Noi lo chiamiamo Pomigliano (2) (2011)

16)
NOI LO CHIAMIAMO POMIGLIANO
Cap.2 Analogie e differenze:
l'Italia dal 1945 al 1960
a cura del Circolo Che Guevara
via Fontanellato 69 - Tel/Fax 06.5404393
www.prcguevara.net
PARTITO della
RIFONDAZIONE COMUNISTA
18)
2
INDICE
Pagina
Antefatti - Cenni sul fascismo
-4
SCHEDA: Sul governo Badoglio e dintorni
-5
Cenni sul quadro internazionale
-7
L'Italia e le potenze alleate
-8
La Chiesa nella politica italiana dal 1945 al 1950
11
La situazione socio-economica e politica all’uscita dalla guerra
12
Il governo e i Comitati di liberazione nazionale
16
Il PCI, il PSI, la CGIL e gli altri
18
SCHEDA: Da Bonomi, a Parri, a De Gasperi
20
Il referendum istituzionale e la nascita della Repubblica
21
La frattura nella coalizione democratica
22
Ratifica della Costituzione
24
La politica reazionaria della coalizione “di centro”
24
La lotta dei lavoratori per la soluzione dei problemi sociali nel 1948-49
29
SCHEDA: Due giudizi sulla politica economica di Corbino/Einaudi
30
SCHEDA: Il fallimento della riforma della pubblica amministrazione
33
La lotta della classe operaia contro i piani reazionari e
la politica scissionista dei socialdemocratici di destra nei paesi capitalistici
34
Contro l’attacco della reazione nei paesi dell’America Latina,
dell’Asia e dell’Africa
36
SCHEDA: La ricostruzione del sindacalismo italiano dal dopoguerra agli anni '50 37
SCHEDA: La guerra fredda
40
SCHEDA: Il movimento dei Partigiani della pace
44
Da "Cuori Rossi"
48
3
SCHEDA: La questione meridionale
49
Lo sviluppo sociale ed economico dal 1950 al 1960
53
La dislocazione delle forze politiche
54
La politica della democrazia cristiana per l’instaurazione di un potere forte
54
La classe operaia nella lotta contro l’offensiva capitalista
55
Fallimento della "legge truffa"
55
La crisi della politica di centro
56
Temporanea caduta del movimento operaio. Rottura del patto tra PCI e PSI
56
L’VIII congresso del PCI
57
Una nuova ondata di lotte di classe
58
L’attivizzazione dei neofascisti
e il tentativo di formare un blocco reazionario di destra
58
Il movimento antifascista del luglio 1960
59
La politica estera dell’Italia
60
Il boom economico
60
SCHEDA: Il «prezzo» pagato per l'industrializzazione
62
TOGLIATTI (brevi stralci)
La via italiana al socialismo
Per una nuova maggioranza
64
Capitalismo e riforme di struttura
66
Il Partito
La nostra lotta per la democrazia e il socialismo
68
Rinnovare e rafforzare il partito
72
Un balzo in avanti del partito
76
Tradurre la linea del partito in azione concreta
77
La concezione marxista del partito politico della classe operaia
80
CRONOLOGIA
83
BIBLIOGRAFIA
85
4
NOI LO CHIAMIAMO POMIGLIANO
Cap.2 Analogie e differenze: l'Italia dal 1945 al 1960
N.B: (con tagli e con nuovi legami sintattici): in stampatello grande o medio il testo originale dell'Accademia (Acc) delle scie nze
dell'Urss e in corsivo i testi originali di integrazione; in stampatello piccolo i testi integrativi riassunti - le note dei redattori sono
precedute dal segno 
Antefatti - Cenni sul fascismo
1) Woolf/Quazza,17 (Nelle motivazioni
del successo del fascismo) la prima voce deve essere la situazione
internazionale in un'Europa che con il riconoscimento della parità navale fra Gran Bretagna e Stati Uniti,
sancito dal trattato delle Nove Potenze del 1922 e con la sudditanza finanziaria e in parte economica verso gli
Stati Uniti d'America, stava prendendo coscienza della perdita del suo plurisecolare primato
mondiale.[V.par.204]
2) Woolf/Quazza,18-22 Sono ampiamente documentati i legami degli agrari e degli industriali col fascismo, la loro iniziativa nel
dar fiato a un movimento che nel 1919/'20 era uno sparutissimo gruppo già votato al fallimento. Lo Stato liberale, del resto, era uno
Stato manovrato da una ristrettissima oligarchia" che governava -più che attraverso il Parlamento, dominato da una maggioranza nata
dalle clientele e dalle violenze dei "mazzieri" del Mezzogiorno- attraverso la burocrazia centrale e periferica dell'esecutivo, la polizia,
l'esercito e una magistratura succube dell'oligarchia dominante...La guerra vi aveva aggiunto l'appoggio del grande capitale in cerca di
commesse statali e di garanzie politiche [V:par.48,ss.]
3) ... La Chiesa (abbandono del non expedit, partito popolare/1919) aveva portato un nuovo elemento conservatore...e non aveva
disdegnato l'uso spregiudicato delle squadre fasciste per distruggere la sola forza in grado di contrapporsi al potere dell'oligarchia.
I"popolari" parteciparono al governo Mussolini (ottobre 1922, dopo la "Marcia su Roma"); il sovrano firmò i decreti liberticidi del 19251926; i magnati dell'economia acquistarono per conto del regime la stampa: erano queste le tappe della la corsa sistemica e ossessiva
verso l' "organizzazione del consenso". Al "genio" propagandistico del "duce" si aggiunsero il servilismo dei suoi seguaci e di molti
grandi, medi e piccoli intellettuali, la coercizione nell'impiego, il ricatto del salario nelle fabbriche e nelle campagne. A livello
internazionale il fascismo italiano rappresentava un pilastro della difesa dell'ordine capitalistico occidentale contro il "bolscevismo";
all'interno Corona, Chiesa, Capitale, con tutti quei loro mezzi che veramente contavano, non intendevano staccarsi da chi in anni ormai
non più vicinissimi li aveva aiutati a salvarsi dal pericolo più temuto.
4) Woolf/Quazza,27 L'alleanza (di queste forze) si infrange perché la dittatura mussoliniana non
serve più. Nei "quarantacinque giorni" dal 25 luglio all'8 settembre (1943) esse rifiutano in ogni modo di
riconoscere la corresponsabilità d'un ventennio di comune dominio e continuano a respingere
con tutte le forze a loro disposizione l'antifascismo risorto dalle carceri o dall'ibernazione
dell'impotenza e dell'acquiescenza. Mac Smith,543-548 Caduto il governo Mussolini, come nuovo
presidente del Consiglio, il re scelse il maresciallo Badoglio, che aveva rivestito cariche lucrose e di grande
prestigio sotto Mussolini [V.par.6,ss.]. L' 8 settembre, quando gli Alleati stavano per passare dalla Sicilia sul
continente, Badoglio finalmente concordò un armistizio. Il 9 settembre, il re e Badoglio fuggirono
precipitosamente verso sud. L'esercito italiano, lasciato privo di ordini e perfino di un comandante, resistette
ai tedeschi per alcuni giorni, ma poi fu costretto ad arrendersi. Il grosso della flotta sfuggì ai tedeschi
dirigendosi verso Malta, ma i generali lasciarono disarmare le proprie truppe con scarsissima resistenza. Le
forze tedesche occuparono l’intera penisola fino a Napoli, incontrando scarsa reazione. Solo a Napoli (25-30
settembre) gli Alleati riuscirono, con l’aiuto di un’insurrezione popolare, a bloccarne l'avanzata. I tedeschi
risposero distruggendo per rappresaglia una gran parte degli archivi cittadini, consegnando definitivamente
all’oblio molti capitoli di storia italiana. Il 12 settembre Mussolini fu liberato da un reparto tedesco atterrato
per mezzo di alianti, mentre la polizia italiana di Badoglio, che montava la guardia alla prigione di Campo
Imperatore sul Gran Sasso, salutava sull’attenti i suoi rapitori.
5) Mac Smith,545-547 Gli Alleati avanzavano molto lentamente [V.par.6,ss.]. Nel gennaio 1944
effettuarono un altro sbarco ad Anzio. Nel maggio la «linea Gustav» crollò e Cassino cadde. Gli Alleati
entrarono a Roma in giugno, a Firenze in agosto, dopo che i tedeschi avevano respinto la richiesta di Mussolini
di sacrificare i civili in una resistenza strada per strada. Ci fu poi un arresto all’avanzata degli Alleati
che ebbe come tragico risultato il prolungarsi della guerra civile: la strategia generale alleata era di
trattenere le forze tedesche nella penisola e indebolire la loro capacità di resistenza a un’invasione della
Francia. Mussolini ebbe così il tempo di costituire un nuovo governo fantoccio, la «repubblica di
Salò». Rimanevano i furfanti o i sognatori, fra cui Farinacci, Buffarini Guidi e il generale Graziani,
5
l’amareggiato rivale di Badoglio. L’esercito tedesco lasciava del resto scarso spazio a questo estremo troncone
fascista. Per Hitler l’Italia non aveva interesse solo come terreno di combattimento contro gli Alleati e i
partigiani. Forze di polizia private facevano liberamente uso di torture e uccisioni. Il principale nemico del
Duce non era più il comunismo, ma il capitalismo, e Mussolini decretò vaste misure di nazionalizzazione per
«liquidare» quelle classi borghesi la cui inerzia e il cui disfattismo erano stati più forti di lui. Nell’aprile 1945 i
partigiani catturarono il Duce travestito con un cappotto tedesco -solo la fedele Clara Petacci era rimasta con
lui-; ambedue vennero fucilati senza processo, e i loro corpi appesi testa all’ingiù in piazzale Loreto a Milano,
insieme a quelli di decine di altri leader fascisti. Gli anglo-americani dilagarono nell'Italia settentrionale, e in
maggio, con l’aiuto di un movimento popolare patriottico, costrinsero i tedeschi a capitolare. A Roma e nel Sud
ci furono stati scarsi segni di una resistenza organizzata, In tutto il Nord si erano formate forze combattenti
antifasciste di cui alcuni lavoravano per proprio conto e altri di concerto con gli Alleati. Esse tennero
impegnate parecchie divisioni tedesche. Parri, uno dei loro comandanti, dichiarò che nell’agosto 1944 su questo
fronte clandestino combattevano 80.000 uomini, saliti nell'aprile 1945 a circa 200.000.
SCHEDA: Sul governo Badoglio e dintorni
6) Woolf/Warner,62-65 I governi russo e italiano (inizio 1944) decisero di scambiarsi
rappresentanze diplomatiche. Togliatti annunciò che i comunisti erano pronti ad entrare al governo
(Badoglio) senza che il re dovesse prima abdicare. (Ciò fece temere) "una diminuzione dell’influenza
angloamericana sull’assetto politico definitivo...Quasi due mesi fa ci venne passata la
palla e, con la nostra evidente incapacità di adottare una politica costruttiva, la
perdemmo. I russi se ne sono impossessati e stanno scendendo a rete (lettera del Dipartimento di
Stato USA - 31 marzo)". Da parte inglese, Harold Macmillan vedeva un analogo pericolo, come
scrisse l’8 aprile: "Il (nuovo) atteggiamento comunista mette assai a disagio i partiti
liberali e moderati. Da una parte, essi non vedono l’ora di entrare al governo e non sopporterebbero
di vedere i comunisti ed i socialisti appropriarsi di tutti i posti chiave e di tutto il potere; d’altra parte,
hanno fatto tanti discorsi e hanno pronunciato parole così coraggiose, che dovrebbero rimangiarsene
parecchie se dovessero accordarsi e collaborare con Badoglio. Credo perciò che il re debba
compiere un atto politico di importanza sufficiente -che sia l’abdicazione, o una reggenza,
o la promessa di una reggenza- perché gli altri partiti possano entrare immediatamente a
far parte di un governo di coalizione, senza perdere troppo la faccia". Macmillan, insieme al
rappresentante speciale del presidente Roosevelt, Robert Murphy, riuscì a risolvere il problema
persuadendo Vittorio Emanuele ad annunciare il proprio ritiro dalla vita pubblica e la
nomina di suo figlio a luogotenente del regno a partire dalla data in cui gli eserciti alleati
sarebbero entrati a Roma[V.par.7]. Ciò si dimostrò sufficiente a salvare la coscienza dei moderati
ed il 21 aprile venne formato un nuovo governo.
7) Mac Smith,543-544 Il fascismo fu sostituito da un'autocrazia monarchica fondata
sull’esercito, la polizia e la burocrazia ex fascista e dalla promessa di libere elezioni a guerra
finita. I combattimenti, continuarono per altre sei settimane, giacché il re diede la sua parola d’onore
che non nutriva alcuna intenzione di abbandonare l’Asse. Il Partito fascista fu dichiarato illegale,
la censura politica rimase, la maggior parte dei funzionari fascisti mantenne il suo posto
e Badoglio in un primo tempo non sciolse la milizia fascista. Badoglio sperava di tenersi
libero su tutti e due i lati senza continuare a combattere e senza mettere a repentaglio né
la corona né l'esercito. L' 8 settembre- gli Alleati stavano per passare dalla Sicilia sul continenteBadoglio finalmente concordò un armistizio. Furono sbarchi in Calabria e a sud di Napoli. Ma il re e
Badoglio rinnegarono la promessa di appoggiare l'invasione e all’ultimo momento chiesero al
comando degli Alleati di annullare un progettato attacco a Roma. Alla fine, nel giugno
1944, il governo «non politico» di Badoglio lasciò il passo a un’ampia coalizione guidata
da Bonomi, in cui erano rappresentati tutti i sei partiti appena ricostituiti, dal liberale al
comunista.
8) Woolf,394-395 Non c’è dubbio che la famosa «svolta di Salerno» operata da Togliatti, la sua
disponibilità ad entrare a far parte di un governo monarchico era la sola soluzione pratica, che permise
alla Resistenza di svilupparsi in maniera notevole con l’appoggio alleato. Togliatti sentiva che la
presenza angloamericana poteva compromettere la possibilità di una rivoluzione socialista in Italia,
mentre vedeva i vantaggi concreti ottenibili mediante l’ingresso nel governo. Il suo sottolineare la
necessità di unità per portare avanti la guerra, il carattere «nazionale» del «nuovo partito» fanno da
contraltare alla sua insistenza che la pace avrebbe dovuto portare ad una «democrazia
progressista», non ad una rivoluzione socialista. C’è coerenza tra la politica di Togliatti
6
durante e dopo la guerra: la partecipazione al governo era
un obiettivo giusto tanto
strategicamente che tatticamente. Come scrisse il giovane comunista Eugenio Curiel: «È essenziale che
la classe operaia, classe di governo, non si troverà più in una posizione di minorità politica, reietta ai
margini della nazione».
La decisione presa da Togliatti nell’aprile 1944 fu seguita dal grosso successo di
giugno del Cln, che essa contribuì in parte a determinare, a seguito del quale il generale
monarchico Badoglio venne sostituito dal socialdemocratico prefascista Bonomi (giugno
1944) mentre le sinistre ottenevano l’impegno per la formazione di una Assemblea costituente con poteri
legislativi. Ma verso gli ultimi mesi dell’anno le speranze del Cln di una soluzione inequivocabilmente
progressista o rivoluzionaria erano compromesse seriamente, dal comportamento equivoco di Bonomi...
Il prezzo che il Cln dovette pagare per il riconoscimento e l’appoggio militare alleati fu
l’impegno di abbandonare le armi a Liberazione avvenuta, mentre veniva messa in
dubbio la decisione se il destino della monarchia avrebbe dovuto essere stabilito da una
Assemblea costituente o da un referendum. Le speranze di un mutamento radicale non
ricevettero nuovo impulso fino alla insurrezione vittoriosa della primavera del 1945, con lo sferzante «
vento del Nord»
9) Woolf/Catalano,89-93 (Alla fine del '44) i comunisti ritornavano sulla loro idea-base, che aveva
dato loro una carica essenziale, tra la fine del ‘43 e i primi mesi del ‘44, per scardinare dal basso,
con l’apporto decisivo delle masse popolari, il vecchio Stato accentrato, dinastico e
autoritario: l’idea, cioè, della proliferazione e della ramificazione dei Cln fin nelle più
piccole unità periferiche, l’unico modo per risvegliare ed attirare alla lotta contro i nazifascisti tutti
gli strati della popolazione. Verso la metà di ottobre, però, quasi immediate ripercussioni
anche sulla situazione italiana, ebbe la conferenza a Mosca fra Churchill e Stalin, che
aveva stabilito la spartizione dell’Europa in due zone di influenza. [la spartizione non fu una
scelta operata fin dall'inizio.V.par16,ss;28;203,ss]
Woolf/Catalano, 90-93 La Democrazia cristiana. «Il Popolo, febbraio 1945»
respingeva un'unione fra i vari partiti -sostenuta sia dal Pd’A sia dal Pci- che continuasse « al
di là della lotta e della vittoria, per le necessità della ricostruzione», mostrando di preferire
una opposizione e una maggioranza, di cui evidentemente, la Dc era sicura di far parte, anche per
l’aiuto, non certo disinteressato, degli anglosassoni.
10)
11) Acc,XI,261 L’insurrezione nazionale -fine aprile 1945- nell’Italia settentrionale completò la liberazione del
paese dagli invasori nazisti e sconfisse definitivamente il fascismo italiano. L’apparato terroristico della dittatura
fu liquidato ovunque, i gruppi monopolistici più reazionari e i loro seguaci furono allontanati dalla guida del
paese.
12) La maggioranza di coloro che avevano partecipato alla Resistenza ritenevano che l’abbattimento
del fascismo dovesse portare alla instaurazione di una democrazia di tipo nuovo. In un documento del
Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), approvato nel gennaio 1944, era
detto che dopo la guerra la monarchia avrebbe lasciato il posto alla repubblica e alla guida dello
Stato sarebbero andati i lavoratori, e tra questi la classe operaia.
13) Il documento riconosceva la necessità di profonde trasformazioni nell’economia e nella struttura della
società e innanzitutto la riforma agraria, la nazionalizzazione delle banche e dei monopoli industriali,
completati dalla richiesta del controllo democratico sulla produzione da parte dei consigli di fabbrica. Gli
organi direttivi della Resistenza decisero che a portare avanti queste trasformazioni sarebbero i partiti antifascisti
alla fine della guerra e che le riforme sarebbero state sottoposte alla sanzione di una Assemblea costituente.
14) Le tesi programmatiche della Resistenza non avevano perciò un carattere immediatamente
socialista. Bisognava tener conto del rapporto di forze in campo internazionale e di quello esistente nella
stessa Italia. Gli obiettivi nazionali e democratici erano talmente importanti che il loro raggiungimento
richiedeva l’unità di tutte le forze autenticamente antifasciste. Nella struttura sociale e politica italiana
avevano un notevole peso i ceti medi urbani e rurali che avevano partecipato attivamente alla lotta contro
il fascismo e chiedevano che fossero eliminate le contraddizioni più stridenti, che fossero liquidati i
monopoli e la grande proprietà fondiaria ma che nello stesso tempo subivano fortemente la pressione
ideologica della Chiesa cattolica
7
15) Il programma della Resistenza fu la piattaforma sulla quale fu costruita la vittoria delle forze di sinistra per
l’attuazione degli ideali politici della guerra di liberazione. Questa lotta si sviluppò tuttavia in una situazione
caratterizzata dal nuovo schieramento di forze formatosi nel 1945-47 sia in campo internazionale che nella stessa
Italia, in una situazione resa più complessa dalla presenza nel paese delle truppe anglo-americane.
Cenni sul quadro internazionale
16) La situazione e le vicende italiane del secondo dopoguerra sono state enormemente influenzate dagli sviluppi
internazionali.[V:parr.28,ss.]
17) Acc.XI,192-202 Con la guerra, gli Stati Uniti non solo non avevano subito danni materiali ma erano persino
riusciti ad arricchirsi...La lotta di classe nel 1945-1949, in tutti i paesi capitalisti, attraversò due fasi: nella
prima fase (1945-46) ci fu una crescita del movimento operaio democratico che si espresse nel consolidamento
organizzativo delle forze del progresso e della democrazia, nella partecipazione dei rappresentanti dei partiti
comunisti ai governi di alcuni paesi capitalisti e nell’attuazione di riforme sociali progressiste. Nella seconda
fase (1947-49) ci fu invece la controffensiva della reazione che tentò di riprendere le posizioni
perdute negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra e di ricacciare indietro le
forze democratiche, un’operazione che le riuscì soltanto in parte. Tutti questi processi si realizzarono in
modo non uniforme nei diversi paesi
18) Gli Stati Uniti d’America operarono nel mondo postbellico all’ombra del fungo atomico su
Hiroshima e Nagasaki (1945) che aveva fornito una drammatica dimostrazione della crescente
potenza degli USA. La guerra era stata la causa fondamentale della comparsa degli Stati Uniti
sulla scena della politica imperialistica globale. Trasformatisi in “arsenale” degli alleati gli USA si
erano notevolmente arricchiti grazie alla guerra. Nel 1945 il reddito nazionale lordo era di 215,2 miliardi di
dollari, più del doppio rispetto al 1940. La potenza industriale era cresciuta del 40 per cento. La seconda guerra
mondiale aveva consentito agli USA di uscire dalla crisi e di accelerare la sua crescita industriale ma aveva
prodotto anche consistenti mutamenti strutturali nell’economia americana. Dal 1940 al 1945 il totale delle spese
per la ricerca scientifica e per la sperimentazione in USA aumentava di 5 volte, da 0,4 a 2 miliardi di dollari
l’anno; la quota dello Stato aumentava dal 18 al 79 per cento. Un’altra importante causa dell’egemonia
economica e tecnico-scientifica degli Stati Uniti fu “l’importazione delle idee e degli specialisti” dagli altri paesi.
Si accentuò l’importanza della ricerca scientifica per la produzione di armi, per l’incremento dei profitti e
per l’economia statunitense in generale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica stimolò la crescita industriale
e la comparsa di nuovi settori produttivi, di nuovi tipi di armi, di nuove merci e servizi.
19) La seconda guerra mondiale aveva distrutto il rapporto di forze esistente prima della guerra tra le sei
potenze imperialistiche più importanti (USA, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone). Negli anni
immediatamente successivi alla guerra il peso specifico degli Stati Uniti nella produzione industriale
complessiva del mondo capitalista era pari a 2/3, mentre alla vigilia della guerra non superava il 50 per cento. Il
peso specifico delle esportazioni statunitensi crebbe di 2,3 volte. Circa il 70 per cento delle riserve auree del
mondo capitalista risultò concentrato negli Stati Uniti.
20) Mai prima nella loro storia gli USA avevano raggiunto una tale potenza militare come nel
1945. Le forze terrestri, marittime e aeree degli Stati Uniti dominavano le principali direttrici delle
comunicazioni mondiali e si appoggiavano a importantissimi punti strategici. Durante la guerra gli USA avevano
costruito 434 basi per la flotta e per l’aviazione di marina; le forze terrestri e l’aviazione strategica disponevano
di 1.933 basi. Alla fine della guerra le forze armate degli USA contavano 12 milioni di uomini. Gli Stati Uniti
avevano il monopolio della bomba atomica.
21) L’elite dirigente degli USA fu presa da una illusione di onnipotenza. Le pretese al ruolo di
“leader del mondo” erano nate negli Stati Uniti già in passato. Il presidente del Comitato nazionale
delle conferenze industriali Virgil Jordan, in un discorso all’Associazione americana dei banchieri pronunciato il
10 dicembre del 1940, definì gli Stati Uniti gli “eredi dell’Impero Britannico”.
22) Durante la guerra era stato sepolto l’isolazionismo e l’espansionismo regionale si era
trasformato in espansionismo globale. I piani del governo si fondavano sulla creazione di un enorme
apparato bellico idoneo a fungere da “polizia del mondo”. Un notevole posto nei piani egemonici
degli Stati Uniti occupava il monopolio dell’armamento atomico.
8
23) Durante la guerra erano state bloccate le riforme del “new deal” (“nuovo corso”) e sospesi
molti provvedimenti “anti-trust”. Il capitale monopolistico si avvalse delle vaste possibilità di
ridistribuzione del reddito nazionale a proprio favore. Aumentarono notevolmente i profitti delle
corporazioni. I processi di concentrazione e di centralizzazione dell’industria e del capitale si andarono
realizzando a ritmi sostenuti. Nel 1942-44 circa il 50-60 per cento di tutta la produzione industriale e il 7580 per cento dei settori produttivi dei mezzi di produzione era indirizzato a fini bellici. Nei cinque anni di
guerra gli Stati Uniti avevano speso in armamenti 300 miliardi di dollari. In quello stesso periodo le
corporazioni bellico-industriali avevano notevolmente intensificato il loco controllo sull’apparato statale. I
loro rappresentanti erano a capo di molti organi statali che si occupavano della distribuzione delle commesse
statali di armamenti e di materiali bellici, dei sussidi governativi, delle materie prime e della forza lavoro. Si
andava intensificando il ruolo dei militari nella elaborazione della politica nazionale.
24) Castronovo,358-359 I paesi dell'Europa occidentale erano usciti fortemente menomati dal conflitto.
l'Unione Sovietica venne fuori dal conflitto in condizioni di estrema debolezza economica, di deterioramento
dell'apparato industriale, di grave carestia cerealicola di caduta delle condizioni materiali di vita
[V.par.199,ss;209,ss.].
Gli Stati Uniti avevano la possibilità di unificare il mercato mondiale e di imporre, battendo in breccia i
tentativi dilatori della Gran Bretagna, una nuova strategia dello sviluppo fondata sulla supremazia del dollaro
e sull'apertura dell'Europa agli scambi con l'America. Il sistema monetario mondiale sorto a Bretton Woodds
nel 1944 (luglio 1944-dicembre 1945) già configurava i rapporti di forza reali determinati dal conflitto (il
dollaro affiancato dall'oro come riserva liquida delle banche centrali). La fornitura di crediti liquidi e di aiuti
finanziari a titolo gratuito o la concessione di prestiti a lungo termine e a basso tasso di interesse, da parte
americana, concorsero a rimettere in sesto nel breve giro di due anni la maggior parte delle economie europee.
Nel frattempo gli aiuti alla ricostruzione del vecchio continente sia in beni di consumo, sia in beni strumentali
(il Buy American Act poneva, come condizione preliminare all'erogazione di prestiti all'estero, l'acquisto di
prodotti finiti presso le industrie americane) avevano consentito all'economia statunitense, altrimenti
impacciata dopo la fine delle commesse belliche, di riprendere quota e di espandersi. La creazione di un
mercato monetario basato sulla convertibilità del dollaro in oro, secondo un rapporto costante ma senza alcun
controllo supernazionale sull'emissione di liquidità, avrebbe finito col determinare una serie di rapporti
fortemente ineguali e per provocare alla distanza pericolosi squilibri.
L'Italia e le potenze alleate
25) Corona, Chiesa, Capitale, compromesse col fascismo, successivamente rifiutarono in ogni modo di riconoscere la
corresponsabilità d'un ventennio di comune dominio e continuano a respingere con tutte le forze a loro disposizione l'antifascismo
risorto dalle carceri o dall'ibernazione dell'impotenza e dell'acquiescenza. [V:parr.2/4; Woolf/Quazza,21-22; Acc,XI,194].
Ugualmente compromessi erano, in fondo, i paesi "democratici" che avevano variamente sostenuto il fascismo, e si erano
disinteressati dalle attività espansionistiche di Hitler. Il prestigio dell'URSS -vera vincitrice della II guerra mondiale- e dei partiti
comunisti preoccupava vivamente gli alleati..[V.par.29]
26) Mac Smith,549 I partigiani appartenevano in maggioranza alla sinistra, la quale conquistò così
una notevole influenza a livello locale e quindi una forte presa sul futuro meccanismo
elettorale. Durante i cinque mesi del governo Parri (succeduto a Bonomi nel giugno 1945) l’Italia fu vicina a
conoscere un processo di radicale trasformazione sociale e politica. Il paese si arrestò, a causa degli
orientamenti conservatori di una gran parte del suo popolo, della forza tenace degli interessi
costituiti, e della presenza di un esercito alleato di occupazione.
27) Woolf/Quazza,28-29 La nascita dell’antifascismo come «forza» decisiva è direttamente
collegata con lo sfacelo dell’Italia monarchica erede dell’Italia fascista:la fuga dei Savoia a
Pescara, la politica di dichiarare guerra alla Germania soltanto il 13 ottobre 1943, l’iniziale intransigente
ripulsa di un governo con i partiti antifascisti, l’alleanza col conservatorismo e col legalismo anglo-americano
per rifare la trama essenziale dello Stato tradizionale e sconfiggere o almeno tenere a bada chi vuole un
rinnovamento dalle fondamenta. Il paese viene diviso in due dall’andamento delle operazioni
belliche: il Centro-Nord, più evoluto e moderno, resta nelle mani dei nazisti e dei fascisti; il Sud, dai tempi
dell’unificazione nazionale quasi immobile e arretrato, rimane affidato alla monarchia sorretta dagli alleati.
La presenza militare di questi è per così dire, un aiuto del cielo a quelle forze che la fuga a
Pescara avrebbe dovuto annientare: un aiuto del cielo perché il Mezzogiorno era sempre stato
la zona depressa del paese, nella quale anche i padroni dell'economia erano legati a una
visione autoritario-feudale dell’esercizio politico e perciò arbitri e complici dello Stato
9
accentratore...Questo concedeva loro, in cambio del comune controllo sulle classi "inferiori" un
ampio margine alla corsa ai prodotti e alla quotidiana esplicazione degli arbìtri. Di qui il
contrasto e l’inconcludente diatriba sull’abdicazione di Vittorio Emanuele, di qui il progressivo svuotamento
della carica innovatrice dello stesso Cln romano.
28) Woolf/Warner,50-59 L'esclusione dell'Unione Sovietica da una partecipazione effettiva
all'organizzazione armistiziale in Italia (contro una proposta inglese di gestione paritetica Regno Unito-USAURSS di tutti gli accordi armistiziali) segnò il primo passo nel processo che portò l’Italia a divenire un
membro dello schieramento occidentale. Avendo escluso la Russia da qualsiasi partecipazione, se non
marginale, negli affari italiani, le potenze occidentali aprirono la strada alla loro stessa esclusione da qualsiasi
ruolo, se non marginale, negli affari dell’Europa orientale. La divisione dell’Europa aveva avuto inizio.
29) Lo scambio di diplomatici fra i governi russo e italiano e l'entrata dei comunisti nel governo Badoglio accrebbero i già
grossi timori angloamericani sulla presenza russa e sul comunismo in Italia [V.par.6]. Woolf/Warner,62-67 Un
memorandum della commissione alleata di controllo (19 aprile 1944) metteva in evidenza che: "La Russia, con
lo scambio di rappresentanze diplomatiche, è stata la prima a fare un gesto per togliere l’Italia dalla posizione
di nemico conquistato. Non ci sono truppe russe di occupazione e non esistono quindi tra italiani e russi le
frizioni che si verificano inevitabilmente in zone sottoposte al controllo militare straniero. Con l’avvicinarsi
delle armate russe nei Balcani, gli italiani ritengono che, attraverso la forte influenza che la Russia avrà sulla
Jugoslavia, di fatto l’Italia si troverà di fronte la Russia al confine orientale. Questi fattori,
cumulativamente poderosi, agiscono su di un paese già maturo per quella spinta verso le
estreme che è corollario inevitabile di una economia in pezzi e dei pericoli dell’inflazione". L' 1
maggio Churchill scrisse due note al suo ministro degli Esteri, chiedendo se gli inglesi avrebbero
«consentito alla comunistizzazione dei Balcani e forse dell’Italia», ed osservando che «ci stiamo
evidentemente avvicinando al momento di mettere carte in tavola con i russi sui loro intrighi
comunisti in Italia, Iugoslavia e Grecia». Come ha chiarito Harold Macmillan nel suo resoconto dei
negoziati di novembre tra la Resistenza, gli alleati e il governo italiano:"Alexander fu deciso, era ormai
tempo di avere una visione chiara della situazione e infiltrarsi tra i partigiani con ufficiali
inglesi e con italiani di fiducia.. bisognava adottare un linguaggio assai sfumato, specialmente in
relazione alle condizioni dell’armistizio e ai poteri del governo militare alleato...(ma) la cosa principale era
di avere un solido controllo sui movimenti di resistenza, prima che divenissero, come in Grecia,
un puro strumento comunista".
30) Woolf/Warner,71-72 I capi del Partito comunista italiano non intendevano prendere il
potere per mezzo dei partigiani. Alla conferenza segreta dei leader comunisti europei -settembre 1947- che
portò alla formazione del Cominform, (Togliatti affermò) che avrebbe potuto prendere il potere in alcune
zone, ma non altrove, e che l’Italia non sarebbe stata libera, unita ed indipendente. Ed aggiunse: «L’unità
nazionale era in pericolo e l’abbiamo salvata. Questo è il maggior risultato cui sia pervenuto il
partito» Questa rivelazione fu fatta nel mezzo di un aspro attacco, di ispirazione sovietica, alla dirigenza del
Partito comunista italiano, ma secondo il biografo di Tito uno dei delegati comunisti italiani presenti rispose
efficacemente che «per quanto riguarda la politica del partito durante la guerra... esso aveva agito su
istruzioni di Mosca». La dichiarazione di Togliatti ai comunisti jugoslavi, citata prima, non
esclude l'intenzione di prendere il potere, ma solo quella di farlo mediante un'insurrezione
armata in una parte d'Italia. Ciò non era evidentemente adatto alle circostanza -gli inglesi e gli americani
sarebbero quasi certamente intervenuti- ed avrebbero dovuto essere utilizzate altre tattiche, che
avrebbero potuto essere perfettamente legali e democratiche. Per quanto riguarda poi l'Unione
Sovietica, la sua tolleranza nei confronti della politica angloamericana in Italia può essere
spiegata sulla base del timore che una sua interferenza non sarebbe stata sopportata... In Italia
c’erano gli eserciti inglese ed americano, non quello sovietico, e i russi dovevano inchinarsi a
questa realtà.
31) Woolf/Warner,73-74 Il 30 giugno 1945 il segretario di Stato ad interim Joseph Grew scrisse in un
memorandum, che ottenne l’approvazione esplicita di Truman: "II nostro obiettivo è di rafforzare
l’Italia economicamente e politicamente, così che gli elementi veramente democratici del paese
possano resistere alle forze che minacciano di spingerlo verso un nuovo totalitarismo...Il tempo è
ormai maturo per dare il via ad atti che rafforzino il morale del paese, rendano possibile uno stabile governo
rappresentativo e permettano all’Italia di partecipare responsabilmente agli affari internazionali".
32) Woolf/Warner,75 Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti non sarebbero stati
isolazionisti. Questo fu forse il secondo fattore cruciale che, dopo gli accordi armistiziali del 1943, contribuì
ad assicurare la presenza dell’Italia nello schieramento occidentale. Un terzo fattore è considerato da
molti la sostituzione di Ferruccio Parri, come presidente del Consiglio, da parte del leader
democristiano, Alcide De Gasperi, nel dicembre 1945. Il governo di Parri, si è sostenuto, era troppo di
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sinistra, troppo impegnato a conseguire radicali cambiamenti economici e sociali per piacere agli inglesi e
agli americani.Questi non esitarono ad appoggiare gli intrighi che portarono alla caduta di Parri ed all’ascesa
di De Gasperi...
33) Woolf/Allum,172-173 Nel 1945 l’Italia venne inserita nel blocco occidentale e rimase
soggetta all’occupazione militare alleata angloamericana fino al 1947. Questa premessa inoltre
fu rafforzata dallo scoppio della guerra fredda [V.parr.195,ss.], che divise il paese
ideologicamente
e socio-economicamente (gli interessi precostituiti contro le classi
subordinate). I difensori dello status quo, particolarmente numerosi nell’immediato dopoguerra perché
comprendevano gli alleati, il Vaticano, la monarchia, gli operatori economici, le classi privilegiate e i loro
rappresentanti, Dc, Pli e Democrazia del lavoro, ottennero rapidamente una vittoria decisiva, su quanti
intendevano innovare (movimento operaio, intellettuali progressisti ed i loro partiti, Pci, Psiup e Pd’A), con
l’eliminazione del governo Parri sei mesi dopo la Liberazione (novembre 1945).
34) Woolf/Warner,79 Un altro problema permanente del governo De Gasperi era la presenza
nei suoi ranghi di ministri comunisti. Nel settembre 1946 i comunisti imposero le dimissioni del ministro
del Tesoro, Epicarmo Corbino. «Mentre condivideva il desiderio di Corbino di giungere ad un
chiarimento con i comunisti », il presidente del Consiglio non riteneva che ciò fosse possibile allora, a
causa della Conferenza della pace e degli effetti che una esclusione totale dei comunisti dal
governo avrebbe potuto avere sulla Russia, in connessione alle condizioni definitive di pace che
sarebbero state imposte all’Italia.
35) Woolf/Catalano137-139 La situazione internazionale andava peggiorando e la tensione fra i due
blocchi si accentuava; ne approfittò quasi subito De Gasperi, il quale, dopo un suo viaggio negli Stati Uniti, si
dimise...Tuttavia, nei primi mesi del ‘47, non era ancora giunto il momento adatto per
infrangere la coalizione, poiché i democristiani si preoccupavano molto della sorte del
Concordato, che la Chiesa voleva entrasse a far parte integrante della nuova costituzione
[V.par.85].
36) Woolf/Catalano,108-110 Mentre il Partito comunista rimaneva attaccato alla vecchia e
superata idea dell’intesa fra le varie correnti, la Democrazia cristiana puntava ormai
consapevolmente a infrangere quella intesa per assumere da sola, o con il corteggio di altri
partiti minori, la responsabilità di governare il paese. La dipendenza economica dagli Stati
Uniti per l' approvvigionamento di carbone,doveva condurre ad una dipendenza anche politica,
rinsaldando l'appartenenza dell'Italia al blocco occidentale.
(da un regolare e continuo
approvvigionamento solo dipendeva la possibilità di far lavorare il nostro sistema industriale, questo ci
venne quasi esclusivamente dagli Stati Uniti (per circa quattro quinti e, forse, anche più), mentre il
contributo della Germania -che era stato predominante negli anni fra il 1936 e il 1942- si contraeva al 10% e
quello dell’Inghilterra (preminente fino al 1935) era praticamente nullo).
37) Woolf/Warner,80-82 Nel maggio 1947, tre mesi dopo la firma del trattato di pace, i
comunisti vennero fatti debitamente uscire dal governo e venne compiuto un ulteriore passo
importante verso l’unione tra l’Italia ed il mondo occidentale.
In novembre, il sottosegretario di Stato, Robert Lovett, aveva detto all'ambasciatore Tarchiani che «il Congresso e le banche ci
rifiuterebbero assistenza se comunisti e nenniani rientrassero nel ministero». Facendo riferimento alle vicine elezioni italiane,
l’addetto stampa del Dipartimento di Stato dichiarò esplicitamente che «se i comunisti dovessero vincere...non ci sarebbe più
possibilità di assistenza americana». Ciò, fu chiarito, non si riferiva solo agli aiuti Marshall, ma a qualsiasi forma di aiuto americano...Il
cardinale Spellman, il membro più importante della gerarchia cattolica degli Stati Uniti, disse in presenza del presidente Truman: «Entro
un mese da domani, quando l’Italia dovrà scegliere il proprio governo, non posso credere che il popolo italiano abbandonerà la
sua Fede e l’amicizia americana di fronte alle pressioni e alla propaganda comunista dell’Unione Sovietica. Non posso credere
che il popolo italiano sceglierà lo stalinismo piuttosto che Dio, l’Unione Sovietica piuttosto che l’America -l’America che ha
fatto tanto ed è pronta a fare tanto di più se l’Italia resta un paese libero, amico e senza vincoli».
Woolf/Allum,174-175 Il generale Marshall annunciò la partecipazione dell’Italia al "piano" durante il dibattito parlamentare per la
fiducia al nuovo ministero anticomunista di De Gasperi del giugno 1947. Gli americani avevano dimostrato cosa erano disposti a fare
per cooperare a imprimere all’Italia un corso moderato, appoggiando la scissione di Saragat dal Partito socialista nei primi mesi
dello stesso anno. Lo stesso De Gasperi non fu mai soddisfatto dalla collaborazione col Pci al governo. Il Vaticano certamente
disapprovava ed effettuò a sua volta varie pressioni per dissociare la Dc dal Pci; ad esempio, nelle numerose elezioni per le
amministrazioni locali tenutesi nell’autunno del 1946 indirizzò i votanti cattolici verso i tradizionali movimenti reazionari di destra. Per gli
operatori economici più importanti l’oggetto in discussione era il tipo di economia che l’Italia avrebbe dovuto avere nel
dopoguerra. L’iniziativa privata avrebbe continuato a mantenere il controllo, come essi desideravano, o ci sarebbero stati
interventi statali? I lavoratori avrebbero avuto una influenza su quanto veniva fatto nelle fabbriche? e così via.
11
38) Woolf/Allum,176-177 De Gasperi formò un governo di minoranza, che comprendeva cinque tecnici
(vecchi liberali, tra cui Luigi Einaudi in qualità di vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio). Tutti i
fondi provenienti dagli aiuti Marshall furono utilizzati per la ricostruzione dell’industria
settentrionale, almeno fino al 1950. Affidare la politica economica ad Einaudi assicurava che questa sarebbe
stata ispirata ai princìpi dell’iniziativa privata e della libera concorrenza. ...Il Mezzogiorno ebbe un ruolo
fondamentale nel ritorno delle forze conservatrici al potere dopo il breve interludio del governo
tripartito.[Vedi:Woolf/Allum,par.239,ss. sulla "questione meridionale]
39) Woolf/Warner,82-85 C’era, però, un ultimo passo da compiere prima che l’Italia potesse essere
considerata di pieno diritto un membro dello schieramento: la conclusione di una alleanza militare con
gli Stati Uniti ed i suoi alleati. Il governo italiano decise di entrare a far parte del "Patto
atlantico" all’inizio del 1949. A seguito di pressioni americane -con l’appoggio francese- fu deciso di
invitare l’Italia a divenire socio fondatore della nuova alleanza insieme a nove altri paesi europei, agli
Stati Uniti ed al Canada. Il processo di integrazione dell’Italia nel blocco occidentale, che aveva avuto inizio
con l’armistizio nel settembre 1943, fu infine completato .
40) Woolf/Catalano,139-140 Cosa fosse effettivamente destinato ad avvenire, lo si era potuto capire fin
dagli ultimi mesi del ‘47, quando la situazione italiana era andata rapidamente deteriorandosi sia sul piano
internazionale sia su quello interno. Già il 29 agosto, «Mondo nuovo» aveva criticato piuttosto acerbamente
l’intervento nelle cose nostre di alcuni dirigenti americani ma, in tale quadro, ben più grave doveva apparire
la dichiarazione successiva del presidente americano, secondo il quale «se nel corso degli eventi,
apparisse che l’indipendenza dell’Italia, su cui il trattato (di pace) si basa, fosse minacciata
direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti, in qualità di firmatari del trattato di pace e di
membri delle Nazioni Unite, sarebbero costretti a prendere in considerazione le misure più
adatte per il mantenimento della pace e della sicurezza»...L'Italia era orami diventata uno
Stato "la cui volontà non interviene nelle determinazione e nelle scelta del proprio destino".
La Chiesa nella politica italiana dal 1945 al 1950
41) Mac Smith 574-575 Nella sua allocuzione Iamdudum cernimus (1861), Pio IX aveva formalmente
condannato «il progresso, il liberalismo e la civiltà moderna». Nella Lamentabili sane del 1907 Pio X fornì una
nuova lista di errori «modernistici», a giudizio del Sant’Ufficio altrettanto letali di quelli di Lutero. Dopo il
1922 Pio XI aveva incoraggiato l’autoritarismo tanto nella Chiesa quanto nello Stato, e poi Pio XII, fu un
intransigente conservatore.
42) Hobsbawm,141 Ciò che legava la Chiesa non solo ai reazionari di vecchio stile ma anche ai fascisti era
l'odio comune per l'illuminismo del diciottesimo secolo, per la rivoluzione francese e per tutto ciò che a loro
avviso ne derivava: la democrazia, il liberalismo e, ovviamente, il pericolo più immediato, cioè il "comunismo
dei senzadio"...In effetti l'identificazione della Chiesa con una destra i cui più grandi alfieri
internazionali erano Hitler e Mussolini creò notevoli problemi morali ai cattolici socialmente orientati e
l'insorgere di gravi problemi politici per le gerarchie, allorché il fascismo precipitò verso l'inevitabile disfatta.
43) Woolf/Poggi,257-261 Gli enormi vantaggi ottenuti dalla Chiesa (sono) una semplice componente di un
preciso accordo concluso tra la Chiesa ed il fascismo nei primi anni tra il 1920 ed il 1930. La Chiesa si era
disobbligata molto presto, facilitando in vario modo l'ascesa al potere del fascismo e la rapida
instaurazione del regime (e non poco sconfessando il cattolico Partito popolare). Alla fine del decennio fu
ampiamente ricompensata. E quindici anni dopo non aveva alcuna intenzione di rinunciare a
quanto aveva attenuto. [V:par.3]
44) Woolf/Poggi,261-263 In primo luogo (c'era) la minaccia di un tentativo di far pagare alla
Chiesa la sua complicità nell'ascesa del fascismo al potere; di farla rinunciare ad alcuni dei
massicci vantaggi che si era assicurata con gli accordi del '29. C'era poi la minaccia di una
seria sollevazione sociale,economica e politica, guidata dalla sinistra operaia che poteva
portare ad una vera rivoluzione. Infine la Chiesa, il mondo cattolico italiano, dovevano
sottoporsi a una profonda trasformazione...
45) Woolf/Poggi,271-272 (La strategia della Chiesa fu) massima partecipazione: entrata
nell'agone politico, forme di devozione di massa, la creazione di nuove organizzazioni specializzate per le
attività elettorali (i Comitati civici) e massimo impegno nel perseguire un' unica strategia: avviare e
appoggiare (e controllare) un partito politico di massa che operava formalmente, come un partito non
confessionale, entro le norme del gioco politico democratico.
46) Woolf/Poggi,276-279 I vantaggi ottenuti con gli accordi del '29 non furono semplicemente
conservati, ma inseriti nella costituzione repubblicana (art.7) [V.par.113]. La strategia di fondo
12
nei confronti del comunismo fu, oltre ad aspetti di «concorrenza» con la sinistra dei lavoratori
e di «attacco frontale», come il decreto di scomunica del luglio 1949 [V.par.124], di «isolamento e
contenimento», lasciando i partiti marxisti al di fuori delle coalizioni di governo, adottando una politica di
riforma sociale estremamente cauta, fondamentalmente dilatatoria e simbolica, permettendo, e forse
incoraggiando, la repressione nei confronti dei comunisti nelle aziende, ostacolando l'azione delle
amministrazioni locali di sinistra, ma senza impegnarsi in una politica esplicita di repressione dall'alto, senza
usare tutti i poteri del governo in un tentativo di annientare l'opposizione.
47) Woolf/Poggi,279-280 La strategia (massima partecipazione-massimo impegno) -nel 1950aveva avuto successo: la Chiesa era in riuscita ad acquisire una nuova verginità democratica
senza rinunciare ad alcuno dei vantaggi acquisiti durante il fascismo: il partito che aveva tenuto a
battesimo aveva ottenuto una maggioranza quasi assoluta nel 1948 ed era attivo come partito sinceramente
democratico, saldamente attestato al centro del potere. Come effetto collaterale, la gerarchia, il clero, le
organizzazioni cattoliche -non solo la Dc- avevano raggiunto un’importanza politica, un peso come forze di
pressione e come canale non ufficiale tra molti e diversi interessi socio-economici ed i poteri pubblici, che non
avevano mai posseduto in Italia o in qualsiasi altro Stato moderno.
La situazione socio-economica e politica all’uscita dalla guerra
48) Acc,XI,261-262 Il “ventennio nero” fascista aveva rafforzato enormemente in Italia la
concentrazione dei monopoli. All’inizio del 1945 il 15,8 per cento degli azionisti controllava il 91,6 per
cento del capitale azionario e deteneva il monopolio nell’industria automobilistica, chimica, cementiera, delle
resine e dell’energia. Punti di appoggio del capitale finanziario erano la Banca commerciale, il Credito
italiano e il Banco di Roma. 50 famiglie di grossi imprenditori, banchieri, possessori di azioni dominavano
l’economia italiana. La Confederazione generale dell’industria rappresentava lo stato maggiore di
queste forze e coordinava la politica dei grossi imprenditori.
49) L’altro ceto della classe dirigente era costituito dai grandi proprietari terrieri e dai grandi
agrari uniti nella Confederazione dell’agricoltura. Alla vigilia della guerra la metà della proprietà
terriera (10 milioni di ettari) era concentrata nelle mani di 25 mila grandi proprietari. Nell’Italia meridionale e
in Sicilia, dove dominava il sistema del latifondo, intere comunità erano di fatto dominate dai magnati terrieri:
principi e baroni. I grossi proprietari terrieri cedevano gli appezzamenti a mezzadria o con altre forme di
rendita sopravvissute dall’epoca medievale e che erano state legalizzate nell’epoca fascista.
50) Una pesante eredità del fascismo nella struttura sociale era lo stretto connubio tra
l’aristocrazia agraria e l’oligarchia finanziaria. Principi e baroni del sud investivano la propria rendita
agraria nelle società per azioni e nelle banche. Le società per azioni e le banche erano penetrate
profondamente nell’economia agricola mediante posizione di monopoli sulla produzione dei prodotti per
l’agricoltura (trattori, concimi, eccetera), mediante la creazione di associazioni commerciali che acquistavano e
lavoravano i prodotti agricoli o si occupavano delle migliorie ai terreni. Grandi monopolisti, banchieri e
latifondisti erano collegati tra loro anche da vincoli familiari e politici e formavano perciò il blocco dirigente
degli industriali e degli agrari.
51) Una enorme parte della popolazione era condannata a subire lo sfruttamento da parte di
questo blocco: la classe operaia, i lavoratori della città e della campagna, i ceti medi.
52) Le gravi conseguenze di questo sfruttamento erano state aggravate dalla guerra. Il paese aveva
avuto circa 500 mila morti, feriti e dispersi. 3 milioni di persone erano rimaste senza tetto. Le fabbriche erano
ferme per mancanza di combustibili. Alla fine della guerra la produzione industriale era di due volte inferiore
a quella prebellica. La produzione agricola era al 60 per cento. Le gravi conseguenze del fascismo e della
guerra si fecero sentire soprattutto nell’Italia meridionale dove l’industria era debolmente
sviluppata e l’agricoltura conosceva ancora ritardi e sfruttamenti di tipo feudale. Qui la
disoccupazione, soprattutto nelle piccole città, assumeva un carattere di massa. Woolf/De
Cecco,285-288 Secondo i calcoli della Banca d’Italia i danni di guerra sofferti dall’industria italiana
potevano considerarsi in media l’8% del valore degli impianti. Danni maggiori aveva riportato il sistema dei
trasporti. Ma, dato che l’industria meccanica aveva subìto limitati danni, il sistema dei trasporti
avrebbe potuto essere facilmente ricondotto alle sue dimensioni prebelliche. L’Italia aveva
sviluppato la proprie capacità industriale ben oltre le sue possibilità di assorbimento in tempo
13
di pace. Dato che la grandissima parte degli impianti fissi era sopravvissuta alla guerra,
mentre in molti paesi (e in particolare in Germania) la distruzione e spoliazione di essi era stata
molto più grave, gli industriali italiani si rendevano chiaramente conto che avrebbero potuto
avere una parte importante e lucrosa nel processo di ricostruzione mondiale. E, già nell’autunno
del 1945, il governo poteva citare, relativamente ai livelli produttivi che sperava si potessero ottenere per
l’inizio del 1946 (in percentuale di quelli anteguerra), cifre ambiziose.
