1 LUISS Guido Carli Istituto di Studi Giuridici – Facoltà di Giurisprudenza Via Parenzo, 11 - tel. 06/85225.810 OSSERVATORIO COSTITUZIONALE Seminario su: I DIRITTI FONDAMENTALI E LE CORTI IN EUROPA Incontro del l’11 Aprile 2003 sul tema “La dignità umana” (introdotto dal Prof. Dian Schefold) Resoconto redatto dal Dott. Andrea Buratti e dalla Dott.ssa Elisabetta Canitano Bollettino n. 4/2003 Il calendario e i resoconti delle iniziative dell’Osservatorio Costituzionale sono reperibili sul sito Internet dell’Università Luiss Guido Carli (http://www.luiss.it/semcost/index.html) Per informazioni, comunicazioni: e-mail: [email protected] Per l’iscrizione alla Newsletter dell’Osservatorio Costituzionale: http://www.luiss.it/semcost/dirittifondamentali/newsletter.html Realizzato nell’ambito della ricerca di rilevante interesse nazionale cofinanziata dal Murst (2001-2003) 2 Sergio PANUNZIO, nel presentare l’incontro dedicato alla dignità umana, sottolinea che con questo tema si entra nel vivo della materia del Seminario: «I diritti fondamentali e le Corti in Europa». La dignità umana, contemplata nei primi articoli della Carta di Nizza e della Legge Fondamentale tedesca, si può considerare senza dubbio un valore supremo, perché se la vita è un bene che prima o poi si deve abbandonare, la dignità umana rappresenta un valore che si vuole conservare anche al di là della vita e della morte. Per introdurre questo tema è stato invitato Dian Schefold, illustre costituzionalista di lingua tedesca molto conosciuto anche in Italia, paese dove spesso ha soggiornato e che ama molto anche per la sua formazione culturale giovanile. Schefold ha iniziato i suoi studi in Svizzera a Basilea, dove il padre (insigne studioso di storia dell’arte classica e di archeologia) si era trasferito con la famiglia negli anni ’30; successivamente ha insegnato nelle Università di Berlino e di Brema. Ha approfondito moltissimi temi del diritto pubblico, coniugando sempre il dato positivo alla prospettiva storica. PANUNZIO ricorda in particolare il libro di Schefold sulla sovranità (il cui titolo potrebbe essere tradotto con “Il risorgimento svizzero”), i suoi numerosi studi sul parlamentarismo, sulle autonomie locali, sulla giustizia costituzionale e ancora gli scritti molto noti di storia del diritto costituzionale e storia del pensiero costituzionale, alcuni di questi tradotti anche in italiano; di recente ha pubblicato un articolo su Hermann Heller, uno degli autori più studiati da Schefold: Teoria sociale e teoria statuale e della democrazia in Hermann Heller (in Quaderni costituzionali, n.1, 2003). Dian Schefold ringrazia Panunzio e gli altri colleghi per essere stato invitato a parlare di un tema così importante per i giuristi, che collega la teoria dei diritti fondamentali alla loro applicazione, soprattutto in questa fase fondamentale per l’unificazione europea. Mostra, però, alcune perplessità in merito al tema della dignità umana, in particolare per quanto riguarda la sua funzione di garanzia dei diritti, ed esprime alcuni dubbi proprio sul ruolo ambiguo che questa può assumere sotto il profilo dell’ambito di tale garanzia. Fa riferimento ad un’opinione di grande importanza tra i costituzionalisti, quella di Peter Häberle, autore del saggio “Die Menschenwürde als Grundlage der staatlichen Gemeinschaft”, sulla dignità umana come fondamento della comunità statale, pubblicato nel 1987, nel primo volume dello 3 Handbuch des Staatsrechts, a cura di Isensee e Kirchhof; Schefold afferma che non si sente di condividere l’interpretazione ottimistica e la chiave di lettura data da Häberle al tema della dignità umana e dichiara che affronterà il tema da un punto di vista notevolmente più scettico. Nell’ultima importante monografia tedesca dedicata alla dignità umana Christoph Enders, abilitando a Friburgo e ora professore a Lipsia, termina il suo libro, Die Menschenwürde in der Verfassungsordnung, con la favola dei fratelli Grimm sull’uomo con la pelle d’orso. Quest’ultimo vorrebbe sposare una delle tre figlie dell’uomo che ha aiutato grazie al patto fatto con il diavolo. Enders, però, si mette nei panni di una delle sorelle, la quale afferma che la figura con la pelle d’orso non ha neppure lontanamente le sembianze di un uomo. In tal caso, quindi, la dignità umana in che cosa consiste? L’introduzione di Schefold sulla dignità umana si articola in cinque parti: la prima, in cui viene affrontato il discorso generale sulle garanzie della dignità umana e sull’importanza di questa in Germania; la seconda, che riguarda la dignità umana come limite alla revisione costituzionale; la terza, relativa al possibile contenuto di un diritto alla dignità umana; la quarta, in cui si considera la dignità umana in correlazione con altri diritti; la quinta, sull’importanza della dignità umana come obbligo di protezione di alcuni diritti e, pertanto, come limitazione di altri. Il primo articolo della Legge Fondamentale tedesca stabilisce, nel primo comma, che la dignità umana è intangibile; nel secondo comma, riconosce che i diritti umani sono inviolabili e inalienabili – ed in merito all’inviolabilità dei diritti non si può fare a meno di richiamare l’art.2 della Costituzione italiana. Assume notevole importanza la radice comune dell’Italia e della Germania nella seconda guerra mondiale, paesi segnati entrambi in modo profondo dal fascismo e dal nazismo. D’altra parte, in tutte le costituzioni tedesche postbelliche è presente un riferimento alla dignità umana: il costituente bavarese prevede la dignità umana nell’art.100. Senza dubbio prevalse allora una decisa volontà di opporre al totalitarismo un valore positivo della persona umana come fattore dominante. Schefold ricorda, in proposito, il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948 e la sua influenza diretta sul Consiglio Parlamentare, che in quel periodo era al lavoro a Bonn. Il concetto di dignità umana, in realtà, ha origini diverse e divergenti: la stoà, con la dottrina degli obblighi umani; la concezione di Cicerone nel De officiis, la partecipazione della dignità all’ordine divino nella Scolastica; la soggettivizzazione della dignità umana di Giovanni Pico 4 della Mirandola; la filosofia kantiana; nonché i principi del socialismo, costruiti sul principio della dignità umana in opposizione allo sfruttamento. A partire dal secondo dopoguerra, le differenti e eterogenee radici della dignità umana vanno, però, a convergere, contribuendo alla definizione di una configurazione positiva del concetto stesso. In tal senso si esprime la dottrina tedesca nell’interpretazione dell’art.1 della Legge Fondamentale e in particolare la lettura di Gunter Dietrich, che è fondata sul principio che nella “formula dell’oggetto” esiste una lesione della dignità umana se la persona concreta viene considerata oggetto, strumento, quantità fungibile. Se appare evidente, in tale interpretazione, una netta contrapposizione al nazismo, è molto più complesso stabilirne il significato all’interno di una società con diritti e doveri. Sotto un altro aspetto, l’importanza della dignità umana viene riconosciuta dalla Legge Fondamentale, nell’art.79, comma 3, che prevede tra i limiti alla revisione costituzionale la dignità umana, statuita dall’art.1. In tal senso l’art.1 della Legge Fondamentale diviene un valore supremo; inoltre, l’art. 19, comma 2, prevede una garanzia del contenuto sostanziale dei diritti fondamentali e l’art.1, comma 3, stabilisce che i diritti fondamentali vincolano la legislazione, il potere esecutivo e la giurisdizione come diritto immediatamente vigente. Nella seconda parte dell’introduzione, Schefold affronta in modo più approfondito tali problemi. Premesso che non sono legittime revisioni costituzionali che violino esplicitamente la dignità umana, appare interessante riflettere su come l’art.1 abbia influenzato la revisione costituzionale a partire dal 1949; in merito cita tre sentenze del Tribunale costituzionale tedesco in ordine alle modificazioni della costituzione, in materia di segretezza delle telecomunicazioni (art. 10, comma 2), di espropriazioni postbelliche nella Germania orientale (art.143, comma 3) e di diritto di asilo (art.16 A). La questione dell’”incostituzionalità di norme costituzionali”, cioè in contrapposizione con i valori fondamentali della Costituzione, è stata affrontata dal Tribunale costituzionale già cinquanta anni fa in una famosa sentenza del 1953, in ordine al diritto matrimoniale del codice civile tedesco BGB nel 1949, che risultava in contrasto con il principio dell’eguaglianza dei sessi, enunciato nell’art. 3, comma 2, della Legge Fondamentale. Una disposizione transitoria, l’art.117, comma 1, manteneva il diritto esistente in vigore, malgrado la sua incostituzionalità, fino al 31 marzo 1953. Fino a questa data la legislazione nuova conforme al principio di eguaglianza dei sessi non era stata ancora emanata; il giudice 5 civile, però, dal 1 aprile 1953 era tenuto ad applicare tale principio invece del diritto civile incostituzionale, e ovviamente da ciò potevano risultare diverse incertezze e sentenze difficilmente prevedibili. Pertanto, alcuni tribunali e anche la Corte di cassazione mantennero l’incostituzionalità della disposizione transitoria che voleva limitare l’applicazione del diritto matrimoniale preesistente, invocando il principio della certezza del diritto come principio essenziale dello stato di diritto, quasi fosse un diritto naturale e opponendosi in tal modo al principio dell’eguaglianza dei