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LUISS Guido Carli
Istituto di Studi Giuridici – Facoltà di Giurisprudenza
Via Parenzo, 11 - tel. 06/85225.810
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
Seminario su:
I DIRITTI FONDAMENTALI E LE CORTI IN EUROPA
Incontro del l’11 Aprile 2003 sul tema
“La dignità umana”
(introdotto dal Prof. Dian Schefold)
Resoconto redatto dal Dott. Andrea Buratti e dalla Dott.ssa Elisabetta Canitano
Bollettino n. 4/2003
Il calendario e i resoconti delle iniziative dell’Osservatorio Costituzionale sono reperibili sul sito Internet
dell’Università Luiss Guido Carli (http://www.luiss.it/semcost/index.html)
Per informazioni, comunicazioni: e-mail: [email protected]
Per l’iscrizione alla Newsletter dell’Osservatorio Costituzionale:
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Realizzato nell’ambito della ricerca di rilevante interesse nazionale cofinanziata dal Murst (2001-2003)
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Sergio PANUNZIO, nel presentare l’incontro dedicato alla dignità umana, sottolinea che con
questo tema si entra nel vivo della materia del Seminario: «I diritti fondamentali e le Corti in
Europa».
La dignità umana, contemplata nei primi articoli della Carta di Nizza e della Legge
Fondamentale tedesca, si può considerare senza dubbio un valore supremo, perché se la vita è
un bene che prima o poi si deve abbandonare, la dignità umana rappresenta un valore che si
vuole conservare anche al di là della vita e della morte. Per introdurre questo tema è stato
invitato Dian Schefold, illustre costituzionalista di lingua tedesca molto conosciuto anche in
Italia, paese dove spesso ha soggiornato e che ama molto anche per la sua formazione
culturale giovanile. Schefold ha iniziato i suoi studi in Svizzera a Basilea, dove il padre
(insigne studioso di storia dell’arte classica e di archeologia) si era trasferito con la famiglia
negli anni ’30; successivamente ha insegnato nelle Università di Berlino e di Brema. Ha
approfondito moltissimi temi del diritto pubblico, coniugando sempre il dato positivo alla
prospettiva storica. PANUNZIO ricorda in particolare il libro di Schefold sulla sovranità (il cui
titolo potrebbe essere tradotto con “Il risorgimento svizzero”), i suoi numerosi studi sul
parlamentarismo, sulle autonomie locali, sulla giustizia costituzionale e ancora gli scritti
molto noti di storia del diritto costituzionale e storia del pensiero costituzionale, alcuni di
questi tradotti anche in italiano; di recente ha pubblicato un articolo su Hermann Heller, uno
degli autori più studiati da Schefold: Teoria sociale e teoria statuale e della democrazia in
Hermann Heller (in Quaderni costituzionali, n.1, 2003).
Dian Schefold ringrazia Panunzio e gli altri colleghi per essere stato invitato a parlare di
un tema così importante per i giuristi, che collega la teoria dei diritti fondamentali alla loro
applicazione, soprattutto in questa fase fondamentale per l’unificazione europea. Mostra,
però, alcune perplessità in merito al tema della dignità umana, in particolare per quanto
riguarda la sua funzione di garanzia dei diritti, ed esprime alcuni dubbi proprio sul ruolo
ambiguo che questa può assumere sotto il profilo dell’ambito di tale garanzia. Fa riferimento
ad un’opinione di grande importanza tra i costituzionalisti, quella di Peter Häberle, autore del
saggio “Die Menschenwürde als Grundlage der staatlichen Gemeinschaft”, sulla dignità
umana come fondamento della comunità statale, pubblicato nel 1987, nel primo volume dello
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Handbuch des Staatsrechts, a cura di Isensee e Kirchhof; Schefold afferma che non si sente di
condividere l’interpretazione ottimistica e la chiave di lettura data da Häberle al tema della
dignità umana e dichiara che affronterà il tema da un punto di vista notevolmente più scettico.
Nell’ultima importante monografia tedesca dedicata alla dignità umana Christoph Enders,
abilitando a Friburgo e ora professore a Lipsia, termina il suo libro, Die Menschenwürde in
der Verfassungsordnung, con la favola dei fratelli Grimm sull’uomo con la pelle d’orso.
Quest’ultimo vorrebbe sposare una delle tre figlie dell’uomo che ha aiutato grazie al patto
fatto con il diavolo. Enders, però, si mette nei panni di una delle sorelle, la quale afferma che
la figura con la pelle d’orso non ha neppure lontanamente le sembianze di un uomo. In tal
caso, quindi, la dignità umana in che cosa consiste?
L’introduzione di Schefold sulla dignità umana si articola in cinque parti: la prima, in cui
viene affrontato il discorso generale sulle garanzie della dignità umana e sull’importanza di
questa in Germania; la seconda, che riguarda la dignità umana come limite alla revisione
costituzionale; la terza, relativa al possibile contenuto di un diritto alla dignità umana; la
quarta, in cui si considera la dignità umana in correlazione con altri diritti; la quinta,
sull’importanza della dignità umana come obbligo di protezione di alcuni diritti e, pertanto,
come limitazione di altri.
Il primo articolo della Legge Fondamentale tedesca stabilisce, nel primo comma, che la
dignità umana è intangibile; nel secondo comma, riconosce che i diritti umani sono inviolabili
e inalienabili – ed in merito all’inviolabilità dei diritti non si può fare a meno di richiamare
l’art.2 della Costituzione italiana. Assume notevole importanza la radice comune dell’Italia e
della Germania nella seconda guerra mondiale, paesi segnati entrambi in modo profondo dal
fascismo e dal nazismo. D’altra parte, in tutte le costituzioni tedesche postbelliche è presente
un riferimento alla dignità umana: il costituente bavarese prevede la dignità umana
nell’art.100. Senza dubbio prevalse allora una decisa volontà di opporre al totalitarismo un
valore positivo della persona umana come fattore dominante. Schefold ricorda, in proposito, il
primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948 e la
sua influenza diretta sul Consiglio Parlamentare, che in quel periodo era al lavoro a Bonn. Il
concetto di dignità umana, in realtà, ha origini diverse e divergenti: la stoà, con la dottrina
degli obblighi umani; la concezione di Cicerone nel De officiis, la partecipazione della dignità
all’ordine divino nella Scolastica; la soggettivizzazione della dignità umana di Giovanni Pico
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della Mirandola; la filosofia kantiana; nonché i principi del socialismo, costruiti sul principio
della dignità umana in opposizione allo sfruttamento. A partire dal secondo dopoguerra, le
differenti e eterogenee radici della dignità umana vanno, però, a convergere, contribuendo
alla definizione di una configurazione positiva del concetto stesso. In tal senso si esprime la
dottrina tedesca nell’interpretazione dell’art.1 della Legge Fondamentale e in particolare la
lettura di Gunter Dietrich, che è fondata sul principio che nella “formula dell’oggetto” esiste
una lesione della dignità umana se la persona concreta viene considerata oggetto, strumento,
quantità fungibile. Se appare evidente, in tale interpretazione, una netta contrapposizione al
nazismo, è molto più complesso stabilirne il significato all’interno di una società con diritti e
doveri. Sotto un altro aspetto, l’importanza della dignità umana viene riconosciuta dalla
Legge Fondamentale, nell’art.79, comma 3, che prevede tra i limiti alla revisione
costituzionale la dignità umana, statuita dall’art.1. In tal senso l’art.1 della Legge
Fondamentale diviene un valore supremo; inoltre, l’art. 19, comma 2, prevede una garanzia
del contenuto sostanziale dei diritti fondamentali e l’art.1, comma 3, stabilisce che i diritti
fondamentali vincolano la legislazione, il potere esecutivo e la giurisdizione come diritto
immediatamente vigente.
Nella seconda parte dell’introduzione, Schefold affronta in modo più approfondito tali
problemi. Premesso che non sono legittime revisioni costituzionali che violino esplicitamente
la dignità umana, appare interessante riflettere su come l’art.1 abbia influenzato la revisione
costituzionale a partire dal 1949; in merito cita tre sentenze del Tribunale costituzionale
tedesco in ordine alle modificazioni della costituzione, in materia di segretezza delle
telecomunicazioni (art. 10, comma 2), di espropriazioni postbelliche nella Germania orientale
(art.143, comma 3) e di diritto di asilo (art.16 A).
