16) NOI LO CHIAMIAMO POMIGLIANO Cap.2 Analogie e differenze: l'Italia dal 1945 al 1960 a cura del Circolo Che Guevara via Fontanellato 69 - Tel/Fax 06.5404393 www.prcguevara.net PARTITO della RIFONDAZIONE COMUNISTA 18) 2 INDICE Pagina Antefatti - Cenni sul fascismo -4 SCHEDA: Sul governo Badoglio e dintorni -5 Cenni sul quadro internazionale -7 L'Italia e le potenze alleate -8 La Chiesa nella politica italiana dal 1945 al 1950 11 La situazione socio-economica e politica all’uscita dalla guerra 12 Il governo e i Comitati di liberazione nazionale 16 Il PCI, il PSI, la CGIL e gli altri 18 SCHEDA: Da Bonomi, a Parri, a De Gasperi 20 Il referendum istituzionale e la nascita della Repubblica 21 La frattura nella coalizione democratica 22 Ratifica della Costituzione 24 La politica reazionaria della coalizione “di centro” 24 La lotta dei lavoratori per la soluzione dei problemi sociali nel 1948-49 29 SCHEDA: Due giudizi sulla politica economica di Corbino/Einaudi 30 SCHEDA: Il fallimento della riforma della pubblica amministrazione 33 La lotta della classe operaia contro i piani reazionari e la politica scissionista dei socialdemocratici di destra nei paesi capitalistici 34 Contro l’attacco della reazione nei paesi dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa 36 SCHEDA: La ricostruzione del sindacalismo italiano dal dopoguerra agli anni '50 37 SCHEDA: La guerra fredda 40 SCHEDA: Il movimento dei Partigiani della pace 44 Da "Cuori Rossi" 48 3 SCHEDA: La questione meridionale 49 Lo sviluppo sociale ed economico dal 1950 al 1960 53 La dislocazione delle forze politiche 54 La politica della democrazia cristiana per l’instaurazione di un potere forte 54 La classe operaia nella lotta contro l’offensiva capitalista 55 Fallimento della "legge truffa" 55 La crisi della politica di centro 56 Temporanea caduta del movimento operaio. Rottura del patto tra PCI e PSI 56 L’VIII congresso del PCI 57 Una nuova ondata di lotte di classe 58 L’attivizzazione dei neofascisti e il tentativo di formare un blocco reazionario di destra 58 Il movimento antifascista del luglio 1960 59 La politica estera dell’Italia 60 Il boom economico 60 SCHEDA: Il «prezzo» pagato per l'industrializzazione 62 TOGLIATTI (brevi stralci) La via italiana al socialismo Per una nuova maggioranza 64 Capitalismo e riforme di struttura 66 Il Partito La nostra lotta per la democrazia e il socialismo 68 Rinnovare e rafforzare il partito 72 Un balzo in avanti del partito 76 Tradurre la linea del partito in azione concreta 77 La concezione marxista del partito politico della classe operaia 80 CRONOLOGIA 83 BIBLIOGRAFIA 85 4 NOI LO CHIAMIAMO POMIGLIANO Cap.2 Analogie e differenze: l'Italia dal 1945 al 1960 N.B: (con tagli e con nuovi legami sintattici): in stampatello grande o medio il testo originale dell'Accademia (Acc) delle scie nze dell'Urss e in corsivo i testi originali di integrazione; in stampatello piccolo i testi integrativi riassunti - le note dei redattori sono precedute dal segno Antefatti - Cenni sul fascismo 1) Woolf/Quazza,17 (Nelle motivazioni del successo del fascismo) la prima voce deve essere la situazione internazionale in un'Europa che con il riconoscimento della parità navale fra Gran Bretagna e Stati Uniti, sancito dal trattato delle Nove Potenze del 1922 e con la sudditanza finanziaria e in parte economica verso gli Stati Uniti d'America, stava prendendo coscienza della perdita del suo plurisecolare primato mondiale.[V.par.204] 2) Woolf/Quazza,18-22 Sono ampiamente documentati i legami degli agrari e degli industriali col fascismo, la loro iniziativa nel dar fiato a un movimento che nel 1919/'20 era uno sparutissimo gruppo già votato al fallimento. Lo Stato liberale, del resto, era uno Stato manovrato da una ristrettissima oligarchia" che governava -più che attraverso il Parlamento, dominato da una maggioranza nata dalle clientele e dalle violenze dei "mazzieri" del Mezzogiorno- attraverso la burocrazia centrale e periferica dell'esecutivo, la polizia, l'esercito e una magistratura succube dell'oligarchia dominante...La guerra vi aveva aggiunto l'appoggio del grande capitale in cerca di commesse statali e di garanzie politiche [V:par.48,ss.] 3) ... La Chiesa (abbandono del non expedit, partito popolare/1919) aveva portato un nuovo elemento conservatore...e non aveva disdegnato l'uso spregiudicato delle squadre fasciste per distruggere la sola forza in grado di contrapporsi al potere dell'oligarchia. I"popolari" parteciparono al governo Mussolini (ottobre 1922, dopo la "Marcia su Roma"); il sovrano firmò i decreti liberticidi del 19251926; i magnati dell'economia acquistarono per conto del regime la stampa: erano queste le tappe della la corsa sistemica e ossessiva verso l' "organizzazione del consenso". Al "genio" propagandistico del "duce" si aggiunsero il servilismo dei suoi seguaci e di molti grandi, medi e piccoli intellettuali, la coercizione nell'impiego, il ricatto del salario nelle fabbriche e nelle campagne. A livello internazionale il fascismo italiano rappresentava un pilastro della difesa dell'ordine capitalistico occidentale contro il "bolscevismo"; all'interno Corona, Chiesa, Capitale, con tutti quei loro mezzi che veramente contavano, non intendevano staccarsi da chi in anni ormai non più vicinissimi li aveva aiutati a salvarsi dal pericolo più temuto. 4) Woolf/Quazza,27 L'alleanza (di queste forze) si infrange perché la dittatura mussoliniana non serve più. Nei "quarantacinque giorni" dal 25 luglio all'8 settembre (1943) esse rifiutano in ogni modo di riconoscere la corresponsabilità d'un ventennio di comune dominio e continuano a respingere con tutte le forze a loro disposizione l'antifascismo risorto dalle carceri o dall'ibernazione dell'impotenza e dell'acquiescenza. Mac Smith,543-548 Caduto il governo Mussolini, come nuovo presidente del Consiglio, il re scelse il maresciallo Badoglio, che aveva rivestito cariche lucrose e di grande prestigio sotto Mussolini [V.par.6,ss.]. L' 8 settembre, quando gli Alleati stavano per passare dalla Sicilia sul continente, Badoglio finalmente concordò un armistizio. Il 9 settembre, il re e Badoglio fuggirono precipitosamente verso sud. L'esercito italiano, lasciato privo di ordini e perfino di un comandante, resistette ai tedeschi per alcuni giorni, ma poi fu costretto ad arrendersi. Il grosso della flotta sfuggì ai tedeschi dirigendosi verso Malta, ma i generali lasciarono disarmare le proprie truppe con scarsissima resistenza. Le forze tedesche occuparono l’intera penisola fino a Napoli, incontrando scarsa reazione. Solo a Napoli (25-30 settembre) gli Alleati riuscirono, con l’aiuto di un’insurrezione popolare, a bloccarne l'avanzata. I tedeschi risposero distruggendo per rappresaglia una gran parte degli archivi cittadini, consegnando definitivamente all’oblio molti capitoli di storia italiana. Il 12 settembre Mussolini fu liberato da un reparto tedesco atterrato per mezzo di alianti, mentre la polizia italiana di Badoglio, che montava la guardia alla prigione di Campo Imperatore sul Gran Sasso, salutava sull’attenti i suoi rapitori. 5) Mac Smith,545-547 Gli Alleati avanzavano molto lentamente [V.par.6,ss.]. Nel gennaio 1944 effettuarono un altro sbarco ad Anzio. Nel maggio la «linea Gustav» crollò e Cassino cadde. Gli Alleati entrarono a Roma in giugno, a Firenze in agosto, dopo che i tedeschi avevano respinto la richiesta di Mussolini di sacrificare i civili in una resistenza strada per strada. Ci fu poi un arresto all’avanzata degli Alleati che ebbe come tragico risultato il prolungarsi della guerra civile: la strategia generale alleata era di trattenere le forze tedesche nella penisola e indebolire la loro capacità di resistenza a un’invasione della Francia. Mussolini ebbe così il tempo di costituire un nuovo governo fantoccio, la «repubblica di Salò». Rimanevano i furfanti o i sognatori, fra cui Farinacci, Buffarini Guidi e il generale Graziani, 5 l’amareggiato rivale di Badoglio. L’esercito tedesco lasciava del resto scarso spazio a questo estremo troncone fascista. Per Hitler l’Italia non aveva interesse solo come terreno di combattimento contro gli Alleati e i partigiani. Forze di polizia private facevano liberamente uso di torture e uccisioni. Il principale nemico del Duce non era più il comunismo, ma il capitalismo, e Mussolini decretò vaste misure di nazionalizzazione per «liquidare» quelle classi borghesi la cui inerzia e il cui disfattismo erano stati più forti di lui. Nell’aprile 1945 i partigiani catturarono il Duce travestito con un cappotto tedesco -solo la fedele Clara Petacci era rimasta con lui-; ambedue vennero fucilati senza processo, e i loro corpi appesi testa all’ingiù in piazzale Loreto a Milano, insieme a quelli di decine di altri leader fascisti. Gli anglo-americani dilagarono nell'Italia settentrionale, e in maggio, con l’aiuto di un movimento popolare patriottico, costrinsero i tedeschi a capitolare. A Roma e nel Sud ci furono stati scarsi segni di una resistenza organizzata, In tutto il Nord si erano formate forze combattenti antifasciste di cui alcuni lavoravano per proprio conto e altri di concerto con gli Alleati. Esse tennero impegnate parecchie divisioni tedesche. Parri, uno dei loro comandanti, dichiarò che nell’agosto 1944 su questo fronte clandestino combattevano 80.000 uomini, saliti nell'aprile 1945 a circa 200.000. SCHEDA: Sul governo Badoglio e dintorni 6) Woolf/Warner,62-65 I governi russo e italiano (inizio 1944) decisero di scambiarsi rappresentanze diplomatiche. Togliatti annunciò che i comunisti erano pronti ad entrare al governo (Badoglio) senza che il re dovesse prima abdicare. (Ciò fece temere) "una diminuzione dell’influenza angloamericana sull’assetto politico definitivo...Quasi due mesi fa ci venne passata la palla e, con la nostra evidente incapacità di adottare una politica costruttiva, la perdemmo. I russi se ne sono impossessati e stanno scendendo a rete (lettera del Dipartimento di Stato USA - 31 marzo)". Da parte inglese, Harold Macmillan vedeva un analogo pericolo, come scrisse l’8 aprile: "Il (nuovo) atteggiamento comunista mette assai a disagio i partiti liberali e moderati. Da una parte, essi non vedono l’ora di entrare al governo e non sopporterebbero di vedere i comunisti ed i socialisti appropriarsi di tutti i posti chiave e di tutto il potere; d’altra parte, hanno fatto tanti discorsi e hanno pronunciato parole così coraggiose, che dovrebbero rimangiarsene parecchie se dovessero accordarsi e collaborare con Badoglio. Credo perciò che il re debba compiere un atto politico di importanza sufficiente -che sia l’abdicazione, o una reggenza, o la promessa di una reggenza- perché gli altri partiti possano entrare immediatamente a far parte di un governo di coalizione, senza perdere troppo la faccia". Macmillan, insieme al rappresentante speciale del presidente Roosevelt, Robert Murphy, riuscì a risolvere il problema persuadendo Vittorio Emanuele ad annunciare il proprio ritiro dalla vita pubblica e la nomina di suo figlio a luogotenente del regno a partire dalla data in cui gli eserciti alleati sarebbero entrati a Roma[V.par.7]. Ciò si dimostrò sufficiente a salvare la coscienza dei moderati ed il 21 aprile venne formato un nuovo governo. 7) Mac Smith,543-544 Il fascismo fu sostituito da un'autocrazia monarchica fondata sull’esercito, la polizia e la burocrazia ex fascista e dalla promessa di libere elezioni a guerra finita. I combattimenti, continuarono per altre sei settimane, giacché il re diede la sua parola d’onore che non nutriva alcuna intenzione di abbandonare l’Asse. Il Partito fascista fu dichiarato illegale, la censura politica rimase, la maggior parte dei funzionari fascisti mantenne il suo posto e Badoglio in un primo tempo non sciolse la milizia fascista. Badoglio sperava di tenersi libero su tutti e due i lati senza continuare a combattere e senza mettere a repentaglio né la corona né l'esercito. L' 8 settembre- gli Alleati stavano per passare dalla Sicilia sul continenteBadoglio finalmente concordò un armistizio. Furono sbarchi in Calabria e a sud di Napoli. Ma il re e Badoglio rinnegarono la promessa di appoggiare l'invasione e all’ultimo momento chiesero al comando degli Alleati di annullare un progettato attacco a Roma. Alla fine, nel giugno 1944, il governo «non politico» di Badoglio lasciò il passo a un’ampia coalizione guidata da Bonomi, in cui erano rappresentati tutti i sei partiti appena ricostituiti, dal liberale al comunista. 8) Woolf,394-395 Non c’è dubbio che la famosa «svolta di Salerno» operata da Togliatti, la sua disponibilità ad entrare a far parte di un governo monarchico era la sola soluzione pratica, che permise alla Resistenza di svilupparsi in maniera notevole con l’appoggio alleato. Togliatti sentiva che la presenza angloamericana poteva compromettere la possibilità di una rivoluzione socialista in Italia, mentre vedeva i vantaggi concreti ottenibili mediante l’ingresso nel governo. Il suo sottolineare la necessità di unità per portare avanti la guerra, il carattere «nazionale» del «nuovo partito» fanno da contraltare alla sua insistenza che la pace avrebbe dovuto portare ad una «democrazia progressista», non ad una rivoluzione socialista. C’è coerenza tra la politica di Togliatti 6 durante e dopo la guerra: la partecipazione al governo era un obiettivo giusto tanto strategicamente che tatticamente. Come scrisse il giovane comunista Eugenio Curiel: «È essenziale che la classe operaia, classe di governo, non si troverà più in una posizione di minorità politica, reietta ai margini della nazione». La decisione presa da Togliatti nell’aprile 1944 fu seguita dal grosso successo di giugno del Cln, che essa contribuì in parte a determinare, a seguito del quale il generale monarchico Badoglio venne sostituito dal socialdemocratico prefascista Bonomi (giugno 1944) mentre le sinistre ottenevano l’impegno per la formazione di una Assemblea costituente con poteri legislativi. Ma verso gli ultimi mesi dell’anno le speranze del Cln di una soluzione inequivocabilmente progressista o rivoluzionaria erano compromesse seriamente, dal comportamento equivoco di Bonomi... Il prezzo che il Cln dovette pagare per il riconoscimento e l’appoggio militare alleati fu l’impegno di abbandonare le armi a Liberazione avvenuta, mentre veniva messa in dubbio la decisione se il destino della monarchia avrebbe dovuto essere stabilito da una Assemblea costituente o da un referendum. Le speranze di un mutamento radicale non ricevettero nuovo impulso fino alla insurrezione vittoriosa della primavera del 1945, con lo sferzante « vento del Nord» 9) Woolf/Catalano,89-93 (Alla fine del '44) i comunisti ritornavano sulla loro idea-base, che aveva dato loro una carica essenziale, tra la fine del ‘43 e i primi mesi del ‘44, per scardinare dal basso, con l’apporto decisivo delle masse popolari, il vecchio Stato accentrato, dinastico e autoritario: l’idea, cioè, della proliferazione e della ramificazione dei Cln fin nelle più piccole unità periferiche, l’unico modo per risvegliare ed attirare alla lotta contro i nazifascisti tutti gli strati della popolazione. Verso la metà di ottobre, però, quasi immediate ripercussioni anche sulla situazione italiana, ebbe la conferenza a Mosca fra Churchill e Stalin, che aveva stabilito la spartizione dell’Europa in due zone di influenza. [la spartizione non fu una scelta operata fin dall'inizio.V.par16,ss;28;203,ss] Woolf/Catalano, 90-93 La Democrazia cristiana. «Il Popolo, febbraio 1945» respingeva un'unione fra i vari partiti -sostenuta sia dal Pd’A sia dal Pci- che continuasse « al di là della lotta e della vittoria, per le necessità della ricostruzione», mostrando di preferire una opposizione e una maggioranza, di cui evidentemente, la Dc era sicura di far parte, anche per l’aiuto, non certo disinteressato, degli anglosassoni. 10) 11) Acc,XI,261 L’insurrezione nazionale -fine aprile 1945- nell’Italia settentrionale completò la liberazione del paese dagli invasori nazisti e sconfisse definitivamente il fascismo italiano. L’apparato terroristico della dittatura fu liquidato ovunque, i gruppi monopolistici più reazionari e i loro seguaci furono allontanati dalla guida del paese. 12) La maggioranza di coloro che avevano partecipato alla Resistenza ritenevano che l’abbattimento del fascismo dovesse portare alla instaurazione di una democrazia di tipo nuovo. In un documento del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), approvato nel gennaio 1944, era detto che dopo la guerra la monarchia avrebbe lasciato il posto alla repubblica e alla guida dello Stato sarebbero andati i lavoratori, e tra questi la classe operaia. 13) Il documento riconosceva la necessità di profonde trasformazioni nell’economia e nella struttura della società e innanzitutto la riforma agraria, la nazionalizzazione delle banche e dei monopoli industriali, completati dalla richiesta del controllo democratico sulla produzione da parte dei consigli di fabbrica. Gli organi direttivi della Resistenza decisero che a portare avanti queste trasformazioni sarebbero i partiti antifascisti alla fine della guerra e che le riforme sarebbero state sottoposte alla sanzione di una Assemblea costituente. 14) Le tesi programmatiche della Resistenza non avevano perciò un carattere immediatamente socialista. Bisognava tener conto del rapporto di forze in campo internazionale e di quello esistente nella stessa Italia. Gli obiettivi nazionali e democratici erano talmente importanti che il loro raggiungimento richiedeva l’unità di tutte le forze autenticamente antifasciste. Nella struttura sociale e politica italiana avevano un notevole peso i ceti medi urbani e rurali che avevano partecipato attivamente alla lotta contro il fascismo e chiedevano che fossero eliminate le contraddizioni più stridenti, che fossero liquidati i monopoli e la grande proprietà fondiaria ma che nello stesso tempo subivano fortemente la pressione ideologica della Chiesa cattolica 7 15) Il programma della Resistenza fu la piattaforma sulla quale fu costruita la vittoria delle forze di sinistra per l’attuazione degli ideali politici della guerra di liberazione. Questa lotta si sviluppò tuttavia in una situazione caratterizzata dal nuovo schieramento di forze formatosi nel 1945-47 sia in campo internazionale che nella stessa Italia, in una situazione resa più complessa dalla presenza nel paese delle truppe anglo-americane. Cenni sul quadro internazionale 16) La situazione e le vicende italiane del secondo dopoguerra sono state enormemente influenzate dagli sviluppi internazionali.[V:parr.28,ss.] 17) Acc.XI,192-202 Con la guerra, gli Stati Uniti non solo non avevano subito danni materiali ma erano persino riusciti ad arricchirsi...La lotta di classe nel 1945-1949, in tutti i paesi capitalisti, attraversò due fasi: nella prima fase (1945-46) ci fu una crescita del movimento operaio democratico che si espresse nel consolidamento organizzativo delle forze del progresso e della democrazia, nella partecipazione dei rappresentanti dei partiti comunisti ai governi di alcuni paesi capitalisti e nell’attuazione di riforme sociali progressiste. Nella seconda fase (1947-49) ci fu invece la controffensiva della reazione che tentò di riprendere le posizioni perdute negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra e di ricacciare indietro le forze democratiche, un’operazione che le riuscì soltanto in parte. Tutti questi processi si realizzarono in modo non uniforme nei diversi paesi 18) Gli Stati Uniti d’America operarono nel mondo postbellico all’ombra del fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki (1945) che aveva fornito una drammatica dimostrazione della crescente potenza degli USA. La guerra era stata la causa fondamentale della comparsa degli Stati Uniti sulla scena della politica imperialistica globale. Trasformatisi in “arsenale” degli alleati gli USA si erano notevolmente arricchiti grazie alla guerra. Nel 1945 il reddito nazionale lordo era di 215,2 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al 1940. La potenza industriale era cresciuta del 40 per cento. La seconda guerra mondiale aveva consentito agli USA di uscire dalla crisi e di accelerare la sua crescita industriale ma aveva prodotto anche consistenti mutamenti strutturali nell’economia americana. Dal 1940 al 1945 il totale delle spese per la ricerca scientifica e per la sperimentazione in USA aumentava di 5 volte, da 0,4 a 2 miliardi di dollari l’anno; la quota dello Stato aumentava dal 18 al 79 per cento. Un’altra importante causa dell’egemonia economica e tecnico-scientifica degli Stati Uniti fu “l’importazione delle idee e degli specialisti” dagli altri paesi. Si accentuò l’importanza della ricerca scientifica per la produzione di armi, per l’incremento dei profitti e per l’economia statunitense in generale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica stimolò la crescita industriale e la comparsa di nuovi settori produttivi, di nuovi tipi di armi, di nuove merci e servizi. 19) La seconda guerra mondiale aveva distrutto il rapporto di forze esistente prima della guerra tra le sei potenze imperialistiche più importanti (USA, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone). Negli anni immediatamente successivi alla guerra il peso specifico degli Stati Uniti nella produzione industriale complessiva del mondo capitalista era pari a 2/3, mentre alla vigilia della guerra non superava il 50 per cento. Il peso specifico delle esportazioni statunitensi crebbe di 2,3 volte. Circa il 70 per cento delle riserve auree del mondo capitalista risultò concentrato negli Stati Uniti. 20) Mai prima nella loro storia gli USA avevano raggiunto una tale potenza militare come nel 1945. Le forze terrestri, marittime e aeree degli Stati Uniti dominavano le principali direttrici delle comunicazioni mondiali e si appoggiavano a importantissimi punti strategici. Durante la guerra gli USA avevano costruito 434 basi per la flotta e per l’aviazione di marina; le forze terrestri e l’aviazione strategica disponevano di 1.933 basi. Alla fine della guerra le forze armate degli USA contavano 12 milioni di uomini. Gli Stati Uniti avevano il monopolio della bomba atomica. 21) L’elite dirigente degli USA fu presa da una illusione di onnipotenza. Le pretese al ruolo di “leader del mondo” erano nate negli Stati Uniti già in passato. Il presidente del Comitato nazionale delle conferenze industriali Virgil Jordan, in un discorso all’Associazione americana dei banchieri pronunciato il 10 dicembre del 1940, definì gli Stati Uniti gli “eredi dell’Impero Britannico”. 22) Durante la guerra era stato sepolto l’isolazionismo e l’espansionismo regionale si era trasformato in espansionismo globale. I piani del governo si fondavano sulla creazione di un enorme apparato bellico idoneo a fungere da “polizia del mondo”. Un notevole posto nei piani egemonici degli Stati Uniti occupava il monopolio dell’armamento atomico. 8 23) Durante la guerra erano state bloccate le riforme del “new deal” (“nuovo corso”) e sospesi molti provvedimenti “anti-trust”. Il capitale monopolistico si avvalse delle vaste possibilità di ridistribuzione del reddito nazionale a proprio favore. Aumentarono notevolmente i profitti delle corporazioni. I processi di concentrazione e di centralizzazione dell’industria e del capitale si andarono realizzando a ritmi sostenuti. Nel 1942-44 circa il 50-60 per cento di tutta la produzione industriale e il 7580 per cento dei settori produttivi dei mezzi di produzione era indirizzato a fini bellici. Nei cinque anni di guerra gli Stati Uniti avevano speso in armamenti 300 miliardi di dollari. In quello stesso periodo le corporazioni bellico-industriali avevano notevolmente intensificato il loco controllo sull’apparato statale. I loro rappresentanti erano a capo di molti organi statali che si occupavano della distribuzione delle commesse statali di armamenti e di materiali bellici, dei sussidi governativi, delle materie prime e della forza lavoro. Si andava intensificando il ruolo dei militari nella elaborazione della politica nazionale. 24) Castronovo,358-359 I paesi dell'Europa occidentale erano usciti fortemente menomati dal conflitto. l'Unione Sovietica venne fuori dal conflitto in condizioni di estrema debolezza economica, di deterioramento dell'apparato industriale, di grave carestia cerealicola di caduta delle condizioni materiali di vita [V.par.199,ss;209,ss.]. Gli Stati Uniti avevano la possibilità di unificare il mercato mondiale e di imporre, battendo in breccia i tentativi dilatori della Gran Bretagna, una nuova strategia dello sviluppo fondata sulla supremazia del dollaro e sull'apertura dell'Europa agli scambi con l'America. Il sistema monetario mondiale sorto a Bretton Woodds nel 1944 (luglio 1944-dicembre 1945) già configurava i rapporti di forza reali determinati dal conflitto (il dollaro affiancato dall'oro come riserva liquida delle banche centrali). La fornitura di crediti liquidi e di aiuti finanziari a titolo gratuito o la concessione di prestiti a lungo termine e a basso tasso di interesse, da parte americana, concorsero a rimettere in sesto nel breve giro di due anni la maggior parte delle economie europee. Nel frattempo gli aiuti alla ricostruzione del vecchio continente sia in beni di consumo, sia in beni strumentali (il Buy American Act poneva, come condizione preliminare all'erogazione di prestiti all'estero, l'acquisto di prodotti finiti presso le industrie americane) avevano consentito all'economia statunitense, altrimenti impacciata dopo la fine delle commesse belliche, di riprendere quota e di espandersi. La creazione di un mercato monetario basato sulla convertibilità del dollaro in oro, secondo un rapporto costante ma senza alcun controllo supernazionale sull'emissione di liquidità, avrebbe finito col determinare una serie di rapporti fortemente ineguali e per provocare alla distanza pericolosi squilibri. L'Italia e le potenze alleate 25) Corona, Chiesa, Capitale, compromesse col fascismo, successivamente rifiutarono in ogni modo di riconoscere la corresponsabilità d'un ventennio di comune dominio e continuano a respingere con tutte le forze a loro disposizione l'antifascismo risorto dalle carceri o dall'ibernazione dell'impotenza e dell'acquiescenza. [V:parr.2/4; Woolf/Quazza,21-22; Acc,XI,194]. Ugualmente compromessi erano, in fondo, i paesi "democratici" che avevano variamente sostenuto il fascismo, e si erano disinteressati dalle attività espansionistiche di Hitler. Il prestigio dell'URSS -vera vincitrice della II guerra mondiale- e dei partiti comunisti preoccupava vivamente gli alleati..[V.par.29] 26) Mac Smith,549 I partigiani appartenevano in maggioranza alla sinistra, la quale conquistò così una notevole influenza a livello locale e quindi una forte presa sul futuro meccanismo elettorale. Durante i cinque mesi del governo Parri (succeduto a Bonomi nel giugno 1945) l’Italia fu vicina a conoscere un processo di radicale trasformazione sociale e politica. Il paese si arrestò, a causa degli orientamenti conservatori di una gran parte del suo popolo, della forza tenace degli interessi costituiti, e della presenza di un esercito alleato di occupazione. 27) Woolf/Quazza,28-29 La nascita dell’antifascismo come «forza» decisiva è direttamente collegata con lo sfacelo dell’Italia monarchica erede dell’Italia fascista:la fuga dei Savoia a Pescara, la politica di dichiarare guerra alla Germania soltanto il 13 ottobre 1943, l’iniziale intransigente ripulsa di un governo con i partiti antifascisti, l’alleanza col conservatorismo e col legalismo anglo-americano per rifare la trama essenziale dello Stato tradizionale e sconfiggere o almeno tenere a bada chi vuole un rinnovamento dalle fondamenta. Il paese viene diviso in due dall’andamento delle operazioni belliche: il Centro-Nord, più evoluto e moderno, resta nelle mani dei nazisti e dei fascisti; il Sud, dai tempi dell’unificazione nazionale quasi immobile e arretrato, rimane affidato alla monarchia sorretta dagli alleati. La presenza militare di questi è per così dire, un aiuto del cielo a quelle forze che la fuga a Pescara avrebbe dovuto annientare: un aiuto del cielo perché il Mezzogiorno era sempre stato la zona depressa del paese, nella quale anche i padroni dell'economia erano legati a una visione autoritario-feudale dell’esercizio politico e perciò arbitri e complici dello Stato 9 accentratore...Questo concedeva loro, in cambio del comune controllo sulle classi "inferiori" un ampio margine alla corsa ai prodotti e alla quotidiana esplicazione degli arbìtri. Di qui il contrasto e l’inconcludente diatriba sull’abdicazione di Vittorio Emanuele, di qui il progressivo svuotamento della carica innovatrice dello stesso Cln romano. 28) Woolf/Warner,50-59 L'esclusione dell'Unione Sovietica da una partecipazione effettiva all'organizzazione armistiziale in Italia (contro una proposta inglese di gestione paritetica Regno Unito-USAURSS di tutti gli accordi armistiziali) segnò il primo passo nel processo che portò l’Italia a divenire un membro dello schieramento occidentale. Avendo escluso la Russia da qualsiasi partecipazione, se non marginale, negli affari italiani, le potenze occidentali aprirono la strada alla loro stessa esclusione da qualsiasi ruolo, se non marginale, negli affari dell’Europa orientale. La divisione dell’Europa aveva avuto inizio. 