sessi. D’altra parte, il Tribunale costituzionale respinse tale prospettazione e dichiarò la legittimità costituzionale della disposizione transitoria, con una decisione che a Schefold appare estremamente sensata, derivandone l’obbligo dei giudici di applicare il principio dell’eguaglianza dei sessi. Il Tribunale costituzionale ammise nelle motivazioni la possibilità di “norme costituzionali incostituzionali” anche per quanto riguarda le norme di revisione costituzionale. Questa decisione, di notevole rilievo, ha aperto la strada ad un controllo della Tribunale costituzionale sulle norme suddette. Tale posizione, allora molto controversa, suscitò interesse anche in Italia (Schefold fa riferimento in particolare ad un famoso scritto di Otto Bachof). Si consideri, però, che nella sentenza sopra citata non vi era alcun richiamo all’articolo 1 e che le misure di controllo erano diverse. Nel solco di tale decisione si inserisce il controllo della modificazione costituzionale del 1968, che permetteva, secondo il nuovo art.10, comma 2, della Legge Fondamentale, allo scopo di difendere l’ordinamento fondamentale liberale e democratico, l’adozione di misure amministrative di intercettazioni telefoniche, senza che queste fossero comunicate agli interessati, motivo per cui si escludeva la possibilità di agire in giudizio contro tali misure. Il Tribunale costituzionale ha messo in dubbio tale modificazione costituzionale, interpretando la nuova disciplina in un senso restrittivo in considerazione della dignità umana, menzionando la “formula dell’oggetto” di cui si è detto in precedenza. Certo, l’esclusione dell’agire in giudizio nel caso considerato sembrava una limitazione non eccessivamente grave, ma la Corte ha affermato che «l’uomo non di rado è oggetto non solo delle situazioni e dello sviluppo sociale ma anche del diritto in quanto vi si deve adeguare in contrasto con i suoi interessi». Tuttavia, una lesione della dignità umana non può essere ravvisata solamente in questo. La sentenza è stata molto contestata: non sono mancati pareri in favore dell’incostituzionalità, vi è stata per la prima volta una opinione dissenziente di tre giudici costituzionali e anche nella dottrina sono emersi orientamenti contrari, in particolare Peter 6 Häberle ha dato una lettura decisamente critica della sentenza. Ma la prova del fuoco della dignità umana come limite alla revisione costituzionale non fu superata, e, d’altra parte, le altre due sentenze più recenti non mutano sostanzialmente tale orientamento. La Repubblica Federale in merito alla riunificazione aveva stabilito che non potevano essere revocate espropriazioni nella zona sovietica dei primi anni del secondo dopoguerra e con una disposizione transitoria speciale – l’art. 143, comma 3, si dava legittimazione costituzionale a un tale intervento sulla proprietà stipulato nel trattato sull’unità. Anche in questo caso il Bundesverfassungsgericht negava una lesione della dignità umana soprattutto per il limitato influsso della repubblica federale su tali misure degli anni Quaranta. Passando ad analizzare la terza sentenza, nel 1993 viene introdotta una nuova disciplina estremamente restrittiva del diritto di asilo, che non fu qualificata come lesione della dignità umana, benché la “formula dell’oggetto” avesse avuto un campo di applicazione abbastanza concreto, in quanto gli “asilanti” venivano considerati come oggetti. Perciò come risultato concreto si può e si deve dire che la dignità umana non ha avuto finora effetti in merito a revisioni costituzionali. Schefold sottolinea che è vero che le garanzie politiche erano sufficienti e che le revisioni non apparvero disumane, ma non è stata la dignità umana a sortire tali effetti. Piuttosto, ciò che ha avuto un effetto più rilevante è stata la portata della dignità umana come principio o come diritto fondamentale nell’ordinamento legislativo e la sua applicazione nel diritto tedesco. La norma dell’art.1 introduce un catalogo dei diritti fondamentali molto esteso e il terzo comma parla dei successivi diritti fondamentali che sono proclamati vincolanti. La dignità umana stessa è un diritto? Tale questione, molto discussa dal 1949 in poi, è stata resa particolarmente complessa dal catalogo dei diritti già piuttosto ampio e completo ed ulteriormente esteso dalla giurisprudenza costituzionale, che deduce dallo sviluppo della personalità – art.2, comma 1 – un diritto di libertà generale, a partire dalla famosa sentenza Elfes. Una spiegazione potrebbe essere individuata nel fatto che la Legge Fondamentale, a differenza della Costituzione italiana, quasi non conosce i diritti sociali; Schefold pone apertamente la questione se sia possibile inserire tra questi diritti la dignità umana. In uno dei primi studi italiani sulla Legge Fondamentale, Carlo Amirante si è occupato a fondo di tali problematiche. La Costituzione di Weimar aveva previsto nelle disposizioni sulla costituzione economica, e, in particolare, nell’art. 151, comma 1, che l’ordinamento economico deve 7 essere orientato verso la garanzia di un esistenza “degna” per tutti. Questa è una prima radice della dignità umana, secondo un principio di dignità socialista sviluppato successivamente in Germania da Ernst Bloch. In tale senso sarebbe stato possibile interpretare l’art.1, comma 1 della Legge Fondamentale insieme allo stato sociale come diritto ad un’esistenza degna della persona. Viene citata una delle prime sentenze del Tribunale costituzionale del 1951 concernente il caso di una vedova di guerra con tre figli, che titolare di una pensione insufficiente per mantenere la famiglia, ne chiese l’adeguamento ai fini di una “esistenza degna”; il Tribunale respinse il ricorso dicendo che né lo stato sociale né la dignità umana garantiscono di per sé un certo livello di prestazioni, rinviando al legislatore. Con tale sentenza lo sviluppo verso una dignità umana in campo sociale era bloccato, ed appare opportuno evidenziare che la dottrina recente sulla dignità umana trascura questa ambiguità della sentenza. In una sentenza più recente, invece, il Bundesverfassungsgericht ha negato che il trattamento dei marinai stranieri su navi tedesche secondo il diritto del lavoro dei loro stati di provenienza – cioè con stipendi molto più bassi rispetto ai marinai tedeschi e perciò con contratti di sfruttamento, come si sottolinea nella motivazione – riguardasse la problematica della dignità umana. Riprendendo la favola cui Enders fa riferimento, forse non la pelle d’orso ma la pelle scura legittima la distinzione; a questo punto Schefold si domanda dove rimane l’eguaglianza. Il discorso, in realtà, è più complesso, in quanto esiste un’ampia giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto un diritto all’assistenza sociale ed alle prestazioni minime essenziali. In alcune sentenze in materia tributaria il Tribunale costituzionale ha segnalato limiti costituzionali molto concreti al legislatore a protezione del matrimonio, della famiglia e della proprietà. Tra queste pronunce ve ne sono alcune che escludono la tassazione del reddito minimo essenziale e che hanno vincolato il legislatore a tenerne conto nella legislazione fiscale: nella motivazione viene menzionata anche la dignità umana. Però non è la dignità umana a misurare il minimo di vita degno, bensì motivi di eguaglianza nel sistema di tassazione, essendo riconosciuti dalla legislazione fiscale livelli minimi di vita tassabili. Pertanto il concetto di dignità umana non è riconoscibile in Germania in senso economicosociale o almeno non è affatto chiaro se lo sia. Ma il fatto che la dignità umana sia citata insieme agli altri diritti fondamentali nelle motivazioni costituisce prassi giurisprudenziale rilevante. Questo sarà l’oggetto della quarta parte. 8 Nella prassi giurisprudenziale emerge chiaramente l’interrogativo se la dignità umana possa essere intesa come diritto fondamentale o piuttosto nella sua funzione di rafforzamento di un diritto costituzionale, ovvero, se essa possa essere considerata un principio euristico, come dice Enders. In questo campo la giurisprudenza è ricchissima e solleva problematiche estremamente delicate. Il caso classico e forse meglio comprensibile è il diritto allo sviluppo della personalità, secondo l’art.2, comma 1, della Legge Fondamentale. Fra tante estensioni della portata di tale diritto da parte della giurisprudenza, con il contributo del diritto civile, ne è derivato un vero e proprio diritto alla protezione della personalità. Chiunque sia leso nel diritto della personalità, nella sfera privata, nell’onore personale, può avvalersi del diritto civile e del diritto costituzionale. Così la Corte di cassazione, oltre ai diritti esplicitamente previsti nel codice civile, ha sviluppato il profilo costituzionale di tale protezione giustificando, oltre i limiti troppo stretti della scuola romanistica dell’Ottocento, indennizzi per violazioni dell’onore personale. Si trattava di un interpretazione di diritto molto libera che ha modificato il diritto di protezione della persona in Germania. Il diritto costituzionale, culminando nella dignità umana, è servito a giustificare una tale svolta interpretativa. Il Tribunale costituzionale ha approvato questa interpretazione, dicendo che la «Corte di Cassazione si è distaccata dalla legge scritta soltanto nella misura necessaria per applicare il diritto». Trattandosi essenzialmente di una interpretazione che sviluppa il diritto civile e considerando che sono le Corti e i Tribunali a dare sviluppo a tale materia, le obiezioni metodologiche sono meno pesanti, perché già questa giurisprudenza solleva problemi gravi. D’altra parte, la combinazione del diritto al libero sviluppo della personalità con la dignità umana mette al riparo da interventi del potere pubblico nella sfera privata: con il caso eclatante di rendere più difficili i censimenti periodici e, di recente, i controlli medici sull’uso di hashish in relazione all’idoneità a guidare oppure controlli genetici di vario tipo e ricerche sui genitori naturali di figli adottati. Tali problemi nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo fanno parte del diritto alla privacy, in Germania si parla di diritto alla protezione dei dati personali e soprattutto di diritto all’autodeterminazione informatica, quest’ultimo molto discusso dalla dottrina. L’effetto pratico è anzitutto un ampliamento del principio di proporzionalità: lo scopo legittimo di una misura deve essere bilanciato con la dignità umana e evidentemente in un tale bilanciamento ha peso maggiore la protezione dei diritti, non solo per il libero sviluppo della persona ma anche per la dignità umana. 