FILOSOFIA MORALE 2016-17 La responsabilità per il futuro del mondo. Questioni di sostenibilità dello sviluppo. INTRODUZIONE 1. Presentazione del programma del corso pubblicato sul sito docente 2. Etica e Filosofia morale tra Antichità e Contemporaneità a) La morale prima della morale (cfr.: http://www.treccani.it/enciclopedia/etica/ ) b) L’etica contemporanea: problematiche e sviluppi in un esempio. 3. Hans Jonas e l’etica della responsabilità (cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Responsabilit%C3%A0_(filosofia) https://it.wikipedia.org/wiki/Hans_Jonas I.2 Etica e Filosofia morale tra Antichità, Modernità e Contemporaneità a) la morale prima della morale Jacques Maritain nelle sue lezioni di Princeton 1959 dedicate all’esame storico-critico dei grandi sistemi di filosofia morale, poi raccolte nel volume del 1964, Moral Philosophy (Charles Scribner’s Sons, New York), afferma con decisione che «gli uomini non hanno atteso i moralisti per avere delle regole morali e i moralisti giustificano un dato pre-esistente e che ha maggior consistenza pratica e maggior densità esistenziale di quanta non ne abbiano le teorie con le quali cercano di renderne ragione. Sono educatori e riformatori dei costumi e nello stesso tempo dipendono dai costumi. Bei riformatori che finalmente giustificano ciò che pensavano già fermamente (o perlomeno ciò che facevano) la fruttivendola o il vasaio della borgata» (tr. it., Morcelliana, Brescia 1988, p. 31) Connaturalità all’uomo della dimensione etica (1) A tale osservazione fanno eco i versi da 91 a 95 del poema I Sepolcri di Ugo Foscolo: «Dal dí che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d’ altrui, toglieano i vivi all’ etere maligno ed alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina» (91-95). Connaturalità all’uomo della dimensione etica (2) Anche l’antropologia filosofica moderna conferma questa convinzione, in quanto con Arnold Gehlen (1904-1976) mostra l’uomo come l'essere che agisce. (pp. 49-50). A differenza degli altri esseri, come gli animali che sono guidato dal mero istinto, l’uomo non ha un comportamento specie-specifico, cioè il suo comportamento non è condotto da stimoli scatenanti endogeni o esogeni, ma può ritrarre, procrastinare o dare libero sfogo alla sua azione, secondo i suoi bisogni o le sue volontà. Non esiste quindi uno schema universale di comprensione dell'attività umana, ma questo si dà storicamente Connaturalità all’uomo della dimensione etica (3) Arnold Gehlen, nella sua famosa opera L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo (1940, 1970; tr. it. Feltrinelli, Milano 1983), tratteggia l’essere umano come l’ essere "ingenuo" per eccellenza, costretto a "fare esperienza" del Mondo, per renderselo "familiare e "assoggettarlo". «L’appropriarsi del mondo è un’appropriarsi di se stessi, la presa di posizione verso l’esterno è una presa di posizione verso l’interno, e il compito posto all’Uomo in uno con la sua costituzione è sempre un compito oggettivo da padroneggiarsi verso l’esterno, quanto anche un compito verso se stesso. L’Uomo non vive, bensì conduce la sua vita» (p. 78). Arnold Gehlen (1) 1) nell’Uomo si dà un progetto globale della natura, un progetto affatto unico, mai altrimenti tentato (p. 41). Infatti, la costituzione del corpo umano risulta "originale" ed "imprevista", una sorta di "deviazione" dalla legge evolutiva naturale che vuole l’organismo "adattato" ad un "ambiente" particolare. 2) l’Uomo rappresenta in generale un essere manchevole (Mängelwesen), sprovvisto di organi specializzati con cui "adattarsi" alla natura di un "ambiente" particolare. All’Uomo non corrisponde un ambiente, un habitat (Umwelt) particolare ed egli è stato costretto, da questa essenziale deficienza, ad "aprire" letteralmente la propria costituzione, "maneggiando" il mondo esteriore, adoperandolo al fine di "costruire" un Mondo (Welt) che si confacesse alla sua sopravvivenza. Arnold Gehlen (2) 3) L’esigenza per l’uomo di una "conduzione" (Zuchtung="disciplina"), della vita deriva dalla sua mancata specializzazione dal punto di vista "pulsionale, oltre che da quello strettamente "organico". La debolezza di comportamenti "istintivi", in un essere che non possiede un "ambiente" a lui con-specifico, è rimpiazzata dalla presenza nell’uomo di una sfrenata vita "pulsionale". Il desiderio umano non conosce limiti "naturali". 