29) Lo scambio di diplomatici fra i governi russo e italiano e l'entrata dei comunisti nel governo Badoglio accrebbero i già grossi timori angloamericani sulla presenza russa e sul comunismo in Italia [V.par.6]. Woolf/Warner,62-67 Un memorandum della commissione alleata di controllo (19 aprile 1944) metteva in evidenza che: "La Russia, con lo scambio di rappresentanze diplomatiche, è stata la prima a fare un gesto per togliere l’Italia dalla posizione di nemico conquistato. Non ci sono truppe russe di occupazione e non esistono quindi tra italiani e russi le frizioni che si verificano inevitabilmente in zone sottoposte al controllo militare straniero. Con l’avvicinarsi delle armate russe nei Balcani, gli italiani ritengono che, attraverso la forte influenza che la Russia avrà sulla Jugoslavia, di fatto l’Italia si troverà di fronte la Russia al confine orientale. Questi fattori, cumulativamente poderosi, agiscono su di un paese già maturo per quella spinta verso le estreme che è corollario inevitabile di una economia in pezzi e dei pericoli dell’inflazione". L' 1 maggio Churchill scrisse due note al suo ministro degli Esteri, chiedendo se gli inglesi avrebbero «consentito alla comunistizzazione dei Balcani e forse dell’Italia», ed osservando che «ci stiamo evidentemente avvicinando al momento di mettere carte in tavola con i russi sui loro intrighi comunisti in Italia, Iugoslavia e Grecia». Come ha chiarito Harold Macmillan nel suo resoconto dei negoziati di novembre tra la Resistenza, gli alleati e il governo italiano:"Alexander fu deciso, era ormai tempo di avere una visione chiara della situazione e infiltrarsi tra i partigiani con ufficiali inglesi e con italiani di fiducia.. bisognava adottare un linguaggio assai sfumato, specialmente in relazione alle condizioni dell’armistizio e ai poteri del governo militare alleato...(ma) la cosa principale era di avere un solido controllo sui movimenti di resistenza, prima che divenissero, come in Grecia, un puro strumento comunista". 30) Woolf/Warner,71-72 I capi del Partito comunista italiano non intendevano prendere il potere per mezzo dei partigiani. Alla conferenza segreta dei leader comunisti europei -settembre 1947- che portò alla formazione del Cominform, (Togliatti affermò) che avrebbe potuto prendere il potere in alcune zone, ma non altrove, e che l’Italia non sarebbe stata libera, unita ed indipendente. Ed aggiunse: «L’unità nazionale era in pericolo e l’abbiamo salvata. Questo è il maggior risultato cui sia pervenuto il partito» Questa rivelazione fu fatta nel mezzo di un aspro attacco, di ispirazione sovietica, alla dirigenza del Partito comunista italiano, ma secondo il biografo di Tito uno dei delegati comunisti italiani presenti rispose efficacemente che «per quanto riguarda la politica del partito durante la guerra... esso aveva agito su istruzioni di Mosca». La dichiarazione di Togliatti ai comunisti jugoslavi, citata prima, non esclude l'intenzione di prendere il potere, ma solo quella di farlo mediante un'insurrezione armata in una parte d'Italia. Ciò non era evidentemente adatto alle circostanza -gli inglesi e gli americani sarebbero quasi certamente intervenuti- ed avrebbero dovuto essere utilizzate altre tattiche, che avrebbero potuto essere perfettamente legali e democratiche. Per quanto riguarda poi l'Unione Sovietica, la sua tolleranza nei confronti della politica angloamericana in Italia può essere spiegata sulla base del timore che una sua interferenza non sarebbe stata sopportata... In Italia c’erano gli eserciti inglese ed americano, non quello sovietico, e i russi dovevano inchinarsi a questa realtà. 31) Woolf/Warner,73-74 Il 30 giugno 1945 il segretario di Stato ad interim Joseph Grew scrisse in un memorandum, che ottenne l’approvazione esplicita di Truman: "II nostro obiettivo è di rafforzare l’Italia economicamente e politicamente, così che gli elementi veramente democratici del paese possano resistere alle forze che minacciano di spingerlo verso un nuovo totalitarismo...Il tempo è ormai maturo per dare il via ad atti che rafforzino il morale del paese, rendano possibile uno stabile governo rappresentativo e permettano all’Italia di partecipare responsabilmente agli affari internazionali". 32) Woolf/Warner,75 Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti non sarebbero stati isolazionisti. Questo fu forse il secondo fattore cruciale che, dopo gli accordi armistiziali del 1943, contribuì ad assicurare la presenza dell’Italia nello schieramento occidentale. Un terzo fattore è considerato da molti la sostituzione di Ferruccio Parri, come presidente del Consiglio, da parte del leader democristiano, Alcide De Gasperi, nel dicembre 1945. Il governo di Parri, si è sostenuto, era troppo di 10 sinistra, troppo impegnato a conseguire radicali cambiamenti economici e sociali per piacere agli inglesi e agli americani.Questi non esitarono ad appoggiare gli intrighi che portarono alla caduta di Parri ed all’ascesa di De Gasperi... 33) Woolf/Allum,172-173 Nel 1945 l’Italia venne inserita nel blocco occidentale e rimase soggetta all’occupazione militare alleata angloamericana fino al 1947. Questa premessa inoltre fu rafforzata dallo scoppio della guerra fredda [V.parr.195,ss.], che divise il paese ideologicamente e socio-economicamente (gli interessi precostituiti contro le classi subordinate). I difensori dello status quo, particolarmente numerosi nell’immediato dopoguerra perché comprendevano gli alleati, il Vaticano, la monarchia, gli operatori economici, le classi privilegiate e i loro rappresentanti, Dc, Pli e Democrazia del lavoro, ottennero rapidamente una vittoria decisiva, su quanti intendevano innovare (movimento operaio, intellettuali progressisti ed i loro partiti, Pci, Psiup e Pd’A), con l’eliminazione del governo Parri sei mesi dopo la Liberazione (novembre 1945). 34) Woolf/Warner,79 Un altro problema permanente del governo De Gasperi era la presenza nei suoi ranghi di ministri comunisti. Nel settembre 1946 i comunisti imposero le dimissioni del ministro del Tesoro, Epicarmo Corbino. «Mentre condivideva il desiderio di Corbino di giungere ad un chiarimento con i comunisti », il presidente del Consiglio non riteneva che ciò fosse possibile allora, a causa della Conferenza della pace e degli effetti che una esclusione totale dei comunisti dal governo avrebbe potuto avere sulla Russia, in connessione alle condizioni definitive di pace che sarebbero state imposte all’Italia. 35) Woolf/Catalano137-139 La situazione internazionale andava peggiorando e la tensione fra i due blocchi si accentuava; ne approfittò quasi subito De Gasperi, il quale, dopo un suo viaggio negli Stati Uniti, si dimise...Tuttavia, nei primi mesi del ‘47, non era ancora giunto il momento adatto per infrangere la coalizione, poiché i democristiani si preoccupavano molto della sorte del Concordato, che la Chiesa voleva entrasse a far parte integrante della nuova costituzione [V.par.85]. 36) Woolf/Catalano,108-110 Mentre il Partito comunista rimaneva attaccato alla vecchia e superata idea dell’intesa fra le varie correnti, la Democrazia cristiana puntava ormai consapevolmente a infrangere quella intesa per assumere da sola, o con il corteggio di altri partiti minori, la responsabilità di governare il paese. La dipendenza economica dagli Stati Uniti per l' approvvigionamento di carbone,doveva condurre ad una dipendenza anche politica, rinsaldando l'appartenenza dell'Italia al blocco occidentale. (da un regolare e continuo approvvigionamento solo dipendeva la possibilità di far lavorare il nostro sistema industriale, questo ci venne quasi esclusivamente dagli Stati Uniti (per circa quattro quinti e, forse, anche più), mentre il contributo della Germania -che era stato predominante negli anni fra il 1936 e il 1942- si contraeva al 10% e quello dell’Inghilterra (preminente fino al 1935) era praticamente nullo). 37) Woolf/Warner,80-82 Nel maggio 1947, tre mesi dopo la firma del trattato di pace, i comunisti vennero fatti debitamente uscire dal governo e venne compiuto un ulteriore passo importante verso l’unione tra l’Italia ed il mondo occidentale. In novembre, il sottosegretario di Stato, Robert Lovett, aveva detto all'ambasciatore Tarchiani che «il Congresso e le banche ci rifiuterebbero assistenza se comunisti e nenniani rientrassero nel ministero». Facendo riferimento alle vicine elezioni italiane, l’addetto stampa del Dipartimento di Stato dichiarò esplicitamente che «se i comunisti dovessero vincere...non ci sarebbe più possibilità di assistenza americana». Ciò, fu chiarito, non si riferiva solo agli aiuti Marshall, ma a qualsiasi forma di aiuto americano...Il cardinale Spellman, il membro più importante della gerarchia cattolica degli Stati Uniti, disse in presenza del presidente Truman: «Entro un mese da domani, quando l’Italia dovrà scegliere il proprio governo, non posso credere che il popolo italiano abbandonerà la sua Fede e l’amicizia americana di fronte alle pressioni e alla propaganda comunista dell’Unione Sovietica. Non posso credere che il popolo italiano sceglierà lo stalinismo piuttosto che Dio, l’Unione Sovietica piuttosto che l’America -l’America che ha fatto tanto ed è pronta a fare tanto di più se l’Italia resta un paese libero, amico e senza vincoli». Woolf/Allum,174-175 Il generale Marshall annunciò la partecipazione dell’Italia al "piano" durante il dibattito parlamentare per la fiducia al nuovo ministero anticomunista di De Gasperi del giugno 1947. Gli americani avevano dimostrato cosa erano disposti a fare per cooperare a imprimere all’Italia un corso moderato, appoggiando la scissione di Saragat dal Partito socialista nei primi mesi dello stesso anno. Lo stesso De Gasperi non fu mai soddisfatto dalla collaborazione col Pci al governo. Il Vaticano certamente disapprovava ed effettuò a sua volta varie pressioni per dissociare la Dc dal Pci; ad esempio, nelle numerose elezioni per le amministrazioni locali tenutesi nell’autunno del 1946 indirizzò i votanti cattolici verso i tradizionali movimenti reazionari di destra. Per gli operatori economici più importanti l’oggetto in discussione era il tipo di economia che l’Italia avrebbe dovuto avere nel dopoguerra. L’iniziativa privata avrebbe continuato a mantenere il controllo, come essi desideravano, o ci sarebbero stati interventi statali? I lavoratori avrebbero avuto una influenza su quanto veniva fatto nelle fabbriche? e così via. 11 38) Woolf/Allum,176-177 De Gasperi formò un governo di minoranza, che comprendeva cinque tecnici (vecchi liberali, tra cui Luigi Einaudi in qualità di vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio). Tutti i fondi provenienti dagli aiuti Marshall furono utilizzati per la ricostruzione dell’industria settentrionale, almeno fino al 1950. Affidare la politica economica ad Einaudi assicurava che questa sarebbe stata ispirata ai princìpi dell’iniziativa privata e della libera concorrenza. ...Il Mezzogiorno ebbe un ruolo fondamentale nel ritorno delle forze conservatrici al potere dopo il breve interludio del governo tripartito.[Vedi:Woolf/Allum,par.239,ss. sulla "questione meridionale] 39) Woolf/Warner,82-85 C’era, però, un ultimo passo da compiere prima che l’Italia potesse essere considerata di pieno diritto un membro dello schieramento: la conclusione di una alleanza militare con gli Stati Uniti ed i suoi alleati. Il governo italiano decise di entrare a far parte del "Patto atlantico" all’inizio del 1949. A seguito di pressioni americane -con l’appoggio francese- fu deciso di invitare l’Italia a divenire socio fondatore della nuova alleanza insieme a nove altri paesi europei, agli Stati Uniti ed al Canada. Il processo di integrazione dell’Italia nel blocco occidentale, che aveva avuto inizio con l’armistizio nel settembre 1943, fu infine completato . 40) Woolf/Catalano,139-140 Cosa fosse effettivamente destinato ad avvenire, lo si era potuto capire fin dagli ultimi mesi del ‘47, quando la situazione italiana era andata rapidamente deteriorandosi sia sul piano internazionale sia su quello interno. Già il 29 agosto, «Mondo nuovo» aveva criticato piuttosto acerbamente l’intervento nelle cose nostre di alcuni dirigenti americani ma, in tale quadro, ben più grave doveva apparire la dichiarazione successiva del presidente americano, secondo il quale «se nel corso degli eventi, apparisse che l’indipendenza dell’Italia, su cui il trattato (di pace) si basa, fosse minacciata direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti, in qualità di firmatari del trattato di pace e di membri delle Nazioni Unite, sarebbero costretti a prendere in considerazione le misure più adatte per il mantenimento della pace e della sicurezza»...L'Italia era orami diventata uno Stato "la cui volontà non interviene nelle determinazione e nelle scelta del proprio destino". La Chiesa nella politica italiana dal 1945 al 1950 41) Mac Smith 574-575 Nella sua allocuzione Iamdudum cernimus (1861), Pio IX aveva formalmente condannato «il progresso, il liberalismo e la civiltà moderna». Nella Lamentabili sane del 1907 Pio X fornì una nuova lista di errori «modernistici», a giudizio del Sant’Ufficio altrettanto letali di quelli di Lutero. Dopo il 1922 Pio XI aveva incoraggiato l’autoritarismo tanto nella Chiesa quanto nello Stato, e poi Pio XII, fu un intransigente conservatore. 42) Hobsbawm,141 Ciò che legava la Chiesa non solo ai reazionari di vecchio stile ma anche ai fascisti era l'odio comune per l'illuminismo del diciottesimo secolo, per la rivoluzione francese e per tutto ciò che a loro avviso ne derivava: la democrazia, il liberalismo e, ovviamente, il pericolo più immediato, cioè il "comunismo dei senzadio"...In effetti l'identificazione della Chiesa con una destra i cui più grandi alfieri internazionali erano Hitler e Mussolini creò notevoli problemi morali ai cattolici socialmente orientati e l'insorgere di gravi problemi politici per le gerarchie, allorché il fascismo precipitò verso l'inevitabile disfatta. 43) Woolf/Poggi,257-261 Gli enormi vantaggi ottenuti dalla Chiesa (sono) una semplice componente di un preciso accordo concluso tra la Chiesa ed il fascismo nei primi anni tra il 1920 ed il 1930. La Chiesa si era disobbligata molto presto, facilitando in vario modo l'ascesa al potere del fascismo e la rapida instaurazione del regime (e non poco sconfessando il cattolico Partito popolare). Alla fine del decennio fu ampiamente ricompensata. E quindici anni dopo non aveva alcuna intenzione di rinunciare a quanto aveva attenuto. [V:par.3] 44) Woolf/Poggi,261-263 In primo luogo (c'era) la minaccia di un tentativo di far pagare alla Chiesa la sua complicità nell'ascesa del fascismo al potere; di farla rinunciare ad alcuni dei massicci vantaggi che si era assicurata con gli accordi del '29. C'era poi la minaccia di una seria sollevazione sociale,economica e politica, guidata dalla sinistra operaia che poteva portare ad una vera rivoluzione. Infine la Chiesa, il mondo cattolico italiano, dovevano sottoporsi a una profonda trasformazione... 45) Woolf/Poggi,271-272 (La strategia della Chiesa fu) massima partecipazione: entrata nell'agone politico, forme di devozione di massa, la creazione di nuove organizzazioni specializzate per le attività elettorali (i Comitati civici) e massimo impegno nel perseguire un' unica strategia: avviare e appoggiare (e controllare) un partito politico di massa che operava formalmente, come un partito non confessionale, entro le norme del gioco politico democratico. 46) Woolf/Poggi,276-279 I vantaggi ottenuti con gli accordi del '29 non furono semplicemente conservati, ma inseriti nella costituzione repubblicana (art.7) [V.par.113]. La strategia di fondo 12 nei confronti del comunismo fu, oltre ad aspetti di «concorrenza» con la sinistra dei lavoratori e di «attacco frontale», come il decreto di scomunica del luglio 1949 [V.par.124], di «isolamento e contenimento», lasciando i partiti marxisti al di fuori delle coalizioni di governo, adottando una politica di riforma sociale estremamente cauta, fondamentalmente dilatatoria e simbolica, permettendo, e forse incoraggiando, la repressione nei confronti dei comunisti nelle aziende, ostacolando l'azione delle amministrazioni locali di sinistra, ma senza impegnarsi in una politica esplicita di repressione dall'alto, senza usare tutti i poteri del governo in un tentativo di annientare l'opposizione. 47) Woolf/Poggi,279-280 La strategia (massima partecipazione-massimo impegno) -nel 1950aveva avuto successo: la Chiesa era in riuscita ad acquisire una nuova verginità democratica senza rinunciare ad alcuno dei vantaggi acquisiti durante il fascismo: il partito che aveva tenuto a battesimo aveva ottenuto una maggioranza quasi assoluta nel 1948 ed era attivo come partito sinceramente democratico, saldamente attestato al centro del potere. Come effetto collaterale, la gerarchia, il clero, le organizzazioni cattoliche -non solo la Dc- avevano raggiunto un’importanza politica, un peso come forze di pressione e come canale non ufficiale tra molti e diversi interessi socio-economici ed i poteri pubblici, che non avevano mai posseduto in Italia o in qualsiasi altro Stato moderno. La situazione socio-economica e politica all’uscita dalla guerra 48) Acc,XI,261-262 Il “ventennio nero” fascista aveva rafforzato enormemente in Italia la concentrazione dei monopoli. All’inizio del 1945 il 15,8 per cento degli azionisti controllava il 91,6 per cento del capitale azionario e deteneva il monopolio nell’industria automobilistica, chimica, cementiera, delle resine e dell’energia. Punti di appoggio del capitale finanziario erano la Banca commerciale, il Credito italiano e il Banco di Roma. 50 famiglie di grossi imprenditori, banchieri, possessori di azioni dominavano l’economia italiana. La Confederazione generale dell’industria rappresentava lo stato maggiore di queste forze e coordinava la politica dei grossi imprenditori. 49) L’altro ceto della classe dirigente era costituito dai grandi proprietari terrieri e dai grandi agrari uniti nella Confederazione dell’agricoltura. Alla vigilia della guerra la metà della proprietà terriera (10 milioni di ettari) era concentrata nelle mani di 25 mila grandi proprietari. Nell’Italia meridionale e in Sicilia, dove dominava il sistema del latifondo, intere comunità erano di fatto dominate dai magnati terrieri: principi e baroni. I grossi proprietari terrieri cedevano gli appezzamenti a mezzadria o con altre forme di rendita sopravvissute dall’epoca medievale e che erano state legalizzate nell’epoca fascista. 50) Una pesante eredità del fascismo nella struttura sociale era lo stretto connubio tra l’aristocrazia agraria e l’oligarchia finanziaria. Principi e baroni del sud investivano la propria rendita agraria nelle società per azioni e nelle banche. Le società per azioni e le banche erano penetrate profondamente nell’economia agricola mediante posizione di monopoli sulla produzione dei prodotti per l’agricoltura (trattori, concimi, eccetera), mediante la creazione di associazioni commerciali che acquistavano e lavoravano i prodotti agricoli o si occupavano delle migliorie ai terreni. Grandi monopolisti, banchieri e latifondisti erano collegati tra loro anche da vincoli familiari e politici e formavano perciò il blocco dirigente degli industriali e degli agrari. 51) Una enorme parte della popolazione era condannata a subire lo sfruttamento da parte di questo blocco: la classe operaia, i lavoratori della città e della campagna, i ceti medi. 52) Le gravi conseguenze di questo sfruttamento erano state aggravate dalla guerra. Il paese aveva avuto circa 500 mila morti, feriti e dispersi. 3 milioni di persone erano rimaste senza tetto. Le fabbriche erano ferme per mancanza di combustibili. Alla fine della guerra la produzione industriale era di due volte inferiore a quella prebellica. La produzione agricola era al 60 per cento. Le gravi conseguenze del fascismo e della guerra si fecero sentire soprattutto nell’Italia meridionale dove l’industria era debolmente sviluppata e l’agricoltura conosceva ancora ritardi e sfruttamenti di tipo feudale. Qui la disoccupazione, soprattutto nelle piccole città, assumeva un carattere di massa. Woolf/De Cecco,285-288 Secondo i calcoli della Banca d’Italia i danni di guerra sofferti dall’industria italiana potevano considerarsi in media l’8% del valore degli impianti. Danni maggiori aveva riportato il sistema dei trasporti. Ma, dato che l’industria meccanica aveva subìto limitati danni, il sistema dei trasporti avrebbe potuto essere facilmente ricondotto alle sue dimensioni prebelliche. L’Italia aveva sviluppato la proprie capacità industriale ben oltre le sue possibilità di assorbimento in tempo 13 di pace. Dato che la grandissima parte degli impianti fissi era sopravvissuta alla guerra, mentre in molti paesi (e in particolare in Germania) la distruzione e spoliazione di essi era stata molto più grave, gli industriali italiani si rendevano chiaramente conto che avrebbero potuto avere una parte importante e lucrosa nel processo di ricostruzione mondiale. E, già nell’autunno del 1945, il governo poteva citare, relativamente ai livelli produttivi che sperava si potessero ottenere per l’inizio del 1946 (in percentuale di quelli anteguerra), cifre ambiziose. La produzione agricola appariva assai maggiormente colpita: il raccolto del 1943 aveva reso 80/85 milioni di quintali di cereali, in confronto a una resa prebellica di 115 milioni di quintali. La produzione di carne era scesa al 25% dell’anteguerra, quella di zucchero al 10%, quella dei legumi al 50%. La maggior fonte di preoccupazione era tuttavia rappresentata dal carbone. Se pure vi fossero state scorte disponibili in altri paesi sarebbe stato difficile usufruirne, la marina mercantile italiana essendo ridotta al 10% del tonnellaggio anteguerra [L'approvvigionamento venne quasi esclusivamente dagli Stati Uniti [V.par.121]. Anche per l’impegno dimostrato dai partigiani nella difesa delle aziende, nell’industria siderurgica gli impianti dell’Italia settentrionale avevano mantenuto un potenziale che si aggirava, in media, attorno al 90%, mentre, nell’Italia meridionale, essa giungeva solo al 40-50%. Il Meridione si presentava di fronte ai compiti della pace in condizioni più pesanti e difficili, rendendo in tal modo ancor più profonda la disparità fra le due zone dell’Italia. Woolf/Catalano,111-113 Secondo Guido Dorso (partito d'azione) la saldatura economica Nord-Sud minacciava di avvenire secondo i criteri tradizionali, cioè sacrificando i contadini e il Meridione agricolo... «Gli industriali del Nord in genere, e quelli parassitari e protetti in specie, riusciranno a Conservare il Mezzogiorno come loro mercato riservato di vendita, escludendo la concorrenza mondiale; in una parola di moda, continueranno a considerare il Mezzogiorno come loro “spazio vitale“. Il che comporta che i consumatori meridionali dovranno continuare a pagare non a prezzo di mercato, ma a prezzo di monopolio, tutti i prodotti industriali e manifatturieri di cui hanno bisogno, mentre dovranno continuare a cedere a prezzo di mercato i prodotti agricoli. Dovranno cioè essere ancora sfruttati come lo sono stati per ottantacinque anni, prima col mito dell’unità, poi con quello della Nazione, poi infine con quello dell’impero...» [V.parr.239,ss.;243] 53) Particolarmente pressante nel 1945 era il problema alimentare. La razione giornaliera di pane era di 200 grammi. I rifornimenti di beni di consumo si erano ridotti di quasi due volte. Divenne più acuto il problema dell’occupazione con il ritorno a casa di uomini che si erano visti allontanare da una vita normale: partigiani, soldati, ex prigionieri politici e prigionieri di guerra. L’armata dei disoccupati contava 2 milioni di persone. 54) La moneta circolante superava di 12 volte il livello prebellico Mac Smith 550 Nel 1947 l’indice dei prczzi all’ingrosso a più di cinquanta volte il suo livello prebellico; c’erano milioni di disoccupati, in condizioni di vita disperate...Circa la metà della spesa pubblica non era coperta dalle entrate, e ciononostante gli uomini politici erano tutti preoccupati di evitare rigorose misure di austerità. 55) Woolf/De Cecco,288-290 La rete di controllo imposta all’economia dallo Stato corporativo avrebbe potuto essere assai proficuamente utilizzata per dirigere produzione e distribuzione nella difficile fase della ricostruzione. Lo Stato possedeva ora il 90% delle banche, la Banca centrale, e una notevole proporzione dell’industria italiana (inclusa una altissima proporzione dell’industria pesante). Il maggior potenziale inflazionistico era rappresentato dalla capacità di credito delle banche. Una operazione di consolidamento si mostrava possibile ed erano disponibili i controlli selettivi del credito che la legge bancaria del 1936 metteva a disposizione dell’istituto di emissione. Un prestito nazionale avrebbe, inoltre, potuto contribuire a rastrellare parte della liquidità del pubblico. Il governo dell’economia italiana venne affidato ai più autorevoli esponenti del campo liberale, seguaci del credo politico ed economico di Jefferson e della Scuola di Manchester, propugnatori del liberalismo puro: Soleri, Ricci, Corbino, Del Vecchio, e, soprattutto, Einaudi. Dopo la violenta interruzione del fascismo, essi volevano che si giungesse alla minimizzazione dell’interferenza statale in economia e alla rottura dei monopoli privati,. 56) Woolf/De Cecco,291-295 Così, mentre nel resto del mondo la seconda guerra mondiale aveva significato una conferma della fondatezza della critica keynesiana al laisser faire e gli economisti si affrettavano a trarne le necessarie conclusioni a favore dell’intervento dello Stato nell'economia [V.Castronovo,par.159/160], l’Italia, che era scampata, a mezzo di interventi statali e protezionismo, ai peggiori effetti della grande crisi, ora veniva messa a nuotare contro corrente. Il gruppo di esperti liberali, che si diede il cambio al Tesoro in quegli anni, concentrò la propria attività a smantellare i sistemi di controllo su prezzi e quantità e su tutte le forme di attività finanziaria. 14 Il nuovo governo aveva ereditato dall’amministrazione fascista un pesante debito: la moneta stampata e posta in circolazione negli anni di guerra. Una sostituzione del segno monetario sembrava la naturale misura da adottare. I rappresentanti delle sinistre avrebbero voluto strutturare l’operazione in modo che essa comportasse una tassa progressiva sul patrimonio. Richiesta piuttosto legittima quando si pensasse che i percettori di profitti erano coloro che della guerra avevano maggiormente beneficiato. Il cambio tempestivo della moneta poteva divellere gran parte delle radici del processo inflazionistico, specie se ad esso fosse stato aggiunto un prestito forzoso allo Stato che avesse permesso a questo di finanziare il forte deficit indotto dall’isterilimento del flusso delle entrate fiscali e dalle necessità di spesa per le opere di ricostruzione. Gli esperti liberali procedevano nella loro opera di smantellamento: nel 1944 il livello minimo di esenzione dall’imposta speciale di guerra sui profitti era elevato; la sovrimposta speciale sull’Ige era abolita; l’imposta sui redditi da azioni e obbligazioni era ridotta dal 20 al 10%. Nel 1945 l’imposta sui trasferimenti di proprietà era degradata da progressiva a proporzionale. Nel 1946 l’imposta sul reddito da azioni e obbligazioni era abolita, e con essa scomparivano l’imposta sui profitti di guerra e la sovrimposta sul trasferimento di obbligazioni. L’imposta sul trasferimento di azioni era dimezzata. Si adottava la quotazione libera dell’oro, chiaro e persistente monito nei confronti dell’eventuale svalutazione Già nel dicembre dl 1944, il governo Bonomi aveva abolito il prezzo politico del pane col risultato immediato di perturbare la situazione dei salari. L’ulteriore rilassamento dei controlli, seguito dalla necessaria reazione dei salari, portò la spirale inflazionaria a livelli ancor più elevati... Quando i due tronconi di Italia furono riuniti, e il processo inflazionistico si fu comunicato alle regioni settentrionali che ne erano rimaste indenni, a causa dei controlli, la lievitazione dei salari moltiplicò la propria gravità, dato che interessava ormai la maggior parte dell’industria italiana. Woolf/De Cecco,296-297 Cominciò presto a verificarsi il fenomeno, che aveva assediato il paese dopo la prima guerra mondiale:un ampio divario tra i redditi degli impiegati e quelli degli operai [anche per effetto dell'accordo sulla scala mobile per i salari V:par.187]; l’Istituto centrale di statistica calcolò che un lavoratore non specializzato nel 1946 manteneva un potere di acquisto del 50-60% rispetto a quello del 1938; un operaio specializzato del 40-50%, gli impiegati del settore privato dal 33 al 43%; gli impiegati pubblici di livello modesto del 30-35% e ai dirigenti pubblici del 20-25%. La retrocessione sociale della piccola borghesia (una categoria numerosa in Italia) era stata identificata come la causa principale di tensione sociale sulla quale il fascismo aveva fondato la sua scalata al potere dopo la prima guerra mondiale. Lo scontento ricomparve ora con una virulenza assai maggiore, dato che l’erosione dei redditi reali delle classi medie fu assai maggiore di quella che aveva fatto seguito alla prima guerra mondiale. [Perché non furono prese misure contro l'inflazione? V.par.94;96;151,ss.;160;214/216;187,secondo cpv.] 57) Mac Smith, 549-550 La cobelligeranza ai fianco degli Alleati contribuì a mitigare i termini della pace che nel 1947 l'Italia fu costretta ad accettare. l’Istria e Fiume venivano assegnate alla Iugoslavia e il Dodecanneso alla Grecia, ma almeno furono lasciati all’Italia Trieste, e i distretti di lingua tedesca del Sud-Tirolo. A nord-ovest De Gaulle tentò -senza successo- di annettere parte della Val d’Aosta alla Francia. L’impero coloniale africano dovette essere ceduto. Stati Uniti e Gran Bretagna rinunziarono a chiedere riparazioni, e la generosità americana doveva rendere la ricostruzione assai più agevole di quanto non fosse avvenuto dopo la prima guerra mondiale. Non ci si limitò a fornire vettovaglie, di cui c’era gran bisogno; due miliardi di dollari di contributi americani aiutarono il paese a rimettersi in piedi e al termine della guerra l’Italia sconfitta era titolare di considerevoli crediti nei confronti della Gran Bretagna vittoriosa. Il dono di nuovi insetticidi consentirono di porre sotto controllo il flagello della malaria. 