9 Vi sono altri casi che riguardano il diritto alla privacy collegati al diritto alla vita e all’integrità personale, disciplinato dall’art.2, comma 2, della Legge Fondamentale. Schefold cita il famoso caso Pretty, sottolineando che le vie di approccio possono essere differenti, a seconda che lo si consideri a partire dalla Convenzione europea dei diritti o dalla Legge Fondamentale. Entrambi questi ordinamenti disciplinano il diritto alla vita e lo collegano ad un altro diritto ideale della persona: in ambito europeo, quest’altro diritto è quello alla privacy, cioè un diritto soggettivo, personale, molto intimo e perciò forse più vicino ad un diritto alla morte di quanto considerato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Secondo la Legge Fondamentale, invece, la dignità umana forse può portare a conseguenze comparabili, ma la dignità è nella sua essenza un valore che rafforza il diritto alla vita. Schefold non crede che il caso Pretty sarebbe stato deciso diversamente in Germania, anzi ritiene che un’argomentazione fondata sulla dignità umana potrebbe rappresentare piuttosto un ostacolo ad un aiuto attivo alla morte. L’aiuto passivo, cioè l’omissione di misure tecniche, il diritto ad una morte secondo dignità e in maniera meno evidente, come anche il diritto al suicidio, sono difesi dall’opinione dominante; mentre per l’aiuto attivo alla morte e per l’eutanasia ci sono opinioni minoritarie, soprattutto di Norbert Herste, fondate più che su motivazioni di diritto costituzionale su argomenti di filosofia del diritto, sulla base delle teorie di Pietro Zinger. Schefold sottolinea che da lungo tempo il problema più complesso riguarda l’aborto. Già nel 1975, mentre la maggior parte delle Corti europee hanno accettato le legalizzazione dell’aborto fino a una certa fase della gravidanza, il Tribunale Costituzionale tedesco ha annullato una legge che aveva il medesimo oggetto: il motivo essenziale era il diritto alla vita del nascituro, sviluppato in due direzioni, nelle quali il ricorso al principio della dignità umana sembrava essere l’elemento decisivo. Da un lato ci si allontana dal concetto di diritto alla vita, come garantito dall’art.2, comma 2, della Legge Fondamentale, che presuppone un soggetto del diritto: secondo le regole generali della soggettività dei diritti un non nato non si può considerare come tale, certo si può parlare di una vita nell’utero, ma difficilmente di un titolare di un tale diritto; come motivo per proteggerlo serve invece la dignità umana, non necessariamente legata ad un individuo esistente, ma prevedendo un motivo di protezione in generale. Dall’altro lato, il Tribunale costituzionale rafforza questa protezione qualificando la dignità umana come valore positivo dell’ordinamento, che deve essere protetto anche attraverso il diritto penale. Mentre questa seconda interpretazione fu notevolmente criticata 10 con voto dissenziente, la prima, cioè quella della vita embrionale, fu condivisa da una visione forse moralmente apprezzabile, ma legalmente e soprattutto sotto il profilo costituzionale molto problematica. Schefold inoltre sottolinea che l’aborto certamente non è punito come omicidio e che senza dubbio lascia perplessi, in questa materia, la previsione di diritti, ed in particolare di diritti fondamentali senza soggetto. Nel 1975 la Repubblica Federale era tornata ad una soluzione fondata sulle motivazioni del Tribunale Costituzionale, ma in Germania Orientale, dove la liberalizzazione dell’aborto era ammessa e condivisa, al momento della riunificazione non si volevano introdurre limitazioni in proposito. Il trattato sull’unificazione prescrisse dunque una nuova disciplina ed il legislatore, dopo un dibattito lungo e intenso, fortemente condizionato dalla sentenza del Tribunale costituzionale del 1975, scelse una soluzione che prevede come indicazione generale la consulenza obbligatoria, ma che riconosce il principio dell’autodeterminazione della donna. Schefold ricorda che le complesse problematiche emerse a tal proposito sono affrontate in modo esauriente in un volume di Marilisa D’Amico. Successivamente il Tribunale federale è tornato a pronunciarsi su tale questione in un sentenza estremamente lunga e complicata riprendendo principi sanciti nel 1975, soprattutto per quanto riguarda l’importanza della dignità umana nella protezione della vita, ma ha eliminato parzialmente l’obbligo del legislatore di utilizzare sanzioni penali nel caso in cui introduca altri strumenti equivalenti. Tuttavia con la creazione di un divieto di misure troppo basse sulla base del principio di proporzionalità, si è riservata un controllo sulla quantificazione delle misure legislative della pena. Schefold conclude affermando che il Tribunale costituzionale tramite la dignità umana ha modificato molto, attribuendo un nuovo significato al diritto alla vita. Per quanto riguarda la pena di morte, che è stata abrogata sia dalla Legge Fondamentale sia dalla Convenzione Europea, in Germania una sua reintroduzione attraverso una riforma costituzionale viene generalmente esclusa dalla dottrina, proprio perché in contrasto con la dignità umana. L’integrità personale è rinforzata dalla simultanea applicazione della dignità umana, pertanto il Tribunale costituzionale ha applicato il principio di proporzionalità nell’istruttoria e nel processo penale e l’argomento della dignità umana rafforza questo controllo. La tortura non è menzionata dalla Legge Fondamentale e sembra essere senz’altro esclusa, benché di frequente si levino voci in favore della sua ammissione per la protezione della vita nei casi di rapimento. Per quanto riguarda l’ergastolo, in realtà, con il criterio di 11 proporzionalità potrebbero essere previste delle limitazioni della pena; il Tribunale costituzionale in una sentenza ampiamente motivata, riconoscendo che l’applicazione della pena distrugge la personalità e perciò la dignità umana, pur non introducendo una regola generale che permetta una tale valutazione, ha stabilito principi che obbligano a concedere il rilascio in casi stabiliti. In una sentenza più recente l’idea della risocializzazione del detenuto è basata sulla dignità umana con la previsione di una retribuzione per l’attività lavorativa dei detenuti. In tal senso si conferma che l’art.1 della Legge Fondamentale può essere considerato come centro della garanzia dei diritti di libertà e che la tecnica di combinazione argomentativa del diritto di libertà con la dignità umana si va sviluppando sempre più. Tuttavia non è escluso che tali risultati potevano essere motivati riferendosi ai singoli diritti e agli strumenti argomentativi classici, quali il criterio di proporzionalità anche senza avvalersi del principio della dignità umana. Schefold nella quinta parte della sua introduzione affronta la questione della dignità umana in correlazione con altri diritti, evidenziando che questa non opera come diritto ma come rafforzamento del campo di applicazione dei diritti. Il punto di partenza classico è la tutela della personalità; come si è osservato in precedenza il diritto civile ha utilizzato il diritto della personalità, riconducendolo all’art. 2, comma 1, della Legge Fondamentale e deducendone in alcuni casi l’indennizzo per violazione della personalità. Indubbiamente tale giurisprudenza appare fondata su basi più solide se motivata dalla dignità umana. In tal senso la lesione dell’onore personale non è soltanto correlata al diritto della personalità e al suo libero sviluppo ma, in quanto vero e proprio attacco alla dignità umana, costituisce una motivazione forte per la richiesta di un indennizzo. Schefold indica alcuni esempi a riguardo: un’agenzia pubblicitaria citata per danno della personalità da parte di un giovane cavallerizzo la cui immagine era stata utilizzata per una pubblicità di un farmaco per la stimolazione sessuale, anche se ciò può apparire conforme ad una economia di mercato. Generalmente, però, si tratta di articoli giornalistici di politica o di arte che riportano interviste inventate e dichiarazioni false; ricorda casi recenti come quello dell’ex imperatrice Soraia o di Carolina di Monaco. Qui emergono differenti piani che si intersecano: da una parte la tutela della personalità collegata con la dignità umana, dall’altra la libertà di manifestazione del pensiero e il problema relativo a come e con quali strumenti questa