La produzione agricola appariva assai maggiormente colpita: il raccolto del 1943 aveva reso
80/85 milioni di quintali di cereali, in confronto a una resa prebellica di 115 milioni di quintali. La produzione
di carne era scesa al 25% dell’anteguerra, quella di zucchero al 10%, quella dei legumi al 50%. La maggior
fonte di preoccupazione era tuttavia rappresentata dal carbone. Se pure vi fossero state scorte
disponibili in altri paesi sarebbe stato difficile usufruirne, la marina mercantile italiana essendo ridotta al 10%
del tonnellaggio anteguerra [L'approvvigionamento venne quasi esclusivamente dagli Stati Uniti [V.par.121].
Anche per l’impegno dimostrato dai partigiani nella difesa delle aziende, nell’industria siderurgica gli
impianti dell’Italia settentrionale avevano mantenuto un potenziale che si aggirava, in media, attorno al
90%, mentre, nell’Italia meridionale, essa giungeva solo al 40-50%. Il Meridione si presentava di fronte
ai compiti della pace in condizioni più pesanti e difficili, rendendo in tal modo ancor più profonda la disparità
fra le due zone dell’Italia.
Woolf/Catalano,111-113 Secondo Guido Dorso (partito d'azione) la saldatura economica Nord-Sud
minacciava di avvenire secondo i criteri tradizionali, cioè sacrificando i contadini e il Meridione agricolo...
«Gli industriali del Nord in genere, e quelli parassitari e protetti in specie, riusciranno a Conservare il
Mezzogiorno come loro mercato riservato di vendita, escludendo la concorrenza mondiale; in una parola di
moda, continueranno a considerare il Mezzogiorno come loro “spazio vitale“. Il che comporta che i
consumatori meridionali dovranno continuare a pagare non a prezzo di mercato, ma a prezzo di monopolio,
tutti i prodotti industriali e manifatturieri di cui hanno bisogno, mentre dovranno continuare a cedere a prezzo
di mercato i prodotti agricoli. Dovranno cioè essere ancora sfruttati come lo sono stati per ottantacinque anni,
prima col mito dell’unità, poi con quello della Nazione, poi infine con quello dell’impero...» [V.parr.239,ss.;243]
53) Particolarmente pressante nel 1945 era il problema alimentare. La razione giornaliera di pane era
di 200 grammi. I rifornimenti di beni di consumo si erano ridotti di quasi due volte. Divenne più acuto il
problema dell’occupazione con il ritorno a casa di uomini che si erano visti allontanare da una vita normale:
partigiani, soldati, ex prigionieri politici e prigionieri di guerra. L’armata dei disoccupati contava 2 milioni di
persone.
54) La moneta circolante superava di 12 volte il livello prebellico
Mac Smith 550 Nel 1947 l’indice dei prczzi all’ingrosso a più di cinquanta volte il suo livello prebellico;
c’erano milioni di disoccupati, in condizioni di vita disperate...Circa la metà della spesa pubblica non era
coperta dalle entrate, e ciononostante gli uomini politici erano tutti preoccupati di evitare
rigorose misure di austerità.
55) Woolf/De Cecco,288-290 La rete di controllo imposta all’economia dallo Stato corporativo avrebbe
potuto essere assai proficuamente utilizzata per dirigere produzione e distribuzione nella difficile fase della
ricostruzione. Lo Stato possedeva ora il 90% delle banche, la Banca centrale, e una notevole proporzione
dell’industria italiana (inclusa una altissima proporzione dell’industria pesante). Il maggior potenziale
inflazionistico era rappresentato dalla capacità di credito delle banche. Una operazione di consolidamento
si mostrava possibile ed erano disponibili i controlli selettivi del credito che la legge bancaria del
1936 metteva a disposizione dell’istituto di emissione. Un prestito nazionale avrebbe, inoltre, potuto
contribuire a rastrellare parte della liquidità del pubblico.
Il governo dell’economia italiana venne affidato ai più autorevoli esponenti del campo liberale, seguaci del
credo politico ed economico di Jefferson e della Scuola di Manchester, propugnatori del liberalismo puro:
Soleri, Ricci, Corbino, Del Vecchio, e, soprattutto, Einaudi. Dopo la violenta interruzione del fascismo, essi
volevano che si giungesse alla minimizzazione dell’interferenza statale in economia e alla rottura dei monopoli
privati,.
56) Woolf/De Cecco,291-295 Così, mentre nel resto del mondo la seconda guerra mondiale aveva
significato una conferma della fondatezza della critica keynesiana al laisser faire e gli economisti si
affrettavano a trarne le necessarie conclusioni a favore dell’intervento dello Stato nell'economia
[V.Castronovo,par.159/160], l’Italia, che era scampata, a mezzo di interventi statali e protezionismo,
ai peggiori effetti della grande crisi, ora veniva messa a nuotare contro corrente. Il gruppo di esperti
liberali, che si diede il cambio al Tesoro in quegli anni, concentrò la propria attività a
smantellare i sistemi di controllo su prezzi e quantità e su tutte le forme di attività finanziaria.
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Il nuovo governo aveva ereditato dall’amministrazione fascista un pesante debito: la moneta stampata e
posta in circolazione negli anni di guerra. Una sostituzione del segno monetario sembrava la
naturale misura da adottare. I rappresentanti delle sinistre avrebbero voluto strutturare
l’operazione in modo che essa comportasse una tassa progressiva sul patrimonio. Richiesta
piuttosto legittima quando si pensasse che i percettori di profitti erano coloro che della guerra avevano
maggiormente beneficiato. Il cambio tempestivo della moneta poteva divellere gran parte delle radici
del processo inflazionistico, specie se ad esso fosse stato aggiunto un prestito forzoso allo Stato
che avesse permesso a questo di finanziare il forte deficit indotto dall’isterilimento del flusso delle entrate fiscali
e dalle necessità di spesa per le opere di ricostruzione.
Gli esperti liberali procedevano nella loro opera di smantellamento: nel 1944 il livello minimo di esenzione
dall’imposta speciale di guerra sui profitti era elevato; la sovrimposta speciale sull’Ige era abolita; l’imposta
sui redditi da azioni e obbligazioni era ridotta dal 20 al 10%. Nel 1945 l’imposta sui trasferimenti di proprietà
era degradata da progressiva a proporzionale. Nel 1946 l’imposta sul reddito da azioni e obbligazioni era
abolita, e con essa scomparivano l’imposta sui profitti di guerra e la sovrimposta sul trasferimento di
obbligazioni. L’imposta sul trasferimento di azioni era dimezzata. Si adottava la quotazione libera dell’oro,
chiaro e persistente monito nei confronti dell’eventuale svalutazione
Già nel dicembre dl 1944, il governo Bonomi aveva abolito il prezzo politico del pane col risultato
immediato di perturbare la situazione dei salari. L’ulteriore rilassamento dei controlli, seguito dalla necessaria
reazione dei salari, portò la spirale inflazionaria a livelli ancor più elevati... Quando i due tronconi di
Italia furono riuniti, e il processo inflazionistico si fu comunicato alle regioni settentrionali che
ne erano rimaste indenni, a causa dei controlli, la lievitazione dei salari moltiplicò la propria gravità, dato che
interessava ormai la maggior parte dell’industria italiana.
Woolf/De Cecco,296-297 Cominciò presto a verificarsi il fenomeno, che aveva assediato il paese dopo la
prima guerra mondiale:un ampio divario tra i redditi degli impiegati e quelli degli operai [anche
per effetto dell'accordo sulla scala mobile per i salari V:par.187]; l’Istituto centrale di statistica calcolò che un lavoratore
non specializzato nel 1946 manteneva un potere di acquisto del 50-60% rispetto a quello del 1938; un operaio
specializzato del 40-50%, gli impiegati del settore privato dal 33 al 43%; gli impiegati pubblici di livello
modesto del 30-35% e ai dirigenti pubblici del 20-25%. La retrocessione sociale della piccola borghesia
(una categoria numerosa in Italia) era stata identificata come la causa principale di tensione sociale sulla
quale il fascismo aveva fondato la sua scalata al potere dopo la prima guerra mondiale. Lo scontento
ricomparve ora con una virulenza assai maggiore, dato che l’erosione dei redditi reali delle classi
medie fu assai maggiore di quella che aveva fatto seguito alla prima guerra mondiale. [Perché non furono prese
misure contro l'inflazione? V.par.94;96;151,ss.;160;214/216;187,secondo cpv.]
57) Mac Smith, 549-550 La cobelligeranza ai fianco degli Alleati contribuì a mitigare i termini
della pace che nel 1947 l'Italia fu costretta ad accettare. l’Istria e Fiume venivano assegnate alla
Iugoslavia e il Dodecanneso alla Grecia, ma almeno furono lasciati all’Italia Trieste, e i distretti di lingua
tedesca del Sud-Tirolo. A nord-ovest De Gaulle tentò -senza successo- di annettere parte della Val d’Aosta alla
Francia. L’impero coloniale africano dovette essere ceduto. Stati Uniti e Gran Bretagna rinunziarono a
chiedere riparazioni, e la generosità americana doveva rendere la ricostruzione assai più agevole di quanto
non fosse avvenuto dopo la prima guerra mondiale. Non ci si limitò a fornire vettovaglie, di cui c’era gran
bisogno; due miliardi di dollari di contributi americani aiutarono il paese a rimettersi in piedi e al termine
della guerra l’Italia sconfitta era titolare di considerevoli crediti nei confronti della Gran Bretagna vittoriosa.
Il dono di nuovi insetticidi consentirono di porre sotto controllo il flagello della malaria.
58) Il paese si trovò a dover risolvere problemi immensi e complessi. Il movimento di Resistenza non
aveva portato automaticamente a un mutamento della struttura economica del paese e si andavano muovendo i
primi passi verso la sua democratizzazione. Alla fine della guerra erano state abolite le corporazioni fasciste che
dirigevano l’economia nazionale; cessarono di esistere i consorzi agrari, strumento di controllo dei monopoli sul
commercio tra la città e la campagna. Tuttavia, non era stata toccata la grande proprietà dei latifondisti,
delle banche e dei monopoli. L’insieme dei gravi problemi sociali, la povertà, la disoccupazione, la rovina
economica e l’estrema arretratezza del sud esigevano un intervento immediato del governo. Per la soluzione di
questi problemi ebbero un ruolo estremamente importante i partiti politici che si erano andati formando nel
periodo della Resistenza.
59) Acc,XI,262-264 La forza fondamentale della classe operaia divenne il Partito comunista italiano (PCI)
guidato da Palmiro Togliatti. Alla fine del 1945 il PCI contava 1,7 milioni di iscritti. Mac Smith, 545
Diversamente dai democristiani, il partito comunista aveva conservato sotto il fascismo una qualche
organizzazione clandestina, e -fattore ugualmente importante- la compattezza e combattività dei comunisti
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aveva consentito di formare eccellenti unità partigiane nelle fasi finale della guerra, dalla quale perciò
emersero con un prestigio eccezionale. Palmiro Togliatti era un abile politico, e il suo vice, Luigi Longo,
era stato un attivo capo della Resistenza armata contro la Germania. Togliatti diede prova di un’inattesa
elasticità tattica, entrando nel governo Bonomi e impegnandosi a rispettare la religione e a non collettivizzare
la terra o le industrie...Woolf,415-416 Il successo del Partito comunista derivò indubbiamente dal
ruolo di protagonista che si era assunto nella Resistenza e nelle fabbriche. Su queste basi dopo
la guerra aveva rapidamente diffuso la sua struttura di cellule e sezioni nei luoghi di lavoro e
nelle i circoscrizioni elettorali, ed aveva consolidato la sua posizione nella Cgil. La sua presenza, i
posti che ricopriva nel governo e la sua ripetuta affermazione di un partito «nuovo», rappresentativo
dell’intero paese e non solamente della classe operaia e dei braccianti, facilitarono la diffusione
della sua struttura, in tutto il paese.
La maggioranza dei leader e degli osservatori si aspettavano un periodo piuttosto lungo di indipendenza,
ma di relativo isolamento, prima che l’Italia si fosse «redenta» dal suo passato fascista, e durante il quale
avrebbe dovuto provvedere a ricostruire da sola la propria economia [v.par.91]. Ma oltre che su
queste considerazioni di carattere più immediato, la politica di Togliatti si basava su analisi di
periodo lungo dello sviluppo passato della società italiana e del ruolo del partito...Non può però
dubitarsi che Togliatti -diversamente da molti altri leader della sinistra- prevedesse la forza formidabile
della Chiesa e fosse ansioso di evitare un confronto aperto, fino al punto di votare la costituzionalizzazione
del Concordato. Allo stesso tempo, egli aveva a lungo meditato la strategia gramsciana della necessità
di assumere l’egemonia sulla «società civile» Su questa base egli sottolineò costantemente che
l’Italia non era matura per una rivoluzione socialista e che a quello stadio poteva solo costruire
una «democrazia progressista». E per gli stessi motivi ritenne la presenza comunista al
governo inevitabile -dato il nuovo ruolo della classe lavoratrice in Italia- e necessaria. Mac
Smith,551 Di fatto i comunisti sottolinearono con forza che era loro intenzione seguire una via al
potere parlamentare e non rivoluzionaria.
60) Un’importante posizione nel movimento operaio italiano era occupata dal Partito socialista italiano di unità
proletaria che dal 1947 riprese il nome che aveva prima del 1943: Partito socialista italiano (PSI). Il partito
socialista era guidato da Pietro Nenni. La partecipazione del PSI alla Resistenza a fianco del PCI aveva
contribuito ad accrescere la sua autorità tra le masse. Il PSI contava, alla fine del 1945, 700 mila aderenti. La
maggioranza degli iscritti al partito socialista era composta da operai (62 per cento) ma erano anche rappresentati
i ceti medi, soprattutto quelli urbani. Mac Smith,545 Pietro Nenni, si dimostrò politico più intransigente e
meno elastico di Togliatti e nel dicembre 1944 rifiutò di seguirli nel governo quando Bonomi formò il suo
secondo gabinetto.
61) La massa fondamentale della classe operaia e la componente più avanzata del ceto contadino,
i ceti medi delle città e gli intellettuali erano perciò uniti intorno al PCI e al PSI che durante la
lotta di liberazione avevano rafforzato le proprie posizioni. I due partiti della classe operaia erano legati
da un patto di unità di azione e avevano un programma politico comune. I comunisti e i socialisti premevano per
l’immediata convocazione di un’Assemblea costituente che doveva proclamare la repubblica e risolvere i
problemi sociali irrimandabili. Contemporaneamente, essi si battevano per dare vita a un nuovo governo
democratico al quale potessero prendere parte i rappresentanti della classe operaia e dei suoi alleati. I comunisti
e i socialisti ritenevano allora che l’attuazione di questo programma avrebbe distrutto alle radici il
fascismo nel paese e avrebbe potuto portare alla formazione di un ordinamento di “democrazia
progressiva” che aprisse la strada a un avvicinamento pacifico al socialismo.
62) Il terzo partito di sinistra, il Partito d’azione, si fondava soprattutto sugli intellettuali e i ceti piccoloborghesi. Eminente esponente di questo partito era Ferruccio Parri. Il Partito d’azione svolse in ruolo importante
durante la Resistenza e nella vita politica del periodo postbellico, sostenne il programma che prevedeva la
nascita di un regime di “democrazia progressiva” e premette risolutamente per l’attuazione di profonde riforme
democratiche. Mac Smith,545 il Partito d’Azione tentò per un breve periodo di svolgere il ruolo di «terza
forza» tra lo schieramento popolare e i conservatori. Gli azionisti avevano una parte di tutto rilievo tra le forze
partigiane che adesso combattevano contro l'occupazione tedesca del Nord-Italia. I loro capi erano uomini
profondamente rispettati per il loro coraggio e la loro integrità; tra essi figuravano Ferruccio Parri, Carlo
Sforza, Ugo La Malfa ed Ernesto Rossi. In maggioranza erano stati allievi o compagni di lotta di Salvemini,
Gobetti e Rosselli, e la loro ostilità alla monarchia e alla Chiesa era assai più rigida e dottrinaria di quella di
Togliatti. Come forse era inevitabile in un partito di intellettuali, si compiacevano di sottili distinguo per
minarono la compattezza politica.
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63) Nel campo borghese il ruolo principale era stato assunto dalla Democrazia cristiana, nata
durante la Resistenza. Il personaggio più in vista in questo partito e il suo principale organizzatore fu
Alcide De Gasperi. I legami tra la DC e il Vaticano consentirono alla classe dirigente di controllare una
notevole parte della popolazione con l’aiuto dell’apparato ecclesiastico e dell’ideologia religiosa,
profondamente radicata nella coscienza delle classi popolari. I democristiani utilizzarono per i propri fini
politici la rete capillare delle parrocchie (più di 27 mila) e l’armata di preti e di monache forte di 600 mila
religiosi. La Democrazia cristiana si appoggiò anche alla organizzazione laica del Vaticano “Azione Cattolica”
che esisteva fin dal periodo fascista e che contava, nel 1946, 1,7 milioni di aderenti.
64) Tenendo conto degli umori delle masse popolari, dei contadini e della piccola borghesia, i democristiani
inclusero nel proprio programma la richiesta di una democratizzazione dell’ordinamento politico, si schierarono
a favore dell’autonomia regionale, della riforma agraria e della nazionalizzazione di alcuni monopoli industriali.
Questo programma politico favorì la creazione di una base di massa per questo partito, soprattutto nelle
campagne. Secondo i dati della direzione della DC, il partito contava nel 1945 circa 1 milione di iscritti. Il
carattere composito della DC generò profonde divergenze all’interno del partito e la nascita di correnti in lotta
tra di loro. Poco alla volta le posizioni chiave all’interno del partito passarono nelle mani dei
rappresentanti del grande capitale monopolistico. Tuttavia, prima della fine del 1945 questa trasformazione
non era ancora chiara a tutti. Il suo programma sociale, l’aureola che gli derivava dall’aver partecipato alla
Resistenza e i rapporti formali di collaborazione con i comunisti e i socialisti nel governo del paese impedivano
ancora a molti di comprendere la vera essenza di questo partito.
65) Il Partito liberale, rinato durante la Resistenza, univa i ceti borghesi conservatori e i proprietari terrieri. Essi
si schierarono decisamente a favore della conservazione della monarchia e contro l’attuazione della riforma
agraria. A differenza dei democristiani, i liberali erano contrari alla clericalizzazione del regime. Essi tendevano
a restaurare la democrazia borghese del periodo prefascista, conservarle il carattere laico e l’autonomia dal
Vaticano. Uno degli ideologi del partito liberale era il filosofo Benedetto Croce. Il programma liberale non
teneva conto delle aspirazioni popolari e il PLI non aveva una vasta base sociale.
66) Parte della piccola borghesia era invece entrata nel Partito repubblicano (PRI) che proponeva un
programma di riforme sociali e un regime repubblicano. Tuttavia, negli anni immediatamente successivi alla fine
della guerra questo partito non ebbe un ruolo importante sulla scena politica.
67) I partiti borghesi formalmente non rinnegarono gli ideali della Resistenza dei quali però
davano una loro interpretazione. Li univa il proposito di conservare e consolidare l’ordinamento
capitalista, di restaurare le istituzioni del parlamentarismo borghese, di escludere dal governo
del paese i partiti della classe operaia. Alla fine della guerra ebbe perciò inizio una
ridistribuzione e una polarizzazione delle forze politiche unite nella coalizione antifascista.
Il governo e i comitati di liberazione nazionale (21 GIUGNO 1945-21 GIUGNO 1946)
68) Acc,XI,264-268 In seguito alla vittoria dell’insurrezione nazionale dell’aprile 1945, nell’Italia
settentrionale il potere era praticamente nelle mani dei Comitati di liberazione nazionale (CLN) nei
quali occupavano una posizione dominante i comunisti, i socialisti e i rappresentanti del Partito
d’azione. Alla fine di agosto del 1945 i CLN erano 278, compresi i 42 comitati regionali, i 72 comitati
comunali e i 149 comitati nati nelle industrie e nelle imprese agricole.
69) La base dei CLN era composta soprattutto da elementi dei partiti di massa; i liberali non avevano propri
rappresentanti. I CLN si appoggiavano alle organizzazioni di massa: i sindacati, le organizzazioni femminili e
quelle giovanili.
70) L’organo centrale dei CLN dell’Alta Italia (CLNAI) in effetti svolgeva funzioni di governo nei territori
liberati dai partigiani e fu riconosciuto come tale dal governo di Ivanoe Bonomi, che era stato formato dopo la
liberazione di Roma. Il CLNAI emanò una serie di decreti con i quali si diede avvio a importanti provvedimenti
di ordine economico e sociale.
71) Infine nelle fabbriche e nelle imprese nacquero, i consigli di fabbrica, composti da rappresentanti
degli operai e dell’amministrazione, che non assolvevano soltanto funzioni di difesa della produzione
ma anche quelle di organi di controllo democratico sulla produzione capitalistica. I consigli di
fabbrica non furono però riconosciuti dal regime di occupazione americano e non furono legalizzati dal
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governo italiano (di Roma). Nelle grandi aziende agrarie del nord i cui proprietari erano fuggiti, i
contadini, sull’esempio degli operai delle città, cominciarono a creare consigli di gestione delle
imprese. I piccoli contadini autonomi e gli affittuari si unirono in cooperative per l’acquisto dei
concimi, del bestiame e delle macchine agricole. Queste cooperative furono una forma importante di
lotta contro lo sfruttamento dei contadini da parte del capitale commerciale-industriale.
72) Nel sud e in gran parte dell’Italia centrale, esclusa Roma, la situazione era del tutto diversa. Il
movimento di Resistenza in queste regioni non aveva avuto modo di svilupparsi e il ruolo politico dei
CLN era poco consistente ed era privo di una base di massa. Nel CLN di Roma, a differenza dell’Italia
settentrionale, le forze di sinistra non avevano la maggioranza.
73) Nel governo di coalizione, del quale facevano parte anche i comunisti, le posizioni più importanti
erano in mano alle forze di centrodestra della coalizione antifascista che si appoggiavano non ai CLN
ma al vecchio apparato burocratico. Roma divenne il punto di coagulo delle vecchie classi dirigenti.
Conservavano notevoli posizioni anche la monarchia e il Vaticano. In Sicilia le classi dirigenti tenevano
sottomesso il popolo non solo con l’aiuto del potere ufficiale ma anche grazie ai servigi di una organizzazione
banditesca segreta, la mafia. Le sollevazioni contadine che scoppiarono qua e la a causa della fame furono
represse senza pietà.
74) Ai primi di maggio del 1945 il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia chiese che si formasse un
nuovo governo con i rappresentanti di tutti i partiti presenti nel CLN e che gli incarichi chiave fossero affidati a
“coloro che occupavano posizioni di avanguardia nella guerra di liberazione nazionale”. Le trattative tra il
CLNAI e il CLN di Roma sulla composizione del governo durarono per tutto il mese di maggio.
75) Influì sulle trattative il regime di occupazione anglo-americano. (Gli americani) controllavano l’economia
italiana e si sforzarono di creare la base per una penetrazione del capitale americano in Italia. Gli organi
dell’amministrazione militare americana intervenivano costantemente nella vita politica del paese. Il
regime di occupazione militare fu utilizzato dalle vecchie classi dirigenti italiane per impedire il
consolidamento delle posizioni della sinistra e dei suoi punti di appoggio nati nel corso della
guerra di liberazione. Alla fine di aprile-maggio 1945 il regime di occupazione si estese al nord
dell’Italia e i CLN furono costretti a cedere il potere amministrativo agli organi
dell’amministrazione militare alleata che governarono queste regioni fino alla fine del 1945.
76) I partiti borghesi condizionarono la nascita del nuovo governo di coalizione a un accordo che
limitasse i poteri dei CLN a funzioni consultive e alla effettuazione delle elezioni per gli organi di
governo locali che avrebbero dovuto prendere il posto dei CLN. Il governo -21 giugno- fu presieduto
dal rappresentante del CLNAI e dirigente del Partito d’azione Ferruccio Parri, esponente di
primo piano della Resistenza, noto e stimato negli ambienti antifascisti. Del governo Parri fecero
parte i rappresentanti di tutti i partiti del CLN (vice presidente:Pietro Nenni (PSI); ministro degli
esteri:Alcide De Gasperi (DC); ministro della giustizia:Palmiro Togliatti (PCI); ministro dell’industria e del
commercio:Giovanni Gronch i(DC); ministro delle finanze:Mauro Scoccimarro (PCI); ministro
dell’agricoltura:Fausto Gullo (PCI).
77) La partecipazione al governo dei comunisti e dei socialisti consentì di dare corso a una serie di urgenti
provvedimenti diretti a ricostruire l’economia e a migliorare la situazione dei lavoratori. Diedero un notevole
aiuto al governo nella ricostruzione economica i CLN e i consigli di fabbrica.
78) Per iniziativa del ministro comunista della agricoltura, Gullo, furono prorogati tutti i contratti agrari; ai
proprietari fu proibito di licenziare i braccianti o di cacciare gli affittuari. Con un decreto speciale Gullo
abolì il subaffitto e aumentò la quota dei mezzadri nella spartizione del raccolto. Questi decreti, pur avendo
un valore limitato dal punto di vista pratico, furono accolti con feroce resistenza dai proprietari terrieri che
furono costretti a rispettare le leggi soltanto sotto la pressione delle masse contadine.
79) Il ministro comunista delle finanze, Scoccimarro, elaborò tre progetti di legge: sulla confisca dei profitti
illegalmente conseguiti durante il fascismo e durante la guerra; su una imposta straordinaria progressiva
sulle eredità e, infine, un progetto di riforma delle finanze che prevedeva la sostituzione della cartamoneta
per lottare contro l’inflazione e per colpire i gruppi più ricchi della popolazione. Questi tre progetti di legge
non furono approvati a causa del sabotaggio dei liberali e dei democristiani all’interno del governo, così come i
provvedimenti che si proponevano di epurare l’apparato statale degli elementi fascisti. I funzionari statali, tra i
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quali erano numerosi gli ex fascisti o comunque legati ai circoli dirigenti reazionari, sabotarono i provvedimenti
del governo Parri.
80) Ebbe notevole rilievo la legge che stabiliva la non punibilità delle azioni partigiane del periodo
della Resistenza. Questa legge, approvata su proposta di Togliatti, impedì ai circoli dirigenti di
destra di fare i conti con gli ex partigiani e di presentare alcune loro azioni, dirette contro i
fascisti e i loro seguaci, come atti delittuosi. Per consolidare le basi del proprio gabinetto, Parri si
appoggiò al sistema dei CLN.
81) Tuttavia le divergenze insorte tra i partiti impedirono che il congresso [Milano,agosto 1945- Acc,XI 267]
formulasse programmi concreti per l’attività dei comitati. I partiti di sinistra inoltre non erano riusciti a estendere
la rete dei CLN nell’Italia meridionale e non si poté perciò convocare un congresso nazionale di questa
organizzazione. Il governo Parri non riuscì perciò ad assicurarsi un solido appoggio nel paese.
82) A novembre i ministri liberali abbandonarono il governo Parri. Il loro esempio fu seguito dai
democristiani. Ci fu allora una grave crisi di governo. In tutto il paese, nonostante la proibizione
degli organi dell’amministrazione militare, ci fu un’ondata di manifestazioni in appoggio al
governo Parri. Le manifestazioni furono organizzate dai comunisti e dai socialisti. Tenendo conto
della presenza delle truppe di occupazione i partiti di sinistra non ritennero possibile sviluppare un
movimento di massa e rendere più acuta la lotta politica interna.
83) Nel dicembre del 1945 fu formato un nuovo governo di coalizione, che si basava ancora una volta
sul CLN, presieduto dal capo del partito della Democrazia cristiana, De Gasperi. Entrarono a far parte
del gabinetto i rappresentanti di tutti i partiti del CLN. Il socialista Nenni venne confermato vicepresidente e
ministro per la convocazione dell’Assemblea costituente. I comunisti Togliatti, Scoccimarro e Gullo
conservarono i precedenti incarichi anche nel nuovo governo. De Gasperi occupava anche il posto di ministro
degli esteri. I partiti di sinistra appoggiarono la candidatura di De Gasperi alla presidenza del Consiglio purché il
nuovo governo garantisse la convocazione dell’Assemblea costituente nei tempi previsti.
84) Mac Smih,554 De Gasperi riuscì a resistere alle pressioni di coloro che volevano un governo monocolore
cattolico, comprendendo quanto fosse importante sanare la frattura tra la Chiesa e la società laica, che tanti
danni aveva fatto nell’epoca post-unitaria e fu abbastanza accorto da non spingere la vittoria in direzione
della destra antiliberale tanto quanto era nelle speranze di Pio XII [V.parr.34,35]. La Democrazia cristiana
comprendeva gruppi diversi, divisi su questioni come la riforma fiscale, la redistribuzione della terra, la
pianificazione dell’economia e la libertà di coscienza. Molti elettori salutavano in questo partito un difensore
delle prerogative cattoliche, e altri lo votarono solo perché lo consideravano il miglior baluardo contro una
rivoluzione comunista; per questo la sua sinistra, costituita da riformatori sociali piuttosto
avanzati, rimaneva più un eccentrico elemento di disturbo che una forza effettiva.
85) I ministri comunisti nel governo De Gasperi riuscirono a varare alcuni provvedimenti nell’interesse dei
lavoratori. Fu concesso un aumento di salario agli operai, la tredicesima mensilità, l’assicurazione sociale a
carico del datore di lavoro; fu imposta una tassa straordinaria sul patrimonio. I ministri comunisti
proposero anche di attuare una riforma valutaria, la nazionalizzazione dei monopoli e la riforma agraria.
86) Il governo De Gasperi non sostenne questo programma. Su richiesta dei partiti di destra e degli
organi di occupazione militare americana, nel marzo del 1946 fu approvata una legge speciale che
rimandava l’attuazione delle riforme sociali al nuovo Parlamento. La politica di De Gasperi era
diretta alla liquidazione delle istituzioni democratiche nate durante la Resistenza. A questo scopo
furono accelerate le elezioni per gli organi amministrativi locali. Dopo le elezioni, all’inizio del 1946,
il CLN perse il suo significato politico e cessò di esistere. Molti prefetti nominati dal CLN furono
sostituiti. Le fabbriche e le imprese ritornarono ai vecchi proprietari. L’epurazione dall’apparato
statale degli elementi compromessi col fascismo fu interrotta e il commissariato per l’epurazione
fu soppresso. L’attività del governo De Gasperi eliminò quindi gli organi politici nati durante la
Resistenza. Lo scioglimento del CLN indebolì notevolmente le forze di sinistra. Tuttavia non furono
del tutto sbarrate le strade per l’attuazione delle profonde trasformazioni indicate dalla Resistenza.
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Il PCI, il PSI, la CGIL e gli altri - valutazioni diverse e contraddittorie
87) Woolf/Quazza,45 La vittoria dei «restauratori» trova il suo segno sicuro nel primo governo De
Gasperi, che si insedia il 10 dicembre ‘45. De Gasperi favorisce apertamente l’opera degli industriali
tendente a sostenere la necessità di evitare aumenti salariali, riuscendo, anche con la presenza
al governo dei comunisti e dei socialisti, a frenare la spinta agitatoria degli operai. Che i
sindacati giungano a parlare di «gara di resistenza attiva ai sacrifici e alle provocazioni
fraudolente» come di prova della «forza delle masse» è indice di quanto si sia lontani ormai anche dalle
velleità di controllo della gestione aziendale nutrite dalla Resistenza al momento dell’insurrezione. Ma De
Gasperi può permettersi anche di porre fine ai Comitati di liberazione, di far trionfare per la
soluzione della questione istituzionale il sistema del referendum, più idoneo a salvare la monarchia, di
sostituire i prefetti e questori nominati dai Comitati liberazione, di chiudere di fatto
l’epurazione.
88) Woolf/Quazza,46-47 Con la fine dei Comitati di liberazione finisce la politica della Resistenza...Il
desiderio (dei comunisti) di essere accreditati come partito «non solo di agitazione e di
propaganda ma di governo», desiderio che si nutre fino al maggio 1947 delle illusioni offerte dalla
partecipazione al governo, spinge a mostrar zelo nel disciplinare le masse operaie rispetto ai problemi di
potere, pur mantenendo viva la lotta su quelli di rivendicazione salariale. Socialisti e comunisti
riescono a ricostituire nelle fabbriche e in parte nelle campagne (in quelle emiliane essi avevano
fatto molto già durante la Resistenza per unire nella lotta dei contadini motivi antinazisti a motivi sociali, e nel
Mezzogiorno favorirono l’occupazione dei latifondi) una vasta rete organizzativa, sindacale e
cooperativa, ma il problema della conquista del potere viene affidato sempre più largamente,
anziché alla spinta delle masse contro le istituzioni, alla lotta parlamentare e amministrativa
attraverso i sistemi elettorali della democrazia liberale borghese tradizionale. Certo, rispetto alla
strada percorsa dal vecchio movimento socialista riformista dai tempi del congresso di Genova del 1892 fino
all’avvento del fascismo, il «partito nuovo » ha il vantaggio di avere bruciato dietro di sé l’esperienza del
fascismo e collaudato, con l’intervento in prima linea degli operai e dei contadini, la
partecipazione di massa alla Resistenza. Su queste basi, la capacità reattiva del movimento
operaio e contadino organizzato si rivelerà perciò nel venticinquennio postbellico più pronta e
più efficace che nel primo dopoguerra.
89) Woolf/Catalano,113-115 Il socialista Francesco Mariani, segretario della Camera del Lavoro di
Milano, così descrisse alla Costituente il 18 settembre 1946 la politica seguita dalla Confederazione del lavoro
[V.par.187,ss]: « Noi abbiamo detto agli operai, prima della Costituente di sospendere ogni qualsiasi
agitazione. Abbiamo continuato a rinviare, rinviare, rinviare...Si era detto: “ Bisogna che noi puntiamo sulla
politica della riduzione dei prezzi"...» Era certamente una politica difficile, e anche dolorosa sotto
taluni aspetti, per i dirigenti sindacali, costretti a frenare le masse che essi controllavano o ad
imporre loro sempre crescenti sacrifici; ma era anche la sola politica che potesse consentire
alle classi lavoratrici di dimostrarsi degne di diventare la nuova classe dirigente del paese, dal
momento che erano disposte a sopportare gravi sacrifici, che avrebbero dovuto tradursi in
vantaggio della generalità dei cittadini, anche di quelli non occupati o sottoccupati".
La stampa confindustriale cercava di infrangere il già tenue e debole equilibrio: polemizzava
con violenza contro «lo sfrenato interventismo dello Stato in ogni settore della vita nazionale»; oppure
condannava le «imposizioni e l’energumenismo degli irresponsabili» che, favoriti dal governo, minavano alla
base ogni sforzo dei dirigenti d’azienda, degli imprenditori, dei finanziatori, i quali tutti avrebbero voluto poter
lavorare in un clima di «collaborazione aperta e leale, posta su un piano di legalità». Frasi che,
evidentemente, lasciavano intravedere la richiesta -sotto forma di ultimatum- di un assoluto
ritorno alla tradizione e all’incontrollato predominio delle antiche classi dirigenti economiche,
che erano poi quelle stesse che avevano condotto il paese in guerra e l’avevano ridotto in
condizioni così miserevoli... Gli ambienti confindustriali chiedevano un ordinato svolgimento degli affari:
ma da chi e da che cosa era mai insidiato tale svolgimento se le classi lavoratrici moderavano le loro agitazioni
e rimandavano le loro richieste di aumenti salariali, che pure sarebbero state pienamente giustificate? La
realtà era che gli industriali nutrivano una profonda apprensione non tanto per quanto avveniva, bensì per
quanto avrebbe potuto avvenire, e con simili affermazioni essi tentavano di creare una atmosfera
contraria al proletariato e di risottomettere ai loro interessi il governo, come d'altronde era
sempre accaduto per l'addietro.
90) Woolf/Catalano,116-117 Gli alleati si guardavano bene dall’intralciare quest’opera di pressione, ed
anzi, all’inizio di novembre, il presidente della Banca d’America e d’Italia, Giannini, dichiarava che l’alta
banca e l’alta industria americana non avrebbero mosso un dito in nostro favore finché non
avessero «visto la casa in ordine». Era un’altra frase che rivelava chiaramente come i ceti capitalistici si
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allarmassero per ciò che poteva succedere in futuro, anche perché non nutrivano alcuna fiducia nel governo
Parri. L’azione coraggiosa e previdente delle organizzazioni sindacali, le quali esortavano i
lavoratori alla disciplina («Oggi, la forza delle masse si manifesta in una gara di resistenza
attiva ai sacrifici e alle provocazioni fraudolente»), dovette ad un certo momento cedere di fronte al
troppo grave peggioramento delle condizioni di vita degli operai. Fu appunto questo peggioramento a
provocare agitazioni da parte della classe lavoratrice, intese a riequilibrare i salari con i prezzi tanto più alti.
Ma era proprio questo che gli industriali desideravano: logorare i loro dipendenti in una lotta
per miglioramenti salariali fine a se stessa e senza possibilità di ulteriori sbocchi sociali o
politici più ampi...Il 20 novembre (1945), il governo Parri fu messo in crisi dall’attacco sferrato
dai liberali, ma compiacentemente assecondato dai democristiani. Il 7 dicembre, venne firmato
l’accordo (fra Confederazione del Lavoro e quella dell'industria). Per la prima volta nella storia del
sindacalismo italiano, fissava i minimi di paga e l’indennità di contingenza per tutti i lavoratori
del Nord; e, inoltre, il diritto delle donne allo stesso salario degli uomini, «a parità di
rendimento qualitativo e quantitativo». Ma gli industriali avevano rinunciato ad opporre una strenua
difesa su questi punti, senza dubbio importanti, contenti di avere eliminato finalmente il governo dei
Cln, la cui sola presenza costituiva per essi una continua minaccia di rivendicazioni più sostanziali dei
lavoratori, rivendicazioni che potevano riguardare la loro posizione e condizione nella fabbrica. Ma se gli
operai delle industrie tennero, nella seconda metà del ‘45, un tale atteggiamento cosciente e responsabile, non
altrettanto poté avvenire nelle campagne, che videro due agitazioni di particolare importanza: in Puglia,
infatti, i contadini, si sparsero per i latifondi nel tentativo di sopprimere i segni del possesso
privato e di restituire la terra all’uso comune.. Un’altra agitazione si svolse, in questo periodo,
nell’Italia centrale e fu quella dei mezzadri. Ad ogni modo Parri fu costretto a rassegnare le
dimissioni (24 novembre)...
91) Woolf/Catalano,127-128 Il Cln si riunì il 28-29 novembre per designare un nuovo primo
ministro nella persona di De Gasperi. La Borsa valori manifestò «una ripresa immediata e sicura».
Indubbiamente, per i ceti capitalistici del paese la crisi del governo Parri assumeva il
significato della fine della politica dei Consigli di gestione, delle temute nazionalizzazioni e del
non meno temuto cambio della moneta, dell’interventismo statale nella vita economico-sociale
al fine di una maggior giustizia sociale, delle imposte sui sovraprofitti di speculazione e di
guerra.
SCHEDA: Da Bonomi, a Parri, a De Gasperi
92) Woolf,397-403 Sarebbe assurdo spiegare la crescente involuzione del governo nell’Italia
liberata esclusivamente sulla base del sistema di rappresentanza dei partiti all’interno del Cln (ogni
partito era rappresentato in eguali dimensioni). Assai più importante fu l’atteggiamento degli
alleati nei confronti della Resistenza. Il rifiuto di Churchill di riconoscere Il Cln limitò la libertà di
scelta degli alleati stessi e spiega perché essi vennero presi di sorpresa dal riconoscimento russo del
governo Badoglio nel marzo 1944 e quindi dal successo del Cln nell'estromettere Badoglio in giugno.
Nella primavera ed all’inizio dell’estate del 1944, la Resistenza acquisì un grado notevole di iniziativa,
forzando gli alleati a riconoscere e il governo di Bonomi e il diritto degli italiani a decidere della
monarchia del dopoguerra. Nei mesi seguenti, specialmente dopo la conferenza di Mosca
(ottobre), con il crescere negli alleati del timore di attività sovversive comuniste e con il
rapido aumento dei bisogni materiali da parte della Resistenza, il controllo alleato si
rafforzò. La Resistenza di fatto, aveva vinto la lotta per sottoporre il destino della
monarchia alla decisione della nazione già verso la metà del 1944...In quel momento
l’insurrezione massiccia nell'Italia settentrionale e l’ordinata amministrazione dei Cln
sembrarono restituire l’iniziativa alla Resistenza, i quali parvero trionfare con la nomina
di Parri a presidente del Consiglio. (giugno 1945).
93) Woolf,403-407 Gli anni immediatamente successivi alla Liberazione furono segnati da
un’esplosione di manifestazioni culturali e sociali che testimoniavano i veri successi della Resistenza: la
sconfitta del fascismo e la determinazione di grandi masse della popolazione a partecipare alla vita della
nazione. L'impressionante autocontrollo della classe lavoratrice [V.par.187,ss.] la decisione
con cui la grande maggioranza degli italiani si metteva a ricostruire l’economia, la nascita spontanea e
stupefacente di una miriade di pubblicazioni politico-culturali, il cinema e la letteratura neorealisti,
l’avida curiosità per gli sviluppi culturali stranieri, erano aspetti delle trasformazioni massicce
all’interno della società italiana e della fiducia degli italiani nel futuro.
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Eppure entro un anno - elezioni amministrative,marzo/aprile 1946- le speranze più
radicali di una rottura drastica con il passato nutrite dagli azionisti e dai socialisti erano
state infrante, benché i successi elettorali dei comunisti e dei socialisti incoraggiassero i
leader di questi due partiti e il sindacato unificato, la Cgil, a credere nella possibilità di
arrivare a formare uno Stato democratico progressista.
I Cln, già indeboliti con la decisione del Clnai, al momento della Liberazione, di non proclamarsi governo provvisorio per
tema di rinnovare la guerra civile e di provocare l’intervento alleato, erano stati ridotti a corpi consultivi, che traevano la propria
autorità daI governo centrale...Quando poi il governo Parri cadde in novembre a causa degli
attacchi liberali, ciò avvenne con il tacito accordo dei comunisti e dei socialisti. Al momento
della sua caduta il governo Parri aveva mostrato la sua incapacità di far passare misure
radicali...(come) il tentativo di controllare l'inflazione mediante una sostituzione della moneta,
legata ad una imposta tanto sui capitali che sui beni mobili. Persino una tassa punitiva sui
profitti abusivi ottenuti in regime fascista e durante la guerra, e una legge che intendeva
colpire i guadagni così vistosi del mercato nero, furono bloccati e passarono più tardi in forma
assai più innocua. I decreti di epurazione furono distorti e annullati dalla magistratura, finché la loro
applicabilità venne ristretta infine da Nenni (novembre 1945) da una portata generale ad una
individuale.... De Gasperi, quando successe a Parri, mise rapidamente fine all’epurazione e
permise che venisse interposto appello contro le sentenze precedenti presso il Consiglio di
Stato e la Corte di cassazione, cioè presso corpi che non erano stati epurati.
Non ci possono essere molti dubbi a proposito della ostilità alleata nei confronti di
Parri: l’Amg (comando militare alleato) trasmise il controllo dell’Italia settentrionale al governo entro
poche settimane dalla nomina di De Gasperi a presidente del Consiglio. A quel punto le forze della
conservazione sociale avevano dimostrato la loro capacità di resistenza e cominciarono a
riaffiorare apertamente. Gli industriali che erano fuggiti dopo la Liberazione ritornarono
alle loro fabbriche, spesso essendosi assicurate nuove fonti di approvvigionamento. Se il
Vaticano non emise dichiarazioni pubbliche, lo stesso non può dirsi dell’Azione cattolica.
La manomorta della burocrazia, cresciuta a dismisura nei mesi successivi al ritiro delle
armate tedesche, soffocava l’andamento dell’amministrazione.
94) Woolf,407-410 In questa atmosfera forse non sorprende che i liberali avessero
successo nel mantenere intatto il sistema economico preesistente... Il senso dell’urgente
necessità della ricostruzione portò i leader della sinistra a riconoscere ripetutamente
l’importanza della impresa privata, implicita -secondo Emilio Sereni, uno dei leader comunisti più
direttamente interessati- nella creazione da parte del Clnai dei Consigli misti di gestione
(composti di dirigenti e lavoratori) per evitare la totale espropriazione dei capitalisti. Gli
economisti liberali cominciarono a smantellare la struttura fascista di controlli statali
incoraggiando l’industria privata e trascurando il complesso industriale di Stato, l’Iri.
95) Woolf,410-411 Al tempo delle elezioni amministrative, ricostruzione e restaurazione andavano
di pari passo sotto la guida di De Gasperi e del liberale Einaudi, governatore della Banca d’Italia. Le
residue ambizioni dei Cln erano state spazzate via con il congedo dei suoi prefetti nelle province
settentrionali. I pericoli che presentava l’Assemblea costituente vennero circoscritti, decretando che non
dovesse avere poteri di legislazione ordinaria e sostituendo con un referendum il diritto che le era stato
precedentemente attribuito di decidere della questione istituzionale. La sopravvivenza della monarchia,
impossibile nel 1945, ora sembrava una questione aperta.
Ciò nonostante lo sviluppo spontaneo di commissioni interne nelle fabbriche aveva
facilitato il consolidamento e la efficiente organizzazione di un sindacato unificato, la
Cgil, la cui forza garantiva la partecipazione diretta della classe operaia al futuro del
paese.
Inoltre, nelle elezioni politiche del giugno 1946 (le elezioni amministrative si erano tenute a
primavera) i socialisti e i comunisti ottennero quasi il 40% dei voti mentre i democristiani
ne ottennero il 35%. La convinzione di Togliatti che il futuro dell’Italia stesse in una «grande
coalizione» dei tre partiti maggiori sembrava confermata. Eppure entro dodici mesi, nel maggio
1947, i due partiti maggiori della sinistra furono estromessi dal governo. Fu in questo breve
periodo che le speranze della Resistenza vennero definitivamente sepolte. Ma fu in questo stesso periodo,
il 2 giugno 1946, che la Resistenza ottenne la sua maggiore affermazione, quando una piccola
maggioranza della nazione votò contro la monarchia e l’imponente forza e disciplina della Cgil e dei
partiti di sinistra impedirono ai monarchici di opporsi alla decisione...
L'estromissione dei partiti marxisti dal governo è stata a lungo -e correttamentespiegata in termini di guerra fredda. La determinazione americana di mantenere
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fermamente l’Italia nel campo occidentale è già esplicita in un memorandum del
segretario di Stato facente funzione Grew, del 30 giugno 1945 [vedi parr.6;29;31,ss]
Castronovo, 375 S'era venuto profilando fra il 1946 e il 1947 un blocco di potere interclassista che sia per le sue connessioni con i vertici della burocrazia e i grandi gruppi economici privati, sia per la sua
rinnovata attenzione ad inglobare anche le istanze di una parte degli strati piccolo-borghesi e popolari
(soprattutto fra lavoratori della terra)- contribuì a modificare i rapporti politici emersi nel vivo della
lotta di Liberazione Woolf,413-414 All' epoca del trattato di pace, prima che gli schemi della guerra
fredda venissero introdotti apertamente in Italia, i partiti di sinistra avevano definitivamente perso la
loro battaglia per far passare radicali riforme economiche e sociali. Prima dell’estromissione dei partiti
marxisti dal governo, la restaurazione della tradizionale struttura della economia italiana, coi suoi
potenti gruppi privilegiati e la sua fisionomia dualistica era già avanzata.
Il referendum istituzionale e la nascita della Repubblica
96) Acc,XI,268-271 Il V congresso del PCI (Roma,dicembre 1945-gennaio 1946). Il programma del
partito poneva ai comunisti il compito di dirigere la lotta “per un completo rinnovamento economico, politico e
sociale della vita della nazione” e proponeva di istituire un ordinamento di “democrazia progressiva” che il
partito contava di fondare con l’aiuto di tutte le forze democratiche e con metodi democratici. Il congresso
del PCI confermò la necessità della convocazione dell’Assemblea costituente; affermò la necessità di una
immediata riforma agraria che liquidasse il latifondo e propose la nazionalizzazione dei grossi monopoli e
l’instaurazione del controllo dei consigli di fabbrica sulla produzione. Il PCI riteneva che la lotta per
l’edificazione di una “democrazia progressiva” fosse parte inseparabile della lotta per il
socialismo e il suo sviluppo era visto come condizione per la nascita nel paese di un nuovo
rapporto di forze più favorevole al passaggio verso le trasformazioni socialiste.
97) Anche i socialisti precisarono il proprio programma politico nel corso del XXIV congresso (aprile
1946). Vennero alla luce due linee politiche contrapposte: quella di Pietro Nenni e quella di
Giuseppe Saragat. Nenni confermò le tesi programmatiche fondamentali formulate nel periodo della
Resistenza e sottolineò la permanente necessità di conservare l’unità tra i partiti antifascisti e il carattere di
coalizione del governo.
98) Nell’aprile del 1946 ebbe luogo anche il primo congresso del Partito democratico cristiano. La
maggioranza dei congressisti si dichiarò a favore dell’istituzione della Repubblica. Il congresso
confermò la necessità di attuare la riforma agraria e quella industriale e di democratizzare la
struttura politica del paese. Si affermò tuttavia che la ridistribuzione della grande proprietà terriera e
la nazionalizzazione di alcuni grossi monopoli dovevano essere attuate senza “improvvisazioni
rivoluzionarie”. I democristiani si proponevano di attuare le riforme sociali, nei limiti concessi dalla
necessità di non indebolire ma semmai di consolidare il sistema capitalista. Durante il congresso i
rappresentanti dell’ala destra, su posizioni apertamente monarchiche e anti-comuniste, chiesero la formazione di
un governo democristiano. Diversi gruppi di sinistra si espressero a favore di un dialogo con i comunisti e i
socialisti, chiesero che venissero attuate le riforme industriale a agraria, affermarono la necessità che i lavoratori
partecipassero alla direzione dello Stato. La maggioranza del congresso occupava posizioni centriste (Alcide De
Gasperi) e manovrava tra le diverse correnti del partito.
99) Mac Smith,550-551 Se Vittorio Emanuele III avesse abdicato neI 1943, la monarchia avrebbe potuto
sopravvivere. Quando l’opinione pubblica chiese il referendum istituzionale, il re tentò, malvolentieri, di
fermare gli eventi con l'abdicazione, nella speranza che la maggiore popolarità del figlio avrebbe raddrizzato
le sorti della battaglia elettorale e salvato la dinastia. Così nel maggio 1946 Umberto divenne re per soli
trentaquattro giorni.
Il 2 giugno 1946 si tennero il referendum sul problema istituzionale e contemporaneamente
le elezioni per l’Assemblea costituente. Per la prima volta nella storia del paese presero parte alle
elezioni tutti i cittadini adulti, comprese le donne.