58) Il paese si trovò a dover risolvere problemi immensi e complessi. Il movimento di Resistenza non aveva portato automaticamente a un mutamento della struttura economica del paese e si andavano muovendo i primi passi verso la sua democratizzazione. Alla fine della guerra erano state abolite le corporazioni fasciste che dirigevano l’economia nazionale; cessarono di esistere i consorzi agrari, strumento di controllo dei monopoli sul commercio tra la città e la campagna. Tuttavia, non era stata toccata la grande proprietà dei latifondisti, delle banche e dei monopoli. L’insieme dei gravi problemi sociali, la povertà, la disoccupazione, la rovina economica e l’estrema arretratezza del sud esigevano un intervento immediato del governo. Per la soluzione di questi problemi ebbero un ruolo estremamente importante i partiti politici che si erano andati formando nel periodo della Resistenza. 59) Acc,XI,262-264 La forza fondamentale della classe operaia divenne il Partito comunista italiano (PCI) guidato da Palmiro Togliatti. Alla fine del 1945 il PCI contava 1,7 milioni di iscritti. Mac Smith, 545 Diversamente dai democristiani, il partito comunista aveva conservato sotto il fascismo una qualche organizzazione clandestina, e -fattore ugualmente importante- la compattezza e combattività dei comunisti 15 aveva consentito di formare eccellenti unità partigiane nelle fasi finale della guerra, dalla quale perciò emersero con un prestigio eccezionale. Palmiro Togliatti era un abile politico, e il suo vice, Luigi Longo, era stato un attivo capo della Resistenza armata contro la Germania. Togliatti diede prova di un’inattesa elasticità tattica, entrando nel governo Bonomi e impegnandosi a rispettare la religione e a non collettivizzare la terra o le industrie...Woolf,415-416 Il successo del Partito comunista derivò indubbiamente dal ruolo di protagonista che si era assunto nella Resistenza e nelle fabbriche. Su queste basi dopo la guerra aveva rapidamente diffuso la sua struttura di cellule e sezioni nei luoghi di lavoro e nelle i circoscrizioni elettorali, ed aveva consolidato la sua posizione nella Cgil. La sua presenza, i posti che ricopriva nel governo e la sua ripetuta affermazione di un partito «nuovo», rappresentativo dell’intero paese e non solamente della classe operaia e dei braccianti, facilitarono la diffusione della sua struttura, in tutto il paese. La maggioranza dei leader e degli osservatori si aspettavano un periodo piuttosto lungo di indipendenza, ma di relativo isolamento, prima che l’Italia si fosse «redenta» dal suo passato fascista, e durante il quale avrebbe dovuto provvedere a ricostruire da sola la propria economia [v.par.91]. Ma oltre che su queste considerazioni di carattere più immediato, la politica di Togliatti si basava su analisi di periodo lungo dello sviluppo passato della società italiana e del ruolo del partito...Non può però dubitarsi che Togliatti -diversamente da molti altri leader della sinistra- prevedesse la forza formidabile della Chiesa e fosse ansioso di evitare un confronto aperto, fino al punto di votare la costituzionalizzazione del Concordato. Allo stesso tempo, egli aveva a lungo meditato la strategia gramsciana della necessità di assumere l’egemonia sulla «società civile» Su questa base egli sottolineò costantemente che l’Italia non era matura per una rivoluzione socialista e che a quello stadio poteva solo costruire una «democrazia progressista». E per gli stessi motivi ritenne la presenza comunista al governo inevitabile -dato il nuovo ruolo della classe lavoratrice in Italia- e necessaria. Mac Smith,551 Di fatto i comunisti sottolinearono con forza che era loro intenzione seguire una via al potere parlamentare e non rivoluzionaria. 60) Un’importante posizione nel movimento operaio italiano era occupata dal Partito socialista italiano di unità proletaria che dal 1947 riprese il nome che aveva prima del 1943: Partito socialista italiano (PSI). Il partito socialista era guidato da Pietro Nenni. La partecipazione del PSI alla Resistenza a fianco del PCI aveva contribuito ad accrescere la sua autorità tra le masse. Il PSI contava, alla fine del 1945, 700 mila aderenti. La maggioranza degli iscritti al partito socialista era composta da operai (62 per cento) ma erano anche rappresentati i ceti medi, soprattutto quelli urbani. Mac Smith,545 Pietro Nenni, si dimostrò politico più intransigente e meno elastico di Togliatti e nel dicembre 1944 rifiutò di seguirli nel governo quando Bonomi formò il suo secondo gabinetto. 61) La massa fondamentale della classe operaia e la componente più avanzata del ceto contadino, i ceti medi delle città e gli intellettuali erano perciò uniti intorno al PCI e al PSI che durante la lotta di liberazione avevano rafforzato le proprie posizioni. I due partiti della classe operaia erano legati da un patto di unità di azione e avevano un programma politico comune. I comunisti e i socialisti premevano per l’immediata convocazione di un’Assemblea costituente che doveva proclamare la repubblica e risolvere i problemi sociali irrimandabili. Contemporaneamente, essi si battevano per dare vita a un nuovo governo democratico al quale potessero prendere parte i rappresentanti della classe operaia e dei suoi alleati. I comunisti e i socialisti ritenevano allora che l’attuazione di questo programma avrebbe distrutto alle radici il fascismo nel paese e avrebbe potuto portare alla formazione di un ordinamento di “democrazia progressiva” che aprisse la strada a un avvicinamento pacifico al socialismo. 62) Il terzo partito di sinistra, il Partito d’azione, si fondava soprattutto sugli intellettuali e i ceti piccoloborghesi. Eminente esponente di questo partito era Ferruccio Parri. Il Partito d’azione svolse in ruolo importante durante la Resistenza e nella vita politica del periodo postbellico, sostenne il programma che prevedeva la nascita di un regime di “democrazia progressiva” e premette risolutamente per l’attuazione di profonde riforme democratiche. Mac Smith,545 il Partito d’Azione tentò per un breve periodo di svolgere il ruolo di «terza forza» tra lo schieramento popolare e i conservatori. Gli azionisti avevano una parte di tutto rilievo tra le forze partigiane che adesso combattevano contro l'occupazione tedesca del Nord-Italia. I loro capi erano uomini profondamente rispettati per il loro coraggio e la loro integrità; tra essi figuravano Ferruccio Parri, Carlo Sforza, Ugo La Malfa ed Ernesto Rossi. In maggioranza erano stati allievi o compagni di lotta di Salvemini, Gobetti e Rosselli, e la loro ostilità alla monarchia e alla Chiesa era assai più rigida e dottrinaria di quella di Togliatti. Come forse era inevitabile in un partito di intellettuali, si compiacevano di sottili distinguo per minarono la compattezza politica. 16 63) Nel campo borghese il ruolo principale era stato assunto dalla Democrazia cristiana, nata durante la Resistenza. Il personaggio più in vista in questo partito e il suo principale organizzatore fu Alcide De Gasperi. I legami tra la DC e il Vaticano consentirono alla classe dirigente di controllare una notevole parte della popolazione con l’aiuto dell’apparato ecclesiastico e dell’ideologia religiosa, profondamente radicata nella coscienza delle classi popolari. I democristiani utilizzarono per i propri fini politici la rete capillare delle parrocchie (più di 27 mila) e l’armata di preti e di monache forte di 600 mila religiosi. La Democrazia cristiana si appoggiò anche alla organizzazione laica del Vaticano “Azione Cattolica” che esisteva fin dal periodo fascista e che contava, nel 1946, 1,7 milioni di aderenti. 64) Tenendo conto degli umori delle masse popolari, dei contadini e della piccola borghesia, i democristiani inclusero nel proprio programma la richiesta di una democratizzazione dell’ordinamento politico, si schierarono a favore dell’autonomia regionale, della riforma agraria e della nazionalizzazione di alcuni monopoli industriali. Questo programma politico favorì la creazione di una base di massa per questo partito, soprattutto nelle campagne. Secondo i dati della direzione della DC, il partito contava nel 1945 circa 1 milione di iscritti. Il carattere composito della DC generò profonde divergenze all’interno del partito e la nascita di correnti in lotta tra di loro. Poco alla volta le posizioni chiave all’interno del partito passarono nelle mani dei rappresentanti del grande capitale monopolistico. Tuttavia, prima della fine del 1945 questa trasformazione non era ancora chiara a tutti. Il suo programma sociale, l’aureola che gli derivava dall’aver partecipato alla Resistenza e i rapporti formali di collaborazione con i comunisti e i socialisti nel governo del paese impedivano ancora a molti di comprendere la vera essenza di questo partito. 65) Il Partito liberale, rinato durante la Resistenza, univa i ceti borghesi conservatori e i proprietari terrieri. Essi si schierarono decisamente a favore della conservazione della monarchia e contro l’attuazione della riforma agraria. A differenza dei democristiani, i liberali erano contrari alla clericalizzazione del regime. Essi tendevano a restaurare la democrazia borghese del periodo prefascista, conservarle il carattere laico e l’autonomia dal Vaticano. Uno degli ideologi del partito liberale era il filosofo Benedetto Croce. Il programma liberale non teneva conto delle aspirazioni popolari e il PLI non aveva una vasta base sociale. 66) Parte della piccola borghesia era invece entrata nel Partito repubblicano (PRI) che proponeva un programma di riforme sociali e un regime repubblicano. Tuttavia, negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra questo partito non ebbe un ruolo importante sulla scena politica. 67) I partiti borghesi formalmente non rinnegarono gli ideali della Resistenza dei quali però davano una loro interpretazione. Li univa il proposito di conservare e consolidare l’ordinamento capitalista, di restaurare le istituzioni del parlamentarismo borghese, di escludere dal governo del paese i partiti della classe operaia. Alla fine della guerra ebbe perciò inizio una ridistribuzione e una polarizzazione delle forze politiche unite nella coalizione antifascista. Il governo e i comitati di liberazione nazionale (21 GIUGNO 1945-21 GIUGNO 1946) 68) Acc,XI,264-268 In seguito alla vittoria dell’insurrezione nazionale dell’aprile 1945, nell’Italia settentrionale il potere era praticamente nelle mani dei Comitati di liberazione nazionale (CLN) nei quali occupavano una posizione dominante i comunisti, i socialisti e i rappresentanti del Partito d’azione. Alla fine di agosto del 1945 i CLN erano 278, compresi i 42 comitati regionali, i 72 comitati comunali e i 149 comitati nati nelle industrie e nelle imprese agricole. 69) La base dei CLN era composta soprattutto da elementi dei partiti di massa; i liberali non avevano propri rappresentanti. I CLN si appoggiavano alle organizzazioni di massa: i sindacati, le organizzazioni femminili e quelle giovanili. 70) L’organo centrale dei CLN dell’Alta Italia (CLNAI) in effetti svolgeva funzioni di governo nei territori liberati dai partigiani e fu riconosciuto come tale dal governo di Ivanoe Bonomi, che era stato formato dopo la liberazione di Roma. Il CLNAI emanò una serie di decreti con i quali si diede avvio a importanti provvedimenti di ordine economico e sociale. 71) Infine nelle fabbriche e nelle imprese nacquero, i consigli di fabbrica, composti da rappresentanti degli operai e dell’amministrazione, che non assolvevano soltanto funzioni di difesa della produzione ma anche quelle di organi di controllo democratico sulla produzione capitalistica. I consigli di fabbrica non furono però riconosciuti dal regime di occupazione americano e non furono legalizzati dal 17 governo italiano (di Roma). Nelle grandi aziende agrarie del nord i cui proprietari erano fuggiti, i contadini, sull’esempio degli operai delle città, cominciarono a creare consigli di gestione delle imprese. I piccoli contadini autonomi e gli affittuari si unirono in cooperative per l’acquisto dei concimi, del bestiame e delle macchine agricole. Queste cooperative furono una forma importante di lotta contro lo sfruttamento dei contadini da parte del capitale commerciale-industriale. 72) Nel sud e in gran parte dell’Italia centrale, esclusa Roma, la situazione era del tutto diversa. Il movimento di Resistenza in queste regioni non aveva avuto modo di svilupparsi e il ruolo politico dei CLN era poco consistente ed era privo di una base di massa. Nel CLN di Roma, a differenza dell’Italia settentrionale, le forze di sinistra non avevano la maggioranza. 73) Nel governo di coalizione, del quale facevano parte anche i comunisti, le posizioni più importanti erano in mano alle forze di centrodestra della coalizione antifascista che si appoggiavano non ai CLN ma al vecchio apparato burocratico. Roma divenne il punto di coagulo delle vecchie classi dirigenti. Conservavano notevoli posizioni anche la monarchia e il Vaticano. In Sicilia le classi dirigenti tenevano sottomesso il popolo non solo con l’aiuto del potere ufficiale ma anche grazie ai servigi di una organizzazione banditesca segreta, la mafia. Le sollevazioni contadine che scoppiarono qua e la a causa della fame furono represse senza pietà. 74) Ai primi di maggio del 1945 il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia chiese che si formasse un nuovo governo con i rappresentanti di tutti i partiti presenti nel CLN e che gli incarichi chiave fossero affidati a “coloro che occupavano posizioni di avanguardia nella guerra di liberazione nazionale”. Le trattative tra il CLNAI e il CLN di Roma sulla composizione del governo durarono per tutto il mese di maggio. 75) Influì sulle trattative il regime di occupazione anglo-americano. (Gli americani) controllavano l’economia italiana e si sforzarono di creare la base per una penetrazione del capitale americano in Italia. Gli organi dell’amministrazione militare americana intervenivano costantemente nella vita politica del paese. Il regime di occupazione militare fu utilizzato dalle vecchie classi dirigenti italiane per impedire il consolidamento delle posizioni della sinistra e dei suoi punti di appoggio nati nel corso della guerra di liberazione. Alla fine di aprile-maggio 1945 il regime di occupazione si estese al nord dell’Italia e i CLN furono costretti a cedere il potere amministrativo agli organi dell’amministrazione militare alleata che governarono queste regioni fino alla fine del 1945. 76) I partiti borghesi condizionarono la nascita del nuovo governo di coalizione a un accordo che limitasse i poteri dei CLN a funzioni consultive e alla effettuazione delle elezioni per gli organi di governo locali che avrebbero dovuto prendere il posto dei CLN. Il governo -21 giugno- fu presieduto dal rappresentante del CLNAI e dirigente del Partito d’azione Ferruccio Parri, esponente di primo piano della Resistenza, noto e stimato negli ambienti antifascisti. Del governo Parri fecero parte i rappresentanti di tutti i partiti del CLN (vice presidente:Pietro Nenni (PSI); ministro degli esteri:Alcide De Gasperi (DC); ministro della giustizia:Palmiro Togliatti (PCI); ministro dell’industria e del commercio:Giovanni Gronch i(DC); ministro delle finanze:Mauro Scoccimarro (PCI); ministro dell’agricoltura:Fausto Gullo (PCI). 77) La partecipazione al governo dei comunisti e dei socialisti consentì di dare corso a una serie di urgenti provvedimenti diretti a ricostruire l’economia e a migliorare la situazione dei lavoratori. Diedero un notevole aiuto al governo nella ricostruzione economica i CLN e i consigli di fabbrica. 78) Per iniziativa del ministro comunista della agricoltura, Gullo, furono prorogati tutti i contratti agrari; ai proprietari fu proibito di licenziare i braccianti o di cacciare gli affittuari. Con un decreto speciale Gullo abolì il subaffitto e aumentò la quota dei mezzadri nella spartizione del raccolto. Questi decreti, pur avendo un valore limitato dal punto di vista pratico, furono accolti con feroce resistenza dai proprietari terrieri che furono costretti a rispettare le leggi soltanto sotto la pressione delle masse contadine. 79) Il ministro comunista delle finanze, Scoccimarro, elaborò tre progetti di legge: sulla confisca dei profitti illegalmente conseguiti durante il fascismo e durante la guerra; su una imposta straordinaria progressiva sulle eredità e, infine, un progetto di riforma delle finanze che prevedeva la sostituzione della cartamoneta per lottare contro l’inflazione e per colpire i gruppi più ricchi della popolazione. Questi tre progetti di legge non furono approvati a causa del sabotaggio dei liberali e dei democristiani all’interno del governo, così come i provvedimenti che si proponevano di epurare l’apparato statale degli elementi fascisti. I funzionari statali, tra i 18 quali erano numerosi gli ex fascisti o comunque legati ai circoli dirigenti reazionari, sabotarono i provvedimenti del governo Parri. 80) Ebbe notevole rilievo la legge che stabiliva la non punibilità delle azioni partigiane del periodo della Resistenza. Questa legge, approvata su proposta di Togliatti, impedì ai circoli dirigenti di destra di fare i conti con gli ex partigiani e di presentare alcune loro azioni, dirette contro i fascisti e i loro seguaci, come atti delittuosi. Per consolidare le basi del proprio gabinetto, Parri si appoggiò al sistema dei CLN. 81) Tuttavia le divergenze insorte tra i partiti impedirono che il congresso [Milano,agosto 1945- Acc,XI 267] formulasse programmi concreti per l’attività dei comitati. I partiti di sinistra inoltre non erano riusciti a estendere la rete dei CLN nell’Italia meridionale e non si poté perciò convocare un congresso nazionale di questa organizzazione. Il governo Parri non riuscì perciò ad assicurarsi un solido appoggio nel paese. 82) A novembre i ministri liberali abbandonarono il governo Parri. Il loro esempio fu seguito dai democristiani. Ci fu allora una grave crisi di governo. In tutto il paese, nonostante la proibizione degli organi dell’amministrazione militare, ci fu un’ondata di manifestazioni in appoggio al governo Parri. Le manifestazioni furono organizzate dai comunisti e dai socialisti. Tenendo conto della presenza delle truppe di occupazione i partiti di sinistra non ritennero possibile sviluppare un movimento di massa e rendere più acuta la lotta politica interna. 83) Nel dicembre del 1945 fu formato un nuovo governo di coalizione, che si basava ancora una volta sul CLN, presieduto dal capo del partito della Democrazia cristiana, De Gasperi. Entrarono a far parte del gabinetto i rappresentanti di tutti i partiti del CLN. Il socialista Nenni venne confermato vicepresidente e ministro per la convocazione dell’Assemblea costituente. I comunisti Togliatti, Scoccimarro e Gullo conservarono i precedenti incarichi anche nel nuovo governo. De Gasperi occupava anche il posto di ministro degli esteri. I partiti di sinistra appoggiarono la candidatura di De Gasperi alla presidenza del Consiglio purché il nuovo governo garantisse la convocazione dell’Assemblea costituente nei tempi previsti. 84) Mac Smih,554 De Gasperi riuscì a resistere alle pressioni di coloro che volevano un governo monocolore cattolico, comprendendo quanto fosse importante sanare la frattura tra la Chiesa e la società laica, che tanti danni aveva fatto nell’epoca post-unitaria e fu abbastanza accorto da non spingere la vittoria in direzione della destra antiliberale tanto quanto era nelle speranze di Pio XII [V.parr.34,35]. La Democrazia cristiana comprendeva gruppi diversi, divisi su questioni come la riforma fiscale, la redistribuzione della terra, la pianificazione dell’economia e la libertà di coscienza. Molti elettori salutavano in questo partito un difensore delle prerogative cattoliche, e altri lo votarono solo perché lo consideravano il miglior baluardo contro una rivoluzione comunista; per questo la sua sinistra, costituita da riformatori sociali piuttosto avanzati, rimaneva più un eccentrico elemento di disturbo che una forza effettiva. 85) I ministri comunisti nel governo De Gasperi riuscirono a varare alcuni provvedimenti nell’interesse dei lavoratori. Fu concesso un aumento di salario agli operai, la tredicesima mensilità, l’assicurazione sociale a carico del datore di lavoro; fu imposta una tassa straordinaria sul patrimonio. I ministri comunisti proposero anche di attuare una riforma valutaria, la nazionalizzazione dei monopoli e la riforma agraria. 86) Il governo De Gasperi non sostenne questo programma. Su richiesta dei partiti di destra e degli organi di occupazione militare americana, nel marzo del 1946 fu approvata una legge speciale che rimandava l’attuazione delle riforme sociali al nuovo Parlamento. La politica di De Gasperi era diretta alla liquidazione delle istituzioni democratiche nate durante la Resistenza. A questo scopo furono accelerate le elezioni per gli organi amministrativi locali. Dopo le elezioni, all’inizio del 1946, il CLN perse il suo significato politico e cessò di esistere. Molti prefetti nominati dal CLN furono sostituiti. Le fabbriche e le imprese ritornarono ai vecchi proprietari. L’epurazione dall’apparato statale degli elementi compromessi col fascismo fu interrotta e il commissariato per l’epurazione fu soppresso. L’attività del governo De Gasperi eliminò quindi gli organi politici nati durante la Resistenza. Lo scioglimento del CLN indebolì notevolmente le forze di sinistra. Tuttavia non furono del tutto sbarrate le strade per l’attuazione delle profonde trasformazioni indicate dalla Resistenza. 19 Il PCI, il PSI, la CGIL e gli altri - valutazioni diverse e contraddittorie 87) Woolf/Quazza,45 La vittoria dei «restauratori» trova il suo segno sicuro nel primo governo De Gasperi, che si insedia il 10 dicembre ‘45. De Gasperi favorisce apertamente l’opera degli industriali tendente a sostenere la necessità di evitare aumenti salariali, riuscendo, anche con la presenza al governo dei comunisti e dei socialisti, a frenare la spinta agitatoria degli operai. Che i sindacati giungano a parlare di «gara di resistenza attiva ai sacrifici e alle provocazioni fraudolente» come di prova della «forza delle masse» è indice di quanto si sia lontani ormai anche dalle velleità di controllo della gestione aziendale nutrite dalla Resistenza al momento dell’insurrezione. Ma De Gasperi può permettersi anche di porre fine ai Comitati di liberazione, di far trionfare per la soluzione della questione istituzionale il sistema del referendum, più idoneo a salvare la monarchia, di sostituire i prefetti e questori nominati dai Comitati liberazione, di chiudere di fatto l’epurazione. 88) Woolf/Quazza,46-47 Con la fine dei Comitati di liberazione finisce la politica della Resistenza...Il desiderio (dei comunisti) di essere accreditati come partito «non solo di agitazione e di propaganda ma di governo», desiderio che si nutre fino al maggio 1947 delle illusioni offerte dalla partecipazione al governo, spinge a mostrar zelo nel disciplinare le masse operaie rispetto ai problemi di potere, pur mantenendo viva la lotta su quelli di rivendicazione salariale. Socialisti e comunisti riescono a ricostituire nelle fabbriche e in parte nelle campagne (in quelle emiliane essi avevano fatto molto già durante la Resistenza per unire nella lotta dei contadini motivi antinazisti a motivi sociali, e nel Mezzogiorno favorirono l’occupazione dei latifondi) una vasta rete organizzativa, sindacale e cooperativa, ma il problema della conquista del potere viene affidato sempre più largamente, anziché alla spinta delle masse contro le istituzioni, alla lotta parlamentare e amministrativa attraverso i sistemi elettorali della democrazia liberale borghese tradizionale. Certo, rispetto alla strada percorsa dal vecchio movimento socialista riformista dai tempi del congresso di Genova del 1892 fino all’avvento del fascismo, il «partito nuovo » ha il vantaggio di avere bruciato dietro di sé l’esperienza del fascismo e collaudato, con l’intervento in prima linea degli operai e dei contadini, la partecipazione di massa alla Resistenza. Su queste basi, la capacità reattiva del movimento operaio e contadino organizzato si rivelerà perciò nel venticinquennio postbellico più pronta e più efficace che nel primo dopoguerra. 89) Woolf/Catalano,113-115 Il socialista Francesco Mariani, segretario della Camera del Lavoro di Milano, così descrisse alla Costituente il 18 settembre 1946 la politica seguita dalla Confederazione del lavoro [V.par.187,ss]: « Noi abbiamo detto agli operai, prima della Costituente di sospendere ogni qualsiasi agitazione. Abbiamo continuato a rinviare, rinviare, rinviare...Si era detto: “ Bisogna che noi puntiamo sulla politica della riduzione dei prezzi"...» Era certamente una politica difficile, e anche dolorosa sotto taluni aspetti, per i dirigenti sindacali, costretti a frenare le masse che essi controllavano o ad imporre loro sempre crescenti sacrifici; ma era anche la sola politica che potesse consentire alle classi lavoratrici di dimostrarsi degne di diventare la nuova classe dirigente del paese, dal momento che erano disposte a sopportare gravi sacrifici, che avrebbero dovuto tradursi in vantaggio della generalità dei cittadini, anche di quelli non occupati o sottoccupati". La stampa confindustriale cercava di infrangere il già tenue e debole equilibrio: polemizzava con violenza contro «lo sfrenato interventismo dello Stato in ogni settore della vita nazionale»; oppure condannava le «imposizioni e l’energumenismo degli irresponsabili» che, favoriti dal governo, minavano alla base ogni sforzo dei dirigenti d’azienda, degli imprenditori, dei finanziatori, i quali tutti avrebbero voluto poter lavorare in un clima di «collaborazione aperta e leale, posta su un piano di legalità». Frasi che, evidentemente, lasciavano intravedere la richiesta -sotto forma di ultimatum- di un assoluto ritorno alla tradizione e all’incontrollato predominio delle antiche classi dirigenti economiche, che erano poi quelle stesse che avevano condotto il paese in guerra e l’avevano ridotto in condizioni così miserevoli... Gli ambienti confindustriali chiedevano un ordinato svolgimento degli affari: ma da chi e da che cosa era mai insidiato tale svolgimento se le classi lavoratrici moderavano le loro agitazioni e rimandavano le loro richieste di aumenti salariali, che pure sarebbero state pienamente giustificate? La realtà era che gli industriali nutrivano una profonda apprensione non tanto per quanto avveniva, bensì per quanto avrebbe potuto avvenire, e con simili affermazioni essi tentavano di creare una atmosfera contraria al proletariato e di risottomettere ai loro interessi il governo, come d'altronde era sempre accaduto per l'addietro. 