debba essere limitata. In merito la 12 giurisprudenza tedesca arriva ad un giusto bilanciamento tra libertà, dignità della persona e libertà di manifestazione del pensiero. Non mancano però casi particolarmente controversi, come quello del divieto di distribuzione del romanzo di Klaus Mann, Mephisto, che descrive in modo pungente la biografia di un uomo, dietro il quale era facile riconoscere la figura del suo ex cognato nel periodo del nazismo, quando l’autore era emigrato negli Stati Uniti: alla morte di quest’ultimo, il figlio adottivo del cognato aveva richiesto il divieto di distribuzione del libro. Sebbene l’autore e suo cognato fossero già morti, nel 1971 il dibattito sull’adattamento critico al nazismo e sull’emigrazione restava comunque di notevole interesse e attualità. Nel bilanciamento con la dignità umana il Tribunale giunse a considerare in modo prevalente il diritto della personalità, anche in relazione ad un soggetto dopo la morte e perciò respinse il ricorso del nuovo editore che continuava a pubblicare il Mephisto. A riguardo, tre giudici costituzionali espressero la loro opinione dissenziente, richiamandosi al fatto che si trattava di un’opera d’arte e la libertà d’arte è garantita dall’art.5, comma 3, della Legge Fondamentale, senza limiti. L’interpretazione data dalla giurisprudenza tiene conto di altre disposizioni costituzionali, in tal senso occorre riconoscere che il diritto della personalità – art. 2, comma 1, della Legge Fondamentale – è limitato dall’ordinamento costituzionale, praticamente da una riserva di legge. Invece l’argomentazione del Tribunale costituzionale che fa riferimento alla dignità umana è fondata sull’obbligo per il legislatore di limitare il valore della libertà d’arte, nonostante i diritti fondamentali non siano limitabili; la disciplina costituzionale dei diritti e delle limitazioni dei diritti è rovesciata da una teoria dell’obbligo di protezione della dignità umana, che funziona come strumento di legittimazione. Schefold pone in evidenza che esistono situazioni per cui un tale rovesciamento della dottrina sembra essere necessario e l’esempio del caso Mephisto appare certamente significativo. Cita altri due esempi di particolare interesse che dimostrano il contrario. Il tribunale federale amministrativo ha dichiarato contrarie alla dignità umana le rappresentazioni di peep-shows e perciò nulle tutte le autorizzazioni amministrative emanate in materia. Anche se invocare la dignità umana per vietare tali rappresentazioni con il fine non di proteggere la persona, ma di limitare un’attività, non può essere considerata secondo Schefold una scelta condivisibile in un contesto in cui si legalizza la professione della prostituzione. Inoltre 13 vengono sollevate alcune perplessità in ordine ad una legge federale che include la violazione della dignità umana da parte dei media tra i criteri che individuano i pericoli per la gioventù. Ritornando al discorso sulla giurisprudenza costituzionale in materia di aborto: il soggetto di diritti è l’embrione, che però non si può considerare titolare di diritti in senso stretto; pertanto, l’obbligo alla protezione dell’embrione deriva dalla dignità umana astratta. In questo caso ogni forma di protezione si rivolge contro la madre, contro il suo diritto di sviluppo della personalità e integrità fisica. Appare opportuno un bilanciamento, che non può prescindere dall’allargamento del diritto alla vita operato mediante la dignità umana e se si confrontano i diritti individuali concreti si ha la prevalenza del diritto della madre che può incontrare limiti per motivi di etica, la cui esecuzione non può certamente spettare al potere statale. A tal proposito il primo contrasto è emerso dopo la seconda sentenza sull’aborto, quando il primo senato del Tribunale costituzionale doveva decidere in merito alla giurisprudenza civile in materia di trattamenti medicinali non riusciti, ad esempio: sterilizzazioni che hanno come conseguenza una gravidanza e la nascita non voluta di un figlio prevedibilmente handicappato; in tali casi la Corte di cassazione aveva sviluppato la tesi secondo la quale non l’esistenza stessa del bambino, ma il danno economico che egli provocava ai genitori diveniva rilevante per il riconoscimento della responsabilità civile del medico. Il secondo senato del Tribunale, però, aveva affermato che in nessun caso la nascita di un bambino poteva costituire un danno e pertanto criticato la giurisprudenza civile in materia. Il primo senato decidendo sul ricorso contro la giurisprudenza civile la confermò respingendo il ricorso e dichiarando nelle motivazioni che la pronuncia del secondo senato era stato soltanto un obiter dictum. Quest’ultimo però si oppose a tale giudizio dichiarando in un ordinanza, pubblicata ufficialmente nella Gazzetta delle sentenze della Corte, che il suo dettame è stata ratio decidendi della sentenza sull’aborto e che il primo senato avrebbe dovuto sottoporre la questione al plenum del Tribunale costituzionale. Il caso, senza precedenti nella giurisprudenza tedesca, indica la guerra fondamentale provocata dalla giurisprudenza costituzionale in merito al valore comune di dignità umana, che così come divide il Tribunale costituzionale in realtà provoca una profonda spaccatura all’interno della società. Un altro caso significativo riguarda la genetica umana e in particolare l’inseminazione artificiale, che è stata qualificata da alcuni come contraria alla dignità umana in quanto non protegge un soggetto. Il problema è più complesso nel caso in cui si creano in provetta cellule 14 fecondate che non vengono utilizzate per la procreazione di un essere umano e in questo caso non c’è una persona da proteggere ma si può parlare di una forma di vita che merita protezione legislativa; Schefold si domanda fino a che punto l’obbligo di protezione va oltre la protezione soggettiva. La giurisprudenza civile sull’aborto ha riconosciuto che la protezione soggettiva dovrebbe essere completa; tale è l’argomentazione di una commissione presieduta dall’ex presidente del Tribunale costituzionale Benda, che ha presentato una legge sugli embrioni del 1990. Ma la ricerca non si è fermata, anzi si è giunti ad estendere le possibilità di utilizzare cellule fecondate e di importare tali cellule per scopi di ricerca; si tenga presente che la libertà della ricerca viene garantita senza limiti espliciti dall’art. 5, della Legge Fondamentale. Attraverso l’interpretazione della giurisprudenza costituzionale con il ricorso alla dignità umana è stata introdotta una limitazione: l’obbligo di proteggere la vita prevale infatti sia nel caso delle cellule fecondate in provetta che dell’embrione materno. Il problema che rimane aperto per l’aborto e la problematica della ricerca è se la differenziazione tra il diritto alla vita della persona e la protezione della vita non legata ad un soggetto sia superata e vietata dalla dignità umana. Tale delicata questione, rimasta poco chiara nella giurisprudenza, si è riaperta con i nuovi sviluppi della scienza della genetica umana. Con ciò Schefold non ritiene che tutto sia legittimo nel campo della genetica: esistono fenomeni inaccettabili come la clonazione o la creazione di entità miste e qui è sicuramente necessario far ricorso al valore della persona e della dignità umana come limite alla ricerca. Tali questioni toccano valori etici e politici e devono essere risolte attraverso un bilanciamento dei diritti, se si inserisce la dignità umana in tale bilanciamento a volte si possono raggiungere esiti non graditi per le nostre società. La dignità umana come valore fondamentale può e deve, forse, essere la base di una coscienza comune, potrebbe rappresentare l’ultimo limite alla revisione costituzionale, non può e non deve anticipare le decisioni politiche. Leggendo la valida introduzione di Damiano Nocilla al libro di George Jellinek, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Giuffrè, 2002, si ha la sensazione di quanto possa apparire pericolosa la teoria tedesca, sotto alcuni aspetti utile e necessaria, dei diritti fondamentali come regole giuridiche da applicare nel processo politico. La dignità dell’uomo fa esplodere tale sistema e ci obbliga a ricorrere al fondamento giusnaturalistico dei diritti fondamentali. Schefold conclude il suo intervento con una citazione di Thomas Jefferson, dall’Atto di stabilizzazione della libertà religiosa in 15 Virginia del 1779 : «And though we well know that this Assembly, elected by the people for the ordinary purposes of legislation only, have no power to restrain the acts of succeeding Assemblies, constituted with powers equal to our own, and that therefore to declare this act irrevocable would be of no effect in law; yet we are free to declare, and do declare, that the rights hereby asserted are of the natural rights of mankind, and that if any act shall be hereafter passed to repeal the present or to narrow its operation, such act will be an infringement of natural right». Alberto VESPAZIANI si dichiara stupito della conclusione di Schefold. Sembrava infatti che tutta l’introduzione, segnata da quell’approccio scettico dichiarato in apertura, si ispirasse ad un positivismo sobrio; invece – nelle battute conclusive – Dian Schefold ha proposto il richiamo a Thomas Jefferson. Se è vero che del principio della dignità umana se ne potrebbe fare anche a meno sotto il profilo dell’effettività della protezione dei diritti fondamentali, che cos’è allora l’enunciazione della dignità umana, secondo