FILOSOFIA MORALE
2015-16
La responsabilità
per la sostenibilità dello sviluppo
e la salvaguardia dell’ambiente
INTRODUZIONE
1. Presentazione del programma del corso pubblicato sul sito
docente
2. Etica e Filosofia morale
tra Antichità, Modernità e Contemporaneità
a) La morale prima della morale
b) Sviluppi della Filosofia morale
(cfr.: http://www.treccani.it/enciclopedia/etica/ )
3. Hans Jonas e l’etica della responsabilità (cfr.:
https://it.wikipedia.org/wiki/Responsabilit%C3%A0_(filosofia)
https://it.wikipedia.org/wiki/Hans_Jonas
I.2 Etica e Filosofia morale
tra Antichità, Modernità e Contemporaneità
a) la morale prima della morale
Jacques Maritain nelle sue lezioni di Princeton 1959 dedicate
all’esame storico-critico dei grandi sistemi di filosofia morale,
poi raccolte nel volume del 1964, Moral Philosophy (Charles
Scribner’s Sons, New York), afferma con decisione che
«gli uomini non hanno atteso i moralisti per avere delle regole
morali e i moralisti giustificano un dato pre-esistente e che ha
maggior consistenza pratica e maggior densità esistenziale di
quanta non ne abbiano le teorie con le quali cercano di
renderne ragione. Sono educatori e riformatori dei costumi e
nello stesso tempo dipendono dai costumi. Bei riformatori che
finalmente giustificano ciò che pensavano già fermamente (o
perlomeno ciò che facevano) la fruttivendola o il vasaio della
borgata» (tr. it., Morcelliana, Brescia 1988, p. 31)
Connaturalità all’uomo
della dimensione etica (1)
A tale osservazione fanno eco i versi da 91 a 95 del
poema I Sepolcri di Ugo Foscolo:
«Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’ altrui, toglieano i vivi
all’ etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina» (91-95).
Connaturalità all’uomo
della dimensione etica (2)
Anche l’antropologia filosofica moderna conferma questa
convinzione, in quanto con Arnold Gehlen (1904-1976)
mostra l’uomo come l'essere che agisce. (pp. 49-50).
A differenza degli altri esseri, come gli animali che sono
guidato dal mero istinto, l’uomo non ha un
comportamento
specie-specifico,
cioè
il
suo
comportamento non è condotto da stimoli scatenanti
endogeni o esogeni, ma può ritrarre, procastinare o dare
libero sfogo alla sua azione, secondo i suoi bisogni o le
sue volontà.
Non esiste quindi uno schema universale di comprensione
dell'attività umana, ma questo si dà storicamente
Connaturalità all’uomo
della dimensione etica (3)
Arnold Gehlen, nella sua famosa opera L’uomo. La sua natura
e il suo posto nel mondo (1940, 1970; tr. it. Feltrinelli, Milano
1983), tratteggia l’essere umano come l’ essere "ingenuo" per
eccellenza, costretto a "fare esperienza" del Mondo, per
renderselo "familiare e "assoggettarlo".
«L’appropriarsi del mondo è un’appropriarsi di se stessi, la
presa di posizione verso l’esterno è una presa di posizione
verso l’interno, e il compito posto all’Uomo in uno con la sua
costituzione è sempre un compito oggettivo da padroneggiarsi
verso l’esterno, quanto anche un compito verso se stesso.
L’Uomo non vive, bensì conduce la sua vita» (p. 78).
Arnold Gehlen (1)
1) nell’Uomo si dà un progetto globale della natura, un progetto
affatto unico, mai altrimenti tentato (p. 41). Infatti, la
costituzione del corpo umano risulta "originale" ed
"imprevista", una sorta di "deviazione" dalla legge evolutiva
naturale che vuole l’organismo "adattato" ad un "ambiente"
particolare.
2) l’Uomo rappresenta in generale un essere manchevole
(Mängelwesen), sprovvisto di organi specializzati con cui
"adattarsi" alla natura di un "ambiente" particolare. All’Uomo
non corrisponde un ambiente, un habitat (Umwelt) particolare
ed egli è stato costretto, da questa essenziale deficienza, ad
"aprire" letteralmente la propria costituzione, "maneggiando" il
mondo esteriore, adoperandolo al fine di "costruire" un Mondo
(Welt) che si confacesse alla sua sopravvivenza.