Il referendum diede 12,7 milioni di voti per la Repubblica e 10,7 milioni di voti per la monarchia. I
fautori della monarchia ebbero soprattutto l’appoggio delle masse contadine più arretrate del sud. La Repubblica
fu una conquista della classe operaia e soprattutto di coloro che alle elezioni diedero il loro voto ai candidati
comunisti e socialisti. Alcuni giorni dopo il referendum l’ultimo re d’Italia, Umberto II, abbandonava il paese
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per sempre. Woolf/Catalano,135: più di sei milioni di democristiani avevano votato per la monarchia...gli
elettori cattolici avevano dato maggior peso ai consigli e alle esortazioni della gerarchia ecclesiastica che non a
quelli del loro partito, il quale, d'altronde, non si era troppo impegnato per la causa repubblicana.
Le elezioni per l’Assemblea costituente diedero i seguenti risultati: i comunisti e i socialisti, che si
erano presentati con liste separate, ottennero congiuntamente 9 milioni di voti (4,3 milioni al partito
comunista:19%; 20% ai socialisti). La Democrazia cristiana ottenne 8 milioni di voti (35%)
Mac Smith,551 Fu un’importante vittoria di De Gasperi e dei cattolici, che in pratica rovesciava
l'anticlericalismo risorgimentale; il voto femminile vi ebbe una parte rilevante. I liberali ottenneroo il 6%, una
formazione neofascista il 5% e il Partito d’Azione poco più dell’1%. Questo risultato mostrò che la «terza forza»
aveva scarsa base.
La frattura nella coalizione democratica
100) Acc,XI,271-274 Il primo governo repubblicano -13 giugno 1946- fu presieduto da De Gasperi
[al governo per la seconda volta]. Ne entrarono a far parte i rappresentanti di tutti i partiti antifascisti. In
ottobre fu designato ministro degli esteri Pietro Nenni. Entrarono nel governo con il portafoglio di ministri
Fausto Gullo ed Emilio Sereni.
101) Il 25 giugno iniziò i suoi lavori l’Assemblea costituente che elesse capo provvisorio dello Stato il
liberale Enrico De Nicola, (in carica fino a quando non fosse stato deciso l'assetto definitivo dello Stato).
102) L’Assemblea nominò una commissione alla quale fu dato l’incarico di elaborare la Costituzione.
103) In settembre la direzione del PCI elaborava il programma per il “nuovo corso” in campo
economico. Il programma prevedeva la libertà di iniziativa privata associata però al controllo statale
sull’economia pianificata. Si pensava a uno Stato che attuasse una pianificazione e controllasse la
produzione con l’aiuto dei consigli di gestione; si proponeva una politica fiscale diretta contro le classi
abbienti, la nazionalizzazione delle imprese monopolistiche e l’avvio della riforma agraria attuata
nell’interesse dei contadini.
104) Questo “nuovo corso” fu respinto dai democristiani e dai liberali. Non diede risultati nemmeno la lotta
delle forze di sinistra per il riconoscimento giuridico dei consigli di fabbrica che persero poco alla volta di
significato.
105) In questo periodo ebbe molto rilievo per il consolidamento delle forze di sinistra la
collaborazione tra comunisti e socialisti. Il nuovo patto di unità di azione, concluso nell’ottobre del 1946,
fu l’elemento più importante nella distribuzione delle forze che distinse allora l’Italia degli altri paesi
dell’Europa occidentale.
106) Le forze conservatrici italiane, appoggiandosi all’imperialismo americano, preparavano la
rottura dell’unita delle forze nazionali antifasciste che si era formata nella Resistenza e che era
incarnata nel governo di coalizione. Nell’ottobre del 1946 De Gasperi indirizzò a Truman un messaggio
personale nel quale gli esponeva un piano per estromettere i comunisti dal governo. Questo piano venne
concordato in occasione della visita di De Gasperi negli Stati Uniti nel periodo 5-20 gennaio 1947. L’esclusione
dei comunisti dal governo era infatti la condizione posta dai circoli dirigenti americani per la concessione
di aiuti economici all’Italia. In caso di successo il governo De Gasperi avrebbe ricevuto un prestito di 100
milioni di dollari.
107) La crisi di governo fu accelerata dalla scissione del Partito socialista italiano (XXV congresso
straordinario-9/13 gennaio 1947) [V.par.123]. Giuseppe Saragat abbandonò il PSI e formò un nuovo partito, il
Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) al quale aderirono 100 mila persone. Il numero dei deputati del
PSI nell’Assemblea costituente si ridusse della metà. Nenni fu costretto a dare le dimissioni da ministro degli
esteri. La situazione molto tesa e l’ondata di scioperi non consentirono a Saragat di attuare i suoi piani di
isolamento politico del PCI.
108) Il nuovo (il terzo) gabinetto De Gasperi, formato il 2 febbraio 1947, fu ancora una volta
espressione di tutti i partiti della coalizione antifascista. Il ministero delle finanze fu sottratto al
controllo del PCI.
109) Il 10 febbraio 1947 a Parigi veniva sottoscritto il trattato di pace con l’Italia. In vista
dell’imminente partenza delle truppe di occupazione dall’Italia i circoli dirigenti americani
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sottoposero il governo a nuove pressioni. L’ambasciatore italiano a Washington comunicò al ministro
degli esteri, Carlo Sforza, che il governo degli Stati Uniti poneva come condizione per l’invio di
aiuti economici all’Italia l’esclusione dei comunisti e dei socialisti dal governo. Il paese fu percorso
da una campagna propagandistica anticomunista. Si intensificò la violenza della mafia contro le forze di sinistra
nel sud. Il Primo Maggio a Portella delle Ginestre, in Sicilia, i mafiosi aprirono il fuoco con le
mitragliatrici sulla folla che festeggiava la ricorrenza. 11 persone furono uccise e 56 ferite.
110) In questa situazione De Gasperi provocò una nuova crisi di governo. Il 13 maggio egli
annunziò all’Assemblea costituente le sue dimissioni da primo ministro e il 31 maggio formò un
governo composto di soli democristiani, ottenendo il voto di fiducia della maggioranza
dell’Assemblea costituente. I comunisti, i socialisti e altri deputati di sinistra votarono contro. Prese il potere
un partito con soltanto il 37% dei voti; i partiti che rappresentavano la maggioranza degli elettori rimasero fuori
del governo.
111) Il secondo congresso della Democrazia cristiana -Napoli, novembre del 1947- dichiarò che
non sarebbe stata più possibile una coalizione governativa tra democristiani, comunisti e
socialisti: i partiti borghesi si rifiutavano di attuare il programma della coalizione nazionale antifascista giunta
al potere in seguito al crollo del regime fascista. Qualche mese dopo la formazione del “governo nero”
l’Assemblea costituente ratificava il trattato di pace che entrò in vigore il 15 settembre 1947. Mac
Smith,552 La Democrazia cristiana acquistò un’etichetta più conservatrice, la politica italiana si andò
polarizzando sulle due posizioni estreme, irreconciliabili e quasi non comunicanti.
Ratifica della Costituzione
112) Acc,XI,274-275 Il 22 dicembre 1947, l’Assemblea costituente, presieduta da un comunista,
approvò a larghissima maggioranza (453 voti contro 62) la nuova costituzione. Il 1° gennaio 1948
entrava in vigore. Enrico De Nicola fu nominato presidente della repubblica. La Costituzione
confermo i fondamenti dell’ordinamento capitalista: garantiva infatti la intangibilità della proprietà privata e la
libera iniziativa privata in economia. L’articolo 7 regolava i rapporti tra il Vaticano e lo Stato sulla base dei Patti
lateranensi del 1929, sottoscritti da Mussolini, che riconoscevano al Vaticano lo status di Stato sovrano e che
regolavano anche i diritti della Chiesa cattolica in Italia tra i quali l’insegnamento religioso nelle scuole, la
validità del matrimonio canonico e la sua indissolubilità.
113) Mac Smith,552 I democristiani ottennero la cosa per loro più importante. I comunisti furono
aspramente criticati da socialisti, azionisti e Benedetto Croce che erano contrari a un concordato secondo loro
illiberale. Per Togliatti questa scelta era un pegno della sua decisione di collaborare con la Chiesa in un sistema
in cui dovevano essere accettate le maggioranze democraticamente espresse. La Sinistra si adoperò per
inserire nella legge fondamentale il diritto degli operai a partecipare ai profitti e alla direzione delle imprese.
114) La Costituzione dichiarava che l’Italia “è una repubblica fondata sul lavoro” e (sanciva) la libertà di
organizzazione, di riunione, di stampa, il diritto di sciopero, la libertà individuale, il segreto della
corrispondenza, ecc. Riconosceva il diritto al lavoro e a un giusto compenso “sufficiente a garantire una
esistenza libera e dignitosa”, parità di diritti tra donne e uomini, il diritto dei lavoratori alla protezione
sociale, la libertà sindacale. Affermava che l’iniziativa privata doveva essere indirizzata verso il
conseguimento degli interessi di tutta la comunità e che la proprietà privata era limitata dalla facoltà
concessa al governo di procedere a nazionalizzazioni (anche se con indennizzo) di singoli settori.
Prevedeva anche che la legge fissasse i limiti della proprietà terriera; doveva essere favorita da parte dello
Stato la cooperazione e il diritto dei lavoratori a partecipare alla direzione delle imprese.
115) Mac Smith,553 Il capo dello Stato, un presidente con mandato settennale, era eletto dalle due camere in
seduta congiunta. Alla presidenza salì, dopo De Nicola, Einaudi, seguito da due democristiani (Gronchi e
Segni) e da un socialdemocratico (Saragat). Dopo l’amara esperienza del fascismo si decise di
spogliare il ruolo presidenziale di poteri effettivi, e se ne fece una carica essenzialmente
rappresentativa e onorifica. I senatori dovevano essere eletti e non più nominati dall'alto. I decreti-legge
cessavano la loro efficacia in mancanza della sanzione parlamentare entro sessanta giorni. La promozione e il
trasferimento dei magistrati furono sottratti al controllo del governo o del parlamento. L’Italia fu divisa in
diciannove regioni, ciascuna con un certo grado, maggiore o minore, di autonomia amministrativa,
innovazione che rimase largamente inefficace per vent’anni.
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116) La Costituzione fu un risultato importante della lotta del popolo italiano che vide fissati nella legge
suprema dello Stato i principi democratici fondamentali per i quali si era battuto il fronte antifascista.
Nonostante la riconquista del potere da parte dei monopoli, nel 1946-47 restava aperta la prospettiva di
uno sviluppo progressivo e democratico reso possibile dalla Resistenza e affermato dalla
Costituzione: i lavoratori ebbero in tal modo la possibilità di lottare per limitare il potere delle
classi privilegiate e di estendere la democrazia appoggiandosi alla Costituzione.
La politica reazionaria della coalizione “di centro”
117) Acc,XI,275-276 A fine di dicembre del 1947 il governo De Gasperi fu integrato con rappresentanti del
Partito repubblicano, del Partito liberate e con socialisti di destra. Saragat fu nominato vice-presidente: una
coalizione quadripartita “di centro”.
118) Il governo “centrista” cominciò a operare nel campo dell’economia la restaurazione di una
completa libertà dell’iniziativa privata. In effetti questo significava la rinunzia al controllo
dell’economia che viceversa si proponevano di realizzare i consigli di fabbrica. De Gasperi dichiarò
all’Assemblea costituente che il governo non si apprestava a riconoscere i consigli di fabbrica in modo che il
problema fosse risolto mediante trattative tra i sindacati e gli imprenditori. Il governo si rifiutò di includere nel
proprio programma l’attuazione della riforma agraria e di quella industriale.
119) In vista delle prossime elezioni parlamentari i comunisti e i socialisti nel dicembre del 1947
avevano creato il Fronte popolare democratico e avevano presentato un’unica lista di candidati.
Il programma prevedeva la riforma agraria, la nazionalizzazione dei monopoli, una politica di pace e di
neutralità.
120) Il punto fondamentale della propaganda del blocco governativo (democristiani, liberali,
repubblicani e saragattiani) fu la dichiarazione secondo la quale soltanto se questo blocco avesse
conservato il potere sarebbero arrivati gli aiuti americani all’Italia; in caso di sconfitta il popolo
italiano sarebbe rimasto senza pane e l’industria priva di combustibili e di materie prime [V.par.53] .
121) Nel gennaio 1948 gli USA avevano concesso all’Italia un aiuto “temporaneo” che fu largamente utilizzato
a fini elettorali. I democristiani organizzarono trionfali dimostrazioni nei porti in occasione dell’arrivo di navi
americane con prodotti alimentari e materie prime. De Gasperi dichiarò inoltre che l’America avrebbe aiutato
l’Italia a riconquistare l’indipendenza economica senza imporre alcuna condizione politica. Nel gennaio del
1948 verranno inviate in Italia navi da guerra della flotta statunitense cariche di marines, a
ricordare che i circoli dirigenti italiani potevano contare sull’appoggio militare degli USA. La partenza dei
contingenti militari americani (che avrebbero dovuto abbandonare il paese entro il 15 dicembre 1947, secondo il
trattato di pace) sarà rimandata con i più incredibili pretesti.
122) Woolf,423-427 L’anno intercorrente tra l’estromissione dei comunisti e dei socialisti dal governo nel
maggio 1947 e le elezioni del 18 aprile 1948 fu dominato in Italia dalla guerra fredda. Già prima De
Gasperi aveva continuamente messo in primo piano la dipendenza dell'Italia dalla situazione internazionale. Il
piano Marshall veniva ora a rafforzare il mondo occidentale contro il comunismo, e fu accompagnato
dall’aperto appoggio americano per De Gasperi nelle elezioni...La pressione americana era
accompagnata dalla massiccia crociata della Chiesa contro il comunismo. Come è ben noto le
elezioni del 1948 vennero combattute esclusivamente in termini di «Cristo contro il comunismo». L'effetto di
questo clima di guerra fredda fu di polarizzare la politica italiana.
Questo fu l’anno della acuta deflazione einaudiana, volta a proteggere « l’uomo della
strada», il cui risultato fu una recessione ed un aumento della disoccupazione. Gli industriali,
in parte difesi dalla deflazione dagli aiuti Marshall, dettero inizio all'offensiva contro i
sindacati. All’interno della Cgil, la minoranza cattolica mise in discussione la linea politica del sindacato al
congresso del giugno 1947, mentre in dicembre le Acli, l’organizzazione dei lavoratori cattolici, si opposero
apertamente allo sciopero generale indetto dalla Cgil a Roma. La scissione della Cgil, doveva venire solo
dopo le elezioni, ma già prima di allora i segni ne erano chiari, specialmente dopo che
l’americana Cio iniziò ad esercitare pressioni all’interno della federazione mondiale dei
sindacati per una epurazione dei sindacati dominati dai comunisti. Mentre la Cgil si trovava sulla
difensiva e l'attivismo della base aumentava, l'insistenza del Pci sulla possibilità di una collaborazione di
governo facilitava l'accusa anticomunista di doppiezza. La presa di potere comunista in Cecoslovacchia
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[febbraio 1948:dopo essersi ritirate le truppe sovietiche tornarono nel Paese instaurando il sistema del partito unico] avrebbe
completato la sconfitta del Pci alle urne. L’aiuto finanziario dello State Department al Psli durante le
elezioni e l’appoggio di Saragat all’ingresso italiano nella Nato ne furono i logici sviluppi.
123) Anche il Vaticano esercitò una pressione esplicita sugli elettori.
Woolf/Catalano,145 Le "disposizioni" del cardinale Schuster di Milano del 22 febbraio dichiaravano
esplicitamente : Il "competente partito" verso il quale era "dovere" dei cattolici indirizzare il proprio suffragio
era la DC. Ad ogni elettore fu spedito un volantino che conteneva la minaccia dei vescovi "Gli elettori che
danno il proprio voto ai partiti che professano dottrine contrarie alla fede cattolica commettono peccato
mortale"... Mac Smith,569 Le concezioni di Pio XII, che regnò tra il 1939 e il 1958, erano conservatrici in
maniera ancora più spiccata di quelle del suo predecessore. Durante la cruciale campagna elettorale
del 1948 gli elettori furono addirittura minacciati di rifiuto dei sacramenti. Nel luglio 1949 il
papa emanò una scomunica collettiva contro i milioni di italiani che continuavano a votare per
il Partito comunista, e in seguito dichiarò che il socialismo, professando la stessa filosofia
materialistica del comunismo, era inconciliabile col cristianesimo. L’Azione cattolica, con i suoi tre
milioni di iscritti esercitava una notevole influenza. Woolf,423-427 Il massiccio appoggio del Vaticano
e della Chiesa dette una spinta enorme alla struttura organizzativa della DC, che allargò e
consolidò la sua posizione nel meridione, non esitando a distruggere il movimento dell’Uomo qualunque
mediante la corruzione quando il suo leader Giannini alzò il prezzo del suo appoggio al governo (settembreottobre 1947)... Inevitabilmente questo tentativo di assorbire il sistema elettorale meridionale,
come pure il concentrarsi deliberato ed esclusivo sulla ideologia dell’anticomunismo, spinsero la Dc su
posizioni conservatrici e la vincolarono più strettamente alla Chiesa e lasciò spazio e
opportunità ai leader della Dc che più tardi sarebbero stati chiamati «notabili», per
consolidare le loro basi locali di potere e per estendere il loro controllo sui centri di
clientelismo: da Restivo e Mattarella in Sicilia, a Fanfani ad Arezzo e a Rumor nel Veneto.
124) La stampa borghese creò nel paese una pesante atmosfera anticomunista. Fu scatenata una
pesante campagna di calunnie contro l’URSS. Furono diffuse false notizie su presunti depositi di armi, nascoste
dai comunisti. Al fine di prevenire e “l’insurrezione comunista armata” il ministro degli interni,
Mario Scelba, emise un decreto sulla “difesa dell’ordine interno”. La polizia approfittava di ogni
occasione per disperdere le manifestazioni e i comizi della sinistra. I mafiosi aprivano il fuoco sui
dimostranti, uccidevano i sindacalisti più attivi. In violazione della Costituzione e con
l’acquiescenza del governo fu ammesso a partecipare alla campagna elettorale il partito
neofascista, Movimento sociale italiano, nato nel 1947.
125) Le minacce e le persecuzioni ebbero il loro effetto. Una notevole parte dei ceti medi, soprattutto le
masse arretrate del sud, votarono per la Democrazia cristiana. I tre anni trascorsi dall’insurrezione nazionale
avevano mutato i rapporti di forza. L’entusiasmo suscitato dalla Resistenza e le speranze di profondi mutamenti
erano stati scalzati dal timore che l’arrivo al potere delle forze di sinistra avrebbe portato a mutamenti troppo
profondi.
126) Il 18 aprile 1948 ebbero luogo le elezioni per il Parlamento. I democristiani ottennero 12,7
milioni di voti sfiorando (48,5 per cento) la maggioranza assoluta (maggioranza che ottenne nei seggi assegnati:
53%). Per il Fronte popolare votarono 8 milioni di italiani (31%).Il blocco dei partiti di sinistra ottenne la
maggioranza dei voti in tutte le città e in tutte le regioni industriali del paese. I risultati delle elezioni non
corrisposero alle speranze dei lavoratori che appoggiavano i partiti di sinistra. La direzione del PCI invitò i
propri aderenti a non lasciarsi prendere dal pessimismo: la battaglia non era conclusa e doveva
essere combattuta in condizioni nuove.
127) Il partito socialista dedusse dal risultato delle elezioni conclusioni diverse. Al XXVII congresso
straordinario del partito, tenuto nel giugno del 1948, gli avversari dell’unità di azione con i comunisti
affermarono che la causa della sconfitta elettorale doveva essere ricercata nella esistenza del Fronte popolare. Su
richiesta del partito socialista il Fronte fu sciolto, ma venne mantenuta l’unità d’azione tra comunisti e
socialisti. Mac Smith,553 I gruppi monarchico e liberale potevano contare solo sul 3%. La «terza forza
(Parri, Sforza e gli azionisti radicali) subì un’ulteriore sconfitta. Libera dalla tattica giolittiana e dai
manganelli di Mussolini, la politica italiana sembrava avviata verso un sistema bipolare,
anche se uno dei poli era escluso dal potere.
128) Woolf/Catalano,150-153 Il popolo italiano votò atterrito e impaurito dal potere ecclesiastico
come da quello temporale: il terrore delle pene infernali, oppure di un’imminente invasione dei
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carri armati sovietici, oppure ancora l’incubo della cessazione degli aiuti americani, o, infine,
la promessa anglo-franco-americana del ritorno di Trieste sotto la sovranità italiana contro la
volontà dell’Urss, favorevole a Tito e alla Jugoslavia. Il partito dei cattolici aveva guadagnato
soprattutto nel Mezzogiorno (1.195.125 di nuovi voti), mostrando chiaramente la tendenza della
Dc a sostituirsi al vecchio sistema trasformistico e a diventare essa la nuova forma di
organizzazione della conservazione politica e sociale. Era sempre avvenuto nello Stato italiano
ai gruppi politici o ai partiti che da minoranza diventavano maggioranza: si
meridionalizzavano e trovavano nel Sud il serbatoio clientelare del loro potere (era successo
anche al fascismo, che nel ‘24 aveva assorbito quasi tutti i notabili che disponevano dei voti
delle masse); « triste caratteristica d’una società ancora semifeudale », l’aveva definita Alicata.
A soli tre anni dalla fine della guerra, le speranze nate dalla Resistenza dileguavano tristemente e
amaramente, così come nella politica internazionale si entrava nel buio ed avvilente periodo della guerra
fredda. Woolf,419-422 All’interno del crescente conservatorismo del partito democratico cristiano venivano
poste le fondamenta di basi personali di potere come l’organizzazione dei coltivatori diretti di Paolo Bonomi.
Accuse di corruzione democratico-cristiana cominciarono a sentirsi già nel 1947.
129) Dopo le elezioni De Gasperi formò il suo quinto governo del quale fecero parte democristiani,
repubblicani, liberali e, successivamente, i saragattiani. Il governo di coalizione si appoggiava al
blocco della borghesia e dei grossi agrari. I democristiani, consolidato il loro potere, guidarono la
crociata della reazione contro le forze di sinistra.
130) Woolf,419-422 All’interno del partito sussisteva una forte sinistra guidata da Dossetti e La Pira.
L’espulsione del Pci e del Psi indeboli certamente il gruppo di Dossetti. Ma anche prima di allora la
rapida diffusione democristiana nel Sud, con il sistematico assorbimento di clientele liberali e
conservatrici nei propri ranghi, in pratica ebbe come risultato la subordinazione della sinistra.
Woolf,427-429 Con le elezioni del 18 aprile 1948, la situazione cominciò a cristallizzarsi nella forma che
avrebbe poi mantenuto per un decennio. La posizione del gruppo di Dossetti si era irrimediabilmente
indebolita e la sua continua insistenza sulla distinzione tra partito e governo, tra Dc e Azione Cattolica, tra le
corrette funzioni dell’amministrazione centrale e locale e la loro utilizzazione per motivi di clientelismo di
partito, aveva poco effetto evidente...Nel 1951 Dossetti doveva dimettersi da vicesegretario della Dc e
ritirarsi in convento...
La vittoria elettorale pose le basi per il consolidamento di un sistema politico stabile di governi di coalizione
«centristi», tenuti insieme dal loro anticomunismo e dall’appoggio conservatore meridionale della Dc, con i
partiti minori del centro (Pli, Psdi, Pri) che si alternavano come associati della Dc. I comunisti vennero isolati
nel lebbrosario dell’opposizione permanente, e scomunicati dal Vaticano (luglio 1949). Nel maggio
1950 don Sturzo potette arrivare a premere per la esclusione dei comunisti da tutti i rami
dell’amministrazione...
131) Mac Smith,553-558 De Gasperi fu presidente del Consiglio dal 1945 al 1953. Nelle sue coalizioni
inevitabilmente si tendeva a eludere i punti controversi, su cui c’era urgenza di decidere ma che mettevano a
repentaglio la compattezza del gabinetto. Potenti interessi costituiti -proprietari terrieri, alti gradi
della burocrazia o i professori universitari, in maggioranza nominati dal fascismo- furono in
grado di resistere al cambiamento (o di ritardarlo) in materia di modernizzazione della pubblica
amministrazione. Le riforme si trovavano condannate a un probabile fallimento; né si riuscì a fare abbastanza
per migliorare il sistema scolastico in vista della sconfitta dell’analfabetismo e della promozione di maggiori
competenze tecnologiche. La Chiesa bloccava le iniziative riformatrici nel campo dell’istruzione, del divorzio,
della censura e delle libertà individuali.
132) L'estrema sinistra fungeva da calamita della disaffezione e dell’alienazione serpeggianti in numerosi e
diversi strati sociali, attirando persone appartenenti a tutte le classi. I comunisti li erano visti spesso
come una difesa del laicismo contro il clericalismo. De Gasperi comprendeva la necessità di un più giusto
equilibrio tra le classi e le regioni, ma nessun cambiamento davvero radicale era possibile senza
correre il rischio di una scissione in seno al partito democristiano, la cui ala conservatrice
accondiscese tuttavia ad alcune concessioni in materia di riforme sociali, nel tentativo di
battere il comunismo e attirare un sostegno di massa. De Gasperi poté così introdurre controlli sugli
affitti, modesti assegni familiari e una parziale indicizzazione dei salari all’inflazione. Molti lavoratori sia
agricoli che industriali ebbero la sicurezza di non perdere il posto di lavoro. Mac Smith,569 De Gasperi
era in pratica costretto a seguire Pio XII, ma quando seppe dcl desiderio del papa che egli
abbandonasse i socialdemocratici e si avvicinasse ai neofascisti, rifiutò: nell’equilibrio delle forze
parlamentari ciò avrebbe accresciuto il pericolo dl una sconfitta nelle delicatissime elezioni del 1953, e avrebbe
offerto una gratuita rispettabilità all’opposizione comunista.
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133) Acc,XI,278 Nel 1948-1949 le repressioni poliziesche contro i lavoratori si intensificarono. In
violazione della Costituzione agiva apertamente un partito neofascista. In un’atmosfera di isteria
anticomunista, il 14 luglio 1948, ci fu l’attentato alla vita di Palmiro Togliatti. Questo atto
criminale scatenò nel paese una tempestosa ondata di sdegno, che si concretò in un grandioso sciopero
generale politico.
134) Il terrore aperto si accompagnava al processo di clericalizzazione dello Stato e di tutta la
società. Il Vaticano e le organizzazioni cattoliche si accinsero a imporre il loro controllo sulla scuola
privata, la radio, le assicurazioni sociali, intervenivano nell’attività dei sindacati e nella lotta politica. Il
“Sant’uffizio” del Vaticano pubblicava nel luglio del 1949 un decreto speciale contro il
comunismo, nel quale si vietava ai credenti di entrare a far parte del PCI e di sostenerlo, pena la
scomunica. Woolf/Beccalli,369-371 Attentato a Togliatti: spontaneamente venne sospeso il lavoro in
tutte le fabbriche e molte tra le maggiori furono occupate dagli operai armati. In diverse città del Nord furono
occupati i municipi e i principali uffici statali. Coloro che avevano partecipato alla guerra partigiana tirarono
fuori le armi nascoste. Nelle componenti più consapevoli delle masse, in molti quadri ai vari livelli del Pci e del
sindacato, in molti ex partigiani era diffusa la convinzione che l’ora della rivoluzione fosse suonata. Contro le
resistenze della corrente cattolica, la Cgil proclamò lo sciopero generale, limitandosi a dare
riconoscimento ufficiale ad una situazione di fatto. Quando, dal vertice del partito e della Cgil, venne
l'ordine di abbandonare le fabbriche e gli uffici occupati, di riprendere il lavoro e la vita
normale, molti non lo vollero credere. Di fatto l’agitazione durò per molti giorni, prima di spegnersi in
una situazione di frustrazione e rassegnazione. Un gran numero dei quadri e dei militanti più consapevoli
avevano capito che Togliatti non mentiva quando prometteva alle forze borghesi un rigoroso
rispetto delle regole del gioco democratico, e che non avrebbe mai promosso, in un futuro
prevedibile, un’iniziativa rivoluzionaria se queste regole del gioco fossero state rispettate dalla
controparte...
135) Il Partito democratico cristiano non rinnegò formalmente le promesse riforme sociali ma fece di
tutto per rimandarne l’attuazione. La DC vide la soluzione dei problemi economici del paese non
nella trasformazione della struttura sociale ma nell’aiuto americano.
136) L’Italia ricevette, sulla base del “piano Marshall”, 1,5 miliardi di dollari che furono distribuiti sotto
il controllo USA. Cominciarono ad arrivare quindi in Italia materie prime e prodotti alimentari. Soltanto
quando l’Italia entrò nella NATO gli americani cominciarono a inviare anche attrezzature industriali.
137) La ricostruzione della imprese monopolistiche fu accompagnata dalla chiusura di molte
medie e piccole aziende e dalla disoccupazione di massa. Nel 1948 in Italia furono registrati 2.500
fallimenti. Il “piano Marshall” frenò l’attuazione delle riforme sociali ed economiche e favorì il
rafforzamento del potere economico e politico dei monopoli. Esso apri la strada alla penetrazione
sempre più massiccia del capitale americano nell’economia italiana.
138) Il 4 aprile 1949 l’Italia aderiva al Patto atlantico. I circoli dirigenti videro nel Patto atlantico
una garanzia per il proprio potere politico. Per conservare il regime esistente essi accettarono limitazioni
alla sovranità del paese. Nel 1949/1950 il governo De Gasperi diede agli americani il permesso di
installare basi militari sul territorio del Paese. Forze armate della Nato furono dislocate a Verona e altrove.
I porti italiani di Napoli, Livorno, Taranto, Augusta divennero basi della VI flotta statunitense. Nel gennaio
1950 tra l’Italia e gli USA fu concluso un accordo “di mutua assistenza difensiva”. Missioni e consiglieri americani
cominciarono a immischiarsi nell’attività dello stato maggiore generale italiano e a controllare le forze armate. Il governo
italiano sosteneva la guerra degli USA in Corea.
139) Woolf,429-430 In questo congelamento della situazione politica nelle morsa della guerra
fredda, la trasposizione della costituzione in norma di legge fu inevitabilmente e
deliberatamente trascurata dal partito dominante. Le decisioni specifiche dell’Assemblea costituente,
iscritte nella costituzione, di creare una Corte costituzionale, un Consiglio superiore della magistratura, un
Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e strutture regionali vennero ignorate; ci vollero dieci anni (e
più di venti anni per le regioni) prima che la pressione popolare facesse sì che venissero attuate. Le leggi
fasciste, specialmente il codice penale e quello di procedura penale, continuarono a funzionare, in assenza di
un articolo della costituzione che venisse ad abrogare ì qualsiasi legge anticostituzionale. A partire dal
1948-49 la Corte di cassazione prese ad assicurare la continuità giuridica del periodo fascista,
riformando sistematicamente le sentenze che avevano condannato i fascisti negli anni
precedenti, e perfino incriminando ex partigiani per la loro attività durante la Resistenza. La
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legge di pubblica sicurezza del 1931 venne utilizzata dal ministro degli Interni democristiano
Scelba per tornare a formare una numerosa forza pubblica, famigerata per la sua durezza nel
disperdere le manifestazioni di sinistra e la sua indifferenza per le libertà individuali. Le spese
per la pubblica sicurezza si accrebbero in modo notevole dal 948 in poi.
140) Woolf,430-431 La politica economica del governo conferma questa impressione di immobilismo. Le
incisive misure deflazionistiche di Einaudi (luglio 1947-luglio 1948), causando una fortissima
caduta dei prezzi possono aver avuto l’effetto voluto di ottenere l’appoggio «moderato» al
governo. Ma, dopo le elezioni, il ministro del tesoro democristiano Pella continuò la politica di stabilità
monetaria usando gli aiuti americani per aumentare livello delle riserve in divisa estera, piuttosto che
iniettare potere d’acquisto nell’economia: ancora stagnazione, fino alla guerra di Corea (1951). (Petri,312
"anche durante la guerra di Corea vari esperti internazionali tornarono a criticare questa linea «l'Italia tratta
la stabilità monetaria come un feticcio causando pesanti effetti deflazionistici") . L’emigrazione, sbocco
tradizionale della disoccupazione, crebbe acutamente. L’iniziativa privata veniva incoraggiata,
mentre venivano effettuati tentativi di ridimensionare l’Iri, e i potenti gruppi industriali, un dato
caratteristico dell’economia prefascista e fascista, emersero pieni di vigore, specialmente
nell’industria tessile, elettrica e automobilistica, con le loro tendenze monopolistiche e
diventarono ancora più potenti con il boom economico degli anni cinquanta. L’assenza di
concorrenza si diffuse, oltre che nella grande industria, nell'agricoltura e nell’amministrazione
pubblica. La sopravvivcnza di strutture fasciste corporative, come la Federazione dei consorzi
agrari (Federconsorzi), e i monopoli di Stato, come il monopolio banane (reliquia dell’impero
fascista), facilitarono la crescita di feudi privati politico-economici, fonti di ricchezza, clientele
e potere. Gli aiuti americani accelerarono questo processo. Voci ed accuse di corruzione
divennero più diffuse dopo il 1950 e dovevano culminare un decennio più tardi in una serie di
scandali che coinvolsero figure politiche di primo piano...
La lotta dei lavoratori per la soluzione dei problemi sociali nel 1948-49
141) Acc,XI,278-280 La lotta del PCI e delle altre forze di sinistra in difesa della democrazia si
sviluppò in una situazione caratterizzata dalla controffensiva delle classi dirigenti e
dall’aggravamento della scissione tra le masse popolari.
142) Nel luglio del 1948 la corrente democristiana usciva dalla Confederazione generale italiana
del lavoro (CGIL) e formava una propria centrale sindacale che più tardi prese il nome di
Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori (CISL). La confederazione cattolica di nuova
formazione nei suoi primi anni di esistenza assunse una posizione di collaborazione con la borghesia e
non prese parte al movimento di scioperi.
143) Le lotte sindacali della classe operaia furono come per il passato dirette dalla CGIL guidata
dai comunisti e dai socialisti, che organizzava la maggioranza dei lavoratori. Nell’ottobre del 1949 il secondo
congresso della CGIL approvò il “Piano del lavoro”. Si trattava di un programma democratico di ricostruzione
dell’economia italiana distrutta dalla guerra. Il “Piano del lavoro” presentato a nome della CGIL al governo fu
respinto. I lavoratori ricorsero agli scioperi perché il “Piano del lavoro” fosse attuato a livello locale. Iniziò il
movimento per l’occupazione delle imprese che a causa della loro scarsa redditività minacciavano di
chiudere. Sotto la guida dei comitati di fabbrica i lavoratori continuavano a far funzionare le aziende a loro
rischio e ottenevano dal governo crediti per la ricostruzione. Le Camera del lavoro (organizzazioni sindacali
cittadine) elaboravano piani di sviluppo economico, programmi di ricostruzione delle scuole, degli ospedali,
degli acquedotti, ecc. Sulla base di questi piani i disoccupati guidati dai sindacati furono impegnati in lavori
agricoli preparatori: preparare i terrapieni per le strade e per le strade ferrate, scavare le fondamenta per i nuovi
edifici. Questa forma particolare di lotta dei disoccupati fu chiamata “sciopero a rovescio”.
Successivamente, grazie all’appoggio di vasti strati di lavoratori, i sindacati riuscirono a ottenere i fondi
necessari per completare le opera iniziate dai disoccupati e per garantire un lavoro retribuito. Ebbe grande
risonanza anche il movimento per l’attuazione della riforma agraria democratica. A cominciare dall’autunno
del 1949 i contadini ripresero a occupare le terra abbandonate dai proprietari. Le loro richieste furono
appoggiate da possenti scioperi di solidarietà degli operai. Nella Camera dei deputati e nel Senato per un
intero anno i comunisti e i socialisti condussero una lotta accanita in difesa del progetto di riforma agraria
democratica attesa dalle masse contadine.
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144) I democristiani furono costretti a fare concessioni: alla fine del 1949 fu emanata la prima di
una serie di leggi sulla terra: la legge sulla riforma della Calabria. Secondo questa Legge le grandi
proprietà private (quelle che superavano i 100 ettari) venivano acquistate dallo Stato che le rivendeva poi ai
contadini a tassi agevolati.
145) Anche in questo periodo tanto difficile per la democrazia in Italia i lavoratori italiani
guidati dal PCI condussero lotte non solo difensive e ottennero risultati sia pure parziali. I
comunisti e i socialisti lottarono anche contro il “piano Marshall” e si batterono in Parlamento
contro l’ingresso dell’Italia nella NATO. Essi furono sostenuti dalle masse popolari; una
petizione contro la partecipazione dell’Italia al Patto atlantico fu firmata da 7 milioni di italiani.
Nel 1949 si formò in Italia un possente movimento dei partigiani della pace [V.par.223,ss.]
146) Woolf,139 Il patto di unità di azione con il Pci, consolidato dalla Resistenza, era visto da Nenni come
un passo verso la rinnovata unità dei lavoratori. Questa unità doveva rivelarsi più efficace nella Cgil, che
mantenne la sua forza malgrado le secessioni che avrebbero fatto seguito alla polarizzazione della guerra
fredda. Nel Partito socialista, tanto il continuo identificarsi del Pci con la Russia che le sue nuove dimensioni e
la sua disciplina portarono ad acute divisioni e ad ostilità nei confronti della politica di fusione con il Pci che
era apparsa probabile nel 1945. Sebbene Nenni vi fosse favorevole, leader di sinistra come Morandi vi si
opposero, e cercarono di trovare una collocazione autonoma per il partito. L’uscita di Saragat dal Psiup
nel gennaio 1947, quando non riuscì ad ottenere l’appoggio dei socialisti morandiani, fu un
riflesso della guerra fredda incipiente. Il Psiup e il nuovo partito socialdemocratico furono costretti ad
assumere posizioni più estreme, condizionate dal loro atteggiamento nei confronti della Russia.
147) Woolf,430-433 Fu la pressione popolare a costringere il governo ad adottare le sue prime
riforme (benché ancora estremamente moderate): nel 1950 una limitata riforma agraria; la creazione della
Cassa per il Mezzogiorno, con fondi assai superiori a quelli mai concessi prima per assistere il Meridione
[V.parr.239,ss.]; un aumento della spesa pubblica nei cantieri, nelle scuole e per la casa; perfino le imposte
patrimoniali che gli industriali avevano respinto con successo dal 1945; e una decisa liberalizzazione del
commercio estero... Il Partito comunista ed il Partito socialista avevano saputo dimostrare la
loro vitalità dopo la sconfitta del 1948 entro questi limiti....La Cgil pagò il prezzo maggiore. Essa
era stata a malapena in grado di controllare le dimostrazioni spontanee di lavoratori confusi e
impazienti dopo l’attentato a Togliatti (luglio 1948). La secessione della minoranza cattolica
seguita da quella dei socialdemocratici e dei repubblicani (1949) aveva infranto l’unità dei
lavoratori. Anche se la Cgil continuava a conservare l’appoggio della maggioranza dei lavoratori, la sua
linea politica restava strettamente subordinata a quella del Pci e del Psiup. La massiccia controffensiva
dei datori di lavoro nel 1949, culminata nel rifiuto della Fiat di riconoscere i consigli misti di
gestione, segnò il fallimento definitivo della politica di collaborazione che era stata avviata in
vista della ricostruzione. La mancanza di volontà e l’incapacità da parte dei leader della Cgil di elaborare
una nuova strategia dei lavoratori, distinta da quella del Pci e del Psiup e più rispondente ai bisogni immediati
della base, doveva portare al crescente isolamento del sindacato su posizioni difensive fino alla
sua umiliazione definitiva nel 1954, quando gli industriali raggiunsero un accordo con i
sindacati rivali cattolico (Cisl) e socialdemocratico (Uil) che escludeva la Cgil..
148) Le successive consultazioni elettorali avrebbero mostrato che i comunisti non avevano alcuna possibilità
di diventare il partito di maggioranza, e neppure di dar vita a un governo alternativo. Fuori della scena
politica nazionale, l’estrema sinistra aveva un campo d’azione meglio definito, specialmente
quando, negli gli anni 1947-1950, la pubblicazione (postuma) dei Quaderni del carcere di
Antonio Gramsci, contribuì a porre termine all'egemonia culturale esercitata dal conservatore
Croce sulla vita intellettuale. Molti illustri scrittori e artisti erano vigorosi sostenitori della sinistra laica.
Il partito comunista conquistò inoltre molte posizioni sul terreno del governo locale, specialmente nell’Italia
centrale e nelle grandi città (Torino, Milano e Genova), dove i suoi eletti dettero spesso prova di notevolissime
capacità amministrative. Gli mancava una forza importante: l’appoggio di un potente movimento sindacale
oramai indebolito dalle scissioni.
SCHEDA: Due giudizi sulla politica economica di Corbino/Einaudi
149) Woolf,557 Un contributo significativo alla rinascita economica dell'Italia fu la
nomina nel 1945 di Luigi Einaudi prima a Governatore della Banca d’Italia, poi a ministro del
Bilancio (1947 )[dopo Corbino] e infine, nel 1949, alla Presidenza della Repubblica. Einaudi antepose
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la stabilità monetaria all’espansione dell’economia e, forse, spinse questa politica oltre il giusto.
Ma attuando una severa restrizione del credito, e pagando il prezzo di un freno allo
sviluppo industriale e di un ritardo nel combattere la disoccupazione, nel 1948 Einaudi
riuscì a domare l’inflazione (che aveva toccato il 50 per cento su base annua) e a
stabilizzare la moneta. L’espulsione dei ministri comunisti dalla coalizione governativa
attuata da De Gasperi nel 1947 preservò il massiccio afflusso di sovvenzioni americane,
contribuendo così a sostenere il valore della lira e a contenere l’agitazione sociale. Einaudi
fu costretto a conservare l'enorme proprietà pubblica di banche, cantieri navali e acciaierie, perché il
mercato non disponeva delle risorse necessarie per privatizzarli dall'Iri. Ma il ricordo della non troppa
lusinghiera esperienza di pianificazione statale compiuta sotto il fascismo gli facilitò il compito di
ripristinare una più libera economia di mercato, malgrado la strenua opposizione delle
industrie fino ad allora protette da un lato, e dell’estrema sinistra dall'altro.
150) Woolf/De Cecco 296-299 L’inverno del 1946-47 fu dei peggiori. La crisi dei combustibili
colpì l’industria italiana mentre si prodigava nello sforzo della ricostruzione. Molta parte del potenziale
idroelettrico era stata sottratta dalla siccità dell’anno precedente, che aveva abbassato il livello dei
bacini alpini. Nel febbraio del 1946 l’annunzio di un prestito consolidato non aveva avuto seguito, il
cambio della moneta era rinviato sine die e l’introduzione della imposta sul patrimonio ritardata...Il
professor Corbino stabiliva le fondamenta dei mali che sarebbero seguiti..Dopo le elezioni
scoppiarono scioperi e occupazioni di fabbriche, rinviati per non danneggiare la considerazione degli
operai agli occhi dei simpatizzanti borghesi della sinistra.
151) Woolf/De Cecco,300-303 Nella seconda metà del 1946 i prezzi, causa le ridotte possibilità di
offerta dall’estero e l’accresciuta domanda dall’interno, aumentavano senza interruzione. Il valore della
lira, sul mercato libero delle valute, declinava. Nell’attesa del peggio, che si rinforzava per gli
scioperi e per la cognizione della fine prossima degli aiuti Unrra, si cercava riparo
nell’acquisto di azioni industriali, con conseguente ascesa dei valori in Borsa, e nella
tesaurizzazione di beni rifugio. In assenza di rigidi controlli delle esportazioni, si ricorse
alla speculazione valutaria... Gli esperti liberali diressero la propria azione anche contro
il monopolio statale dei cambi e il ministero dei cambi e delle valute fu soppresso. Per
l’Italia, con una bilancia commerciale tradizionalmente deficitaria, avere la propria moneta
sopravvalutata sarebbe senz'altro stato un vantaggio, dato che la sicurezza di riuscire a esportare tutto
l’esportabile era scontata...Il mercato libero delle valute servì a stimolare potentemente la
speculazione contro la lira. E una penosa discriminazione si stabilì per le rimesse degli emigranti,
che venivano cambiate al vaglio ufficiale, con conseguente fuga di tali rimesse verso il mercato nero. La
discriminazione tra esportazioni verso paesi a valuta libera e paesi con accordi valutari bilaterali,
determinò che il ricavato delle esportazioni poté esser destinato principalmente ad
alimentare la fuga di capitali.
152) Woolf/De Cecco,304-307 Il fantastico potenziale speculativo deI sistema dei cambi
non spaventava i governanti. Da un limitato numero di merci, anzi, questo fu esteso a molte altre.
Né il governo parve accorgersi che il maggior motore dell’inflazione era rappresentato
dal credito bancario. Le banche reagivano agli aumenti dei costi del lavoro, provocati dal lievitare
dei salari, cercando di aumentare i profitti sulle operazioni, cioè spostando i propri
investimenti verso i settori più rischiosi dal credito alle aziende. Gli esperti liberali non
avevano mai ritenuto di ricorrere ai controlli selettivi del credito che la legge bancaria del 1936 del
dott.Menichella concedeva alla Banca centrale. Benché predicasse la guerra santa contro
l’inflazione, in realtà Einaudi aveva combattuto in campo avversario.
Il governo e i suoi esperti si applicarono a cercare di «ristabilire la fiducia delle classi medie».
In aggiunta alla proclamazione di «vacanze» fiscali e finanziarie, grosse fette di bilancio
furono destinate all’«ordine pubblico» e alla «difesa». Oltre alla fiducia degli italiani
queste cifre tendevano a ispirare quella del governo americano dal quale dipendeva gran
parte delle importazioni. In vista della fine del programma Unrra, si stava cercando di ottenere dal
governo americano la continuazione degli aiuti, in qualche altra forma.
153) Woolf/De Cecco,307-308 La leadership economica conservatrice (cui si erano
aggiunti i socialdemocratici), influenzata dagli esperti liberali, aveva, nel frattempo,
deciso, sulla rotta da tenere: svalutazione e severa deflazione...Le banche erano state, fino
dalla primavera, avvertite di ciò che sarebbe probabilmente accaduto. E furono avvertiti anche gli
speculatori: i proventi del boom italiano delle esportazioni vennero venduti all’estero, in attesa di
larghi e facili profitti.
Le autorità italiane avevano distrutte tutte le possibilità di ricorrere a misure meno
dannose e si potevano basare solo su misure rigidamente ortodosse. Ma non v’era
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nessuna ragione di (aggiungere) la deflazione monetaria alla svalutazione della lira per
fermare l’esaurimento delle riserve valutarie causato dagli speculatori.
154) Woolf/De Cecco,309-310 L’introduzione (o meglio, applicazione) dei minimi di
riserva obbligatori presso il Tesoro e la Banca centrale, che determinò la deflazione desiderata,
può essere razionalizzata solo in termini politici. Le elezioni del 1948 si avvicinavano e i
partiti al governo mostrarono di preferire l’appoggio delle classi medie e dei contadini,
che, legati ad una agricoltura di sussistenza, non avrebbero risentito delle conseguenze
della deflazione. Le classi medie avevano visto il deprezzamento della moneta polverizzare i loro
risparmi e sarebbero tornate ad avere fiducia nel governo solo se l' ascesa dei prezzi fosse stata
drammaticamente arrestata.
155) Woolf/De Cecco,311-315 Einaudi sosteneva che aumentare la domanda effettiva
avrebbe generato, in Italia in quel momento, solo un moltiplicatore dei prezzi. Perché un
moltiplicatore del reddito si mettesse in moto, egli disse, si richiedevano capacità
inutilizzata, disoccupazione e disponibilità di materie prime... Mentre la disoccupazione
aumentava di giorno in giorno, i lavoratori scendevano nelle piazze, ma ivi trovavano una polizia
numerosa e bene addestrata pronta a riceverli, approntata usando le generose assegnazioni di
bilancio Le elezioni del 18 aprile 1948 risultarono una chiara vittoria della coalizione moderata. I tre
anni che seguirono dimostrarono il prezzo che l’economia italiana aveva dovuto pagare
per il trionfo politico del Centro. La stretta operata dalle autorità produsse la inevitabile
reazione a catena su produzione e investimenti. Né il governo si mosse per mitigare i rigori della
recessione...i ministri economici non risparmiarono occasioni per celebrare la sconfitta dell'inflazione e i
meriti di una «sana» finanza pubblica.
156) Woolf/Catalano,144-147 Intanto, la politica deflazionistica di Luigi Einaudi, stava
dando i suoi frutti, anche se non riusciva ad eliminare del tutto il pericolo dell'inflazione. L'aumentata
e più efficace combattività delle classi lavoratrici contribuiva a sconvolgere il ben
ordinato piano dell’economista, sempre attaccato ai suoi miti anche se non osava negare che la
propria politica aveva come ultimo effetto quello di generare una redistribuzione del reddito
a tutto svantaggio delle categorie e dei ceti più indifesi: P. L. Roccatagliata, ad esempio, notava
che «se era giusto porre dei limiti al credito bancario, non era lecito continuare a lasciare,
in un paese povero di capitali come il nostro, arbitre le banche d’investire i loro depositi
indiscriminatamente, senza speciale preferenza per i settori produttivi ritenuti di
maggiore interesse nazionale ». Un altro errore era stato quello di non avere ostacolato
adeguatamente il tracollo della borsa, causato in parte dalle restrizioni creditizie e in parte
dalla forte pressione esercitata dalla speculazione al ribasso: in tal modo, il malessere della
borsa aveva reso molto difficile, per le aziende, ottenere nuovi crediti bancari e lo Stato era costretto a
grossi interventi per mettere in grado le industrie, sia dell’Iri che private, di pagare salari e stipendi.
«L’intendimento del ministro Einaudi -concludeva Lanzarone- di contrarre le spese
urtava così contro la politica sociale del governo, desideroso di non crearsi difficoltà
proprio nei mesi precedenti le elezioni ». Pertanto, la circolazione monetaria non aveva
cessato di aumentare, passando da 495,9 nel gennaio 1947 a 788,1 nel dicembre... "Dopo aver
costretto i prezzi a diminuire in un breve periodo di tempo, se ne stanno scontando le
conseguenze con l'aumento della disoccupazione, il fallimento e scomparsa di molte
piccole imprese, la quasi bancarotta di certe grandi imprese, e la riapparizione
dell’inflazione e dei prezzi in aumento, a causa delle spese governative per i disoccupati. Il
senso che ne risulta di confusione e di disperazione sta portando anche uomini d’affari di
primo piano a parlare di votare per il Fronte popolare, il quale almeno darebbe
un’amministrazione competente»(L' Economist,27 marzo 1948).
157) Woolf/De Cecco,315-318 Lo scoppio della guerra di Corea (1950) consenti di sostituire con la
domanda estera l'insufficiente domanda interna: gli indici della produzione cominciarono a salire... Il
boom dei prezzi colpì anche l’Italia ma questa volta, controlli selettivi del credito furono usati dalla
Banca centrale a prevenire la speculazione...Un boom internazionale di grosse dimensioni, fu
dunque necessario per districare l’economia italiana dalla stagnazione impostale dai suoi
leader...