un approccio positivo? Una regola di riconoscimento degli altri diritti fondamentali? Una nozione a contenuto variabile? Un principio? Oppure è uno scomodo giudizio di valore, un’enunciazione che costringe l’interprete ad un giudizio di valore? Ancora, da un punto di vista giurisdizionale, può trattarsi di una strategia argomentativa: in questo senso, una strategia argomentativa che si richiama alla dignità umana, non può essere anche favorevole ad una maggiore effettività della protezione dei diritti fondamentali, anche di quelli non enunciati? Dian SCHEFOLD ringrazia Alberto Vespasiani per il suo intervento, specialmente perché gli consente di chiarire una certa cesura che poteva rilevarsi nell’introduzione. Non vi è dubbio, infatti, che nell’introduzione si è sostenuta la tesi secondo cui l’enunciazione normativa della dignità umana in Germania è priva di efficacia. Essa tuttavia affonda le proprie radici storiche in valori importanti, riconoscibili, lodevoli, e parti della cultura costituzionale. Questo è stato il senso dell’introduzione. Il problema si pone dal momento che, in alcuni casi, la giurisprudenza ha dedotto dalla dignità umana conseguenze pericolose per la libertà, come nell’esempio fatto sull’aborto. Nei confronti di queste operazioni occorre essere critici, confermando l’importanza della dignità umana, ma nel senso giusnaturalistico 16 e non giuridico e vincolante. Così era anche nelle parole di Jefferson. La dignità umana deve cioè mostrare al costituzionalista tedesco i limiti del proprio metodo giuridico che finisce ove la dignità umana è presa come strumento per positivizzare i diritti fondamentali. Gaetano AZZARITI apprezza l’approccio complessivamente cauto adottato da Schefold nell’esaminare il ruolo effettivamente svolto da un concetto come quello di dignità umana che è – per sua stessa natura – denso di ambiguità. Cautela ancora più significativa in considerazione del successo che, invece, attualmente sta attraversando la nozione di dignità umana: si pensi al fatto che l’intero primo Capo della Carta europea dei diritti è intitolato alla dignità e, in particolare, l’art. 1 è espressamente dedicato alla dignità umana. Sulla scia degli stimoli forniti dall’introduzione, Azzariti si interroga sulle ragioni dell’ambiguità riferita, osservando come essa è da farsi risalire al fatto che il concetto di dignità umana non è utilizzato solo al fine di garantire una più estesa tutela dei diritti fondamentali: la dignità umana ha almeno anche un’altra faccia, riguardando naturalmente il mondo dell’etica. Se lasciata a sé la dignità umana può dunque collegarsi a visioni olistiche, ovvero fondamentalistiche, con rischi di torsioni assolutamente negative, potendo finire anche per porsi in contrasto con la tutela dei diritti fondamentali. Con ciò non si vuole giungere a sostenere che la dignità umana sia un concetto da abbandonare, ma solo – come inizialmente ricordato – evidenziare la sua ambiguità. Così, non si sottovaluta per nulla l’importanza del profilo di garanzia che è più tradizionalmente legato alla nozione di dignità umana, e che si riconnette alla protezione dell’individuo dall’agire invasivo dell’autorità. La dignità umana può servire a definire uno status libertatis. Basta considerare la lettera dell’art. 1 GG, che si rivolge espressamente alle autorità statali imponendo loro di “rispettare e proteggere” la dignità umana. Così anche nella Carta dei diritti dell’Unione europea, il tema sembra risolversi all’interno della relazione tra autorità e libertà. Appare però necessario – al fine di meglio specificare la nozione (ambigua) di dignità umana, nonché per superare la sua utilizzazione in chiave esclusivamente “difensiva” dall’autorità pubblica – ricollegare la dignità umana alla specifica tutela di diritti fondamentali e alle sue diverse forme: non può lasciarsi solo l’“umano”, e limitarsi a parlare astrattamente della sua dignità. 17 In quest’ottica, appaiono preferibili le disposizioni contenute nella Costituzione italiana, sia rispetto a quanto previsto nel GG, sia rispetto alle formulazioni contenute nella Carta dei diritti dell’Unione europea. Più che di dignità umana, infatti, la nostra Costituzione all’art. 3, comma 1, preferisce parlare di “pari dignità sociale”, così collegando direttamente la dignità umana all’eguaglianza. La dignità umana prende corpo anche in altre disposizioni: all’art. 36, quando si afferma il principio che a ciascuno deve assicurarsi una “esistenza libera e dignitosa” e una retribuzione necessaria a garantirla. Si pensi ancora al comma 3 dell’art. 27 della nostra Costituzione, che può considerarsi un’altra delle forme in cui la dignità umana si garantisce in concreto, quando impone che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al “senso di umanità”. Così, infine, anche quando il testo della nostra Costituzione utilizza direttamente l’espressione “dignità umana” (all’art. 41), affianca ad essa anche altri principi (la sicurezza, la libertà, oltre che l’utilità sociale) che tendono a dare corpo ad un complesso di limiti che devono essere rispettati non solo dall’autorità pubblica, ma anche – ed espressamente nell’art. 41 – dai soggetti privati. Sono dunque tutte formule che non si limitano a considerare la dignità umana come espressione di una categoria astrattamente etica, ma propongono un collegamento diretto tra la dignità umana e le concrete situazioni dei cittadini, nonché i loro status. In conclusione, e riassuntivamente, può affermarsi che: a) appare insufficiente considerare la dignità umana in sé; b) l’uso della nozione di dignità umana può risultare ambiguo, se ricondotto, senza mediazioni, al piano scivoloso dell’etica; c) non appare sufficiente pensare alla dignità umana solo per garantire uno status libertatis. E’ necessario piuttosto legare la dignità umana ad altri principi – in primo luogo al principio d’eguaglianza – e ricollegarla a pretese positive (contribuendo così a definire uno specifico status civitatis). Quando la dignità umana è lasciata a sé, non può escludersi che finisca per deludere le aspettative, se non addirittura rappresentare un mezzo per imporre visioni particolari che finiscono per assumere il concetto astratto (recte: il guscio svuotato) della “dignità umana” per affievolire le conquiste raggiunte nel campo dei diritti civili, politici e sociali. Punto, quest’ultimo, che la relazione di Schefold ha bene evidenziato ricordando alcune controverse pronunce del Bundesverfassungsgericht. 18 Dian SCHEFOLD condivide senz’altro l’intervento di Azzariti, ed esprime il proprio sconforto per il fallimento verificatosi in Germania di ancorare la dignità umana ai diritti sociali. Paolo RIDOLA condivide la dichiarazione di Azzariti di consonanza con l’approccio critico o comunque problematico che Dian Schefold ha dato al tema della dignità umana. Un approccio condivisibile soprattutto se la prospettiva si allarga fino a considerare il tema costituzionale della dignità umana in una prospettiva che trascenda i confini degli Stati. In un passaggio dell’introduzione, Schefold ha parlato di radici che convergono nel riconoscimento della dignità umana nel costituzionalismo del secondo dopoguerra, e che prendono vita nelle clausole sulla intangibilità della dignità umana. Ora, viene da chiedersi in quale misura sarà possibile trasferire il principio dell’intangibilità della dignità umana, così carico di contenuti culturali ed ideologici, su di un piano sovrastatuale. Il forte spessore culturale della dignità umana sembra dunque costituire un ostacolo. Non vi è dubbio infatti che sullo sfondo delle clausole costituzionali che riconoscono l’intangibilità della dignità umana vi sono determinate concezioni antropologiche, visioni dell’uomo radicate nella storia, nelle tradizioni, nella cultura dei popoli. Tutto questo rende particolarmente problematica l’estensione della dignità umana su di un piano più ampio. Si presenta anche il rischio di alzare la soglia della posizione originaria, che è la premessa di quello che Rawls chiamava il «consenso per intersezione». Bisogna inoltre chiedersi se esista ancora oggi quella convergenza di radici di cui parlava Schefold e che è stata in passato il contesto della positivizzazione della dignità umana. A questo proposito, Ridola è d’accordo con Azzariti nell’individuare – nel costituzionalismo del secondo dopoguerra – il lato più solido dell’intangibilità della dignità umana nel collegamento con la rimozione degli squilibri sociali, l’eguaglianza sostanziale, la tematica della libertà dal bisogno, che è il tema centrale del costituzionalismo del secondo dopoguerra a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti delle Nazioni Unite. E questo è il concetto di dignità che si rinviene nella nostra Costituzione all’art. 3 ed all’art. 41. E’ lecito domandarsi fino a che punto questo quadro costituisce ancora un patrimonio costituzionale comune su larga scala. 