Arnold Gehlen (2)
3) L’esigenza per l’uomo di una "conduzione"
(Zuchtung="disciplina"), della vita deriva dalla sua
mancata specializzazione dal punto di vista "pulsionale,
oltre che da quello strettamente "organico".
La debolezza di comportamenti "istintivi", in un essere
che non possiede un "ambiente" a lui con-specifico, è
rimpiazzata dalla presenza nell’uomo di una sfrenata vita
"pulsionale".
Il desiderio umano non conosce limiti "naturali.
4) L’ "eccedenza pulsionale" spinge l’essere umano a
"godere" dei propri movimenti di "maneggio sul mondo",
e quindi a "desiderare" letteralmente di apprendere le
"possibilità esecutive" del proprio corpo in esse.
Arnold Gehlen (3)
5) La fisiologia del corpo umano, non "specializzato" dal punto di
vista strettamente naturale, possiede una particolare "plasticità",
particolarmente subordinata alla creatività insita nel sistema di
collaborazione dell’occhio con la mano. Di qui la possibilità di
uno sviluppo "tecnico" delle funzioni elementari dell’uomo, in
vista del passaggio alle cosiddette funzioni "superiori" o
"secondarie", quelle del linguaggio, del pensiero, della
socializzazione.
«Plasticità (…) significa: da un ventaglio non ancora operante di possibilità
occorre far risaltare, mediante l’autoattività nel maneggio delle cose, una scelta
e costruire un variabile ordine di conduzione (…) essa significa sempre questa
connessione di scelta automediata, architettonica (cioè rapporti variabili di
conduzione e di subordinazione) e di adattabilità a quasi ogni situazione, a
differenza dell’adattamento già predisposto» (p. 200).
Arnold Gehlen (4)
Proprio perché per la vita dell’Uomo non è sufficiente "reagire" all’ambiente, data la debolezza della dimensione di
adattamento all’ambiente del sistema organico umano,
l’Uomo deve "agire"
e l’azione, per poter essere condotta ad un esito
favorevole, deve essere in qualche modo posta sotto una
"guida" che sia estranea alle esigenze del presente, deve
poter essere "progettata".
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connaturalità della dimensione etica
all’essere dell’uomo
Connaturalità all’uomo
della dimensione etica (4)
Anche gli Antichi avevano colto tale connaturalità di principio tra
umanità ed etica.
Infatti, come ci ricorda Robert Spaemann,* per Aristotele e San
Tommaso, l’uomo è una natura “estatica” ovvero una natura che
non riposa in se stessa, come tutte le altre, ma consiste
precisamente nel procedere oltre sé, verso qualcosa “di più”
(nobilior), rispettivamente verso la metèxis/partecipazione
«all’eterno e al divino»** o la beatitudine***.
* R. SPAEMANN, Natura e ragione. Saggi di antropologia, trad. it. di L. Tuninetti,
Università della Santa Croce, Roma 2006, p. 33. Tit. orig., Das Natürliche und das
Vernünftige: Essays zur Anthropologie, Piper, München und Zürich 1987.
**ARISTOTELE, L’ Anima, II, 4, 415a 29-b 1, trad. it. di G. Movia, Rusconi, Milano 1996,
p. 145.
***SANCTI THOMAE AQUINATIS, Summa theologiae, I-II, q. 5, a. 5, ad 1.
Connaturalità all’uomo
della dimensione etica (5)
Tale posizione rimerge, sia pure utopisticamente modulata, con
Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Max Scheler, che intenderanno
l’autotrascendenza dell’«uomo così com’è» (der Mensch, wie er
geht und steht), finalizzata a dar luogo all’uomo-generale
(Gattungswesen),* al superuomo (Übermensch),** al tutto-uomo
(Allmensch).***
* K. MARX, Sulla questione ebraica, trad. it. di R. Panzieri, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 68; tit. orig.,
Zur Judenfrage, in Werke, I, Dietz, Berlin 1976, p. 360. Cfr.: https://www.marxists. org/ italiano/marxengels/1844/2/questione-ebraica.pdf.; Ivi, p. 78 ; ted., p. 370.
** F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, in Opere complete, a cura di G. Colli e M. Montinari, VI1,
Adelphi, Milano 1968, «Prologo», 3. Tit. orig., Also sprach Zarathustra, in Werke Kritische
Gesamtausgabe, hrsg. von G. Colli und M. Montinari, VI1, W. de Gruyter, Berlin-New York 1968.