La questione dell’”incostituzionalità di norme costituzionali”, cioè in contrapposizione con
i valori fondamentali della Costituzione, è stata affrontata dal Tribunale costituzionale già
cinquanta anni fa in una famosa sentenza del 1953, in ordine al diritto matrimoniale del
codice civile tedesco BGB nel 1949, che risultava in contrasto con il principio
dell’eguaglianza dei sessi, enunciato nell’art. 3, comma 2, della Legge Fondamentale. Una
disposizione transitoria, l’art.117, comma 1, manteneva
il diritto esistente in vigore,
malgrado la sua incostituzionalità, fino al 31 marzo 1953. Fino a questa data la legislazione
nuova conforme al principio di eguaglianza dei sessi non era stata ancora emanata; il giudice
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civile, però, dal 1 aprile 1953 era tenuto ad applicare tale principio invece del diritto civile
incostituzionale, e ovviamente da ciò potevano risultare diverse incertezze e sentenze
difficilmente prevedibili. Pertanto, alcuni tribunali e anche la Corte di cassazione mantennero
l’incostituzionalità della disposizione transitoria che voleva limitare l’applicazione del diritto
matrimoniale preesistente, invocando il principio della certezza del diritto come principio
essenziale dello stato di diritto, quasi fosse un diritto naturale e opponendosi in tal modo al
principio dell’eguaglianza dei sessi. D’altra parte, il Tribunale costituzionale respinse tale
prospettazione e dichiarò la legittimità costituzionale della disposizione transitoria, con una
decisione che a Schefold appare estremamente sensata, derivandone l’obbligo dei giudici di
applicare il principio dell’eguaglianza dei sessi. Il Tribunale costituzionale ammise nelle
motivazioni la possibilità di “norme costituzionali incostituzionali” anche per quanto riguarda
le norme di revisione costituzionale. Questa decisione, di notevole rilievo, ha aperto la strada
ad un controllo della Tribunale costituzionale sulle norme suddette. Tale posizione, allora
molto controversa, suscitò interesse anche in Italia (Schefold fa riferimento in particolare ad
un famoso scritto di Otto Bachof). Si consideri, però, che nella sentenza sopra citata non vi
era alcun richiamo all’articolo 1 e che le misure di controllo erano diverse.
Nel solco di tale decisione si inserisce il controllo della modificazione costituzionale del
1968, che permetteva, secondo il nuovo art.10, comma 2, della Legge Fondamentale, allo
scopo di difendere l’ordinamento fondamentale liberale e democratico, l’adozione di misure
amministrative di intercettazioni telefoniche, senza che queste fossero comunicate agli
interessati, motivo per cui si escludeva la possibilità di agire in giudizio contro tali misure. Il
Tribunale costituzionale ha messo in dubbio tale modificazione costituzionale, interpretando
la nuova disciplina in un senso restrittivo in considerazione della dignità umana, menzionando
la “formula dell’oggetto” di cui si è detto in precedenza. Certo, l’esclusione dell’agire in
giudizio nel caso considerato sembrava una limitazione non eccessivamente grave, ma la
Corte ha affermato che «l’uomo non di rado è oggetto non solo delle situazioni e dello
sviluppo sociale ma anche del diritto in quanto vi si deve adeguare in contrasto con i suoi
interessi». Tuttavia, una lesione della dignità umana non può essere ravvisata solamente in
questo. La sentenza è stata molto contestata: non sono mancati pareri in favore
dell’incostituzionalità, vi è stata per la prima volta una opinione dissenziente di tre giudici
costituzionali e anche nella dottrina sono emersi orientamenti contrari, in particolare Peter
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Häberle ha dato una lettura decisamente critica della sentenza. Ma la prova del fuoco della
dignità umana come limite alla revisione costituzionale non fu superata, e, d’altra parte, le
altre due sentenze più recenti non mutano sostanzialmente tale orientamento. La Repubblica
Federale in merito alla riunificazione aveva stabilito che non potevano essere revocate
espropriazioni nella zona sovietica dei primi anni del secondo dopoguerra e con una
disposizione transitoria speciale – l’art. 143, comma 3, si dava legittimazione costituzionale a
un tale intervento sulla proprietà stipulato nel trattato sull’unità. Anche in questo caso il
Bundesverfassungsgericht negava una lesione della dignità umana soprattutto per il limitato
influsso della repubblica federale su tali misure degli anni Quaranta. Passando ad analizzare la
terza sentenza, nel 1993 viene introdotta una nuova disciplina estremamente restrittiva del
diritto di asilo, che non fu qualificata come lesione della dignità umana, benché la “formula
dell’oggetto” avesse avuto un campo di applicazione abbastanza concreto, in quanto gli
“asilanti” venivano considerati come oggetti.
Perciò come risultato concreto si può e si deve dire che la dignità umana non ha avuto
finora effetti in merito a revisioni costituzionali. Schefold sottolinea che è vero che le garanzie
politiche erano sufficienti e che le revisioni non apparvero disumane, ma non è stata la dignità
umana a sortire tali effetti. Piuttosto, ciò che ha avuto un effetto più rilevante è stata la portata
della dignità umana come principio o come diritto fondamentale nell’ordinamento legislativo
e la sua applicazione nel diritto tedesco. La norma dell’art.1 introduce un catalogo dei diritti
fondamentali molto esteso e il terzo comma parla dei successivi diritti fondamentali che sono
proclamati vincolanti.
La dignità umana stessa è un diritto? Tale questione, molto discussa dal 1949 in poi, è stata
resa particolarmente complessa dal catalogo dei diritti già piuttosto ampio e completo ed
ulteriormente esteso dalla giurisprudenza costituzionale, che deduce dallo sviluppo della
personalità – art.2, comma 1 – un diritto di libertà generale, a partire dalla famosa sentenza
Elfes. Una spiegazione potrebbe essere individuata nel fatto che la Legge Fondamentale, a
differenza della Costituzione italiana, quasi non conosce i diritti sociali; Schefold pone
apertamente la questione se sia possibile inserire tra questi diritti la dignità umana. In uno dei
primi studi italiani sulla Legge Fondamentale, Carlo Amirante si è occupato a fondo di tali
problematiche. La Costituzione di Weimar aveva previsto nelle disposizioni sulla costituzione
economica, e, in particolare, nell’art. 151, comma 1, che l’ordinamento economico deve
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essere orientato verso la garanzia di un esistenza “degna” per tutti. Questa è una prima radice
della dignità umana, secondo un principio di dignità socialista sviluppato successivamente in
Germania da Ernst Bloch. In tale senso sarebbe stato possibile interpretare l’art.1, comma 1
della Legge Fondamentale insieme allo stato sociale come diritto ad un’esistenza degna della
persona.
Viene citata una delle prime sentenze del Tribunale costituzionale del 1951 concernente il
caso di una vedova di guerra con tre figli, che titolare di una pensione insufficiente per
mantenere la famiglia, ne chiese l’adeguamento ai fini di una “esistenza degna”; il Tribunale
respinse il ricorso dicendo che né lo stato sociale né la dignità umana garantiscono di per sé
un certo livello di prestazioni, rinviando al legislatore. Con tale sentenza lo sviluppo verso
una dignità umana in campo sociale era bloccato, ed appare opportuno evidenziare che la
dottrina recente sulla dignità umana trascura questa ambiguità della sentenza. In una sentenza
più recente, invece, il Bundesverfassungsgericht ha negato che il trattamento dei marinai
stranieri su navi tedesche secondo il diritto del lavoro dei loro stati di provenienza – cioè con
stipendi molto più bassi rispetto ai marinai tedeschi e perciò con contratti di sfruttamento,
come si sottolinea nella motivazione – riguardasse la problematica della dignità umana.
Riprendendo la favola cui Enders fa riferimento, forse non la pelle d’orso ma la pelle scura
legittima la distinzione; a questo punto Schefold si domanda dove rimane l’eguaglianza. Il
discorso, in realtà, è più complesso, in quanto esiste un’ampia giurisprudenza costituzionale
che ha riconosciuto un diritto all’assistenza sociale ed alle prestazioni minime essenziali. In
alcune sentenze in materia tributaria il Tribunale costituzionale ha segnalato limiti
costituzionali molto concreti al legislatore a protezione del matrimonio, della famiglia e della
proprietà. Tra queste pronunce ve ne sono alcune che escludono la tassazione del reddito
minimo essenziale e che hanno vincolato il legislatore a tenerne conto nella legislazione
fiscale: nella motivazione viene menzionata anche la dignità umana. Però non è la dignità
umana a misurare il minimo di vita degno, bensì motivi di eguaglianza nel sistema di
tassazione, essendo riconosciuti dalla legislazione fiscale livelli minimi di vita tassabili.
Pertanto il concetto di dignità umana non è riconoscibile in Germania in senso economicosociale o almeno non è affatto chiaro se lo sia. Ma il fatto che la dignità umana sia citata
insieme agli altri diritti fondamentali nelle motivazioni costituisce prassi giurisprudenziale
rilevante. Questo sarà l’oggetto della quarta parte.
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Nella prassi giurisprudenziale emerge chiaramente l’interrogativo se la dignità umana
possa essere intesa come diritto fondamentale o piuttosto nella sua funzione di rafforzamento
di un diritto costituzionale, ovvero, se essa possa essere considerata un principio euristico,
come dice Enders. In questo campo la giurisprudenza è ricchissima e solleva problematiche
estremamente delicate. Il caso classico e forse meglio comprensibile è il diritto allo sviluppo
della personalità, secondo l’art.2, comma 1, della Legge Fondamentale. Fra tante estensioni
della portata di tale diritto da parte della giurisprudenza, con il contributo del diritto civile, ne
è derivato un vero e proprio diritto alla protezione della personalità. Chiunque sia leso nel
diritto della personalità, nella sfera privata, nell’onore personale, può avvalersi del diritto
civile e del diritto costituzionale. Così la Corte di cassazione, oltre ai diritti esplicitamente
previsti nel codice civile, ha sviluppato il profilo costituzionale di tale protezione
giustificando, oltre i limiti troppo stretti della scuola romanistica dell’Ottocento, indennizzi
per violazioni dell’onore personale. Si trattava di un interpretazione di diritto molto libera che
ha modificato il diritto di protezione della persona in Germania. Il diritto costituzionale,
culminando nella dignità umana, è servito a giustificare una tale svolta interpretativa. Il
Tribunale costituzionale ha approvato questa interpretazione, dicendo che la «Corte di
Cassazione si è distaccata dalla legge scritta soltanto nella misura necessaria per applicare il
diritto». Trattandosi essenzialmente di una interpretazione che sviluppa il diritto civile e
considerando che sono le Corti e i Tribunali a dare sviluppo a tale materia, le obiezioni
metodologiche sono meno pesanti, perché già questa giurisprudenza solleva problemi gravi.