19 Con questo, non si vuole sostenere che il riferimento alla dignità umana susciti perplessità sotto ogni profilo. Ad esempio, appaiono significativi i richiami alla dignità umana operati dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee. La sentenza dell’ottobre del 2001 sulle biotecnologie – ad esempio – richiamava la dignità umana come limite ad una concezione unicamente produttivistica o economicistica. Permangono comunque perplessità sul legame di una clausola generale di tutela della dignità umana alla costruzione di un generale obbligo di protezione dei diritti. Adele ANZON concorda con le posizioni caute di Dian Schefold sul significato della garanzia della dignità umana. Peraltro, non era di facile previsione un’accoglienza tanto adesiva alle tesi di Schefold come quella emersa dagli interventi precedenti. Appare, in vero, molto convincente la tesi secondo cui la formula della dignità umana contenuta nella Costituzione tedesca rappresenti una sintesi della posizione dell’individuo nella collettività, esprimendo dunque un concetto analogo a quello del valore della persona umana che sottostà all’art. 2 della Costituzione italiana. Non è un caso che ambedue queste formule, seppure così diversamente espresse, abbiano avuto la stessa sorte, subendo un’ambiguità circa la loro definizione come formule chiuse o formule aperte, formule cioè riassuntive di diritti poi espressamente garantiti o invece capaci di funzionare da fonti di nuovi situazioni giuridiche soggettive. Relativamente alla garanzia della dignità umana nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Adele Anzon domanda all’introduttore se – nella prospettiva della sua entrata in vigore – la formula della dignità umana sarà intesa come clausola aperta o come clausola chiusa. 20 Sergio LARICCIA ringrazia per l’introduzione l’amico Dian Schefold, col quale condivide un rapporto molto fecondo di lavoro in comune in Università che, seppur lontane, sono tuttavia divenute vicine grazie al programma “Erasmus”, come confermano le numerose testimonianze degli studenti che – provenienti da Roma – si recano a Brema a studiare e tornano entusiasti dell’opera di Dian Schefold, della sua passione, della sua dedizione alla didattica. Quindi, Lariccia esprime il suo apprezzamento per la relazione. Anch’egli condivide le sue opinioni ed in particolare ciò che diceva a proposito delle radici di questa formula costituzionale. A volte, parlando in una situazione nella quale i giovani sono molto numerosi, può risultare difficilmente comprensibile quali furono le ragioni per le quali – in un epoca ormai lontana circa cinquant’anni – siano maturate decisioni favorevoli all’approvazione di alcune norme, come quella di cui all’art. 1 del GG del 1949 e all’art. 2 della Costituzione italiana. Ecco perché è importante ricordare che queste formule rappresentarono una polemica nei confronti del passato, nei confronti di uno Stato accentratore di potere, di una concezione statocratica del potere pubblico. L’affermazione della dignità della persona umana significa allora contestare il principio che Mussolini in Italia esprimeva con la famosa frase «tutto nello Stato, nulla contro lo Stato, nulla fuori dello Stato». A questo proposito, è facile ricordare l’importante seduta dell’Assemblea costituente del 9 settembre 1946 in cui Togliatti espresse un parere favorevole sull’opinione di Dossetti, sostenendo che sulla concezione della persona umana come fine della democrazia anche la parte politica che Togliatti rappresentava nell’Assemblea costituente non poteva che condividere il punto di vista del cattolico Dossetti. Lariccia condivide pienamente le osservazioni fatte da Schefold circa le conseguenze pericolose per la libertà rappresentate nell’attuazione concreta e nell’interpretazione della suddetta disposizione in Germania. Naturalmente, simili considerazioni si possono svolgere anche rispetto all’ordinamento italiano. In particolare, sembra particolarmente felice quella parte della relazione di Schefold nella quale egli sosteneva come sia sempre pericoloso allontanarsi dalla concezione della persona umana come soggetto concreto, poiché quando si è andati alla ricerca di un significato autonomo di dignità umana prossimo alla moralità astratta, i rischi si sono palesati numerosi. 21 Tuttavia, formule come quelle della dignità umana hanno una loro utilità ed una loro attualità: è importante che la parte prima della Carta di Nizza abbia dedicato un rilievo particolare a questa espressione, riservando una norma specifica a tale principio, poiché il problema della considerazione della persona umana e dei suoi valori è ancora attuale, in considerazione del fatto che la persona umana è ancora posta in forte pericolo in numerosissime situazioni. Bastino tre riferimenti: in primo luogo il tema della pace e della guerra, così attuale in questi giorni. Lariccia ammette di essere rimasto particolarmente colpito dalla relazione di Peter Häberle e dalla simpatica commozione manifestata allorché è stato chiamato a considerare un problema che mette in dubbio il lavoro di trent’anni di tanti giuristi che credevano in principi che sono stati posti in discussione. Anche l’osservazione di Häberle circa la necessità che si è avvertita in Germania di dissociarsi da una decisione degli Stati Uniti, a prescindere dalle ragioni di sintonia che sussistono tra tedeschi e statunitensi, ha suscitato particolare interesse. Ora, l’opinione favorevole alla soluzione pacifica delle controversie internazionali (il riferimento è all’art. 11 della Costituzione italiana) trova un forte riferimento in Costituzioni le quali legano assai strettamente tale opzione alla priorità della persona umana: non c’è dubbio, infatti, che la guerra non può che determinare morti, i quali, a prescindere dal colore della pelle, suscitano sdegno nell’opinione pubblica; si pensi alle direttive molto precise rivolte ad evitare la diffusione di dati in merito al calcolo dei morti nell’attuale conflitto in Iraq. Un secondo cenno merita il tema della globalizzazione, specialmente riguardo all’insistenza con cui molti giuristi hanno richiamato la necessità di una globalizzazione dei diritti che sostituisca una globalizzazione guidata esclusivamente da finalità economiche. Una simile esigenza poggia infatti su Costituzioni che hanno posto il principio della persona umana come proprio fulcro, determinando una subordinazione del mercato in ragione dei rischi che esso implica rispetto alla dignità della persona umana ed al valore dell’esistenza. Infine, sotto un terzo profilo, l’attualità della formula della dignità umana si impone ove si rifletta sul trattamento dei prigionieri. E’ noto che in un carcere di Cuba vi sono dei prigionieri i quali, a prescindere dalla loro colpevolezza, sono senz’altro trattati con metodi subumani che la sensibilità comune non sarebbe probabilmente disposta ad accettare neanche nei confronti dei c.d. animali non umani, come si preferiscono chiamare le bestie. 22 Francesco CERRONE è in larga misura concorde con quanto detto sinora, anche se manifesta una perplessità ed un’esigenza di chiarificazione. Si è colto – dalla relazione introduttiva – che la dignità umana può operare, e di fatto ha operato nella giurisprudenza del Tribunale Costituzionale federale, in termini di rafforzamento della tutela dei diritti. E tuttavia, è stata anche brandita come argomento per limitare la libertà, come nelle sentenze sull’aborto citate da Schefold. Giustamente, dunque, Azzariti e Ridola hanno insistito sull’ambiguità della nozione, sulla sua volatilità concettuale. La domanda che Cerrone si pone riguarda un passaggio della relazione di Dian Schefold in cui egli prospettava una lettura della dignità umana come «coscienza comune». Rispetto a ciò, Cerrone nutre alcune perplessità, giacché la dignità umana non può filtrare nel discorso giuridico se non attraverso determinati percorsi retorici. I problemi maggiori nascono se questi percorsi pretendono di presentarsi come discorsi sulla verità o di verità. Così si presentano a volte, ad esempio, i discorsi contrari alla pratica dell’aborto. In una prospettiva multiculturale appare necessario rompere con l’idea che la dignità umana rappresenti sintesi di una coscienza comune, come già diceva Paolo Ridola. Una coscienza comune presuppone infatti una verità, mentre spesso le retoriche sulla verità, pur provenendo da soggetti particolari (Chiese, confessioni, ecc.), pretendono di essere comuni, portatrici della verità piuttosto che di una verità. Diversamente, dignità umana potrebbe essere un concetto da ricercare all’incrocio di culture e di aspirazioni individuali, intrecci che sempre di più caratterizzano il linguaggio delle società multiculturali contemporanee, al di fuori di prospettive assimilazioniste od ossessionate dall’idea dell’integrazione nella cultura dominante. Giovanni DI SALVO, dalla prospettiva dell’operatore del diritto, rileva l’opportunità di un confronto tra ambiti operativi e scientifici distinti, soprattutto a favore di chi, esercitando la professione forense, si trova a dover reclamare l’applicazione di principi costituzionali, programmatici o dispositivi, che, il più delle volte, restano sospesi in un «limbo teorico», senza trovare applicazione nella quotidianità dei rapporti giuridici; altresì, essi sono oggetto di evidenti strumentalizzazioni, spesso occasionali o causali, da parte di alcune categorie, anche giudiziarie, affinché gli stessi assolvano ad una mera funzione di propaganda 23 ideologica-garantista ed intesi quale espressa prerogativa propugnata dal singolo movimento. Di Salvo, in particolare, fa notare come il principio della dignità umana sia indistintamente sancito in numerosissime convenzioni sovranazionali, così come in quasi tutte le Costituzioni nazionali. Conseguentemente, nessun pensatore si è mai posto il dubbio se dovesse essere tutelata la dignità umana in quanto tale; ovvero, come dovesse un principio universale, ed universalmente riconosciuto, tradursi in dato giuridico concreto. Il problema si pone nel momento