158) (Circa gli aiuti del piano Marshall) il compito di produrre richieste dettagliate per gli
americani era stato lasciato -in coincidenza con la campagna elettorale- a una (incapace) burocrazia
minore. Passate le elezioni, le autorità destinarono gli aiuti Marshall a ricostituire le
riserve valutarie del paese. Mentre rifiutava di fare in modo che il potenziale industriale
del paese venisse utilizzato in pieno, il governo programmava di far emigrare due milioni
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di lavoratori italiani, tra il 1948 e il 1952. La commissione economica per l' Europa delle Nazioni
Unite censurò la stretta. La missione dell'Eca (Economic Cooperation Administration) a Roma pubblicò
nel 1949 una denuncia veemente. Castronovo,385 Per le autorità americane (tali scelte) erano
incompatibili con lo spirito e le finalità del piano Marshall, il quale intendeva agire da decisivo fattore di
sviluppo e di ammodernamento della vita economica dell'Europa occidentale, sulla base di orientamenti
e di tecniche di programmazione di tipo keynesiano. [V.par.57]
Woolf/Beccalli,373-374 Questa politica economica si adeguava in modo eccellente al
disegno delle forze politiche dominanti poiché veniva ad indebolire il potere contrattuale
del sindacato evitando in tal modo i condizionamenti che il Pci poteva imporre tramite il
suo controllo della Cgil Castronovo,372 Quali risultati conseguì la politica liberista?...Fra
gli effetti immediatamente percepibili, il ripristino della sovranità dell'impresa privata.
La priorità data alla ricerca del massimo di redditività aziendale e la convinzione che il risparmio fosse
l'unica via per l'accrescimento degli investimenti e dell'occupazione, costituiscono i capisaldi da cui prese
le mosse una politica economica destinata a reintegrare i meccanismi spontanei
dell'accumulazione, e eliminare ogni valido controllo pubblico sulla destinazione delle
risorse (senza alcuna preoccupazione per l'accentuarsi delle sperequazioni territoriali e
sociali già esistenti), a ridare alle imprese private piena disponibilità nell'impiego della
manodopera cancellando progressivamente ogni forma di partecipazione della classe
lavoratrice alle scelte politiche e alla gestione della produzione.
SCHEDA: Il fallimento della riforma della pubblica amministrazione
159) Barca,20-34 Oltre al condizionamento della situazione ereditata dal passato; la sensibilità dei
partiti agli interessi di quei ceti medi di cui la Dc cerca il consenso e che sollevano anche le
preoccupazioni del Pci; si profila una relazione fra la rinunzia a regolamentare i mercati e a
programmare e la rinunzia a riformare l'amministrazione. La mancata introduzione di
un'imposta straordinaria; il ritardo e la difficoltà nell'attuare una riforma tributaria col
superamento del male antico delle esenzioni e delle evasioni che costringono a concentrare il carico
fiscale su una massa limitata di redditi; la sistematica inapplicazione delle norme per l'uso
del suolo (L.1497 del 1939 sulla protezione delle risorse naturali e legge urbanistica n.1150 del 1942 che
prevede i piani regolatori); la rinunzia -mediante le strutture dell'amministrazione ordinaria- alle
politiche attive per l'industria (domanda pubblica, ricerca scientifica, istruzione superiore e
universitaria, formazione, riqualificazione del lavoro), politiche sacrificate in favore di una
politica di esenzioni e di sussidi; la scelta di una politica di trasferimenti pubblici
sostanzialmente incondizionati a favore del ceto medio imprenditoriale e contadino, come
compensazione per la mancata regolazione dei mercati e l' inefficienza dell'amministrazione pubblica.
Barca,46 Assenza di un mercato azionario efficiente, di norme per la tutela degli azionisti, di
bilanci attendibili e, in compenso, livello elevato dei profitti.
Barca,53-54 All'insieme di interventi parziali e distorti delle amministrazioni pubbliche ordinarie si
contrappone l'opzione degli enti pubblici autonomi. (Da una parte) la rinunzia a un
intervento pubblico di regolazione dei mercati (dei capitali e dei prodotti);(dall'altra) la
proprietà -l'intera collettività- non è in grado di sottoporre a supervisione i soggetti -non
proprietari- che esercitano la gestione e dispongono di poteri quasi sovrani. Si aggiunge la
mancata separazione fra industria (specialmente privata) e stampa cui manca l'incentivo a
esercitare un ruolo indipendente di verifica e di denunzia sulle questioni economiche e finanziarie, sui
temi della concorrenza e del governo delle imprese,.
Barca,56-57 La rinunzia a programmare non va letta tanto nel rigetto di politiche
"protokeynesiane" di "generica espansione delle domanda", quanto nella mancata assunzione diretta
da parte dell' amministrazione pubblica di responsabilità di indirizzo dell'economia: fosse
essa imperniata su un piano di modernizzazione dell'apparato produttivo, come in
Francia, o su obiettivi di rafforzamento dello stato sociale o di piena occupazione, come in
Gran Bretagna (Castronovo,362;373 Nota è la posizione economica adottata dal luglio
1945 dai laburisti inglesi volta a costruire un Welfare State, basato su alcune importanti
riforme di struttura, sulla nazionalizzazione dei trasporti e delle miniere, su una
tassazione fortemente progressiva, sul raggiungimento del pieno impiego, nonché sulla
pianificazione dell'assistenza sociale e della spesa pubblica in scuole, ospedali e progetti
di rinnovamento urbanistico. Ma anche in altri paesi, e non solo in quelli scandinavi, in
Belgio, in Olanda, in Francia, pur diretti da governi in cui prevaleva l'elemento moderato,
34
una politica di piena occupazione e l'integrale utilizzo delle risorse figuravano tra i punti
fondamentali del processo di ricostruzione postbellica...In Francia imposte straordinarie
su beni privati, e sugli incrementi patrimoniali verificatisi nel corso del conflitto, erano
state istituite sin dall'agosto del 1945 e il «cambio» dei biglietti era avvenuto subito dopo).
Manca, insomma, il tentativo di costruire le strutture di un moderno stato: si rinunzia a
disegnare assetti e poteri del governo nazionale e dei governi locali tali da accomodare in
via ordinaria e permanente i divari di reddito... L'altra grande rinunzia è quella a
«regolare»: la fissazione delle regole, dei diritti e dei doveri, nel "gioco" tra gli interessi di
individui e classi diversi, al fine di dare loro certezze e parità di opportunità. Questa
rinunzia favorisce, spesso richiede, leggi speciali, sussidi ed esenzioni...
Petri,324 La pianificazione degli anni cinquanta rimase un mero «fattore di
orientamento» Petri,36o-362 Ciò che distingue tale intervento dalle politiche keynesiane
prevalenti altrove fu l'approccio microeconomico anziché macroeconomico e il
rafforzamento intenzionale dell'offerta anziché quello della domanda. La continuità del
governo sociale dell'economia - decisionismo tecnocratico, integrazione neocorporativa,
negoziazioni informali e sotterranea degli interessi è stata, del resto, sottolineata da
molti...
160) Barca,61-62 Quattro sono i tratti del compromesso post-bellico: liberismo
internazionale; intervento dello Stato attraverso gli enti pubblici anziché con la
regolazione e la programmazione; politica di esenzioni e sussidi a specifici gruppi sociali;
contenimento dei salari e dei diritti dei lavoratori... Sta qui la natura bivalente del
modello: nel momento in cui assicura un parziale rinnovamento dei quadri
imprenditoriali, non stabilisce le regole con cui tale rinnovamento possa tornare ad
aversi in futuro; e crea così le premesse per la creazione di posizioni di rendita. La
soluzione adottata manifesterà questi limiti quando le condizioni straordinarie verranno
meno. Simile destino avranno gli altri due tratti straordinari del modello: l'essere
affidato a una compressione della crescita salariale, destinata a venir meno col ridursi
della disoccupazione; e il meccanismo perverso di sussidio incondizionato delle imprese,
destinato col tempo ad allentare il loro vincolo di bilancio, disincentivandone l'efficienza, e a gravare in
modo insostenibile sulle pubbliche finanze. Quando l'insieme di questi limiti si manifesterà
apparirà evidente il costo di non aver riformato né i mercati né l'amministrazione
pubblica.
Woolf,434 La stagnazione del sistema politico aveva lasciato lo Stato totalmente impreparato ad
affrontare le profonde trasformazioni che la rapida crescita dell’economia aveva introdotto nella società
italiana e si dimostrò incapace di riformare le strutture antiquate che erano sopravvissute,
a caso o volutamente, nel 1945. [La situazione italiana continuava ad essere disperata, ma
normale]
La lotta della classe operaia contro i piani reazionari e la politica scissionista dei socialdemocratici
161) Acc,XI,559-566 I piani reazionari delle forze imperialiste, diretti innanzitutto contro i paesi
socialisti, si proponevano anche di dare un colpo annientatore ai partiti comunisti e alle altre
organizzazioni della classe operaia che lottavano nei paesi capitalisti.
162) Il “New York Times” scriveva il 21 aprile 1946: “In gran parte dell’Europa i partiti comunisti sono i
movimenti politici più forti tra tutti quelli esistenti e attirano le forze migliori e più energiche della
società”. Nel ricordare i piani di resistenza alle forze di sinistra -1946/47- che presero il nome di piani di “aiuto”
all’Europa, il maresciallo britannico Montgomery scrisse: “La fretta era obbligata poiché in Occidente
cominciava a estendersi l’influenza del comunismo”. Il ministro degli esteri canadese Saint-Laurent definì il
Patto atlantico “contrappeso dinamico al comunismo”. La controffensiva delle forze di destra reazionarie
contro i partiti comunisti ebbe inizio con lo scatenamento di una vasta campagna anticomunista.
163) Negli Stati Uniti, già all’inizio del 1946, la caccia al comunista era un fenomeno molto diffuso. Accorsero
in aiuto della reazione i capi di destra dei sindacati. In marzo 1947 il presidente Truman ordinò che si
“verificasse la lealtà” di tutti gli impiegati dello Stato. Si allungarono le “liste nere” dei “sospetti”; si diede
l’avvio alle persecuzioni giudiziarie dei comunisti. Il 20 luglio 1948 dodici dirigenti del Partito comunista
USA furono accusati di violazione della “legge Smith” del 1940, cioè di aver organizzato un complotto per
abbattere il governo.
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164) Le riunioni della commissione dei membri del Congresso per le indagini sulle attività antiamericane furono
reclamizzate alla radio e alla televisione. La commissione compilò un’interminabile “lista nera” delle “organizzazioni e
delle persone sovversive” e nel 1949 provvide a compilare un milione di dossier a carico di cittadini americani sospettati di
attività sovversive. Il 17 gennaio 1949 aveva iniziò il processo contro la direzione del partito comunista. Il giudice, il
reazionario Medina, condannò 10 dirigenti del partito a 5 anni di prigione e a una multa di 10 mila dollari ciascuno. In
seguito alla condanna dei leaders, in tutto il paese si iniziarono gli arresti e le condanne di militanti comunisti. La
reazione tentò di decapitare il movimento operaio. (Nonostante) una certa riduzione numerica, i comunisti
continuarono a lottare contro la “guerra fredda” e la politica reazionaria del governo [ Acc,XI,225].
165) In Danimarca e in Norvegia i comunisti parteciparono al governo soltanto fino alle elezioni dell’autunno
del 1945. Nell’ottobre del 1946 furono costretti a dimettersi dal governo i rappresentanti del Partito socialista
unificato in Islanda; nel febbraio del 1947 i comunisti venivano esclusi dal governo in Lussemburgo; nel
marzo di quello stesso anno i comunisti erano costretti ad uscire dal governo in Belgio, in maggio lasciavano il
governo anche in Italia e in Francia; in dicembre, in segno di protesta contro la riforma monetaria antipopolare,
abbandonava il suo incarico l’unica rappresentante comunista del governo austriaco. Nel 1948 i rappresentanti
dell’Unione democratica del popolo finlandese, nella quale avevano un posto importante i comunisti, non
furono ammessi nel governo nonostante la consistenza parlamentare di questo gruppo. Ebbe inizio un processo
di espulsione dei comunisti da tutte le istituzioni dello Stato.
166) In Inghilterra -fine 1947- il governo laburista impose ai sindacati di espellere i comunisti dalle loro
organizzazioni. Il 15 marzo 1948 il governo laburista rese pubblica la decisione di procedere a una epurazione
nelle istituzioni statali: come affermò Attlee in Parlamento, “non un solo uomo, del quale si sappia che è iscritto al
partito comunista o sia in qualche modo collegato con questo partito, possa suscitare dubbi sulla sua affidabilità e possa
essere addetto a un lavoro che, per il suo carattere, sia vitale per la sicurezza dello Stato”- [Acc,XI,238]
167) Già all’inizio del 1946 la direzione delle organizzazioni socialdemocratiche della Germania occidentale
aveva preso misure intese a impedire qualunque tipo di collaborazione tra socialdemocratici e comunisti. Nel
1950 era stata varata una legge con la quale si interdiceva ai membri del partito comunista l’accesso agli
impieghi statali. Nel 1951 il governo Adenauer intentò contro il Pcg una serie di azioni legali. [Acc,XII,231 e
ss.] Nel 1951 era stata vietata l’Unione della libera gioventù tedesca. Parecchi diritti democratico-borghesi,
già contemplati dalla Costituzione della Rft furono cancellati con la cosiddetta “legge-lampo” del 10 luglio
1951 che divenne la base legale per la persecuzione contro molti antifascisti e contro molti cittadini progressisti.
Le autorità proibirono l’attività dell’Associazione di amicizia tedesco-sovietica, dell’Unione democratica
femminile, del Fronte nazionale della Germania democratica, della Lega culturale, l’organizzazione degli
intellettuali progressisti, del Consiglio della pace e altre. (Si voleva) ridurre al silenzio l’opposizione che si
batteva contro il riarmo della Rft e contro il suo ingresso nei blocchi militari delle potenze occidentali. I
comunisti e gli altri antifascisti erano visti come l’ostacolo fondamentale alla politica reazionaria del governo.
Al primo Bundestag il Partito comunista della Germania disponeva di 15 seggi. Nel 1952 il governo
Adenauer fece approvare dal Parlamento la cosiddetta “clausola del 5 per cento”, che privava di ogni
rappresentanza i partiti che non conseguissero almeno il 5 per cento dei voti. Questa clausola, combinata a una
vasta campagna anticomunista, fu sfruttata dalle forze reazionarie alle successive elezioni del 1953: il Pcg, con
oltre 600.000 voti non ottenne neanche un deputato.
Il 23 novembre 1954 il tribunale federale costituzionale di Karlsruhe iniziava una causa per vietare il partito
comunista. I rappresentanti del partito al processo e i loro difensori si videro spesso negato il diritto alla parola.
Il 17 agosto 1956 il tribunale pronunciava la sentenza che soddisfaceva in pieno le richieste del governo:
il Partito comunista della Germania veniva vietato.
168) Nell’agosto del 1946 il Partito socialista francese rompeva in sostanza il patto di unità d’azione con i
comunisti.
[Acc,XII,214 e ss] Nel maggio 1952 sulla base di accuse prefabbricate di complotto contro la “sicurezza
interna dello Stato” furono arrestati 718 esponenti del Pcf, tra i quali il segretario del suo Comitato centrale,
Jacques Duclos. I comunisti riuscirono a smascherare i retroscena truffaldini dell’azione governativa. Un largo
movimento per la liberazione degli arrestati costrinse il governo a cedere, e questi furono rimessi in libertà. Nel
marzo 1953 furono effettuati nuovi arresti di eminenti personalità del partito comunista, in modo tanto
vergognoso quanto quella dell’anno precedente.
169) All’inizio del 1947 il capo della frazione di destra del Partito socialista italiano, Giuseppe Saragat,
provocò una scissione del partito che indebolì notevolmente le forze di sinistra e consentì alla reazione di
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attuare la sua linea anticomunista. Nel novembre-dicembre 1947 nel corso della conferenza dei partiti
socialdemocratici ad Anversa fu istituito il Comitato delle conferenze internazionali socialiste che associava i
partiti socialdemocratici di 33 paesi. Il rappresentante del Partito del lavoro Islandese, Forrink, ne formulò
chiaramente lo scopo: “Marciare sulla strada della politica occidentale alla base della quale c’è il ‘piano
Marshall’ e la lotta al comunismo”.
170) Nel marzo del 1948, alla conferenza dell’Internazionale socialdemocratica tenuta a Londra ebbe
inizio il processo di espulsione dei “dissenzienti”. Nell’estate del 1948 ne facevano parte soltanto i partiti a
fedeli alla politica della “guerra fredda”. Seguirono misure scissioniste anche nelle organizzazioni sindacali.
Nell’aprile del 1948 Leo Jouhaux organizzava la scissione della Confederazione generale del lavoro in Francia
creando l’organizzazione sindacale riformista di destra “Force Ouvrière”.
171) Queste azioni sarebbero risultate impossibili se i capi di destra della socialdemocrazia non
avessero assunto una posizione anticomunista. Oggi, a trent’anni di distanza, e stato dimostrato
che questa “svolta” fu preparata, organizzata e pagata dalle organizzazioni reazionarie
americane e in particolare dai capi dei sindacati americani.
172) La svolta a destra della socialdemocrazia nel 1947-48 si spiega innanzitutto ricordando i legami tra questi
personaggi e il capitale monopolistico, la loro dipendenza dal capitale, che ebbero un ruolo dominante in tutte lo
loro considerazioni. L’attività dei dirigenti di destra, tuttavia non avrebbe potuto dare i risultati che diede
se le circostanze oggettive, e innanzitutto la composizione e il carattere dei partiti socialdemocratici,
fossero stati diversi. Per effetto dei mutamenti intervenuti durante la guerra nella composizione della classe
operaia, la sua estensione a spese di elementi piccolo-borghesi del primo dopoguerra, una notevole parte dei
partiti socialisti e socialdemocratici si lasciò conquistare dalle illusioni riformiste e le idee anticomuniste
penetrarono facilmente. Ebbe un suo ruolo anche la propaganda antisovietica, lo spauracchio della minaccia di
“una aggressione sovietica”.
173) I membri dei partiti comunisti e dei sindacati progressisti venivano perseguitati e
discriminati mentre coloro che passavano per riformisti venivano applauditi e blanditi in ogni
modo. Per rendere più avvertibile il colpo sferrato contro i comunisti si organizzarono contro di
loro azioni poliziesche. Gli scioperi venivano repressi con la forza armata. A queste campagne
vergognose prendevano parte attiva i dirigenti socialisti e i ministri socialisti. In Francia il ministro
socialista Jules Moch utilizzò l’esercito contro gli operai in sciopero. In Italia Giuseppe Saragat, capo dei
socialdemocratici, appoggiava le repressione contro gli operai in sciopero. In Gran Bretagna il leader
laburista Clement Attlee fece intervenire l’esercito nei porti occupati dai lavoratori in sciopero. Si
moltiplicarono le azioni esplicitamente terroristiche contro i capi comunisti e i partiti comunisti.
174) Nel luglio del 1948 le forze reazionarie in Italia organizzarono un attentato contro la vita di
Palmiro Togliatti e in Giappone contro Kiura Tokuda. Furono ferocemente perseguitati i partiti
comunisti in Portogallo e in Grecia. Gli elementi meno temprati, che erano entrati nei partiti comunisti
durante la Resistenza o dopo la liberazione spinti dall’entusiasmo del momento, abbandonarono questi partiti e
talvolta passarono nelle organizzazioni di destra. Nel 1947-49 la consistenza numerica dei partiti comunisti in
Occidente risultò alquanto ridotta e diminuirono i voti ottenuti dai partiti comunisti.
175) I comunisti italiani, analizzando la linea politica seguita nel 1947-48 notavano che il passaggio del
partito comunista all’opposizione non suscitò nelle file nessun segno di sbandamento o di scoraggiamento.
Soltanto pochi membri del partito ebbero un’eccessiva paura delle conseguenze dovute all’esclusione dei
comunisti del governo; alcuni compagni caddero nell’eccesso opposto ritenendo che fosse arrivato il
momento di passare ad azioni di forza da parte delle masse. Questi errori furono tempestivamente
riconosciuti, ma il partito nel suo complesso fu lento nell’esplicare la sua azione di opposizione e
nell’organizzare interventi di tipo politico ed economico di massa che avrebbero potuto
coinvolgere vasti strati popolari nella lotta contro la politica governativa. I partiti comunisti in ogni
caso non si limitarono ad analizzare i problemi correnti e a definire obiettivi immediati ma decisero di
riesaminare la loro linea strategica e di verificarla nelle nuove condizioni. A grandi linee questa nuova
linea di lotta in difesa e per l’estensione della democrazia, per la creazione di ampi fronti delle forze
democratiche intorno alla classe operaia, fu accettata da tutti i partiti comunisti del mondo capitalista..
37
Contro l’attacco della reazione nei paesi dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa
176) Acc,XI,562-566 In America Latina il ruolo principale alla campagna anticomunista venne assegnato al
“Patto di difesa dell’emisfero occidentale” imposto dagli USA ai paesi dell’America Latina (1947) e alla
Organizzazione degli Stati americani (1948). Nel corso della IX conferenza interamericana di Bogotà, che diede
veste formale a questa organizzazione, fu approvata la cosiddetta “Dichiarazione in difesa della democrazia” che
divenne la carta dei partiti in lotta contro il movimento comunista. Nel 1947-49 ci furono in 11 paesi
dell’America Latina colpi di Stato reazionari che portarono a regimi dittatoriali. Nell’aprile del 1947 i
comunisti furono espulsi dal governo del Cile. Sedici dei venti paesi latino-americani, in una forma o
nell’altra, erano dominati dalla reazione. In 14 paesi i partiti comunisti furono dichiarati illegali, di solito
insieme con i sindacati. Molte organizzazioni sindacali in molti paesi furono sciolte... Entrando nella
clandestinità i partiti comunisti conservarono la loro organizzazione, la propria stampa. I comunisti
dell’America Latina analizzarono attentamente l’esperienza acquisita, cercarono di scoprire i punti deboli
e di dare un quadro completo del rapporto e della dislocazione delle forze di classe.
177) L’ondata dell’offensiva anticomunista toccò anche i paesi dell’Asia e dell’Africa. Quelli del 1947-49
furono anni di notevole espansione della lotta di liberazione nazionale. Colpendo i partiti comunisti e i
sindacati progressisti, i colonialisti e la reazione locale cercavano di frenare il corso della rivoluzione di
liberazione e di rimandare la fine dei regimi coloniali. Attacchi ai partiti comunisti ci furono in quel periodo
anche in India e a Ceylon. Nel Pakistan, in Birmania, nella Malaisia e nelle Filippine i partiti comunisti
furono costretti alla clandestinità.
178) Repressioni di massa contro i comunisti, accompagnate da fucilazioni di decine di attivisti, ebbero
luogo anche nell’Iran e nell’Iraq. Nello stesso tempo, in molti paesi (India, Pakistan, Ceylon), le destre
provocarono scissioni nel movimento sindacale. Furono create organizzazioni sindacali che accettavano la
collaborazione con i colonialisti e la borghesia locale.
179) Dal 1948 la campagna antisindacale si estese anche ai paesi dell’Africa.
180) In molti casi le repressioni anticomuniste furono favorite da manifestazioni di settarismi o da tendenze
avventuristiche di ultrasinistra negli stessi partiti comunisti e nelle organizzazioni sindacali progressiste. Per
esempio una certa parte dei comunisti dei paesi dell’Asia si schierò su posizioni di completo rifiuto nei confronti
del ruolo e delle possibilità della borghesia nazionale nella lotta per l’emancipazione nazionale, con inviti a
“sostituire il governo borghese con il governo del popolo”, parole d’ordine irreali rispetto alla situazione e
al rapporto di forze esistente.
181) In Birmania, nella Malaisia e nelle Filippine, dove nel primo dopoguerra i partiti comunisti avevano
conquistato importanti posizioni e avevano preso parte con successo ad ampi fronti popolari, nel 1948 i
comunisti, non tenendo conto del rapporto di forze reale, ricorsero all’insurrezione armata. Morirono migliaia
di rivoluzionari esperti e si indebolirono i legami tra i comunisti e le masse popolari. In Indonesia nell’agosto
del 1948 il partito comunista lanciò la parole d’ordine del fronte nazionale unitario quale mezzo di lotta
all’imperialismo. In settembre il partito si unificò con altri gruppi di sinistra e divenne il partito
progressista più imponente del paese. Molto presto, però, la direzione del partito comunista si lasciò
trascinare dalle provocazioni (più volte le forze reazionarie avevano tentato di portarlo a compiere gesti
non meditati) e alla lotta armata che inflisse al partito notevoli perdite. Nel 1947-49 il movimento
comunista e democratico in Asia e in Africa subì una serie di pesanti sconfitte. Alla fine di questo periodo però
ci furono segni di una nuova ripresa e di un nuovo slancio nella lotta.
182) I partiti comunisti trassero i dovuti insegnamenti da quanto era accaduto e si accinsero a elaborare una
nuova strategia politica, più efficace. L’elemento più importante fu indiscutibilmente quello che le
repressioni della reazione non riuscirono a fermare la lotta di liberazione nazionale dei popoli. Questa
lotta continuò e si estese.
SCHEDA: La ricostruzione del sindacalismo italiano dal dopoguerra agli anni '50
183) Woolf/Beccalli,338...Nel Nord la lunga lotta antitedesca fece maturare un movimento di
massa radicale e una leadership operaia molto politicizzata. Alla Liberazione, il movimento operaio
esisteva già nella realtà prima che venga definita formalmente come nuova organizzazione sindacale.
Nel Sud, invece, ci si trovò prima che nel Nord in una situazione da «dopo-guerra», senza essere
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passati attraverso una esperienza diretta di lotta contro il fascismo, senza la politicizzazione delle masse
lavoratrici del Nord.
184) Woolf/Beccalli,339-341 Al Nord,già alla fine del ‘42 e nella prima metà del ‘43 i nuclei di
operai militanti antifascisti, diventano i centri organizzatori di una serie di agitazioni...La dinamica era
la seguente. Un nucleo ristretto di operai militanti preparava l’agitazione con un lavoro di propaganda
clandestina, aiutato o diretto da responsabili dei partiti antifascisti esterni alla fabbrica . Gli scioperi in
genere avvenivano a partire dall’interno della fabbrica, in momenti prestabiliti in cui l’esempio fisico
di coloro che per primi smettevano di lavorare aveva un ruolo cruciale: erano subito
individuati ed andavano incontro ai più grandi rischi personali: furono molti i casi di chi,
avendo dato inizio ad uno sciopero al mattino, fu arrestato nel corso della notte seguente;
tra questi, pochi sono poi tornati alle loro case.
185) Woolf/Beccalli,342-345 Entro la metà del ‘44 molte difficoltà vennero risolte mantenendo una
stretta unità tra lotta rivendicativa e lotta politica, e investendone l’azione di fabbrica. Lo sciopero
«rivendicativo-politico» che bloccò l’intera Italia del Nord nel marzo del ‘44 e fu il più
grande movimento di massa nei paesi occupati dai tedeschi, mostrava una rilevanza degli
obiettivi politici maggiore che in passato. Parallelamente, nelle grandi fabbriche nel corso del ‘44, si
formarono i Comitati di agitazione, organismi insieme sindacali e politici. Negli ultimi mesi
della lotta di Resistenza si creò anche, in alcuni importanti centri industriali, una stretta
integrazione tra l’organizzazione operaia di fabbrica ed altre organizzazioni della
Resistenza, come i nuclei di guerriglia urbana, che si appoggiarono spesso all’organizzazione operaia
di fabbrica. Le fabbriche divennero così un luogo fisico sempre più centrale della lotta
politica antifascista e antitedesca (azioni di sabotaggio; difesa delle fabbriche dai tedeschi per non
farle trasferire in Germania,ecc). In questa fase più «politica» del movimento di Liberazione nelle
fabbriche, le strutture organizzative furono i Comitati di liberazione nazionale, costituiti in tutte
le fabbriche di un certo rilievo.
186) Woolf/Beccalli,347-350 Dopo la Liberazione inizia la costruzione formale della nuova
organizzazione sindacale. Si compie in pochi mesi e si presenta come una struttura molto
centralizzata, in cui si intrecciano l'organizzazione di tipo «verticale» con al vertice il
sindacato nazionale di categoria, e l'organizzazione di tipo «orizzontale» che ha al vertice
la confederazione, che raggruppa tutti i sindacati di categoria, e alla base le Camere del
Lavoro in ogni provincia...Vi è predominanza dell' iniziativa dall'alto e di partito e
dell'organizzazione territoriale [in sintonia:Barca,pag.36]
Woolf/Beccalli,352-356 Il Partito comunista è in questo momento il pilastro dell’intera struttura
sindacale: è il principale, quasi esclusivo interprete delle aspettative di profondo cambiamento sociale
diffuse tra le masse. Ad esso viene data una quasi incondizionata delega per decidere come e quando il
nuovo ordine si dovrà sostituire a quello vecchio. La dipendenza del sindacato dal partito ha
soprattutto una influenza moderatrice sulla politica sindacale...il Pci non mancava
occasione per ricordare la sua disponibilità ad un’opera di ricostruzione nazionale che si
svolgesse nell’ambito di un’economia di mercato. La dipendenza comportava anche l’appoggio
diretto o indiretto del sindacato all’azione parlamentare o governativa del partito, cioè un
condizionamento rispetto ai tempi, alla logica di sviluppo dell’azione sindacale.
Di fronte ad una forza lavoro molto eterogenea, la scelta del sindacato è quella di
privilegiare gli interessi degli strati più bassi dei lavoratori; di porsi non come il
rappresentante degli strati più forti della forza lavoro (gli operai delle grandi fabbriche del Nord, il
nerbo dell’organizzazione sindacale), ma come il rappresentante degli interessi generali,
«universali», di tutti i lavoratori; di porsi dunque come un sindacato «di classe» non come
un sindacato corporativo, per una difesa generale dei lavoratori, attorno a due obiettivi
fondamentali: l’occupazione e il potere d’acquisto del salario. Il blocco dei licenziamenti
non si sviluppò in una politica generale e fu abbandonato dalla Cgil già all’inizio deI ‘46....L’accordo
sulla scala mobile, stipulato già un anno dopo la Liberazione, garantiva aumenti automatici dei
salari, in rapporto al costo della vita. Durante l’inverno ‘46-47 i prezzi aumentarono vertiginosamente;il
meccanismo della scala mobile copriva solo una parte di questi aumenti le condizioni dei
lavoratori subirono complessivamente un notevole peggioramento.
Woolf/Beccalli,357-368 Dunque politica del partito e logica del sindacato «di classe»
concorrono verso una moderazione della lotta e dell’organizzazione operaia in fabbrica.
La politica organizzativa del sindacato è strettamente legata alla sua politica rivendicativa. Vengono
potenziate le strutture organizzative centrali, quelle confederali, mentre viene dato scarso
impulso a quelle di categoria; tra le strutture locali, vengono potenziate le Camere del Lavoro -i
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sindacati di categoria a livello locale sono praticamente inesistenti- rispetto alle Commissioni interne
che non si cerca di valorizzare. L'appoggio del Partito comunista ed in parte del
sindacato, va ai Consigli di gestione, costituiti da delegati dei partiti antifascisti presenti nella
fabbrica in rappresentanza dei lavoratori, ed in termini paritetici da una rappresentanza dei datori di
lavoro. Di fatto, il Cdg fu spesso uno degli strumenti mediante il quale passò -a livello di fabbrica- la
politica di «ricostruzione» del Pci e fu usato per stimolare, per i primi due anni del dopoguerra, i ritmi di
lavoro, la disciplina e la produzione. Solo quando il Pci fu estromesso dal governo i Cdg furono usati
come un' arma per criticare la politica aziendale. I Cdg scomparirono progressivamente verso i il 1950.
Nelle grandi fabbriche del Nord, dove i lavoratori erano più forti, era massima la
delega al partito, perché erano massime le aspettative politiche. Proprio alla Breda di
Milano, ed in alcune simili roccaforti «rosse», si formarono «squadre Stachanov» per la
ricostruzione: spingeva la convinzione di lavorare non per il padrone, ma per se stessi; la speranza, di
una rivoluzione prossima. Il delicato equilibrio comincia a saltare verso il '48, quando cominciano a
venir meno queste aspettative e questa delega.
187) Woolf/Beccalli,369-371 Il clima politico e sociale era andato rapidamente mutando nel corso
del 1947, rispecchiando fedelmente la situazione internazionale. Tre episodi acquistano particolare
rilievo: le elezioni politiche (18 aprile), l’attentato a Togliatti (14 luglio) ) [V.par.134], e le
scissioni nella Cgil, soprattutto quella che portò alla costituzione di un sindacato cattolico
(estate 1948).
Woolf/Beccalli,371-373 Il deterioramento nei rapporti tra l’Unione Sovietica e i suoi
alleati nella guerra antifascista, e l’inizio della «guerra fredda» imponevano, già dal ‘47,
una analoga divisione di campo all’interno di ognuno dei paesi del blocco occidentale in
cui fosse presente un Partito comunista. I mezzi usati sono tutti quelli disponibili: dagli equilibri
governativi di destra (Scelba, ecc), all’uso delle istituzioni (magistratura) e delle forze repressive dello
Stato (polizia)... Nel ‘48 comincia una divisione nel movimento operaio che si approfondirà
lungo tutti gli anni cinquanta: da una parte, un' avanguardia «comunista »; dall’altra,
una massa relativamente passiva
188) Woolf/Beccalli,373-379 La «frustata» deflazionistica di Einaudi inevitabilmente si scaricò sulle
spalle degli operai: caduta degli investimenti e dei consumi e quindi dell’occupazione. A partire dal
‘48, dopo più di due anni di incertezza, gli imprenditori ritrovavano una completa libertà
nelle politiche del lavoro. Il tipo di sviluppo economico che si stava avviando li poneva in condizioni
di crescente potere contrattuale; e le scissioni sindacali gli offrivano ampie possibilità di manovra. Di
questa libertà e di questa forza i padroni profittano per colpire a fondo l’organizzazione comunista di
base, e per favorire le organizzazioni sindacali concorrenti. La loro crescita dipende dal favore
con cui venivano trattate dai padroni.
189) Vi è l’attacco all’occupazione concentrato sulle fabbriche v toccate dal problema della
riconversione industriale postbellica, che sono anche le roccaforti rosse (la Breda, le Reggiane, ecc.). Vi è
l’attacco diretto al potere operaio, non coperto dalle esigenze della ristrutturazione: vengono
tolti ad uno ad uno i diritti di fatto acquisiti dagli operai in fabbrica (la «agibilità politica»,
le tutele dei membri di Commissione interne e dei Commissari di reparto, ecc.), vengono fatti
licenziamenti discriminanti di militanti sindacali, prima individuali poi di massa. Negli anni
cinquanta, vi è l’attacco indiretto con la creazione di zone aziendali di privilegio, per diretta
concessione padronale, poi attraverso il gioco compiacente dei sindacati «gialli» o dei
sindacati nazionali di destra. Gli anni tra il ‘48 e il ‘53 sono anni di lotta durissima.
190) Il Pci continua a dichiarare la sua «vocazione nazionale », a farsi portatore delle
esigenze di una ricostruzione economica e politica che avvantaggi tutti gli italiani, e, più
concretamente, a tentare inserimenti e a proporre collaborazioni con tutte le forze emerse
dalla Resistenza, mentre contemporaneamente la Cgil viene utilizzata per mobilitare i lavoratori in
appoggio diretto alla politica internazionale e nazionale del partito: gli scioperi politici su temi
internazionali rimangono tuttora nella memoria dei lavoratori più anziani come episodi significativi
della strategia sindacale di quel momento. D’altra parte, la Cgil è anche il principale cavallo di battaglia
del partito per vincere l’isolamento in cui lo vuole confinare la «crociata» delle forze politiche borghesi: è
attraverso il sindacato che il partito propone il suo modello di sviluppo economico, che offre in
collaborazione del movimento operaio nel suo complesso. Così nel «Piano del Lavoro» (Genova,
ottobre 1949), Di Vittorio impegnava la Cgil e gli operai ad un comportamento di
collaborazione in cambio di decisi interventi di politica economica che aumentassero
l’occupazione (mediante ingenti investimenti, soprattutto nell’edilizia residenziale e nei lavori
pubblici). La proposta però cadde nel vuoto: i rapporti di forza non erano favorevoli. In questo periodo è
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ancora più frequente I'arresto delle lotte di fabbrica perché non disturbino svolgimenti a livelli
rivendicativi o politici più generali, così come la prassi di far confluire le rivendicazioni aziendali delle
situazioni più avanzate in movimenti rivendicativi a livello nazionale...
191) Woolf/Beccalli,380-381 Avviene una trasformazione, accelerata anche dalle trasformazioni
nella composizione della manodopera stimolate dal progresso tecnico e dal ricambio delle generazioni, e
aiutata dalla eliminazione dei militanti comunisti: alle elezioni della Commissione interna nella
Fiat di Torino, nel 1954, si verifica una fortissima riduzione dei rappresentanti della CgiI.
Risultati analoghi anche se non così clamorosi, si ebbero in numerose altre fabbriche... gli scioperi
cominciavano a fallire... Il saggio di incremento dei salari industriali fu -per tutti gli anni
cinquanta- mediamente inferiore al saggio di incremento della produttività del lavoro.
A livello nazionale gli accordi furono sia pochi sia ottennero risultati modesti, sia esclusero in molti casi importanti- la Cgil e furono stipulati dai datori di lavoro soltanto cogli altri sindacati;;
a livello aziendale gli accordi di questo periodo sono concessi dalle aziende, più che imposti dai
lavoratori, e conclusi soltanto con i sindacati non comunisti, o «gialli».
192) Woolf/Beccalli,384-388 Il sindacato nell’Italia postfascista sorge come parte di un
processo politico rivoluzionario, controllato da un’organizzazione centrale che cerca di
incanalarlo entro i vincoli delle relazioni industriali di un’economia capitalistica. Quando
le regole del gioco si sono sufficientemente consolidate, i rappresentanti del movimento operaio non solo
si trovano esclusi da ogni partecipazione al potere, ma l’intero movimento è oggetto di una lotta senza
quartiere da parte delle forze politiche dominanti: il tutto in presenza, per un lungo periodo, di un’ampia
disoccupazione. Il sindacato in questi anni è altamente politicizzato: da una parte vi è uno
stretto rapporto col Partito comunista, dall’altra è presente nell’azione sindacale stessa
una forte componente «solidaristica» (il sindacato «di classe»)...Sorgono tensioni tra
l’organizzazione sindacale «di classe» e gli strati più forti della forza lavoro, relativamente sacrificati. Si
aprono gli spazi per un sindacalismo più «strumentale», rivolto a benefici immediati per
una base circoscritta, che il sindacato cattolico cercava di stimolare ed utilizzare.
193) Dato il tipo di sviluppo dell’economia italiana avviatasi nel dopoguerra, il potere contrattuale dei
lavoratori sarebbe stato oggettivamente indebolito dalla situazione del mercato del lavoro. Inoltre,
qualsiasi fosse stata la politica sindacale, l’attacco padronale sarebbe stato durissimo,
poiché in quegli anni ciò che i padroni volevano colpire erano i comunisti come i nemici
principali in uno scontro di classe generale, anche indipendentemente dalle loro
convenienze economiche immediate. Una maggiore autonomia rispetto ai condizionamenti della
politica del Partito comunista; una maggiore attenzione per l’azione rivendicativa a livello di fabbrica
avrebbero consentito a mio avviso di ridurre l’entità della sconfitta e soprattutto di non colpire così
profondamente il rapporto tra lavoratori e sindacato.
SCHEDA: La guerra fredda
[In definitiva gli USA avevano buoni motivi per mantenere un clima di guerra: 1)assicurare la produzione delle industrie di
guerra, la cui drastica riduzione avrebbe prodotto serie conseguenze economico-sociali e si sarebbe scontrata con il fortissimo
blocco militare/industriale; 2)assumere il ruolo di "gendarme del mondo" con il conseguente consenso dell'Europa (e
dell'Inghilterra) a passar loro la leadership mondiale; 3)consolidare questo ruolo mediante l'intervento dovunque si presentasse
la "minaccia del comunismo"; 4)avviare -specialmente in Europa- il processo che avrebbe voltato pagina rispetto alla lotta al
nazifascismo che assicurava un' enorme prestigio all'URSS, e ai partiti comunisti; anche assicurando, nell'immediato, un certo
benessere a popolazioni altrimenti pericolosamente disperate]
194) HOBSBAWM,267 L’economia di guerra procura comode posizioni di privilegio a decine di
centinaia di burocrati dentro e fuori l’apparato militare, i quali vanno in ufficio tutti i giorni per
costruire armi nucleari o pianificare la guerra atomica. Inoltre ci sono milioni di operai il cui lavoro
dipende dal sistema del terrore nucleare, nonché scienziati e ingegneri il cui compito è escogitare
quell’invenzione tecnologica decisiva che possa condurre alla sicurezza totale. Non dimentichiamo infine
le ditte appaltatrici dell’amministrazione militare e statale, le quali non vogliono rinunciare a facili
profitti, né gli intellettuali guerrieri che vendono minacce e benedicono le guerre.
195) Acc.XI,202-225 L’interesse dei fabbricanti di armi e dei militari di professione al
sussistere di una congiuntura conflittuale permanente fu alla base della formazione, nel
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dopoguerra, dei gruppi militare-statale-monopolistici o, come vennero chiamati più tardi,
del “complesso militare-industriale”. Nel gennaio del 1944 il presidente della “General Electric”,
Charles Wilson propose una linea economica bellica che potesse funzionare anche in tempo di pace
e di “mettere in moto la macchina” tempestivamente, mentre la guerra era ancora in corso.
196) Poco tempo James Forrestal, presidente della “Dillon Reed Company” e futuro ministro della difesa
di Truman, creava l’Associazione industriale per la sicurezza nazionale, un’associazione segreta tra i
monopoli militari che si proponeva di far sì che “il mondo degli affari rimanesse in stretto
collegamento con l’esercito”. Questa associazione segreta tra i rappresentanti dei monopoli e i
militari si accinse a operare perché anche dopo la guerra si continuasse nella corsa agli armamenti
diretta contro il nuovo nemico: l’URSS, le forze socialiste, popolari e democratiche, nonché le forze
di liberazione nazionale in tutto il mondo.
197) Franklin Delano Roosevelt, morì il 12 aprile 1945. Poche settimane dopo l’insediamento di
Truman il posto di procuratore generale fu occupato da Tom Clark che godeva dell’appoggio del
“blocco texano” nel Congresso. [in qualche modo il "blocco texano" dura ancora oggi -V. il governo di
petrolieri e fabbricanti di armi; i piani del PNAC; la Condoleeza Rice della Exxon/Texaco in "La crisi 2",pag.39].
Il “trust
di cervelli” di Roosevelt fu sostituito dalla “cricca del Missouri” di Truman: il “governo degli
amici”. Giunti al potere grazie alla loro fedeltà personale a Truman e non per le loro capacità, alcuni di
essi pensarono che la nuova posizione conferisse loro il diritto alla completa libertà d’azione e alla
completa impunità.
198) Nei circoli dirigenti USA predominava il convincimento che in seguito alle pesanti
perdite in mezzi e vite umane l’Unione Sovietica non sarebbe stata in grado di resistere alla
pressione americana. Questi calcoli erano suffragati dal monopolio dell’arma atomica.
199) Il 19 novembre 1945 il presidente dichiarava ai giornalisti che, nel caso di una corsa agli
armamenti, gli USA sarebbero “sempre stati avanti”. Nel dicembre del 1945 ripeteva lo stesso concetto in
forma diversa: “Lo vogliamo o non lo vogliamo, dobbiamo riconoscere che la vittoria ha affidato al
popolo americano il peso della responsabilità della guida del mondo”.
200) Possenti forze interne ed esterne crearono un sensibile ostacolo alla corsa verso
l’egemonia mondiale. Subito dopo la fine della guerra si estese negli Stati Uniti il movimento che
aveva lanciato la parola d’ordine “Lasciate tornare a casa i nostri figli”. Il movimento costrinse il
governo e i vertici militari a smobilitare le forze armate. Secondo una inchiesta demoscopica del settembre
del 1945, il 54 per cento degli americani si esprimeva a favore della collaborazione con l’URSS e soltanto
il 30 per cento era contrario. Perciò nella conferenza del dicembre 1945 a Mosca, convocata su iniziativa
del governo sovietico, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna firmarono insieme con l’URSS accordi di
notevole rilievo -definiti di “pacificazione” con l’URSS- che non coincidevano con i piani dei circoli
statunitensi che predicavano la “linea dura”.
201) I programmi espansionisti degli Stati Uniti si scontrarono anche con ostacoli esterni.
Molti paesi chiesero e in parte ottennero che venissero smantellate le basi americane.
202) La “dottrina Truman” fu diffusa con tutte le regole della guerra psicologica. Il 12 marzo
1947, il presidente chiese provvedimenti immediati e risoluti per “impedire l’estensione del comunismo
nel Medio Oriente”. In particolare, chiese 400 milioni di dollari per dare “aiuto” economico e militare
alla Grecia e alla Turchia e che vi fossero inviate speciali missioni americane. Nell’aprile del 1948 gli
USA spesero in Grecia e in Turchia 337 milioni di dollari, per la maggior parte a scopi militari. La
“dottrina Truman” non si limitava a provvedimenti concreti; politicamente significava che gli
USA si erano assunti il compito di gendarme del mondo al fine di conservare gli ordinamenti
sociali e statali che facevano loro comodo. Il passo successivo nell’attuazione pratica della
politica del “contenimento” fu il “piano Marshall”. L’amministrazione Truman aveva
ereditato dalla precedente amministrazione la tesi della “priorità dell’Europa” , ritenuta
particolarmente importante per entrare in concorrenza con l’URSS. La conseguenza pratica di questi
calcoli fu la politica di “stabilizzazione” dell’Europa che per gli Stati Uniti significava restaurazione
degli ordinamenti prebellici e blocco di ogni trasformazione radicale. [V.par.162,ss.]
42
203) HOBSBAWM,268-272 La peculiarità della Guerra fredda fu che, a voler essere
obiettivi, non esisteva alcun pericolo imminente di guerra mondiale. L’URSS controllava o
esercitava un’influenza preponderante nella zona occupata dall’Armata rossa e/o da altre forze militari
comuniste alla fine della guerra e non cercò di estendere ulteriormente con la forza militare la propria
sfera d’influenza. Gli USA controllavano e dominavano il resto del mondo capitalista come pure
l’emisfero occidentale e gli oceani, subentrando a ciò che restava della vecchia egemonia
imperiale delle ex potenze coloniali [V.par.1]. Non intervenivano nella zona di egemonia sovietica,
da essi riconosciuta e accettata.
204) In Europa le linee di demarcazione erano state tracciate nel 1943-45, sia in seguito agli accordi
presi nei vari incontri di vertice tra Roosevelt, Churchill e Stalin, sia in virtù del fatto che solo
l’Armata rossa poteva effettivamente sconfiggere la Germania. Situazioni mal definite furono
risolte con la spartizione della Germania e con il ritiro di tutti gli ex belligeranti dell’Austria. L’URSS non
accettò facilmente la presenza di Berlino ovest, che rappresentava una enclave occidentale dentro il
territorio della Germania dell’Est, ma non si dimostrò disposta a combattere per cancellarla. In
Giappone gli USA sin dall’inizio stabilirono un’occupazione totalmente unilaterale che escludeva non
solo l’URSS ma ogni altro alleato. La maggior parte dei nuovi stati post-coloniali «Terzo mondo»,
benché non nutrissero simpatie per gli USA e i loro alleati, non erano comunisti, anzi in politica interna
erano per lo più anticomunisti, mentre in politica internazionale si dichiaravano «non allineati» (cioè
non appartenenti al blocco militare sovietico).
205) In breve, lo schieramento comunista non diede segni di espansione significativa nel
periodo che va dalla rivoluzione cinese (1949) agli anni ‘70, (quando ormai) la Cina
comunista ormai era uscita dal blocco degli alleati dell’URSS. Alla metà degli anni ‘70, quando il
sistema internazionale e le sue componenti entrarono in un altro periodo di prolungata
crisi economica e politica, entrambe le superpotenze accettarono la divisione del mondo,
pur con le sue irregolarità, e fecero ogni sforzo per comporre le dispute circa le linee di
demarcazione, senza pervenire a uno scontro aperto tra le loro forze armate, che avrebbe
potuto portare a una guerra. Così, ad esempio, durante la guerra di Corea del 1950-53, nella quale
gli americani ma non i russi erano ufficialmente coinvolti, Washington sapeva perfettamente che circa
150 aeroplani cinesi erano in realtà aeroplani sovietici guidati da piloti sovietici. L’informazione fu
tenuta nascosta. Durante la crisi di Cuba del 1962, come ora ben sappiamo, la preoccupazione principale
di ambo le parti fu di impedire che i gesti di ostilità fossero fraintesi come passi effettivi verso la guerra.
206) HOBSBAWM,272-280 Probabilmente il periodo più esplosivo fu quello tra
l’enunciazione formale della «dottrina Truman» nel marzo del 1947 e l’aprile del 1951,
quando lo stesso presidente Truman rimosse dall’incarico il generale Douglas MacArthur, comandante
delle forze americane nella guerra di Corea (1950-53), perché aveva spinto troppo innanzi la propria
ambizione militare. Per converso, l’URSS si trovava a dover fronteggiare una potenza come gli USA che
godeva del monopolio delle armi nucleari e che moltiplicava le proprie dichiarazioni minacciose e
combattive di anticomunismo, proprio mentre nella solidità del blocco sovietico comparivano le prime
crepe con il distacco da parte della Jugoslavia di Tito (1948).
207) Dopo che l’URSS acquisì le armi nucleari -quattro anni dopo Hiroshima per quanto
riguarda la bomba atomica (1949) e con nove mesi di ritardo sugli USA per quanto
riguarda la bomba all’idrogeno (1953) - entrambe le superpotenze abbandonarono la
guerra come strumento di lotta politica, dal momento che essa sarebbe stata l’equivalente
di un patto suicida. Entrambe le superpotenze fecero però ricorso alla minaccia nucleare,
quasi certamente senza l’intenzione di metterla in atto. La crisi dei missili a Cuba nel 1962 fu uno sterile
esercizio di questo tipo, che per qualche giorno rischiò di far precipitare il mondo in una inutile guerra.
208) In primo luogo la Guerra fredda si basava sulla convinzione occidentale che il
futuro del capitalismo mondiale e della società liberale era tutt’altro che sicuro. La
maggioranza degli osservatori si aspettava una grave crisi economica postbellica,
perfino negli USA, in analogia con quanto era successo dopo la prima guerra mondiale...Infatti i
programmi postbellici del governo americano erano rivolti assai più a impedire concretamente
un’altra Grande crisi che a prevenire un’altra guerra. Washington si aspettava «grandi
sconvolgimenti postbellici», che avrebbero minato «la stabilità sociale, politica ed
economica del mondo», perché i paesi belligeranti, con l’eccezione degli USA, erano un cumulo di
macerie ed erano abitati da popoli che, agli americani, apparivano affamati, disperati e radicalizzati,
pronti soltanto ad ascoltare l’appello alla rivoluzione sociale. Inoltre, il sistema internazionale
precedente alla guerra era crollato e gli USA erano rimasti da soli a fronteggiare in gran
parte d’Europa e in ancor più vaste regioni degli altri continenti un paese comunista
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enormemente rafforzato come l’URSS. Immediatamente dopo la guerra, la situazione in molti
paesi liberati e occupati sembrava sfavorevole ai moderati, i quali potevano contare solo sul
sostegno degli alleati occidentali mentre erano assediati fuori e dentro i loro governi dai comunisti, i
quali erano emersi dovunque dalla guerra molto più forti che in passato, talvolta
diventando i primi partiti dei loro paesi.