D’altra parte, la combinazione del diritto al libero sviluppo della personalità con la dignità
umana mette al riparo da interventi del potere pubblico nella sfera privata: con il caso
eclatante di rendere più difficili i censimenti periodici e, di recente, i controlli medici sull’uso
di hashish in relazione all’idoneità a guidare oppure controlli genetici di vario tipo e ricerche
sui genitori naturali di figli adottati. Tali problemi nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo fanno parte del diritto alla privacy, in Germania si parla di diritto alla protezione
dei dati personali e soprattutto di diritto all’autodeterminazione informatica, quest’ultimo
molto discusso dalla dottrina. L’effetto pratico è anzitutto un ampliamento del principio di
proporzionalità: lo scopo legittimo di una misura deve essere bilanciato con la dignità umana
e evidentemente in un tale bilanciamento ha peso maggiore la protezione dei diritti, non solo
per il libero sviluppo della persona ma anche per la dignità umana.
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Vi sono altri casi che riguardano il diritto alla privacy collegati al diritto alla vita e
all’integrità personale, disciplinato dall’art.2, comma 2, della Legge Fondamentale. Schefold
cita il famoso caso Pretty, sottolineando che le vie di approccio possono essere differenti, a
seconda che lo si consideri a partire dalla Convenzione europea dei diritti o dalla Legge
Fondamentale. Entrambi questi ordinamenti disciplinano il diritto alla vita e lo collegano ad
un altro diritto ideale della persona: in ambito europeo, quest’altro diritto è quello alla
privacy, cioè un diritto soggettivo, personale, molto intimo e perciò forse più vicino ad un
diritto alla morte di quanto considerato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Secondo la
Legge Fondamentale, invece, la dignità umana forse può portare a conseguenze comparabili,
ma la dignità è nella sua essenza un valore che rafforza il diritto alla vita. Schefold non crede
che il caso Pretty sarebbe stato deciso diversamente in Germania, anzi ritiene che
un’argomentazione fondata sulla dignità umana potrebbe rappresentare piuttosto un ostacolo
ad un aiuto attivo alla morte. L’aiuto passivo, cioè l’omissione di misure tecniche, il diritto ad
una morte secondo dignità e in maniera meno evidente, come anche il diritto al suicidio, sono
difesi dall’opinione dominante; mentre per l’aiuto attivo alla morte e per l’eutanasia ci sono
opinioni minoritarie, soprattutto di Norbert Herste, fondate più che su motivazioni di diritto
costituzionale su argomenti di filosofia del diritto, sulla base delle teorie di Pietro Zinger.
Schefold sottolinea che da lungo tempo il problema più complesso riguarda l’aborto. Già
nel 1975, mentre la maggior parte delle Corti europee hanno accettato le legalizzazione
dell’aborto fino a una certa fase della gravidanza, il Tribunale Costituzionale tedesco ha
annullato una legge che aveva il medesimo oggetto: il motivo essenziale era il diritto alla vita
del nascituro, sviluppato in due direzioni, nelle quali il ricorso al principio della dignità
umana sembrava essere l’elemento decisivo. Da un lato ci si allontana dal concetto di diritto
alla vita, come garantito dall’art.2, comma 2, della Legge Fondamentale, che presuppone un
soggetto del diritto: secondo le regole generali della soggettività dei diritti un non nato non si
può considerare come tale, certo si può parlare di una vita nell’utero, ma difficilmente di un
titolare di un tale diritto; come motivo per proteggerlo serve invece la dignità umana, non
necessariamente legata ad un individuo esistente, ma prevedendo un motivo di protezione in
generale. Dall’altro lato, il Tribunale costituzionale rafforza questa protezione qualificando la
dignità umana come valore positivo dell’ordinamento, che deve essere protetto anche
attraverso il diritto penale. Mentre questa seconda interpretazione fu notevolmente criticata
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con voto dissenziente, la prima, cioè quella della vita embrionale, fu condivisa da una visione
forse moralmente apprezzabile, ma legalmente e soprattutto sotto il profilo costituzionale
molto problematica. Schefold inoltre sottolinea che l’aborto certamente non è punito come
omicidio e che senza dubbio lascia perplessi, in questa materia, la previsione di diritti, ed in
particolare di diritti fondamentali senza soggetto.
Nel 1975 la Repubblica Federale era tornata ad una soluzione fondata sulle motivazioni
del Tribunale Costituzionale, ma in Germania Orientale, dove la liberalizzazione dell’aborto
era ammessa e condivisa, al momento della riunificazione non si volevano introdurre
limitazioni in proposito. Il trattato sull’unificazione prescrisse dunque una nuova disciplina
ed il legislatore, dopo un dibattito lungo e intenso, fortemente condizionato dalla sentenza del
Tribunale costituzionale del 1975, scelse una soluzione che prevede come indicazione
generale la consulenza obbligatoria, ma che riconosce il principio dell’autodeterminazione
della donna. Schefold ricorda che le complesse problematiche emerse a tal proposito sono
affrontate in modo esauriente in un volume di Marilisa D’Amico. Successivamente il
Tribunale federale è tornato a pronunciarsi su tale questione in un sentenza estremamente
lunga e complicata riprendendo principi sanciti nel 1975, soprattutto per quanto riguarda
l’importanza della dignità umana nella protezione della vita, ma ha eliminato parzialmente
l’obbligo del legislatore di utilizzare sanzioni penali nel caso in cui introduca altri strumenti
equivalenti. Tuttavia con la creazione di un divieto di misure troppo basse sulla base del
principio di proporzionalità, si è riservata un controllo sulla quantificazione delle misure
legislative della pena. Schefold conclude affermando che il Tribunale costituzionale tramite
la dignità umana ha modificato molto, attribuendo un nuovo significato al diritto alla vita.
Per quanto riguarda la pena di morte, che è stata abrogata sia dalla Legge Fondamentale
sia dalla Convenzione Europea, in Germania una sua reintroduzione attraverso una riforma
costituzionale viene generalmente esclusa dalla dottrina, proprio perché in contrasto con la
dignità umana. L’integrità personale è rinforzata dalla simultanea applicazione della dignità
umana, pertanto il Tribunale costituzionale ha applicato il principio di proporzionalità
nell’istruttoria e nel processo penale e l’argomento della dignità umana rafforza questo
controllo. La tortura non è menzionata dalla Legge Fondamentale e sembra essere senz’altro
esclusa, benché di frequente si levino voci in favore della sua ammissione per la protezione
della vita nei casi di rapimento. Per quanto riguarda l’ergastolo, in realtà, con il criterio di
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proporzionalità potrebbero essere previste delle limitazioni della pena; il Tribunale
costituzionale in una sentenza ampiamente motivata, riconoscendo che l’applicazione della
pena distrugge la personalità e perciò la dignità umana, pur non introducendo una regola
generale che permetta una tale valutazione, ha stabilito principi che obbligano a concedere il
rilascio in casi stabiliti. In una sentenza più recente l’idea della risocializzazione del detenuto
è basata sulla dignità umana con la previsione di una retribuzione per l’attività lavorativa dei
detenuti. In tal senso si conferma che l’art.1 della Legge Fondamentale può essere considerato
come centro della garanzia dei diritti di libertà e che la tecnica di combinazione argomentativa
del diritto di libertà con la dignità umana si va sviluppando sempre più. Tuttavia non è escluso
che tali risultati potevano essere motivati riferendosi ai singoli diritti e agli strumenti
argomentativi classici, quali il criterio di proporzionalità anche senza avvalersi del principio
della dignità umana.
Schefold nella quinta parte della sua introduzione affronta la questione della dignità umana
in correlazione con altri diritti, evidenziando che questa non opera come diritto ma come
rafforzamento del campo di applicazione dei diritti. Il punto di partenza classico è la tutela
della personalità; come si è osservato in precedenza il diritto civile ha utilizzato il diritto della
personalità, riconducendolo all’art. 2, comma 1, della Legge Fondamentale e deducendone in
alcuni casi l’indennizzo per violazione della personalità. Indubbiamente tale giurisprudenza
appare fondata su basi più solide se motivata dalla dignità umana. In tal senso la lesione
dell’onore personale non è soltanto correlata al diritto della personalità e al suo libero
sviluppo ma, in quanto vero e proprio attacco alla dignità umana, costituisce una motivazione
forte per la richiesta di un indennizzo. Schefold indica alcuni esempi a riguardo: un’agenzia
pubblicitaria citata per danno della personalità da parte di un giovane cavallerizzo la cui
immagine era stata utilizzata per una pubblicità di un farmaco per la stimolazione sessuale,
anche se ciò può apparire conforme ad una economia di mercato. Generalmente, però, si tratta
di articoli giornalistici di politica o di arte che riportano interviste inventate e dichiarazioni
false; ricorda casi recenti come quello dell’ex imperatrice Soraia o di Carolina di Monaco.