90) Woolf/Catalano,116-117 Gli alleati si guardavano bene dall’intralciare quest’opera di pressione, ed anzi, all’inizio di novembre, il presidente della Banca d’America e d’Italia, Giannini, dichiarava che l’alta banca e l’alta industria americana non avrebbero mosso un dito in nostro favore finché non avessero «visto la casa in ordine». Era un’altra frase che rivelava chiaramente come i ceti capitalistici si 20 allarmassero per ciò che poteva succedere in futuro, anche perché non nutrivano alcuna fiducia nel governo Parri. L’azione coraggiosa e previdente delle organizzazioni sindacali, le quali esortavano i lavoratori alla disciplina («Oggi, la forza delle masse si manifesta in una gara di resistenza attiva ai sacrifici e alle provocazioni fraudolente»), dovette ad un certo momento cedere di fronte al troppo grave peggioramento delle condizioni di vita degli operai. Fu appunto questo peggioramento a provocare agitazioni da parte della classe lavoratrice, intese a riequilibrare i salari con i prezzi tanto più alti. Ma era proprio questo che gli industriali desideravano: logorare i loro dipendenti in una lotta per miglioramenti salariali fine a se stessa e senza possibilità di ulteriori sbocchi sociali o politici più ampi...Il 20 novembre (1945), il governo Parri fu messo in crisi dall’attacco sferrato dai liberali, ma compiacentemente assecondato dai democristiani. Il 7 dicembre, venne firmato l’accordo (fra Confederazione del Lavoro e quella dell'industria). Per la prima volta nella storia del sindacalismo italiano, fissava i minimi di paga e l’indennità di contingenza per tutti i lavoratori del Nord; e, inoltre, il diritto delle donne allo stesso salario degli uomini, «a parità di rendimento qualitativo e quantitativo». Ma gli industriali avevano rinunciato ad opporre una strenua difesa su questi punti, senza dubbio importanti, contenti di avere eliminato finalmente il governo dei Cln, la cui sola presenza costituiva per essi una continua minaccia di rivendicazioni più sostanziali dei lavoratori, rivendicazioni che potevano riguardare la loro posizione e condizione nella fabbrica. Ma se gli operai delle industrie tennero, nella seconda metà del ‘45, un tale atteggiamento cosciente e responsabile, non altrettanto poté avvenire nelle campagne, che videro due agitazioni di particolare importanza: in Puglia, infatti, i contadini, si sparsero per i latifondi nel tentativo di sopprimere i segni del possesso privato e di restituire la terra all’uso comune.. Un’altra agitazione si svolse, in questo periodo, nell’Italia centrale e fu quella dei mezzadri. Ad ogni modo Parri fu costretto a rassegnare le dimissioni (24 novembre)... 91) Woolf/Catalano,127-128 Il Cln si riunì il 28-29 novembre per designare un nuovo primo ministro nella persona di De Gasperi. La Borsa valori manifestò «una ripresa immediata e sicura». Indubbiamente, per i ceti capitalistici del paese la crisi del governo Parri assumeva il significato della fine della politica dei Consigli di gestione, delle temute nazionalizzazioni e del non meno temuto cambio della moneta, dell’interventismo statale nella vita economico-sociale al fine di una maggior giustizia sociale, delle imposte sui sovraprofitti di speculazione e di guerra. SCHEDA: Da Bonomi, a Parri, a De Gasperi 92) Woolf,397-403 Sarebbe assurdo spiegare la crescente involuzione del governo nell’Italia liberata esclusivamente sulla base del sistema di rappresentanza dei partiti all’interno del Cln (ogni partito era rappresentato in eguali dimensioni). Assai più importante fu l’atteggiamento degli alleati nei confronti della Resistenza. Il rifiuto di Churchill di riconoscere Il Cln limitò la libertà di scelta degli alleati stessi e spiega perché essi vennero presi di sorpresa dal riconoscimento russo del governo Badoglio nel marzo 1944 e quindi dal successo del Cln nell'estromettere Badoglio in giugno. Nella primavera ed all’inizio dell’estate del 1944, la Resistenza acquisì un grado notevole di iniziativa, forzando gli alleati a riconoscere e il governo di Bonomi e il diritto degli italiani a decidere della monarchia del dopoguerra. Nei mesi seguenti, specialmente dopo la conferenza di Mosca (ottobre), con il crescere negli alleati del timore di attività sovversive comuniste e con il rapido aumento dei bisogni materiali da parte della Resistenza, il controllo alleato si rafforzò. La Resistenza di fatto, aveva vinto la lotta per sottoporre il destino della monarchia alla decisione della nazione già verso la metà del 1944...In quel momento l’insurrezione massiccia nell'Italia settentrionale e l’ordinata amministrazione dei Cln sembrarono restituire l’iniziativa alla Resistenza, i quali parvero trionfare con la nomina di Parri a presidente del Consiglio. (giugno 1945). 93) Woolf,403-407 Gli anni immediatamente successivi alla Liberazione furono segnati da un’esplosione di manifestazioni culturali e sociali che testimoniavano i veri successi della Resistenza: la sconfitta del fascismo e la determinazione di grandi masse della popolazione a partecipare alla vita della nazione. L'impressionante autocontrollo della classe lavoratrice [V.par.187,ss.] la decisione con cui la grande maggioranza degli italiani si metteva a ricostruire l’economia, la nascita spontanea e stupefacente di una miriade di pubblicazioni politico-culturali, il cinema e la letteratura neorealisti, l’avida curiosità per gli sviluppi culturali stranieri, erano aspetti delle trasformazioni massicce all’interno della società italiana e della fiducia degli italiani nel futuro. 21 Eppure entro un anno - elezioni amministrative,marzo/aprile 1946- le speranze più radicali di una rottura drastica con il passato nutrite dagli azionisti e dai socialisti erano state infrante, benché i successi elettorali dei comunisti e dei socialisti incoraggiassero i leader di questi due partiti e il sindacato unificato, la Cgil, a credere nella possibilità di arrivare a formare uno Stato democratico progressista. I Cln, già indeboliti con la decisione del Clnai, al momento della Liberazione, di non proclamarsi governo provvisorio per tema di rinnovare la guerra civile e di provocare l’intervento alleato, erano stati ridotti a corpi consultivi, che traevano la propria autorità daI governo centrale...Quando poi il governo Parri cadde in novembre a causa degli attacchi liberali, ciò avvenne con il tacito accordo dei comunisti e dei socialisti. Al momento della sua caduta il governo Parri aveva mostrato la sua incapacità di far passare misure radicali...(come) il tentativo di controllare l'inflazione mediante una sostituzione della moneta, legata ad una imposta tanto sui capitali che sui beni mobili. Persino una tassa punitiva sui profitti abusivi ottenuti in regime fascista e durante la guerra, e una legge che intendeva colpire i guadagni così vistosi del mercato nero, furono bloccati e passarono più tardi in forma assai più innocua. I decreti di epurazione furono distorti e annullati dalla magistratura, finché la loro applicabilità venne ristretta infine da Nenni (novembre 1945) da una portata generale ad una individuale.... De Gasperi, quando successe a Parri, mise rapidamente fine all’epurazione e permise che venisse interposto appello contro le sentenze precedenti presso il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione, cioè presso corpi che non erano stati epurati. Non ci possono essere molti dubbi a proposito della ostilità alleata nei confronti di Parri: l’Amg (comando militare alleato) trasmise il controllo dell’Italia settentrionale al governo entro poche settimane dalla nomina di De Gasperi a presidente del Consiglio. A quel punto le forze della conservazione sociale avevano dimostrato la loro capacità di resistenza e cominciarono a riaffiorare apertamente. Gli industriali che erano fuggiti dopo la Liberazione ritornarono alle loro fabbriche, spesso essendosi assicurate nuove fonti di approvvigionamento. Se il Vaticano non emise dichiarazioni pubbliche, lo stesso non può dirsi dell’Azione cattolica. La manomorta della burocrazia, cresciuta a dismisura nei mesi successivi al ritiro delle armate tedesche, soffocava l’andamento dell’amministrazione. 94) Woolf,407-410 In questa atmosfera forse non sorprende che i liberali avessero successo nel mantenere intatto il sistema economico preesistente... Il senso dell’urgente necessità della ricostruzione portò i leader della sinistra a riconoscere ripetutamente l’importanza della impresa privata, implicita -secondo Emilio Sereni, uno dei leader comunisti più direttamente interessati- nella creazione da parte del Clnai dei Consigli misti di gestione (composti di dirigenti e lavoratori) per evitare la totale espropriazione dei capitalisti. Gli economisti liberali cominciarono a smantellare la struttura fascista di controlli statali incoraggiando l’industria privata e trascurando il complesso industriale di Stato, l’Iri. 95) Woolf,410-411 Al tempo delle elezioni amministrative, ricostruzione e restaurazione andavano di pari passo sotto la guida di De Gasperi e del liberale Einaudi, governatore della Banca d’Italia. Le residue ambizioni dei Cln erano state spazzate via con il congedo dei suoi prefetti nelle province settentrionali. I pericoli che presentava l’Assemblea costituente vennero circoscritti, decretando che non dovesse avere poteri di legislazione ordinaria e sostituendo con un referendum il diritto che le era stato precedentemente attribuito di decidere della questione istituzionale. La sopravvivenza della monarchia, impossibile nel 1945, ora sembrava una questione aperta. Ciò nonostante lo sviluppo spontaneo di commissioni interne nelle fabbriche aveva facilitato il consolidamento e la efficiente organizzazione di un sindacato unificato, la Cgil, la cui forza garantiva la partecipazione diretta della classe operaia al futuro del paese. Inoltre, nelle elezioni politiche del giugno 1946 (le elezioni amministrative si erano tenute a primavera) i socialisti e i comunisti ottennero quasi il 40% dei voti mentre i democristiani ne ottennero il 35%. La convinzione di Togliatti che il futuro dell’Italia stesse in una «grande coalizione» dei tre partiti maggiori sembrava confermata. Eppure entro dodici mesi, nel maggio 1947, i due partiti maggiori della sinistra furono estromessi dal governo. Fu in questo breve periodo che le speranze della Resistenza vennero definitivamente sepolte. Ma fu in questo stesso periodo, il 2 giugno 1946, che la Resistenza ottenne la sua maggiore affermazione, quando una piccola maggioranza della nazione votò contro la monarchia e l’imponente forza e disciplina della Cgil e dei partiti di sinistra impedirono ai monarchici di opporsi alla decisione... L'estromissione dei partiti marxisti dal governo è stata a lungo -e correttamentespiegata in termini di guerra fredda. La determinazione americana di mantenere 22 fermamente l’Italia nel campo occidentale è già esplicita in un memorandum del segretario di Stato facente funzione Grew, del 30 giugno 1945 [vedi parr.6;29;31,ss] Castronovo, 375 S'era venuto profilando fra il 1946 e il 1947 un blocco di potere interclassista che sia per le sue connessioni con i vertici della burocrazia e i grandi gruppi economici privati, sia per la sua rinnovata attenzione ad inglobare anche le istanze di una parte degli strati piccolo-borghesi e popolari (soprattutto fra lavoratori della terra)- contribuì a modificare i rapporti politici emersi nel vivo della lotta di Liberazione Woolf,413-414 All' epoca del trattato di pace, prima che gli schemi della guerra fredda venissero introdotti apertamente in Italia, i partiti di sinistra avevano definitivamente perso la loro battaglia per far passare radicali riforme economiche e sociali. Prima dell’estromissione dei partiti marxisti dal governo, la restaurazione della tradizionale struttura della economia italiana, coi suoi potenti gruppi privilegiati e la sua fisionomia dualistica era già avanzata. Il referendum istituzionale e la nascita della Repubblica 96) Acc,XI,268-271 Il V congresso del PCI (Roma,dicembre 1945-gennaio 1946). Il programma del partito poneva ai comunisti il compito di dirigere la lotta “per un completo rinnovamento economico, politico e sociale della vita della nazione” e proponeva di istituire un ordinamento di “democrazia progressiva” che il partito contava di fondare con l’aiuto di tutte le forze democratiche e con metodi democratici. Il congresso del PCI confermò la necessità della convocazione dell’Assemblea costituente; affermò la necessità di una immediata riforma agraria che liquidasse il latifondo e propose la nazionalizzazione dei grossi monopoli e l’instaurazione del controllo dei consigli di fabbrica sulla produzione. Il PCI riteneva che la lotta per l’edificazione di una “democrazia progressiva” fosse parte inseparabile della lotta per il socialismo e il suo sviluppo era visto come condizione per la nascita nel paese di un nuovo rapporto di forze più favorevole al passaggio verso le trasformazioni socialiste. 97) Anche i socialisti precisarono il proprio programma politico nel corso del XXIV congresso (aprile 1946). Vennero alla luce due linee politiche contrapposte: quella di Pietro Nenni e quella di Giuseppe Saragat. Nenni confermò le tesi programmatiche fondamentali formulate nel periodo della Resistenza e sottolineò la permanente necessità di conservare l’unità tra i partiti antifascisti e il carattere di coalizione del governo. 98) Nell’aprile del 1946 ebbe luogo anche il primo congresso del Partito democratico cristiano. La maggioranza dei congressisti si dichiarò a favore dell’istituzione della Repubblica. Il congresso confermò la necessità di attuare la riforma agraria e quella industriale e di democratizzare la struttura politica del paese. Si affermò tuttavia che la ridistribuzione della grande proprietà terriera e la nazionalizzazione di alcuni grossi monopoli dovevano essere attuate senza “improvvisazioni rivoluzionarie”. I democristiani si proponevano di attuare le riforme sociali, nei limiti concessi dalla necessità di non indebolire ma semmai di consolidare il sistema capitalista. Durante il congresso i rappresentanti dell’ala destra, su posizioni apertamente monarchiche e anti-comuniste, chiesero la formazione di un governo democristiano. Diversi gruppi di sinistra si espressero a favore di un dialogo con i comunisti e i socialisti, chiesero che venissero attuate le riforme industriale a agraria, affermarono la necessità che i lavoratori partecipassero alla direzione dello Stato. La maggioranza del congresso occupava posizioni centriste (Alcide De Gasperi) e manovrava tra le diverse correnti del partito. 99) Mac Smith,550-551 Se Vittorio Emanuele III avesse abdicato neI 1943, la monarchia avrebbe potuto sopravvivere. Quando l’opinione pubblica chiese il referendum istituzionale, il re tentò, malvolentieri, di fermare gli eventi con l'abdicazione, nella speranza che la maggiore popolarità del figlio avrebbe raddrizzato le sorti della battaglia elettorale e salvato la dinastia. Così nel maggio 1946 Umberto divenne re per soli trentaquattro giorni. Il 2 giugno 1946 si tennero il referendum sul problema istituzionale e contemporaneamente le elezioni per l’Assemblea costituente. Per la prima volta nella storia del paese presero parte alle elezioni tutti i cittadini adulti, comprese le donne. Il referendum diede 12,7 milioni di voti per la Repubblica e 10,7 milioni di voti per la monarchia. I fautori della monarchia ebbero soprattutto l’appoggio delle masse contadine più arretrate del sud. La Repubblica fu una conquista della classe operaia e soprattutto di coloro che alle elezioni diedero il loro voto ai candidati comunisti e socialisti. Alcuni giorni dopo il referendum l’ultimo re d’Italia, Umberto II, abbandonava il paese 23 per sempre. Woolf/Catalano,135: più di sei milioni di democristiani avevano votato per la monarchia...gli elettori cattolici avevano dato maggior peso ai consigli e alle esortazioni della gerarchia ecclesiastica che non a quelli del loro partito, il quale, d'altronde, non si era troppo impegnato per la causa repubblicana. Le elezioni per l’Assemblea costituente diedero i seguenti risultati: i comunisti e i socialisti, che si erano presentati con liste separate, ottennero congiuntamente 9 milioni di voti (4,3 milioni al partito comunista:19%; 20% ai socialisti). La Democrazia cristiana ottenne 8 milioni di voti (35%) Mac Smith,551 Fu un’importante vittoria di De Gasperi e dei cattolici, che in pratica rovesciava l'anticlericalismo risorgimentale; il voto femminile vi ebbe una parte rilevante. I liberali ottenneroo il 6%, una formazione neofascista il 5% e il Partito d’Azione poco più dell’1%. Questo risultato mostrò che la «terza forza» aveva scarsa base. La frattura nella coalizione democratica 100) Acc,XI,271-274 Il primo governo repubblicano -13 giugno 1946- fu presieduto da De Gasperi [al governo per la seconda volta]. Ne entrarono a far parte i rappresentanti di tutti i partiti antifascisti. In ottobre fu designato ministro degli esteri Pietro Nenni. Entrarono nel governo con il portafoglio di ministri Fausto Gullo ed Emilio Sereni. 101) Il 25 giugno iniziò i suoi lavori l’Assemblea costituente che elesse capo provvisorio dello Stato il liberale Enrico De Nicola, (in carica fino a quando non fosse stato deciso l'assetto definitivo dello Stato). 102) L’Assemblea nominò una commissione alla quale fu dato l’incarico di elaborare la Costituzione. 103) In settembre la direzione del PCI elaborava il programma per il “nuovo corso” in campo economico. Il programma prevedeva la libertà di iniziativa privata associata però al controllo statale sull’economia pianificata. Si pensava a uno Stato che attuasse una pianificazione e controllasse la produzione con l’aiuto dei consigli di gestione; si proponeva una politica fiscale diretta contro le classi abbienti, la nazionalizzazione delle imprese monopolistiche e l’avvio della riforma agraria attuata nell’interesse dei contadini. 104) Questo “nuovo corso” fu respinto dai democristiani e dai liberali. Non diede risultati nemmeno la lotta delle forze di sinistra per il riconoscimento giuridico dei consigli di fabbrica che persero poco alla volta di significato. 105) In questo periodo ebbe molto rilievo per il consolidamento delle forze di sinistra la collaborazione tra comunisti e socialisti. Il nuovo patto di unità di azione, concluso nell’ottobre del 1946, fu l’elemento più importante nella distribuzione delle forze che distinse allora l’Italia degli altri paesi dell’Europa occidentale. 106) Le forze conservatrici italiane, appoggiandosi all’imperialismo americano, preparavano la rottura dell’unita delle forze nazionali antifasciste che si era formata nella Resistenza e che era incarnata nel governo di coalizione. Nell’ottobre del 1946 De Gasperi indirizzò a Truman un messaggio personale nel quale gli esponeva un piano per estromettere i comunisti dal governo. Questo piano venne concordato in occasione della visita di De Gasperi negli Stati Uniti nel periodo 5-20 gennaio 1947. L’esclusione dei comunisti dal governo era infatti la condizione posta dai circoli dirigenti americani per la concessione di aiuti economici all’Italia. In caso di successo il governo De Gasperi avrebbe ricevuto un prestito di 100 milioni di dollari. 107) La crisi di governo fu accelerata dalla scissione del Partito socialista italiano (XXV congresso straordinario-9/13 gennaio 1947) [V.par.123]. Giuseppe Saragat abbandonò il PSI e formò un nuovo partito, il Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) al quale aderirono 100 mila persone. Il numero dei deputati del PSI nell’Assemblea costituente si ridusse della metà. Nenni fu costretto a dare le dimissioni da ministro degli esteri. La situazione molto tesa e l’ondata di scioperi non consentirono a Saragat di attuare i suoi piani di isolamento politico del PCI. 108) Il nuovo (il terzo) gabinetto De Gasperi, formato il 2 febbraio 1947, fu ancora una volta espressione di tutti i partiti della coalizione antifascista. Il ministero delle finanze fu sottratto al controllo del PCI. 109) Il 10 febbraio 1947 a Parigi veniva sottoscritto il trattato di pace con l’Italia. In vista dell’imminente partenza delle truppe di occupazione dall’Italia i circoli dirigenti americani 24 sottoposero il governo a nuove pressioni. L’ambasciatore italiano a Washington comunicò al ministro degli esteri, Carlo Sforza, che il governo degli Stati Uniti poneva come condizione per l’invio di aiuti economici all’Italia l’esclusione dei comunisti e dei socialisti dal governo. Il paese fu percorso da una campagna propagandistica anticomunista. Si intensificò la violenza della mafia contro le forze di sinistra nel sud. Il Primo Maggio a Portella delle Ginestre, in Sicilia, i mafiosi aprirono il fuoco con le mitragliatrici sulla folla che festeggiava la ricorrenza. 11 persone furono uccise e 56 ferite. 110) In questa situazione De Gasperi provocò una nuova crisi di governo. Il 13 maggio egli annunziò all’Assemblea costituente le sue dimissioni da primo ministro e il 31 maggio formò un governo composto di soli democristiani, ottenendo il voto di fiducia della maggioranza dell’Assemblea costituente. I comunisti, i socialisti e altri deputati di sinistra votarono contro. Prese il potere un partito con soltanto il 37% dei voti; i partiti che rappresentavano la maggioranza degli elettori rimasero fuori del governo. 111) Il secondo congresso della Democrazia cristiana -Napoli, novembre del 1947- dichiarò che non sarebbe stata più possibile una coalizione governativa tra democristiani, comunisti e socialisti: i partiti borghesi si rifiutavano di attuare il programma della coalizione nazionale antifascista giunta al potere in seguito al crollo del regime fascista. Qualche mese dopo la formazione del “governo nero” l’Assemblea costituente ratificava il trattato di pace che entrò in vigore il 15 settembre 1947. Mac Smith,552 La Democrazia cristiana acquistò un’etichetta più conservatrice, la politica italiana si andò polarizzando sulle due posizioni estreme, irreconciliabili e quasi non comunicanti. Ratifica della Costituzione 112) Acc,XI,274-275 Il 22 dicembre 1947, l’Assemblea costituente, presieduta da un comunista, approvò a larghissima maggioranza (453 voti contro 62) la nuova costituzione. Il 1° gennaio 1948 entrava in vigore. Enrico De Nicola fu nominato presidente della repubblica. La Costituzione confermo i fondamenti dell’ordinamento capitalista: garantiva infatti la intangibilità della proprietà privata e la libera iniziativa privata in economia. L’articolo 7 regolava i rapporti tra il Vaticano e lo Stato sulla base dei Patti lateranensi del 1929, sottoscritti da Mussolini, che riconoscevano al Vaticano lo status di Stato sovrano e che regolavano anche i diritti della Chiesa cattolica in Italia tra i quali l’insegnamento religioso nelle scuole, la validità del matrimonio canonico e la sua indissolubilità. 113) Mac Smith,552 I democristiani ottennero la cosa per loro più importante. I comunisti furono aspramente criticati da socialisti, azionisti e Benedetto Croce che erano contrari a un concordato secondo loro illiberale. Per Togliatti questa scelta era un pegno della sua decisione di collaborare con la Chiesa in un sistema in cui dovevano essere accettate le maggioranze democraticamente espresse. La Sinistra si adoperò per inserire nella legge fondamentale il diritto degli operai a partecipare ai profitti e alla direzione delle imprese. 114) La Costituzione dichiarava che l’Italia “è una repubblica fondata sul lavoro” e (sanciva) la libertà di organizzazione, di riunione, di stampa, il diritto di sciopero, la libertà individuale, il segreto della corrispondenza, ecc. Riconosceva il diritto al lavoro e a un giusto compenso “sufficiente a garantire una esistenza libera e dignitosa”, parità di diritti tra donne e uomini, il diritto dei lavoratori alla protezione sociale, la libertà sindacale. Affermava che l’iniziativa privata doveva essere indirizzata verso il conseguimento degli interessi di tutta la comunità e che la proprietà privata era limitata dalla facoltà concessa al governo di procedere a nazionalizzazioni (anche se con indennizzo) di singoli settori. Prevedeva anche che la legge fissasse i limiti della proprietà terriera; doveva essere favorita da parte dello Stato la cooperazione e il diritto dei lavoratori a partecipare alla direzione delle imprese. 115) Mac Smith,553 Il capo dello Stato, un presidente con mandato settennale, era eletto dalle due camere in seduta congiunta. Alla presidenza salì, dopo De Nicola, Einaudi, seguito da due democristiani (Gronchi e Segni) e da un socialdemocratico (Saragat). Dopo l’amara esperienza del fascismo si decise di spogliare il ruolo presidenziale di poteri effettivi, e se ne fece una carica essenzialmente rappresentativa e onorifica. I senatori dovevano essere eletti e non più nominati dall'alto. I decreti-legge cessavano la loro efficacia in mancanza della sanzione parlamentare entro sessanta giorni. La promozione e il trasferimento dei magistrati furono sottratti al controllo del governo o del parlamento. L’Italia fu divisa in diciannove regioni, ciascuna con un certo grado, maggiore o minore, di autonomia amministrativa, innovazione che rimase largamente inefficace per vent’anni. 25 116) La Costituzione fu un risultato importante della lotta del popolo italiano che vide fissati nella legge suprema dello Stato i principi democratici fondamentali per i quali si era battuto il fronte antifascista. Nonostante la riconquista del potere da parte dei monopoli, nel 1946-47 restava aperta la prospettiva di uno sviluppo progressivo e democratico reso possibile dalla Resistenza e affermato dalla Costituzione: i lavoratori ebbero in tal modo la possibilità di lottare per limitare il potere delle classi privilegiate e di estendere la democrazia appoggiandosi alla Costituzione. La politica reazionaria della coalizione “di centro” 117) Acc,XI,275-276 A fine di dicembre del 1947 il governo De Gasperi fu integrato con rappresentanti del Partito repubblicano, del Partito liberate e con socialisti di destra. Saragat fu nominato vice-presidente: una coalizione quadripartita “di centro”. 118) Il governo “centrista” cominciò a operare nel campo dell’economia la restaurazione di una completa libertà dell’iniziativa privata. In effetti questo significava la rinunzia al controllo dell’economia che viceversa si proponevano di realizzare i consigli di fabbrica. De Gasperi dichiarò all’Assemblea costituente che il governo non si apprestava a riconoscere i consigli di fabbrica in modo che il problema fosse risolto mediante trattative tra i sindacati e gli imprenditori. Il governo si rifiutò di includere nel proprio programma l’attuazione della riforma agraria e di quella industriale. 119) In vista delle prossime elezioni parlamentari i comunisti e i socialisti nel dicembre del 1947 avevano creato il Fronte popolare democratico e avevano presentato un’unica lista di candidati. Il programma prevedeva la riforma agraria, la nazionalizzazione dei monopoli, una politica di pace e di neutralità. 120) Il punto fondamentale della propaganda del blocco governativo (democristiani, liberali, repubblicani e saragattiani) fu la dichiarazione secondo la quale soltanto se questo blocco avesse conservato il potere sarebbero arrivati gli aiuti americani all’Italia; in caso di sconfitta il popolo italiano sarebbe rimasto senza pane e l’industria priva di combustibili e di materie prime [V.par.53] . 121) Nel gennaio 1948 gli USA avevano concesso all’Italia un aiuto “temporaneo” che fu largamente utilizzato a fini elettorali. I democristiani organizzarono trionfali dimostrazioni nei porti in occasione dell’arrivo di navi americane con prodotti alimentari e materie prime. De Gasperi dichiarò inoltre che l’America avrebbe aiutato l’Italia a riconquistare l’indipendenza economica senza imporre alcuna condizione politica. Nel gennaio del 1948 verranno inviate in Italia navi da guerra della flotta statunitense cariche di marines, a ricordare che i circoli dirigenti italiani potevano contare sull’appoggio militare degli USA. La partenza dei contingenti militari americani (che avrebbero dovuto abbandonare il paese entro il 15 dicembre 1947, secondo il trattato di pace) sarà rimandata con i più incredibili pretesti. 122) Woolf,423-427 L’anno intercorrente tra l’estromissione dei comunisti e dei socialisti dal governo nel maggio 1947 e le elezioni del 18 aprile 1948 fu dominato in Italia dalla guerra fredda. Già prima De Gasperi aveva continuamente messo in primo piano la dipendenza dell'Italia dalla situazione internazionale. Il piano Marshall veniva ora a rafforzare il mondo occidentale contro il comunismo, e fu accompagnato dall’aperto appoggio americano per De Gasperi nelle elezioni...La pressione americana era accompagnata dalla massiccia crociata della Chiesa contro il comunismo. Come è ben noto le elezioni del 1948 vennero combattute esclusivamente in termini di «Cristo contro il comunismo». L'effetto di questo clima di guerra fredda fu di polarizzare la politica italiana. Questo fu l’anno della acuta deflazione einaudiana, volta a proteggere « l’uomo della strada», il cui risultato fu una recessione ed un aumento della disoccupazione. Gli industriali, in parte difesi dalla deflazione dagli aiuti Marshall, dettero inizio all'offensiva contro i sindacati. All’interno della Cgil, la minoranza cattolica mise in discussione la linea politica del sindacato al congresso del giugno 1947, mentre in dicembre le Acli, l’organizzazione dei lavoratori cattolici, si opposero apertamente allo sciopero generale indetto dalla Cgil a Roma. La scissione della Cgil, doveva venire solo dopo le elezioni, ma già prima di allora i segni ne erano chiari, specialmente dopo che l’americana Cio iniziò ad esercitare pressioni all’interno della federazione mondiale dei sindacati per una epurazione dei sindacati dominati dai comunisti. Mentre la Cgil si trovava sulla difensiva e l'attivismo della base aumentava, l'insistenza del Pci sulla possibilità di una collaborazione di governo facilitava l'accusa anticomunista di doppiezza. La presa di potere comunista in Cecoslovacchia 26 [febbraio 1948:dopo essersi ritirate le truppe sovietiche tornarono nel Paese instaurando il sistema del partito unico] avrebbe completato la sconfitta del Pci alle urne. L’aiuto finanziario dello State Department al Psli durante le elezioni e l’appoggio di Saragat all’ingresso italiano nella Nato ne furono i logici sviluppi. 