209) Non è sorprendente che l’alleanza del tempo di guerra dovesse rompersi, ma si poteva
ragionevolmente prevedere, perfino nel 1945-47, che l’URSS non era espansionista e ancor meno aveva
intenzioni aggressive. Infatti, dove Mosca controllava regimi satelliti e movimenti comunisti,
questi erano specificamente tenuti a non edificare stati sul modello dell’URSS, bensì stati
con economia mista in regime di democrazia parlamentare multipartitica, che venivano
distinti con precisione dalla «dittatura del proletariato» e ancor più dalla dittatura di un
singolo partito. Nei documenti interni dei partiti comunisti queste forme dittatoriali venivano
descritte come «né utili né necessarie» (Spriano, 1983, p. 265). (I soli regimi comunisti che si rifiutarono
di seguire questa linea furono quelli le cui rivoluzioni, attivamente scoraggiate da Stalin, sfuggirono al
controllo moscovita, come ad esempio in Jugoslavia). Inoltre, sebbene questo aspetto non sia
stato molto considerato, l’Unione Sovietica smobilitò le sue truppe quasi altrettanto
rapidamente degli USA, riducendo l’Armata rossa da un massimo di quasi dodici milioni, che fu toccato
nel 1945, a tre milioni verso la fine del 1948.
210) Qualunque valutazione razionale avrebbe dovuto concludere che l’URSS non
costituiva un pericolo immediato per alcuno al di fuori della sfera d’occupazione delle
forze dell’Armata rossa. Il paese usciva in rovine dalla guerra, stremato ed esausto, con
l’economia del tempo di pace a pezzi [V.par.24], inoltre, sul versante occidentale dell’URSS
persistettero per alcuni anni le difficoltà del governo centrale nel trattare con gli ucraini e
con altri movimenti di guerriglia nazionalistica. Il paese necessitava di tutto l’aiuto
economico che avrebbe potuto ottenere e, perciò, non aveva interesse nel breve periodo a
contrastare l’unica potenza che poteva concederglielo, gli USA. Senza dubbio Stalin, in quanto
comunista, credeva che il capitalismo sarebbe stato inevitabilmente sostituito dal comunismo e, sotto
questo profilo, nessuna coesistenza dei due sistemi sarebbe stata permanente. I dirigenti sovietici
non consideravano però in crisi il capitalismo alla fine della seconda guerra mondiale.
Essi non dubitavano che il capitalismo sarebbe vissuto ancora a lungo sotto l’egemonia degli USA, la cui
ricchezza e potenza enormemente accresciute erano sin troppo palesi. Questo era dunque ciò che l’URSS
sospettava e temeva. Il suo atteggiamento fondamentale dopo la guerra non era aggressivo,
ma difensivo. (I sovietici sarebbero stati ancor più sospettosi se avessero saputo che lo stato maggiore
americano aveva elaborato un piano per bombardare con armi nucleari le venti più grandi città
sovietiche entro dieci settimane dalla fine della guerra).
211) Tuttavia una politica di scontro tra le due parti scaturì dalla loro situazione
reciproca. L’URSS, consapevole della precarietà e insicurezza della sua posizione, si trovava di fronte
alla potenza mondiale degli USA consapevoli a loro volta della precarietà e insicurezza dell’Europa
centrale e occidentale e dell’incerto futuro della maggior parte dell’Asia... In breve, mentre gli USA
erano preoccupati del pericolo di una possibile futura supremazia mondiale dell’Unione
Sovietica, Mosca era preoccupata per la già presente egemonia americana su tutte le
regioni del pianeta non occupate dall’Armata rossa...Dal punto di vista sovietico
l’intransigenza era la tattica più logica e si doveva adottarla senza curarsi del fatto che
gli USA interpretassero la posizione moscovita come un bluff.
212) Tra i due contendenti era proprio la democrazia americana la più pericolosa. Un
nemico esterno che minacciava gli USA era utile per i governi americani. L’isteria collettiva
anticomunista rendeva più facile per l’amministrazione presidenziale reperire le grandi somme di
denaro richieste dalla politica americana, ricavandole da una cittadinanza come quella americana
notoriamente refrattaria a pagare le tasse.
La richiesta schizoide, avanzata da politici assai sensibili agli umori dell’elettorato, di una
linea politica che respingesse l’ondata dell’«aggressione comunista», senza troppo dispendio di denaro e
senza interferire troppo nel confortevole tenore di vita americano, costrinse Washington, e con esso il
resto degli alleati, non solo a adottare una strategia essenzialmente nucleare basata sulle bombe
più che sugli uomini, ma anche una strategia minacciosa di «rappresaglia massiccia», annunciata nel
1954...In breve, gli USA si trovarono costretti ad assumere una posizione aggressiva, con
la minima flessibilità tattica.
213) Entrambi gli schieramenti si trovarono perciò impegnati in una folle corsa per
accumulare armi di distruzione reciproca e si consegnarono ai voleri di ciò che il presidente
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Eisenhower -un militare moderato della vecchia scuola, che si trovò a presiedere gli Stati Uniti negli
anni di questa discesa verso la follia senza peraltro rimanerne infetto- definì all’atto del suo ritiro il
«complesso militarindustriale», cioè l’apparato sempre più grande di uomini e di risorse che
esistevano solo per preparare la guerra. Si trattava del più largo blocco di interessi costituiti
che si fosse mai visto prima in tempi di pace stabile tra le potenze. Entrambi i complessi
militar-industriali erano incoraggiati dai rispettivi governi a far uso di tutte le loro abnormi capacità
per attirare e armare alleati e clienti e, per conquistare mercati d’esportazione remunerativi,
mantenendo però per se stessi le armi più sofisticate e moderne e, ovviamente, l’arsenale nucleare.
214) Le superpotenze conservarono il monopolio nucleare. Gli inglesi acquisirono le proprie
bombe nucleari nel 1952, con lo scopo (su cui si potrebbe ironizzare) di attenuare la propria dipendenza
dagli USA; i francesi (il cui arsenale nucleare era effettivamente indipendente da quello americano) e i
cinesi le acquisirono negli anni ‘60. Nel corso degli anni ‘70 e ‘80 alcuni altri paesi acquisirono la
capacità di costruire armi nucleari:Israele, il Sud Africa e probabilmente l’India, ma non diventò un
serio problema internazionale fino al termine dell’ordine mondiale bipolare nel 1989.
215) Il tono apocalittico della Guerra fredda proveniva dall’America. In gioco non era la
minaccia ipotetica di un dominio comunista mondiale, ma il mantenimento della
supremazia statunitense. («Noi forgeremo la nostra forza e torneremo a essere i primi. Non i primi,
se...Non i primi, ma...I primi, punto e basta. Voglio che il mondo si chieda non che cosa sta facendo il
signor Chruscèv, ma che cosa stanno facendo gli Stati Uniti.» - J.F.Kennedy) I paesi aderenti alla
NATO, benché tutt’altro che soddisfatti della politica americana, erano pronti ad
accettare la supremazia americana come prezzo per la protezione contro la potenza
militare dell’URSS.
216) Le armi nucleari non vennero usate. Né in Corea nel 1950; né in Vietnam; né in Afghanistan
da cui L’URSS si ritirò nel 1988. La costante minaccia di guerra produsse movimenti pacifisti
internazionali, rivolti essenzialmente contro le armi nucleari, che di tanto in tanto
divennero movimenti di massa in varie regioni d’Europa e che dai crociati della Guerra
fredda vennero considerati come armi segrete dei comunisti.
217) La Guerra fredda polarizzò in due campi nettamente divisi il mondo controllato dalle
superpotenze. I governi di unità nazionale antifascista, che avevano guidato quasi tutti i
paesi europei fuori della guerra si divisero dando origine nel 1947-48 a regimi omogenei
filocomunisti o anticomunisti. Gli USA pianificarono un intervento militare nel caso i
comunisti avessero vinto le elezioni del 1948 in Italia. L’URSS fece altrettanto, eliminando i non
comunisti dalle «democrazie popolari» multipartitiche. Un’Internazionale comunista
curiosamente ristretta ed eurocentrica (il Cominform o Ufficio di informazione dei partiti
comunisti) fu istituita per contrastare gli USA, ma si sciolse tranquillamente nel 1956,
quando la temperatura internazionale si raffreddò.
218) In Italia gli USA consegnarono il paese in mano ai democratici cristiani, sostenuti a
seconda delle occasioni dai liberali, dai repubblicani, etc. Dall’inizio degli anni ‘60 il
partito socialista si aggregò alla coalizione governativa. In entrambi i paesi, i comunisti
(in Giappone i socialisti) furono stabilmente il più importante partito di opposizione e si
insediò un regime governativo di corruzione istituzionale che, quando esso venne
finalmente alla luce nel 1992-93, lasciò di stucco perfino gli italiani e i giapponesi. Sia il
governo sia l’opposizione, entrambi congelati in un sistema immobile, crollarono con la fine
dell’equilibrio tra le superpotenze che li aveva tenuti in piedi.
219) L’effetto della Guerra fredda sulla politica internazionale dell’Europa evidente. Sia
dagli USA sia contro di essi fu infatti creata la Comunità europea: una forma di integrazione
economica e in parte giuridica di un certo numero di stati nazionali indipendenti.. Non c’era solo la
paura dell’URSS. Per la Francia il pericolo principale restava la Germania, timore condiviso in
misura minore dagli altri stati europei i quali tutti si ritrovarono con una Germania economicamente
risorta e riarmata, ma fortunatamente troncata in due pezzi. Naturalmente si temevano anche gli
USA, alleati indispensabili contro l’URSS, ma inaffidabili e sempre pronti ad anteporre gli
interessi della supremazia mondiale americana a ogni altra cosa.
220) Nel giugno 1947, fu lanciato il Piano Marshall per imporre agli stati europei la creazione
di un’unica Europa modellata sugli USA, per quanto riguardava sia la struttura politica sia una
prospera economia di libera impresa. Un’idea simile non piaceva né agli inglesi, che si
consideravano ancora una potenza mondiale, né ai francesi, che sognavano una Francia
forte e una Germania debole e divisa. Per gli americani, però, un’Europa efficacemente
ricostruita doveva realisticamente fondarsi su una forte economia tedesca e sul riarmo
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della Germania. I francesi poterono soltanto intrecciare così strettamente gli interessi francesi e quelli
tedesco-occidentali da rendere impossibile il sorgere di un nuovo conflitto: proposero la Comunità
Europea del Carbone e dell’Acciaio (1950), che si sviluppò nella Comunità economica
europea o Mercato comune europeo (1957), più tardi semplicemente designata come
Comunità europea e, dal 1993, come Unione europea. I suoi quartieri generali erano a
Bruxelles, ma il suo vero nucleo risiedeva nell’unità franco-tedesca. La Comunità europea
fu stabilita come un ‘alternativa al piano americano di integrazione europea.
221) Col prolungarsi della Guerra fredda, si manifestò una divaricazione crescente tra lo
schiacciante predominio militare, e perciò politico, di Washington all’interno
dell’alleanza e il graduale indebolirsi del predominio economico americano. I dollari, così
scarsi nel 1947, erano usciti dagli USA con un flusso crescente, accelerato, specialmente negli anni ‘60,
per finanziare i costi enormi delle attività militari mondiali, in particolare della guerra del Vietnam
(dopo il 1965), come pure per finanziare il più ambizioso programma di stato assistenziale della storia
degli Stati Uniti. Il dollaro in teoria era garantito dall’oro di Fort Knox, dove erano
incamerati quasi i tre quarti delle riserve auree mondiali, ma in pratica si traduceva
sempre di più in un flusso di cartamoneta e di partite di giro. Per la maggior parte degli anni
‘60 la stabilità del dollaro si basò sulla disponibilità delle banche centrali dei paesi europei -dietro
pressione degli USA- a non richiedere l’incasso in oro dei loro dollari e ad associarsi in un «Consorzio
aureo» per stabilizzare il prezzo dell’oro sul mercato. Nel 1968 il Consorzio aureo, ormai dissanguato,
fu sciolto. Defacto la convertibilità del dollaro finì. Nell’agosto del 1971 fu formalmente
abbandonata e con ciò ebbe termine la stabilità del sistema internazionale di pagamento.
Quando finì la Guerra fredda perfino l’egemonia militare non poté più essere finanziata
con le sole risorse del paese.
SCHEDA: Il movimento dei Partigiani della pace
222) Acc,XI,567-575;XII,575,586 Alla fine degli anni ’40 videro la luce la “dottrina Truman” e il
“piano Marshall”; scoppiò la cosiddetta crisi di Berlino del 1948-49 che minaccio di accendere un focolaio
di guerra nel centro dell’Europa; si formarono il blocco occidentale e successivamente quello Nordatlantico chiaramente diretti contro l’URSS e si cominciò a capire che la “guerra fredda”, la preparazione
psicologica all’aggressione dei paesi socialisti poteva portare alla guerra atomica. L’insofferenza per il
pericolo di guerra in tutto il mondo fu dovuto anche all’aggressione delle potenze imperialiste
contro l’Indonesia, la Malaisia, la Grecia, il Vietnam.
223) Nel 1948, nacquero comitati per la difesa della pace in varie province e città italiane.
Nel luglio del 1948 si tenne a Londra la conferenza di lotta per la pace alla quale parteciparono più
di 1.300 delegati. Nello stesso anno nasceva in Giappone la “Lega libertà, pace e indipendenza“. Ci
furono anche le prime manifestazioni contro la guerra negli USA.
224) Nell’agosto del 1948 in Polonia si tenne un congresso mondiale degli operatori culturali in
difesa della pace. Vi parteciparono più di 500 scienziati, scrittori e artisti di 45 paesi. Il congresso diede
vita a un Ufficio internazionale di collegamento del quale entrarono a far parte il più famoso fisico
francese Frederic Joliot-Curie, lo scrittore sovietico Aleksandr Fadeev, il cantante americano Paul
Robeson, il poeta cileno Pablo Neruda e altri.
Il 25 febbraio 1949 l’Ufficio internazionale di collegamento, la Federazione democratica
internazionale delle donne e 75 famose personalità di 17 paesi pubblicarono un appello per la
convocazione di un congresso mondiale dei partigiani della pace. Si dichiararono favorevoli alla
convocazione 18 organizzazioni internazionali, 1.015 organizzazioni nazionali e più di 10 mila
organizzazioni regionali, 2.895 famose personalità di 72 paesi. In molti paesi nacquero comitati
nazionali in difesa della pace (Italia, India, Giappone, Bulgaria, ecc.).
225) Il congresso si sarebbe dovuto tenere a Parigi. Il governo francese rifiutò il visto di ingresso ai
delegati cinesi, polacchi e bulgari e ridusse il numero dei visti di ingresso per la delegazione sovietica. Si
decise allora di tenere contemporaneamente a quella di Parigi una seduta del congresso a Praga.
Il congresso di Parigi-Praga dei partigiani della pace del 20-25 aprile 1949 unì in nome di
uno scopo comune i rappresentanti di partiti e classi diverse, uomini di convinzioni politiche e
religiose diverse. Presero parte ai lavori 2.287 delegati in rappresentanza di 72 paesi, di 12
organizzazioni internazionali e di 561 organizzazioni nazionali. I delegati si pronunciarono all’unanimità
46
per la proibizione della bomba atomica e di tutti i mezzi di distruzione di massa, per la riduzione dei
bilanci militari e per la limitazione delle forze armate delle grandi potenze; essi appoggiarono la lotta dei
popoli per l’indipendenza nazionale e condannarono l’isteria bellicistica e la propaganda a favore di una
nuova guerra. “Noi ci siamo riuniti - dichiarò Joliot-Curie - non per chiedere la pace ai fomentatori di
guerra ma per imporre loro la pace”.
226) Fu eletto un Comitato permanente che comprendeva rappresentanti dell’opinione pubblica
progressista di 72 paesi. Fu eletto presidente del comitato Juliot-Curie, famoso scienziato, che
durante la Resistenza era stato commissario supremo in Francia per i problemi dell’energia atomica. I
portuali di Dunkerque e successivamente quelli di Saint Nazaire, Nantes, Rouen, La Rochelle si
rifiutarono di scaricare materiale bellico in arrivo dagli Stati Uniti. Gli equipaggi delle navi
francesi, i ferrovieri della Francia del sud-est, i portuali di Marsiglia, Tolone, Brest, Boulogne e di
altri porti francesi sempre più di frequente si rifiutarono di caricare e trasportare truppe e
materiali bellici diretti nel Vietnam.
227) L’esempio dei compagni francesi fu imitato dai portuali italiani (Napoli, Ancona, ecc) e belgi
(Anversa). Nel 1949 in Italia furono raccolti 8 milioni di firme contro l’ingresso dell’Italia nella
NATO. Giacomini 68 La polizia intervenne in varie località per impedire o sciogliere le
manifestazioni. A Roma cariche brutali e ripetute tentarono di disperdere gli assembramenti di protesta
che per tre giorni, in concomitanza col dibattito parlamentare, si rinnovarono davanti a Montecitorio e
nelle strade e nelle piazze del centro. Fuori della capitale rimasero memorabili l'eccidio di Terni e la
grande manifestazione di Torino con 50 mila persone.
228) Nonostante le repressioni poliziesche si diffuse il movimento contro il riarmo della Germania
Occidentale al quale parteciparono attivamente gli operai, gli intellettuali progressisti e la gioventù. Il
94 % degli operai dei cantieri navali di Amburgo si oppose alla costituzione dell’esercito nella
Germania Occidentale.
229) Nell’aprile del 1949 si svolse il primo congresso in difesa della pace in Giappone con 1.300
delegati in rappresentanza di 100 organizzazioni democratiche. Il congresso rivolse un appello al popolo
giapponese a difendere la pace e l’indipendenza del Giappone, a opporsi al riarmo e alla inclusione in
blocchi militari e a battersi per la conclusione di un patto di pace che proibisse l’uso delle armi atomiche.
Conferenze dei partigiani della pace furono tenute anche in Cina (ottobre 1949), in India (novembre
1949), in Mongolia e in altri paesi asiatici.
230) Nell’aprile del 1949, 300 scienziati e uomini di cultura americani ed esponenti della Chiesa
protestante di 33 Stati inviarono una lettera al presidente Truman con la quale lo invitavano a iniziare
trattative con l’URSS per dare soluzione pacifica alle questioni. L’1-2 ottobre 1949 a Chicago ci fu la
prima conferenza dei sindacati in difesa della pace, con più di 1.000 delegati di 28 Stati. Tuttavia,
l’azione scissionista dei sindacati più grossi impedì che la classe operaia statunitense partecipasse
attivamente alla lotta per la pace.
231) Nel settembre del 1949 a Città del Messico fu celebrato il congresso continentale in difesa della
pace con più di 1.000 delegati di 19 paesi latinoamericani e più di 200 rappresentanti degli Stati Uniti. Il
manifesto finale faceva appello ai popoli d’America perché si battessero per la pace, per la sovranità
nazionale e l’indipendenza economica, contro ogni tentativo di scatenare una nuova guerra.
232) Dopo il primo congresso, nacquero i comitati di difesa della pace anche nell’Africa francese,
nell’Africa equatoriale e settentrionale. In Algeria, Tunisia e Marocco i portuali rifiutarono di caricare
materiale bellico.
233) Fin dalla nascita, al movimento per la pace parteciparono i sovietici e i popoli degli altri paesi
socialisti.
234) Il II congresso mondiale dei sindacati (Milano, giugno-luglio 1949) invitò le centrali
sindacali e le organizzazioni professionali membri della Federazione sindacale mondiale a
prendere parte attiva all’attività dei partigiani della pace. Su invito del Comitato
permanente, il 2 ottobre 1949 fu celebrata la giornata internazionale di lotta per la pace. In
60 paesi ci furono dimostrazioni di massa, comizi e manifestazioni contro i fomentatori di
guerra, per la pace la sicurezza dei popoli. La sessione di Roma (ottobre 1949) del comitato
permanente del congresso dei partigiani della pace invitò i governi a intraprendere immediatamente
47
passi concreti verso trattative per la cessazione della guerra in Grecia, nel Vietnam, in Indonesia e
nella Malaisia, perché venisse vietato e distrutto l’armamento atomico e perché si giungesse
nell’ambito dell’ONU a un patto di pace tra le grandi potenze. Analoghe richieste erano contenute
nell’Appello del comitato permanente diretto ai Parlamentari di tutti i paesi (dicembre 1949).
Il Soviet supremo dell’URSS e i parlamenti degli altri paesi socialisti approvarono la proposta del
comitato permanente. Sotto la pressione dell’opinione pubblica furono costretti ad accogliere le
delegazioni che portavano il testo dell’appello il presidente della Camera dei deputati italiana, quello
dell’Assemblea nazionale francese, quelli del Parlamento finlandese e del Parlamento svedese. Il governo
britannico e quello statunitense non consentirono l’ingresso nei rispettivi paesi alle delegazioni dei
partigiani della pace; il governo olandese allontanò dal paese sotto scorta la delegazione; il Parlamento
belga si rifiutò di discutere l’appello. In Gran Bretagna il comitato esecutivo del partito laburista
decise nel giugno del 1949 di espellere dal partito coloro che avessero preso parte al movimento per
la pace. Nella Germania Occidentale l’appartenenza al movimento dei partigiani della pace fu
dichiarato inconciliabile con l’appartenenza al sindacato. Negli Stati Uniti coloro che raccoglievano
le firme per l’appello in difesa la pace furono perseguitati e imprigionati: il centro di informazioni
dei partigiani della pace fu costretto a chiudere e fu dichiarato “organizzazione di sabotaggio”.
235) Il movimento si estese a tutti i continenti e a quasi tutti i paesi della terra. Vi presero
parte persone di ogni razza, nazionalità, classe, religione, convincimenti politici. Fu un
movimento antimperialista e democratico. Il movimento dei partigiani della pace si batté perché
fosse evitata una nuova guerra mondiale e nuove guerre locali, perché fossero eliminati i focolai di
conflitto; si batté per la distensione internazionale, per la cessazione della corsa agli armamenti, per la
proibizione delle armi di distruzione di massa, per il disarmo. Il movimento difese il principio della
coesistenza pacifica degli Stati con ordinamenti sociali diversi quale norma e regola direttrice nei rapporti
internazionali. Il movimento fu sostenuto da tutti i popoli che si stavano battendo per la propria
liberazione nazionale, contro il colonialismo, il neocolonialismo, il razzismo e l’apartheid.
236) Giacomini,92-93 Il primo sbarco di armi americane avviene a Napoli, in gran segreto, la notte
tra l'11 aprile e il 12 aprile (1950)...Anche se con un po' di ritardo, la protesta popolare si organizza. Il
Consiglio delle leghe riunito a tarda notte, indice lo sciopero generale, che vede all'indomani la piena
adesione degli operai metallurgici, dei lavoratori degli stabilimenti chimici Montecatini e di varie altre
fabbriche e aziende, gli studenti di alcune scuole. Un comizio si svolge davanti alla Camera del Lavoro,
mentre le jeeps della polizia si esibiscono in caroselli intorno ai manifestanti. Cortei si improvvisano in
vari punti della città. La stazione e il porto sono bloccati con cavalli di frisia e filo spinato, e carabinieri,
polizia e truppa convogliati da tutta Italia danno l'immagine di una città militarmente occupata. Scrive
Emilio Sereni: Tra le migliaia di portuali di Napoli solo trenta mani si sono trovate umiliate al servizio
dello straniero. Le armi straniere si sono dovute scaricare con l 'ausilio e l'intervento delle forze di
polizia in servizio comandato"...I Comitati provinciali e comunali della pace a Bologna fermano tutte le
fabbriche. Lo sbarco delle armi era stato preceduto in marzo dall'adozione di misure tese a restringere
gravemente le libertà democratiche. (Queste si intrecciarono con le misure intese a reprimere il
movimento contadino di occupazione della terra)...Pochi giorni dopo il ministro del Lavoro annunciava
l'imminente varo di misure antisciopero. A Milano scesero in piazza 100.000 persone; mentre nelle
fabbriche si svolse un massiccio sciopero generale; 120.000 persone manifestarono a Genova. (Scioperi
nelle fabbriche, scioperi generali, manifestazioni con decine di migliaia di manifestanti) si ebbero in varie città. Il 14
marzo, a Venezia, la polizia sparò, a scopo intimidatorio, sui manifestanti; A Terni la polizia attaccò i
manifestanti, senza riuscire a interrompere la manifestazione. Il 21 due braccianti vengono uccisi dalla
polizia e altri 10 gravemente feriti, a Lentella (Chieti). La CGIL proclama uno sciopero generale di
protesta che riesce imponente. Numerosi i feriti e gli arrestati negli scontri. A Parma, dopo un comizio
con 30.000 persone, la polizia fa uso delle armi da fuoco: resta sul terreno il trentaduenne Attila Alberti,
disoccupato. Parecchi sono i feriti. Lo sciopero generale continuerà anche l'indomani e i funerali si
traformeranno in una imponente protesta di popolo.
Giacomini,138-139 - contro le armi nucleari:"Non vi è paese d'Italia dove uomini e donne non
siano stati chiamati dalla polizia, minacciati, intimiditi, sovente fermati o arrestati; non vi è paese
d'Italia dove qualcuno dal pulpito non abbia predicato contro chi raccoglieva le firme"- Giuliano Pajetta
Giacomini,202 - contro la visita di Eisenhower, 17/1/1951- "vattene Ike"! A Milano, a Roma,
Bologna, Catania, Napoli fermate dal lavoro, proteste, manifestazioni di massa. La polizia spara ad
Adrano (Catania) e uccide un giovane bracciante, Girolamo Rosano. 11 persone sono ferite; Francesco
Greco, di 14 anni verrà a stento strappato dalla morte, ma una povera vecchia che si era affacciata alla
48
finestra, pagherà con la vita. A Comacchio (Ferrara) i carabinieri caricano la folla e aprono il fuoco: tre
feriti gravi, Antonio Fantinuolo di 60 anni, padre di 5 figli, morirà per le ferite riportate.
237) Giacomini,295-308 Con la svolta segnata dalla guerra fredda e dall'avvio di una fase di
incontri e negoziazioni tra le grandi potenze, si diffonde nell'opinione pubblica mondiale la sensazione
che il peggio sia passato...Emergono nuovi problemi, nuove dislocazioni di forze, necessità di
riaggiustare strategie,tattiche,obiettivi
In Italia, la rete articolata e capillare, costituita dagli oltre 20.000 Comitati per la pace diffusi in
tutto il territorio nazionale e nelle principali realtà produttive, viene ad assottigliarsi e a decadere...Si
lascia cadere lo stesso termine di «partigiani della pace» in cui sembrava riflettersi il carattere
particolarmente aspro e militante della lotta per la pace dei primi anni '50...Dopo il successo - elezioni
del 7 giugno 1953 [V.par.265,ss. - sulla «legge truffa»]-, la sinistra italiana non riesce ad elaborare una
strategia unitaria...Al I Congresso nazionale del Movimento italiano della pace -17/18 dicembre 1955-, la
conclusione di Nenni, pur ottimistica, è un discorso di addio, con cui il leader socialista non solo lascia la
carica di presidente nazionale del Movimento, ma prepara il suo distacco dall'impegno unitario...Due
anni dopo, sull'onda dell'emozione per il XX Congresso del PCUS, il PSI accompagnerà l'uscita ufficiale
dal Movimento dei partigiani della pace all'accettazione della NATO. Ma anche nel PCI si registra un
rapido declino di impegno e di interesse. Il Movimento si riorganizza a partire dalla primavera del '57
attorno alla lotta contro l'installazione di basi missilistiche e nucleari.
Il movimento su scala internazionale si mobilita, nella seconda metà degli anni cinquanta, nella
lotta per porre fine agli esperimenti nucleari nell'atmosfera. Nel luglio 1957, in Canada, 22
scienziati di 19 paesi tengono una conferenza scientifica internazionale sui pericoli dell'energia nucleare
e sui pericoli delle armi nucleari. Ne nascerà il movimento di Pugwash, ispirato agli ultimi appelli di
Einstein tradotti in pratica da Bertrand Russell. Il 13 gennaio 1959 viene presentata all'Onu una
petizione, firmata da 9.935 scienziati di tutti i paesi, contro gli esperimenti nucleari. Il 25 luglio 1963 trattato di Mosca, tra USA,URSS e Inghilterra, aperto all'adesione di altre nazioni- viene firmato un
trattato che sancirà il divieto degli esperimenti nucleari nell'atmosfera. La rottura della
tregua nel 1960-61 -si acutizza la tensione internazionale che culmina nella crisi dei missili a Cuba
(ottobre 1962)- porta al rilancio di una forte iniziativa di massa del movimento pacifista.
Con l'allentarsi della guerra fredda e l'affacciarsi di movimenti distensivi, si assiste al
proliferare di gruppi, movimenti, iniziative al di fuori del Movimento dei partigiani della pace...È il
frutto dell'attivizzarsi in forme autonome di strati sociali intermedi, anche a causa di
elementi di insoddisfazione nei confronti dell'esperienza dei paesi socialisti e delle forze tradizionali della
sinistra socialdemocratica e comunista. Queste appaiono -specialmente in ambienti giovanili e
intellettuali- viziate da burocratismo e in varia misura compromesse nella «gestione del sistema»,
fenomeno da cui trarrà origine la realtà delle cosiddette «nuove sinistre». Nell'aprile 1957, diciotto
scienziati tedeschi, firmano un appello «dichiarazione di Gottingen» contro il progetto di dotare la
Bundswehr di armi atomiche tattiche. Nascono qui, dal '58, le «marce di Pasqua»,che diventeranno
tradizionali. Movimenti analoghi sorgeranno in Inghilterra e negli USA. Velio Spano ad una riunione del
Movimento italiano per la pace affermerà "Noi non rivendichiamo il monopolio della lotta per la pace".
In Italia si avrà l'incontro con le componenti «non violente» del pacifismo, che si concretizza in
particolare nella Marcia per la pace Perugia-Assisi del 24 settembre 1961, promossa da Aldo Capitini.
(Successivamente) l'epicentro del movimento tende a spostarsi dall'Europa verso i movimenti del
Terzo mondo, mentre nell'Occidente capitalistico si sviluppano campagne continue con i popoli in lotta,
fino al '62 col popolo algerino, negli anni successivi attorno al Viet Nam. Alla fine degli anni settanta,
con l'affermarsi di una «seconda guerra fredda» si avrà un rilancio delle iniziative e delle tematiche più
specificamente antinucleari.
Da "Cuori Rossi"
24 febbraio 1945, nella Milano ancora in mano ai nazifascisti, viene assassinato il compagno Eugenio
Curiel, fondatore del "Fronte della gioventù per l'indipendenza nazionale e la libertà", (pagg.18-24)
In un giorno della vita
ho camminato con Giorgio
a capo scoperto nel cielo.
Giorgio era il Partito
Giorgio era il suo cuore
maturo come un frutto
Giorgio era la sua voce
49
inceppata e sicura,
i denti neri, il tabacco nero
la sigaretta arrotolata
un desiderio di svegliare
il mondo coi suoi pensieri.
Ho udito Giorgio
ho visto Giorgio
alto come le case nell'orizzonte del cielo.
A maggio lo portammo al cimitero.
Se potevamo camminare
e coprirlo di fiori e di bandiere
era perché da morto ci indicava
la grande strada della primavera.
Alfonso Gatti - In memoria di Giorgio (nome di battaglia di Eugenio Curiel)
"Dopo la fine della seconda guerra mondiale, dimenticati in fretta i cinquanta milioni di morti causati dal
conflitto, i vivi vengono presi in ostaggio da una nuova parola: quella che, senza vergogna, spiega come
dopo l'8 settembre l'Italia sia entrata in una fase in cui il conflitto sarà a "bassa intensità" (p.27)
"E quando, il 18 aprile del 1948, si torna alle urne, si scopre che il terrore (e l'odio) rende più di qualunque
propaganda visto che la maggioranza dei consensi va a un partito molto diverso rispetto a quello che aveva
vinto le elezioni un anno prima: la democrazia cristiana.(p.45)
"Con la democrazia cristiana al governo e la sinistra confinata tra i banchi dell'opposizione il destino
dell'Italia, un Paese a "democrazia limitata" si compie. In Sicilia, la lunga campagna terroristica che, iniziata
nel 1944, costerà la vita a decine di esponenti del mondo contadino e sindacale, attenua la sua ferocia anche se
non smetterà mai di decretare la morte violenta nei confronti di chi osa mettere in discussione gli assetti di
potere e le sue decisioni liberticide" (p.46)
La Sicilia - e l'Italia - delle stragi mafiose, fasciste e di Stato (p.25-55)
17 giugno 1945 - Randazzo (Catania): tre morti
1 maggio 1947 - Portella della Ginestra (Palermo): sedici morti
22 giugno 1947 - Palermo: due morti
La repressione del movimento delle occupazioni delle terre in Calabria('46-'49) (p.56-64)
28 novembre 1946 - Calabricata (Catanzaro): una morta
13 aprile 1947 - Petilia Policastro (Crotone): due morti (una donna e un uomo)
29 ottobre 1949 - Isola di Capo Rizzuto (Crotone):un morto
29 ottobre 1949 - Melissa (Crotone):due morti
9 novembre 1949 - Crotone: una morta
La guerra delle borgate (p.65-68)
5 dicembre 1947 - sciopero contro la fame indetto dai sindacati- Roma: un morto, tafferugli e interruzioni del
traffico a ponte Garibaldi, a Ponte Milvio, ad Ostia, sulla Casilina
Le elezioni "democratiche" e la strage della bandiera insanguinata (p.69-73)
9 febbraio 1948 - S.Ferdinando di Puglia (Foggia): cinque morti fra cui Raffaele Riontino, di anni 7. Madonne
che piangono, pressioni e ingerenze americane, italo-americani mobilitati, aiuti del piano Marshall "Coi
discorsi di Togliatti non si condisce la pastasciutta. Perciò le persone intelligenti votano per De Gasperi che ha
ottenuto gratis dall'America la farina per gli spaghetti e anche il condimento - [da una manifesto della DC]". Con
ogni mezzo si cerca di impedire il comizio comunista, assalito dagli squadristi il capocellula di S.Ferdinando
spara e ferisce uno squadrista alla coscia. La ritorsione squadrista fin dentro la sede dell'ANPI avviene a colpi
di mitra.
La repressione della rivoluzione che non c'è mai stata (l'attentato a Togliatti) (p.74-87)
Ma se la rivoluzione non è un pranzo di gala non è neppure un colpo di testa: una cosa che possa essere
decisa lasciandosi trasportare dall'indignazione o dall'emozione. I dirigenti comunisti riflettono. Ci sono i
partigiani pronti a entrare in azione, ci sono le armi mai completamente riconsegnate ai carabinieri, ma
sopratutto c'è una grande puzza di provocazione...doversi ritrovare a fronteggiare una mobilitazione
di massa darebbe alla polizia, già epurata da Mario Scelba dalla quasi totalità degli elementi di sinistra, un
ottima scusa per abbandonarsi a una carneficina. Dopo aver seppellito i morti ci avrebbe pensato la
Democrazia Cristiana a completare l'opera, varando in fretta una legge tanto attesa sia dagli
Stati Uniti che dal Vaticano e dichiarando illegale l'intero PCI." (p.76-78)
14 luglio 1948 - Roma: un morto; Genova: tre morti; Napoli: due morti; Taranto: un morto
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15 luglio 1948 - Porto Marghera (Venezia) un morto; Gravina di Puglia (Bari): un morto
17 luglio 1948 - Livorno: un morto
18 luglio 1948 - Siena: un morto
Le vittime della NATO e il nuovo ordine mondiale (p.88-98)
17 marzo 1949 - Terni: un morto;
17 gennaio 1951 - Adrano (Catania): un morto;
18 gennaio 1951 - Comacchio (Ravenna): un morto; Piana degli Albanesi (Palermo): un morto
"Nel 1951, la guerra in Corea... il Presidente Harry Truman, il generale Dwight Eisenhover e il capo di
stato maggiore, Matthew Ridgway (il "Generale peste") appoggiano un nuovo programma di ricerca
su agenti chimici e batteriologici da impiegare nella realizzazione di nuove armi di distruzione
di massa. Il provvedimento tratta come carta straccia la convenzione di Ginevra...Anche la carta
costituzionale italiana viene messa da parte. Il generale Eisenhower arriva in visita ufficiale la sera del
17 gennaio 1951. Lo stesso giorno Pyongyang, la capitale coreana, viene bombardata
dall'aviazione statunitense. Una manifestazione per la pace di contadini ad Adrano viene presa a fucilate
dalla polizia, muore Girolamo Rosano, iscritto alla CISL. I cecchini della celere erano stati accolti dal missino
Adrano Filadelfio Cancio, appostandosi sul suo balcone per aprire meglio il fuoco sui dimostranti. Il 18, a
Comacchio, la carica è ordinata dai carabinieri.(p.94-95)
La strage delle Fonderie Riunite (p.99-105)
10 gennaio 1950 - Modena:6 morti [per l'importanza delle lotte negli anni cinquanta V.par.261,ss. Fra i tanti episodi ricordiamo a integrazione:
febbraio 1954 - Milano un morto
4 dicembre 1954 - Mussomeli (Sicilia) 4 morti]
Luglio 1960 il governo Tambroni e la resistenza tradita (p.106 -127)
6 luglio 1960 - Licata (Agrigento): un morto
7 luglio 1960 - Reggio Emilia: 5 morti
8 luglio 1960 - Palermo: 4 morti; Catania: un morto
SCHEDA: La questione meridionale
238) Mac Smith,563 Durante i primi anni dell’ Italia unita, il governo era stato in buona parte nelle
mani di settentrionali che identificavano l’interesse nazionale con il proprio. Il Sud agricolo si trovò
vittima di una pressione fiscale eccessiva e o di una carenza di investimenti, allo scopo di finanziare
l’industria settentrionale. In seguito i settentrionali usarono il potere politico per rafforzare questo
vantaggio regionale, anche quando rischiava di tradursi in un rallentamento della crescita complessiva
del reddito nazionale e del ritmo dell' accumulazione di capitale. I dazi sulle importazioni di acciaio
andavano incontro alle esigenze di alcune industrie del Nord, esattamente come la discriminazione
antimeridionale attuata attraverso il rialzo dei prezzi dei manufatti. Inoltre, la protezione dei
prodotti agricoli aveva mantenuto in vita le pratiche del latifondo; il prezzo artifìciosamente
elevato dei cereali ritardava la diversificazione dell’agricoltura in attività più redditizie e tutto ciò agiva
da freno all’espansione delle industrie meccaniche. L'unità politica dell’Italia aveva accresciuto
la distanza tra il Nord capitalistico e il semifeudale, tradizionale e spesso autarchico
Mezzogiorno. La politica di riarmo attuata da Mussolini negli anni Trenta aveva allargato questo
scarto.
239) 564 La Resistenza armata del 1944-1945 rimase quasi completamente confinato al Nord e il
Mezzogiorno perse una potenziale forza di rinnovamento. Nel 1943 l’amministrazione militare
anglo-americana permise ai mafiosi di riaffermare la loro vecchia autorità su molte aree
della società siciliana inficiando così uno dei parziali successi del fascismo. A Napoli e Lecce
i suffragi a favore della monarchia (referendum istituzionale-1946) raggiunsero quasi l’80 per cento; il
Nord votò massicciamente per la repubblica. Nella Democrazia cristiana molti erano allarmati dalla
possibile «meridionalizzazione» o «clientelizzazione della vita politica italiana, e tanto più da questo
sistema dualistico dell’economia e della moralità; ma c’era chi riluttava ad agire contro la mafia,
trovando utile l’appoggio elettorale di criminali in cerca di favori. [V.par.74;110]
240) 564-565 Nel 1950 fu creata la Cassa per il Mezzogiorno. Nel 1954 il Piano Vanoni abbozzò un
progetto che attraverso investimenti pubblici diretti e incentivi all’industria privata si proponeva di
creare nel Mezzogiorno circa quattro milioni di posti di lavoro nell’arco di dieci anni, e di raddoppiare il
tasso di crescita del reddito. Il Piano Vanoni non fu mai neppure presentato all’esame del
51
parlamento, anche perché gli imprenditori settentrionali non gradivano la simultanea
campagna contro l'evasione fiscale. Industriali e proprietari terrieri preferivano il tipo di aiuto
statale che attirava l’investimento privato nel Mezzogiorno offrendo credito a buon mercato, riduzioni
dei costi di trasporto e incentivi fiscali. E anche queste misure s’imbatterono in obiezioni : distoglievano
fondi da impieghi più redditizi; erano motivate dal desiderio di conquistare consensi nelle elezioni
politiche. Le stesse critiche suscitò nel 1956 la creazione di uno speciale ministero delle Partecipazioni
Statali, e poi la direttiva impartita al vasto settore delle imprese a proprietà pubblica di localizzare nel
Mezzogiorno il 60 per cento di tutti i nuovi investimenti. Le organizzazioni addette allo sviluppo
venivano spesso riempite di politici di secondo rango o di notabili locali disposti a
mercanteggiare il loro appoggio elettorale. Furono costruiti villaggi in cui nessuno andò mai a
vivere, e dighe da cui l’acqua fluiva senza frutto in mare anziché servire all’irrigazione del suolo. È
probabile che sia andata così sprecata una quota abbastanza alta dei fondi disponibili
(secondo alcuni, un buon terzo), e molti di questi ultimi andarono a finire nelle mani di
mafiosi e camorristi. Come sotto il fascismo, e anche prima.
241) 566 Il più delle volte, a trasferirsi a sud (sotto pressioni politiche) furono imprese controllate dallo
Stato. Molte industrie private preferirono fare assegnamento sul perdurare della
disoccupazione meridionale, che permetteva di attirare nelle fabbriche del Nord la
manodopera di cui avevano bisogno. Tutte queste ragioni misero in moto un’altra
massiccia ondata di emigrazione dal Mezzogiorno. Oltre un milione di persone partirono per
l’Australia e le Americhe; e un altro milione, su una base meno permanente, per i vari paesi europei più
sviluppati; e tra gli ultimi anni Cinquanta e i primi Sessanta arrivarono forse a tre milioni i
meridionali che si trasferirono nell’Italia settentrionale. Nelle regioni del Nord emersero così
nuovi, grossissimi problemi sociali, come l’urgente necessità di fornire case, scuole e ospedali ai nuovi
arrivati; e ciò creò malumori in entrambi i campi. Ma nel Mezzogiorno, malgrado l’emigrazione
riducesse la disoccupazione e migliorasse i salari di coloro che restavano, il medesimo
processo si portò via gli uomini in età di lavoro, lasciando sul posto i vecchi, i giovani e le
donne. Si può dunque dire che risolvesse (in parte) un problema soltanto creandone un
altro.
Dopo il 1950, il Sud fece più strada che in qualunque periodo precedente. Ma, rispetto al loro
formidabile costo, i progressi compiuti apparivano inferiori alle aspettative. Il Sud non raggiunse il
Nord, anzi i meridionali videro crescere il loro svantaggio comparativo in termini di
reddito e di sviluppo industriale.
242) Woolf/Allum,162-166 Per Dorso l’unificazione aveva significato l’accettazione da parte della
classe dirigente meridionale di un ruolo subordinato nella vita nazionale: era necessario distruggere la
classe dirigente tradizionale del Mezzogiorno; erano necessarie «idee chiare e proposte limitate»;
attività intellettuale e azione di governo. La nuova classe dirigente, reclutata tra l'
"intelligentzia" di origine artigiana e contadina, avrebbe fornito la guida; e appropriate
misure di riforma delle strutture avrebbero assicurato il progresso della vita meridionale verso un
ideale rappresentato dalle democrazie anglosassoni.
243) Per Togliatti e il Pci la creazione di nuovi rapporti politici (doveva avere per) base l’alleanza
degli operai del Nord e dei contadini del Sud, preconizzata da Gramsci, in cui la funzione di guida
era strettamente nelle mani della classe operaia e del suo partito. Così, Togliatti rispose a una lettera di
Dorso che metteva in guardia il Pci sui pericoli di un risorgere del trasformismo: «Noi vediamo, in
sostanza, una soluzione sola, che consista nell’accoppiare all’intervento dall’alto per dare
scacco alla rinascita delle vecchie cricche reazionarie, l’azione indefessa dal basso per
dare uno sviluppo nuovo, travolgente, grandioso, in tutto il Mezzogiorno, ai grandi
partiti nazionali antifascisti di massa...Incominciamo dunque coll’organizzare
solidamente queste masse, tanto in formazioni economiche più larghe (sindacati, leghe di
contadini, ecc.) e appoggiandoci su queste forze, diamo battaglia per la rinascita politica
dell’Italia meridionale" (Rinascita », I, 1, giugno 1944, p. 16. )
I dirigenti del partito sottolineavano che stavano proponendo una riforma
democratica e non una riforma socialista, perché il Mezzogiorno doveva in primo luogo
attuare la propria rivoluzione democratica borghese. La riforma che essi proponevano
aveva perciò lo scopo di distruggere il latifondo come residuo feudale,era una premessa
verso livelli di sviluppo più avanzati, più produttivi e più democratici, quindi si appoggiavano le piccole
unità contadine piuttosto che le unità cooperative:
a)limite all’estensione della proprietà agricola e l’immediata redistribuzione del surplus ai
contadini non proprietari o ai piccoli proprietari con terra insufficiente. La terra avrebbe
dovuto essere distribuita gratuitamente e nessun compenso avrebbe dovuto essere pagato per
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l’espropriazione; b)assistenza economica e tecnica da parte dello Stato e a sue spese ai proprietari di
unità piccole e medie e alle cooperative; c)riforma e regolamentazione delle affittanze agrarie per dare
ai contadini stabilità e sicurezza economica; d)partecipazione dei contadini agli organismi interessati
all’agricoltura, e dei lavoratori agricoli alla direzione delle unità agrarie.
244) Il Pci insistette sempre che la riforma agraria non dovesse essere un’operazione da
imporre
dall’alto,
ma
una
operazione
democratica
da
organizzare
dal
basso.Woolf/Allum,167-169 L’industrializzazione costituiva la risposta ovvia ai problemi economici
del Sud. Il socialista Morandi, nel gennaio 1947, fondò l’Associazione per Io sviluppo industriale del
Mezzogiorno (Svimez)... La commissione economica dell’Assemblea costituente (però)
respingeva l’idea di creare concorrenti meridionali agli impianti già esistenti nel Nord.
Suggeriva una politica di preindustrializzazione, la creazione di un' infrastruttura industriale mediante
la spesa pubblica ed incentivi agli investimenti: un incremento della domanda locale risultante dalla
spesa pubblica, avrebbe comportato lo sviluppo di una industria locale senza bisogno di un intervento
diretto. Ciò forniva una giustificazione intellettuale all’adozione di un programma di
assistenza sociale piuttosto che di industrializzazione.
Era facile per il Pci dimostrare che la Cassa (del Mezzogiorno) rappresentava semplicemente la
politica tradizionale di lavori pubblici per il Mezzogiorno che, lungi dal contribuire a risolvere i
problemi, li avrebbe esasperati, a favore dei gruppi monopolistici settentrionali e stranieri
e a spese dei piccoli industriali e dei lavoratori.
245) Woolf/Allum,172-173 Il fattore fondamentale nella politica meridionale di questo periodo fu la
ricostituzione, almeno parziale, del «sistema meridionale», un elemento essenziale nella
conservazione dello status quo, entro il quadro istituzionale liberaldemocratico che il
paese aveva adottato. La caduta del governo Parri fu il primo passo verso la
ricostituzione del sistema meridionale. La manovra rivelò la continuità della coincidenza
di interessi dell’alleanza che costituiva il vecchio blocco storico. Ancora una volta gli
uomini politici meridionali agirono nell’interesse del capitalismo settentrionale per
conservare i propri privilegi.
246) La scomparsa della monarchia fece del Vaticano il più importante cardine istituzionale dello
status quo nel paese e della Dc il partito dominante della borghesia. Un risultato del genere
richiedeva che si ricostituisse il sistema meridionale, cioè che il Pci e il Psi venissero
espulsi dalla coalizione governativa in quanto rappresentavano gli interessi della classe
subordinata settentrionale: il governo De Gasperi fu un’ampia coalizione dei difensori dello status
quo in una nuova maggioranza parlamentare che poteva trovarsi solamente a destra tra i
notabili meridionali, sino allora esclusi dalla maggioranza governativa, che erano la
chiave della situazione parlamentare, come di quella economica. Essi davano agli operatori
economici settentrionali le garanzie che avrebbero lasciato loro il compito della ricostruzione economica.
Praticamente tutti i fondi provenienti dagli aiuti Marshall furono utilizzati per la ricostruzione
dell’industria settentrionale, almeno fino al 1950...Il Mezzogiorno ebbe un ruolo fondamentale
nel ritorno delle forze conservatrici al potere dopo il governo tripartito.
247) Woolf/Allum,182-191 L’espulsione del Pci dal governo, aggravò la tendenza democristiana ad
adottare come candidati notabili meridionali. Il sistema meridionale era stato ricostituito all’interno del
partito di governo. Facendosi campione della causa per «la terra ai contadini» e per «la
terra a quelli che la lavorano», l'organizzazione del Pci divenne rapidamente più forte
nelle aree tradizionali di bracciantato non proprietario, il latifondo classico. Al congresso di
Pozzuoli promosso dal Pci nel dicembre 1947 fu fondato il Fronte democratico del Mezzogiorno che
divenne noto più tardi come Movimento per la rinascita del Mezzogiorno. Allo stesso tempo il
partito creò i Comitati per la terra, che dovevano diventare « gli organi direttivi del movimento di
riforma agraria» . Le rivolte agrarie che ne derivarono (e che raggiunsero un massimo nella
primavera del 1950) innescarono una reazione talmente allarmata specialmente in Calabria ed
in Puglia dove la polizia intervenne e alcuni contadini vennero uccisi.
248) Era talmente vivo il timore di una rivoluzione, che il governo fu costretto ad agire.
Nella primavera del 1950, il governo distribuì 50.000 ettari di terra in Calabria. Vi fece
seguito con un’altra legge (legge stralcio) dello stesso anno che redistribuì la terra di
tutte le zone latifondistiche, e con una terza che istituì la Cassa del Mezzogiorno
[V.par.148;279;307].
(La riforma agraria) viene attuata da un governo e da un partito conservatore molto cauto in
fatto di riforme sociali in altri campi, nel quadro di una politica generale ispirata ad esigenze
di stabilità economica e sociale. La riforma, in una fase di sostanziale depressione del
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movimento contadino, la si concepisce al di fuori del movimento contadino, col proposito
di piegarne e correggerne le attuali manifestazioni e la si affida ad organi tecnici dello
Stato per mantenerlo entro il quadro delle leggi e dei piani predisposti.