Qui emergono differenti piani che si intersecano: da una parte la tutela della personalità
collegata con la dignità umana, dall’altra la libertà di manifestazione del pensiero e il
problema relativo a come e con quali strumenti questa debba essere limitata. In merito la
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giurisprudenza tedesca arriva ad un giusto bilanciamento tra libertà, dignità della persona e
libertà di manifestazione del pensiero.
Non mancano però casi particolarmente controversi, come quello del divieto di
distribuzione del romanzo di Klaus Mann, Mephisto, che descrive in modo pungente la
biografia di un uomo, dietro il quale era facile riconoscere la figura del suo ex cognato nel
periodo del nazismo, quando l’autore era emigrato negli Stati Uniti: alla morte di
quest’ultimo, il figlio adottivo del cognato aveva richiesto il divieto di distribuzione del libro.
Sebbene l’autore e suo cognato fossero già morti, nel 1971 il dibattito sull’adattamento critico
al nazismo e sull’emigrazione restava comunque di notevole interesse e attualità. Nel
bilanciamento con la dignità umana il Tribunale giunse a considerare in modo prevalente il
diritto della personalità, anche in relazione ad un soggetto dopo la morte e perciò respinse il
ricorso del nuovo editore che continuava a pubblicare il Mephisto. A riguardo, tre giudici
costituzionali espressero la loro opinione dissenziente, richiamandosi al fatto che si trattava di
un’opera d’arte e la libertà d’arte è garantita dall’art.5, comma 3, della Legge Fondamentale,
senza limiti. L’interpretazione data dalla giurisprudenza tiene conto di altre disposizioni
costituzionali, in tal senso occorre riconoscere che il diritto della personalità – art. 2, comma
1, della Legge Fondamentale – è limitato dall’ordinamento costituzionale, praticamente da
una riserva di legge. Invece l’argomentazione del Tribunale costituzionale che fa riferimento
alla dignità umana è fondata sull’obbligo per il legislatore di limitare il valore della libertà
d’arte, nonostante i diritti fondamentali non siano limitabili; la disciplina costituzionale dei
diritti e delle limitazioni dei diritti è rovesciata da una teoria dell’obbligo di protezione della
dignità umana, che funziona come strumento di legittimazione. Schefold pone in evidenza che
esistono situazioni per cui un tale rovesciamento della dottrina sembra essere necessario e
l’esempio del caso Mephisto appare certamente significativo.
Cita altri due esempi di particolare interesse che dimostrano il contrario. Il tribunale
federale amministrativo ha dichiarato contrarie alla dignità umana le rappresentazioni di
peep-shows e perciò nulle tutte le autorizzazioni amministrative emanate in materia. Anche se
invocare la dignità umana per vietare tali rappresentazioni con il fine non di proteggere la
persona, ma di limitare un’attività, non può essere considerata secondo Schefold una scelta
condivisibile in un contesto in cui si legalizza la professione della prostituzione. Inoltre
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vengono sollevate alcune perplessità in ordine ad una legge federale che include la violazione
della dignità umana da parte dei media tra i criteri che individuano i pericoli per la gioventù.
Ritornando al discorso sulla giurisprudenza costituzionale in materia di aborto: il soggetto
di diritti è l’embrione, che però non si può considerare titolare di diritti in senso stretto;
pertanto, l’obbligo alla protezione dell’embrione deriva dalla dignità umana astratta. In questo
caso ogni forma di protezione si rivolge contro la madre, contro il suo diritto di sviluppo
della personalità e integrità fisica. Appare opportuno un bilanciamento, che non può
prescindere dall’allargamento del diritto alla vita operato mediante la dignità umana e se si
confrontano i diritti individuali concreti si ha la prevalenza del diritto della madre che può
incontrare limiti per motivi di etica, la cui esecuzione non può certamente spettare al potere
statale. A tal proposito il primo contrasto è emerso dopo la seconda sentenza sull’aborto,
quando il primo senato del Tribunale costituzionale doveva decidere in merito alla
giurisprudenza civile in materia di trattamenti medicinali non riusciti, ad esempio:
sterilizzazioni che hanno come conseguenza una gravidanza e la nascita non voluta di un
figlio prevedibilmente handicappato; in tali casi la Corte di cassazione aveva sviluppato la tesi
secondo la quale non l’esistenza stessa del bambino, ma il danno economico che egli
provocava ai genitori diveniva rilevante per il riconoscimento della responsabilità civile del
medico. Il secondo senato del Tribunale, però, aveva affermato che in nessun caso la nascita
di un bambino poteva costituire un danno e pertanto criticato la giurisprudenza civile in
materia. Il primo senato decidendo sul ricorso contro la giurisprudenza civile la confermò
respingendo il ricorso e dichiarando nelle motivazioni che la pronuncia del secondo senato era
stato soltanto un obiter dictum. Quest’ultimo però si oppose a tale giudizio dichiarando in un
ordinanza, pubblicata ufficialmente nella Gazzetta delle sentenze della Corte, che il suo
dettame è stata ratio decidendi della sentenza sull’aborto e che il primo senato avrebbe dovuto
sottoporre la questione al plenum del Tribunale costituzionale. Il caso, senza precedenti nella
giurisprudenza tedesca, indica la guerra fondamentale provocata dalla giurisprudenza
costituzionale in merito al valore comune di dignità umana, che così come divide il Tribunale
costituzionale in realtà provoca una profonda spaccatura all’interno della società.
Un altro caso significativo riguarda la genetica umana e in particolare l’inseminazione
artificiale, che è stata qualificata da alcuni come contraria alla dignità umana in quanto non
protegge un soggetto. Il problema è più complesso nel caso in cui si creano in provetta cellule
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fecondate che non vengono utilizzate per la procreazione di un essere umano e in questo caso
non c’è una persona da proteggere ma si può parlare di una forma di vita che merita
protezione legislativa; Schefold si domanda fino a che punto l’obbligo di protezione va oltre
la protezione soggettiva. La giurisprudenza civile sull’aborto ha riconosciuto che la
protezione soggettiva dovrebbe essere completa; tale è l’argomentazione di una commissione
presieduta dall’ex presidente del Tribunale costituzionale Benda, che ha presentato una legge
sugli embrioni del 1990. Ma la ricerca non si è fermata, anzi si è giunti ad estendere le
possibilità di utilizzare cellule fecondate e di importare tali cellule per scopi di ricerca; si
tenga presente che la libertà della ricerca viene garantita senza limiti espliciti dall’art. 5, della
Legge Fondamentale. Attraverso l’interpretazione della giurisprudenza costituzionale con il
ricorso alla dignità umana è stata introdotta una limitazione: l’obbligo di proteggere la vita
prevale infatti sia nel caso delle cellule fecondate in provetta che dell’embrione materno. Il
problema che rimane aperto per l’aborto e la problematica della ricerca è se la
differenziazione tra il diritto alla vita della persona e la protezione della vita non legata ad un
soggetto sia superata e vietata dalla dignità umana. Tale delicata questione, rimasta poco
chiara nella giurisprudenza, si è riaperta con i nuovi sviluppi della scienza della genetica
umana. Con ciò Schefold non ritiene che tutto sia legittimo nel campo della genetica: esistono
fenomeni inaccettabili come la clonazione o la creazione di entità miste e qui è sicuramente
necessario far ricorso al valore della persona e della dignità umana come limite alla ricerca.
Tali questioni toccano valori etici e politici e devono essere risolte attraverso un
bilanciamento dei diritti, se si inserisce la dignità umana in tale bilanciamento a volte si
possono raggiungere esiti non graditi per le nostre società.
La dignità umana come valore fondamentale può e deve, forse, essere la base di una
coscienza comune, potrebbe rappresentare l’ultimo limite alla revisione costituzionale, non
può e non deve anticipare le decisioni politiche. Leggendo la valida introduzione di Damiano
Nocilla al libro di George Jellinek, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino,
Giuffrè, 2002, si ha la sensazione di quanto possa apparire pericolosa la teoria tedesca, sotto
alcuni aspetti utile e necessaria, dei diritti fondamentali come regole giuridiche da applicare
nel processo politico. La dignità dell’uomo fa esplodere tale sistema e ci obbliga a ricorrere al
fondamento giusnaturalistico dei diritti fondamentali. Schefold conclude il suo intervento con
una citazione di Thomas Jefferson, dall’Atto di stabilizzazione della libertà religiosa in
15
Virginia del 1779 : «And though we well know that this Assembly, elected by the people for
the ordinary purposes of legislation only, have no power to restrain the acts of succeeding
Assemblies, constituted with powers equal to our own, and that therefore to declare this act
irrevocable would be of no effect in law; yet we are free to declare, and do declare, that the
rights hereby asserted are of the natural rights of mankind, and that if any act shall be
hereafter passed to repeal the present or to narrow its operation, such act will be an
infringement of natural right».
Alberto VESPAZIANI si dichiara stupito della conclusione di Schefold. Sembrava
infatti che tutta l’introduzione, segnata da quell’approccio scettico dichiarato in apertura, si
ispirasse ad un positivismo sobrio; invece – nelle battute conclusive – Dian Schefold ha
proposto il richiamo a Thomas Jefferson.