in cui tale principio si trasferisce dal piano delle mere enunciazioni, o dichiarazioni di principio di livello internazionale, al diritto costituzionale; ove, quindi, esso acquisisca, od ambisca ad acquisire, natura dispositiva o programmatica. Inoltre, nel momento storico (o storicizzato) in cui ci si accinge a redigere una Carta Costituzionale Europea (Carta dei Diritti Fondamentali e Costituzionali dell’Unione Europea), viene da chiedersi quale rango normativo il principio della dignità umana acquisirà in quel documento; se dispositivo o meramente programmatico. Posta la premessa secondo la quale nel concetto di dignità umana è da includersi anche l’identità della persona – quale espressione del diritto inviolabile allo svolgimento della propria personalità, pregressa ed attuale; quindi, al riconoscimento ed alla garanzia del proprio nome e delle ambizioni tutte – è da riflettere, a titolo di esempio, sull’attualità del divieto costituzionale di utilizzo dei titoli nobiliari (art. XIV delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione italiana approvata il 22.12.1947), il quale configura una illegittima limitazione alla libera esplicazione della dignità umana, poiché nega la verità della vicenda storica ed esistenziale, pur riconducibile all’individuo e alla individualità di ciascuno, anche in quanto inibisce l’integrità di spendita del proprio cognome e proibisce la memoria delle origini o delle ascendenze pur mediante il divieto di titoli od onorificenze. Una seconda provocazione si può avanzare sul tema dell’aborto, affrontato dal relatore e sul quale Di Salvo ha potuto ricavare diversi elementi di valutazione in virtù dell’ampia esperienza professionale maturata in materia di diritto di famiglia e di mediazione familiare. Da quando – ed è un bene – si è accentuata l’evoluzione normativa – intesa quale recepimento delle medesime evoluzioni nelle pulsioni sociali e, quindi, delle tendenze e dei costumi – la società civile ha diffusamente recepito il principio delle pari opportunità anche nei rapporti di coppia (ciò, sebbene sia necessario percorrere altri passi verso una compiuta 24 decodificazione, del valore delle pari opportunità nei rapporti intrinseci od estrinseci alla coppia). La premessa, per la fattispecie de quo, muove dal dato normativo della potestà non più paterna ma genitoriale. Per cui, stante il principio della parità dei diritti tra genitori, permane la facoltà del giudice di intervenire qualora tra questi persistano profondi disaccordi nella conduzione o nella educazione della prole, al fine di dirimere questioni od adottare provvedimenti d’urgenza a favore degli stessi. In tal senso il legislatore costituzionale intese tutelare i diritti inviolabili della persona, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.) sancendo che ella aveva pari dignità ed eguaglianza innanzi alla Legge (art. 3 Cost.); ovvero, sancì che è dovere e diritto dei genitori provvedere ai figli, anche nati fuori dal matrimonio, (art. 30 Cost.) e che nei casi di incapacità degli stessi la legge avrebbe provveduto a che fossero assolti i loro compiti (art. 30 Cost. ed artt. 400 e ss. Cod. civ.). Sarebbero idonei ulteriori approfondimenti e richiami normativi inerenti la fattispecie de quo, tratti dall’esperienza giuridica civilistica, anche a tutela del nascituro, su cui per brevità non ci si può intrattenere. La problematica giuridica, od il quesito, che si pone in ordine alla dignità umana, oltre che in analogia ai fatti dedotti ed in combinato disposto della normativa richiamata, può essere formulata come segue: «V’è lesione della dignità umana, e quindi del principio di parità, ove la scelta di ricorrere all’aborto, o meno, sia prerogativa esclusiva di uno dei due genitori, e che l’altro non abbia la facoltà di opporsi, seppur ricorrendo all’autorità giudiziaria al fine di impedirne l’evento?». Ovvero: «Quali garanzie sono riconosciute e favore dell’istante, dell’opposta e del nascituro e quali oneri gravino sugli stessi?». In tal senso, se il principio della dignità umana acquisisse al rango normativo dispositivo, sarebbe riconducibile la fattispecie de quo ed, altresì, sarebbe ammissibile un intervento giudiziale al fine di tutelare il genitore contrario alla pratica dell’aborto? Ovvero, la già richiamata funzione pubblicistica dell’autorità giudiziaria di risoluzione di un dissidio e\o di una controversia insanabile nell’ambito di una coppia genitoriale, potrebbe essere anticipata alla fase prenatale ove vi siano degli interessi e motivi di tutela di una di esse, quale parte ricorrente, pur avverso l’altra, parte opposta (o resistente) e disporre per l’emanazione di provvedimenti cautelari, pur previa idonea verifica di requisiti e/o garanzie fornite dal ricorrente? 25 Al fine, quale funzione potrebbe assolvere l’autorità giudiziaria, se attivata su istanza di un genitore, oltre che a garanzia ed a tutela del nascituro, in applicazione dei principi Costituzionali e della legge in generale, seppur in deroga all’attuale normativa sull’aborto, la quale consente alla genitrice di ricorrere alla pratica dell’aborto, secondo i tempi ed i termini positivizzati nella stessa, ma in assoluto spregio di un formale o, benché, tacito consenso dell’altro progenitore? Ovvero, quanto tale modalità lede il principio della parità e della pari dignità, anche dinanzi alla Legge Fondamentale e se la consapevolezza, giuridica e morale, della società attuale avverte l’esigenza di apportare degli opportuni correttivi? Sergio STAMMATI dichiara preliminarmente di essersi formato nell’ambito di una cultura di matrice cattolica, e fa presente la situazione per cui, quando si trova tra cattolici, dissente profondamente da loro, mentre quando ascolta argomentazioni laiche, si trova maggiormente d’accordo con il pensiero cattolico. D’altronde, l’identità si svela attraverso l’opposizione piuttosto che attraverso l’affermazione! La complessità testé denunciata discende senz’altro dalla struttura concettuale del valore della dignità umana, che sembra tentare di quadrare il cerchio costituito, da un lato, dalla tensione verso l’uguaglianza (si pensi al riferimento fatto da Lariccia al trattamento dei prigionieri) e dall’altro, dalla tensione verso la libertà (se è vero, ad esempio, che i deputati non debbono essere particolarmente qualificati sotto il profilo della dignità umana, giacché vengono eletti in ragione di preferenze personali, i giudici costituzionali, per esempio, devono essere persone con requisiti al di fuori del comune). La conciliazione della libertà e dell’uguaglianza è un problema filosofico probabilmente insolubile, e tuttavia il tentativo di risolverlo conserva un significato rilevantissimo. Schefold ha citato, come presupposti filosofici della dignità umana, la Stoà, Cicerone, la scolastica, San Tommaso e Pico della Mirandola. In San Tommaso, ad esempio, il concetto della dignità serve per superare la posizione aristotelica che negava la parità tra liberi e schiavi, mediante la dottrina dell’uomo immagine di Dio. Nella relazione di Schefold, risulta condivisibile l’opinione secondo cui appaiono disastrose le conseguenze che possono discendere dall’applicazione immediata di un valore ad un caso concreto (una posizione espressa già da Schmitt nello scritto su La tirannia dei valori); altrettanto condivisibile è 26 l’opinione espressa da Schefold secondo cui, in presenza di un bilanciamento difficile, l’intervento della dignità produce uno squilibrio anomalo tra valori. Diversamente, in altri passaggi della relazione introduttiva, il pessimismo di Schefold non ha impedito un’adesione da parte sua. Ad esempio, ove si è detto che il valore della dignità svolge, in linea di principio, un ruolo di rafforzamento della tutela dei diritti costituzionali. Se così fosse, il valore della dignità non sembra del tutto da rifiutare, quantunque talvolta si mostri come molto pericoloso. Esistono tuttavia situazioni della realtà nelle quali i diritti costituzionali non arrivano, mentre arriva il valore della dignità, esercitando un ruolo di protezione. Ad esempio nel campo della genetica o dell’aborto. Nonostante Stammati si dichiari antiaborista, è concorde con l’esistenza di una legislazione sull’aborto, giacché non sarebbe corretto imporre un punto di vista antiaborista alla collettività. Nello stesso tempo, anche all’interno di una legislazione che riconosce la possibilità di abortire, il valore dell’embrione non può essere disprezzato. I problemi si pongono ad esempio nel caso dell’uso degli embrioni a scopo di ricerca: in questo caso il bilanciamento non è tra due esigenze di vita, quella del nascituro e quella della madre, bensì tra due esigenze diverse, di vita da un lato e di ricerca dall’altro. L’esigenza di ricerca è senz’altro degna della massima protezione, ma è lecito domandarsi se non debba conoscere dei limiti. Più problematica invece l’utilizzazione a scopo di ricerca degli embrioni soprannumerari, i quali sono destinati alla distruzione. Altro problema è quello relativo alle biotecnologie, rispetto al quale il principio della dignità può svolgere un ruolo di argine a pratiche come la clonazione riproduttiva. Il principio della dignità sembra un concetto del quale si può dire molto male anche in nome del pluralismo, se la dignità impone una verità non condivisa. Eppure, il pluralismo stesso non è forse concepibile solo ove si diano per indiscussi alcuni valori di fondo? Un pluralismo senza universalismo non appare infatti concepibile. A fronte