123) Anche il Vaticano esercitò una pressione esplicita sugli elettori. Woolf/Catalano,145 Le "disposizioni" del cardinale Schuster di Milano del 22 febbraio dichiaravano esplicitamente : Il "competente partito" verso il quale era "dovere" dei cattolici indirizzare il proprio suffragio era la DC. Ad ogni elettore fu spedito un volantino che conteneva la minaccia dei vescovi "Gli elettori che danno il proprio voto ai partiti che professano dottrine contrarie alla fede cattolica commettono peccato mortale"... Mac Smith,569 Le concezioni di Pio XII, che regnò tra il 1939 e il 1958, erano conservatrici in maniera ancora più spiccata di quelle del suo predecessore. Durante la cruciale campagna elettorale del 1948 gli elettori furono addirittura minacciati di rifiuto dei sacramenti. Nel luglio 1949 il papa emanò una scomunica collettiva contro i milioni di italiani che continuavano a votare per il Partito comunista, e in seguito dichiarò che il socialismo, professando la stessa filosofia materialistica del comunismo, era inconciliabile col cristianesimo. L’Azione cattolica, con i suoi tre milioni di iscritti esercitava una notevole influenza. Woolf,423-427 Il massiccio appoggio del Vaticano e della Chiesa dette una spinta enorme alla struttura organizzativa della DC, che allargò e consolidò la sua posizione nel meridione, non esitando a distruggere il movimento dell’Uomo qualunque mediante la corruzione quando il suo leader Giannini alzò il prezzo del suo appoggio al governo (settembreottobre 1947)... Inevitabilmente questo tentativo di assorbire il sistema elettorale meridionale, come pure il concentrarsi deliberato ed esclusivo sulla ideologia dell’anticomunismo, spinsero la Dc su posizioni conservatrici e la vincolarono più strettamente alla Chiesa e lasciò spazio e opportunità ai leader della Dc che più tardi sarebbero stati chiamati «notabili», per consolidare le loro basi locali di potere e per estendere il loro controllo sui centri di clientelismo: da Restivo e Mattarella in Sicilia, a Fanfani ad Arezzo e a Rumor nel Veneto. 124) La stampa borghese creò nel paese una pesante atmosfera anticomunista. Fu scatenata una pesante campagna di calunnie contro l’URSS. Furono diffuse false notizie su presunti depositi di armi, nascoste dai comunisti. Al fine di prevenire e “l’insurrezione comunista armata” il ministro degli interni, Mario Scelba, emise un decreto sulla “difesa dell’ordine interno”. La polizia approfittava di ogni occasione per disperdere le manifestazioni e i comizi della sinistra. I mafiosi aprivano il fuoco sui dimostranti, uccidevano i sindacalisti più attivi. In violazione della Costituzione e con l’acquiescenza del governo fu ammesso a partecipare alla campagna elettorale il partito neofascista, Movimento sociale italiano, nato nel 1947. 125) Le minacce e le persecuzioni ebbero il loro effetto. Una notevole parte dei ceti medi, soprattutto le masse arretrate del sud, votarono per la Democrazia cristiana. I tre anni trascorsi dall’insurrezione nazionale avevano mutato i rapporti di forza. L’entusiasmo suscitato dalla Resistenza e le speranze di profondi mutamenti erano stati scalzati dal timore che l’arrivo al potere delle forze di sinistra avrebbe portato a mutamenti troppo profondi. 126) Il 18 aprile 1948 ebbero luogo le elezioni per il Parlamento. I democristiani ottennero 12,7 milioni di voti sfiorando (48,5 per cento) la maggioranza assoluta (maggioranza che ottenne nei seggi assegnati: 53%). Per il Fronte popolare votarono 8 milioni di italiani (31%).Il blocco dei partiti di sinistra ottenne la maggioranza dei voti in tutte le città e in tutte le regioni industriali del paese. I risultati delle elezioni non corrisposero alle speranze dei lavoratori che appoggiavano i partiti di sinistra. La direzione del PCI invitò i propri aderenti a non lasciarsi prendere dal pessimismo: la battaglia non era conclusa e doveva essere combattuta in condizioni nuove. 127) Il partito socialista dedusse dal risultato delle elezioni conclusioni diverse. Al XXVII congresso straordinario del partito, tenuto nel giugno del 1948, gli avversari dell’unità di azione con i comunisti affermarono che la causa della sconfitta elettorale doveva essere ricercata nella esistenza del Fronte popolare. Su richiesta del partito socialista il Fronte fu sciolto, ma venne mantenuta l’unità d’azione tra comunisti e socialisti. Mac Smith,553 I gruppi monarchico e liberale potevano contare solo sul 3%. La «terza forza (Parri, Sforza e gli azionisti radicali) subì un’ulteriore sconfitta. Libera dalla tattica giolittiana e dai manganelli di Mussolini, la politica italiana sembrava avviata verso un sistema bipolare, anche se uno dei poli era escluso dal potere. 128) Woolf/Catalano,150-153 Il popolo italiano votò atterrito e impaurito dal potere ecclesiastico come da quello temporale: il terrore delle pene infernali, oppure di un’imminente invasione dei 27 carri armati sovietici, oppure ancora l’incubo della cessazione degli aiuti americani, o, infine, la promessa anglo-franco-americana del ritorno di Trieste sotto la sovranità italiana contro la volontà dell’Urss, favorevole a Tito e alla Jugoslavia. Il partito dei cattolici aveva guadagnato soprattutto nel Mezzogiorno (1.195.125 di nuovi voti), mostrando chiaramente la tendenza della Dc a sostituirsi al vecchio sistema trasformistico e a diventare essa la nuova forma di organizzazione della conservazione politica e sociale. Era sempre avvenuto nello Stato italiano ai gruppi politici o ai partiti che da minoranza diventavano maggioranza: si meridionalizzavano e trovavano nel Sud il serbatoio clientelare del loro potere (era successo anche al fascismo, che nel ‘24 aveva assorbito quasi tutti i notabili che disponevano dei voti delle masse); « triste caratteristica d’una società ancora semifeudale », l’aveva definita Alicata. A soli tre anni dalla fine della guerra, le speranze nate dalla Resistenza dileguavano tristemente e amaramente, così come nella politica internazionale si entrava nel buio ed avvilente periodo della guerra fredda. Woolf,419-422 All’interno del crescente conservatorismo del partito democratico cristiano venivano poste le fondamenta di basi personali di potere come l’organizzazione dei coltivatori diretti di Paolo Bonomi. Accuse di corruzione democratico-cristiana cominciarono a sentirsi già nel 1947. 129) Dopo le elezioni De Gasperi formò il suo quinto governo del quale fecero parte democristiani, repubblicani, liberali e, successivamente, i saragattiani. Il governo di coalizione si appoggiava al blocco della borghesia e dei grossi agrari. I democristiani, consolidato il loro potere, guidarono la crociata della reazione contro le forze di sinistra. 130) Woolf,419-422 All’interno del partito sussisteva una forte sinistra guidata da Dossetti e La Pira. L’espulsione del Pci e del Psi indeboli certamente il gruppo di Dossetti. Ma anche prima di allora la rapida diffusione democristiana nel Sud, con il sistematico assorbimento di clientele liberali e conservatrici nei propri ranghi, in pratica ebbe come risultato la subordinazione della sinistra. Woolf,427-429 Con le elezioni del 18 aprile 1948, la situazione cominciò a cristallizzarsi nella forma che avrebbe poi mantenuto per un decennio. La posizione del gruppo di Dossetti si era irrimediabilmente indebolita e la sua continua insistenza sulla distinzione tra partito e governo, tra Dc e Azione Cattolica, tra le corrette funzioni dell’amministrazione centrale e locale e la loro utilizzazione per motivi di clientelismo di partito, aveva poco effetto evidente...Nel 1951 Dossetti doveva dimettersi da vicesegretario della Dc e ritirarsi in convento... La vittoria elettorale pose le basi per il consolidamento di un sistema politico stabile di governi di coalizione «centristi», tenuti insieme dal loro anticomunismo e dall’appoggio conservatore meridionale della Dc, con i partiti minori del centro (Pli, Psdi, Pri) che si alternavano come associati della Dc. I comunisti vennero isolati nel lebbrosario dell’opposizione permanente, e scomunicati dal Vaticano (luglio 1949). Nel maggio 1950 don Sturzo potette arrivare a premere per la esclusione dei comunisti da tutti i rami dell’amministrazione... 131) Mac Smith,553-558 De Gasperi fu presidente del Consiglio dal 1945 al 1953. Nelle sue coalizioni inevitabilmente si tendeva a eludere i punti controversi, su cui c’era urgenza di decidere ma che mettevano a repentaglio la compattezza del gabinetto. Potenti interessi costituiti -proprietari terrieri, alti gradi della burocrazia o i professori universitari, in maggioranza nominati dal fascismo- furono in grado di resistere al cambiamento (o di ritardarlo) in materia di modernizzazione della pubblica amministrazione. Le riforme si trovavano condannate a un probabile fallimento; né si riuscì a fare abbastanza per migliorare il sistema scolastico in vista della sconfitta dell’analfabetismo e della promozione di maggiori competenze tecnologiche. La Chiesa bloccava le iniziative riformatrici nel campo dell’istruzione, del divorzio, della censura e delle libertà individuali. 132) L'estrema sinistra fungeva da calamita della disaffezione e dell’alienazione serpeggianti in numerosi e diversi strati sociali, attirando persone appartenenti a tutte le classi. I comunisti li erano visti spesso come una difesa del laicismo contro il clericalismo. De Gasperi comprendeva la necessità di un più giusto equilibrio tra le classi e le regioni, ma nessun cambiamento davvero radicale era possibile senza correre il rischio di una scissione in seno al partito democristiano, la cui ala conservatrice accondiscese tuttavia ad alcune concessioni in materia di riforme sociali, nel tentativo di battere il comunismo e attirare un sostegno di massa. De Gasperi poté così introdurre controlli sugli affitti, modesti assegni familiari e una parziale indicizzazione dei salari all’inflazione. Molti lavoratori sia agricoli che industriali ebbero la sicurezza di non perdere il posto di lavoro. Mac Smith,569 De Gasperi era in pratica costretto a seguire Pio XII, ma quando seppe dcl desiderio del papa che egli abbandonasse i socialdemocratici e si avvicinasse ai neofascisti, rifiutò: nell’equilibrio delle forze parlamentari ciò avrebbe accresciuto il pericolo dl una sconfitta nelle delicatissime elezioni del 1953, e avrebbe offerto una gratuita rispettabilità all’opposizione comunista. 28 133) Acc,XI,278 Nel 1948-1949 le repressioni poliziesche contro i lavoratori si intensificarono. In violazione della Costituzione agiva apertamente un partito neofascista. In un’atmosfera di isteria anticomunista, il 14 luglio 1948, ci fu l’attentato alla vita di Palmiro Togliatti. Questo atto criminale scatenò nel paese una tempestosa ondata di sdegno, che si concretò in un grandioso sciopero generale politico. 134) Il terrore aperto si accompagnava al processo di clericalizzazione dello Stato e di tutta la società. Il Vaticano e le organizzazioni cattoliche si accinsero a imporre il loro controllo sulla scuola privata, la radio, le assicurazioni sociali, intervenivano nell’attività dei sindacati e nella lotta politica. Il “Sant’uffizio” del Vaticano pubblicava nel luglio del 1949 un decreto speciale contro il comunismo, nel quale si vietava ai credenti di entrare a far parte del PCI e di sostenerlo, pena la scomunica. Woolf/Beccalli,369-371 Attentato a Togliatti: spontaneamente venne sospeso il lavoro in tutte le fabbriche e molte tra le maggiori furono occupate dagli operai armati. In diverse città del Nord furono occupati i municipi e i principali uffici statali. Coloro che avevano partecipato alla guerra partigiana tirarono fuori le armi nascoste. Nelle componenti più consapevoli delle masse, in molti quadri ai vari livelli del Pci e del sindacato, in molti ex partigiani era diffusa la convinzione che l’ora della rivoluzione fosse suonata. Contro le resistenze della corrente cattolica, la Cgil proclamò lo sciopero generale, limitandosi a dare riconoscimento ufficiale ad una situazione di fatto. Quando, dal vertice del partito e della Cgil, venne l'ordine di abbandonare le fabbriche e gli uffici occupati, di riprendere il lavoro e la vita normale, molti non lo vollero credere. Di fatto l’agitazione durò per molti giorni, prima di spegnersi in una situazione di frustrazione e rassegnazione. Un gran numero dei quadri e dei militanti più consapevoli avevano capito che Togliatti non mentiva quando prometteva alle forze borghesi un rigoroso rispetto delle regole del gioco democratico, e che non avrebbe mai promosso, in un futuro prevedibile, un’iniziativa rivoluzionaria se queste regole del gioco fossero state rispettate dalla controparte... 135) Il Partito democratico cristiano non rinnegò formalmente le promesse riforme sociali ma fece di tutto per rimandarne l’attuazione. La DC vide la soluzione dei problemi economici del paese non nella trasformazione della struttura sociale ma nell’aiuto americano. 136) L’Italia ricevette, sulla base del “piano Marshall”, 1,5 miliardi di dollari che furono distribuiti sotto il controllo USA. Cominciarono ad arrivare quindi in Italia materie prime e prodotti alimentari. Soltanto quando l’Italia entrò nella NATO gli americani cominciarono a inviare anche attrezzature industriali. 137) La ricostruzione della imprese monopolistiche fu accompagnata dalla chiusura di molte medie e piccole aziende e dalla disoccupazione di massa. Nel 1948 in Italia furono registrati 2.500 fallimenti. Il “piano Marshall” frenò l’attuazione delle riforme sociali ed economiche e favorì il rafforzamento del potere economico e politico dei monopoli. Esso apri la strada alla penetrazione sempre più massiccia del capitale americano nell’economia italiana. 138) Il 4 aprile 1949 l’Italia aderiva al Patto atlantico. I circoli dirigenti videro nel Patto atlantico una garanzia per il proprio potere politico. Per conservare il regime esistente essi accettarono limitazioni alla sovranità del paese. Nel 1949/1950 il governo De Gasperi diede agli americani il permesso di installare basi militari sul territorio del Paese. Forze armate della Nato furono dislocate a Verona e altrove. I porti italiani di Napoli, Livorno, Taranto, Augusta divennero basi della VI flotta statunitense. Nel gennaio 1950 tra l’Italia e gli USA fu concluso un accordo “di mutua assistenza difensiva”. Missioni e consiglieri americani cominciarono a immischiarsi nell’attività dello stato maggiore generale italiano e a controllare le forze armate. Il governo italiano sosteneva la guerra degli USA in Corea. 139) Woolf,429-430 In questo congelamento della situazione politica nelle morsa della guerra fredda, la trasposizione della costituzione in norma di legge fu inevitabilmente e deliberatamente trascurata dal partito dominante. Le decisioni specifiche dell’Assemblea costituente, iscritte nella costituzione, di creare una Corte costituzionale, un Consiglio superiore della magistratura, un Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e strutture regionali vennero ignorate; ci vollero dieci anni (e più di venti anni per le regioni) prima che la pressione popolare facesse sì che venissero attuate. Le leggi fasciste, specialmente il codice penale e quello di procedura penale, continuarono a funzionare, in assenza di un articolo della costituzione che venisse ad abrogare ì qualsiasi legge anticostituzionale. A partire dal 1948-49 la Corte di cassazione prese ad assicurare la continuità giuridica del periodo fascista, riformando sistematicamente le sentenze che avevano condannato i fascisti negli anni precedenti, e perfino incriminando ex partigiani per la loro attività durante la Resistenza. La 29 legge di pubblica sicurezza del 1931 venne utilizzata dal ministro degli Interni democristiano Scelba per tornare a formare una numerosa forza pubblica, famigerata per la sua durezza nel disperdere le manifestazioni di sinistra e la sua indifferenza per le libertà individuali. Le spese per la pubblica sicurezza si accrebbero in modo notevole dal 948 in poi. 140) Woolf,430-431 La politica economica del governo conferma questa impressione di immobilismo. Le incisive misure deflazionistiche di Einaudi (luglio 1947-luglio 1948), causando una fortissima caduta dei prezzi possono aver avuto l’effetto voluto di ottenere l’appoggio «moderato» al governo. Ma, dopo le elezioni, il ministro del tesoro democristiano Pella continuò la politica di stabilità monetaria usando gli aiuti americani per aumentare livello delle riserve in divisa estera, piuttosto che iniettare potere d’acquisto nell’economia: ancora stagnazione, fino alla guerra di Corea (1951). (Petri,312 "anche durante la guerra di Corea vari esperti internazionali tornarono a criticare questa linea «l'Italia tratta la stabilità monetaria come un feticcio causando pesanti effetti deflazionistici") . L’emigrazione, sbocco tradizionale della disoccupazione, crebbe acutamente. L’iniziativa privata veniva incoraggiata, mentre venivano effettuati tentativi di ridimensionare l’Iri, e i potenti gruppi industriali, un dato caratteristico dell’economia prefascista e fascista, emersero pieni di vigore, specialmente nell’industria tessile, elettrica e automobilistica, con le loro tendenze monopolistiche e diventarono ancora più potenti con il boom economico degli anni cinquanta. L’assenza di concorrenza si diffuse, oltre che nella grande industria, nell'agricoltura e nell’amministrazione pubblica. La sopravvivcnza di strutture fasciste corporative, come la Federazione dei consorzi agrari (Federconsorzi), e i monopoli di Stato, come il monopolio banane (reliquia dell’impero fascista), facilitarono la crescita di feudi privati politico-economici, fonti di ricchezza, clientele e potere. Gli aiuti americani accelerarono questo processo. Voci ed accuse di corruzione divennero più diffuse dopo il 1950 e dovevano culminare un decennio più tardi in una serie di scandali che coinvolsero figure politiche di primo piano... La lotta dei lavoratori per la soluzione dei problemi sociali nel 1948-49 141) Acc,XI,278-280 La lotta del PCI e delle altre forze di sinistra in difesa della democrazia si sviluppò in una situazione caratterizzata dalla controffensiva delle classi dirigenti e dall’aggravamento della scissione tra le masse popolari. 142) Nel luglio del 1948 la corrente democristiana usciva dalla Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e formava una propria centrale sindacale che più tardi prese il nome di Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori (CISL). La confederazione cattolica di nuova formazione nei suoi primi anni di esistenza assunse una posizione di collaborazione con la borghesia e non prese parte al movimento di scioperi. 143) Le lotte sindacali della classe operaia furono come per il passato dirette dalla CGIL guidata dai comunisti e dai socialisti, che organizzava la maggioranza dei lavoratori. Nell’ottobre del 1949 il secondo congresso della CGIL approvò il “Piano del lavoro”. Si trattava di un programma democratico di ricostruzione dell’economia italiana distrutta dalla guerra. Il “Piano del lavoro” presentato a nome della CGIL al governo fu respinto. I lavoratori ricorsero agli scioperi perché il “Piano del lavoro” fosse attuato a livello locale. Iniziò il movimento per l’occupazione delle imprese che a causa della loro scarsa redditività minacciavano di chiudere. Sotto la guida dei comitati di fabbrica i lavoratori continuavano a far funzionare le aziende a loro rischio e ottenevano dal governo crediti per la ricostruzione. Le Camera del lavoro (organizzazioni sindacali cittadine) elaboravano piani di sviluppo economico, programmi di ricostruzione delle scuole, degli ospedali, degli acquedotti, ecc. Sulla base di questi piani i disoccupati guidati dai sindacati furono impegnati in lavori agricoli preparatori: preparare i terrapieni per le strade e per le strade ferrate, scavare le fondamenta per i nuovi edifici. Questa forma particolare di lotta dei disoccupati fu chiamata “sciopero a rovescio”. Successivamente, grazie all’appoggio di vasti strati di lavoratori, i sindacati riuscirono a ottenere i fondi necessari per completare le opera iniziate dai disoccupati e per garantire un lavoro retribuito. Ebbe grande risonanza anche il movimento per l’attuazione della riforma agraria democratica. A cominciare dall’autunno del 1949 i contadini ripresero a occupare le terra abbandonate dai proprietari. Le loro richieste furono appoggiate da possenti scioperi di solidarietà degli operai. Nella Camera dei deputati e nel Senato per un intero anno i comunisti e i socialisti condussero una lotta accanita in difesa del progetto di riforma agraria democratica attesa dalle masse contadine. 30 144) I democristiani furono costretti a fare concessioni: alla fine del 1949 fu emanata la prima di una serie di leggi sulla terra: la legge sulla riforma della Calabria. Secondo questa Legge le grandi proprietà private (quelle che superavano i 100 ettari) venivano acquistate dallo Stato che le rivendeva poi ai contadini a tassi agevolati. 145) Anche in questo periodo tanto difficile per la democrazia in Italia i lavoratori italiani guidati dal PCI condussero lotte non solo difensive e ottennero risultati sia pure parziali. I comunisti e i socialisti lottarono anche contro il “piano Marshall” e si batterono in Parlamento contro l’ingresso dell’Italia nella NATO. Essi furono sostenuti dalle masse popolari; una petizione contro la partecipazione dell’Italia al Patto atlantico fu firmata da 7 milioni di italiani. Nel 1949 si formò in Italia un possente movimento dei partigiani della pace [V.par.223,ss.] 146) Woolf,139 Il patto di unità di azione con il Pci, consolidato dalla Resistenza, era visto da Nenni come un passo verso la rinnovata unità dei lavoratori. Questa unità doveva rivelarsi più efficace nella Cgil, che mantenne la sua forza malgrado le secessioni che avrebbero fatto seguito alla polarizzazione della guerra fredda. Nel Partito socialista, tanto il continuo identificarsi del Pci con la Russia che le sue nuove dimensioni e la sua disciplina portarono ad acute divisioni e ad ostilità nei confronti della politica di fusione con il Pci che era apparsa probabile nel 1945. Sebbene Nenni vi fosse favorevole, leader di sinistra come Morandi vi si opposero, e cercarono di trovare una collocazione autonoma per il partito. L’uscita di Saragat dal Psiup nel gennaio 1947, quando non riuscì ad ottenere l’appoggio dei socialisti morandiani, fu un riflesso della guerra fredda incipiente. Il Psiup e il nuovo partito socialdemocratico furono costretti ad assumere posizioni più estreme, condizionate dal loro atteggiamento nei confronti della Russia. 147) Woolf,430-433 Fu la pressione popolare a costringere il governo ad adottare le sue prime riforme (benché ancora estremamente moderate): nel 1950 una limitata riforma agraria; la creazione della Cassa per il Mezzogiorno, con fondi assai superiori a quelli mai concessi prima per assistere il Meridione [V.parr.239,ss.]; un aumento della spesa pubblica nei cantieri, nelle scuole e per la casa; perfino le imposte patrimoniali che gli industriali avevano respinto con successo dal 1945; e una decisa liberalizzazione del commercio estero... Il Partito comunista ed il Partito socialista avevano saputo dimostrare la loro vitalità dopo la sconfitta del 1948 entro questi limiti....La Cgil pagò il prezzo maggiore. Essa era stata a malapena in grado di controllare le dimostrazioni spontanee di lavoratori confusi e impazienti dopo l’attentato a Togliatti (luglio 1948). La secessione della minoranza cattolica seguita da quella dei socialdemocratici e dei repubblicani (1949) aveva infranto l’unità dei lavoratori. Anche se la Cgil continuava a conservare l’appoggio della maggioranza dei lavoratori, la sua linea politica restava strettamente subordinata a quella del Pci e del Psiup. La massiccia controffensiva dei datori di lavoro nel 1949, culminata nel rifiuto della Fiat di riconoscere i consigli misti di gestione, segnò il fallimento definitivo della politica di collaborazione che era stata avviata in vista della ricostruzione. La mancanza di volontà e l’incapacità da parte dei leader della Cgil di elaborare una nuova strategia dei lavoratori, distinta da quella del Pci e del Psiup e più rispondente ai bisogni immediati della base, doveva portare al crescente isolamento del sindacato su posizioni difensive fino alla sua umiliazione definitiva nel 1954, quando gli industriali raggiunsero un accordo con i sindacati rivali cattolico (Cisl) e socialdemocratico (Uil) che escludeva la Cgil.. 148) Le successive consultazioni elettorali avrebbero mostrato che i comunisti non avevano alcuna possibilità di diventare il partito di maggioranza, e neppure di dar vita a un governo alternativo. Fuori della scena politica nazionale, l’estrema sinistra aveva un campo d’azione meglio definito, specialmente quando, negli gli anni 1947-1950, la pubblicazione (postuma) dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, contribuì a porre termine all'egemonia culturale esercitata dal conservatore Croce sulla vita intellettuale. Molti illustri scrittori e artisti erano vigorosi sostenitori della sinistra laica. Il partito comunista conquistò inoltre molte posizioni sul terreno del governo locale, specialmente nell’Italia centrale e nelle grandi città (Torino, Milano e Genova), dove i suoi eletti dettero spesso prova di notevolissime capacità amministrative. Gli mancava una forza importante: l’appoggio di un potente movimento sindacale oramai indebolito dalle scissioni. SCHEDA: Due giudizi sulla politica economica di Corbino/Einaudi 149) Woolf,557 Un contributo significativo alla rinascita economica dell'Italia fu la nomina nel 1945 di Luigi Einaudi prima a Governatore della Banca d’Italia, poi a ministro del Bilancio (1947 )[dopo Corbino] e infine, nel 1949, alla Presidenza della Repubblica. Einaudi antepose 31 la stabilità monetaria all’espansione dell’economia e, forse, spinse questa politica oltre il giusto. Ma attuando una severa restrizione del credito, e pagando il prezzo di un freno allo sviluppo industriale e di un ritardo nel combattere la disoccupazione, nel 1948 Einaudi riuscì a domare l’inflazione (che aveva toccato il 50 per cento su base annua) e a stabilizzare la moneta. L’espulsione dei ministri comunisti dalla coalizione governativa attuata da De Gasperi nel 1947 preservò il massiccio afflusso di sovvenzioni americane, contribuendo così a sostenere il valore della lira e a contenere l’agitazione sociale. Einaudi fu costretto a conservare l'enorme proprietà pubblica di banche, cantieri navali e acciaierie, perché il mercato non disponeva delle risorse necessarie per privatizzarli dall'Iri. Ma il ricordo della non troppa lusinghiera esperienza di pianificazione statale compiuta sotto il fascismo gli facilitò il compito di ripristinare una più libera economia di mercato, malgrado la strenua opposizione delle industrie fino ad allora protette da un lato, e dell’estrema sinistra dall'altro. 150) Woolf/De Cecco 296-299 L’inverno del 1946-47 fu dei peggiori. La crisi dei combustibili colpì l’industria italiana mentre si prodigava nello sforzo della ricostruzione. Molta parte del potenziale idroelettrico era stata sottratta dalla siccità dell’anno precedente, che aveva abbassato il livello dei bacini alpini. Nel febbraio del 1946 l’annunzio di un prestito consolidato non aveva avuto seguito, il cambio della moneta era rinviato sine die e l’introduzione della imposta sul patrimonio ritardata...Il professor Corbino stabiliva le fondamenta dei mali che sarebbero seguiti..Dopo le elezioni scoppiarono scioperi e occupazioni di fabbriche, rinviati per non danneggiare la considerazione degli operai agli occhi dei simpatizzanti borghesi della sinistra. 