Se è vero che del principio della dignità umana se ne potrebbe fare anche a meno sotto il
profilo dell’effettività della protezione dei diritti fondamentali, che cos’è allora
l’enunciazione della dignità umana, secondo un approccio positivo? Una regola di
riconoscimento degli altri diritti fondamentali? Una nozione a contenuto variabile? Un
principio? Oppure è uno scomodo giudizio di valore, un’enunciazione che costringe
l’interprete ad un giudizio di valore? Ancora, da un punto di vista giurisdizionale, può
trattarsi di una strategia argomentativa: in questo senso, una strategia argomentativa che si
richiama alla dignità umana, non può essere anche favorevole ad una maggiore effettività
della protezione dei diritti fondamentali, anche di quelli non enunciati?
Dian SCHEFOLD ringrazia Alberto Vespasiani per il suo intervento, specialmente
perché gli consente di chiarire una certa cesura che poteva rilevarsi nell’introduzione. Non vi
è dubbio, infatti, che nell’introduzione si è sostenuta la tesi secondo cui l’enunciazione
normativa della dignità umana in Germania è priva di efficacia. Essa tuttavia affonda le
proprie radici storiche in valori importanti, riconoscibili, lodevoli, e parti della cultura
costituzionale. Questo è stato il senso dell’introduzione. Il problema si pone dal momento
che, in alcuni casi, la giurisprudenza ha dedotto dalla dignità umana conseguenze pericolose
per la libertà, come nell’esempio fatto sull’aborto. Nei confronti di queste operazioni occorre
essere critici, confermando l’importanza della dignità umana, ma nel senso giusnaturalistico
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e non giuridico e vincolante. Così era anche nelle parole di Jefferson. La dignità umana deve
cioè mostrare al costituzionalista tedesco i limiti del proprio metodo giuridico che finisce
ove la dignità umana è presa come strumento per positivizzare i diritti fondamentali.
Gaetano AZZARITI apprezza l’approccio complessivamente cauto adottato da Schefold
nell’esaminare il ruolo effettivamente svolto da un concetto come quello di dignità umana
che è – per sua stessa natura – denso di ambiguità. Cautela ancora più significativa in
considerazione del successo che, invece, attualmente sta attraversando la nozione di dignità
umana: si pensi al fatto che l’intero primo Capo della Carta europea dei diritti è intitolato
alla dignità e, in particolare, l’art. 1 è espressamente dedicato alla dignità umana.
Sulla scia degli stimoli forniti dall’introduzione, Azzariti si interroga sulle ragioni
dell’ambiguità riferita, osservando come essa è da farsi risalire al fatto che il concetto di
dignità umana non è utilizzato solo al fine di garantire una più estesa tutela dei diritti
fondamentali: la dignità umana ha almeno anche un’altra faccia, riguardando naturalmente il
mondo dell’etica. Se lasciata a sé la dignità umana può dunque collegarsi a visioni olistiche,
ovvero fondamentalistiche, con rischi di torsioni assolutamente negative, potendo finire
anche per porsi in contrasto con la tutela dei diritti fondamentali.
Con ciò non si vuole giungere a sostenere che la dignità umana sia un concetto da
abbandonare, ma solo – come inizialmente ricordato – evidenziare la sua ambiguità. Così,
non si sottovaluta per nulla l’importanza del profilo di garanzia che è più tradizionalmente
legato alla nozione di dignità umana, e che si riconnette alla protezione dell’individuo
dall’agire invasivo dell’autorità. La dignità umana può servire a definire uno status
libertatis. Basta considerare la lettera dell’art. 1 GG, che si rivolge espressamente alle
autorità statali imponendo loro di “rispettare e proteggere” la dignità umana. Così anche
nella Carta dei diritti dell’Unione europea, il tema sembra risolversi all’interno della
relazione tra autorità e libertà.
Appare però necessario – al fine di meglio specificare la nozione (ambigua) di dignità
umana, nonché per superare la sua utilizzazione in chiave esclusivamente “difensiva”
dall’autorità pubblica – ricollegare la dignità umana alla specifica tutela di diritti
fondamentali e alle sue diverse forme: non può lasciarsi solo l’“umano”, e limitarsi a parlare
astrattamente della sua dignità.
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In quest’ottica, appaiono preferibili le disposizioni contenute nella Costituzione italiana,
sia rispetto a quanto previsto nel GG, sia rispetto alle formulazioni contenute nella Carta dei
diritti dell’Unione europea. Più che di dignità umana, infatti, la nostra Costituzione all’art. 3,
comma 1, preferisce parlare di “pari dignità sociale”, così collegando direttamente la dignità
umana all’eguaglianza. La dignità umana prende corpo anche in altre disposizioni: all’art.
36, quando si afferma il principio che a ciascuno deve assicurarsi una “esistenza libera e
dignitosa” e una retribuzione necessaria a garantirla. Si pensi ancora al comma 3 dell’art. 27
della nostra Costituzione, che può considerarsi un’altra delle forme in cui la dignità umana si
garantisce in concreto, quando impone che le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al “senso di umanità”. Così, infine, anche quando il testo della nostra Costituzione
utilizza direttamente l’espressione “dignità umana” (all’art. 41), affianca ad essa anche altri
principi (la sicurezza, la libertà, oltre che l’utilità sociale) che tendono a dare corpo ad un
complesso di limiti che devono essere rispettati non solo dall’autorità pubblica, ma anche –
ed espressamente nell’art. 41 – dai soggetti privati. Sono dunque tutte formule che non si
limitano a considerare la dignità umana come espressione di una categoria astrattamente
etica, ma propongono un collegamento diretto tra la dignità umana e le concrete situazioni
dei cittadini, nonché i loro status.
In conclusione, e riassuntivamente, può affermarsi che: a) appare insufficiente
considerare la dignità umana in sé; b) l’uso della nozione di dignità umana può risultare
ambiguo, se ricondotto, senza mediazioni, al piano scivoloso dell’etica; c) non appare
sufficiente pensare alla dignità umana solo per garantire uno status libertatis. E’ necessario
piuttosto legare la dignità umana ad altri principi – in primo luogo al principio d’eguaglianza
– e ricollegarla a pretese positive (contribuendo così a definire uno specifico status civitatis).
Quando la dignità umana è lasciata a sé, non può escludersi che finisca per deludere le
aspettative, se non addirittura rappresentare un mezzo per imporre visioni particolari che
finiscono per assumere il concetto astratto (recte: il guscio svuotato) della “dignità umana”
per affievolire le conquiste raggiunte nel campo dei diritti civili, politici e sociali. Punto,
quest’ultimo, che la relazione di Schefold ha bene evidenziato ricordando alcune controverse
pronunce del Bundesverfassungsgericht.
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Dian SCHEFOLD condivide senz’altro l’intervento di Azzariti, ed esprime il proprio
sconforto per il fallimento verificatosi in Germania di ancorare la dignità umana ai diritti
sociali.
Paolo RIDOLA condivide la dichiarazione di Azzariti di consonanza con l’approccio
critico o comunque problematico che Dian Schefold ha dato al tema della dignità umana. Un
approccio condivisibile soprattutto se la prospettiva si allarga fino a considerare il tema
costituzionale della dignità umana in una prospettiva che trascenda i confini degli Stati. In
un passaggio dell’introduzione, Schefold ha parlato di radici che convergono nel
riconoscimento della dignità umana nel costituzionalismo del secondo dopoguerra, e che
prendono vita nelle clausole sulla intangibilità della dignità umana. Ora, viene da chiedersi
in quale misura sarà possibile trasferire il principio dell’intangibilità della dignità umana,
così carico di contenuti culturali ed ideologici, su di un piano sovrastatuale. Il forte spessore
culturale della dignità umana sembra dunque costituire un ostacolo. Non vi è dubbio infatti
che sullo sfondo delle clausole costituzionali che riconoscono l’intangibilità della dignità
umana vi sono determinate concezioni antropologiche, visioni dell’uomo radicate nella
storia, nelle tradizioni, nella cultura dei popoli. Tutto questo rende particolarmente
problematica l’estensione della dignità umana su di un piano più ampio. Si presenta anche il
rischio di alzare la soglia della posizione originaria, che è la premessa di quello che Rawls
chiamava il «consenso per intersezione».
Bisogna inoltre chiedersi se esista ancora oggi quella convergenza di radici di cui parlava
Schefold e che è stata in passato il contesto della positivizzazione della dignità umana. A
questo proposito, Ridola è d’accordo con Azzariti nell’individuare – nel costituzionalismo
del secondo dopoguerra – il lato più solido dell’intangibilità della dignità umana nel
collegamento con la rimozione degli squilibri sociali, l’eguaglianza sostanziale, la tematica
della libertà dal bisogno, che è il tema centrale del costituzionalismo del secondo
dopoguerra a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti delle Nazioni Unite. E questo è
il concetto di dignità che si rinviene nella nostra Costituzione all’art. 3 ed all’art. 41. E’
lecito domandarsi fino a che punto questo quadro costituisce ancora un patrimonio
costituzionale comune su larga scala.
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Con questo, non si vuole sostenere che il riferimento alla dignità umana susciti
perplessità sotto ogni profilo. Ad esempio, appaiono significativi i richiami alla dignità
umana operati dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee. La sentenza dell’ottobre del
2001 sulle biotecnologie – ad esempio – richiamava la dignità umana come limite ad una
concezione unicamente produttivistica o economicistica. Permangono comunque perplessità
sul legame di una clausola generale di tutela della dignità umana alla costruzione di un
generale obbligo di protezione dei diritti.