della complessità del concetto, il principio della dignità umana non sembra comunque da gettare via. Si pensi alle virtualità, che in Germania non sono state sviluppate, che la dignità avrebbe potuto svolgere come amplificatore dei diritti sociali, anche in ragione della vocazione egualitaria di questo principio. Se tale indirizzo non è stato perseguito, la colpa non è di certo della dignità, bensì di coloro che l’hanno maneggiata male. 27 In una serie di situazioni, forse situazioni limite, al confine tra mondo giuridico e mondo etico, il pluralismo sfuma, emergono sentimenti condivisi di comune umanità ed il principio di dignità riemerge. Silvia NICCOLAI si dichiara molto colpita dall’opinione di Dian Schefold secondo cui la dignità umana avrebbe un significato giusnaturalistico e non dovrebbe essere utilizzato per anticipare la decisione politica. Infatti, se la dignità umana ha un senso giusnaturalistico, questo implica che i cataloghi costituzionali non hanno interamente positivizzato i diritti naturali, come talvolta si è pensato, bensì che il diritto naturale continui ad avere un ruolo, cioè quello di essere la sede di una posizione antagonista e propositiva rispetto ad un diritto positivizzato che talvolta si presenta come mondo totale, buono, autoreferenziale e sostitutivo di scelte politiche che vengono gratificate nel presentarsi come corrispondenti ai valori costituzionali. Il richiamo al diritto naturale significa forse che il diritto costituzionale dovrebbe svolgersi nella consapevolezza di avere di fronte a sé dei limiti. Ovvero, la dignità umana potrebbe presentarsi come un fattore trasformativo interno al diritto, del quale il diritto non dovrebbe appropriarsi. Un secondo quesito riguarda l’affermazione secondo cui la dignità umana non dovrebbe anticipare la decisione politica. C’è in questo una fiducia nella politica? O il richiamo è all’opportunità che le diverse componenti della cultura – politica, diritto – svolgano ciascuna il proprio ruolo? Sergio PANUNZIO condivide sostanzialmente l’idea diffusa per cui la clausola generale e generica della dignità umana può creare pericoli, da cui discende l’esigenza di ancorarla a dati più concreti, positivi e sostanziali. Anche se poi, in certi casi, in mancanza di risposte positive e puntuali, la dignità rimane – secondo quanto detto da Sergio Stammati – l’estremo valore cui appellarsi. Condividendo l’esigenza di concretare questo valore – senza tuttavia conferirgli un contenuto troppo ricco, se si vuole che possa essere accettato da società diverse che si debbono avvicinare, secondo quanto detto da Paolo Ridola –, Panunzio si concentra sulla Carta di Nizza. E’ vero – come ritiene Azzariti – che la Carta ignora profili centrali della dignità umana, quali l’uguaglianza, il lavoro, la posizione dell’uomo nella società. A Nizza 28 si impose l’esigenza di trovare formule su cui fondare un accordo tra gli Stati membri, sembra tuttavia apprezzabile che, sia pure in questo ambito circoscritto e piuttosto schiacciato sui profili individualistici, la Carta di Nizza manifesti una volontà di tradurre il valore della dignità umana, affermato in via generale nell’art. 2, in figure sostanziali: il diritto alla vita, il diritto all’integrità della persona, la proibizione della tortura, la proibizione della schiavitù. Ciò è tanto più importante ove si rifletta che queste norme forniscono risposte a problemi che diventeranno centrali in futuro e nella prospettiva dell’allargamento. Così per la pena di morte, per la bioetica in riferimento alla disciplina di cui all’art. 3, e forse anche per l’eutanasia in riferimento alla disciplina di cui all’art. 4, che stabilisce il divieto di trattamenti degradanti. Dian SCHEFOLD ringrazia per i contributi forniti dal dibattito e per l’assenso manifestato all’impostazione della relazione introduttiva. C’è da chiedersi se tutti i partecipanti al seminario si sono inseriti nel «patto col diavolo» sottoscritto dal relatore in apertura o se invece non ci si trovi in un luogo diabolico! Nondimeno, dagli interventi provengono un gran numero di suggerimenti su cui riflettere in questa sede ed oltre. Schefold organizza la propria replica attorno a tre quesiti. 1) Ha senso una garanzia della dignità umana? Riguardo a ciò, Schefold condivide quanto detto da Gaetano Azzariti e soprattutto ritiene molto utile il riferimento da questi proposto agli artt. 36 e 3, comma 2, della Costituzione italiana. In queste norme, la Costituzione italiana mostra senz’altro una maggior concretezza rispetto a quella tedesca. Il naufragio del tentativo di sviluppare la dignità umana come diritto sociale illustra come sotto questo profilo il Grundgesetz fosse insufficiente. Conseguentemente, il tentativo di ancorare i diritti sociali all’art 1 GG era senza chances reali. Nondimeno, troviamo un principio molto simile nella Costituzione italiana nella formula dei diritti inviolabili di cui all’art. 2. Se tale normativa viene intesa come riferimento al diritto naturale ed a principi generali che devono essere recepiti nel processo politico-giuridico, essa non suscita particolari problemi; inoltre, può senz’altro essere d’ausilio anche qualora si verifichi una lacuna nel catalogo dei diritti, potendosi colmare simili lacune con il ricorso a tale principio. Tuttavia, molto problematico sarebbe dedurre obblighi e diritti concreti da una clausola generale: l’esperienza tedesca potrebbe insegnare a quella italiana la problematicità di simile operazione. L’esempio 29 dell’aborto – in risposta a Di Salvo e Stammati – è tipico. Qui la problematica è se una clausola generale come quella della dignità umana consenta conclusioni concrete o se piuttosto non si rendano necessarie revisioni costituzionali. Si pensi alla necessità di aggiornare Costituzioni emanate nel 1947 o nel 1949 rispetto al tema delle biotecnologie. Una risposta basata solo sulla dignità umana o, in Italia, sui diritti inviolabili potrebbe essere fondata esclusivamente sulle maggioranze casuali che si vengano a formare all’interno delle Corti costituzionali. Ciò che non è auspicabile. Il conflitto interno al BVerfG di cui si è accennato, relativo alla questione dei bambini non voluti, nati per errore del medico, dimostra come in questi casi non possono essere le Corti costituzionali a decidere, bensì illustra la necessità di composizioni e decisioni politiche, di rango costituzionale o legislativo. Ciò non significa avere una fiducia nel processo politico maggiore rispetto a quella riposta negli strumenti del diritto. Tuttavia, il diritto in simili aspetti è troppo aperto e deve essere concretizzato con gli strumenti della politica. 1) In che senso si può generalizzare la dignità umana? Paolo Ridola parlava del problema di considerare la dignità umana come qualcosa di generalmente condivisibile a fronte di un’eterogeneità dei contesti culturali nazionali. Schefold condivide lo scetticismo circa le differenze ideologiche sulla dignità umana tra le culture giuridiche europee, cosicché la generalizzazione di questo principio può aver luogo solo in un campo molto generico e pertanto con conseguenze giuridiche molto limitate. Il contrasto in merito alla dignità umana si svolge attorno a tre poli: da un lato gli sviluppi della cultura tomista che postula la partecipazione dell’uomo alla dignità divina; da un altro lato si pone la filosofia individualistica kantiana; quindi l’idea socialista che sviluppa il profilo della dignità sociale, sostenuta soprattutto da Ernst Bloch. Il minimo comune denominare tra questi tre diversi approcci è molto esiguo. Ciò che in comune si può rintracciare è – come notava già Sergio Lariccia – il vissuto della seconda guerra mondiale e della violenza allora manifestatasi, contro la quale la dignità umana svolge una funzione di opposizione. Il cammino europeo è in questo senso molto proficuo: infatti, quando si sostituisce alla sovranità statale astratta il principio di sussidiarietà, si sostiene che lo Stato non è uno scopo in sé, bensì è uno degli strumenti volti alla realizzazione delle comunità e – secondo il dettato dell’art. 2 della Costituzione italiana – delle formazioni sociali, dall’individuo fino alle istituzioni. In questo 30 senso possiamo dire che permane un sostrato comune europeo del principio della dignità umana. 2) Un terzo gruppo di domande si è soffermato sulla Carta di Nizza. L’impressione è che la Carta sia decisamente impostata secondo una prospettiva tedesca. Herzog è senz’altro un giurista affermato e con una solida reputazione che gli deriva dall’essere stato Presidente del Tribunale costituzionale tedesco e Presidente della Repubblica federale; inoltre, la stima per la giurisprudenza tedesca è molto alta all’estero. Ne risulta che l’influsso di Herzog e, più in generale tedesco, sulla Carta dei diritti è stato notevole. Ciò può comportare una trasposizione dei problemi tedeschi nel livello europeo che non è da augurarsi. Naturalmente, Schefold si dichiara estimatore del catalogo dei diritti tedesco e ciò comporta una valutazione complessivamente positiva e ottimistica della Carta, ma resta da chiedersi se non sarebbe stata più saggia e fruttuosa la via di un’implementazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Questo documento, infatti, pur non annoverando la dignità umana, la protegge non di meno di altre Carte. Concludendo, proteggere la dignità umana significa soprattutto tenerne conto nell’atteggiamento del giurista, ma senza riconnetterle una diretta efficacia giuridica.