151) Woolf/De Cecco,300-303 Nella seconda metà del 1946 i prezzi, causa le ridotte possibilità di offerta dall’estero e l’accresciuta domanda dall’interno, aumentavano senza interruzione. Il valore della lira, sul mercato libero delle valute, declinava. Nell’attesa del peggio, che si rinforzava per gli scioperi e per la cognizione della fine prossima degli aiuti Unrra, si cercava riparo nell’acquisto di azioni industriali, con conseguente ascesa dei valori in Borsa, e nella tesaurizzazione di beni rifugio. In assenza di rigidi controlli delle esportazioni, si ricorse alla speculazione valutaria... Gli esperti liberali diressero la propria azione anche contro il monopolio statale dei cambi e il ministero dei cambi e delle valute fu soppresso. Per l’Italia, con una bilancia commerciale tradizionalmente deficitaria, avere la propria moneta sopravvalutata sarebbe senz'altro stato un vantaggio, dato che la sicurezza di riuscire a esportare tutto l’esportabile era scontata...Il mercato libero delle valute servì a stimolare potentemente la speculazione contro la lira. E una penosa discriminazione si stabilì per le rimesse degli emigranti, che venivano cambiate al vaglio ufficiale, con conseguente fuga di tali rimesse verso il mercato nero. La discriminazione tra esportazioni verso paesi a valuta libera e paesi con accordi valutari bilaterali, determinò che il ricavato delle esportazioni poté esser destinato principalmente ad alimentare la fuga di capitali. 152) Woolf/De Cecco,304-307 Il fantastico potenziale speculativo deI sistema dei cambi non spaventava i governanti. Da un limitato numero di merci, anzi, questo fu esteso a molte altre. Né il governo parve accorgersi che il maggior motore dell’inflazione era rappresentato dal credito bancario. Le banche reagivano agli aumenti dei costi del lavoro, provocati dal lievitare dei salari, cercando di aumentare i profitti sulle operazioni, cioè spostando i propri investimenti verso i settori più rischiosi dal credito alle aziende. Gli esperti liberali non avevano mai ritenuto di ricorrere ai controlli selettivi del credito che la legge bancaria del 1936 del dott.Menichella concedeva alla Banca centrale. Benché predicasse la guerra santa contro l’inflazione, in realtà Einaudi aveva combattuto in campo avversario. Il governo e i suoi esperti si applicarono a cercare di «ristabilire la fiducia delle classi medie». In aggiunta alla proclamazione di «vacanze» fiscali e finanziarie, grosse fette di bilancio furono destinate all’«ordine pubblico» e alla «difesa». Oltre alla fiducia degli italiani queste cifre tendevano a ispirare quella del governo americano dal quale dipendeva gran parte delle importazioni. In vista della fine del programma Unrra, si stava cercando di ottenere dal governo americano la continuazione degli aiuti, in qualche altra forma. 153) Woolf/De Cecco,307-308 La leadership economica conservatrice (cui si erano aggiunti i socialdemocratici), influenzata dagli esperti liberali, aveva, nel frattempo, deciso, sulla rotta da tenere: svalutazione e severa deflazione...Le banche erano state, fino dalla primavera, avvertite di ciò che sarebbe probabilmente accaduto. E furono avvertiti anche gli speculatori: i proventi del boom italiano delle esportazioni vennero venduti all’estero, in attesa di larghi e facili profitti. Le autorità italiane avevano distrutte tutte le possibilità di ricorrere a misure meno dannose e si potevano basare solo su misure rigidamente ortodosse. Ma non v’era 32 nessuna ragione di (aggiungere) la deflazione monetaria alla svalutazione della lira per fermare l’esaurimento delle riserve valutarie causato dagli speculatori. 154) Woolf/De Cecco,309-310 L’introduzione (o meglio, applicazione) dei minimi di riserva obbligatori presso il Tesoro e la Banca centrale, che determinò la deflazione desiderata, può essere razionalizzata solo in termini politici. Le elezioni del 1948 si avvicinavano e i partiti al governo mostrarono di preferire l’appoggio delle classi medie e dei contadini, che, legati ad una agricoltura di sussistenza, non avrebbero risentito delle conseguenze della deflazione. Le classi medie avevano visto il deprezzamento della moneta polverizzare i loro risparmi e sarebbero tornate ad avere fiducia nel governo solo se l' ascesa dei prezzi fosse stata drammaticamente arrestata. 155) Woolf/De Cecco,311-315 Einaudi sosteneva che aumentare la domanda effettiva avrebbe generato, in Italia in quel momento, solo un moltiplicatore dei prezzi. Perché un moltiplicatore del reddito si mettesse in moto, egli disse, si richiedevano capacità inutilizzata, disoccupazione e disponibilità di materie prime... Mentre la disoccupazione aumentava di giorno in giorno, i lavoratori scendevano nelle piazze, ma ivi trovavano una polizia numerosa e bene addestrata pronta a riceverli, approntata usando le generose assegnazioni di bilancio Le elezioni del 18 aprile 1948 risultarono una chiara vittoria della coalizione moderata. I tre anni che seguirono dimostrarono il prezzo che l’economia italiana aveva dovuto pagare per il trionfo politico del Centro. La stretta operata dalle autorità produsse la inevitabile reazione a catena su produzione e investimenti. Né il governo si mosse per mitigare i rigori della recessione...i ministri economici non risparmiarono occasioni per celebrare la sconfitta dell'inflazione e i meriti di una «sana» finanza pubblica. 156) Woolf/Catalano,144-147 Intanto, la politica deflazionistica di Luigi Einaudi, stava dando i suoi frutti, anche se non riusciva ad eliminare del tutto il pericolo dell'inflazione. L'aumentata e più efficace combattività delle classi lavoratrici contribuiva a sconvolgere il ben ordinato piano dell’economista, sempre attaccato ai suoi miti anche se non osava negare che la propria politica aveva come ultimo effetto quello di generare una redistribuzione del reddito a tutto svantaggio delle categorie e dei ceti più indifesi: P. L. Roccatagliata, ad esempio, notava che «se era giusto porre dei limiti al credito bancario, non era lecito continuare a lasciare, in un paese povero di capitali come il nostro, arbitre le banche d’investire i loro depositi indiscriminatamente, senza speciale preferenza per i settori produttivi ritenuti di maggiore interesse nazionale ». Un altro errore era stato quello di non avere ostacolato adeguatamente il tracollo della borsa, causato in parte dalle restrizioni creditizie e in parte dalla forte pressione esercitata dalla speculazione al ribasso: in tal modo, il malessere della borsa aveva reso molto difficile, per le aziende, ottenere nuovi crediti bancari e lo Stato era costretto a grossi interventi per mettere in grado le industrie, sia dell’Iri che private, di pagare salari e stipendi. «L’intendimento del ministro Einaudi -concludeva Lanzarone- di contrarre le spese urtava così contro la politica sociale del governo, desideroso di non crearsi difficoltà proprio nei mesi precedenti le elezioni ». Pertanto, la circolazione monetaria non aveva cessato di aumentare, passando da 495,9 nel gennaio 1947 a 788,1 nel dicembre... "Dopo aver costretto i prezzi a diminuire in un breve periodo di tempo, se ne stanno scontando le conseguenze con l'aumento della disoccupazione, il fallimento e scomparsa di molte piccole imprese, la quasi bancarotta di certe grandi imprese, e la riapparizione dell’inflazione e dei prezzi in aumento, a causa delle spese governative per i disoccupati. Il senso che ne risulta di confusione e di disperazione sta portando anche uomini d’affari di primo piano a parlare di votare per il Fronte popolare, il quale almeno darebbe un’amministrazione competente»(L' Economist,27 marzo 1948). 157) Woolf/De Cecco,315-318 Lo scoppio della guerra di Corea (1950) consenti di sostituire con la domanda estera l'insufficiente domanda interna: gli indici della produzione cominciarono a salire... Il boom dei prezzi colpì anche l’Italia ma questa volta, controlli selettivi del credito furono usati dalla Banca centrale a prevenire la speculazione...Un boom internazionale di grosse dimensioni, fu dunque necessario per districare l’economia italiana dalla stagnazione impostale dai suoi leader... 158) (Circa gli aiuti del piano Marshall) il compito di produrre richieste dettagliate per gli americani era stato lasciato -in coincidenza con la campagna elettorale- a una (incapace) burocrazia minore. Passate le elezioni, le autorità destinarono gli aiuti Marshall a ricostituire le riserve valutarie del paese. Mentre rifiutava di fare in modo che il potenziale industriale del paese venisse utilizzato in pieno, il governo programmava di far emigrare due milioni 33 di lavoratori italiani, tra il 1948 e il 1952. La commissione economica per l' Europa delle Nazioni Unite censurò la stretta. La missione dell'Eca (Economic Cooperation Administration) a Roma pubblicò nel 1949 una denuncia veemente. Castronovo,385 Per le autorità americane (tali scelte) erano incompatibili con lo spirito e le finalità del piano Marshall, il quale intendeva agire da decisivo fattore di sviluppo e di ammodernamento della vita economica dell'Europa occidentale, sulla base di orientamenti e di tecniche di programmazione di tipo keynesiano. [V.par.57] Woolf/Beccalli,373-374 Questa politica economica si adeguava in modo eccellente al disegno delle forze politiche dominanti poiché veniva ad indebolire il potere contrattuale del sindacato evitando in tal modo i condizionamenti che il Pci poteva imporre tramite il suo controllo della Cgil Castronovo,372 Quali risultati conseguì la politica liberista?...Fra gli effetti immediatamente percepibili, il ripristino della sovranità dell'impresa privata. La priorità data alla ricerca del massimo di redditività aziendale e la convinzione che il risparmio fosse l'unica via per l'accrescimento degli investimenti e dell'occupazione, costituiscono i capisaldi da cui prese le mosse una politica economica destinata a reintegrare i meccanismi spontanei dell'accumulazione, e eliminare ogni valido controllo pubblico sulla destinazione delle risorse (senza alcuna preoccupazione per l'accentuarsi delle sperequazioni territoriali e sociali già esistenti), a ridare alle imprese private piena disponibilità nell'impiego della manodopera cancellando progressivamente ogni forma di partecipazione della classe lavoratrice alle scelte politiche e alla gestione della produzione. SCHEDA: Il fallimento della riforma della pubblica amministrazione 159) Barca,20-34 Oltre al condizionamento della situazione ereditata dal passato; la sensibilità dei partiti agli interessi di quei ceti medi di cui la Dc cerca il consenso e che sollevano anche le preoccupazioni del Pci; si profila una relazione fra la rinunzia a regolamentare i mercati e a programmare e la rinunzia a riformare l'amministrazione. La mancata introduzione di un'imposta straordinaria; il ritardo e la difficoltà nell'attuare una riforma tributaria col superamento del male antico delle esenzioni e delle evasioni che costringono a concentrare il carico fiscale su una massa limitata di redditi; la sistematica inapplicazione delle norme per l'uso del suolo (L.1497 del 1939 sulla protezione delle risorse naturali e legge urbanistica n.1150 del 1942 che prevede i piani regolatori); la rinunzia -mediante le strutture dell'amministrazione ordinaria- alle politiche attive per l'industria (domanda pubblica, ricerca scientifica, istruzione superiore e universitaria, formazione, riqualificazione del lavoro), politiche sacrificate in favore di una politica di esenzioni e di sussidi; la scelta di una politica di trasferimenti pubblici sostanzialmente incondizionati a favore del ceto medio imprenditoriale e contadino, come compensazione per la mancata regolazione dei mercati e l' inefficienza dell'amministrazione pubblica. Barca,46 Assenza di un mercato azionario efficiente, di norme per la tutela degli azionisti, di bilanci attendibili e, in compenso, livello elevato dei profitti. Barca,53-54 All'insieme di interventi parziali e distorti delle amministrazioni pubbliche ordinarie si contrappone l'opzione degli enti pubblici autonomi. (Da una parte) la rinunzia a un intervento pubblico di regolazione dei mercati (dei capitali e dei prodotti);(dall'altra) la proprietà -l'intera collettività- non è in grado di sottoporre a supervisione i soggetti -non proprietari- che esercitano la gestione e dispongono di poteri quasi sovrani. Si aggiunge la mancata separazione fra industria (specialmente privata) e stampa cui manca l'incentivo a esercitare un ruolo indipendente di verifica e di denunzia sulle questioni economiche e finanziarie, sui temi della concorrenza e del governo delle imprese,. Barca,56-57 La rinunzia a programmare non va letta tanto nel rigetto di politiche "protokeynesiane" di "generica espansione delle domanda", quanto nella mancata assunzione diretta da parte dell' amministrazione pubblica di responsabilità di indirizzo dell'economia: fosse essa imperniata su un piano di modernizzazione dell'apparato produttivo, come in Francia, o su obiettivi di rafforzamento dello stato sociale o di piena occupazione, come in Gran Bretagna (Castronovo,362;373 Nota è la posizione economica adottata dal luglio 1945 dai laburisti inglesi volta a costruire un Welfare State, basato su alcune importanti riforme di struttura, sulla nazionalizzazione dei trasporti e delle miniere, su una tassazione fortemente progressiva, sul raggiungimento del pieno impiego, nonché sulla pianificazione dell'assistenza sociale e della spesa pubblica in scuole, ospedali e progetti di rinnovamento urbanistico. Ma anche in altri paesi, e non solo in quelli scandinavi, in Belgio, in Olanda, in Francia, pur diretti da governi in cui prevaleva l'elemento moderato, 34 una politica di piena occupazione e l'integrale utilizzo delle risorse figuravano tra i punti fondamentali del processo di ricostruzione postbellica...In Francia imposte straordinarie su beni privati, e sugli incrementi patrimoniali verificatisi nel corso del conflitto, erano state istituite sin dall'agosto del 1945 e il «cambio» dei biglietti era avvenuto subito dopo). Manca, insomma, il tentativo di costruire le strutture di un moderno stato: si rinunzia a disegnare assetti e poteri del governo nazionale e dei governi locali tali da accomodare in via ordinaria e permanente i divari di reddito... L'altra grande rinunzia è quella a «regolare»: la fissazione delle regole, dei diritti e dei doveri, nel "gioco" tra gli interessi di individui e classi diversi, al fine di dare loro certezze e parità di opportunità. Questa rinunzia favorisce, spesso richiede, leggi speciali, sussidi ed esenzioni... Petri,324 La pianificazione degli anni cinquanta rimase un mero «fattore di orientamento» Petri,36o-362 Ciò che distingue tale intervento dalle politiche keynesiane prevalenti altrove fu l'approccio microeconomico anziché macroeconomico e il rafforzamento intenzionale dell'offerta anziché quello della domanda. La continuità del governo sociale dell'economia - decisionismo tecnocratico, integrazione neocorporativa, negoziazioni informali e sotterranea degli interessi è stata, del resto, sottolineata da molti... 160) Barca,61-62 Quattro sono i tratti del compromesso post-bellico: liberismo internazionale; intervento dello Stato attraverso gli enti pubblici anziché con la regolazione e la programmazione; politica di esenzioni e sussidi a specifici gruppi sociali; contenimento dei salari e dei diritti dei lavoratori... Sta qui la natura bivalente del modello: nel momento in cui assicura un parziale rinnovamento dei quadri imprenditoriali, non stabilisce le regole con cui tale rinnovamento possa tornare ad aversi in futuro; e crea così le premesse per la creazione di posizioni di rendita. La soluzione adottata manifesterà questi limiti quando le condizioni straordinarie verranno meno. Simile destino avranno gli altri due tratti straordinari del modello: l'essere affidato a una compressione della crescita salariale, destinata a venir meno col ridursi della disoccupazione; e il meccanismo perverso di sussidio incondizionato delle imprese, destinato col tempo ad allentare il loro vincolo di bilancio, disincentivandone l'efficienza, e a gravare in modo insostenibile sulle pubbliche finanze. Quando l'insieme di questi limiti si manifesterà apparirà evidente il costo di non aver riformato né i mercati né l'amministrazione pubblica. Woolf,434 La stagnazione del sistema politico aveva lasciato lo Stato totalmente impreparato ad affrontare le profonde trasformazioni che la rapida crescita dell’economia aveva introdotto nella società italiana e si dimostrò incapace di riformare le strutture antiquate che erano sopravvissute, a caso o volutamente, nel 1945. [La situazione italiana continuava ad essere disperata, ma normale] La lotta della classe operaia contro i piani reazionari e la politica scissionista dei socialdemocratici 161) Acc,XI,559-566 I piani reazionari delle forze imperialiste, diretti innanzitutto contro i paesi socialisti, si proponevano anche di dare un colpo annientatore ai partiti comunisti e alle altre organizzazioni della classe operaia che lottavano nei paesi capitalisti. 162) Il “New York Times” scriveva il 21 aprile 1946: “In gran parte dell’Europa i partiti comunisti sono i movimenti politici più forti tra tutti quelli esistenti e attirano le forze migliori e più energiche della società”. Nel ricordare i piani di resistenza alle forze di sinistra -1946/47- che presero il nome di piani di “aiuto” all’Europa, il maresciallo britannico Montgomery scrisse: “La fretta era obbligata poiché in Occidente cominciava a estendersi l’influenza del comunismo”. Il ministro degli esteri canadese Saint-Laurent definì il Patto atlantico “contrappeso dinamico al comunismo”. La controffensiva delle forze di destra reazionarie contro i partiti comunisti ebbe inizio con lo scatenamento di una vasta campagna anticomunista. 163) Negli Stati Uniti, già all’inizio del 1946, la caccia al comunista era un fenomeno molto diffuso. Accorsero in aiuto della reazione i capi di destra dei sindacati. In marzo 1947 il presidente Truman ordinò che si “verificasse la lealtà” di tutti gli impiegati dello Stato. Si allungarono le “liste nere” dei “sospetti”; si diede l’avvio alle persecuzioni giudiziarie dei comunisti. Il 20 luglio 1948 dodici dirigenti del Partito comunista USA furono accusati di violazione della “legge Smith” del 1940, cioè di aver organizzato un complotto per abbattere il governo. 35 164) Le riunioni della commissione dei membri del Congresso per le indagini sulle attività antiamericane furono reclamizzate alla radio e alla televisione. La commissione compilò un’interminabile “lista nera” delle “organizzazioni e delle persone sovversive” e nel 1949 provvide a compilare un milione di dossier a carico di cittadini americani sospettati di attività sovversive. Il 17 gennaio 1949 aveva iniziò il processo contro la direzione del partito comunista. Il giudice, il reazionario Medina, condannò 10 dirigenti del partito a 5 anni di prigione e a una multa di 10 mila dollari ciascuno. In seguito alla condanna dei leaders, in tutto il paese si iniziarono gli arresti e le condanne di militanti comunisti. La reazione tentò di decapitare il movimento operaio. (Nonostante) una certa riduzione numerica, i comunisti continuarono a lottare contro la “guerra fredda” e la politica reazionaria del governo [ Acc,XI,225]. 165) In Danimarca e in Norvegia i comunisti parteciparono al governo soltanto fino alle elezioni dell’autunno del 1945. Nell’ottobre del 1946 furono costretti a dimettersi dal governo i rappresentanti del Partito socialista unificato in Islanda; nel febbraio del 1947 i comunisti venivano esclusi dal governo in Lussemburgo; nel marzo di quello stesso anno i comunisti erano costretti ad uscire dal governo in Belgio, in maggio lasciavano il governo anche in Italia e in Francia; in dicembre, in segno di protesta contro la riforma monetaria antipopolare, abbandonava il suo incarico l’unica rappresentante comunista del governo austriaco. Nel 1948 i rappresentanti dell’Unione democratica del popolo finlandese, nella quale avevano un posto importante i comunisti, non furono ammessi nel governo nonostante la consistenza parlamentare di questo gruppo. Ebbe inizio un processo di espulsione dei comunisti da tutte le istituzioni dello Stato. 166) In Inghilterra -fine 1947- il governo laburista impose ai sindacati di espellere i comunisti dalle loro organizzazioni. Il 15 marzo 1948 il governo laburista rese pubblica la decisione di procedere a una epurazione nelle istituzioni statali: come affermò Attlee in Parlamento, “non un solo uomo, del quale si sappia che è iscritto al partito comunista o sia in qualche modo collegato con questo partito, possa suscitare dubbi sulla sua affidabilità e possa essere addetto a un lavoro che, per il suo carattere, sia vitale per la sicurezza dello Stato”- [Acc,XI,238] 167) Già all’inizio del 1946 la direzione delle organizzazioni socialdemocratiche della Germania occidentale aveva preso misure intese a impedire qualunque tipo di collaborazione tra socialdemocratici e comunisti. Nel 1950 era stata varata una legge con la quale si interdiceva ai membri del partito comunista l’accesso agli impieghi statali. Nel 1951 il governo Adenauer intentò contro il Pcg una serie di azioni legali. [Acc,XII,231 e ss.] Nel 1951 era stata vietata l’Unione della libera gioventù tedesca. Parecchi diritti democratico-borghesi, già contemplati dalla Costituzione della Rft furono cancellati con la cosiddetta “legge-lampo” del 10 luglio 1951 che divenne la base legale per la persecuzione contro molti antifascisti e contro molti cittadini progressisti. Le autorità proibirono l’attività dell’Associazione di amicizia tedesco-sovietica, dell’Unione democratica femminile, del Fronte nazionale della Germania democratica, della Lega culturale, l’organizzazione degli intellettuali progressisti, del Consiglio della pace e altre. (Si voleva) ridurre al silenzio l’opposizione che si batteva contro il riarmo della Rft e contro il suo ingresso nei blocchi militari delle potenze occidentali. I comunisti e gli altri antifascisti erano visti come l’ostacolo fondamentale alla politica reazionaria del governo. Al primo Bundestag il Partito comunista della Germania disponeva di 15 seggi. Nel 1952 il governo Adenauer fece approvare dal Parlamento la cosiddetta “clausola del 5 per cento”, che privava di ogni rappresentanza i partiti che non conseguissero almeno il 5 per cento dei voti. Questa clausola, combinata a una vasta campagna anticomunista, fu sfruttata dalle forze reazionarie alle successive elezioni del 1953: il Pcg, con oltre 600.000 voti non ottenne neanche un deputato. Il 23 novembre 1954 il tribunale federale costituzionale di Karlsruhe iniziava una causa per vietare il partito comunista. I rappresentanti del partito al processo e i loro difensori si videro spesso negato il diritto alla parola. Il 17 agosto 1956 il tribunale pronunciava la sentenza che soddisfaceva in pieno le richieste del governo: il Partito comunista della Germania veniva vietato. 168) Nell’agosto del 1946 il Partito socialista francese rompeva in sostanza il patto di unità d’azione con i comunisti. [Acc,XII,214 e ss] Nel maggio 1952 sulla base di accuse prefabbricate di complotto contro la “sicurezza interna dello Stato” furono arrestati 718 esponenti del Pcf, tra i quali il segretario del suo Comitato centrale, Jacques Duclos. I comunisti riuscirono a smascherare i retroscena truffaldini dell’azione governativa. Un largo movimento per la liberazione degli arrestati costrinse il governo a cedere, e questi furono rimessi in libertà. Nel marzo 1953 furono effettuati nuovi arresti di eminenti personalità del partito comunista, in modo tanto vergognoso quanto quella dell’anno precedente. 169) All’inizio del 1947 il capo della frazione di destra del Partito socialista italiano, Giuseppe Saragat, provocò una scissione del partito che indebolì notevolmente le forze di sinistra e consentì alla reazione di 36 attuare la sua linea anticomunista. Nel novembre-dicembre 1947 nel corso della conferenza dei partiti socialdemocratici ad Anversa fu istituito il Comitato delle conferenze internazionali socialiste che associava i partiti socialdemocratici di 33 paesi. Il rappresentante del Partito del lavoro Islandese, Forrink, ne formulò chiaramente lo scopo: “Marciare sulla strada della politica occidentale alla base della quale c’è il ‘piano Marshall’ e la lotta al comunismo”. 170) Nel marzo del 1948, alla conferenza dell’Internazionale socialdemocratica tenuta a Londra ebbe inizio il processo di espulsione dei “dissenzienti”. Nell’estate del 1948 ne facevano parte soltanto i partiti a fedeli alla politica della “guerra fredda”. Seguirono misure scissioniste anche nelle organizzazioni sindacali. Nell’aprile del 1948 Leo Jouhaux organizzava la scissione della Confederazione generale del lavoro in Francia creando l’organizzazione sindacale riformista di destra “Force Ouvrière”. 171) Queste azioni sarebbero risultate impossibili se i capi di destra della socialdemocrazia non avessero assunto una posizione anticomunista. Oggi, a trent’anni di distanza, e stato dimostrato che questa “svolta” fu preparata, organizzata e pagata dalle organizzazioni reazionarie americane e in particolare dai capi dei sindacati americani. 172) La svolta a destra della socialdemocrazia nel 1947-48 si spiega innanzitutto ricordando i legami tra questi personaggi e il capitale monopolistico, la loro dipendenza dal capitale, che ebbero un ruolo dominante in tutte lo loro considerazioni. L’attività dei dirigenti di destra, tuttavia non avrebbe potuto dare i risultati che diede se le circostanze oggettive, e innanzitutto la composizione e il carattere dei partiti socialdemocratici, fossero stati diversi. Per effetto dei mutamenti intervenuti durante la guerra nella composizione della classe operaia, la sua estensione a spese di elementi piccolo-borghesi del primo dopoguerra, una notevole parte dei partiti socialisti e socialdemocratici si lasciò conquistare dalle illusioni riformiste e le idee anticomuniste penetrarono facilmente. Ebbe un suo ruolo anche la propaganda antisovietica, lo spauracchio della minaccia di “una aggressione sovietica”. 173) I membri dei partiti comunisti e dei sindacati progressisti venivano perseguitati e discriminati mentre coloro che passavano per riformisti venivano applauditi e blanditi in ogni modo. Per rendere più avvertibile il colpo sferrato contro i comunisti si organizzarono contro di loro azioni poliziesche. Gli scioperi venivano repressi con la forza armata. A queste campagne vergognose prendevano parte attiva i dirigenti socialisti e i ministri socialisti. In Francia il ministro socialista Jules Moch utilizzò l’esercito contro gli operai in sciopero. In Italia Giuseppe Saragat, capo dei socialdemocratici, appoggiava le repressione contro gli operai in sciopero. In Gran Bretagna il leader laburista Clement Attlee fece intervenire l’esercito nei porti occupati dai lavoratori in sciopero. Si moltiplicarono le azioni esplicitamente terroristiche contro i capi comunisti e i partiti comunisti. 174) Nel luglio del 1948 le forze reazionarie in Italia organizzarono un attentato contro la vita di Palmiro Togliatti e in Giappone contro Kiura Tokuda. Furono ferocemente perseguitati i partiti comunisti in Portogallo e in Grecia. Gli elementi meno temprati, che erano entrati nei partiti comunisti durante la Resistenza o dopo la liberazione spinti dall’entusiasmo del momento, abbandonarono questi partiti e talvolta passarono nelle organizzazioni di destra. Nel 1947-49 la consistenza numerica dei partiti comunisti in Occidente risultò alquanto ridotta e diminuirono i voti ottenuti dai partiti comunisti. 175) I comunisti italiani, analizzando la linea politica seguita nel 1947-48 notavano che il passaggio del partito comunista all’opposizione non suscitò nelle file nessun segno di sbandamento o di scoraggiamento. Soltanto pochi membri del partito ebbero un’eccessiva paura delle conseguenze dovute all’esclusione dei comunisti del governo; alcuni compagni caddero nell’eccesso opposto ritenendo che fosse arrivato il momento di passare ad azioni di forza da parte delle masse. Questi errori furono tempestivamente riconosciuti, ma il partito nel suo complesso fu lento nell’esplicare la sua azione di opposizione e nell’organizzare interventi di tipo politico ed economico di massa che avrebbero potuto coinvolgere vasti strati popolari nella lotta contro la politica governativa. I partiti comunisti in ogni caso non si limitarono ad analizzare i problemi correnti e a definire obiettivi immediati ma decisero di riesaminare la loro linea strategica e di verificarla nelle nuove condizioni. A grandi linee questa nuova linea di lotta in difesa e per l’estensione della democrazia, per la creazione di ampi fronti delle forze democratiche intorno alla classe operaia, fu accettata da tutti i partiti comunisti del mondo capitalista.. 