Adele ANZON concorda con le posizioni caute di Dian Schefold sul significato della
garanzia della dignità umana. Peraltro, non era di facile previsione un’accoglienza tanto
adesiva alle tesi di Schefold come quella emersa dagli interventi precedenti. Appare, in vero,
molto convincente la tesi secondo cui la formula della dignità umana contenuta nella
Costituzione tedesca rappresenti una sintesi della posizione dell’individuo nella collettività,
esprimendo dunque un concetto analogo a quello del valore della persona umana che
sottostà all’art. 2 della Costituzione italiana. Non è un caso che ambedue queste formule,
seppure così diversamente espresse, abbiano avuto la stessa sorte, subendo un’ambiguità
circa la loro definizione come formule chiuse o formule aperte, formule cioè riassuntive di
diritti poi espressamente garantiti o invece capaci di funzionare da fonti di nuovi situazioni
giuridiche soggettive.
Relativamente alla garanzia della dignità umana nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, Adele Anzon domanda all’introduttore se – nella prospettiva della sua
entrata in vigore – la formula della dignità umana sarà intesa come clausola aperta o come
clausola chiusa.
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Sergio LARICCIA ringrazia per l’introduzione l’amico Dian Schefold, col quale
condivide un rapporto molto fecondo di lavoro in comune in Università che, seppur lontane,
sono tuttavia divenute vicine grazie al programma “Erasmus”, come confermano le
numerose testimonianze degli studenti che – provenienti da Roma – si recano a Brema a
studiare e tornano entusiasti dell’opera di Dian Schefold, della sua passione, della sua
dedizione alla didattica.
Quindi, Lariccia esprime il suo apprezzamento per la relazione. Anch’egli condivide le
sue opinioni ed in particolare ciò che diceva a proposito delle radici di questa formula
costituzionale. A volte, parlando in una situazione nella quale i giovani sono molto
numerosi, può risultare difficilmente comprensibile quali furono le ragioni per le quali – in
un epoca ormai lontana circa cinquant’anni – siano maturate decisioni favorevoli
all’approvazione di alcune norme, come quella di cui all’art. 1 del GG del 1949 e all’art. 2
della Costituzione italiana. Ecco perché è importante ricordare che queste formule
rappresentarono una polemica nei confronti del passato, nei confronti di uno Stato
accentratore di potere, di una concezione statocratica del potere pubblico. L’affermazione
della dignità della persona umana significa allora contestare il principio che Mussolini in
Italia esprimeva con la famosa frase «tutto nello Stato, nulla contro lo Stato, nulla fuori dello
Stato». A questo proposito, è facile ricordare l’importante seduta dell’Assemblea costituente
del 9 settembre 1946 in cui Togliatti espresse un parere favorevole sull’opinione di Dossetti,
sostenendo che sulla concezione della persona umana come fine della democrazia anche la
parte politica che Togliatti rappresentava nell’Assemblea costituente non poteva che
condividere il punto di vista del cattolico Dossetti.
Lariccia condivide pienamente le osservazioni fatte da Schefold circa le conseguenze
pericolose per la libertà rappresentate nell’attuazione concreta e nell’interpretazione della
suddetta disposizione in Germania. Naturalmente, simili considerazioni si possono svolgere
anche rispetto all’ordinamento italiano. In particolare, sembra particolarmente felice quella
parte della relazione di Schefold nella quale egli sosteneva come sia sempre pericoloso
allontanarsi dalla concezione della persona umana come soggetto concreto, poiché quando si
è andati alla ricerca di un significato autonomo di dignità umana prossimo alla moralità
astratta, i rischi si sono palesati numerosi.
21
Tuttavia, formule come quelle della dignità umana hanno una loro utilità ed una loro
attualità: è importante che la parte prima della Carta di Nizza abbia dedicato un rilievo
particolare a questa espressione, riservando una norma specifica a tale principio, poiché il
problema della considerazione della persona umana e dei suoi valori è ancora attuale, in
considerazione del fatto che la persona umana è ancora posta in forte pericolo in
numerosissime situazioni.
Bastino tre riferimenti: in primo luogo il tema della pace e della guerra, così attuale in
questi giorni. Lariccia ammette di essere rimasto particolarmente colpito dalla relazione di
Peter Häberle e dalla simpatica commozione manifestata allorché è stato chiamato a
considerare un problema che mette in dubbio il lavoro di trent’anni di tanti giuristi che
credevano in principi che sono stati posti in discussione. Anche l’osservazione di Häberle
circa la necessità che si è avvertita in Germania di dissociarsi da una decisione degli Stati
Uniti, a prescindere dalle ragioni di sintonia che sussistono tra tedeschi e statunitensi, ha
suscitato particolare interesse. Ora, l’opinione favorevole alla soluzione pacifica delle
controversie internazionali (il riferimento è all’art. 11 della Costituzione italiana) trova un
forte riferimento in Costituzioni le quali legano assai strettamente tale opzione alla priorità
della persona umana: non c’è dubbio, infatti, che la guerra non può che determinare morti, i
quali, a prescindere dal colore della pelle, suscitano sdegno nell’opinione pubblica; si pensi
alle direttive molto precise rivolte ad evitare la diffusione di dati in merito al calcolo dei
morti nell’attuale conflitto in Iraq.
Un secondo cenno merita il tema della globalizzazione, specialmente riguardo
all’insistenza con cui molti giuristi hanno richiamato la necessità di una globalizzazione dei
diritti che sostituisca una globalizzazione guidata esclusivamente da finalità economiche.
Una simile esigenza poggia infatti su Costituzioni che hanno posto il principio della persona
umana come proprio fulcro, determinando una subordinazione del mercato in ragione dei
rischi che esso implica rispetto alla dignità della persona umana ed al valore dell’esistenza.
Infine, sotto un terzo profilo, l’attualità della formula della dignità umana si impone ove
si rifletta sul trattamento dei prigionieri. E’ noto che in un carcere di Cuba vi sono dei
prigionieri i quali, a prescindere dalla loro colpevolezza, sono senz’altro trattati con metodi
subumani che la sensibilità comune non sarebbe probabilmente disposta ad accettare
neanche nei confronti dei c.d. animali non umani, come si preferiscono chiamare le bestie.
22
Francesco CERRONE è in larga misura concorde con quanto detto sinora, anche se
manifesta una perplessità ed un’esigenza di chiarificazione. Si è colto – dalla relazione
introduttiva – che la dignità umana può operare, e di fatto ha operato nella giurisprudenza
del Tribunale Costituzionale federale, in termini di rafforzamento della tutela dei diritti. E
tuttavia, è stata anche brandita come argomento per limitare la libertà, come nelle sentenze
sull’aborto citate da Schefold. Giustamente, dunque, Azzariti e Ridola hanno insistito
sull’ambiguità della nozione, sulla sua volatilità concettuale. La domanda che Cerrone si
pone riguarda un passaggio della relazione di Dian Schefold in cui egli prospettava una
lettura della dignità umana come «coscienza comune». Rispetto a ciò, Cerrone nutre alcune
perplessità, giacché la dignità umana non può filtrare nel discorso giuridico se non attraverso
determinati percorsi retorici. I problemi maggiori nascono se questi percorsi pretendono di
presentarsi come discorsi sulla verità o di verità. Così si presentano a volte, ad esempio, i
discorsi contrari alla pratica dell’aborto. In una prospettiva multiculturale appare necessario
rompere con l’idea che la dignità umana rappresenti sintesi di una coscienza comune, come
già diceva Paolo Ridola. Una coscienza comune presuppone infatti una verità, mentre spesso
le retoriche sulla verità, pur provenendo da soggetti particolari (Chiese, confessioni, ecc.),
pretendono di essere comuni, portatrici della verità piuttosto che di una verità.
Diversamente, dignità umana potrebbe essere un concetto da ricercare all’incrocio di culture
e di aspirazioni individuali, intrecci che sempre di più caratterizzano il linguaggio delle
società multiculturali contemporanee, al di fuori di prospettive assimilazioniste od
ossessionate dall’idea dell’integrazione nella cultura dominante.
Giovanni DI SALVO, dalla prospettiva dell’operatore del diritto, rileva l’opportunità di
un confronto tra ambiti operativi e scientifici distinti, soprattutto a favore di chi, esercitando
la professione forense, si trova a dover reclamare l’applicazione di principi costituzionali,
programmatici o dispositivi, che, il più delle volte, restano sospesi in un «limbo teorico»,
senza trovare applicazione nella quotidianità dei rapporti giuridici; altresì, essi sono oggetto
di evidenti strumentalizzazioni, spesso occasionali o causali, da parte di alcune categorie,
anche giudiziarie, affinché gli stessi assolvano ad una mera funzione di propaganda
23
ideologica-garantista ed intesi quale espressa prerogativa propugnata dal singolo
movimento.
Di Salvo, in particolare, fa notare come il principio della dignità umana sia
indistintamente sancito in numerosissime convenzioni sovranazionali, così come in quasi
tutte le Costituzioni nazionali. Conseguentemente, nessun pensatore si è mai posto il dubbio
se dovesse essere tutelata la dignità umana in quanto tale; ovvero, come dovesse un
principio universale, ed universalmente riconosciuto, tradursi in dato giuridico concreto.
Il problema si pone nel momento in cui tale principio si trasferisce dal piano delle mere
enunciazioni, o dichiarazioni di principio di livello internazionale, al diritto costituzionale;
ove, quindi, esso acquisisca, od ambisca ad acquisire, natura dispositiva o programmatica.