In primo luogo la riforma riguardò solamente la terra incoltivata nelle aree
latifondistiche. In secondo luogo non venne imposta alcuna limitazione all’estensione delle
proprietà agricole come l’articolo 44 della costituzione prescriveva. In terzo luogo agli
espropriati vennero pagati grossi compensi. In quarto luogo i soggetti della riforma -i
contadini- vennero accuratamente esclusi dalla sua amministrazione. Una operazione
politica tesa a trasformare parte del proletariato delle città contadine in coltivatori
diretti, sperando di renderli difensori dello status quo, (sottoponendoli) al controllo degli
enti agrari, che avrebbero poi instaurato nuove forme di clientelismo. Ciononostante, fu
sufficiente a spezzare il potere politico dei grandi latifondisti. (Quanto alla Cassa) essa
rappresentava il primo esempio di attività governativa a lungo termine nel Mezzogiorno, ma non fu un
organismo per una politica di industrializzazione del Sud. Nei primi anni il Nord fu il maggior
beneficiano della Cassa, essendo il maggior fornitore di macchinari pesanti, trattori, macchine agricole
ecc. La Cassa fu uno dei fattori che contribuirono di più all’espansione industriale del
Nord e al «miracolo economico.
Acc, XII,240 Nel primo decennio di attività della Cassa gli investimenti governativi furono indirizzati
soprattutto non già alla creazione di stabilimenti industriali, come richiesto dalle forze democratiche,
ma alla costruzione di infrastrutture come le strade e le comunicazioni. La riforma agraria attuata
tra il 1950 e il 1955, nonostante il suo carattere limitato, fece fare grandi passi in avanti di carattere
economico e sociale. Essa aprì una breccia considerevole nel sistema della grande proprietà fondiaria e
portò alla liquidazione del latifondo nell’Italia meridionale, Sicilia compresa. 100 mila contadini poterono
riscattare 760 mila ettari di terra, mentre altrettanta veniva acquistata dagli agrari, grazie ai crediti
governativi. Gli anni Cinquanta furono caratterizzati da grandi trasformazioni nel Sud. La creazione delle
infrastrutture e la riforma agraria vi avevano fatto affluire del capitale privato, avevano esteso il mercato
interno e reso possibile lo sviluppo di rapporti capitalistici in questa parte del paese. Ma, malgrado i
passi in avanti compiuti dall’economia del Mezzogiorno, il suo ritardo nei confronti dello sviluppo
dell’Italia settentrionale non era per niente superato.
Lo sviluppo sociale ed economico dal 1950 al 1960
249) Mac Smith,560 Nel 1950, la produzione industriale era tornata più o meno ai livelli prebellici.
Seguirono una decina d’anni di progresso costante dell’economia a un tasso di crescita annuo di circa il
5,9 per cento tra i più alti del mondo) cui si aggiunsero, per un certo tempo, prezzi relativamente stabili.
250) Acc, XII,238-241 Per aumentare la loro competitività sul mercato generale europeo i monopoli italiani,
utilizzando crediti e agevolazioni fiscali statali e l’afflusso di capitale straniero, iniziarono l’ammodernamento
dell’apparato produttivo portandolo a un nuovo livello tecnico-scientifico con l’automazione, l’elettronica, le
materie sintetiche. (Mac Smith,559 furono importati da altri paesi nuovi processi industriali, non
sfruttati dalla autarchia fascista)
Grazie all’aumento della produttività del lavoro con il mantenimento di bassi salari fu
raggiunto un alto grado di accumulazione capitalistica. Dal 1948 al 1958 il capitale nominale dei dieci
maggiori monopoli era passato da 40 a 1.216 miliardi di lire.
251) Tra il 1950 e il 1960 il commercio estero dell’Italia aumentò di oltre tre volte, grazie anche
all’entrata dell’Italia nella Comunità europea del Carbone e dell’acciaio (1952), e nel mercato comune (1958).
Da una parte questo mercato rallentò i ritmi di sviluppo dell’agricoltura, delle industrie minerarie e di quelle
leggere, mentre dall’altra favorì il rapido sviluppo di nuovi settori industriali, come quelli dell’elettronica, della
petrolchimica e di altri ancora.
252) All’inizio degli anni Cinquanta la produzione industriale partecipava al reddito nazionale
complessivo con il 45 per cento, nel 1960 con il 48 per cento. Ai primi posti c’erano la costruzione di
macchine e le industrie automobilistica e chimica. Per quattro anni di “miracolo economico” i ritmi
medi di accrescimento della produzione industriale superarono l’11 per cento. Il punto
culminante fu raggiunto nel 1960 con il 15 per cento. Le città si svilupparono impetuosamente. Nuovi
centri industriali sorsero, modificando la struttura sociale della popolazione, anche nelle arretrate province del
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Sud un tempo esclusivamente agricole. Venne creato anche qui un grande reparto di proletariato
industriale, forte di circa 700 mila uomini. La Fiat, concentrava nelle proprie mani l’80 per cento della
produzione automobilistica del paese. Nel campo della chimica una posizione di monopolio era detenuta dal
gruppo Montecatini, mentre l’Edison e l’Olivetti detenevano i monopoli, rispettivamente, dell’energetica e
dell’elettronica. Il capitalismo monopolistico di Stato stava sviluppandosi a ritmi rapidissimi. Le
società statali/private determinavano lo sviluppo dei settori-chiave dell’industria: metallurgico,
petrolifero, petrolchimico, industria del gas, industria dei materiali da costruzione. Il gruppo statale Iri
controllava, nel 1957, l’88 per cento della produzione della ghisa e il 51 per cento di quella dell’acciaio. Il
gruppo statale Eni, costituito nel 1953, aveva il controllo di tutti i giacimenti di petrolio e di gas rinvenuti nel
paese e della relativa lavorazione e diresse la costruzione di moderni impianti per la lavorazione del metano e le
produzione di gomma sintetica. Mac Smith,559 La scoperta di gas naturale in Lombardia fece sperare di
disporre di una fonte d’energia nazionale. Le importazioni di carbone erano costose, e rappresentavano un
grosso onere per la bilancia dei pagamenti. Nel 1945 Enrico Mattei venne incaricato di liquidare la non
remunerativa azienda mussoliniana per le esplorazioni petrolifere. Nel 1953 Mattei produceva ormai due
miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno; quasi sette miliardi,quando morì (in un incidente aereo rimasto
misterioso). A dispetto delle forti pressioni politiche esercitate da imprenditori rivali e dalle compagnie
petrolifere internazionali, gli fu concesso un monopolio sull’ulteriore attività di ricerca nelle aree più
promettenti. Fissando un alto prezzo per il suo prodotto, Mattei finanziò un enorme impero economico
(chimica, tessili, turismo, trasporti, telefoni, energia nucleare) che includeva uno dei migliori quotidiani
italiani, il «Giorno». Nominalmente un’azienda statale, in realtà il singolarissimo impero economico di Mattei
agiva in quasi piena indipendenza e dal parlamento e dal governo.
Acc,XII,241 Alla fine degli anni Cinquanta l’economia italiana aveva assunto nel suo complesso
un carattere più indipendente che negli anni in cui aveva operato il “Piano Marshall”. I monopoli
italiani avevano consolidato le loro posizioni sulla scene internazionale. L’Italia era passata al
terzo posto nel mondo capitalistico per disponibilità di riserve auree e valutarie. Si era anche
sviluppata l’esportazione di capitali all’estero, in Asia, in Africa, nell’America Latina.
253) Negli anni Cinquanta si produssero anche notevoli cambiamenti nella struttura sociale della
società italiana. Dal 1951 al 1961 l’esercito della classe operaia aumentò di 1 milione 800 mila unità,
raggiungendo i 7 milioni 600 mila, cioè il 38 per cento della popolazione attiva. Il numero degli addetti
all’agricoltura era sceso nel frattempo da 8 milioni 66 mila a 6 milioni 200 mila. La massa degli emigranti
dall’agricoltura fu inserita nella produzione industriale o nella sfera dei servizi. In questa ultima sfera il
numero degli addetti passò da 5 milioni 200 mila a 6 milioni 500 mila. Una parte dei contadini trasferitisi in
città andarono a ingrossare il contingente dei ceti medi urbani.
Il problema dell’occupazione continuava a essere estremamente acuto. Dal 1951 al 1961, 2 milioni
e mezzo di cittadini lasciarono l’Italia (circa 1 milione 800 mila unità in più degli immigrati). Ciò nonostante la
disoccupazione rimaneva cronica, una delle maggiori del mondo capitalistico. Secondo i dati del ministero
del Lavoro nel 1951 i disoccupati erano 1 milione 900 mila e nel 1954-1956 erano saliti a 2 milioni 200 mila.
254) La grande riserva di mano d’opera consentiva agli imprenditori di mantenere bassi i salari.
Nel 1959 nei principali settori dell’industria i salari operai erano dal 15 al 30 per cento inferiori a quelli
degli altri Paesi della comunità europea, e solo la quarta parte dei salari annui degli USA.
L’offensiva economica dei monopoli ebbe come conseguenza la perdita, in misura notevole,
dell’indipendenza delle piccole e medie imprese. Il blocco governativo tradizionale dei monopoli
industriali del Nord e delle caste semifeudali del Sud aveva praticamene cessato di esistere. Nel campo
dell’economia e in quello della politica si era rafforzato il potere del capitale monopolistico.
La dislocazione delle forze politiche
255) Acc,XII,241-242 La Democrazia cristiana, espressione in primo luogo degli interessi dei
grandi monopoli, aspirava ad attrarre larghi strati della borghesia urbana e rurale e parte della
classe operaia. Grazie anche a una vasta rete di sezioni locali, il numero dei suoi iscritti -alla fine del 1959- era
giunto a 1 milione 600 mila. La Dc era strettamente legata ad altre organizzazioni cattoliche di massa, sotto
l’egida del Vaticano: l’Azione cattolica, la Cisl e le Acli. La politica negli interessi del capitale monopolistico
suscitava continui contrasti e la nascita di diverse correnti in aspra lotta fra di loro. La Dc si era coalizzata con
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altri partiti borghesi, il partito liberale e quello repubblicano, e anche con il Partito socialista dei lavoratori
italiani, che nel settembre 1952 assunse la denominazione di Partito socialdemocratico italiano. Le
organizzazioni socialdemocratiche non presero parte alle lotte di classe del proletariato italiano di quegli anni. I
suoi dirigenti La maggiore forza politica popolare del Paese era il Partito comunista italiano. Dal 1950
al 1955 esso contava, assieme alla sua federazione giovanile, 2 milioni e mezzo di iscritti. Il Pci era
strettamente legato alle organizzazioni democratiche di massa, si opponeva alla politica della Dc ed era alla testa
delle lotte che i lavoratori conducevano per conservare ed estendere le loro conquiste democratiche. Il secondo
partito della classe operaia per numero di iscritti rimaneva il Partito socialista italiano, che nel 1950
contava oltre 700 mila aderenti. Nella prima metà degli anni Cinquanta il Psi era legato al Pci da un
patto di unità d’azione. Comunisti e socialisti organizzavano in comune comizi, manifestazioni. scioperi;
assieme partecipavano al movimento dei Partigiani della pace; alla Camera si battevano assieme in difesa degli
interessi dei lavoratori.
La politica della democrazia cristiana per l’instaurazione di un potere forte
256) Acc,XII,242-243 Nella prima metà degli anni Cinquanta i democristiani tentarono un
attacco frontale contro i movimenti operaio e contadino. Le azioni operaie e la lotta dei contadini
per la terra venivano brutalmente represse. Il 9 gennaio 1950 polizia sparò su una dimostrazione
operaia a Modena, uccidendo sei persone. I funerali delle vittime di Modena sfociarono in poderosa
manifestazione nazionale di protesta. Nella primavera del 1950, quando riprese con maggior forza
il movimento per l’occupazione delle terre dei latifondisti, le repressioni poliziesche assunsero un
carattere particolarmente bestiale. La classe operaia e i lavoratori delle città intervennero ancora
una volta con scioperi di solidarietà a fianco dei lavoratori dei campi.
257) Mentre era cominciata la guerra in Corea e la situazione internazionale si andava facendo sempre più tesa,
il governo di Alcide De Gasperi attuava una politica interna che si rivelava un attacco alle conquiste
democratiche del popolo.
Nel 1951-1952 il Consiglio dei ministri elaborò una serie di provvedimenti straordinari -uno si
prefiggeva di limitare il diritto di sciopero- La loro approvazione fu impedita dall’intervento
attivo delle forze progressiste. Nella discussione venne alla luce un gruppo di centro- sinistra, alla cui testa
stava Giovanni Gronchi. Nel febbraio 1952 la direzione democristiana liquidò tutte le pubblicazioni di
opposizione all’interno del partito, compresa “La Libertà” di Gronchi. Alle elezioni amministrative del
1951-1952 i democristiani si presentarono assieme alle forze dell’estrema destra, monarchiche e
neo-fasciste. In confronto al 1948 la Dc perse 4 milioni di elettori. Al IV congresso del partito
democratico cristiano, del novembre 1952 i dirigenti del partito, Alcide De Gasperi e Guido Gonella,
presentarono un programma, approvato a maggioranza, di rafforzamento del potere della Dc, di
introduzione di leggi eccezionali, di clericalizzazione della vita sociale.
La classe operaia nella lotta contro l’offensiva capitalista
258) Acc,XII,242-244 Agli inizi degli anni Cinquanta esistevano ormai tre centrali sindacali: la
Cgil fondata nel 1944, la Uil diretta dai socialdemocratici e sorta nel 1950 e la Cisl, che riuniva
fondamentalmente i cattolici.La scissione del movimento sindacale aveva provocato un calo degli scioperi
negli anni 1951 e 1952. Nel corso di quest’ultimo anno, sotto la pressione delle masse, Cisl e Uil cominciarono
ad appoggiare gli scioperi, (compresi) i primi scioperi economici nazionali. Negli anni Cinquanta, però,
l’unità d’azione dei sindacati era ancora occasionale.
259) Grazie agli scioperi, i lavoratori conseguirono la revisione di alcuni contratti collettivi e un
certo aumento dei salari. Furono aumentati gli assegni familiari, fu introdotta la scala mobile
sulle retribuzioni, fu approvata una legge sulle assicurazioni sociali delle lavoratrici.
260) Tra il 1950 e il 1953 una delle forme di lotta furono gli scioperi con occupazione degli stabilimenti.
Sotto la direzione di consigli di fabbrica appositamente costituiti, il lavoro negli stabilimenti continuava. I
consigli richiedevano anche sussidi governativi per l’ammodernamento delle fabbriche, miniere o cantieri,
minacciati di chiusura. Particolarmente imponenti furono le lotte operaie per la difesa della Breda, della Pirelli,
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della Fiat e dell’Ansaldo. Nel 1950 gli operai e gli ingegneri della fabbrica di macchine “Reggiane” di Modena
lavorarono per circa un anno, continuando a produrre macchine. Il movimento in difesa delle fabbriche si
sviluppava nel quadro del Piano del lavoro che la Cgil aveva promosso nel 1949 e che comprendeva anche
la rivendicazione d’una riforma industriale.[V.parr.144;191]
Fallimento della "legge truffa"
261) Acc,XII,244 Disperando di poter conseguire la maggioranza assoluta alle elezioni politiche
del 1953 i democristiani decisero di rivedere per tempo la legge elettorale in vigore. Alla fine del
1952 il ministro dell’Interno Mario Scelba approntò il progetto di una nuova legge elettorale,
basata sul sistema maggioritario: il partito, o la coalizione di partiti, che avesse superato il 50 per cento
avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi. Lo scopo era di limitare il carattere rappresentativo del Parlamento
rafforzando, con ciò stesso, le posizioni della Democrazia cristiana, che non nascondeva il proposito di
modificare la Costituzione conquistando i voti necessari.
262) I partiti comunista e socialista si impegnarono a fondo contro l’offensiva reazionaria. Un’ondata di
comizi e di manifestazioni di masse, di scioperi contro la “legge truffa”, percorse il Paese. Contro il
progetto si mobilitarono le forze democratiche al Parlamento. Il 30 marzo rispondendo a un appello della
Cgil i lavoratori effettuarono uno sciopero politico generale nazionale. Nell'aprile del 1953 Nonostante
l’ostruzionismo delle opposizioni la maggioranza democristiana riuscì a far passare la “legge truffa”, sostenuta
anche dal partito socialdemocratico...
263) Le dimensioni assunte dalla lotta politica in difesa della democrazia permisero di mobilitare
l’opinione pubblica contro questa legge e contro i suoi promotori. Alle elezioni del 7 giugno 1953.
La coalizione governativa non riuscì a ottenere il numero dei voti necessario per assicurarsi i due
terzi dei seggi al Parlamento. La “legge truffa” era fallita in virtù del voto popolare. Un anno
dopo la legge fu abolita e al suo posto venne ristabilito il sistema elettorale proporzionale.
264) La lotta contro la “legge truffa” contribuì a far fallire il tentativo di instaurare il regime autoritario
voluto dalla direzione del partito democratico cristiano. I risultati delle elezioni del 7 giugno 1953 segnarono
un importante balzo a sinistra nella vita politica del Paese. Il Pci e il Psi ottennero 1 milione 400 mila voti in più
del 1948, mentre la Dc ne perse quasi due milioni. Il partito governativo entrava in un periodo prolungato di
crisi.Mac Smith,571 La Democrazia cristiana sui 590 seggi della Camera ne aveva ora 263 (contro i 305
della precedente legislatura) e si trattava di un gruppo indisciplinato, malsicuro, diviso in fazioni talvolta
aspramente litigiose, talché in futuro l’appoggio di altri partiti sarebbe stato più necessario che mai.
La crisi della politica di centro
265) Acc,XII,244-245 Dopo le elezioni del 7 giugno 1953 De Gasperi costituì un governo monocolore
democristiano contando sull’appoggio in Parlamento da parte dei monarchici e dei neofascisti. Ma questo
governo non resse neanche un mese. Il 2 agosto De Gasperi fu costretto alle dimissioni e scomparve ben presto
dalla scena politica. Lo seguì il governo di Giuseppe Pella [conservatore e liberista], formato solo da
democristiani, che durò fino al gennaio 1954, quando fu sostituito da Amintore Fanfani, rappresentante della
corrente di centro-sinistra della Dc. Il 10 febbraio 1954 veniva formato un nuovo governo, diretto da
uno dei più accaniti seguaci di De Gasperi, sostenitore della politica “di forza”, Mario Scelba. Al
suo governo aderirono i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici. Al capo dei socialdemocratici,
Giuseppe Saragat, venne affidato l’incarico di vicepresidente del Consiglio dei ministri.
266) Scelba riprese la violenta offensiva contro le liberta democratiche. Nel febbraio 1954 la
polizia infierì su gruppi di dimostranti a Milano, uccidendo un operaio. Nella località siciliana di
Mussomeli la polizia disperse una manifestazione di donne con l’impiego dei gas lacrimogeni.
Quattro furono i morti e numerosi i feriti. Il 4 dicembre il governo annunciò l’intenzione di
condurre la lotta contro il partito comunista e i suoi alleati sul piano amministrativo,
discriminando cioè i cittadini sulla base delle loro idea politiche.
267) La continuazione della linea conservatrice “centrista” degasperiana, oltre che dall’ala destra della Dc, era
sostenuta dai liberali e dai monarchici e godeva di un forte appoggio nel Vaticano. Un'altra linea politica, che in
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una certa misura rifletteva le necessità oggettive dello sviluppo capitalistico del Paese e prevedeva riforme
parziali e la programmazione statale dell’economia, faceva capo nella Dc ad Amintore Fanfani e Giovanni
Gronchi. Al V congresso Fanfani fu eletto segretario politico della Dc, segnando l’inizio del fallimento della
“politica centrista” di De Gasperi (che morì nell’agosto 1954). Nel maggio 1955 Giovanni Gronchi fu eletto
presidente della repubblica. Nel suo messaggio alle Camere egli fece appello al rispetto della Costituzione e
delle libertà civili, a una politica di riforme sociali e alla lotta contro la miseria e la disoccupazione. Il 6 luglio
1955 fu costituito un governo di coalizione con a capo Antonio Segni, rappresentante di una corrente
moderata della Dc. Promulgò una legge contro gli evasori fiscali, un’altra sull’aumento delle pensioni, una
terza sulle assicurazioni sociali per i lavoratori agricoli. Ma esso si oppose accanitamente alla riforma agraria
generale e alla nazionalizzazione di una serie di settori industriali. Il 16 maggio 1957 il governo Segni cadeva,
soprattutto per essersi rifiutato di accogliere il principio della “giusta causa” per impedire che i
proprietari fondiari potessero violare i contratti senza fondati motivi. Fino al luglio 1958 seguì il governo
monocolore di Zoli.
Temporanea caduta del movimento operaio. Rottura del patto tra PCI e PSI
268) Acc,XII,245-247 La favorevole congiuntura economica del 1950-1953 aveva mutato l’
atteggiamento degli imprenditori, con l’introduzione del cosiddetto “paternalismo”. Nelle grandi
aziende monopolistiche i padroni avevano istituito “premi antisciopero”, costruivano abitazioni a buon
mercato per i lavoratori, asili infantili, e così via. Così riuscirono temporaneamente a spezzare il fronte unico
degli scioperi e anche a indebolire l’influenza dei sindacati democratici. Era proprio su questo terreno che
doveva mettere le sue radici in Italia l’ideologia del “neocapitalismo”, predicata dai capi del
sindacalismo cattolico.
269) L’unita d’azione delle tre centrali sindacali, fu un’altra volta sostituita da un inasprimento
della lotta tra di loro. Nel febbraio 1953 Uil e Cisl conclusero un patto per la formazione di un
fronte unico contro la Cgil. Il numero degli scioperanti, da 4 milioni e mezzo nel 1953, nel 1954-1955 scese
a meno di 2 milioni. Nel 1956 il numero degli iscritti alla Cgil era calato a 4 milioni.
270) Sul terreno politico, Pietro Nenni, era passato alla testa dell’ala riformista dei socialisti, la quale
determinava la politica generale del partito. I socialisti si autoproclamarono gli unici assertori della democrazia
socialista in Italia e cominciarono a parlare di “stabilizzazione duratura del capitalismo”, di “ristagno della
lotta di classe” e di “stanchezza delle masse”. La “conquista dello Stato dall’esterno”, cioè con lo sviluppo
delle lotte di massa assieme ai comunisti, sembrava all’ala destra dal Psi “senza prospettive” che si orientò
alla “conquista dello Stato dall’interno”.
271) Nell’ottobre 1956 il Psi rompeva unilateralmente il patto d’unità d’azione con i comunisti. Nel
febbraio del 1957 il XXXII congresso approvava la proposta di Nenni di rifiutare la
collaborazione con i comunisti.
Al congresso successivo, il XXXIII, tenutosi nel gennaio 1959, Nenni confermò il rifiuto
dell’unità d’azione con i comunisti e dichiarò anzi che era necessaria una nuova politica, che
differenziasse il Psi dai comunisti. Alla lotta di massa per una radicale trasformazione della
società Nenni contrapponeva un blocco di vertice tra Psi e Dc allo scopo di avviare riforme
sociali. La corrente di sinistra, formatasi al XXXIII congresso e diretta da Tullio Vecchietti,
prese posizione contro l’alleanza con i democristiani o per l’unità d’azione politica con i
comunisti. I sostenitori di Nenni ebbero la maggioranza e continuarono a dirigere il partito. Successivamente il
processo di spostamento a destra del Psi fu un po’ rallentato dal movimento antifascista di massa, che nel luglio
1960 operò una temporanea saldatura tra i partiti operai e democratici.
L’VIII congresso del PCI
272) Acc,XII,247-248 La IV conferenza nazionale dal Pci, nel gennaio 1955, aveva orientato il
partito verso la lotta di massa per le riforme di struttura, per la nazionalizzazione di una serie di
monopoli e per un controllo democratico sugli stessi. L’VIII congresso dal Pci, sulla base di un
rapporto presentato da Palmiro Togliatti sulla “via italiana al socialismo” si svolse dall’8 al 14
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dicembre 1956. Venne sottolineata in particolare la necessità di condurre, nel corso di un lungo
processo rivoluzionario, lotte per profonde riforme di struttura. A differenza dai riformisti la forma
fondamentale per l’attuazione di queste riforme di struttura doveva essere la lotta delle masse e
non già compromessi di vertice.
273) Quale compito immediato l’VIII congresso pose al partito il problema della riforma agraria democratica in
tutto il Paese, con la precisazione che la riforma industriale e quella agraria avrebbero dovuto essere indirizzate
soprattutto contro il grande capitale, cioè tendere alla nazionalizzazione delle principali aziende
monopolistiche, instaurando su di esse un controllo democratico. La lotta per le riforme di struttura avrebbe
dovuto essere strettamente legata a quella per l’estensione nel paese della democrazia politica.
274) Il partito rilevava anche che la lotta per l’avanzata verso il socialismo richiedeva un fronte
delle forze di sinistra, dirette dal proletariato, più ampio di quello che era stato possibile formare
nel passato. In questo modo l’alleanza della classe operaia con tutti gli strati dei contadini
lavoratori e con i ceti medi urbani non avrebbe avuto più un carattere tattico, ma avrebbe
assunto un carattere strategico. Il congresso elesse nuovamente Palmiro Togliatti segretario generale del
Pci.
275) Nel marzo 1956 si tenne il IV congresso della Cgil. Tenendo conto dei passi in avanti fatti dai
movimenti sindacali socialdemocratico e cattolico, il congresso si pronunciò per l’unità d’azione non solamente
alla base, ma anche al centro delle organizzazioni sindacali. Fu anche elaborato un piano concreto di lotta per le
riforme, fu avanzata la richiesta di nazionalizzazione dell’industria elettrica, dell’industrializzazione del
Mezzogiorno, del controllo sui prezzi, dello sviluppo democratico e antimonopolistico dei settori statali
dell’industria, eccetera.
276) La fase di ristagno del movimento operaio e di quello democratico di massa stava per
essere lentamente superata. Già nel 1957 si poteva notare una ripresa degli scioperi. Era anche
ripreso il movimento per la trasformazione democratica delle campagne. La conferenza nazionale
per la riforma agraria promossa nel 1957 e alla quale presero parte tutti i partiti di sinistra e la Cgil, segnò
l’inizio di una nuova fase della lotta per la soluzione del problema della terra. La ripresa del movimento operaio
e di quello democratico aveva lasciato il segno sulla dislocazione delle forze politiche del Paese, come doveva
essere dimostrato dalle successive elezioni.
Una nuova ondata di lotte di classe
277) Acc,XII,248-249 Le elezioni politiche del 25 maggio 1958 fecero crollare il mito della “crisi
del comunismo” in Italia. Il Pci si aggiudicò 6 milioni 704 mila voti, quasi 600 mila in più rispetto al
1953. Il Psi, dopo la rottura del patto di unità d’azione con i comunisti, ne ebbe 800 mila in meno (4 milioni 208
mila voti). Il partito democristiano riuscì a ottenere la maggioranza: 12 milioni e mezzo di voti, pari al 42,3 per
cento. Tuttavia esso non riuscì a ritornare livelli del 1948, quando deteneva in Parlamento il monopolio del
potere. Nei diciotto mesi seguenti, l’Italia cambiò due volte il governo, dopo di che sopravvenne una acuta crisi
governativa, provocata anche dalla ripresa del movimento operaio.
278) Mac Smith,571 Dopo Giuseppe Pella e Amintore Fanfani, che guidarono esperimenti temporanei di
gabinetti monocolore, Mario Scelba e Antonio Segni riuscirono a formare coalizioni con liberali e
socialdemocratici. Ciò che accadeva era in effetti che un certo numero di notabili appartenenti allo stesso
partito, ciascuno con il proprio gruppo di seguaci, cercava di escogitare una sfumatura politica o tattica
che gli permettesse la creazione di una nuova maggioranza. Ciascuna corrente democristiana aveva il proprio
ufficio centrale, le proprie fonti di finanziamento e la propria agenzia di stampa; ma ciò che manteneva
salda la sua identità non erano tanto gli obbiettivi ideologici, quanto la distribuzione di posti e
la competizione per le lucrose leve del potere clientelare all’interno
della macchina
amministrativa.
279) Nel corso delle lotte economiche erano stati conseguiti nuovi risultati nel riavvicinamento
dei sindacati. La Cgil, la Cisl e la Uil, avevano tracciato obiettivi comuni: aumenti salariali, riduzione della
durata della giornata lavorativa, estensione dei diritti sindacali nelle imprese. Nel 1958 esse promossero assieme
una serie di scioperi su scala nazionale. Nel 1959 e 1960 assunsero una particolare ampiezza gli scioperi dei
siderurgici e dei metallurgici, dei tessili, degli edili, dei minatori, dei braccianti e dei mezzadri. In risposta ai
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licenziamenti fu ripresa l’occupazione delle imprese. Nel 1959 fu occupata la “Galileo” di Firenze. Nel
1960 i minatori della Pertusola, in Sardegna, effettuarono un lungo sciopero sotto terra.
280) Il Pci e la Cgil cercavano di legare le lotte economiche della classe operaia a quelle per le
riforme democratiche nel campo dell’industria e dell’agricoltura. Alla fine degli anni Cinquanta,
al centro dell’attenzione non era più il movimento per la riforma agraria, ma la lotta contro il
prepotere dei monopoli, per la nazionalizzazione di alcuni settori-chiave dell’industria e il
controllo democratico sulla produzione.
281) I sindacati cattolici e quelli socialdemocratici incominciarono a loro volta a porsi il problema delle riforme
sociali democratiche. Ma essi non vedevano una soluzione di questi problemi nelle lotte delle masse, bensì
in compromessi di vertice con l’ala di “centro-sinistra” della Dc.
282) Le lotte di classe alla fine degli anni Cinquanta, il rafforzamento dell’unità d’azione delle masse
lavoratrici e delle loro organizzazioni sindacali, l’inizio di azioni comuni per le riforme democratiche e sociali,
approfondirono la crisi del sistema politico e resero attuale la necessità di un’alternativa democratica
nello sviluppo del paese.
L’attivizzazione dei neofascisti e il tentativo di formare un blocco reazionario di destra
283) Acc,XII,249-250 Contemporaneamente si stava assistendo a un consolidamento delle forze
più squisitamente reazionarie.
Il neofascista Movimento sociale italiano alle elezioni del 1953 aveva ottenuto 1 milione e mezzo di voti e
portato il numero dei suoi deputati dai sei a 29. Alle elezioni del 1958 esso ottenne 24 seggi. I quadri del Msi
erano costituiti in gran parte da ex-sostenitori di Mussolini che sognavano il ritorno a un regime di tipo fascista.
Augusto De Marsanich, alla testa del partito dal 1949 al 1954, era stato ministro di Mussolini. Le posizioni
ideologiche e programmatiche del Msi erano tratte in gran parte dalla cosiddetta Carta di Verona che i
fascisti si erano dati ai tempi della “repubblica di Salò”. Il Msi si presentava come anticomunista all’estremo.
Al suo III congresso del 1950 il Msi confermò la “vitalità dell’idea corporativa” e costituì l’organizzazione
sindacale da esso controllata, la Confederazione italiana sindacati nazionali lavoratori -Cisnal- che doveva
diventare la roccaforte del crumiraggio, della propaganda dell’ideologia della collaborazione di classe e
del corporativismo. I neofascisti si rivelarono come i sostenitori più accaniti della politica di “solidarietà
atlantica”. Il Msi aveva la propria base elettorale negli ambienti reazionari, negli exfunzionari dello Stato
fascista, negli elementi più arretrati dei ceti medi urbani e rurali, specialmente nel Mezzogiorno. Esso prestava
una particolare attenzione al reclutamento dei giovani. Nel 1950 i neofascisti avevano costituito il Fronte
universitario di azione nazionale, diventato una organizzazione con un certo seguito.
284) Il Msi faceva di tutto per collegarsi alle altre forze parlamentari reazionarie: l’ala destra della Dc e i
monarchici. Alle elezioni amministrative del 1952 la Democrazia cristiana e il Msi si presentarono in alcuni
comuni assieme. Nell’agosto 1955 il Msi concluse un accordo con i monarchici, cementato dalla idea della “lotta
per un forte Stato autoritario”. Nella primavera del 1960 si manifestò un' avvicinamento tra il Msi e l’ala
destra della Dc. Nell’aprile Fernando Tambroni ottenne la fiducia grazie ai voti determinanti dei
deputati neofascisti.
Il movimento antifascista del luglio 1960
285) Mac Smith,573 La scelta di Tambroni dette un altro scossone all’intero sistema. In alcune cerchie
era già stata ventilata l’idea che, per evitare la continua rotazione dei governi, bisognava modificare la
Costituzione nel senso di un regime presidenziale sul modello di quello creato dal generale de
Gaulle in Francia. Qualche incoraggiamento venne da Gronchi. Fu Gronchi a scegliere Tambroni come
presidente del Consiglio.
286) Acc,XII,250-251 Il malcontento generale per la politica del governo Tambroni, alla fine di
giugno del 1960 sfociò in un movimento politico di massa. Il Msi aveva tentato di organizzare il suo IV
congresso a Genova. Genova, città medaglia d’Oro della Resistenza, lo considerava una provocazione, e il 30
giugno per iniziativa della Camera del lavoro e con l’appoggio di tutti i partiti antifascisti, fu proclamato uno
sciopero politico di sei ore e una manifestazione alla quale presero parte circa 100 mila genovesi, e
delegazioni antifasciste giunte da altre città. Le vie di Genova furono teatro di violenti scontri tra dimostranti
e polizia. Vi rimasero feriti 40 dimostranti e 162 poliziotti. Il 1° luglio fu proclamato dalla Cgil uno
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sciopero nazionale di solidarietà con i genovesi. I comunisti fecero appello al Parlamento. I neofascisti
furono costretti a rinunciare al loro raduno.
287) Dopo aver fatto fiasco a Genova ai primi di luglio, i neofascisti tentarono delle sortite in altre città,
incontrando pare ovunque una poderosa resistenza popolare. Il 5-8 luglio la polizia sparò sui manifestanti
a Licata, Reggio Emilia, Palermo e Catania, provocando dieci morti e centinaia di feriti. I lavoratori
risposero con azioni risolute. L’8 luglio, su appello della Cgil, scioperi politici ebbero luogo in tutti i
grandi centri del paese. A Roma, Milano, Bologna, Napoli e in molte altre città 2 milioni di lavoratori
scesero nelle strade recando striscioni con le scritte: “Abbasso il governo!”, “Abbasso il fascismo”. Il
giorno successivo, sempre su appello della Cgil, fu effettuato in tutta Italia uno sciopero generale sostenuto
dai partiti comunista, socialista, socialdemocratico e repubblicano. Il movimento antifascista assunse un
carattere vasto, di massa, abbracciando tutto il paese, da nord a sud. Alle manifestazioni, ai comizi e agli
scioperi si calcola abbiano preso parte circa 2 milioni e mezzo di persone. Alla classe operaia, che aveva
preso la testa della lotta, si erano affiancati gli intellettuali progressisti e larghi strati di giovani. Nelle
strade cittadine fece la sua comparsa la giovane generazione che si inseriva nella lotta politica.
288) Dopo lo sciopero generale dell’8 luglio, su proposta del presidente del Senato, Cesare Merzagora, il
governo fece ritirare la polizia nelle caserme. La sinistra richiese con forza le dimissioni del ministero
Tambroni, lo scioglimento del Msi e un’inchiesta sui delitti commessi dalla polizia durante gli avvenimenti di
luglio. Il 18 luglio ebbero nuovamente luogo in tutta l’Italia comizi e dimostrazioni in appoggio a queste
richieste.
Il 19 luglio cadeva il governo Tambroni.
[Le organizzazioni operaie erano state indebolite dalla deflazione e
della crescita della disoccupazione; dalla scissione saragattiana; dalle scissioni sindacali; dal ritorno delle truppe sovietiche in
Cecoslovacchia; dall'invasione della Polonia (1956); dalla denuncia dei crimini di Stalin nello stesso anno e la rottura da p arte dei
socialisti del patto di unità: sembrava il momento buono per assestare un colpo decisivo al movimento operaio che, col crescere
dell'economia, stava rialzando la testa. V.par.261,ss;280,ss.;307]
289) Il movimento di luglio fece fallire il tentativo dei circoli governativi di instaurare una
dittatura clerico-fascista, diede un poderoso impulso alla lotta per la democrazia politica e
sociale, stimolò il processo di rinnovamento della società italiana. I democristiani furono costretti
a manovrare “da sinistra”. Il 26 luglio 1960 fu costituito il terzo governo Fanfani, un monocolore
democristiano appoggiato da socialdemocratici e repubblicani. I socialisti si astennero. Il programma
condannava il movimento neo-fascista e veniva proclamata l’intangibilità delle liberta democratiche. Però
il governo confermava la posizione anticomunista dei democristiani. Il programma di riforme era
oltremodo vago. I comunisti votarono contro la fiducia. Il governo era favorevole ai piani di integrazione
politica ed economica dell’Europa Occidentale.
La politica estera dell’Italia
290) Acc,XII,251-252 Il tratto dominante della politica estera dell’Italia rimaneva la fedeltà alla
politica della Nato. Le forze democratiche italiane lottarono con coerenza contro la politica estera reazionaria del
governo democristiano. Il Pci e il Psi condannarono ufficialmente l’aggressione americana alla Corea. I lavoratori italiani
promossero manifestazioni di massa. Fecero lo stesso contro il viaggio in Italia dei generali americani Eisenhower e
Ridgwav e contro la disponibilità dei porti italiani concessa agli USA. I portuali italiani rifiutarono di scaricare le armi
americane che giungevano in Italia; 17 milioni di italiani firmarono l’appello di Stoccolma per la proibizione della
bomba atomica. Il VII congresso del Partito comunista italiano, del 1951, aveva lanciato la parola d’ordine della creazione
di un “governo di pace”, che liberasse l’Italia dagli obblighi della Nato. Nella prima metà degli anni Cinquanta, il Pci e il
Psi, operarono insieme nella lotta per l’uscita dell’Italia dalla Nato.
291) La principale direzione della politica estera dell’Italia era quella rivolta all’integrazione
militare dell’Europa Occidentale. Il governo italiano era stato il primo a ratificare il Trattato di Parigi del
1952 per la creazione della Comunità europea di difesa. Nel 1954 l’Italia entrò nell’alleanza europea occidentale,
sorta sotto l’egida della Nato. Essa appoggiò nel 1955 l’ammissione della Rft nel Patto Atlantico e nel 1957 e
sottoscrisse protocolli segreti di collaborazione con la Francia e la Rft nel campo degli armamenti. Nel marzo
1959 il governo italiano sottoscrisse, assieme a quello degli USA, un accordo per l’installazione sul
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territorio italiano delle rampe di lancio per missili a media gittata. Nel corso del 1960 il governo italiano
acconsentì alla dislocazione di truppe della Germania Occidentale in Sardegna.
292) La creazione del mercato comune rafforzò i maggiori monopoli italiani, che aspiravano ad avere più
stretti rapporti con i monopoli della Rft, assumendo posizioni antifrancesi. I monopoli italiani erano entrati
in concorrenza con gli altri Paesi per le fonti di petrolio in Medio Oriente. Nella discussione all’Onu sul
problema di Suez, nel 1956, l’Italia sostenne i suoi amici della Nato. Le basi militari in territorio italiano
furono utilizzate per l’aggressione anglo-americana contro il Libano e la Giordania.
293) Nella seconda metà degli anni Cinquanta, la tensione internazionale accennò ad attenuarsi. I dirigenti della
Dc favorevoli al centro-sinistra proposero il “neoatlantismo”: estendere le funzioni della Nato oltre a quelle di
un’organizzazione militare, a quelle di un’organizzazione politica ed economica. L’Italia, pur continuando ad
avere una posizione subordinata, avrebbe dovuto assumere funzione di mediatrice per avviare contatti tra i
due blocchi contrapposti. Tra il 1955 e il 1961 venne applicato con successo un trattato commerciale
italosovietico a lungo termine. Un accordo fu concluso tra l’URSS e l’Eni per la fornitura da parte dell’URSS di
petrolio, in cambio di prodotti sintetici e tubi di acciaio per oleodotti. Nel febbraio 1960 il presidente italiano
Giovanni Gronchi effettuò una visita ufficiale nell’URSS. Le due parti, nelle conversazioni di Mosca, si
pronunciarono per il disarmo totale e generale e per un ulteriore sviluppo relazioni economiche e culturali tra i
Paesi. Venne firmato un accordo italo-sovietico su scambi culturali e scientifici.
294) Mac Smith,574-575 Nel 1958, fu eletto al papato l’anziano cardinale Roncalli, Giovanni
XXIII. Papa Giovanni avrebbe grandemente attenuato quel conflitto tra clericalismo e anticlericalismo che
aveva esercitato un’influenza così lacerante nella società italiana. La scomunica dell’estrema sinistra fu
rinnovata nel 1959, ma Giovanni XXIII arrivò ad esortare la gerarchia a una cauta accettazione del partito
socialista come possibile partner di governo. I diritti della coscienza individuale, che nel 1864 il Sillabo aveva
condannato presentandoli quasi come un’eresia, vennero ora elogiati come una virtù cristiana. Nell’enciclica
Mater et magistra del 1961, con la sua perorazione per la giustizia sociale, e poi nella Pacem in terris del 1963,
con la sua invocazione della conciliazione internazionale e del dialogo con altre fedi e ideologie, papa Giovanni
mostrò che la Chiesa poteva muoversi verso una collaborazione con la società laica.
Il boom economico
295) Mac Smith,574-575 Il boom economico stimolò la discussione sull’intervento dello Stato e
sulla pianificazione dell’economia, perfino alcuni liberali sostenevano che i metodi del laisser faire, non
eliminavano né la disoccupazione né lo scarto tra Nord e Sud: soltanto il governo poteva creare quelle
infrastrutture in cui il settore privato non era disposto a impegnarsi, e soltanto provvedimenti legislativi erano
in grado di limitare lo sfruttamento dei consumatori da parte dei monopoli e quasi-monopoli privati. Anche
se le attività economiche in mano pubblica erano in genere meno efficienti e redditizie di quelle
private, l’azione governativa poteva però riuscire socialmente vantaggiosa approntando una
legislazione antitrust e intervenendo là dove la libera iniziativa era inadeguata o socialmente
nociva. Nel 1960, la Democrazia cristiana s’era ancor più allontanata dalla dottrina del laisser-faire. Il
cosiddetto Piano Verde destinò ingenti fondi pubblici alla modernizzazione dell’agricoltura e al miglioramento
delle condizioni di vita nelle campagne.
296) La corruzione della politica era in parte un’eredità del fascismo, la cui classe dirigente
aveva spesso spudoratamente ignorato le leggi; e le vecchie abitudini erano difficili da
estirpare. 576 Per molti anni dopo la scomparsa di Mussolini rimasero in vita numerosi enti statali e
parastatali assurdamente anacronistici: l'organizzazione della gioventù fascista, la colonizzazione dell’Etiopia,
l’amministrazione dei beni confiscati agli ebrei. Questi enti disponevano tuttora di fondi per coprire presunte
spese amministrative. Inoltre, si crearono enti nuovi, in parte per manipolare fondi pubblici a fini politici:
avrebbe aiutato a conquistare consensi elettorali e fornito stipendi a funzionari di partito e posti a possibili
elettori. Nessuno sapeva quanti fossero; ma si trattava senz’altro di molte migliaia. Negli anni
Cinquanta parecchie imprese del settore pubblico in espansione erano utilizzate come
strumento della politica di partito. La convinzione largamente diffusa (era) che chi sceglieva la
carriera politica lo faceva principalmente per motivi di tornaconto personale.
297) Tra i casi più clamorosi ci fu lo scandalo dell’Ingic, un ente incaricato della riscossione delle imposte
locali; la costruzione dell’aeroporto di Fiumicino; la distribuzione della penicillina; l’Italcasse;
l’Inps e il «sacco urbanistico di Roma». Altri ancora coinvolsero enti speciali monopolisti creati per
l’importazione delle banane e del tabacco che potevano fissare arbitrariamente i rispettivi
prezzi, comperando il silenzio o la collusione di ministri e delle guardie di finanza. Come sotto il
62
fascismo, erano i politici piuttosto che i manager di mestiere ad essere preposti a guidare
holding gigantesche come l’Iri e l’Eni, ma anche la Rai e l’Alitalia.
298) 577 Perdita di efficienza manageriale, ma ricca fonte di posti per gli apparati di partito: le
attività del settore pubblico vennero colonizzate da politici di secondo rango, anche i posti direttivi delle
banche più importanti, tutte a proprietà statale. Non di rado, mancavano di qualunque competenza tecnica. A
un livello più basso, la medesima prassi prese piede nel campo delle autorità municipali
incaricate di controllare le assegnazioni di fondi agli ospedali, ai trasporti, al servizio di
fornitura dell’acqua. Ma perfino ai livelli infimi era il clientelismo politico a governare
l’assunzione di spazzini, uscieri e addetti ai parcheggi. Un immenso potere clientelare era
inoltre legato al controllo dell’assegnazione delle licenze edilizie e dell’erogazione di pensioni,
il tutto con oneri rilevantissimi per il contribuente. Già nel 1950 venne coniato il termine peggiorativo
di «sottogoverno». (Tra il 1958 e il 1963), la magistratura chiese più di trecento autorizzazioni a
procedere contro deputati accusati di corruzione, e di queste solo 51 furono concesse. La Corte
dei Conti, già largamente esautorata da Mussolini che l’aveva posto sotto il diretto controllo
dell’esecutivo, con una legge del 1958 (fu ulteriormente delimitata) nei suoi poteri.
299) Né i tribunali ordinari costituivano una barriera efficace contro le pratiche illecite. Il
sistema giudiziario era lento e impacciato né i tribunali erano completamente liberi da interferenze
del ministero della Giustizia. La Corte Costituzionale per molti anni continuò ad applicare il
codice fascista in flagrante violazione della nuova Costituzione repubblicana: in un primo tempo
confermò la discriminazione mussoliniana punendo l’adulterio della donna più severamente dell' adulterio
dell’uomo; né, per molti anni, abrogò la legge fascista che criminalizzava la critica dell’ordine sociale e
istituiva il reato di vilipendio delle autorità dello Stato.
300) 578-580 Il fallimento di Tambroni nel 1960 insegnò che un’alternativa possibile era di allargare la
maggioranza a sinistra, includendo Nenni e i suoi ottantaquattro socialisti: 380 deputati, contro
un’opposizione di 140 deputati comunisti e da una sessantina della destra. Come Cavour e Giolitti
avevano mostrato in passato, alleandosi con gli elementi moderati della sinistra i governi
potevano talvolta assorbire o indebolire un’opposizione «potenzialmente pericolosa». Un primo
tentativo fu compiuto da Fanfani, che nel luglio 1960 successe a Tambroni come presidente del Consiglio, ma
s’imbattè in rinnovate critiche dell’autorità ecclesiastica. Dopo qualche dubbio iniziale, papa Giovanni prevalse
sulla mentalità conservatrice dei cardinali di curia. Nel 1962 il quarto governo Fanfani fu finalmente in grado
di offrire una linea politica che i socialisti potessero accettare. Ma i dorotei preferirono Aldo Moro, più cauto.
Nelle elezioni dell’aprile 1963 i comunisti fecero un balzo in avanti di un milione di voti. Fanfani cadde.
Soltanto alla fine del 1963 i socialisti di Nenni accettarono di entrare in un gabinetto di
coalizione e Moro dette vita a un governo in cui Nenni era vice-presidente del Consiglio.
L'«apertura a sinistra» era una realtà.
301) La alleanza fu sigillata con la nazionalizzazione dell’industria elettrica. L’Edison, la più grande
società del settore, godeva di un considerevole potere politico, che usava per sostenere la destra. All’interno
della Confindustria le grandi aziende erano fortemente critiche: la nazionalizzazione avrebbe significato
inefficienza e sarebbe servita a sistemare altre persone inesperte nominate dai partiti; gli azionisti dovevano
essere pagati con denaro che sarebbe stato meglio impiegato in scuole e ospedali. Contro i controlli statali
e la nuova imposta cedolare d’acconto sui dividendi, i ricchi si portarono fuori del paese
centinaia di miliardi, in una gigantesca fuga di capitali che contribuì a provocare un crollo della
Borsa. La Chiesa rivendicò l’immunità fiscale per i suoi ingenti possessi immobiliari, e il governo accondiscese
302) 581 La recessione economica -dopo il 1962- aveva anche origini più profonde: deboli governi
incapaci di esprimere una politica economica; la carenza di manodopera qualificata con incrementi salariali
che fecero aumentare i costi più velocemente della produzione. (Si produsse) un deficit nella bilancia dei
pagamenti; e si parlò di una possibile svalutazione. La nuova alleanza di centro-sinistra si trovo
obbligata a ridimensionare la sua politica riformatrice e ad adottare misure
antinflazionistiche miranti a ridurre i consumi. I socialisti non potevano gradirla e presto si cominciò
a scorgere una crepa nella coalizione. D’altro canto, qualunque ulteriore iniziativa riformatrice
rischiava di essere accolta da un altro rifiuto dell'industria e delle classi abbienti
SCHEDA: Il «prezzo» pagato per l'industrializzazione:
303) Barca,37-38 "Negli anni cinquanta, con una disoccupazione sempre assai elevata e con
un sindacato diviso dalla secessione politica, le posizioni di forza sono a tutto vantaggio delle
imprese che ne fanno ampio uso. Il tasso di disoccupazione è in Italia assai più elevato che nel resto
d'Europa:7-9 per cento fra il 1950 e il 1958 (1-2 per cento in Francia; in Germania cala dall'8 al 3 per
63
cento). Assai più bassa che negli altri paesi è la dinamica salariale. Nel settore industriale, a fronte
di una crescita della produttività del 4,6 per cento l'anno, le retribuzioni crescono in termini reali solo
dell'1,3 per cento l'anno.(Germania 5,4%; Francia 4,7%; Usa 3,2%) La bassa dinamica salariale è fonte
di elevati autofinanziamenti per le imprese. A una forte precarietà dei rapporti di lavoro, si
accompagnano: l'uso del licenziamento anche con motivazioni anti-sindacali o politiche;
l'esercizio di forme di controllo sulle scelte personali dei lavoratori e di discriminazioni
politiche e ideologiche, spesso attraverso la collaborazione con i datori di lavoro da parte
di autorità di polizia e prefetti; condizioni di vita assai inique, specie per lavoratori
immigrati dal Mezzogiorno, alloggiati in quartieri dormitorio delle città industriali del Nord e del
Centro: quando la disoccupazione prenderà a calare la crisi delle relazioni industriali si manifesterà in
forme anche violente.
Barca,70-72 Nel 1955, dopo la sconfitta della Fiom-Cgil per l'elezione delle commissioni
interne della Fiat, si determina una svolta della politica sindacale che torna a ricercare un ruolo di
rilievo per la contrattazione aziendale. Dal 1957 prende l'avvio la riduzione del tasso di
disoccupazione (dal picco di 9,2% nel 1956 a 8; 7,3; e 5,2 per cento nei tre anni successivi). Nel 1957
viene rivalutato il valore del punto di contingenza nel meccanismo di indicizzazione automatica
dei salari ai prezzi. Nel 1958 la Cisl di Torino -che aveva fin lì appoggiato le iniziative
discriminatorie dei vertici Fiat- si oppone alle minacce di licenziamento contro i lavoratori
candidati o scrutatori per la Fiom-Cgil...Nel 1959/59 Cgil e Cisl effettuano scioperi
congiunti...La crescente tensione delle relazioni industriali raggiunge il culmine con la vertenza
nazionale per il rinnovo del contratto metalmeccanico avviata a fine 1962: i gravi incidenti
di piazza a Torino, nel luglio 1963, con la partecipazione attiva di giovani operai meridionali non
sindacalizzati, accrescono la consapevolezza generale che un cambiamento è in atto nei rapporti di forza
fra lavoro e capitale...Nel 1962 i margini di profitto medi delle medie e grandi imprese
industriali subiscono una prima e significativa flessione; poco più della metà degli
investimenti è coperta dall'autofinanziamento...Si assiste a scalate che, in assenza di una
regolamentazione, non rispondono a requisiti di trasparenza, coinvolgendo il sistema
bancario in funzione offensiva o difensiva...Le eccezioni alla separatezza fra banche e
impresa si estendono e sono impiegate al fine di destabilizzare gli assetti di controllo,
senza requisiti di trasparenza. Barca,398 La bolla speculativa dei primi anni sessanta, trasforma
il boom degli investimenti in una ventata di inflazione seguita da un crollo degli stessi investimenti e da
una feroce razionalizzazione industriale nelle seconda metà del decennio... Si sommano, impulsi di
domanda provenienti dall'estero; spinte dall'interno indotte dal contemporaneo premere
degli investimenti e dei consumi causati da forti concessioni salariali, e un' accelerazione
della spesa pubblica per realizzare almeno una parte del programma di centro-sinistra.