37 Contro l’attacco della reazione nei paesi dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa 176) Acc,XI,562-566 In America Latina il ruolo principale alla campagna anticomunista venne assegnato al “Patto di difesa dell’emisfero occidentale” imposto dagli USA ai paesi dell’America Latina (1947) e alla Organizzazione degli Stati americani (1948). Nel corso della IX conferenza interamericana di Bogotà, che diede veste formale a questa organizzazione, fu approvata la cosiddetta “Dichiarazione in difesa della democrazia” che divenne la carta dei partiti in lotta contro il movimento comunista. Nel 1947-49 ci furono in 11 paesi dell’America Latina colpi di Stato reazionari che portarono a regimi dittatoriali. Nell’aprile del 1947 i comunisti furono espulsi dal governo del Cile. Sedici dei venti paesi latino-americani, in una forma o nell’altra, erano dominati dalla reazione. In 14 paesi i partiti comunisti furono dichiarati illegali, di solito insieme con i sindacati. Molte organizzazioni sindacali in molti paesi furono sciolte... Entrando nella clandestinità i partiti comunisti conservarono la loro organizzazione, la propria stampa. I comunisti dell’America Latina analizzarono attentamente l’esperienza acquisita, cercarono di scoprire i punti deboli e di dare un quadro completo del rapporto e della dislocazione delle forze di classe. 177) L’ondata dell’offensiva anticomunista toccò anche i paesi dell’Asia e dell’Africa. Quelli del 1947-49 furono anni di notevole espansione della lotta di liberazione nazionale. Colpendo i partiti comunisti e i sindacati progressisti, i colonialisti e la reazione locale cercavano di frenare il corso della rivoluzione di liberazione e di rimandare la fine dei regimi coloniali. Attacchi ai partiti comunisti ci furono in quel periodo anche in India e a Ceylon. Nel Pakistan, in Birmania, nella Malaisia e nelle Filippine i partiti comunisti furono costretti alla clandestinità. 178) Repressioni di massa contro i comunisti, accompagnate da fucilazioni di decine di attivisti, ebbero luogo anche nell’Iran e nell’Iraq. Nello stesso tempo, in molti paesi (India, Pakistan, Ceylon), le destre provocarono scissioni nel movimento sindacale. Furono create organizzazioni sindacali che accettavano la collaborazione con i colonialisti e la borghesia locale. 179) Dal 1948 la campagna antisindacale si estese anche ai paesi dell’Africa. 180) In molti casi le repressioni anticomuniste furono favorite da manifestazioni di settarismi o da tendenze avventuristiche di ultrasinistra negli stessi partiti comunisti e nelle organizzazioni sindacali progressiste. Per esempio una certa parte dei comunisti dei paesi dell’Asia si schierò su posizioni di completo rifiuto nei confronti del ruolo e delle possibilità della borghesia nazionale nella lotta per l’emancipazione nazionale, con inviti a “sostituire il governo borghese con il governo del popolo”, parole d’ordine irreali rispetto alla situazione e al rapporto di forze esistente. 181) In Birmania, nella Malaisia e nelle Filippine, dove nel primo dopoguerra i partiti comunisti avevano conquistato importanti posizioni e avevano preso parte con successo ad ampi fronti popolari, nel 1948 i comunisti, non tenendo conto del rapporto di forze reale, ricorsero all’insurrezione armata. Morirono migliaia di rivoluzionari esperti e si indebolirono i legami tra i comunisti e le masse popolari. In Indonesia nell’agosto del 1948 il partito comunista lanciò la parole d’ordine del fronte nazionale unitario quale mezzo di lotta all’imperialismo. In settembre il partito si unificò con altri gruppi di sinistra e divenne il partito progressista più imponente del paese. Molto presto, però, la direzione del partito comunista si lasciò trascinare dalle provocazioni (più volte le forze reazionarie avevano tentato di portarlo a compiere gesti non meditati) e alla lotta armata che inflisse al partito notevoli perdite. Nel 1947-49 il movimento comunista e democratico in Asia e in Africa subì una serie di pesanti sconfitte. Alla fine di questo periodo però ci furono segni di una nuova ripresa e di un nuovo slancio nella lotta. 182) I partiti comunisti trassero i dovuti insegnamenti da quanto era accaduto e si accinsero a elaborare una nuova strategia politica, più efficace. L’elemento più importante fu indiscutibilmente quello che le repressioni della reazione non riuscirono a fermare la lotta di liberazione nazionale dei popoli. Questa lotta continuò e si estese. SCHEDA: La ricostruzione del sindacalismo italiano dal dopoguerra agli anni '50 183) Woolf/Beccalli,338...Nel Nord la lunga lotta antitedesca fece maturare un movimento di massa radicale e una leadership operaia molto politicizzata. Alla Liberazione, il movimento operaio esisteva già nella realtà prima che venga definita formalmente come nuova organizzazione sindacale. Nel Sud, invece, ci si trovò prima che nel Nord in una situazione da «dopo-guerra», senza essere 38 passati attraverso una esperienza diretta di lotta contro il fascismo, senza la politicizzazione delle masse lavoratrici del Nord. 184) Woolf/Beccalli,339-341 Al Nord,già alla fine del ‘42 e nella prima metà del ‘43 i nuclei di operai militanti antifascisti, diventano i centri organizzatori di una serie di agitazioni...La dinamica era la seguente. Un nucleo ristretto di operai militanti preparava l’agitazione con un lavoro di propaganda clandestina, aiutato o diretto da responsabili dei partiti antifascisti esterni alla fabbrica . Gli scioperi in genere avvenivano a partire dall’interno della fabbrica, in momenti prestabiliti in cui l’esempio fisico di coloro che per primi smettevano di lavorare aveva un ruolo cruciale: erano subito individuati ed andavano incontro ai più grandi rischi personali: furono molti i casi di chi, avendo dato inizio ad uno sciopero al mattino, fu arrestato nel corso della notte seguente; tra questi, pochi sono poi tornati alle loro case. 185) Woolf/Beccalli,342-345 Entro la metà del ‘44 molte difficoltà vennero risolte mantenendo una stretta unità tra lotta rivendicativa e lotta politica, e investendone l’azione di fabbrica. Lo sciopero «rivendicativo-politico» che bloccò l’intera Italia del Nord nel marzo del ‘44 e fu il più grande movimento di massa nei paesi occupati dai tedeschi, mostrava una rilevanza degli obiettivi politici maggiore che in passato. Parallelamente, nelle grandi fabbriche nel corso del ‘44, si formarono i Comitati di agitazione, organismi insieme sindacali e politici. Negli ultimi mesi della lotta di Resistenza si creò anche, in alcuni importanti centri industriali, una stretta integrazione tra l’organizzazione operaia di fabbrica ed altre organizzazioni della Resistenza, come i nuclei di guerriglia urbana, che si appoggiarono spesso all’organizzazione operaia di fabbrica. Le fabbriche divennero così un luogo fisico sempre più centrale della lotta politica antifascista e antitedesca (azioni di sabotaggio; difesa delle fabbriche dai tedeschi per non farle trasferire in Germania,ecc). In questa fase più «politica» del movimento di Liberazione nelle fabbriche, le strutture organizzative furono i Comitati di liberazione nazionale, costituiti in tutte le fabbriche di un certo rilievo. 186) Woolf/Beccalli,347-350 Dopo la Liberazione inizia la costruzione formale della nuova organizzazione sindacale. Si compie in pochi mesi e si presenta come una struttura molto centralizzata, in cui si intrecciano l'organizzazione di tipo «verticale» con al vertice il sindacato nazionale di categoria, e l'organizzazione di tipo «orizzontale» che ha al vertice la confederazione, che raggruppa tutti i sindacati di categoria, e alla base le Camere del Lavoro in ogni provincia...Vi è predominanza dell' iniziativa dall'alto e di partito e dell'organizzazione territoriale [in sintonia:Barca,pag.36] Woolf/Beccalli,352-356 Il Partito comunista è in questo momento il pilastro dell’intera struttura sindacale: è il principale, quasi esclusivo interprete delle aspettative di profondo cambiamento sociale diffuse tra le masse. Ad esso viene data una quasi incondizionata delega per decidere come e quando il nuovo ordine si dovrà sostituire a quello vecchio. La dipendenza del sindacato dal partito ha soprattutto una influenza moderatrice sulla politica sindacale...il Pci non mancava occasione per ricordare la sua disponibilità ad un’opera di ricostruzione nazionale che si svolgesse nell’ambito di un’economia di mercato. La dipendenza comportava anche l’appoggio diretto o indiretto del sindacato all’azione parlamentare o governativa del partito, cioè un condizionamento rispetto ai tempi, alla logica di sviluppo dell’azione sindacale. Di fronte ad una forza lavoro molto eterogenea, la scelta del sindacato è quella di privilegiare gli interessi degli strati più bassi dei lavoratori; di porsi non come il rappresentante degli strati più forti della forza lavoro (gli operai delle grandi fabbriche del Nord, il nerbo dell’organizzazione sindacale), ma come il rappresentante degli interessi generali, «universali», di tutti i lavoratori; di porsi dunque come un sindacato «di classe» non come un sindacato corporativo, per una difesa generale dei lavoratori, attorno a due obiettivi fondamentali: l’occupazione e il potere d’acquisto del salario. Il blocco dei licenziamenti non si sviluppò in una politica generale e fu abbandonato dalla Cgil già all’inizio deI ‘46....L’accordo sulla scala mobile, stipulato già un anno dopo la Liberazione, garantiva aumenti automatici dei salari, in rapporto al costo della vita. Durante l’inverno ‘46-47 i prezzi aumentarono vertiginosamente;il meccanismo della scala mobile copriva solo una parte di questi aumenti le condizioni dei lavoratori subirono complessivamente un notevole peggioramento. Woolf/Beccalli,357-368 Dunque politica del partito e logica del sindacato «di classe» concorrono verso una moderazione della lotta e dell’organizzazione operaia in fabbrica. La politica organizzativa del sindacato è strettamente legata alla sua politica rivendicativa. Vengono potenziate le strutture organizzative centrali, quelle confederali, mentre viene dato scarso impulso a quelle di categoria; tra le strutture locali, vengono potenziate le Camere del Lavoro -i 39 sindacati di categoria a livello locale sono praticamente inesistenti- rispetto alle Commissioni interne che non si cerca di valorizzare. L'appoggio del Partito comunista ed in parte del sindacato, va ai Consigli di gestione, costituiti da delegati dei partiti antifascisti presenti nella fabbrica in rappresentanza dei lavoratori, ed in termini paritetici da una rappresentanza dei datori di lavoro. Di fatto, il Cdg fu spesso uno degli strumenti mediante il quale passò -a livello di fabbrica- la politica di «ricostruzione» del Pci e fu usato per stimolare, per i primi due anni del dopoguerra, i ritmi di lavoro, la disciplina e la produzione. Solo quando il Pci fu estromesso dal governo i Cdg furono usati come un' arma per criticare la politica aziendale. I Cdg scomparirono progressivamente verso i il 1950. Nelle grandi fabbriche del Nord, dove i lavoratori erano più forti, era massima la delega al partito, perché erano massime le aspettative politiche. Proprio alla Breda di Milano, ed in alcune simili roccaforti «rosse», si formarono «squadre Stachanov» per la ricostruzione: spingeva la convinzione di lavorare non per il padrone, ma per se stessi; la speranza, di una rivoluzione prossima. Il delicato equilibrio comincia a saltare verso il '48, quando cominciano a venir meno queste aspettative e questa delega. 187) Woolf/Beccalli,369-371 Il clima politico e sociale era andato rapidamente mutando nel corso del 1947, rispecchiando fedelmente la situazione internazionale. Tre episodi acquistano particolare rilievo: le elezioni politiche (18 aprile), l’attentato a Togliatti (14 luglio) ) [V.par.134], e le scissioni nella Cgil, soprattutto quella che portò alla costituzione di un sindacato cattolico (estate 1948). Woolf/Beccalli,371-373 Il deterioramento nei rapporti tra l’Unione Sovietica e i suoi alleati nella guerra antifascista, e l’inizio della «guerra fredda» imponevano, già dal ‘47, una analoga divisione di campo all’interno di ognuno dei paesi del blocco occidentale in cui fosse presente un Partito comunista. I mezzi usati sono tutti quelli disponibili: dagli equilibri governativi di destra (Scelba, ecc), all’uso delle istituzioni (magistratura) e delle forze repressive dello Stato (polizia)... Nel ‘48 comincia una divisione nel movimento operaio che si approfondirà lungo tutti gli anni cinquanta: da una parte, un' avanguardia «comunista »; dall’altra, una massa relativamente passiva 188) Woolf/Beccalli,373-379 La «frustata» deflazionistica di Einaudi inevitabilmente si scaricò sulle spalle degli operai: caduta degli investimenti e dei consumi e quindi dell’occupazione. A partire dal ‘48, dopo più di due anni di incertezza, gli imprenditori ritrovavano una completa libertà nelle politiche del lavoro. Il tipo di sviluppo economico che si stava avviando li poneva in condizioni di crescente potere contrattuale; e le scissioni sindacali gli offrivano ampie possibilità di manovra. Di questa libertà e di questa forza i padroni profittano per colpire a fondo l’organizzazione comunista di base, e per favorire le organizzazioni sindacali concorrenti. La loro crescita dipende dal favore con cui venivano trattate dai padroni. 189) Vi è l’attacco all’occupazione concentrato sulle fabbriche v toccate dal problema della riconversione industriale postbellica, che sono anche le roccaforti rosse (la Breda, le Reggiane, ecc.). Vi è l’attacco diretto al potere operaio, non coperto dalle esigenze della ristrutturazione: vengono tolti ad uno ad uno i diritti di fatto acquisiti dagli operai in fabbrica (la «agibilità politica», le tutele dei membri di Commissione interne e dei Commissari di reparto, ecc.), vengono fatti licenziamenti discriminanti di militanti sindacali, prima individuali poi di massa. Negli anni cinquanta, vi è l’attacco indiretto con la creazione di zone aziendali di privilegio, per diretta concessione padronale, poi attraverso il gioco compiacente dei sindacati «gialli» o dei sindacati nazionali di destra. Gli anni tra il ‘48 e il ‘53 sono anni di lotta durissima. 190) Il Pci continua a dichiarare la sua «vocazione nazionale », a farsi portatore delle esigenze di una ricostruzione economica e politica che avvantaggi tutti gli italiani, e, più concretamente, a tentare inserimenti e a proporre collaborazioni con tutte le forze emerse dalla Resistenza, mentre contemporaneamente la Cgil viene utilizzata per mobilitare i lavoratori in appoggio diretto alla politica internazionale e nazionale del partito: gli scioperi politici su temi internazionali rimangono tuttora nella memoria dei lavoratori più anziani come episodi significativi della strategia sindacale di quel momento. D’altra parte, la Cgil è anche il principale cavallo di battaglia del partito per vincere l’isolamento in cui lo vuole confinare la «crociata» delle forze politiche borghesi: è attraverso il sindacato che il partito propone il suo modello di sviluppo economico, che offre in collaborazione del movimento operaio nel suo complesso. Così nel «Piano del Lavoro» (Genova, ottobre 1949), Di Vittorio impegnava la Cgil e gli operai ad un comportamento di collaborazione in cambio di decisi interventi di politica economica che aumentassero l’occupazione (mediante ingenti investimenti, soprattutto nell’edilizia residenziale e nei lavori pubblici). La proposta però cadde nel vuoto: i rapporti di forza non erano favorevoli. In questo periodo è 40 ancora più frequente I'arresto delle lotte di fabbrica perché non disturbino svolgimenti a livelli rivendicativi o politici più generali, così come la prassi di far confluire le rivendicazioni aziendali delle situazioni più avanzate in movimenti rivendicativi a livello nazionale... 191) Woolf/Beccalli,380-381 Avviene una trasformazione, accelerata anche dalle trasformazioni nella composizione della manodopera stimolate dal progresso tecnico e dal ricambio delle generazioni, e aiutata dalla eliminazione dei militanti comunisti: alle elezioni della Commissione interna nella Fiat di Torino, nel 1954, si verifica una fortissima riduzione dei rappresentanti della CgiI. Risultati analoghi anche se non così clamorosi, si ebbero in numerose altre fabbriche... gli scioperi cominciavano a fallire... Il saggio di incremento dei salari industriali fu -per tutti gli anni cinquanta- mediamente inferiore al saggio di incremento della produttività del lavoro. A livello nazionale gli accordi furono sia pochi sia ottennero risultati modesti, sia esclusero in molti casi importanti- la Cgil e furono stipulati dai datori di lavoro soltanto cogli altri sindacati;; a livello aziendale gli accordi di questo periodo sono concessi dalle aziende, più che imposti dai lavoratori, e conclusi soltanto con i sindacati non comunisti, o «gialli». 192) Woolf/Beccalli,384-388 Il sindacato nell’Italia postfascista sorge come parte di un processo politico rivoluzionario, controllato da un’organizzazione centrale che cerca di incanalarlo entro i vincoli delle relazioni industriali di un’economia capitalistica. Quando le regole del gioco si sono sufficientemente consolidate, i rappresentanti del movimento operaio non solo si trovano esclusi da ogni partecipazione al potere, ma l’intero movimento è oggetto di una lotta senza quartiere da parte delle forze politiche dominanti: il tutto in presenza, per un lungo periodo, di un’ampia disoccupazione. Il sindacato in questi anni è altamente politicizzato: da una parte vi è uno stretto rapporto col Partito comunista, dall’altra è presente nell’azione sindacale stessa una forte componente «solidaristica» (il sindacato «di classe»)...Sorgono tensioni tra l’organizzazione sindacale «di classe» e gli strati più forti della forza lavoro, relativamente sacrificati. Si aprono gli spazi per un sindacalismo più «strumentale», rivolto a benefici immediati per una base circoscritta, che il sindacato cattolico cercava di stimolare ed utilizzare. 193) Dato il tipo di sviluppo dell’economia italiana avviatasi nel dopoguerra, il potere contrattuale dei lavoratori sarebbe stato oggettivamente indebolito dalla situazione del mercato del lavoro. Inoltre, qualsiasi fosse stata la politica sindacale, l’attacco padronale sarebbe stato durissimo, poiché in quegli anni ciò che i padroni volevano colpire erano i comunisti come i nemici principali in uno scontro di classe generale, anche indipendentemente dalle loro convenienze economiche immediate. Una maggiore autonomia rispetto ai condizionamenti della politica del Partito comunista; una maggiore attenzione per l’azione rivendicativa a livello di fabbrica avrebbero consentito a mio avviso di ridurre l’entità della sconfitta e soprattutto di non colpire così profondamente il rapporto tra lavoratori e sindacato. SCHEDA: La guerra fredda [In definitiva gli USA avevano buoni motivi per mantenere un clima di guerra: 1)assicurare la produzione delle industrie di guerra, la cui drastica riduzione avrebbe prodotto serie conseguenze economico-sociali e si sarebbe scontrata con il fortissimo blocco militare/industriale; 2)assumere il ruolo di "gendarme del mondo" con il conseguente consenso dell'Europa (e dell'Inghilterra) a passar loro la leadership mondiale; 3)consolidare questo ruolo mediante l'intervento dovunque si presentasse la "minaccia del comunismo"; 4)avviare -specialmente in Europa- il processo che avrebbe voltato pagina rispetto alla lotta al nazifascismo che assicurava un' enorme prestigio all'URSS, e ai partiti comunisti; anche assicurando, nell'immediato, un certo benessere a popolazioni altrimenti pericolosamente disperate] 194) HOBSBAWM,267 L’economia di guerra procura comode posizioni di privilegio a decine di centinaia di burocrati dentro e fuori l’apparato militare, i quali vanno in ufficio tutti i giorni per costruire armi nucleari o pianificare la guerra atomica. Inoltre ci sono milioni di operai il cui lavoro dipende dal sistema del terrore nucleare, nonché scienziati e ingegneri il cui compito è escogitare quell’invenzione tecnologica decisiva che possa condurre alla sicurezza totale. Non dimentichiamo infine le ditte appaltatrici dell’amministrazione militare e statale, le quali non vogliono rinunciare a facili profitti, né gli intellettuali guerrieri che vendono minacce e benedicono le guerre. 195) Acc.XI,202-225 L’interesse dei fabbricanti di armi e dei militari di professione al sussistere di una congiuntura conflittuale permanente fu alla base della formazione, nel 41 dopoguerra, dei gruppi militare-statale-monopolistici o, come vennero chiamati più tardi, del “complesso militare-industriale”. Nel gennaio del 1944 il presidente della “General Electric”, Charles Wilson propose una linea economica bellica che potesse funzionare anche in tempo di pace e di “mettere in moto la macchina” tempestivamente, mentre la guerra era ancora in corso. 196) Poco tempo James Forrestal, presidente della “Dillon Reed Company” e futuro ministro della difesa di Truman, creava l’Associazione industriale per la sicurezza nazionale, un’associazione segreta tra i monopoli militari che si proponeva di far sì che “il mondo degli affari rimanesse in stretto collegamento con l’esercito”. Questa associazione segreta tra i rappresentanti dei monopoli e i militari si accinse a operare perché anche dopo la guerra si continuasse nella corsa agli armamenti diretta contro il nuovo nemico: l’URSS, le forze socialiste, popolari e democratiche, nonché le forze di liberazione nazionale in tutto il mondo. 197) Franklin Delano Roosevelt, morì il 12 aprile 1945. Poche settimane dopo l’insediamento di Truman il posto di procuratore generale fu occupato da Tom Clark che godeva dell’appoggio del “blocco texano” nel Congresso. [in qualche modo il "blocco texano" dura ancora oggi -V. il governo di petrolieri e fabbricanti di armi; i piani del PNAC; la Condoleeza Rice della Exxon/Texaco in "La crisi 2",pag.39]. Il “trust di cervelli” di Roosevelt fu sostituito dalla “cricca del Missouri” di Truman: il “governo degli amici”. Giunti al potere grazie alla loro fedeltà personale a Truman e non per le loro capacità, alcuni di essi pensarono che la nuova posizione conferisse loro il diritto alla completa libertà d’azione e alla completa impunità. 198) Nei circoli dirigenti USA predominava il convincimento che in seguito alle pesanti perdite in mezzi e vite umane l’Unione Sovietica non sarebbe stata in grado di resistere alla pressione americana. Questi calcoli erano suffragati dal monopolio dell’arma atomica. 199) Il 19 novembre 1945 il presidente dichiarava ai giornalisti che, nel caso di una corsa agli armamenti, gli USA sarebbero “sempre stati avanti”. Nel dicembre del 1945 ripeteva lo stesso concetto in forma diversa: “Lo vogliamo o non lo vogliamo, dobbiamo riconoscere che la vittoria ha affidato al popolo americano il peso della responsabilità della guida del mondo”. 200) Possenti forze interne ed esterne crearono un sensibile ostacolo alla corsa verso l’egemonia mondiale. Subito dopo la fine della guerra si estese negli Stati Uniti il movimento che aveva lanciato la parola d’ordine “Lasciate tornare a casa i nostri figli”. Il movimento costrinse il governo e i vertici militari a smobilitare le forze armate. Secondo una inchiesta demoscopica del settembre del 1945, il 54 per cento degli americani si esprimeva a favore della collaborazione con l’URSS e soltanto il 30 per cento era contrario. Perciò nella conferenza del dicembre 1945 a Mosca, convocata su iniziativa del governo sovietico, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna firmarono insieme con l’URSS accordi di notevole rilievo -definiti di “pacificazione” con l’URSS- che non coincidevano con i piani dei circoli statunitensi che predicavano la “linea dura”. 201) I programmi espansionisti degli Stati Uniti si scontrarono anche con ostacoli esterni. Molti paesi chiesero e in parte ottennero che venissero smantellate le basi americane. 202) La “dottrina Truman” fu diffusa con tutte le regole della guerra psicologica. Il 12 marzo 1947, il presidente chiese provvedimenti immediati e risoluti per “impedire l’estensione del comunismo nel Medio Oriente”. In particolare, chiese 400 milioni di dollari per dare “aiuto” economico e militare alla Grecia e alla Turchia e che vi fossero inviate speciali missioni americane. Nell’aprile del 1948 gli USA spesero in Grecia e in Turchia 337 milioni di dollari, per la maggior parte a scopi militari. La “dottrina Truman” non si limitava a provvedimenti concreti; politicamente significava che gli USA si erano assunti il compito di gendarme del mondo al fine di conservare gli ordinamenti sociali e statali che facevano loro comodo. Il passo successivo nell’attuazione pratica della politica del “contenimento” fu il “piano Marshall”. L’amministrazione Truman aveva ereditato dalla precedente amministrazione la tesi della “priorità dell’Europa” , ritenuta particolarmente importante per entrare in concorrenza con l’URSS. La conseguenza pratica di questi calcoli fu la politica di “stabilizzazione” dell’Europa che per gli Stati Uniti significava restaurazione degli ordinamenti prebellici e blocco di ogni trasformazione radicale. [V.par.162,ss.] 42 203) HOBSBAWM,268-272 La peculiarità della Guerra fredda fu che, a voler essere obiettivi, non esisteva alcun pericolo imminente di guerra mondiale. L’URSS controllava o esercitava un’influenza preponderante nella zona occupata dall’Armata rossa e/o da altre forze militari comuniste alla fine della guerra e non cercò di estendere ulteriormente con la forza militare la propria sfera d’influenza. Gli USA controllavano e dominavano il resto del mondo capitalista come pure l’emisfero occidentale e gli oceani, subentrando a ciò che restava della vecchia egemonia imperiale delle ex potenze coloniali [V.par.1]. Non intervenivano nella zona di egemonia sovietica, da essi riconosciuta e accettata. 204) In Europa le linee di demarcazione erano state tracciate nel 1943-45, sia in seguito agli accordi presi nei vari incontri di vertice tra Roosevelt, Churchill e Stalin, sia in virtù del fatto che solo l’Armata rossa poteva effettivamente sconfiggere la Germania. Situazioni mal definite furono risolte con la spartizione della Germania e con il ritiro di tutti gli ex belligeranti dell’Austria. L’URSS non accettò facilmente la presenza di Berlino ovest, che rappresentava una enclave occidentale dentro il territorio della Germania dell’Est, ma non si dimostrò disposta a combattere per cancellarla. In Giappone gli USA sin dall’inizio stabilirono un’occupazione totalmente unilaterale che escludeva non solo l’URSS ma ogni altro alleato. La maggior parte dei nuovi stati post-coloniali «Terzo mondo», benché non nutrissero simpatie per gli USA e i loro alleati, non erano comunisti, anzi in politica interna erano per lo più anticomunisti, mentre in politica internazionale si dichiaravano «non allineati» (cioè non appartenenti al blocco militare sovietico). 205) In breve, lo schieramento comunista non diede segni di espansione significativa nel periodo che va dalla rivoluzione cinese (1949) agli anni ‘70, (quando ormai) la Cina comunista ormai era uscita dal blocco degli alleati dell’URSS. Alla metà degli anni ‘70, quando il sistema internazionale e le sue componenti entrarono in un altro periodo di prolungata crisi economica e politica, entrambe le superpotenze accettarono la divisione del mondo, pur con le sue irregolarità, e fecero ogni sforzo per comporre le dispute circa le linee di demarcazione, senza pervenire a uno scontro aperto tra le loro forze armate, che avrebbe potuto portare a una guerra. Così, ad esempio, durante la guerra di Corea del 1950-53, nella quale gli americani ma non i russi erano ufficialmente coinvolti, Washington sapeva perfettamente che circa 150 aeroplani cinesi erano in realtà aeroplani sovietici guidati da piloti sovietici. L’informazione fu tenuta nascosta. Durante la crisi di Cuba del 1962, come ora ben sappiamo, la preoccupazione principale di ambo le parti fu di impedire che i gesti di ostilità fossero fraintesi come passi effettivi verso la guerra. 206) HOBSBAWM,272-280 Probabilmente il periodo più esplosivo fu quello tra l’enunciazione formale della «dottrina Truman» nel marzo del 1947 e l’aprile del 1951, quando lo stesso presidente Truman rimosse dall’incarico il generale Douglas MacArthur, comandante delle forze americane nella guerra di Corea (1950-53), perché aveva spinto troppo innanzi la propria ambizione militare. Per converso, l’URSS si trovava a dover fronteggiare una potenza come gli USA che godeva del monopolio delle armi nucleari e che moltiplicava le proprie dichiarazioni minacciose e combattive di anticomunismo, proprio mentre nella solidità del blocco sovietico comparivano le prime crepe con il distacco da parte della Jugoslavia di Tito (1948). 207) Dopo che l’URSS acquisì le armi nucleari -quattro anni dopo Hiroshima per quanto riguarda la bomba atomica (1949) e con nove mesi di ritardo sugli USA per quanto riguarda la bomba all’idrogeno (1953) - entrambe le superpotenze abbandonarono la guerra come strumento di lotta politica, dal momento che essa sarebbe stata l’equivalente di un patto suicida. Entrambe le superpotenze fecero però ricorso alla minaccia nucleare, quasi certamente senza l’intenzione di metterla in atto. La crisi dei missili a Cuba nel 1962 fu uno sterile esercizio di questo tipo, che per qualche giorno rischiò di far precipitare il mondo in una inutile guerra. 