4) L’ "eccedenza pulsionale" spinge l’essere umano a "godere" dei propri movimenti di "maneggio sul mondo", e quindi a "desiderare" letteralmente di apprendere le "possibilità esecutive" del proprio corpo in esse. Arnold Gehlen (3) 5) La fisiologia del corpo umano, non "specializzato" dal punto di vista strettamente naturale, possiede una particolare "plasticità", particolarmente subordinata alla creatività insita nel sistema di collaborazione dell’occhio con la mano. Di qui la possibilità di uno sviluppo "tecnico" delle funzioni elementari dell’uomo, in vista del passaggio alle cosiddette funzioni "superiori" o "secondarie", quelle del linguaggio, del pensiero, della socializzazione. «Plasticità (…) significa: da un ventaglio non ancora operante di possibilità occorre far risaltare, mediante l’autoattività nel maneggio delle cose, una scelta e costruire un variabile ordine di conduzione (…) essa significa sempre questa connessione di scelta automediata, architettonica (cioè rapporti variabili di conduzione e di subordinazione) e di adattabilità a quasi ogni situazione, a differenza dell’adattamento già predisposto» (p. 200). Arnold Gehlen (4) Proprio perché per la vita dell’Uomo non è sufficiente "reagire" all’ambiente, data la debolezza della dimensione di adattamento all’ambiente del sistema organico umano, l’Uomo deve "agire" e l’azione, per poter essere condotta ad un esito favorevole, deve essere in qualche modo posta sotto una "guida" che sia estranea alle esigenze del presente, deve poter essere "progettata" (=orientata ad una finalità, che si considera "buona" ed è presente solo alla mente, cioè è intenzionale ma in vista della sua realizzazione). ↓↓↓ connaturalità della dimensione etica all’essere dell’uomo Connaturalità all’uomo della dimensione etica (4) Anche gli Antichi avevano colto tale connaturalità di principio tra umanità ed etica. Infatti, come ci ricorda Robert Spaemann,* per Aristotele e San Tommaso, l’uomo è una natura “estatica” ovvero una natura che non riposa in se stessa, come tutte le altre, ma consiste precisamente nel procedere oltre sé, verso qualcosa “di più” (nobilior), rispettivamente verso la metèxis/partecipazione «all’eterno e al divino»** o la beatitudine***. * R. SPAEMANN, Natura e ragione. Saggi di antropologia, trad. it. di L. Tuninetti, Università della Santa Croce, Roma 2006, p. 33. Tit. orig., Das Natürliche und das Vernünftige: Essays zur Anthropologie, Piper, München und Zürich 1987. **ARISTOTELE, L’ Anima, II, 4, 415a 29-b 1, trad. it. di G. Movia, Rusconi, Milano 1996, p. 145. ***SANCTI THOMAE AQUINATIS, Summa theologiae, I-II, q. 5, a. 5, ad 1. Connaturalità all’uomo della dimensione etica (5) Tale posizione rimerge, sia pure utopisticamente modulata, con Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Max Scheler, che intenderanno l’autotrascendenza dell’«uomo così com’è» (der Mensch, wie er geht und steht), finalizzata a dar luogo all’uomo-generale (Gattungswesen),* al superuomo (Übermensch),** al tutto-uomo (Allmensch).*** * K. MARX, Sulla questione ebraica, trad. it. di R. Panzieri, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 68; tit. orig., Zur Judenfrage, in Werke, I, Dietz, Berlin 1976, p. 360. Cfr.: https://www.marxists. org/ italiano/marxengels/1844/2/questione-ebraica.pdf.; Ivi, p. 78 ; ted., p. 370. ** F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, in Opere complete, a cura di G. Colli e M. Montinari, VI1, Adelphi, Milano 1968, «Prologo», 3. Tit. orig., Also sprach Zarathustra, in Werke Kritische Gesamtausgabe, hrsg. von G. Colli und M. Montinari, VI1, W. de Gruyter, Berlin-New York 1968. *** M. SCHELER, L’uomo nell’epoca del livellamento, in R. Racinaro (a cura di), Lo spirito del capitalismo ed altri saggi, Guida, Napoli 