Nel sistema delle partecipazioni statali si avvertono o rischi di autoritarismo e di
degenerazione del potere sovrano di cui godono i maggiori manager pubblici.
Petri,188-193 (Il prodotto interno lordo negli anni 1951-1963 crebbe in media del 5,8%,toccando
addirittura il 7% nel 1959-62, mentre i salari) "prima del 1962 aumentarono in media del 2%,
contro il 10-11% degli investimenti. Tale dislivello si spiega col fatto che -fino alla fase ascendente del
1958-1964- disoccupazione, precariato, trasferimenti settoriali e migrazioni interne
indebolirono i sindacati e la sinistra politica. La stabilità sociale veniva favorita dal
"trattamento" di manodopera esuberante nei serbatoi dell'agricoltura, dell'edilizia e del
terziario...Il ritardo dei salari sull'aumento globale della produttività, contribuì sua volta a ritardare,
relativamente, lo sviluppo dei consumi e delle importazioni...nel corso del tempo anche la
domanda prese slancio, fino a "governare" il ciclo finale del periodo considerato...I
sindacati poterono rafforzarsi e trasformare la richiesta di recuperi salariali nella "spallata
salariale del 1962-63"...i consumi collettivi, nel periodo 1959-63 crebbero a un tasso medio del 4,1%
per anno, e quelli privati al 5,9%. Nel 1959-63 l'aumento dei consumi privati salì all'8% annuo.
[ L' avventura di Tambroni -V.par.292- serviva a bloccare preventivamente questa spallata La mancanza di un
meccanismo permanente di redistribuzione del reddito produceva, da una parte tentativi reazionari per ritardarla mediante
azioni di forza e, dall'altra, a seguito del fallimento di questi tentativi, la concentrazione della redistribuzione in poco tempo
con effetti negativi sull'economia, specialmente se uniti a "recuperi" degli aumenti salariali mediante inflazione, quando, con
Guido Carli alla guida della Banca d'Italia, si allentò il rigore della stabilità monetaria].
Petri,196-197 " L'equilibrio della bilancia dei pagamenti saltò a causa sopratutto dei cresciuti e
cospicui deficit verificatisi nella bilancia commerciale, a loro volta dovuti all'immissione nel mercato di
nuova moneta (50% nel solo periodo 1960-63). Barca,104-105 L'incapacità di riformare il modello
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italiano di capitalismo e, anzi, la degenerazione di alcuni suoi tratti coinciderà con un forte
rallentamento della crescita. Ciò avverrà già sul finire degli anni settanta, prima che un simile
fenomeno si produca nell'insieme dei paesi industrializzati, per effetto degli shock connessi al prezzo
delle materie prime e alla crisi del sistema monetario internazionale..la produttività cessa di crescere
proprio alla fine degli anni sessanta.
304) Petri,362-364 (Negli anni '90) non si tratta più di un paese in fase di industrializzazione, ma
di una nazione che, dopo un breve passaggio di welfare state industriale, si trova in una fase
di parziale deindustrializzazione e di terziarizzazione, in un contesto di crescente integrazione
dei mercati commerciali e finanziari internazionali...Verrebbe da chiedersi se la creazione
dell'Unione monetaria e la cosiddetta «globalizzazione» abbiano veramente richiesto
all'Italia di abdicare, come ha fatto negli anni ottanta e negli anni novanta (a differenza
di altri paesi consimili), a una vera politica industriale, e se sia stata corretta la
dispersione a cuor leggero, nel nome delle privatizzazioni e della "deregulation", di
alcune delle poche basi high tech tanto faticosamente accumulate nei decenni. Le prime
avvisaglie di tale distruzione «risalgono addirittura alla metà degli anni sessanta, quando le
strutture economiche più innovative che il sistema dell'economia mista aveva creato nel nostro paese
non riuscirono a resistere all'attacco concentrato del potere politico, che nei decenni
successivi ha provveduto, dopo lo scempio clientelare da esso stesso perpetrato, affinché
si facesse piazza pulita -in nome della modernizzazione prima e dei criteri di Maastricht
poi- delle chimica fine, della farmaceutica, della produzione di personal computer, e di
varie altre capacità finanziarie e di progettazione, nonché di attività produttive, di
ricerca e di sviluppo sopratutto nel campo della grande industria e nei settori attigui.
L'Italia, ormai, si ritrova a dover fare ampio affidamento sui vantaggi comparati che la piccola e media
impresa può vantare in determinati segmenti del mercato mondiale per lo più caratterizzati dal basso
tenore tecnologico dei prodotti. Lo stivale rischia di dover concorrere in prevalenza con i paesi
«emergenti», produttori di magliette scarpe, prodotti di moda, la cui competitività può far leva
sull'abbondanza di forza lavoro giovane e disponibile a basso costo. Ripensando (a tutto questo) si
comprende il rimpianto perché «la classe dirigente protagonista dello sviluppo
industriale del paese si è dissolta».
Emerge anche il «prezzo» pagato, in termini politici e sociali , per l'industrializzazione:
bassi salari e basso livello di consumi, gerarchie sociali accentuate, dignità calpestate e
per lunghi anni soppressione delle libertà di coalizione, di espressione, di organizzazione
e di opinione, guerra e sofferenza, spaccature politiche dolorose tra guerra «calda» e
guerra fredda, migrazioni e disagi sociali, e via elencando.
[La situazione italiana è stata sempre e resta «disperata, ma normale» V.par.161]
65
TOGLIATTI
La via italiana al socialismo - Editori Riuniti – II ed. febbraio1972
Per una nuova maggioranza (p.192/197) - dalla relazione al IX Congresso del Pci, 30 gennaio 1960
305) Noi siamo per il socialismo e lottiamo per esso, senza ombra di dubbio, come deve fare, se ha
coscienza della sua missione storica, la classe operaia del mondo intiero. Prima di tutto però sia ben
chiaro che lavoriamo e lottiamo perché, nella società dove viviamo e operiamo, vi sia un progresso
economico e politico quale è richiesto dalla situazione presente, si consolidi la distensione, si attui il
disarmo, si conquisti una pace permanente, si rompa il predominio del grande capitale monopolistico e
dei gruppi reazionari e clericali, e le classi lavoratrici accedano al potere come forze determinanti.
306) Che hanno dunque a che fare questi nostri obiettivi con il socialismo? Alla questione non è
difficile rispondere, quando si tenga presente che questi obiettivi si debbono realizzare con una serie di
misure e di riforme, tanto politiche quanto economiche, che spero di essere riuscito a mostrare
come costituiscano un assieme organico e unito. Qui sta la differenza tra la nostra posizione e quella,
per esempio, delle vecchie correnti riformiste del socialismo italiano. I suoi obiettivi rimasero
frammenti staccati, che non investivano in modo radicale le strutture economiche e politiche. Problemi
di fondo, come quello del Mezzogiorno, quello contadino e persino quello del suffragio universale, o
non furono visti, o trascurati, o posti in modo sbagliato.
307) Qualcosa di analogo stanno facendo oggi, nel movimento operaio e democratico, le correnti
socialdemocratiche di destra. Quando abbandonano i principi del marxismo e rinnegano gli obiettivi
fondamentali del socialismo, quando accettano le dottrine del capitalismo «popolare» e chiudono gli
occhi a quella cruda manifestazione della lotta di classe che così chiaramente si esprime nella
prepotente avanzata e nei propositi antidemocratici della grande borghesia; quando negano la realtà
stessa delle rivoluzioni socialiste e dei regimi cui esse hanno dato vita e slancio, queste correnti si
condannano a non più avere un organico programma di rinnovamento sociale. Diventano una
opposizione senza spina dorsale e senza carattere, non possono più essere sicure neanche di un
appoggio compatto della classe operaia, perdono la possibilità di staccare gli strati decisivi del
ceto medio dalla influenza politica della grande borghesia.
308) Il rapporto che passa tra le misure di riforma politica e strutturale che noi proponiamo e i nostri
obiettivi più lontani è lo stesso rapporto che si stabilisce, nel mondo moderno, tra democrazia e
socialismo...Sappiamo benissimo che una nazionalizzazione, o questo o quello intervento dello
Stato per un razionale sviluppo economico, o una estensione delle autonomie politiche, o un
maggior benessere per i lavoratori non cambiano ancora la natura del regime e della società in
cui viviamo. Cambiano però qualche cosa e possono anzi cambiare molto del modo come si
sviluppa la lotta delle masse lavoratrici per conquistarsi un nuovo livello di benessere e una
nuova dignità, per avere una parte nuova nella direzione della vita sociale e quindi per
modificare tutti i rapporti di forza tra le masse operaie e popolari e le classi sfruttatrici. Ed è
questa avanzata, sono i successi ottenuti in questa direzione che noi chiamiamo e che di fatto sono
marcia verso il socialismo. La natura dell’ordinamento cambierà radicalmente solo quando saremo
riusciti a cambiare le classi dirigenti della società e dello Stato.
309) Nessuno schema astratto e lontano dalla situazione reale italiana sta quindi davanti a noi, ma la
ricerca di una nostra via di sviluppo, nella direzione in cui tutto il mondo oggi si muove. Sono anni e
anni che noi lavoriamo a valutare le condizioni del progresso democratico e socialista in questi paesi
occidentali di capitalismo molto sviluppato, ricchi di ceto medio produttivo e scossi da contrasti diversi da
quelli di altri luoghi e di altri periodi storici. Per questo siamo in grado di confutare tranquillamente chi ci
accusa di volere statizzare, da una notte all’altra, o da un anno all’altro, tutta l’economia, mettere fuori gioco tutti
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gli artigiani, tutti gli esercenti, tutti i coltivatori diretti, tutti i produttori indipendenti. Queste sono pure
sciocchezze. Combinazioni di differenti forme economiche sono inevitabili, in un paese come l’Italia;
l’iniziativa del produttore singolo sarà per lungo tempo necessaria; il socialismo si assicurerà la
preminenza e la guida disponendo di quelle leve di importanza decisiva che ora sono nelle mani
della grande borghesia e dei giganteschi complessi monopolistici, ma non si servirà di esse per
schiacciare il ceto medio produttivo, bensì per aiutarlo; le forme associate, imposte in parte già ora
a molti produttori indipendenti dai progressi della tecnica, saranno libere, volontarie; la terra apparterrà
davvero e soltanto a chi la lavora.
310) Noi ci muoviamo sul terreno della Costituzione e ad essa rinviamo tutti coloro che ci chiedono
che cosa mai faremmo al governo. Abbiamo scritto nella nostra Dichiarazione programmatica e
ripetiamo che si possono compiere «nella piena legalità costituzionale le riforme di struttura
necessarie per minare il potere dei gruppi monopolistici, difendere gli interessi di tutti i
lavoratori contro le oligarchie e farvi accedere le classi lavoratrici».
311) Abbiamo scritto e manteniamo che «esistono in Italia le condizioni perché, nell’ambito del regime
costituzionale, la classe operaia si organizzi in classe dirigente, unendo, intorno al suo programma di
trasformazione socialista della società e dello Stato, la grande maggioranza del popolo»...Tutta la nostra
attività tende ad avanzare con un grande movimento di massa e attraverso di esso, e questo è metodo
democratico.
312) Quali saranno, progredendo la nostra avanzata, le forme di questo movimento? Una risposta già si può
avere guardando al passato. Chi, se non la brutale tirannide fascista, che aveva soppresso qualsiasi parvenza di
democrazia e dato l’Italia in balia a un invasore straniero, costrinse la parte migliore del popolo a prendere le
armi e organizzare l’insurrezione nazionale? In seguito, in regime repubblicano, la violenza è stata usata non
da noi, ma contro di noi, contro gli operai che chiedevano lavoro, contro i contadini che volevano la terra,
dalle bande dei mafiosi siciliani o dalle forze armate di uno Stato che stava perdendo il suo carattere
democratico. Noi vogliamo procedere verso le nostre mete col metodo pacifico dell’agitazione
economica e politica, dei grandi movimenti di masse operaie, contadine e di ceto medio, degli
scioperi economici e politici, della libera manifestazione della volontà popolare. Coloro che non
accettano questo metodo, se non quando viene loro imposto dalla imponenza stessa del movimento e delle
conquiste democratiche realizzate, sono i gruppi reazionari, i nostalgici del fascismo, i magnati
dell’industria e gli agrari che hanno ancora nel cassetto la camicia nera, i clericali arrabbiati, i privilegiati
che non vogliono cedere nulla della loro ricchezza e del loro potere. Chi fa appello alla violenza è colui che
nega e rende impossibile, con la sua attività o con le sue preclusioni, il progresso politico e
sociale...Abbiamo dimostrato e dimostriamo che, al punto in cui ci troviamo, esiste una situazione internazionale
e nazionale per cui, in un regime di pacifica coesistenza e di non intervento di forze estranee nelle nostre
questioni interne, l’avanzata verso un ordinamento sociale nuovo e la costruzione di questo ordinamento possono
compiersi in modo pacifico. Per ottenerlo impegniamo tutte le nostre capacità politiche e le nostre forze. Che
questa prospettiva pacifica sia respinta dalla violenza della parte più reazionaria delle attuali
classi dirigenti noi però non possiamo oggettivamente escludere e apertamente lo diciamo.
313) Le garanzie migliori di uno sviluppo pacifico del nostro impegno democratico debbono quindi essere
cercate, prima di tutto, in quello che si fa oggi. Noi dobbiamo offrirle con il contatto e la discussione con i
diffidenti. Dobbiamo far vedere a tutti che il volto della prepotenza e della intolleranza non è il
nostro, ma quello dei nostri nemici. Dobbiamo far comprendere che alla democrazia noi non
vogliamo togliere nulla, ma vogliamo anzi aggiungere molte cose. Gli istituti democratici
dell’Occidente non sono il punto di arrivo della storia. La democrazia deve ulteriormente
svilupparsi, forme nuove di controllo e intervento diretto dei lavoratori nell’ordinamento della
produzione debbono essere attuate; la maggior parte di quello che è ora apparato statale di
costrizione deve scomparire, per lasciare il posto, come già avviene nei più avanzati paesi
socialisti, a libere organizzazioni di aiuto reciproco e controllo collettivo nei vari campi della vita
civile.
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314) Le migliori garanzie che noi diamo stanno nel nostro stesso impegno per stabilire, oggi, una
grande alleanza di forze sociali appartenenti a campi diversi: operai, braccianti e contadini coltivatori;
lavoratori manuali, tecnici e ingegneri; proletari e artigiani, esercenti, imprenditori piccoli e medi;
masse ancora arretrate e incolte e maestri, professori, artisti, uomini di cultura. Non si tratta di alleanze
di comodo, dove gli uni siano strumento degli altri. Si tratta dell’aiuto reciproco che questi gruppi di
cittadini debbono darsi per risolvere le loro questioni vitali combattendo contro i privilegi economici e
il potere del grande capitalismo e dei governi ad esso asserviti. Si tratta della preparazione e
prefigurazione di quella unità del popolo e della nazione su cui si fonderà un regime socialista.
315) Questa è la base reale che apre in modo concreto la prospettiva di un governo democratico delle
classi lavoratrici, un governo che realizzi un mutamento dei gruppi dirigenti governativi, non si fermi
davanti a nessuna delle riforme che la Costituzione prescrive e attui una profonda trasformazione di
tutti i metodi di direzione della vita nazionale. Questa è la via del progresso democratico e socialista
che noi prevediamo.
Capitalismo e riforme di struttura (p.263/268) - Da Rinascita, 11 luglio 1964
316) Le riforme di struttura, come via per lo sviluppo della democrazia e per aprire la strada alla costruzione di
una società nuova, non sono né una invenzione nostra, né dei compagni socialisti, né del partito d’azione, né di
alcun altro gruppo politico in modo particolare. Furono e sono parte integrante delle rivendicazioni
programmatiche del grande movimento unitario della Resistenza. Questa non mirava infatti soltanto
a liberare l’Italia dal fascismo, ma a impedire che un regime di reazione aperta potesse mai risorgere e a
fondare, a questo scopo, una società nella quale fossero distrutte le radici della reazione e della conservazione
sociale. Appariva perciò indispensabile una profonda trasformazione della organizzazione economica e politica
nazionale e le grandi linee di questa trasformazione furono indicate nella stessa Costituzione dello
Stato. Il momento originale di questa costruzione politica sta nella unità tra un programma di
rinnovamento economico, e sociale e l’affermazione dei principi della democrazia come base
incrollabile dello Stato repubblicano e norma da osservarsi in tutti i suoi successivi sviluppi.
317) Ma a quali forze poteva essere affidata la attuazione di questo grande piano di rinnovamento della società
italiana? È evidente, per noi, che non poteva essere affidata ad altri che a un movimento e a una direzione
unitari, cui partecipassero tutte quelle forze politiche e tutti quei gruppi sociali che avevano portato la Resistenza
alla vittoria. Vi fu, invece, la rottura di quella unità, il prevalere del chiuso conservatorismo degasperiano,
cui corrisposero quegli aggravamenti politici e quelle lotte che tutti ricordiamo. Il partito democristiano,
assuntosi il compito di dirigere tutta la vita della nazione, dovette fare i conti con i vecchi gruppi
dirigenti borghesi, che alla Resistenza non avevano contribuito se non per eccezione e che
pretesero di riavere, come nel passato, il dominio incontrollato della vita economica. La natura e gli
orientamenti tradizionali di questi gruppi vennero subito alla luce. L’esasperato anticomunismo, che sembrava
rendere ormai impossibile l’attuazione dei propositi politici della Resistenza, fu di loro piena soddisfazione. Lo
alimentarono e ne furono alimentati. A quella parte del partito democristiano che, passata anch’essa attraverso la
Resistenza o ispirata da proprie idealità sociali, non aveva rinunciato a propositi economici e politici rinnovatori,
non rimase che accontentarsi di un vago riformismo borghese, anch’esso, però, continuamente contestato e
limitato nei tentativi di pratica applicazione.
318) Sorge infatti a questo punto una questione fondamentale: in quale misura i gruppi dirigenti
della grande borghesia italiana, industriale e agraria, sono disposti ad accogliere anche solo un
complesso di moderate misure di riformismo borghese? In quale misura, cioè, è possibile, in
Italia, un riformismo borghese? Invitiamo gli studiosi di storia e di economia ad approfondire
questa questione, che è di decisiva importanza non tanto per giudicare il passato quanto per
tracciare le linee di un prospettiva. La questione è strettamente collegata a quella delle sorti di un
partito socialdemocratico, che in Italia non è mai riuscito ad avere la stessa parte che in altri paesi
europei, e degli altri partiti di lavoratori. È sulla struttura stessa del capitalismo italiano che è
necessario concentrare l’attenzione. Essa è tale, per formazione e tradizione storica e per indirizzi di
politica economica seguiti per decenni, che il processo della accumulazione è condizionato dalla
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arretratezza e dalla mancanza di sviluppo di una metà del territorio nazionale, dalla
sovrabbondanza di mano d’opera e quindi dal livello tremendamente basso dei salari e, infine, da
un artificioso sostegno concesso dallo Stato al ceto privilegiato ai danni di tutta la collettività
(protezionismo, commesse costose, politica tributaria, ecc.). Sono quindi presenti e contribuiscono
alla ricchezza dei gruppi borghesi capitalistici vastissime zone di sovraprofitto e di rendita, alla
cui difesa attende efficacemente la politica economica governativa. Su una struttura di questo genere
è stato sempre assai difficile, anche da parte di chi forse lo avrebbe voluto, innestare una politica
di riformismo borghese. Da questa struttura uscì invece il fascismo. Ma in quale misura ha essa
subito, oggi, una trasformazione?
319) Subito dopo la liberazione, la grande borghesia esportò capitali e non partecipò alla ricostruzione
economica se non quando poté essere sicura del proprio predominio. Anche la riforma agraria fu
avversata, ridotta a un minimo indispensabile: non si doveva rompere la cerniera del blocco industrialeagrario. Un lungo periodo di disoccupazione di massa e quindi di difficile sviluppo vittorioso del movimento
sindacale e, infine, la congiuntura internazionale prepararono e resero possibile il famoso «miracolo», che
mutò i rapporti reciproci, all’interno dell’economia nazionale, tra agricoltura e industria, ma non dette luogo a
nessuna modificazione delle strutture sociali di fondo. I momenti di progresso che si sono affermati (accesso
al lavoro delle donne, parità salariale, riduzione della disoccupazione, ecc.) hanno quindi mantenuto un carattere
abbastanza aleatorio. L’emigrazione all’estero e le imponenti e pesanti trasmigrazioni interne hanno avuto,
d’altra parte, una importanza decisiva per tutto lo sviluppo economico. La capacità di concorrenza sul
mercato mondiale si è affermata in un primo tempo, ma ora tende di nuovo a scomparire. Per
consolidarla sarebbe infatti occorsa una rinuncia del grande capitale di tipo monopolistico alla
tradizionale ricerca di sovraprofitti immediati, alla caccia alle posizioni di rendita e all’altrettanto
tradizionale disfattismo di fronte ai pur molto velleitari propositi di riforma del centro sinistra. Per la
nazionalizzazione elettrica furono imposte, a favore delle società espropriate, condizioni tali da sfiancare
l’economia nazionale per un buon numero di anni. La creazione di un vasto settore di economia
pubblica è, senza dubbio, cosa nuova e importante, ma sino ad ora non si è riusciti a modificare,
utilizzando questo settore, il processo dell’accumulazione: anzi, non lo si è nemmeno tentato. Il
settore pubblico non è stato capace di contestare le leggi del settore privato.
320) In sostanza, la sola azione sistematica volta a intaccare le strutture e coronata da un successo non
trascurabile è stata, in tutto questo periodo, la lotta dei sindacati per l’aumento dei salari e
l’accrescimento del loro potere contrattuale. La sola riforma effettiva delle strutture è stato quel tanto o
poco di aumento delle retribuzioni che il movimento sindacale è riuscito ad imporre. Non per niente proprio in
questa direzione si è scatenato l’attacco di tutto il mondo capitalistico e attorno a questo problema è venuta a
maturazione la crisi attuale.
321) Di conseguenza, se la sostanza democratica del regime conquistato con la vittoria della
Resistenza non ha potuto essere intaccata, nonostante i ripetuti tentativi di limitarla o annullarla
(offensiva scelbiana, legge truffa, leggi capestro proposte da De Gasperi, tentativo tambroniano, ecc.) e
non ostante i propositi e le minacce anche del giorno d’oggi, il piano di riforme della struttura
economica è rimasto sino ad ora quasi esclusivamente un piano. Si è cosi creato nella società
italiana uno squilibrio, diventato oggi evidente più che nel passato. È uno squilibrio non solo tra un
piano costituzionale e una realtà, ma tra questa realtà e le aspirazioni delle grandi masse
lavoratrici. D’altra parte, se la sostanza del regime democratico è stata salvata, lo si deve alla
vigorosa azione condotta da queste masse nel corso di due decenni. E se a un certo punto si è creato un
movimento di opinione pubblica che rivendicava l’immediato inizio di una azione di riforma e rinnovamento
economico e sociale, è stato perché da tutte le forze economiche e sociali, da tutte le forze sinceramente
democratiche è partita una profonda critica del vecchio ordinamento economico e la richiesta almeno di un inizio
di applicazione integrale della Costituzione.
322) Questo è dunque, per ora, il nostro punto di arrivo e il nostro punto di partenza. Una valida e
profonda riforma delle strutture non si può ottenere se si crede di potervi arrivare senza una
lotta politica che contesti il predominio economico del vecchio ceto dirigente capitalistico. Ciò
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vuol dire che sono necessarie, se si vuole andare avanti, una lotta politica e una mobilitazione di
opinione pubblica ampie e decise. Questa nostra richiesta non ha dunque niente a che fare né col
«massimalismo », di cui si parla tanto a sproposito, né con gli errori che furono commessi, sia dal movimento
socialdemocratico sia da quello comunista, di fronte agli attacchi della reazione nel periodo tra le due guerre. Si
sbagliò, allora, per l’assenza di obiettivi concreti di un grande movimento delle classi lavoratrici e
per la mancanza di unità del campo democratico e prima di tutto della classe operaia. Questi
sono invece, oggi, gli obiettivi che noi proponiamo a tutti, mentre in ogni modo lavoriamo e
lottiamo per realizzarli.
Il Partito - Editori Riuniti – II ed. febbraio1972
La nostra lotta per la democrazia e il socialismo (p.111/125) - dal discorso alla Conferenza nazionale
di organizzazione del Pci, 10 gennaio 1947
323) ...Il Partito comunista italiano...è diverso da quello che esso stesso è stato in passato. È un
partito di massa, ma in pari tempo è una forza dirigente. È un partito che si interessa di tutte le
questioni che stanno a cuore di tutti gli strati di masse lavoratrici, ma se ne interessa non solo per
criticare, bensì per risolvere concretamente e rapidamente tutte le questioni. È un partito che
lotta e costruisce nello stesso tempo; che conquista le masse non solo attraverso la propaganda e
l'agitazione, ma attraverso un'attività costruttiva che si esplica in tutti i campi: governativo, municipale,
sindacale, cooperativo, e in tutti i rami dell'attività sociale...
324) Non possiamo rimanere legati alla vecchia posizione settaria di coloro che nel 1919-20 ci
dicevano di organizzare prima il partito, che una volta organizzato il partito si sarebbe pensato a
organizzare la rivoluzione. Partito e rivoluzione, partito e movimento delle masse, si devono
organizzare contemporaneamente. Naturalmente la soluzione di un problema simile non la si
raggiunge di colpo. Per questo non siamo arrivati ad essere subito quello che avremmo voluto essere, né
possiamo dire di esserci già arrivati. Il congresso dell’anno scorso ci ha fatto fare un primo passo. Questa
conferenza ci farà fare un passo, credo, ancora più grande.
325) E qui le questioni politiche diventano questioni di organizzazione. Ho però avuto l’impressione
che qualche compagno ne parlasse ancora in modo un po’ strano, come se continuasse a credere che
l’organizzazione comunista sia un’arte che possa riassumersi in qualche formuletta astratta,
staccata dalla vita. Non è così: noi abbiamo dei principi fondamentali, i quali sono essenzialmente
principi di interpretazione della realtà e quindi di guida nell’azione politica, ma l’arte dell’
organizzazione comunista si riduce a qualche cosa di molto semplice. Bisogna prima di tutto
conoscere gli uomini, conoscere a fondo i quadri e i militanti di partito, allo scopo di poterli
mettere tutti al loro giusto posto di lavoro, là dove le loro capacità e qualità si possono esplicare in
pieno, possono rendere il massimo in tutte le direzioni. Poi bisogna conoscere il paese, o la regione, o
la città, o il villaggio dove si lavora; bisogna conoscere le masse lavoratrici, i loro interessi, i loro
bisogni, e bisogna riuscire, disponendo bene gli uomini e fissando loro giusti compiti di lavoro, a
ottenere che essi siano attivi sulla linea tracciata, che sviluppino sempre più la loro iniziativa, in
modo che tutto il partito diventi veramente quello che deve essere: un’organizzazione di
avanguardia, uno strumento di lotta continua per la direzione di tutti i combattimenti delle masse
lavoratrici per i propri interessi e per le proprie rivendicazioni. Qui è tutta l’arte
dell’organizzazione e naturalmente non vi sono in essa formule fisse, come non vi sono formule
definitive. Bisogna marciare avanti in ogni momento e in ogni momento riuscire a capire quale è
la cosa più importante da farsi per organizzare il partito come partito d’avanguardia, come
strumento di direzione, come organo di combattimento.
326) Su questa traccia fondamentale obbligatoriamente generica ci siamo sforzati di precisare quali sono i
nostri compiti fondamentali di oggi, e di scoprire quali sono i nostri difetti, e mi pare che la conferenza li abbia
individuati così: Siamo già un partito di massa, dobbiamo acquistare anche le principali qualità di
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un partito di quadri, il che vuol dire che dobbiamo aumentare decisamente il numero dei quadri
del partito, migliorare decisamente il loro lavoro e realizzare in pieno la parola d’ordine che tutti
i comunisti debbono avere un compito e adempierlo scrupolosamente. Nel partito c’è lavoro per
tutti; nel partito tutti debbono lavorare. Naturalmente questi obiettivi fondamentali non si raggiungono
soltanto dando al partito in qualsiasi modo nuove formule di organizzazione. Essi si raggiungono
prima di tutto elevando il livello ideologico di tutto il partito e principalmente dei suoi quadri. Su
questo punto desidero soffermarmi per sottolinearne tutta l’importanza. Senza una dottrina
rivoluzionaria non esiste partito rivoluzionario. Senza una dottrina di avanguardia, non esiste
partito di avanguardia. Nel nostro partito queste verità sono state un po’ dimenticate. Da ciò
deriva che oggi si legge, si studia, si lavora teoricamente troppo poco. Non crediate però che io
dica questo solo come critica alla massa dei compagni. La critica è rivolta a tutti i nostri quadri,
di cellula, di sezione, di federazione e anche del Comitato centrale e della direzione del partito. In
ognuna di queste istanze si legge e si studia troppo poco e ciò avviene proprio in un momento in cui
lo studio è necessario più che mai.
327) Se è sempre stata necessaria a un partito comunista, infatti, un’intensa attività ideologica, questa
è indispensabile nel momento presente, dato il punto di sviluppo a cui si trova il movimento operaio
non solo nel nostro paese ma internazionalmente, e per il punto di sviluppo a cui si trova il marxismo
stesso. Il marxismo, lo avete letto dappertutto, non è un dogma, un catechismo, ma è una guida
per l’azione. Ora l’azione della classe operaia oggi è arrivata a un punto tale che per svilupparsi
deve seguire strade nuove, che non sono state ancora battute nel passato. Tracciare queste strade,
prevedere il modo come esse si possono sviluppare e batterle con passo sicuro, è ciò che devono
riuscire a fare oggi i dirigenti di un partito operaio marxista. Non si possono ripetere le impostazioni
e le formule del passato: bisogna saper creare qualcosa di nuovo, attraverso un’azione politica e di
organizzazione adeguata alle condizioni nazionali e internazionali in cui si sviluppa in tutto il mondo la
lotta per la democrazia e per il socialismo. L’esperienza internazionale ci dice che, nelle condizioni
attuali della lotta di classe nel mondo intiero, la classe operaia e le masse lavoratrici di
avanguardia possono trovare, per arrivare al socialismo, -cioè per arrivare a sviluppare la
democrazia fino al limite estremo, che è precisamente quello del socialismo-, strade nuove,
diverse da quelle, per esempio, che sono state seguite dalla classe operaia e dai lavoratori
dell’Unione Sovietica... Nella Jugoslavia esiste oggi un regime democratico avanzato, il quale si sviluppa
nella direzione del socialismo; ma non esiste un regime uguale a quello che esisteva nella Russia dei soviet dopo
la rivoluzione di ottobre. Non si può dire che in Jugoslavia esista la dittatura del proletariato, non esistono i
soviet; esistono invece forme nuove di organizzazione del potere che si potrebbero tradurre nella formula
generale di democrazia popolare, ed esistono organismi nuovi, creati attraverso la lotta di liberazione
nazionale, i quali servono alle grandi masse popolari per esercitare la loro sovranità...Se la democrazia italiana
avesse potuto svilupparsi mantenendo in piedi i Comitati di liberazione nazionale come organismi di
contatto fra i differenti partiti e come organi di lotta per la democratizzazione del paese e base di un
potere nuovo, anche noi avremmo avuto qualche cosa di simile, ma solo per alcuni aspetti, a quello che è
avvenuto in Jugoslavia.
328) Vi sarebbe però stata una grande diversità, perché il Fronte di liberazione iugoslavo è diverso dal
movimento di liberazione italiano, in quanto quello è un organismo di massa, mentre questo, il nostro, era un
movimento fondato su una federazione di partiti. Ma quella strada l’Italia non ha potuto prenderla e non
per ragioni dipendenti dalla debolezza del movimento di liberazione nazionale, bensì per ragioni
internazionali. Se l’avessimo presa, anche quella sarebbe stata una strada diversa, nuova...Noi vediamo cioè
che in ogni paese, in rapporto con le diversità di sviluppo del capitalismo, in rapporto con le
tradizioni e le caratteristiche nazionali, e in rapporto anche con la posizione che questo paese ha
avuto nel corso della grande guerra mondiale, la marcia verso la democrazia e verso il socialismo
assume forme particolari.
329) È nostro compito acquistare quella capacità ideologica, politica e di organizzazione che ci
permetta di trovare la via nostra, la via italiana, la via che è dettata dalle particolarità, tradizioni
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e condizioni del paese nostro, di sviluppo della democrazia e di lotta per la realizzazione delle più
avanzate riforme democratiche e per il socialismo. Questo compito non potremo assolverlo se il
lavoro ideologico del nostro partito non diventa qualche cosa di collettivo, qualche cosa cui diano
un contributo i quadri vecchi e nuovi del partito; cioè se nel partito non ci si mette a studiare di
più. E che cosa bisogna studiare? Prima di ogni altra cosa bisogna studiare quella che è la nostra
dottrina fondamentale, la dottrina politica della classe operaia: il marxismo, il leninismo , bussola
che. ci ha diretto per venti anni della nostra storia e che ci dirige ancora per trovare la strada giusta, la strada
italiana della lotta per la democrazia e il socialismo. Anche il marxismo e il leninismo, però, dovranno
essere studiati bene, non per apprendere formule astratte, ma per imparare a distinguere una
situazione dall’altra, per vedere come in situazioni diverse abbiano saputo muoversi i grandi
maestri della politica proletaria, per imparare l’arte difficilissima di cogliere il generale e il
particolare e di adeguarsi a quest’ultimo senza perdere di vista mai le mete supreme. Oltre a
questo ritengo necessario che la formazione ideologica dei nostri quadri vada anche in altre due
direzioni: la prima è quella dello studio più approfondito della storia del nostro paese, che noi
non conosciamo abbastanza, che le giovani generazioni ignorano completamente o quasi, perché
l’hanno appresa soltanto attraverso le falsificazioni retoriche, idealistiche, monarchiche,
nazionalistiche e via dicendo. Dobbiamo ristabilire la verità, imparare come la storia del nostro
paese è storia di lotte di classe e individuare attraverso a queste lotte lo sforzo democratico delle
forze avanzate, progressive, della borghesia prima, poi dei contadini, degli operai, ecc., per
riuscire a democratizzare l’Italia. Quindi dobbiamo individuare esattamente quali sono le tradizioni
nazionali che noi continuiamo e quali sono quelle che respingiamo perché non sono nostre, perché sono ancora
oggi una palla di piombo legata al piede del popolo italiano, e particolarmente un peso morto che impedisce a
una parte molto grande degli intellettuali di progredire, di accostarsi alla classe operaia, di esercitare una
funzione progressiva nello sviluppo della lotta politica. La seconda direzione in cui deve pure muoversi la
formazione ideologica dei nostri quadri è quella dello studio approfondito dell' esperienza
internazionale del movimento operaio e del movimento comunista, prima di questa ultima grande
guerra, durante e dopo di essa...numerosi episodi decisivi della lotta internazionale per la democrazia e contro
il fascismo sono ignorati, ignorati soprattutto dalle giovani generazioni, ignorati dalla massa di
coloro che si occupano di politica, ignorati da una grande parte degli intellettuali. È nostro
compito farli conoscere, ed è nostro compito di comunisti elaborare a fondo queste esperienze allo
scopo di riuscire noi stessi a progredire e nella misura delle nostre forze -scusate l’espressione forse un
po’ ambiziosa- dare un contributo allo sviluppo di quel marxismo vivente il quale non è altro che
la elaborazione generale delle esperienze di lotta della classe operaia di ogni paese e dei singoli
popoli per la emancipazione del lavoro, per la democrazia e per il socialismo...
330) In realtà non vi è da spaventarsi se qui sono state presentate soluzioni diverse per problemi che in
parte ci si presentano per la prima volta. Soprattutto è da tener presente che del tutto nuovo è il problema
del modo come si dirige operativamente un grande partito di massa come il nostro, di 2 milioni e 200 mila
iscritti e del modo come questo grande partito di massa riesce a organizzare la propria attività in tutte le
direzioni, cioè nella direzione di tutti gli strati sociali che esso vuole dirigere e influenzare. Il problema è
veramente nuovo, e nella storia del movimento operaio e anche nella storia del bolscevismo, prima della
conquista del potere, una soluzione bella e fatta non la troviamo. Dobbiamo elaborarla noi attraverso la
nostra esperienza e studiando le esperienze degli altri partiti. Quindi non vi è affatto da scoraggiarsi se qui sono
state espresse alle volte opinioni contrastanti. Alla fine dovremo arrivare e stiamo già arrivando a
conclusioni abbastanza chiare.
331) La prima conclusione e forse la più importante mi pare sia che le forme di organizzazione del partito
devono essere le più semplici che sia possibile. La nostra formazione di base, che è la cellula di officina o di
strada, deve essere semplificata in modo tale che possa venire diretta da un nucleo non più grande di tre o cinque
compagni. Per questo, quando sentiamo ancora parlare di cellule le quali hanno 2.000, 4.000, 6.000 iscritti,
dobbiamo immediatamente dire che queste non sono cellule ma qualcosa di diverso: sono un complesso di
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cellule, possono essere o diventare una sezione se volete, a seconda delle necessità e a seconda delle condizioni
locali, ma non si tratta e non si può più trattare di una cellula sola.
I compagni che dirigono una cellula devono poter quasi conoscere personalmente tutti i
membri della cellula stessa. Deve esistere la possibilità di un controllo reciproco fra questi
compagni. Tutto questo esige che, senza tornare in nessun modo ai gruppi di cinque o di tre che esistevano ai
tempi della illegalità perché sarebbe assurdo, sia mantenuto alle cellule questo carattere di organizzazione
numericamente ristretta.
332) In seguito dobbiamo sforzarci di creare il minor numero possibile di gradi, di istanze
intermedie di partito, in modo da mantenere l’efficienza della direzione. Ammetteremo però
quelle istanze intermedie che appariranno indispensabili per una buona e continua direzione operativa.
333) Fra le differenti istanze ci interessa oggi particolarmente la sezione. Alla sezione bisogna
dare un’attenzione più grande di quella che si è data finora. La sezione non deve essere più soltanto
un gradino burocratico, e soprattutto il comitato direttivo di sezione e i dirigenti di sezione non devono
essere soltanto delle specie di cassette postali per ricevere circolari e trasmettere ordini e disposizioni
amministrative. Essi devono diventare organismi politici dirigenti nel senso pieno della parola. I
comitati di federazione dovranno quindi dare all’inquadramento giusto delle sezioni quella
attenzione che noi diamo all’inquadramento delle federazioni stesse, cioè curare che a capo di
ogni sezione ci siano uomini o per lo meno un uomo il quale garantisca la direzione politica
dell’attività del partito là dove la sezione esiste, agisce e funziona.
334) Stabilito questo quadro generale di organizzazione, si dovranno studiare con la più grande attenzione tutte
le forme di lavoro del partito, in modo da moltiplicarle, e soprattutto in modo da aumentare il volume del
lavoro elementare di partito il quale può essere compiuto anche da compagni scarsamente qualificati, in contatto
con determinati gruppi della popolazione. Naturalmente le forme di lavoro del partito sono molteplici e io non
voglio qui intrattenermi a parlare di tutte, del lavoro sindacale, di quello municipale, del lavoro per la diffusione
della stampa, del lavoro fra le donne, fra i giovani, fra le ragazze, ecc. Di tutto qui si è parlato e cercheremo di
elaborare per ogni campo di attività istruzioni complete, le quali diano un contributo al miglioramento di
tutta l’attività del partito in tutti i suoi settori. Se vogliamo però realizzare la direttiva che nel partito c’è
lavoro per tutti e tutti nel partito devono lavorare, l’essenziale è di moltiplicare le forme di lavoro più
elementari di diffusione dei contatti del partito con tutti gli strati della popolazione. Le esperienze già fatte
dovranno essere diffuse. Nuove esperienze si dovranno fare.
335) È verissimo che, in relazione col volume che stanno assumendo le nostre attività, i nostri
quadri sono troppo pochi; è vero però anche che in parte ciò avviene per difetto nostro. In molte
organizzazioni la politica dei quadri viene ancora condotta in modo ristretto. Si pongono ancora
barriere artificiali allo sviluppo dei quadri e soprattutto alla promozione dei più giovani militanti
dei partito. Inoltre, abbiamo un difetto di quadri perché non sviluppiamo il lavoro del partito in
tutte le direzioni e quindi non sviluppiamo le capacità di tutti i compagni, anzi non le mettiamo
nemmeno alla prova. Io sono sempre dell’opinione che in una organizzazione dove vi è un gran
numero di compagni inattivi, è vero che una gran parte della colpa ricade su questi compagni che
dovrebbero sentire il dovere di essere attivi, ma è vero altresì che in moltissimi casi la colpa è dei
dirigenti, incapaci di organizzare l’attività di tutti i compagni, scegliendo e indicando a ciascuno
un campo di lavoro, nel quale egli possa esplicare la propria attività e svilupparsi. Nella direzione
dei quadri più giovani si commettono ancora seri errori, e soprattutto nel Mezzogiorno. Vi sono ancora
vecchi compagni dirigenti, diciamo pure vecchie bandiere cariche di gloria e di tutto quello che si
vuole, i quali costituiscono un ostacolo allo sviluppo del partito perché non aprono la strada
all’avanzata dei nuovi quadri e, quando quadri giovani avanzano, incominciano a lavorare e commettono un
errore, li criticano in modo tale che li demoralizzano e spingono indietro. Queste abitudini devono essere
liquidate, e soprattutto nel Mezzogiorno, dove è verissimo che l’avanzata di qualche quadro giovane alla testa
di sezioni numerose può significare il capovolgimento di una situazione in un villaggio o in una zona
determinata, là dove i vecchi quadri non riescono più a realizzare una funzione dirigente nei confronti di
tutto il popolo. Bisogna dunque fare avanzare gli elementi giovani, e quando essi commettono errori
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bisogna criticarli, ma in modo che li incoraggi. Bisogna criticare in modo più aspro i vecchi quadri
di partito che non i giovani...
336) Abbiamo in Italia gruppi numerosi di intellettuali cui ci dobbiamo avvicinare per comprendere la
loro mentalità e le loro esigenze...L’opera di attrazione e direzione degli intellettuali deve esser svolta
in forme speciali, quali sono richieste dalle particolari caratteristiche di questi gruppi sociali.
337) Sono stati dedicati alcuni interventi anche ad esaminare i problemi della direzione del partito, e le
critiche che sono state fatte sono giuste nella maggior parte: la direzione del partito le accetta e si
sforzerà di lavorare in modo più adeguato ai bisogni della organizzazione. Desidero tuttavia attirare la
vostra attenzione su alcuni elementi di fatto e prima di tutto sul modo come la direzione storicamente si è
costituita attraverso lo sviluppo più che ventennale del partito e attraverso differenti periodi di lotta, nei quali
gruppi di compagni diversi si sono formati come dirigenti. È evidente e chiaro per tutti che la direzione
del partito è oggi unita, compatta, omogenea; però questo risultato è stato ottenuto attraverso un
determinato lavoro, che ha richiesto una determinata attività di direzione, da svolgersi con
cautela...dobbiamo evitare il pericolo di personalizzare troppo la direzione, la quale deve essere
sempre una direzione collettiva...occorre che la direzione faciliti ai giovani compagni lo sviluppo
delle loro capacità direttive...
338) Ai compagni che hanno criticato la direzione del partito è infine da ricordare che dal 2 giugno in poi la
linea seguita, e consapevolmente seguita, è stata quella di mettere il maggior numero possibile di compagni
della direzione alla testa delle grandi organizzazioni periferiche, tanto è vero che oggi (il che vuoi
dire negli ultimi mesi) i compagni in permanenza a Roma e che dedicano il loro lavoro
esclusivamente alla direzione di partito sono soltanto cinque, mentre gli altri membri della
direzione hanno funzioni decentrate, sono cioè attivi a capo di organizzazioni periferiche o a capo
di grandi organismi di massa. Due si dedicano completamente all’attività parlamentare. Come vedete,
già ci siamo messi sulla strada di quel decentramento delle forze della direzione che deve
permettere al compagni del Comitato centrale e della direzione stessa di esplicare le loro funzioni
dirigenti in modo concreto, per assicurare un contatto più stretto tra periferia e centro...
339) ...Noi possiamo diventare -non come dicono gli avversari la forza unica, il partito unico, che
dirige tutta l’Italia- no, ma la forza animatrice decisiva dell’azione comune di tutti i lavoratori e di
tutti i democratici per il rinnovamento della vita nazionale. Ricordatevi, compagni, che siamo
diventati quello che siamo, cioè un gran partito di massa, il quale marcia sicuro verso la conquista della
maggioranza del popolo, attraverso il lavoro dei compagni, attraverso la devozione di tutti i nostri
militanti, attraverso il sacrificio dei nostri migliori. In molti periodi della vita del nostro partito si
sono posti dinanzi a noi compiti difficilissimi, compiti che alle volte qualcuno considerò non
potessero essere nemmeno affrontati. Noi combattemmo aspramente contro costoro, li
cacciammo dalle nostre file, perché quando un obiettivo del partito viene indicato sulla base di
una giusta analisi politica e corrisponde alla situazione oggettiva e soggettiva del paese, il partito
deve ad ogni costo trovare in sé la forza, l’energia, le forme di organizzazione, le capacità di
lavoro, lo slancio necessario per raggiungerlo...Oggi l’obiettivo nuovo che si pone è quello che è stato
fissato dal nostro V Congresso: rinnovare democraticamente l’Italia, aprire alla classe operaia e al popolo
italiano la strada che li porti alla democrazia e al socialismo. Questo obiettivo è storicamente maturo,
concretamente adeguato alla situazione italiana. Esso sgorga da tutta la storia del nostro paese, dalla situazione
nazionale e internazionale in cui noi viviamo. Si tratta quindi, oggi, che il partito raccolga tutte le forze,
organizzi tutte le proprie energie e vada avanti per la realizzazione di questo obiettivo.
Rinnovare e rafforzare il partito (p. 127/138) - Dalla relazione politica all’VIII Congresso del Pci, 8
dicembre 1956
340) ...I tentativi di staccarci dalle masse fondamentali del popolo, dagli operai, dalle popolazioni povere del
Mezzogiorno, da tutti coloro che sono oppressi da più misere condizioni di esistenza e da quella parte del ceto
medio lavoratore che più sente le esigenze di un rinnovamento economico, non hanno avuto risultato.
Indebolimenti parziali delle nostre posizioni qua e là vi sono stati, anche nelle fabbriche, ma sono lungi
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dal potersi considerare indici di una situazione che non si possa correggere con un intenso lavoro. Al
contrario, proprio nelle ultime settimane, agli attacchi sfrenati del nemico ha risposto un caldo
stringersi attorno a noi di quella parte delle masse operaie e popolari in cui la coscienza di classe è più
sviluppata e più sveglia.
341) È comune e giusta nostra convinzione che questa nostra forza, oltre che la conseguenza, com’è naturale, di
tutta la azione da noi condotta in seno al movimento operaio, delle lotte combattute con eroismo e spirito di
sacrificio per più di trent’anni, con una fondamentale coerenza rivoluzionaria, sia strettamente legata al carattere
che abbiamo voluto dare al nostro partito dal 1945 in poi. Questo carattere già era, come allora dicemmo,
una cosa nuova. Comprendeva l’abbandono totale delle vecchie posizioni settarie; la critica della
concezione del partito come ristretto gruppo di eletti, organizzati quasi militarmente; lo slancio
nel reclutamento; nuove forme di organizzazione e di lavoro. Comprendeva soprattutto lo sforzo
continuo per avere un legame solido con tutti gli strati popolari allo scopo di poter affrontare e
lottare sul terreno democratico per la soluzione di tutte le questioni che interessano la popolazione
lavoratrice che sono essenziali per poter guidare la classe operaia e il popolo a una lotta conseguente per
la democrazia e il socialismo...Sbaglieremmo se dicessimo che alla applicazione di essa (di questa
concezione del partito) in tutti i campi della nostra attività non vi siano state resistenze e riserve, che
questa applicazione non abbia quindi avuto dei limiti, spesso anche seri, e che di qui non sia venuta una
riduzione della nostra efficienza politica.
Quando abbiamo parlato di una certa «doppiezza» nella condotta complessiva del nostro
partito siamo partiti dalla considerazione di queste resistenze e di questi limiti, e degli errori che
ne sono derivati. L’espressione forse non fu felice, perché sembra contenga una critica di ordine
morale. È però certo che determinati errori, costantemente ripetuti negli stessi campi di lavoro,
non potevano non dare la impressione di una divergenza non manifestata, ma esistente, circa gli
orientamenti del partito. Prendiamo, ad esempio, le questioni relative al movimento femminile. Sin
dall’inizio, dodici anni fa, fu detto che il compito, in Italia, sta nel lottare per la emancipazione della donna,
che questa è una delle questioni centrali della democrazia e della avanzata verso il socialismo, che
dobbiamo quindi dare opera allo sviluppo di un grande movimento femminile democratico e autonomo, il
cui obiettivo sia la emancipazione femminile. Di qui la necessità di una particolare attenzione a tutti i
problemi femminili, al reclutamento delle donne nel partito e nei sindacati, alla loro organizzazione, allo
studio delle questioni che le interessano, alla formazione e promozione di quadri femminili. Si è certamente
andati avanti per questa strada, ma con quale stento! Si è stati costretti a confutare cento volte posizioni
errate, come quella che nega la esistenza di un problema specifico femminile, che pensa le donne siano da
muoversi solo come forza ausiliaria delle altre lotte sindacali o politiche. Si è dovuta combattere nel partito
stesso la persistenza di pregiudizi reazionari e persino la negazione pura e semplice che una organizzazione
femminile di massa debba esistere e abbia compiti specifici suoi. Viene fuori la visione di un partito che
approva le cose giuste, ma una parte di esso non le fa, anzi, fa delle cose sbagliate. È soltanto
trascuratezza e incapacità, o è assenza, anche se non dichiarata, di adesione a una linea politica?
342) Il criterio della adesione a una linea politica non sono le parole, è il lavoro per attuarla. Noi
abbiamo sempre posto al centro della nostra politica la rivendicazione e la difesa delle autonomie locali. Sono
numerosissime e di estrema importanza le questioni immediate, vitali e urgenti per le popolazioni più bisognose,
che si risolvono con l’attività delle amministrazioni locali. Tutto il partito accetta questa posizione e ne è
certamente convinto. Come si spiega allora che tanta parte del partito si accorga della importanza
delle questioni amministrative solo quando c’è una consultazione elettorale, e quindi si perdano
posizioni che si erano conquistate, oppure non si conquistino quelle che si sarebbero potute strappare al nemico?
