compiere un atto in sé disonesto e immorale. Quali ragioni per scegliere? (II) • a = presume che trattare sia una scelta corretta • b,c,d= presumono che trattare sia una scelta problematica. • Per scegliere correttamente, bisognerebbe pesare tutte le ragioni e decidere, ma non vi è una decisione “oggettiva”: è più corretto dire, precisa Pellegrino, che ci siano ragioni non decisive ma sufficienti. TEORIE UNIDIMENSIONALI E MULTIDIMENSIONALI DEL GIUSTO 1. Teoria unidimensionale del giusto: l’azione giusta è tale perché fondata su una ragione decisiva che la giustifica. Moralismo, consequenzialismo, deontologia, realismo. 2. Teoria multidimensionale del giusto: le azioni possono essere giuste in vari gradi perché sostenute da ragioni sufficienti e non decisive. Etica pubblica. IL DILEMMA DELL’OSTAGGIO • Secondo le teorie unidimensionali del giusto vi sono due ragioni opposte, ma entrambe decisive, cui appellarsi di fronte al dilemma dell’ostaggio: 1.L’obbligo morale di un padre di salvare la figlia (moralismo, deontologia). 2.L’obbligo del politico di difendere lo Stato (consequenzialismo, realismo). Secondo l’etica pubblica nessuno di questi obblighi prevale. LE TRE TESI DELL’ETICA PUBBLICA 1. Talvolta ai politici è permesso ciò che non sarebbe lecito per i cittadini normali: → i politici godono di esenzioni rispetto ai doveri imposti ai comuni cittadini; 2. altre volte chi ha responsabilità politiche dovrebbe astenersi da azioni che la moralità non condannerebbe se compiute da comuni cittadini: → i politici hanno doveri più stringenti rispetto a quelli degli altri cittadini; 3. tuttavia, 1. nei casi descritti in 1, per quanto lecita, l’azione rimane moralmente riprovevole e suscita un fondato rincrescimento; 2. nei casi descritti in 2., c’è la fondata sensazione che un onere troppo gravoso venga imposto ai politici. In altre parole, le esenzioni e le maggiori responsabilità dei politici si possono comunque giudicare da una prospettiva morale. AZIONI OBBLIGATORIE E SUPEREROGATORIE In filosofia morale si distinguono: • Azioni obbligatorie: azioni richieste dal dovere morale • Azioni supererogatorie: azioni moralmente lodevoli ma non richieste dalla moralità Tesi in merito dell’etica pubblica Tesi 1 dell’etica pubblica: stabilisce che ciò che è un obbligo per i cittadini non lo è sempre per i politici (tesi dell’esenzione). Tesi 2 dell’etica pubblica: stabilisce che le azioni supererogatorie per i comuni cittadini diventano obblighi per i politici (tesi del supererogatorio). Tesi 3 dell’etica pubblica: stabilisce che un residuo di moralità permane nella sfera politica (tesi del residuo). Conclusioni Le tesi 1 e 2 implicano la separazione tra moralità e politica; ma la tesi 3 suggerisce che tale separazione non è completa: ci sono casi in cui la moralità per i politici è più severa che con i comuni cittadini, ma le ragioni di opportunità politica non mettono del tutto a tacere le ragioni morali. ETICA PUBBLICA E CASO ITALIANO: FRA POLITICA E ANTIPOLITICA «Tutta la storia italiana più recente, incentrata sulla contrapposizione fra italiani pro o contro Silvio Berlusconi, si può raccontare come una discussione fra chi vede come positive le conseguenze […] delle inchieste giudiziarie sulla politica e chi invece rivendica spazi di autonomia della politica e invoca una specifica versione della distinzione liberale fra i poteri dello Stato. [...] Opposte concezioni delle relazioni fra moralità e politica sono state sullo sfondo di due episodi cruciali della storia recente (il sequestro del presidente della Dc Aldo Moro nel 1978 e le inchieste di mani Pulite negli anni Novanta).» (Etica pubblica. Una piccola introduzione, p. 36) LA QUESTIONE MORALE Intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari per la Repubblica (28/07/81). Parte I L’idea di una questione morale che affligge la politica ha avuto grande seguito in Italia. «I partiti non fanno più politica», mi dice Enrico Berlinguer [...] » «Politica si faceva nel ’45, nel ’48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee e, certo, anche di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. [...] Soprattutto c’era lo sforzo di capire la realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. [...]». «[Oggi], i partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia». Intervista di Enrico Berlinguer Parte II La passione è finita? La stima reciproca è caduta? «Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. [...]». Intervista di Enrico Berlinguer Parte III a • Debbo riconoscere, signor segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo. Allora delle due l’una: o gli italiani hanno [...] la classe dirigente che si meritano, oppure preferiscono questo stato di cose degradato all’ipotesi di vedere il partito comunista insediato al governo e ai vertici di potere. Che cosa è dunque che vi rende così estranei o temibili agli occhi della maggioranza degli italiani? Intervista di Enrico Berlinguer Parte III b «La domanda è complessa. [...] Anzitutto molti italiani [...] si accorgono benissimo [...] delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani danno in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel ’74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell’81 per l’aborto, gli italiani hanno fornito l’immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso.[...] Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. [...]» Intervista di Enrico Berlinguer Parte IV Veniamo all’altra mia domanda, [...] signor segretario dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive. «In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l’andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito “diverso” dagli altri lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità». Intervista di Enrico Berlinguer Parte V Sì, [...] penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C’è da averne paura? Intervista di Enrico Berlinguer Parte V (b) «Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò [...] in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione: e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ho detto che i partiti hanno degenerato, quale più quale meno, da questa funzione costituzionale loro propria, recando così danni gravissimi allo Stato e a se stessi. Ebbene, il Partito comunista italiano non li ha seguiti in questa degenerazione. Ecco la prima ragione della nostra diversità.» Intervista di Enrico Berlinguer Parte VI Veniamo alla seconda diversità. «Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni; che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata». Intervista di Enrico Berlinguer Parte VII Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti. «Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi». Intervista di Enrico Berlinguer Parte VIII «E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l’iniziativa individuale sia insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche – e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla Dc – non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell’attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione.» Intervista di Enrico Berlinguer Parte IX → definizione della QUESTIONE MORALE Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché? «La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano.» Intervista di Enrico Berlinguer Parte XII Signor segretario, a che punto siamo con il terrorismo? «A un bruttissimo punto. Vede dove ci hanno portato i cedimenti ai terroristi? Con l’obiettivo – che voglio sperare in buona fede – di salvare una vita, si è ceduto ai ricatti delle BR e così è stata alimentata la catena dei sequestri e di altri ricatti. […] Ora siamo arrivati al punto che l’“Avanti!” pubblica integralmente il testo dei loro messaggi e che per ottenere il rilascio di un ostaggio, viene addirittura pagato ai terroristi un riscatto, con il quale le BR miglioreranno il loro armamento e la loro azione eversiva. Tutto questo è intollerabile. È intollerabile che fra i partiti che fanno parte del Governo della Repubblica vi siano atteggiamenti contraddittori e oscillanti su un problema così vitale». CRISI DELLA POLITICA ITALIANA E ELABORAZIONE DELL’IDEA DI ETICA PUBBLICA Tesi di Pellegrino La crisi della politica italiana negli anni Novanta e l’antipolitica dei nostri giorni sono il segno di una elaborazione difficile dell’idea di etica pubblica. L’opinione pubblica italiana fatica a trovare una terza via tra moralismo intollerante e realismo cinico, tra antipolitica e iperpoliticismo. La via di mezzo è il paradigma dell’etica pubblica. IPOTESI ALTERNATIVE ALL’IDEA DI ETICA PUBBLICA 1. L’idea che gli italiani, come popolo, manchino costitutivamente etica pubblica. 2. L’idea che la mancanza di etica pubblica nella politica italiana sia causata dalle caratteristiche del sistema politico italiano. 3. L’idea che la carenza di etica pubblica derivi da un progressivo abbandono dei valori della Costituzione. Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, I «C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti.» →l’illecito è consono al sistema; le leggi ci sono, la loro lettera è condivisa, ma il Paese si “muove” solo con intrecci di relazioni corruttive. Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, II « [...] Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito [...] in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune [...]. A guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.» → il potere personale e del gruppo viene mistificato come bene comune con una sorta di “falsa coscienza” che porta l’individuo e/o il gruppo a convincersi di tale coincidenza. Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, III «Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita.» → la finanza pubblica appoggia le attività illecite = si perde la distinzione tra lecito/coscienza civica e illecito/interesse personale perseguito con qualsiasi mezzo Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, IV «La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta». → pagare le tasse non è sentito come un atto di senso civico. Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, V «Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere. [...] Cosicché era difficile stabilire se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro facessero parte dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.» → i canali ordinari della giustizia, dentro un sistema così compatto, o ne sono complici o cadono sotto il sospetto di agire per un gruppo contro un altro Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, VI «Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale [...]