1988, p. 296-297. Tit. orig., Der Mensch im Weltalter des Ausgleichs, in Gesammelte Werke (d’ora in avanti GW) IX, hrsg. von M. Frings, Francke Verlag, Bern und München 1975, pp. 145-171. Connaturalità all’uomo della dimensione etica (6) Robert Spaemann, mentre ripercorre i passaggi attraverso i quali San Tommaso guadagna questa concezione “estatica” dell’essere umano, che non sarà più compresa nel tardo Medioevo e per tutta la Modernità resterà oscurata dall’idea dell’autosufficienza della natura pura, si sofferma, a rimarcare come essa significhi esattamente che «gli atti che caratterizzano l’uomo in quanto uomo non possono essere colti nella loro essenza, se vengono considerati da un punto di vista “antropologico”, come espressione del fatto che chi li compie è quello che è».* * R. SPAEMANN, Natura e ragione, cit., p. 37. Connaturalità all’uomo della dimensione etica (7) E infatti San Tommaso afferma che la natura umana può trovare il compimento della sua autotrascendenza nella partecipazione al divino, solo in quanto «Dio gli ha dato il libero arbitrio con il quale può convertirsi a Lui, cosicchè Egli lo renda beato», e ciò senza snaturarlo perchè, conclude San Tommaso, riprendendo Aristotele: «quello che noi possiamo fare grazie ai nostri amici, in un certo senso è come se lo potessimo fare da noi stessi».* * SANCTI THOMAE AQUINATIS, Summa theologiae, I-II, q. 5, a. 5, ad 1, cit. Il passo di ARISTOTELE si trova in Etica Nicomachea, III, 3, 112b 27-28, trad. it. di C. Mazzarella, Rusconi, Milano 1993. Conferme linguistiche L’etimologia stessa delle espressioni "etica" e "morale" confermano quanto appena ricordato. Etica è infatti un grecismo, che deriva da ἦθος (=èthos), termine originariamente significante "il posto da vivere" che può essere tradotto in diversi modi, tra cui "carattere" o "temperamento". Si può risalire anche al termine ἔθος (=èthos), che significa "abitudine", "usanza" , "costume". Dalla stessa radice greca deriva il termine ethikos (ἠθικός) che significa "teoria del vivere", da cui il termine moderno "etica". Etica, abitudine e carattere (1) Per Aristotele, l'abitudine (ἔθος, èthos) è l'attività pratica di un individuo con un determinato abito, vale a dire il modo di comportarsi di un individuo a seconda del suo carattere (ἦθος, èthos). Esso, quando è volto al bene fa acquistare l’abito della virtù (in greco ἀρετή, aretè) «La virtù è una disposizione abitudinaria riguardante la scelta, e consiste in una medietà in relazione a noi, determinata secondo un criterio, e precisamente il criterio in base al quale la determinerebbe l'uomo saggio. Medietà tra due vizi, quello per eccesso e quello per difetto» [Etica Nicomachea, II, 6] Etica, abitudine e carattere (2) In questo senso l'individuo agisce secondo un'abitudine, che non vuol dire conformarsi alla natura, come accade con la sensazione, né agire contro la natura, come avviene con la violenza. Piuttosto: il carattere «è cosa simile alla natura» [Retorica, I 11, 1370a 7-8] poiché, tramite la ripetizione continua di comportamenti, porta in noi alla luce delle caratteristiche naturali, che possediamo in potenza, trasformandole in attuali abiti costanti, quasi in una «seconda natura», una natura acquisita [Etica Nicomachea, II, 1 1103a 20-1103b 25]. Etica, abitudine e carattere (3) Abitudine è anche sinonimo di consuetudine (ἔθος, éthos) o familiarità (συνήθεια, synétheia) intesa come dimestichezza formatasi dopo ripetute abituali esperienze. La condotta consuetudinaria e abituale di un individuo, secondo il suo carattere, genera quindi l'etica, un comportamento morale individuale, ripetuto e costante [Etica Nicomachea, II 1, 1103a17-19]. L’etica contemporanea: problematiche e sviluppi in un esempio Vai al testo scaricabile: D. Verducci, La fioritura post-metafisica dell’essere nella teoresi di Francesco Totaro, in: C. Danani, B. Giovanola, M.L. Perri, D. Verducci (a cura di), L’essere che è, l’essere che accade. Percorsi teoretici in filosofia morale in onore di Francesco Totaro, Vita e Pensiero, Milano 2014, pp. 97-104.