*** M. SCHELER, L’uomo nell’epoca del livellamento, in R. Racinaro (a cura di), Lo spirito del
capitalismo ed altri saggi, Guida, Napoli 1988, p. 296-297. Tit. orig., Der Mensch im Weltalter des
Ausgleichs, in Gesammelte Werke (d’ora in avanti GW) IX, hrsg. von M. Frings, Francke Verlag, Bern
und München 1975, pp. 145-171.
Connaturalità all’uomo
della dimensione etica (6)
Robert Spaemann, mentre ripercorre i passaggi attraverso i
quali San Tommaso guadagna questa concezione “estatica”
dell’essere umano, che non sarà più compresa nel tardo
Medioevo e per tutta la Modernità resterà oscurata dall’idea
dell’autosufficienza della natura pura, si sofferma, a rimarcare
come essa significhi esattamente che
«gli atti che caratterizzano l’uomo in quanto uomo non
possono essere colti nella loro essenza, se vengono considerati
da un punto di vista “antropologico”, come espressione del
fatto che chi li compie è quello che è».*
* R. SPAEMANN, Natura e ragione, cit., p. 37.
Connaturalità all’uomo
della dimensione etica (7)
E infatti San Tommaso afferma che la natura umana può trovare il
compimento della sua autotrascendenza nella partecipazione al
divino, solo in quanto
«Dio gli ha dato il libero arbitrio con il quale può convertirsi a Lui,
cosicchè Egli lo renda beato»,
e ciò senza snaturarlo perchè, conclude San Tommaso, riprendendo
Aristotele:
«quello che noi possiamo fare grazie ai nostri amici, in un certo
senso è come se lo potessimo fare da noi stessi».*
* SANCTI THOMAE AQUINATIS, Summa theologiae, I-II, q. 5, a. 5, ad 1, cit. Il passo di
ARISTOTELE si trova in Etica Nicomachea, III, 3, 112b 27-28, trad. it. di C. Mazzarella,
Rusconi, Milano 1993.
Conferme linguistiche
L’etimologia stessa delle espressioni "etica" e "morale"
confermano quanto appena ricordato.
Etica è infatti un grecismo, che deriva da ἦθος (=èthos),
termine originariamente significante "il posto da vivere"
che può essere tradotto in diversi modi: "inizio",
"apparire", "disposizione" e da qui "carattere" o
"temperamento".
Si può risalire anche al termine ἔθος (=èthos), che
significa "abitudine", "usanza" , "costume ".
Dalla stessa radice greca deriva il termine ethikos (ἠθικός)
che significa "teoria del vivere", da cui il termine
moderno "etica".
Etica, abitudine e carattere (1)
Per Aristotele, l'abitudine (ἔθος, èthos) è l'attività pratica
di un individuo con un determinato abito. Vale a dire il
modo di comportarsi di un individuo a seconda del suo
carattere (ἦθος, èthos). Esso, quando è volto al bene fa
acquistare l’abito della virtù (in greco ἀρετή, aretè)
«La virtù è una disposizione abitudinaria riguardante la scelta, e
consiste in una medietà in relazione a noi, determinata secondo un
criterio, e precisamente il criterio in base al quale la
determinerebbe l'uomo saggio. Medietà tra due vizi, quello per
eccesso e quello per difetto» [Etica Nicomachea, II, 6]
Etica, abitudine e carattere (2)
In questo senso l'individuo agisce secondo un'abitudine,
che non vuol dire conformarsi alla natura, come accade
con la sensazione, né contro la natura, come avviene
con la violenza, ma il carattere
«è cosa simile alla natura» [Retorica, I 11, 1370a 7-8]
poiché tramite la ripetizione continua di comportamenti
porta in noi alla luce delle caratteristiche naturali, che
possediamo in potenza, trasformandole in attuali abiti
costanti, quasi in una «seconda natura», una natura
acquisita [Etica Nicomachea, II, 1 1103a 20-1103b 25].
Etica, abitudine e carattere (3)
Abitudine è anche sinonimo di consuetudine (ἔθος,
éthos) o familiarità (συνήθεια, synétheia) intesa come
dimestichezza formatasi dopo ripetute abituali
esperienze.
La condotta consuetudinaria e abituale di un individuo,
secondo il suo carattere, genera quindi l'etica, un
comportamento morale individuale ripetuto e costante
[Etica Nicomachea, II 1, 1103a17-19].