. In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo [...].» → per altro verso, tutte le organizzazioni criminali finiscono in un modo o nell’altro per avvantaggiarsi dalle modalità del sistema o anche per avvantaggiarlo → caso specifico dei terroristi. Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, VII «Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, VII (b) Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare». Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, VIII «Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile». Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, IX «Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale,….. Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, IX (b) ….così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è. TESI DEL CARATTERE DEGLI ITALIANI. Critiche Per ragioni culturali o storiche, gli italiani come popolo, sono privi di etica individuale e pubblica, sono immorali ed esprimono partiti immorali: l’etica pubblica è estranea al carattere degli italiani. La questione morale ha cause storico-antropologiche. Critiche di Pellegrino: 1. la tesi del carattere degli italiani esagera la continuità dei tratti caratteriali degli italiani come popolo; 2. nella discussione italiana è mancata un’analisi e fondazione teorica dell’onestà in politica: non è scontato che cosa voglia dire essere onesti e che cosa voglia dire esserlo per un politico. La divisione fra i sostenitori di diversi modelli di relazione fra moralità e politica spiega, in parte, i comportamenti e la storia d’Italia. TESI DELL’ALTERNANZA BLOCCATA 1. Una liberal-democrazia sana presuppone la possibilità di realizzare, attraverso le elezioni, un’alternanza di governo; infatti l’alternanza consente all’opposizione di controllare l’operato della maggioranza; 2. il sistema politico italiano non ha consentito l’alternanza: l’opposizione rappresentata dal Pci non aveva la possibilità di andare al governo; 3. la mancanza di alternanza nella vita politica italiana spiega la corruzione dei politici perché chi è corrotto non necessariamente perderà le elezioni una volta scoperto (nesso tra mancanza di alternanza di governo, bipartitismo imperfetto, e questione morale). La questione morale ha cause principalmente politiche. TESI DELL’ALTERNANZA BLOCCATA Critiche Critiche di Pellegrino: 1. L’idea del bipartitismo imperfetto non si applica al sistema politico italiano dopo Tangentopoli: molti dei vecchi partiti non ci sono più e c’è stata una certa alternanza, eppure i fenomeni di corruzione proliferano; 2. la tesi dell’alternanza bloccata delinea una visione esclusivamente politica della questione morale; 3. Le qualità morali dei governanti non corrispondono necessariamente alla capacità del governo di rispettare la volontà di tutti gli elettori, anche se tali qualità morali hanno un peso nella legittimazione democratica di un governo. Il nesso causale tra bipartitismo imperfetto non vale sempre e comunque: anche in presenza di alternanza i fenomeni corruttivi hanno continuato a verificarsi e il problema politico dell’alternanza bloccata rimarrebbe tale anche se non producesse corruzione. TESI DELL’ETHOS REPUBBLICANO Le qualità morali richieste ai politici e ai funzionari pubblici sono quelle necessarie a svolgere funzioni finalizzate a mantenere l’integrità e la coesione dello Stato (ethos repubblicano); poiché vi sono delle basi morali che permettono alle comunità politiche di rimanere unite, i politici devono mantenerle vive. In Italia alcuni studiosi sottolineano come le basi morali della convivenza siano radicate nei valori della Costituzione e che il declino dell’etica pubblica sia causato anche da un allontanamento dallo spirito e dalla cultura costituzionali. TESI DELL’ETHOS REPUBBLICANO Critiche Critiche di Pellegrino: 1. La tesi dell’ethos repubblicano è plausibile perché non riduce la questione morale a un problema antropologico o politico, ma etico; tuttavia ha una impostazione moralista perché connette le qualità morali dei governanti a specifiche basi morali della politica. TESI DELL’ETHOS REPUBBLICANO Osservazioni Questo crea due problemi: 1. Nelle società pluralistiche come quelle occidentali sulle basi morali della comunità in cui si vive le persone possono avere idee diverse. 2. L’etica pubblica non riguarda tanto le basi morali della politica ma gli aspetti morali del comportamento dei politici. Le ragioni politiche non derivano, come nella visione moralista della politica proposta dalla tesi dell’ethos repubblicano, da ragioni morali di un certo tipo. Per il paradigma dell’etica pubblica non ci sono ragioni morali o politiche predominanti che giustificano certe condotte dei politici; lo specifico dell’etica pubblica sta nel ritenere che certe condotte, pur giustificate dal punto di vista politico, rimangono immorali e qualunque ragione, morale o politica prevalga, rimarrà un certo rincrescimento per non aver seguito l’altra (tesi del residuo). ARTICOLO 54 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.