Inoltre, nel momento storico (o storicizzato) in cui ci si accinge a redigere una Carta
Costituzionale Europea (Carta dei Diritti Fondamentali e Costituzionali dell’Unione
Europea), viene da chiedersi quale rango normativo il principio della dignità umana
acquisirà in quel documento; se dispositivo o meramente programmatico.
Posta la premessa secondo la quale nel concetto di dignità umana è da includersi anche
l’identità della persona – quale espressione del diritto inviolabile allo svolgimento della
propria personalità, pregressa ed attuale; quindi, al riconoscimento ed alla garanzia del
proprio nome e delle ambizioni tutte – è da riflettere, a titolo di esempio, sull’attualità del
divieto costituzionale di utilizzo dei titoli nobiliari (art. XIV delle Disposizioni transitorie e
finali della Costituzione italiana approvata il 22.12.1947), il quale configura una illegittima
limitazione alla libera esplicazione della dignità umana, poiché nega la verità della vicenda
storica ed esistenziale, pur riconducibile all’individuo e alla individualità di ciascuno, anche
in quanto inibisce l’integrità di spendita del proprio cognome e proibisce la memoria delle
origini o delle ascendenze pur mediante il divieto di titoli od onorificenze.
Una seconda provocazione si può avanzare sul tema dell’aborto, affrontato dal relatore e
sul quale Di Salvo ha potuto ricavare diversi elementi di valutazione in virtù dell’ampia
esperienza professionale maturata in materia di diritto di famiglia e di mediazione familiare.
Da quando – ed è un bene – si è accentuata l’evoluzione normativa – intesa quale
recepimento delle medesime evoluzioni nelle pulsioni sociali e, quindi, delle tendenze e dei
costumi – la società civile ha diffusamente recepito il principio delle pari opportunità anche
nei rapporti di coppia (ciò, sebbene sia necessario percorrere altri passi verso una compiuta
24
decodificazione, del valore delle pari opportunità nei rapporti intrinseci od estrinseci alla
coppia).
La premessa, per la fattispecie de quo, muove dal dato normativo della potestà non più
paterna ma genitoriale. Per cui, stante il principio della parità dei diritti tra genitori, permane
la facoltà del giudice di intervenire qualora tra questi persistano profondi disaccordi nella
conduzione o nella educazione della prole, al fine di dirimere questioni od adottare
provvedimenti d’urgenza a favore degli stessi.
In tal senso il legislatore costituzionale intese tutelare i diritti inviolabili della persona, sia
come singolo, sia nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.) sancendo che ella aveva pari dignità
ed eguaglianza innanzi alla Legge (art. 3 Cost.); ovvero, sancì che è dovere e diritto dei
genitori provvedere ai figli, anche nati fuori dal matrimonio, (art. 30 Cost.) e che nei casi di
incapacità degli stessi la legge avrebbe provveduto a che fossero assolti i loro compiti (art.
30 Cost. ed artt. 400 e ss. Cod. civ.). Sarebbero idonei ulteriori approfondimenti e richiami
normativi inerenti la fattispecie de quo, tratti dall’esperienza giuridica civilistica, anche a
tutela del nascituro, su cui per brevità non ci si può intrattenere.
La problematica giuridica, od il quesito, che si pone in ordine alla dignità umana, oltre
che in analogia ai fatti dedotti ed in combinato disposto della normativa richiamata, può
essere formulata come segue: «V’è lesione della dignità umana, e quindi del principio di
parità, ove la scelta di ricorrere all’aborto, o meno, sia prerogativa esclusiva di uno dei due
genitori, e che l’altro non abbia la facoltà di opporsi, seppur ricorrendo all’autorità
giudiziaria al fine di impedirne l’evento?». Ovvero: «Quali garanzie sono riconosciute e
favore dell’istante, dell’opposta e del nascituro e quali oneri gravino sugli stessi?».
In tal senso, se il principio della dignità umana acquisisse al rango normativo dispositivo,
sarebbe riconducibile la fattispecie de quo ed, altresì, sarebbe ammissibile un intervento
giudiziale al fine di tutelare il genitore contrario alla pratica dell’aborto?
Ovvero, la già richiamata funzione pubblicistica dell’autorità giudiziaria di risoluzione di
un dissidio e\o di una controversia insanabile nell’ambito di una coppia genitoriale, potrebbe
essere anticipata alla fase prenatale ove vi siano degli interessi e motivi di tutela di una di
esse, quale parte ricorrente, pur avverso l’altra, parte opposta (o resistente) e disporre per
l’emanazione di provvedimenti cautelari, pur previa idonea verifica di requisiti e/o garanzie
fornite dal ricorrente?
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Al fine, quale funzione potrebbe assolvere l’autorità giudiziaria, se attivata su istanza di
un genitore, oltre che a garanzia ed a tutela del nascituro, in applicazione dei principi
Costituzionali e della legge in generale, seppur in deroga all’attuale normativa sull’aborto, la
quale consente alla genitrice di ricorrere alla pratica dell’aborto, secondo i tempi ed i termini
positivizzati nella stessa, ma in assoluto spregio di un formale o, benché, tacito consenso
dell’altro progenitore? Ovvero, quanto tale modalità lede il principio della parità e della pari
dignità, anche dinanzi alla Legge Fondamentale e se la consapevolezza, giuridica e morale,
della società attuale avverte l’esigenza di apportare degli opportuni correttivi?
Sergio STAMMATI dichiara preliminarmente di essersi formato nell’ambito di una
cultura di matrice cattolica, e fa presente la situazione per cui, quando si trova tra cattolici,
dissente profondamente da loro, mentre quando ascolta argomentazioni laiche, si trova
maggiormente d’accordo con il pensiero cattolico. D’altronde, l’identità si svela attraverso
l’opposizione piuttosto che attraverso l’affermazione!
La complessità testé denunciata discende senz’altro dalla struttura concettuale del valore
della dignità umana, che sembra tentare di quadrare il cerchio costituito, da un lato, dalla
tensione verso l’uguaglianza (si pensi al riferimento fatto da Lariccia al trattamento dei
prigionieri) e dall’altro, dalla tensione verso la libertà (se è vero, ad esempio, che i deputati
non debbono essere particolarmente qualificati sotto il profilo della dignità umana, giacché
vengono eletti in ragione di preferenze personali, i giudici costituzionali, per esempio,
devono essere persone con requisiti al di fuori del comune). La conciliazione della libertà e
dell’uguaglianza è un problema filosofico probabilmente insolubile, e tuttavia il tentativo di
risolverlo conserva un significato rilevantissimo.
Schefold ha citato, come presupposti filosofici della dignità umana, la Stoà, Cicerone, la
scolastica, San Tommaso e Pico della Mirandola. In San Tommaso, ad esempio, il concetto
della dignità serve per superare la posizione aristotelica che negava la parità tra liberi e
schiavi, mediante la dottrina dell’uomo immagine di Dio. Nella relazione di Schefold, risulta
condivisibile l’opinione secondo cui appaiono disastrose le conseguenze che possono
discendere dall’applicazione immediata di un valore ad un caso concreto (una posizione
espressa già da Schmitt nello scritto su La tirannia dei valori); altrettanto condivisibile è
26
l’opinione espressa da Schefold secondo cui, in presenza di un bilanciamento difficile,
l’intervento della dignità produce uno squilibrio anomalo tra valori.
Diversamente, in altri passaggi della relazione introduttiva, il pessimismo di Schefold non
ha impedito un’adesione da parte sua. Ad esempio, ove si è detto che il valore della dignità
svolge, in linea di principio, un ruolo di rafforzamento della tutela dei diritti costituzionali.
Se così fosse, il valore della dignità non sembra del tutto da rifiutare, quantunque talvolta si
mostri come molto pericoloso.
Esistono tuttavia situazioni della realtà nelle quali i diritti costituzionali non arrivano,
mentre arriva il valore della dignità, esercitando un ruolo di protezione. Ad esempio nel
campo della genetica o dell’aborto. Nonostante Stammati si dichiari antiaborista, è concorde
con l’esistenza di una legislazione sull’aborto, giacché non sarebbe corretto imporre un
punto di vista antiaborista alla collettività. Nello stesso tempo, anche all’interno di una
legislazione che riconosce la possibilità di abortire, il valore dell’embrione non può essere
disprezzato. I problemi si pongono ad esempio nel caso dell’uso degli embrioni a scopo di
ricerca: in questo caso il bilanciamento non è tra due esigenze di vita, quella del nascituro e
quella della madre, bensì tra due esigenze diverse, di vita da un lato e di ricerca dall’altro.
L’esigenza di ricerca è senz’altro degna della massima protezione, ma è lecito domandarsi se
non debba conoscere dei limiti. Più problematica invece l’utilizzazione a scopo di ricerca
degli embrioni soprannumerari, i quali sono destinati alla distruzione.
Altro problema è quello relativo alle biotecnologie, rispetto al quale il principio della
dignità può svolgere un ruolo di argine a pratiche come la clonazione riproduttiva.
Il principio della dignità sembra un concetto del quale si può dire molto male anche in
nome del pluralismo, se la dignità impone una verità non condivisa. Eppure, il pluralismo
stesso non è forse concepibile solo ove si diano per indiscussi alcuni valori di fondo? Un
pluralismo senza universalismo non appare infatti concepibile.