343) L’importanza che noi diamo al parlamento in tutta la nostra strategia e tattica politica è nota da tempo e
approvata da tutti. Ma il modo come utilizziamo il parlamento, fatta eccezione per alcune battaglie
drammatiche e decisive, non è all’altezza di questa linea politica. Il complesso del partito non comprende
giustamente e non dà il necessario valore al lavoro parlamentare. Gli stessi organi centrali non sono sempre
riusciti a organizzare una direzione efficace. Speriamo che la recentissima risoluzione dei gruppi parlamentari,
circa i compiti del parlamento stesso e dei nostri parlamentari, sia l’inizio di una energica correzione.
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344) Tutti conoscono come in ogni nostra assemblea, sia al centro che alla periferia, si sottolinei la
necessità del lavoro nostro nella direzione di strati sociali lontani dalla classe operaia e di gruppi di
lavoratori ancora a noi ostili. Le iniziative atte a soddisfare questa necessità sono state molteplici, spesso
buone e feconde di risultati, verso le popolazioni della montagna, per esempio, verso artigiani, impiegati,
funzionari, pensionati, reduci di guerra e così via. Non si sfugge però alla frammentarietà e discontinuità del
lavoro. Trascurata in modo quasi generale l’attività verso i piccoli coltivatori, i quali invece hanno oggi
bisogno particolarmente di una guida che li sottragga al clericalismo e all’affarismo, i quali considerano questa
categoria come loro terreno di caccia riservata. Così per ciò che riguarda le masse lavoratrici cattoliche, tra le
quali appaiono continuamente i segni della ricerca di nuove vie di lotta contro l’ordinamento attuale, molto si
scrive e si parla del necessario dialogo, ma il lavoro per l’avvicinamento ad esse e per la loro conquista è troppo
limitato e discontinuo. Eppure, dappertutto, dove lo si è fatto, i risultati sono stati importanti.
345) Ma anche per stabilire, estendere, rafforzare e difendere i legami del partito con la classe
operaia, forse che non costatiamo anche in questo, che dovrebbe essere il campo principale del
nostro lavoro, deficienze serie, non viste e non corrette a tempo, e per questo destinate a manifestarsi in
modo spiacevole nelle consultazioni di fabbrica? Il fronte del lavoro nelle fabbriche è il principale
fronte del partito. Ed è un fronte molteplice. Le agitazioni e lotte sindacali non lo esauriscono.
Queste lotte sono spesso molto dure, oggi; non danno sempre i risultati sperati. La propaganda,
l’agitazione, la organizzazione del partito debbono intervenire per superare le durezze, non solo, ma per riuscire
a far sì che da ogni lotta, anche se non coronata da pieno successo, possa uscire un consolidamento
della coscienza di classe degli operai, una più decisa volontà, in loro, di organizzarsi, di unirsi, di
opporre agli sfruttatori un fronte più compatto e una azione più efficace. Ogni organizzazione di
partito deve saper essere sempre presente tra gli operai, deve avere un piano di lavoro per
l’adempimento di questo compito e per la direzione delle lotte operaie.
346) Le critiche che essa fece (la IV Conferenza nazionale) e le soluzioni che indicò, spesso con
energia e precisione, rimangono nella maggior parte giuste, ma rimangono anche in gran parte
non applicate. La critica molteplice di tutti gli aspetti del nostro lavoro deve essere fatta e sarà
fatta anche qui. Quando parliamo di un rinnovamento, intendiamo qualche cosa di più.
347) Dopo il grande successo riportato contro la legge truffa, si apriva al paese e a noi una situazione
nuova. Non si può dire che nel centro del partito ciò non sia stato compreso. Ci si riferisca anche solo alle
nostre deliberazioni del mese di ottobre del 1953. Si richiedeva in esse che il partito, forte della vittoria
conseguita, si gettasse con impeto in una attività multiforme, ampia, verso tutte le categorie della popolazione
lavoratrice, facendo leva sui loro interessi immediati e sulla necessità, generalmente sentita, di una politica
nuova, di profonde riforme. Al partito non mancò l’orientamento; mancò lo slancio nella attuazione
di questa politica. Mancò forse anche, qua e là o in qualcuno, la convinzione profonda che questa
politica fosse giusta. Di qui una palese incertezza, cui si sommò il ritardo nella valutazione dei
mutamenti che allora avvenivano nella economia e negli indirizzi politici altrui. Il periodo del
governo Scelba fu pieno di iniziative e lotte di grande importanza e si chiuse con un successo delle forze
democratiche e nostro. Non si può negare che dopo il 1953 il complesso della nostra iniziativa politica fu più
limitato e il partito si chiuse alquanto in se stesso.
348) Da questa critica risulta bene che cosa è il rinnovamento che oggi chiediamo. Il fronte del
rinnovamento del partito è essenzialmente un fronte rivolto verso l’esterno, che investe l’attività
politica del partito e il suo modo di lavorare. Non vuol essere, dunque, un semplice colpo di
frusta. Sta prima di tutto nella più compiuta e migliore elaborazione della nostra piattaforma politica, quale
discende dalla ricerca più approfondita di una via italiana al socialismo. Sta nella più ricca analisi delle forze
motrici del rinnovamento democratico e della rivoluzione socialista. Sta nella più ampia e libera ricerca
degli alleati della classe operaia nella lotta contro il potere dei grandi monopoli. Sta nella definizione delle
riforme di struttura che rivendichiamo, del loro valore e del modo di strapparle. Sta nel posto di primo
piano che ancora una volta diamo alla riforma agraria generale per cui combatte la classe operaia e combattono i
contadini. Sta nella migliore comprensione del metodo democratico della nostra azione, del valore che ha la
conquista della democrazia nella avanzata verso il socialismo.
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349) Al centro dell’opera di rinnovamento del partito sta dunque la lotta per la linea del partito
e per una via italiana al socialismo. Che cosa ci può impedire di procedere per questa via? Due
ostacoli principali: il settarismo massimalistico e il revisionismo riformistico. Il primo si chiude in
sé, nell’attesa del gran giorno. Il secondo piega i ginocchi al capitalismo, nell’attesa che da sé diventi
socialismo. Entrambi rinunciano all’azione rivoluzionaria per la conquista del socialismo...In seno alla
classe operaia il danno che il riformismo può fare è il più grave, perché spegne lo slancio
rivoluzionario e induce alla passività. Ma non potrà efficacemente combattere contro il riformismo un
partito che sia chiuso in sé, settario, che non sia pienamente convinto della giustezza della sua linea politica, che
non combatta per attuarla. La lotta per rimuovere l’uno di questi ostacoli si intreccia dunque con l'altra e la
condiziona. La ricerca del modo come essa si presenta e deve condursi è quindi da legarsi con la giusta
conoscenza dei compiti del partito e con l’attuazione di essi.
350) Si comprende, da tutto ciò che ho detto, il grande rilievo che assumono le questioni della
vita interna e del funzionamento del partito. La parziale incapacità di realizzazione di una giusta
politica e quella certa tendenza alla chiusura settaria, che ho denunciato, si esprimono infatti,
nell’interno del partito, col manifestarsi di un irrigidimento burocratico, con la restrizione delle
forme di attività e di vita democratica. Si comprende quindi come debba concentrarsi il fuoco in
questa direzione, se si vuole accrescere tutta la capacità politica e di lavoro del partito. Questo
diventa, perciò, nel partito stesso, il compito principale...
351) Noi...ci siamo resi conto della gravità dei problemi che venivano sollevati, abbiamo condannato e fatto
condannare gli atti di frazionismo e indisciplina da quelli stessi che li avevano compiuti, e con coloro che erano
in disaccordo abbiamo liberamente discusso, per convincerli e averli con noi su una giusta posizione politica. Il
risultato è stato, sinora, positivo, e il metodo è stato giusto, perché è il normale metodo di direzione di un
partito che vuole fondare sul ragionato e consapevole consenso, e non solo sulla obbedienza, la unità e
compattezza delle sue file.
352) La circolazione delle idee, in tutto il partito, deve compiersi in due direzioni, dall’alto verso
il basso e dal basso verso l’alto. Non si può pretendere che le idee, i suggerimenti, le proposte che vengono
dal basso, si presentino sempre con una elaborazione perfetta e siano sempre del tutto giuste. A elaborarle e
ricavare da esse tutto ciò che è necessario serve appunto la discussione. Il modo come noi ci siamo
comportati è stato anche dettato dalla consapevolezza che questa forma di circolazione delle idee è
nelle nostre file assai manchevole, nonostante tutte le cose che si sono dette e le decisioni che si
sono prese per stimolarla. Se i compagni non vengono conquistati saldamente alla convinzione
che la politica del partito è giusta, male essi lavoreranno per l'attuazione di essa. Il richiamo alla
democrazia interna e la lotta per liquidare le artificiali sue limitazioni è quindi richiamo a una migliore efficienza
politica, alla maggiore attività continua del maggior numero di compagni e quindi al migliore adempimento di
tutti i nostri compiti.
353) La richiesta che si organizzino nel partito delle tendenze non favorirebbe, ma ostacolerebbe
la circolazione delle idee e ridurrebbe la vita democratica a forme inammissibili di
parlamentarismo deteriore...Metodi di direzione profondamente errati si esprimono, per
esempio, nella caporalesca richiesta che ogni quadro il quale faccia un errore senz’altro debba
cacciarsi dal lavoro, qualunque siano le sue capacità. Non è così che si forma un ricco quadro di
partito ma dopo la critica aiutando i compagni a correggersi, a migliorarsi, a trovare la loro
unità nella lotta per la nostra politica.
354) Noi non siamo un partito di discussori, ma un partito rivoluzionario, creato per l’azione,
per il combattimento. Siamo il partito di una classe oggi sfruttata e oppressa, che per liberarsi ha
bisogno di una guida solida, energica, unita. Siamo un partito che deve assolvere compiti sempre
nuovi e sempre più vasti, via via che il movimento si sviluppa. Per questo dobbiamo avere una
organizzazione sempre efficiente e dobbiamo mantenerla tale con un quadro intelligente e capace
di militanti rivoluzionari. Si faccia avanti una nuova leva di questi militanti, venga dalle officine, dai campi,
dalle scuole, per contribuire al rinnovamento che noi vogliamo. Si riducano, ove necessario, gli apparati di
direzione, si attraggano alla direzione politica e pratica operai e lavoratori attivi nella produzione. Si
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semplifichi il lavoro per renderlo più efficace. Si studi di più, ma si lavori e si combatta nel popolo e alla
testa del popolo. La lotta per la democrazia e per il socialismo non può essere condotta alla vittoria
che da un partito attivo e democratico, di lavoratori e di combattenti. In questo modo tutti i
compiti confluiscono, la migliore conquista della nostra dottrina, la ricerca ideale e pratica, la conoscenza
del nuovo che continuamente sorge e richiede giudizio ed azione adeguati, la vigilanza e la lotta contro il
nemico di classe, l’organizzazione del movimento economico della classe operaia, la conquista della
democrazia e del socialismo, la creazione dello strumento di cui il proletariato e il popolo hanno bisogno
per poter attuare questa conquista...
Un balzo in avanti del partito (p. 173/181) - dalla relazione al IX Congresso del Pci, 30 gennaio 1960
355) Le questioni e le lotte operaie sono state giustamente collocate e viste nell’insieme dei grandi
problemi nazionali. Sono state al centro del nostro lavoro e debbono continuare ad esserlo.
356) Vi è una migliore conoscenza dei problemi attuali, l’attenzione è rivolta in tutte le direzioni, non ci si
limita alla denuncia, si compie uno sforzo per indicare le soluzioni che si impongo per difendere gli interessi ed
elevare le condizioni di esistenza di tutta la popolazione lavoratrice. Questa ricerca porta il partito a un
contatto con nuovi gruppi sociali, a superare le posizioni strettamente corporative e operaistiche,
ad approfondire lo studio e l’attuazione delle ampie alleanze di classe che sono necessarie per ‘la
costruzione del socialismo...
357) Una linea politica incomincia a essere efficace quando si combatte per la sua applicazione e
la si applica in modo ampio, coerente, conseguente, senza alcuna riserva mentale. Qui si sono
presentate le resistenze e gli ostacoli di cui nella preparazione del congresso si è ampiamente parlato. Non una
tendenza organizzata, ma una specie di forza d’inerzia che si esprimeva nei modi più diversi. Per superarla
non vi era altro metodo che quello di un più elevato lavoro ideologico, di convinzione e di stimolo
all'attività pratica; di una migliore composizione degli organi dirigenti e della correzione di
errori singoli, per superare zone di passività e di cattivo lavoro. Sono problemi che si presentano
sempre, in un grande partito di massa, ma assumono particolare acutezza quando il partito, meglio determinati i
suoi obiettivi e i suoi compiti, deve lavorare in una situazione nuova.
358) Gran parte di questi problemi erano davanti a noi quando parlavamo di rinnovamento e rafforzamento e
gli organi centrali hanno lavorato per risolverli, in modo che spetta a voi giudicare. Il metodo da noi seguito
è stato quello di un’azione politica che partisse dal dibattito aperto, da una estensione della
democrazia interna, dalla chiarezza delle posizioni e dallo sforzo per la utilizzazione di tutti i
compagni; che guardasse dunque tutto il partito, nel suo complesso, per farlo progredire senza
nulla perdere del suo capitale di esperienza e di lotta.
359) Non col bastone, ma una accorta opera di direzione politica e organizzativa, si dovevano risolvere e
per gran parte sono stati risolti questi problemi. Il settarismo e il dogmatismo non potevano e non possono
non essere l’ostacolo principale all’applicazione di una politica che rompe, effettivamente, gli schemi di un
chiuso classismo corporativo: che respinge ogni posizione di massimalismo avveniristico e parolaio; che non
vive di mistiche attese; che esige nel presente il lavoro per fare della classe operaia la guida di un
grande movimento democratico e rivoluzionario. La ricerca dell’incontro con altri gruppi sociali,
l’alleanza con contadini e con il ceto medio, la trattazione dei temi della emancipazione
femminile, della cultura, della scuola, esigono che noi sappiamo presentare sempre a tutti il
nostro vero volto di avanguardia democratica, di difensori di tutti gli sfruttati, di assertori degli
interessi e degli ideali di una nazione libera e indipendente, di uomini che comprendono e
vogliono il progresso, che sanno rispettare gli altri e vogliono convincere con argomenti validi,
che vogliono essere forti, ma di una forza che getta le sue radici nella superiorità delle nostre
grandi visioni sociali e in una maggiore capacità di lavoro.
360) Noi abbiamo condotto per anni ed anni una lotta dura, costretti da un avversario prepotente e spietato.
Persecuzioni inumane si sano abbattute sui migliori quadri della classe operaia, mettendoli brutalmente di fronte
alla prospettiva della disoccupazione e della miseria. Abbiamo vinto, grazie alla tenacia dei nostri militanti e allo
spirito di lotta delle migliori nostre organizzazioni, la grande battaglia della guerra fredda. Nella battaglia, che
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continua, contro la barbarie anticomunista, abbiamo ottenuto seri successi. Siamo riusciti a mantenere
ampiamente aperta la via della democrazia e del socialismo e a progredire in essa. Tutto ciò che si è
conquistato è dunque da conservare: sono da conservare le qualità di tenacia, devozione, e spirito di sacrificio
che sono della massa dei nostri militanti; ma vi sono pure primitivismi e durezze, che spesso ci siamo portati
dietro troppo a lungo. Sono necessari oggi più studio e più elaborazione politica, maggiore dibattito e
maggior lavoro collettivo, migliori capacità di convinzione e di lotta. Tutta la organizzazione e tutte
le nostre attività devono salire a un livello più alto, che corrisponda alle modificazioni che in tutta la
vita sociale si stanno compiendo e alla più ricca ramificazione dei nostri obiettivi. L’iniziativa politica
non può essere saltuaria, limitata, incerta. Deve continuamente accompagnare la propaganda:
deve rendere concreta l’agitazione: deve aprire alle masse e al partito la via dell’azione...
361) Ma stiamo attenti. Il settarismo da un lato, l’opportunismo dall’altro, sono pericoli contro i
quali noi dobbiamo essere abituati a combattere muovendoci sempre, nella dialettica interna del
partito, sopra due fronti.
362) Oggi bisogna stare attenti a che non si dimentichi che la situazione che sta davanti a noi non
si modifica se non con lo sviluppo di un forte movimento delle masse. A questo tende tutto il nostro
lavoro, tendono le nostre ricerche e tendono i contatti con tutti i gruppi della popolazione lavoratrice. Come si
può giungere, senza questo movimento, a strappare migliori condizioni di vita per i diseredati, a elevare le
mercedi operaie, a soddisfar le rivendicazioni sacrosante dei braccianti, dei contadini, del ceto medio? Come si
può giungere, senza questo movimento, alla formazione di una nuova maggioranza? Il progresso politico che
il partito ha fatto deve quindi tradursi in una più vasta capacità di azione. Non basta avere le idee
più chiare sul modo come una società socialista sarà organizzata, tenendo conto delle condizioni del
nostro paese e del sistema di alleanze che a questo risultato ci porterà. Si tratta, di arrivarci, a questo
risultato, e come ci si arriva se non con una serie di lotte vittoriose? Una migliore impostazione
politica e una migliore propaganda, che parta dai fatti e dalle cose, ci aiuteranno potentemente a far progredire,
anche in masse non proletarie, una coscienza democratica e socialista. Ma è la capacità di combattere per
gli interessi di tutti i lavoratori la misura definitiva di questa coscienza.
363) La capacità di organizzare l’azione delle masse è il criterio per giudicare se vi è vero
possesso della linea politica, se vi è unità del partito e se vi è disciplina.
364) Vi è un residuo di revisionismo che fa ostacolo al progresso in questa direzione, ed è
l’ancora scarso numero degli attivisti. Per i revisionisti, gli attivisti non sarebbero necessari,
perché i revisionisti concepiscono il partito come un circolo di discussori, un « gruppo di
pressione», o, nel migliore dei casi, una organizzazione elettorale. Concezioni tutte sbagliate, che
respingiamo. Il partito è una avanguardia di combattenti rivoluzionari, di propagandisti, di
agitatori, di organizzatori, di donne e di uomini uniti nell’azione e che per portare e guidare le
masse all’azione danno la loro attività. Tutti i nostri problemi sono legati all’aumento del numero
degli attivisti e al miglioramento del loro lavoro...
Tradurre la linea del partito in azione concreta (p.205/213) - dalla relazione al X Congresso del Pci, 2
dicembre 1962
365) La flessione del numero degli iscritti che ci porta, contando anche i giovani, un poco al di sotto dei due
milioni e la perdita di voti nelle regioni meridionali è in parte legate a processi oggettivi, cui la nostra azione
politica e di organizzazione non ha ancora corrisposto nel modo adeguato.
366) Un continuo e ampio dibattito si è svolto nel partito, dopo l’ultimo congresso, su temi nazionali e
internazionali. Le tesi presentate al congresso attuale esprimono il risultato di questo dibattito e sono uno
sviluppo conseguente della nostra linea strategica e tattica di avanzata verso il socialismo nella democrazia e
nella pace. Nonostante la loro forse eccessiva lunghezza, esse sono state ampiamente discusse dal quadro
dirigente e da una grande parte degli iscritti al partito e costituiscono la base sulla quale, dopo le discussioni e le
correzioni che il congresso vorrà fare, il partito lavorerà, unito, per raggiungere suoi obiettivi.
367) Il difetto principale che si presenta, in questo quadro ampiamente positivo, credo debba venire
trovato nella non ancora sufficiente capacità di tradurre la linea politica del partito in azione
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concreta, tanto per lo sviluppo di lotte parziali, quanto per dar vita a un movimento generale
politico. Questo difetto si manifesta in diversi campi. La rivendicazione delle riforme di struttura
ha trovato e trovi grandi difficoltà a uscire dal generico, a superare i limiti del semplice dibattito,
a tradursi in estesi movimenti unitari di massa che abbiano prospettive di successo qualitativo.
Nelle campagne, le giuste indicazioni di lavoro vengono spesso applicate in modo frammentario, che limita la
loro efficacia. Nel Mezzogiorno, il vecchio slancio unitario per risolvere la questione meridionale come
questione di progresso economico e politico generale, di riforma agraria e di riforma democratica di tutte le
strutture della società meridionale, si è rallentato, non per la sola nostra responsabilità, di fronte a condizioni in
parte modificate. Nella classe operaia, le radici del nostro partito sono senza dubbio diventate più forti. Anche
nella classe operaia, però, si incontrano difficoltà nel passaggio dall’azione sindacale al movimento politico e ciò
rallenta tutto lo spostamento a sinistra della situazione.
368) Si deve quindi porre la duplice questione, del possesso della linea politica del partito e della
capacità di realizzarla nella azione.
369) Con soddisfazione costatiamo che sono sorti nelle nostre file nuovi numerosi gruppi di compagni i quali
partecipano attivamente all’elaborazione della nostra politica e alla sua esplicazione in diverse regioni del ‘paese
e ‘settori dell’attività produttiva...Si deve rilevare che spesso esiste un distacco tra questi gruppi e un
grande numero di compagni che non partecipa a questa elaborazione, è fedelissimo al partito, ne
segue le lotte e vi prende parte, ma non sente quello stimolo all’iniziativa e all’attività continua
che deriva dal pieno possesso della linea politica. Questo distacco, che in parte c’è sempre stato,
deve essere superato, e il mezzo per superarlo è, prima di tutto, la intensificazione e il
miglioramento, quantitativo e qualitativo, dell’attività ideologica nelle file del partito.
370) Noi abbiamo posto a disposizione dei militanti e degli uomini di cultura l’essenziale delle opere dei
classici del marxismo. Quasi tutto Marx ed Engels. Tutti gli scritti principali di Lenin e 13 volumi delle sue
Opere complete. Testi però difficili, accessibili solo a una parte dei nostri iscritti. Abbiamo pure pubblicato
parecchie opere di divulgazione, anche molto elementare, ma l’iscritto al partito cerca invano qualcosa di
molto semplice, che gli consenta di impadronirsi pienamente delle linee essenziali della nostra politica. Le
nostre scuole hanno svolto una buona attività ma forzatamente limitata. La nostra stampa quotidiana è la più
diffusa d’Italia. La sua diffusione nelle masse popolari è però ancora troppo scarsa e non è sufficiente
l’impegno del partito per cambiare radicalmente questa situazione. Anche la nostra rivista ha una
tiratura superiore a qualsiasi altra rivista politica, ma nelle file del partito deve essere letta e studiata
molto di più. La sete di conoscere e il desiderio di essere giustamente orientati sono oggi enormi...
371) ...Deve essere chiaro che noi non intendiamo, come progresso ideologico, la capacità, più o meno grande,
di ripetere delle frasi fatte. Intendiamo la conoscenza dei nostri principi, la dimostrazione convincente
della giustezza della nostra linea politica, delle sue basi di classe e del suo contenuto democratico
e socialista, intendiamo la capacità di comprenderne gli sviluppi, in rapporto con il cambiamento
delle situazioni. Il rafforzamento ideologico ci deve consentire di affermarci sempre meglio nel campo delle
attività culturali. I nostri compagni, studiosi di problemi economici, filosofici, sociali, hanno dato a questo
progresso un contributo di cui siamo loro riconoscenti...Il confronto con le altre correnti di pensiero non si può
ridurre a una dogmatica precostituita condanna. Deve dar luogo a un dibattito di contenuto, a un dialogo, nel
quale non può mancare la ricerca di quei momenti nuovi e positivi che vengono alla luce attraverso sviluppi di
pensiero che aderiscano alle nuove realtà umane, sociali. Quanto più si è forti nei principi, tanto più si deve
essere capaci di condurre questo dialogo e questa ricerca. Grande è quindi la responsabilità dei nostri compagni
che sono uomini di studio e di cultura. Si tratta di responsabilità verso se stessi e verso tutto il partito, anche
perché non riteniamo che spetti agli organi dirigenti politici risolvere con loro decisione suprema questioni
specifiche dibattute nel campo degli studi, degli indirizzi e delle realizzazioni artistiche, letterarie,
cinematografiche e così via. Il pensiero marxista, su questi problemi, fornisce un indirizzo generale, che si
afferma nella lotta sul vasto terreno della cultura, contro tutto ciò che tende a negare il valore dell’uomo nella
vita sociale e nella lotta per un mondo nuovo; ma che si afferma anche nella comprensione di tutti i termini in
cui si pongono le questioni concrete e nella tolleranza verso chi sinceramente, per uno sviluppo e con una
sofferenza interna e non per servire potenze retrive, si tormenta nella ricerca della verità.
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372) Per poter realizzare e sviluppare con efficacia la politica del partito, è necessario che il
partito mantenga, consolidi, accresca il suo carattere di partito di massa. Il numero degli iscritti
deve essere mantenuto. La flessione deve essere recuperata. E essere recuperata con un lavoro
intenso nelle tre direzioni principali che da tempo indichiamo: gli operai, le donne, i giovani...
373) La trascuratezza e talora persino il disprezzo del lavoro tra le donne e delle donne è un vecchio
vizio, in cui si riflettono le arretratezze secolari della società italiana. Se non si vigila, se non ci si batte su
questo argomento considerandolo essenziale nel quadro della nostra attività non si andrà avanti. Pericolose sono
le tendenze, dogmatiche e dottrinarie, a teorizzare un sedicente superamento dei temi della emancipazione
femminile, unicamente per l’accesso di masse di donne alla produzione industriale e agricola, con una loro
retribuzione autonoma. Queste idee, anche se si ammantano di fraseologia socialista, sono errate. Esse non
tengono conto della dura realtà della situazione italiana, ignorano questioni, come quelle della crisi della
famiglia, o degli assurdi limiti mascolini dell’istruzione professionale, e altre, che sono vitali per le donne.
Ignorano soprattutto che l’accesso in massa al lavoro tende persino a rendere più gravi le condizioni della
donna, quando su di essa vengono a pesare due forme di attività produttiva, quella professionale e quella
domestica la quale è anch’essa attività produttiva. La questione della emancipazione conserva la sua
acutezza, prendendo aspetti nuovi, imponendo la lotta per nuovi obiettivi economici, giuridici, politici, sociali.
L’emancipazione delle donne è, per se stessa, una di quelle riforme della vecchia struttura sociale, per le
quali noi dobbiamo chiamare a combattere tutti gli amici della democrazia e del progresso.
374) Il carattere di massa del nostro partito è stato affermato e conquistato da noi, durante la guerra di
liberazione e dopo di essa, sulla base di una grande spinta popolare, che esprimeva la fiducia nel nostro partito
delle classi lavoratrici, per la lotta da noi condotta per la salvezza del nostro paese, per la nostra politica di unità,
per la nostra fede nella causa democratica e socialista. Oggi noi sentiamo maturare le condizioni nelle
quali una spinta analoga si può produrre, perché le riforme democratiche e socialiste che noi
rivendichiamo non sono soltanto dettate dalla situazione, ma sono necessarie per dare reale
sollievo alle miserie, al disagio di milioni e milioni di uomini, per realizzare le aspirazioni di libertà e
di progresso che sono nell’animo della grande maggioranza dei lavoratori.
375) Non v’è dubbio che noi siamo, in Italia, il partito nelle cui file si discute di più, che è sempre pronto ad
aprire dibattiti, a svilupparli in pubblico, tra amici e avversari...Questo però non è tutto. Vita democratica
vuol dire ampia e continua partecipazione alla attività del partito degli iscritti e una articolazione
organizzativa e una direzione tale che consentano e sollecitino questa partecipazione. Perciò sono
da combattere le forme di autoritarismo, di soffocamento della democrazia interna, di chiusura
in se stessi dei gruppi dirigenti, quasi a difesa burocratica dal controllo della periferia. Questo è
oggi il pericolo principale, perché se ne riscontrano manifestazioni anche in organizzazioni forti e
bene articolate. Combattere questo pericolo non vuoi dire, s’intende, dare luogo a forme di anarchismo
organizzativo, di democratismo deteriore e demagogico, di abdicazione degli organismi dirigenti a una ferma e
responsabile azione di direzione e orientamento. Gli organi dirigenti devono sempre avere un organico
contatto con la base, conoscere ciò che essa pensa e vuole, rispondere alle richieste che vengono
avanzate, raccogliere e dare soddisfazione a tutte le esigenze che sorgono dal contatto con le
masse e con la situazione reale. Ciò richiede un allargamento, a tutti i livelli, del quadro dirigente, non
per avere organismi di direzione più numerosi, il che alle volte è un ostacolo, ma per avere una
elaborazione politica più ampia, cui prendano parte i comunisti che sul luogo del lavoro vivono a
diretto contatto con la produzione e con i lavoratori. Cosi si realizzano nel miglior modo la unità
e la disciplina, senza le quali il partito non può svilupparsi e combattere le sue battaglie.
376) Abbiamo sempre respinto e respingiamo la formazione di frazioni e correnti cristallizzate
attorno a posizioni contrapposte. Questo non sarebbe infatti un progresso della democrazia dl partito,
ma un regresso. L’attività del partito e gli stessi dibattiti interni sarebbero paralizzati, distorti, congelati
in modo precostituito. I nostri principi sono il punto di partenza unitario della nostra elaborazione politica. Le
nostre decisioni collettive sono la base unitaria della nostra azione. Se vi sono dissensi, è attirando al lavoro di
direzione e pratico anche chi dissente, che la democrazia s rafforza e si rafforza la unità delle nostre file ...
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La concezione marxista del partito politico della classe operaia (p.215/224) - intervento alla sessione
del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci, 4-7 dicembre 1963
377) Nel documento che qui si sta discutendo vengono posti numerosi problemi e compiti, di ordine generale e
particolare, relativi alle strutture organizzative, alla loro maggiore o minore aderenza al tessuto sociale, alla loro
efficienza, alle trasformazioni che debbono subire e così via. Tutti questi temi sono trattati e debbono
essere trattati alla luce della fondamentale definizione che noi diamo del partito nostro, cioè del
partito politico della classe operaia come partito di massa e partito di lotta. Questo è un momento
essenziale, non rinunciabile, della nostra dottrina del partito. Queste qualità si possono
concretamente realizzare in modo diverso, secondo le diverse situazioni, e possono dar luogo,
quindi, a diverse strutture; non si debbono però perdere mai. Derivano da questo punto notevoli
differenze tra la nostra concezione del partito politico e altre concezioni, che noi critichiamo e respingiamo. Noi
siamo d’accordo, anzi, noi insistiamo nell’affermare e sottolineare che l’esistenza del partito politico -anzi,
precisiamo, l’esistenza dei partiti politici- è indispensabile per l’esistenza stessa e per lo sviluppo di un regime di
democrazia. Non è concepibile, oggi, una società democratica nella quale non esista il partito politico. La
tendenza a ridurre, in questa società, la funzione del partito politico e la sua importanza; la tendenza a denunciare
la presenza e l’intervento continuo del partito politico nella vita democratica come elemento di disturbo e quasi
di degenerazione, è una tendenza da considerarsi nettamente reazionaria. Ciò non vuol dire che non possano
esservi, nella attività dei partiti e soprattutto dei partiti di governo, momenti che devono venire criticati e
respinti, in quanto tendono a sostituire alla democrazia una specie di oligarchia di gruppi dirigenti.
L’essenziale, però, è che senza una attività continua dei partiti, non può esistere democrazia
politica. Considero quindi anche antidemocratica e da respingersi la tendenza a sostituire al
partito politico il cosiddetto gruppo di pressione e al sistema dei partiti un sistema di gruppi di
pressione...questa è la tendenza propria di quello che si è oramai soliti chiamare il
neocapitalismo. Il punto di arrivo di questa tendenza è una società priva di democrazia
politica...Non intendo aprire la questione di cosa sia, oggi, la democrazia americana. Certo è che essa si è
presentata al mondo, nei giorni scorsi, con lineamenti spaventosi. E non colpisce soltanto l’assenza di confine
tra il contrasto di diversi gruppi dirigenti e la delinquenza comune. Colpisce l’assenza di una opinione
politica organizzata e di massa, la quale riesca, di fronte a fatti di indicibile peso politico e morale, ad
esprimersi liberamente e in modo efficace. I gruppi di pressione sono diventati gruppi di potere e questi gruppi
di potere è difficile sapere che cosa in realtà siano, come si dispongano e si colleghino con le forze reali della
società, ma si sa che sono pronti a combattersi con tutte le armi, facendo ricorso anche ai mezzi più criminali.
Nessun difetto di un sistema democratico fondato su una articolazione di partiti politici eguaglia questa
vera degenerazione della vita politica e civile.
378) Tra la concezione del gruppo di pressione, che agisce per diventare gruppo di potere, e la nostra
concezione del partito politico vi è un sostanziale punto di differenziazione, che sta precisamente nella
affermazione del carattere che noi attribuiamo al partito politico della classe operaia, come
organizzazione di massa e organizzazione di lotta, che si propone di guidare le grandi masse popolari
verso questi obiettivi di profonda trasformazione sociale, che sgorgano dallo stesso sviluppo oggettivo
della economia e dalla coscienza delle classi lavoratrici...
379) Modifichiamo e correggiamo ciò che apparirà necessario. Non abbandoniamoci però a
previsioni e soluzioni che siano soltanto o prevalentemente tecnico-organizzative. La struttura del
partito deve essere tale che, facendolo aderire alle strutture sociali, gli consenta una più
tempestiva, più articolata e più efficace elaborazione politica, ma allo scopo, sempre, di essere in
grado di esercitare, tra le masse e alla testa di un movimento di massa, la necessaria direzione di
un’azione politica. Tra il partito e la sua base sociale esiste un rapporto complesso, un movimento interno che
il partito si sforza di comprendere e dominare, per poter adempiere la propria funzione. Anche le forze
reazionarie, soprattutto quando si propongono compiti di aperta rottura, tentano di crearsi basi organizzate tra le
masse. Valgano gli esempi del fascismo, del gollismo, dello hitlerismo. Il nostro rapporto con le masse
lavoratrici è però cosa profondamente diversa, per la sua natura organica e perché esprime un processo di libertà.
In questo senso esso è diverso anche dal rapporto che stabilisce con le masse il partito democristiano con intenti
prevalentemente di conservazione dell’ordinamento economico attuale.
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380) La classe operaia e le masse lavoratrici ad essa più vicine vogliono affermarsi come forze
dirigenti della società, allo scopo di compiere una rivoluzione degli ordinamenti sociali. Il nostro
partito è quindi organo di lavoro e di lotta per realizzare questo obiettivo. E questo si raggiunge in
diversi e concorrenti modi.
381) La classe operaia, infatti, si afferma come classe dirigente per il suo programma, che indica
mete più lontane, presenta soluzioni adeguate per i problemi vicini e urgenti, e che spetta al
partito, in contatto con altre forze democratiche, elaborare e rendere popolare, facendolo
diventare il programma di un grande movimento di lavoratori. La classe operaia si afferma come
classe dirigente per la sua capacità di lottare per la realizzazione di questo programma e imporla,
in forme e in condizioni determinate. La classe operaia, infine, si afferma come classe dirigente per
la sua capacità di esercitare sulla opinione pubblica un certo grado di egemonia politica anche prima
di avere conquistato il potere. Ciò dipende dal grado di sviluppo della stessa società capitalistica e
quindi dal grado di maturità dei germi di socialismo che sono in questo sviluppo; dipende dalla
avanzata del socialismo nel mondo e dalle condizioni della lotta politica in ciascun paese. Il complesso
di questi tre momenti è decisivo perché si possa avere una avanzata democratica verso il
socialismo ed è attraverso la elaborazione politica, il lavoro, la organizzazione e le lotte del
partito che in questi tre campi si riesce a progredire. In tutti e tre questi campi, però, ogni
progresso è subordinato ai legami del partito con le masse, alla loro direzione, estensione e
solidità e cioè al carattere di massa del partito.
382) Gramsci parlò del partito della classe operaia come intellettuale collettivo. In questa definizione
confluiscono tutti i momenti cui ho brevemente accennato. Nel partito è superata la coscienza soltanto
corporativa: si giunge alla politica. Il partito opera nella società civile e nella società politica per
trasformarle. L’adesione al partito e la costruzione del partito sono quindi atti di libertà. L’operaio, il
lavoratore incomincia a liberarsi, entrando nel partito e lottando nelle sue file dalIa condizione puramente
oggettiva, individuale, cconomico-naturale della sua esistenza e della sua vita di cittadino. La sua attività
diventa creazione, cultura, costruzione consapevole di un mondo nuovo.
383) Noi abbiamo da tempo elaborata, per quel che ci riguarda, una posizione nostra. Riteniamo possibile e
necessaria, nelle condizioni che stanno davanti a noi, la pluralità dei partiti politici durante la costruzione
di una società nuova. Né si deve credere che questa nostra posizione sia dettata soltanto dalle circostanze del
nostro paese; né soltanto dalle così aspre critiche che sono state fatte di errori, violazioni di legalità e persino
crimini commessi sotto il potere di Stalin. Il motivo di fondo delle nostre ricerche ed elaborazioni sta
nella consapevolezza da un lato delle complicate differenziazioni politiche e sociali che sono
proprie di società capitalistiche molto sviluppate e di tradizione democratica...
384) Si presenta, sia per il momento presente, sia in una prospettiva più lontana, la questione delle relazioni tra
questi partiti, e cioè tra tutte quelle forze politiche organizzate che abbiano una base nella classe operaia, che
veramente tendano a una trasformazione socialista degli ordinamenti attuali, che siano consapevoli della
possibilità e necessità di una avanzata democratica verso il socialismo, che siano portatrici nel mondo di oggi sia
della spinta oggettiva al socialismo, sia della coscienza che l’accompagna. I problemi che si pongono sono
di avvicinamento, di contatto, di reciproca conoscenza, di collaborazione, cioè di unità. E debbono
essere considerati nel presente e per il futuro.
385) La stessa concezione di una avanzata democratica verso il socialismo richiede, per potersi
attuare, che la classe operaia e le masse lavoratrici che aspirano a trasformazioni socialiste
riescano ad avere, nel campo della sovrastruttura politica e anche nel campo governativo, un
peso e una parte crescenti. Se non si ottiene questo risultato, non è verso il socialismo che si
avanza, ma in direzione opposta. Per questo i dirigenti conservatori della Democrazia cristiana
hanno sin dall'inizio concepito il centro-sinistra come una manovra di rottura nei confronti della
classe operaia...
386) Nel passato, già venne posto da noi, nello sviluppo del fronte unico e del fronte popolare, il
problema della unificazione politica.
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387) Oggi le cose si presentano in circostanze nuove e in modo nuovo. Si tratta di trovare, in
queste circostanze, un sistema di contatti e articolazioni particolari, tra forze le
quali accettino una certa base unitaria, pur avendo e conservando ciascuna una
propria tradizione, organizzazione e personalità. È facile a comprendersi che una
base unitaria di questa natura non può uscire dalle menti dei dirigenti di un solo
partito. Essa dovrebbe essere il risultato di una grande elaborazione, di principi e
politica, da compiersi a contatto e con la partecipazione diretta delle masse
lavoratrici stesse, degli operai e intellettuali di avanguardia, di tutti coloro che
sentono la necessità di contestare il processo di sviluppo neocapitalistico...
388) Le linee della ricerca e della elaborazione sono molteplici. Tre se ne presentano a prima vista. La
prima riguarda i punti programmatici, le trasformazioni alle quali si tende in una prospettiva più lontana e
le misure di valore immediato e anche urgente. La seconda riguarda il metodo. Non basta dire che si vuole
avanzare verso il socialismo per una via democratica, seguendo il metodo della democrazia. Nella lotta per il
socialismo e nella costruzione socialista la classe operaia apporta molte cose nuove nello stesso sviluppo del
metodo e degli istituti democratici. La ricerca, in questa direzione, è appena iniziata. Si presenta una folla di
problemi, che investono le funzioni specifiche delle organizzazioni della classe operaia e di tutte le classi
lavoratrici; riguardano il sindacato e l’affermarsi di un potere operaio nella fabbrica; riguardano le associazioni
contadine e il loro intervento per determinare gli sviluppi della economia agricola; riguardano la vita e il
coordinamento tra le cellule dell’attività produttiva e il complesso dell’organismo sociale. Uno sterminato campo
di ricerca e di azione, e che è appena affrontato nei suoi termini generali, per ora. Infine, si pongono i
problemi specificamente organizzativi, di rapporti reciproci interni ed esterni, di collaborazione e
di unità nelle sue varie forme possibili.
389) Saremmo dei presuntuosi se per ognuno di questi campi pretendessimo di essere senz’altro in grado di
presentare delle soluzioni...il problema dell’unità politica delle forze che vogliono avanzare verso il socialismo
non lo poniamo, oggi, come problema di scelta, ma come problema di dibattito. Vorremmo riuscire,
impegnando la forza e la capacità del nostro partito, le quali sono grandi soprattutto nei centri
economicamente e socialmente decisivi, ad aprire questo dibattito nelle fabbriche tra operai di
diverse tendenze, nei campi, nelle scuole, in un proficuo confronto e in una elaborazione comune
con gruppi di altri partiti, del partito socialista, di quello socialdemocratico, di organizzazioni
cattoliche.
390) Si sente oggi parlare di svolte storiche, periodi nuovi che si aprono e cosi via. Io sono sempre
diffidente verso definizioni di questa natura, che sono, spesso, l’espressione un po’ retorica di certi
propositi, ma non ancora di una realtà. Certo la situazione che oggi affrontiamo è per molti aspetti
nuova. La manovra ritardatrice e conservatrice del vecchio ceto dirigente è in pieno sviluppo. La lotta
che noi proponiamo, per affrontare il problema della unità politica della classe operaia e delle forze
socialiste, può essere un grande contributo per spingere questa manovra, com’è necessario, al
fallimento e più speditamente far avanzare il nostro paese, per una via democratica verso il socialismo.
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CRONOLOGIA
1922 28 ottobre
1940 10 giugno
1943 marzo
10 giugno
25 luglio
agosto
3 settembre
8 settembre
9 settembre
-marcia su Roma
-entrata in guerra dell’Italia
-scioperi al Nord
-viene sciolta l'Internazionale comunista
-destituzione di Mussolini e nomina a primo ministro di Badoglio
-scioperi al Nord
-firma delle condizioni di armistizio
-annuncio dell’armistizio
-fuga di Vittorio Emanuele e di Badoglio da Roma; il Comitato di liberazion
nazionale appena formato lancia un appello alla lotta e alla resistenza
25-30 settembre
-giornate di Napoli
29 settembre
-firma del secondo armistizio
13 ottobre
-dichiarazione di guerra alla Germania
novembre-dicembre -scioperi diffusi
1944 28-29 gennaio
-Congresso dei partiti antifascisti a Bari che richiede l’abdicazione del re ed una
Assemblea costituente alla fine della guerra
marzo
-scioperi al Nord
14 marzo
-riconoscimento russo del governo Badoglio
28 marzo
-arrivo di Togliatti a Napoli
12 aprile
- Vittorio Emanuele annuncia l' intenzione di cedere il potere al figlio alla
liberazione di Roma
22 aprile
-formazione del governo Badoglio-Togliatti, con la partecipazione dei partiti del Cln
4 giugno
-liberazione di Roma
6 giugno
-il re trasmette i suoi Poteri al Umberto; sbarco alleato in Normandia
8 giugno
-Bonomi sostituisce Badoglio come primo ministro,al governo i sei partiti deI Cln
9 giugno
-formazione del Corpo dei volontari della libertà (Cvl), che unisce le forze partigiane
25 giugno
-decreto Bonomi che prevede una Assemblea costituente dopo la guerra
11 agosto
-insurrezione a Firenze guidata dal Cln della Toscana
22 agosto
-liberazione di Firenze
9-20 ottobre
-Conferenza anglosovietica di Mosca
13 ottobre
-trasmissione radio del generale Alexander ai partigiani che li invita a riunirsi in
primavera
26 novembre
-crisi del primo governo Bonomi
dicembre
-eliminazione di partigiani comunisti greci da parte di truppe britanniche
5 dicembre
-attacco del segretario di Stato americano Stettinius alla Politica britannica nei
confronti dell’Italia e della Grecia
7 dicembre
- Protocolli di Roma tra il governa militare alleato e il Clnai, che concedono il
riconoscimento alleato al Cnl
12 dicembre
- formazione del secondo governo Bonomi, con l’astensione dei socialisti e del
Partito d’Azione
26 dicembre
-il Clnai viene nominato dal governo suo rappresentante nell’Italia occupata
1945 4-11 febbraio
-conferenza di Yalta
marzo-aprile
-scioperi a Milano e Torino
19 aprile
-insurrezione a Bologna
24 aprile
-insurrezione a Genova
25 aprile
- insurrezione a Torino, Venezia e Trieste. Il Clnai assume pieni poteri con la
Liberazione
28 aprile
-fucilazione di Mussolini
8 maggio
-resa della Germania
maggio
-crisi del secondo ministero Bonomi
21 giugno
-Parri diventa presidente del Consiglio con un governo dei sei partiti del Cln
31 luglio
-Il Consiglio nazionale del Partito socialista raccomanda la fusione con il Partito
comunista
6 agosto
-Hiroshima viene distrutta dalla prima bomba atomica
9 agosto
-viene distrutta Nagasaki
18 settembre
- l’Italia viene invitata a esprimere il proprio parere sulle condizioni di pace alla
conferenza dei ministri degli Esteri alleati a Londra
25 settembre
-prima riunione della Consulta
85
1946
1947
1948
1949
1950
24 novembre
10 dicembre
27 dicembre
1 gennaio
4-8febbraio
marzo-aprile
9 maggio
2 giugno
25 giugno
28 giugno
13 luglio
agosto
17 settembre
10 novembre
gennaio
9-13 gennaio
20 gennaio
3 febbraio
10 febbraio
13 maggio
31 maggio
5 giugno
31 luglio
25-27 settembre
12 ottobre
15 dicembre
22 dicembre
1 gennaio
25 febbraio
20 marzo
18 aprile
11 maggio
24 maggio
giugno
14 luglio
estate
4 aprile
20/25 aprile
6 maggio
maggio
luglio
settembre
1 ottobre
giugno
agosto
1953
aprile
1956
ottobre
4 novembre
1959 2 gennaio
1961
1962
-caduta del governo Parri
-primo governo De Gasperi, basato sui sei partiti del Cln
-accordi monetari di Bretton Woods
-l’Amg cede l’amministrazione del Nord al governo italiano
-congresso del Partito d’Azione e sua scissione
-elezioni amministrative
-abdicazione di Vittorio Emanuele a favore del figlio, Umberto II
-referendum sulla questione istituzionale e elezioni per l'Assemblea costituente
-prima riunione dell'Assemblea costituente
-nomina di Enrico De Nicola a presidente provvisorio della repubblica
-formazione del secondo governo De Gasperi basato su Dc,Pci,Psi e Pri
-protesta di parlamentari britannici contro il possesso italiano dell'Alto Adige
-dimissione del ministro del Tesoro liberale Corbino
-seconda tornata di elezioni amministrative
-visita ufficiale di De Gasperi negli Stati Uniti
-congresso del Partito socialista, scissione di Saragat che forma il Psli
-dimissioni di De Gasperi
-terzo ministero De Gasperi formato dai tre partiti di massa, Dc, Pci e Psi
-firma del Trattato di pace a Parigi
-dimissioni di De Gasperi e espulsione del Pci e del Psi dal governo
-quarto governo De Gasperi, con l’appoggio di indipendenti ed Einaudi vicepresidente
-annuncio del piano Marshall
-ratifica del Trattato di pace da parte dell’Assemblea costituente
-formazione del Cominform
-elezioni amministrative a Roma
-quinto governo De Gasperi con l’appoggio della Dc, del Psli e del Pri
-approvazione della Costituzione
-la Costituzione della repubblica italiana entra in vigore
-in Cecoslovacchia viene instaurato il sistema del partito unico
-promessa da parte degli alleati occidentali di restituire Trieste all’Italia
-elezioni politiche
-elezione di Luigi Einaudi a presidente della repubblica
-sesto governo De Gasperi, con l’appoggio della Dc, del Psli e del Pri
-a Jugoslavia di Tito viene espulsa dal Cominform
-attentato a Togliatti - sciopero generale
- scissione sindacale dei cattolici
-l’Italia entra nella Nato come membro fondatore
-congresso mondiale dei partigiani della pace
-accordo Sforza-Bevin sulle ex colonie italiane
-socialdemocratici e repubblicani lasciano la CGIL e formano un nuovo sindacato
-scomunica dei comunisti
-l'Urss produce la bomba atomica
-Viene proclamata la Repubblica Popolare di Cina
-inizia la guerra di Corea che durerà fino al 1953
-creazione della Cassa per il Mezzogiorno e legislazione sulla riforma agraria
-gli USA fabbricano la bomba all’idrogeno , nove mesi dopo la fabbrica l'URSS
-viene approvata la legge truffa che viene battuta nelle elezioni del 7 giugno
-Vietnam, cade il campo trincerato francese di Dien bien Phu
-il PSI rompe l'unità d'azione con i comunisti
-Ungheria - l'esercito sovietico occupa Budapest
-Fidel Castro entra a L'Avana
-viene assassinato Patrice Lumumba,artefice dell'indipendenza del Congo
-crisi dei missili a Cuba
86
BIBLIOGRAFIA
Questo documento è basato sulla elaborazione dell'Accademia delle scienze dell'URSS e sulla "Storia d'Italia dal 1861 a oggi"
di Denis Mac Smith, integrati da ampi stralci tratti da "Italia 1943/1950-La ricostruzione" a cura di Stuart J. Woolf:
Accademia delle scienze dell'URSS - Storia Universale - Nicola Teti Editore - voll.X e XI
Denis Mac Smith - Storia d'Italia dal 1861 a oggi - Laterza 1998
Stuart J. Woolf (a cura di) - Italia 1943-1950 "La ricostruzione" - Laterza 1974
a) Guido Quazza - La politica della resistenza italiana
b) Geoffrey Warner - L'Italia e le potenze alleate dal 1943 al 1949
c) Franco Catalano - La "nuova" democrazia italiana dopo il 1945
d) Percy A.Allum - Il Mezzogiorno e la politica nazionale dal 1945 al 1950
e) Gianfranco Poggi - La Chiesa nella politica italiana dal 1945 al 1950
f) Marcello De Cecco - La politica economica durante la ricostruzione 1945-1951
g) Bianca Beccalli - La ricostruzione del sindacalismo italiano 1943-1950
h) Stuart J. Woolf - La rinascita dell'Italia 1943-1950
Ulteriori integrazioni sono state tratte da:
Cristiano Armati - Cuori rossi - Newton Compton 2008
Fabrizio Barca (a cura di) - Storia del capitalismo italiano - Donzelli 1997;2001,2010
Valerio Castronovo - Storia d'Italia-Einaudi 1975,4*,350/ss:la storia economica;Parte quarta;"il periodo della
ricostruzione";"il "miracolo conomico"
Ruggero Giacomini - I partigiani della pace - Vangelista editore 1984
Eric J.Hobsbawm - Il secolo breve - SB Saggi - qunta edizione,gennaio 2002
Rolf Petri - Storia economica d'Italia (1918-1963) - Il Mulino 2002