A fronte della complessità del concetto, il principio della dignità umana non sembra
comunque da gettare via. Si pensi alle virtualità, che in Germania non sono state sviluppate,
che la dignità avrebbe potuto svolgere come amplificatore dei diritti sociali, anche in ragione
della vocazione egualitaria di questo principio. Se tale indirizzo non è stato perseguito, la
colpa non è di certo della dignità, bensì di coloro che l’hanno maneggiata male.
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In una serie di situazioni, forse situazioni limite, al confine tra mondo giuridico e mondo
etico, il pluralismo sfuma, emergono sentimenti condivisi di comune umanità ed il principio
di dignità riemerge.
Silvia NICCOLAI si dichiara molto colpita dall’opinione di Dian Schefold secondo cui
la dignità umana avrebbe un significato giusnaturalistico e non dovrebbe essere utilizzato
per anticipare la decisione politica. Infatti, se la dignità umana ha un senso giusnaturalistico,
questo implica che i cataloghi costituzionali non hanno interamente positivizzato i diritti
naturali, come talvolta si è pensato, bensì che il diritto naturale continui ad avere un ruolo,
cioè quello di essere la sede di una posizione antagonista e propositiva rispetto ad un diritto
positivizzato che talvolta si presenta come mondo totale, buono, autoreferenziale e
sostitutivo di scelte politiche che vengono gratificate nel presentarsi come corrispondenti ai
valori costituzionali. Il richiamo al diritto naturale significa forse che il diritto costituzionale
dovrebbe svolgersi nella consapevolezza di avere di fronte a sé dei limiti. Ovvero, la dignità
umana potrebbe presentarsi come un fattore trasformativo interno al diritto, del quale il
diritto non dovrebbe appropriarsi.
Un secondo quesito riguarda l’affermazione secondo cui la dignità umana non dovrebbe
anticipare la decisione politica. C’è in questo una fiducia nella politica? O il richiamo è
all’opportunità che le diverse componenti della cultura – politica, diritto – svolgano ciascuna
il proprio ruolo?
Sergio PANUNZIO condivide sostanzialmente l’idea diffusa per cui la clausola generale
e generica della dignità umana può creare pericoli, da cui discende l’esigenza di ancorarla a
dati più concreti, positivi e sostanziali. Anche se poi, in certi casi, in mancanza di risposte
positive e puntuali, la dignità rimane – secondo quanto detto da Sergio Stammati – l’estremo
valore cui appellarsi.
Condividendo l’esigenza di concretare questo valore – senza tuttavia conferirgli un
contenuto troppo ricco, se si vuole che possa essere accettato da società diverse che si
debbono avvicinare, secondo quanto detto da Paolo Ridola –, Panunzio si concentra sulla
Carta di Nizza. E’ vero – come ritiene Azzariti – che la Carta ignora profili centrali della
dignità umana, quali l’uguaglianza, il lavoro, la posizione dell’uomo nella società. A Nizza
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si impose l’esigenza di trovare formule su cui fondare un accordo tra gli Stati membri,
sembra tuttavia apprezzabile che, sia pure in questo ambito circoscritto e piuttosto
schiacciato sui profili individualistici, la Carta di Nizza manifesti una volontà di tradurre il
valore della dignità umana, affermato in via generale nell’art. 2, in figure sostanziali: il
diritto alla vita, il diritto all’integrità della persona, la proibizione della tortura, la
proibizione della schiavitù. Ciò è tanto più importante ove si rifletta che queste norme
forniscono risposte a problemi che diventeranno centrali in futuro e nella prospettiva
dell’allargamento. Così per la pena di morte, per la bioetica in riferimento alla disciplina di
cui all’art. 3, e forse anche per l’eutanasia in riferimento alla disciplina di cui all’art. 4, che
stabilisce il divieto di trattamenti degradanti.
Dian SCHEFOLD ringrazia per i contributi forniti dal dibattito e per l’assenso
manifestato all’impostazione della relazione introduttiva. C’è da chiedersi se tutti i
partecipanti al seminario si sono inseriti nel «patto col diavolo» sottoscritto dal relatore in
apertura o se invece non ci si trovi in un luogo diabolico! Nondimeno, dagli interventi
provengono un gran numero di suggerimenti su cui riflettere in questa sede ed oltre.
Schefold organizza la propria replica attorno a tre quesiti.
1) Ha senso una garanzia della dignità umana? Riguardo a ciò, Schefold condivide quanto
detto da Gaetano Azzariti e soprattutto ritiene molto utile il riferimento da questi proposto
agli artt. 36 e 3, comma 2, della Costituzione italiana. In queste norme, la Costituzione
italiana mostra senz’altro una maggior concretezza rispetto a quella tedesca. Il naufragio del
tentativo di sviluppare la dignità umana come diritto sociale illustra come sotto questo
profilo il Grundgesetz fosse insufficiente. Conseguentemente, il tentativo di ancorare i diritti
sociali all’art 1 GG era senza chances reali. Nondimeno, troviamo un principio molto simile
nella Costituzione italiana nella formula dei diritti inviolabili di cui all’art. 2. Se tale
normativa viene intesa come riferimento al diritto naturale ed a principi generali che devono
essere recepiti nel processo politico-giuridico, essa non suscita particolari problemi; inoltre,
può senz’altro essere d’ausilio anche qualora si verifichi una lacuna nel catalogo dei diritti,
potendosi colmare simili lacune con il ricorso a tale principio. Tuttavia, molto problematico
sarebbe dedurre obblighi e diritti concreti da una clausola generale: l’esperienza tedesca
potrebbe insegnare a quella italiana la problematicità di simile operazione. L’esempio
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dell’aborto – in risposta a Di Salvo e Stammati – è tipico. Qui la problematica è se una
clausola generale come quella della dignità umana consenta conclusioni concrete o se
piuttosto non si rendano necessarie revisioni costituzionali. Si pensi alla necessità di
aggiornare Costituzioni emanate nel 1947 o nel 1949 rispetto al tema delle biotecnologie.
Una risposta basata solo sulla dignità umana o, in Italia, sui diritti inviolabili potrebbe essere
fondata esclusivamente sulle maggioranze casuali che si vengano a formare all’interno delle
Corti costituzionali. Ciò che non è auspicabile. Il conflitto interno al BVerfG di cui si è
accennato, relativo alla questione dei bambini non voluti, nati per errore del medico,
dimostra come in questi casi non possono essere le Corti costituzionali a decidere, bensì
illustra la necessità di composizioni e decisioni politiche, di rango costituzionale o
legislativo. Ciò non significa avere una fiducia nel processo politico maggiore rispetto a
quella riposta negli strumenti del diritto. Tuttavia, il diritto in simili aspetti è troppo aperto e
deve essere concretizzato con gli strumenti della politica.
1) In che senso si può generalizzare la dignità umana? Paolo Ridola parlava del
problema di considerare la dignità umana come qualcosa di generalmente condivisibile a
fronte di un’eterogeneità dei contesti culturali nazionali. Schefold condivide lo scetticismo
circa le differenze ideologiche sulla dignità umana tra le culture giuridiche europee,
cosicché la generalizzazione di questo principio può aver luogo solo in un campo molto
generico e pertanto con conseguenze giuridiche molto limitate. Il contrasto in merito alla
dignità umana si svolge attorno a tre poli: da un lato gli sviluppi della cultura tomista che
postula la partecipazione dell’uomo alla dignità divina; da un altro lato si pone la filosofia
individualistica kantiana; quindi l’idea socialista che sviluppa il profilo della dignità sociale,
sostenuta soprattutto da Ernst Bloch. Il minimo comune denominare tra questi tre diversi
approcci è molto esiguo. Ciò che in comune si può rintracciare è – come notava già Sergio
Lariccia – il vissuto della seconda guerra mondiale e della violenza allora manifestatasi,
contro la quale la dignità umana svolge una funzione di opposizione. Il cammino europeo è
in questo senso molto proficuo: infatti, quando si sostituisce alla sovranità statale astratta il
principio di sussidiarietà, si sostiene che lo Stato non è uno scopo in sé, bensì è uno degli
strumenti volti alla realizzazione delle comunità e – secondo il dettato dell’art. 2 della
Costituzione italiana – delle formazioni sociali, dall’individuo fino alle istituzioni. In questo
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senso possiamo dire che permane un sostrato comune europeo del principio della dignità
umana.
2) Un terzo gruppo di domande si è soffermato sulla Carta di Nizza. L’impressione è
che la Carta sia decisamente impostata secondo una prospettiva tedesca. Herzog è senz’altro
un giurista affermato e con una solida reputazione che gli deriva dall’essere stato Presidente
del Tribunale costituzionale tedesco e Presidente della Repubblica federale; inoltre, la stima
per la giurisprudenza tedesca è molto alta all’estero. Ne risulta che l’influsso di Herzog e,
più in generale tedesco, sulla Carta dei diritti è stato notevole. Ciò può comportare una
trasposizione dei problemi tedeschi nel livello europeo che non è da augurarsi.
Naturalmente, Schefold si dichiara estimatore del catalogo dei diritti tedesco e ciò comporta
una valutazione complessivamente positiva e ottimistica della Carta, ma resta da chiedersi se
non sarebbe stata più saggia e fruttuosa la via di un’implementazione della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo. Questo documento, infatti, pur non annoverando la dignità
umana, la protegge non di meno di altre Carte.
Concludendo, proteggere la dignità umana significa soprattutto tenerne conto
nell’atteggiamento del giurista, ma senza riconnetterle una diretta efficacia giuridica.