208) In primo luogo la Guerra fredda si basava sulla convinzione occidentale che il futuro del capitalismo mondiale e della società liberale era tutt’altro che sicuro. La maggioranza degli osservatori si aspettava una grave crisi economica postbellica, perfino negli USA, in analogia con quanto era successo dopo la prima guerra mondiale...Infatti i programmi postbellici del governo americano erano rivolti assai più a impedire concretamente un’altra Grande crisi che a prevenire un’altra guerra. Washington si aspettava «grandi sconvolgimenti postbellici», che avrebbero minato «la stabilità sociale, politica ed economica del mondo», perché i paesi belligeranti, con l’eccezione degli USA, erano un cumulo di macerie ed erano abitati da popoli che, agli americani, apparivano affamati, disperati e radicalizzati, pronti soltanto ad ascoltare l’appello alla rivoluzione sociale. Inoltre, il sistema internazionale precedente alla guerra era crollato e gli USA erano rimasti da soli a fronteggiare in gran parte d’Europa e in ancor più vaste regioni degli altri continenti un paese comunista 43 enormemente rafforzato come l’URSS. Immediatamente dopo la guerra, la situazione in molti paesi liberati e occupati sembrava sfavorevole ai moderati, i quali potevano contare solo sul sostegno degli alleati occidentali mentre erano assediati fuori e dentro i loro governi dai comunisti, i quali erano emersi dovunque dalla guerra molto più forti che in passato, talvolta diventando i primi partiti dei loro paesi. 209) Non è sorprendente che l’alleanza del tempo di guerra dovesse rompersi, ma si poteva ragionevolmente prevedere, perfino nel 1945-47, che l’URSS non era espansionista e ancor meno aveva intenzioni aggressive. Infatti, dove Mosca controllava regimi satelliti e movimenti comunisti, questi erano specificamente tenuti a non edificare stati sul modello dell’URSS, bensì stati con economia mista in regime di democrazia parlamentare multipartitica, che venivano distinti con precisione dalla «dittatura del proletariato» e ancor più dalla dittatura di un singolo partito. Nei documenti interni dei partiti comunisti queste forme dittatoriali venivano descritte come «né utili né necessarie» (Spriano, 1983, p. 265). (I soli regimi comunisti che si rifiutarono di seguire questa linea furono quelli le cui rivoluzioni, attivamente scoraggiate da Stalin, sfuggirono al controllo moscovita, come ad esempio in Jugoslavia). Inoltre, sebbene questo aspetto non sia stato molto considerato, l’Unione Sovietica smobilitò le sue truppe quasi altrettanto rapidamente degli USA, riducendo l’Armata rossa da un massimo di quasi dodici milioni, che fu toccato nel 1945, a tre milioni verso la fine del 1948. 210) Qualunque valutazione razionale avrebbe dovuto concludere che l’URSS non costituiva un pericolo immediato per alcuno al di fuori della sfera d’occupazione delle forze dell’Armata rossa. Il paese usciva in rovine dalla guerra, stremato ed esausto, con l’economia del tempo di pace a pezzi [V.par.24], inoltre, sul versante occidentale dell’URSS persistettero per alcuni anni le difficoltà del governo centrale nel trattare con gli ucraini e con altri movimenti di guerriglia nazionalistica. Il paese necessitava di tutto l’aiuto economico che avrebbe potuto ottenere e, perciò, non aveva interesse nel breve periodo a contrastare l’unica potenza che poteva concederglielo, gli USA. Senza dubbio Stalin, in quanto comunista, credeva che il capitalismo sarebbe stato inevitabilmente sostituito dal comunismo e, sotto questo profilo, nessuna coesistenza dei due sistemi sarebbe stata permanente. I dirigenti sovietici non consideravano però in crisi il capitalismo alla fine della seconda guerra mondiale. Essi non dubitavano che il capitalismo sarebbe vissuto ancora a lungo sotto l’egemonia degli USA, la cui ricchezza e potenza enormemente accresciute erano sin troppo palesi. Questo era dunque ciò che l’URSS sospettava e temeva. Il suo atteggiamento fondamentale dopo la guerra non era aggressivo, ma difensivo. (I sovietici sarebbero stati ancor più sospettosi se avessero saputo che lo stato maggiore americano aveva elaborato un piano per bombardare con armi nucleari le venti più grandi città sovietiche entro dieci settimane dalla fine della guerra). 211) Tuttavia una politica di scontro tra le due parti scaturì dalla loro situazione reciproca. L’URSS, consapevole della precarietà e insicurezza della sua posizione, si trovava di fronte alla potenza mondiale degli USA consapevoli a loro volta della precarietà e insicurezza dell’Europa centrale e occidentale e dell’incerto futuro della maggior parte dell’Asia... In breve, mentre gli USA erano preoccupati del pericolo di una possibile futura supremazia mondiale dell’Unione Sovietica, Mosca era preoccupata per la già presente egemonia americana su tutte le regioni del pianeta non occupate dall’Armata rossa...Dal punto di vista sovietico l’intransigenza era la tattica più logica e si doveva adottarla senza curarsi del fatto che gli USA interpretassero la posizione moscovita come un bluff. 212) Tra i due contendenti era proprio la democrazia americana la più pericolosa. Un nemico esterno che minacciava gli USA era utile per i governi americani. L’isteria collettiva anticomunista rendeva più facile per l’amministrazione presidenziale reperire le grandi somme di denaro richieste dalla politica americana, ricavandole da una cittadinanza come quella americana notoriamente refrattaria a pagare le tasse. La richiesta schizoide, avanzata da politici assai sensibili agli umori dell’elettorato, di una linea politica che respingesse l’ondata dell’«aggressione comunista», senza troppo dispendio di denaro e senza interferire troppo nel confortevole tenore di vita americano, costrinse Washington, e con esso il resto degli alleati, non solo a adottare una strategia essenzialmente nucleare basata sulle bombe più che sugli uomini, ma anche una strategia minacciosa di «rappresaglia massiccia», annunciata nel 1954...In breve, gli USA si trovarono costretti ad assumere una posizione aggressiva, con la minima flessibilità tattica. 213) Entrambi gli schieramenti si trovarono perciò impegnati in una folle corsa per accumulare armi di distruzione reciproca e si consegnarono ai voleri di ciò che il presidente 44 Eisenhower -un militare moderato della vecchia scuola, che si trovò a presiedere gli Stati Uniti negli anni di questa discesa verso la follia senza peraltro rimanerne infetto- definì all’atto del suo ritiro il «complesso militarindustriale», cioè l’apparato sempre più grande di uomini e di risorse che esistevano solo per preparare la guerra. Si trattava del più largo blocco di interessi costituiti che si fosse mai visto prima in tempi di pace stabile tra le potenze. Entrambi i complessi militar-industriali erano incoraggiati dai rispettivi governi a far uso di tutte le loro abnormi capacità per attirare e armare alleati e clienti e, per conquistare mercati d’esportazione remunerativi, mantenendo però per se stessi le armi più sofisticate e moderne e, ovviamente, l’arsenale nucleare. 214) Le superpotenze conservarono il monopolio nucleare. Gli inglesi acquisirono le proprie bombe nucleari nel 1952, con lo scopo (su cui si potrebbe ironizzare) di attenuare la propria dipendenza dagli USA; i francesi (il cui arsenale nucleare era effettivamente indipendente da quello americano) e i cinesi le acquisirono negli anni ‘60. Nel corso degli anni ‘70 e ‘80 alcuni altri paesi acquisirono la capacità di costruire armi nucleari:Israele, il Sud Africa e probabilmente l’India, ma non diventò un serio problema internazionale fino al termine dell’ordine mondiale bipolare nel 1989. 215) Il tono apocalittico della Guerra fredda proveniva dall’America. In gioco non era la minaccia ipotetica di un dominio comunista mondiale, ma il mantenimento della supremazia statunitense. («Noi forgeremo la nostra forza e torneremo a essere i primi. Non i primi, se...Non i primi, ma...I primi, punto e basta. Voglio che il mondo si chieda non che cosa sta facendo il signor Chruscèv, ma che cosa stanno facendo gli Stati Uniti.» - J.F.Kennedy) I paesi aderenti alla NATO, benché tutt’altro che soddisfatti della politica americana, erano pronti ad accettare la supremazia americana come prezzo per la protezione contro la potenza militare dell’URSS. 216) Le armi nucleari non vennero usate. Né in Corea nel 1950; né in Vietnam; né in Afghanistan da cui L’URSS si ritirò nel 1988. La costante minaccia di guerra produsse movimenti pacifisti internazionali, rivolti essenzialmente contro le armi nucleari, che di tanto in tanto divennero movimenti di massa in varie regioni d’Europa e che dai crociati della Guerra fredda vennero considerati come armi segrete dei comunisti. 217) La Guerra fredda polarizzò in due campi nettamente divisi il mondo controllato dalle superpotenze. I governi di unità nazionale antifascista, che avevano guidato quasi tutti i paesi europei fuori della guerra si divisero dando origine nel 1947-48 a regimi omogenei filocomunisti o anticomunisti. Gli USA pianificarono un intervento militare nel caso i comunisti avessero vinto le elezioni del 1948 in Italia. L’URSS fece altrettanto, eliminando i non comunisti dalle «democrazie popolari» multipartitiche. Un’Internazionale comunista curiosamente ristretta ed eurocentrica (il Cominform o Ufficio di informazione dei partiti comunisti) fu istituita per contrastare gli USA, ma si sciolse tranquillamente nel 1956, quando la temperatura internazionale si raffreddò. 218) In Italia gli USA consegnarono il paese in mano ai democratici cristiani, sostenuti a seconda delle occasioni dai liberali, dai repubblicani, etc. Dall’inizio degli anni ‘60 il partito socialista si aggregò alla coalizione governativa. In entrambi i paesi, i comunisti (in Giappone i socialisti) furono stabilmente il più importante partito di opposizione e si insediò un regime governativo di corruzione istituzionale che, quando esso venne finalmente alla luce nel 1992-93, lasciò di stucco perfino gli italiani e i giapponesi. Sia il governo sia l’opposizione, entrambi congelati in un sistema immobile, crollarono con la fine dell’equilibrio tra le superpotenze che li aveva tenuti in piedi. 219) L’effetto della Guerra fredda sulla politica internazionale dell’Europa evidente. Sia dagli USA sia contro di essi fu infatti creata la Comunità europea: una forma di integrazione economica e in parte giuridica di un certo numero di stati nazionali indipendenti.. Non c’era solo la paura dell’URSS. Per la Francia il pericolo principale restava la Germania, timore condiviso in misura minore dagli altri stati europei i quali tutti si ritrovarono con una Germania economicamente risorta e riarmata, ma fortunatamente troncata in due pezzi. Naturalmente si temevano anche gli USA, alleati indispensabili contro l’URSS, ma inaffidabili e sempre pronti ad anteporre gli interessi della supremazia mondiale americana a ogni altra cosa. 220) Nel giugno 1947, fu lanciato il Piano Marshall per imporre agli stati europei la creazione di un’unica Europa modellata sugli USA, per quanto riguardava sia la struttura politica sia una prospera economia di libera impresa. Un’idea simile non piaceva né agli inglesi, che si consideravano ancora una potenza mondiale, né ai francesi, che sognavano una Francia forte e una Germania debole e divisa. Per gli americani, però, un’Europa efficacemente ricostruita doveva realisticamente fondarsi su una forte economia tedesca e sul riarmo 45 della Germania. I francesi poterono soltanto intrecciare così strettamente gli interessi francesi e quelli tedesco-occidentali da rendere impossibile il sorgere di un nuovo conflitto: proposero la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1950), che si sviluppò nella Comunità economica europea o Mercato comune europeo (1957), più tardi semplicemente designata come Comunità europea e, dal 1993, come Unione europea. I suoi quartieri generali erano a Bruxelles, ma il suo vero nucleo risiedeva nell’unità franco-tedesca. La Comunità europea fu stabilita come un ‘alternativa al piano americano di integrazione europea. 221) Col prolungarsi della Guerra fredda, si manifestò una divaricazione crescente tra lo schiacciante predominio militare, e perciò politico, di Washington all’interno dell’alleanza e il graduale indebolirsi del predominio economico americano. I dollari, così scarsi nel 1947, erano usciti dagli USA con un flusso crescente, accelerato, specialmente negli anni ‘60, per finanziare i costi enormi delle attività militari mondiali, in particolare della guerra del Vietnam (dopo il 1965), come pure per finanziare il più ambizioso programma di stato assistenziale della storia degli Stati Uniti. Il dollaro in teoria era garantito dall’oro di Fort Knox, dove erano incamerati quasi i tre quarti delle riserve auree mondiali, ma in pratica si traduceva sempre di più in un flusso di cartamoneta e di partite di giro. Per la maggior parte degli anni ‘60 la stabilità del dollaro si basò sulla disponibilità delle banche centrali dei paesi europei -dietro pressione degli USA- a non richiedere l’incasso in oro dei loro dollari e ad associarsi in un «Consorzio aureo» per stabilizzare il prezzo dell’oro sul mercato. Nel 1968 il Consorzio aureo, ormai dissanguato, fu sciolto. Defacto la convertibilità del dollaro finì. Nell’agosto del 1971 fu formalmente abbandonata e con ciò ebbe termine la stabilità del sistema internazionale di pagamento. Quando finì la Guerra fredda perfino l’egemonia militare non poté più essere finanziata con le sole risorse del paese. SCHEDA: Il movimento dei Partigiani della pace 222) Acc,XI,567-575;XII,575,586 Alla fine degli anni ’40 videro la luce la “dottrina Truman” e il “piano Marshall”; scoppiò la cosiddetta crisi di Berlino del 1948-49 che minaccio di accendere un focolaio di guerra nel centro dell’Europa; si formarono il blocco occidentale e successivamente quello Nordatlantico chiaramente diretti contro l’URSS e si cominciò a capire che la “guerra fredda”, la preparazione psicologica all’aggressione dei paesi socialisti poteva portare alla guerra atomica. L’insofferenza per il pericolo di guerra in tutto il mondo fu dovuto anche all’aggressione delle potenze imperialiste contro l’Indonesia, la Malaisia, la Grecia, il Vietnam. 223) Nel 1948, nacquero comitati per la difesa della pace in varie province e città italiane. Nel luglio del 1948 si tenne a Londra la conferenza di lotta per la pace alla quale parteciparono più di 1.300 delegati. Nello stesso anno nasceva in Giappone la “Lega libertà, pace e indipendenza“. Ci furono anche le prime manifestazioni contro la guerra negli USA. 224) Nell’agosto del 1948 in Polonia si tenne un congresso mondiale degli operatori culturali in difesa della pace. Vi parteciparono più di 500 scienziati, scrittori e artisti di 45 paesi. Il congresso diede vita a un Ufficio internazionale di collegamento del quale entrarono a far parte il più famoso fisico francese Frederic Joliot-Curie, lo scrittore sovietico Aleksandr Fadeev, il cantante americano Paul Robeson, il poeta cileno Pablo Neruda e altri. Il 25 febbraio 1949 l’Ufficio internazionale di collegamento, la Federazione democratica internazionale delle donne e 75 famose personalità di 17 paesi pubblicarono un appello per la convocazione di un congresso mondiale dei partigiani della pace. Si dichiararono favorevoli alla convocazione 18 organizzazioni internazionali, 1.015 organizzazioni nazionali e più di 10 mila organizzazioni regionali, 2.895 famose personalità di 72 paesi. In molti paesi nacquero comitati nazionali in difesa della pace (Italia, India, Giappone, Bulgaria, ecc.). 225) Il congresso si sarebbe dovuto tenere a Parigi. Il governo francese rifiutò il visto di ingresso ai delegati cinesi, polacchi e bulgari e ridusse il numero dei visti di ingresso per la delegazione sovietica. Si decise allora di tenere contemporaneamente a quella di Parigi una seduta del congresso a Praga. Il congresso di Parigi-Praga dei partigiani della pace del 20-25 aprile 1949 unì in nome di uno scopo comune i rappresentanti di partiti e classi diverse, uomini di convinzioni politiche e religiose diverse. Presero parte ai lavori 2.287 delegati in rappresentanza di 72 paesi, di 12 organizzazioni internazionali e di 561 organizzazioni nazionali. I delegati si pronunciarono all’unanimità 46 per la proibizione della bomba atomica e di tutti i mezzi di distruzione di massa, per la riduzione dei bilanci militari e per la limitazione delle forze armate delle grandi potenze; essi appoggiarono la lotta dei popoli per l’indipendenza nazionale e condannarono l’isteria bellicistica e la propaganda a favore di una nuova guerra. “Noi ci siamo riuniti - dichiarò Joliot-Curie - non per chiedere la pace ai fomentatori di guerra ma per imporre loro la pace”. 226) Fu eletto un Comitato permanente che comprendeva rappresentanti dell’opinione pubblica progressista di 72 paesi. Fu eletto presidente del comitato Juliot-Curie, famoso scienziato, che durante la Resistenza era stato commissario supremo in Francia per i problemi dell’energia atomica. I portuali di Dunkerque e successivamente quelli di Saint Nazaire, Nantes, Rouen, La Rochelle si rifiutarono di scaricare materiale bellico in arrivo dagli Stati Uniti. Gli equipaggi delle navi francesi, i ferrovieri della Francia del sud-est, i portuali di Marsiglia, Tolone, Brest, Boulogne e di altri porti francesi sempre più di frequente si rifiutarono di caricare e trasportare truppe e materiali bellici diretti nel Vietnam. 227) L’esempio dei compagni francesi fu imitato dai portuali italiani (Napoli, Ancona, ecc) e belgi (Anversa). Nel 1949 in Italia furono raccolti 8 milioni di firme contro l’ingresso dell’Italia nella NATO. Giacomini 68 La polizia intervenne in varie località per impedire o sciogliere le manifestazioni. A Roma cariche brutali e ripetute tentarono di disperdere gli assembramenti di protesta che per tre giorni, in concomitanza col dibattito parlamentare, si rinnovarono davanti a Montecitorio e nelle strade e nelle piazze del centro. Fuori della capitale rimasero memorabili l'eccidio di Terni e la grande manifestazione di Torino con 50 mila persone. 228) Nonostante le repressioni poliziesche si diffuse il movimento contro il riarmo della Germania Occidentale al quale parteciparono attivamente gli operai, gli intellettuali progressisti e la gioventù. Il 94 % degli operai dei cantieri navali di Amburgo si oppose alla costituzione dell’esercito nella Germania Occidentale. 229) Nell’aprile del 1949 si svolse il primo congresso in difesa della pace in Giappone con 1.300 delegati in rappresentanza di 100 organizzazioni democratiche. Il congresso rivolse un appello al popolo giapponese a difendere la pace e l’indipendenza del Giappone, a opporsi al riarmo e alla inclusione in blocchi militari e a battersi per la conclusione di un patto di pace che proibisse l’uso delle armi atomiche. Conferenze dei partigiani della pace furono tenute anche in Cina (ottobre 1949), in India (novembre 1949), in Mongolia e in altri paesi asiatici. 230) Nell’aprile del 1949, 300 scienziati e uomini di cultura americani ed esponenti della Chiesa protestante di 33 Stati inviarono una lettera al presidente Truman con la quale lo invitavano a iniziare trattative con l’URSS per dare soluzione pacifica alle questioni. L’1-2 ottobre 1949 a Chicago ci fu la prima conferenza dei sindacati in difesa della pace, con più di 1.000 delegati di 28 Stati. Tuttavia, l’azione scissionista dei sindacati più grossi impedì che la classe operaia statunitense partecipasse attivamente alla lotta per la pace. 231) Nel settembre del 1949 a Città del Messico fu celebrato il congresso continentale in difesa della pace con più di 1.000 delegati di 19 paesi latinoamericani e più di 200 rappresentanti degli Stati Uniti. Il manifesto finale faceva appello ai popoli d’America perché si battessero per la pace, per la sovranità nazionale e l’indipendenza economica, contro ogni tentativo di scatenare una nuova guerra. 232) Dopo il primo congresso, nacquero i comitati di difesa della pace anche nell’Africa francese, nell’Africa equatoriale e settentrionale. In Algeria, Tunisia e Marocco i portuali rifiutarono di caricare materiale bellico. 233) Fin dalla nascita, al movimento per la pace parteciparono i sovietici e i popoli degli altri paesi socialisti. 234) Il II congresso mondiale dei sindacati (Milano, giugno-luglio 1949) invitò le centrali sindacali e le organizzazioni professionali membri della Federazione sindacale mondiale a prendere parte attiva all’attività dei partigiani della pace. Su invito del Comitato permanente, il 2 ottobre 1949 fu celebrata la giornata internazionale di lotta per la pace. In 60 paesi ci furono dimostrazioni di massa, comizi e manifestazioni contro i fomentatori di guerra, per la pace la sicurezza dei popoli. La sessione di Roma (ottobre 1949) del comitato permanente del congresso dei partigiani della pace invitò i governi a intraprendere immediatamente 47 passi concreti verso trattative per la cessazione della guerra in Grecia, nel Vietnam, in Indonesia e nella Malaisia, perché venisse vietato e distrutto l’armamento atomico e perché si giungesse nell’ambito dell’ONU a un patto di pace tra le grandi potenze. Analoghe richieste erano contenute nell’Appello del comitato permanente diretto ai Parlamentari di tutti i paesi (dicembre 1949). Il Soviet supremo dell’URSS e i parlamenti degli altri paesi socialisti approvarono la proposta del comitato permanente. Sotto la pressione dell’opinione pubblica furono costretti ad accogliere le delegazioni che portavano il testo dell’appello il presidente della Camera dei deputati italiana, quello dell’Assemblea nazionale francese, quelli del Parlamento finlandese e del Parlamento svedese. Il governo britannico e quello statunitense non consentirono l’ingresso nei rispettivi paesi alle delegazioni dei partigiani della pace; il governo olandese allontanò dal paese sotto scorta la delegazione; il Parlamento belga si rifiutò di discutere l’appello. In Gran Bretagna il comitato esecutivo del partito laburista decise nel giugno del 1949 di espellere dal partito coloro che avessero preso parte al movimento per la pace. Nella Germania Occidentale l’appartenenza al movimento dei partigiani della pace fu dichiarato inconciliabile con l’appartenenza al sindacato. Negli Stati Uniti coloro che raccoglievano le firme per l’appello in difesa la pace furono perseguitati e imprigionati: il centro di informazioni dei partigiani della pace fu costretto a chiudere e fu dichiarato “organizzazione di sabotaggio”. 235) Il movimento si estese a tutti i continenti e a quasi tutti i paesi della terra. Vi presero parte persone di ogni razza, nazionalità, classe, religione, convincimenti politici. Fu un movimento antimperialista e democratico. Il movimento dei partigiani della pace si batté perché fosse evitata una nuova guerra mondiale e nuove guerre locali, perché fossero eliminati i focolai di conflitto; si batté per la distensione internazionale, per la cessazione della corsa agli armamenti, per la proibizione delle armi di distruzione di massa, per il disarmo. Il movimento difese il principio della coesistenza pacifica degli Stati con ordinamenti sociali diversi quale norma e regola direttrice nei rapporti internazionali. Il movimento fu sostenuto da tutti i popoli che si stavano battendo per la propria liberazione nazionale, contro il colonialismo, il neocolonialismo, il razzismo e l’apartheid. 236) Giacomini,92-93 Il primo sbarco di armi americane avviene a Napoli, in gran segreto, la notte tra l'11 aprile e il 12 aprile (1950)...Anche se con un po' di ritardo, la protesta popolare si organizza. Il Consiglio delle leghe riunito a tarda notte, indice lo sciopero generale, che vede all'indomani la piena adesione degli operai metallurgici, dei lavoratori degli stabilimenti chimici Montecatini e di varie altre fabbriche e aziende, gli studenti di alcune scuole. Un comizio si svolge davanti alla Camera del Lavoro, mentre le jeeps della polizia si esibiscono in caroselli intorno ai manifestanti. Cortei si improvvisano in vari punti della città. La stazione e il porto sono bloccati con cavalli di frisia e filo spinato, e carabinieri, polizia e truppa convogliati da tutta Italia danno l'immagine di una città militarmente occupata. Scrive Emilio Sereni: Tra le migliaia di portuali di Napoli solo trenta mani si sono trovate umiliate al servizio dello straniero. Le armi straniere si sono dovute scaricare con l 'ausilio e l'intervento delle forze di polizia in servizio comandato"...I Comitati provinciali e comunali della pace a Bologna fermano tutte le fabbriche. Lo sbarco delle armi era stato preceduto in marzo dall'adozione di misure tese a restringere gravemente le libertà democratiche. (Queste si intrecciarono con le misure intese a reprimere il movimento contadino di occupazione della terra)...Pochi giorni dopo il ministro del Lavoro annunciava l'imminente varo di misure antisciopero. A Milano scesero in piazza 100.000 persone; mentre nelle fabbriche si svolse un massiccio sciopero generale; 120.000 persone manifestarono a Genova. (Scioperi nelle fabbriche, scioperi generali, manifestazioni con decine di migliaia di manifestanti) si ebbero in varie città. Il 14 marzo, a Venezia, la polizia sparò, a scopo intimidatorio, sui manifestanti; A Terni la polizia attaccò i manifestanti, senza riuscire a interrompere la manifestazione. Il 21 due braccianti vengono uccisi dalla polizia e altri 10 gravemente feriti, a Lentella (Chieti). La CGIL proclama uno sciopero generale di protesta che riesce imponente. Numerosi i feriti e gli arrestati negli scontri. A Parma, dopo un comizio con 30.000 persone, la polizia fa uso delle armi da fuoco: resta sul terreno il trentaduenne Attila Alberti, disoccupato. Parecchi sono i feriti. Lo sciopero generale continuerà anche l'indomani e i funerali si traformeranno in una imponente protesta di popolo. Giacomini,138-139 - contro le armi nucleari:"Non vi è paese d'Italia dove uomini e donne non siano stati chiamati dalla polizia, minacciati, intimiditi, sovente fermati o arrestati; non vi è paese d'Italia dove qualcuno dal pulpito non abbia predicato contro chi raccoglieva le firme"- Giuliano Pajetta Giacomini,202 - contro la visita di Eisenhower, 17/1/1951- "vattene Ike"! A Milano, a Roma, Bologna, Catania, Napoli fermate dal lavoro, proteste, manifestazioni di massa. La polizia spara ad Adrano (Catania) e uccide un giovane bracciante, Girolamo Rosano. 11 persone sono ferite; Francesco Greco, di 14 anni verrà a stento strappato dalla morte, ma una povera vecchia che si era affacciata alla 48 finestra, pagherà con la vita. A Comacchio (Ferrara) i carabinieri caricano la folla e aprono il fuoco: tre feriti gravi, Antonio Fantinuolo di 60 anni, padre di 5 figli, morirà per le ferite riportate. 237) Giacomini,295-308 Con la svolta segnata dalla guerra fredda e dall'avvio di una fase di incontri e negoziazioni tra le grandi potenze, si diffonde nell'opinione pubblica mondiale la sensazione che il peggio sia passato...Emergono nuovi problemi, nuove dislocazioni di forze, necessità di riaggiustare strategie,tattiche,obiettivi In Italia, la rete articolata e capillare, costituita dagli oltre 20.000 Comitati per la pace diffusi in tutto il territorio nazionale e nelle principali realtà produttive, viene ad assottigliarsi e a decadere...Si lascia cadere lo stesso termine di «partigiani della pace» in cui sembrava riflettersi il carattere particolarmente aspro e militante della lotta per la pace dei primi anni '50...Dopo il successo - elezioni del 7 giugno 1953 [V.par.265,ss. - sulla «legge truffa»]-, la sinistra italiana non riesce ad elaborare una strategia unitaria...Al I Congresso nazionale del Movimento italiano della pace -17/18 dicembre 1955-, la conclusione di Nenni, pur ottimistica, è un discorso di addio, con cui il leader socialista non solo lascia la carica di presidente nazionale del Movimento, ma prepara il suo distacco dall'impegno unitario...Due anni dopo, sull'onda dell'emozione per il XX Congresso del PCUS, il PSI accompagnerà l'uscita ufficiale dal Movimento dei partigiani della pace all'accettazione della NATO. Ma anche nel PCI si registra un rapido declino di impegno e di interesse. Il Movimento si riorganizza a partire dalla primavera del '57 attorno alla lotta contro l'installazione di basi missilistiche e nucleari. Il movimento su scala internazionale si mobilita, nella seconda metà degli anni cinquanta, nella lotta per porre fine agli esperimenti nucleari nell'atmosfera. Nel luglio 1957, in Canada, 22 scienziati di 19 paesi tengono una conferenza scientifica internazionale sui pericoli dell'energia nucleare e sui pericoli delle armi nucleari. Ne nascerà il movimento di Pugwash, ispirato agli ultimi appelli di Einstein tradotti in pratica da Bertrand Russell. Il 13 gennaio 1959 viene presentata all'Onu una petizione, firmata da 9.935 scienziati di tutti i paesi, contro gli esperimenti nucleari. Il 25 luglio 1963 trattato di Mosca, tra USA,URSS e Inghilterra, aperto all'adesione di altre nazioni- viene firmato un trattato che sancirà il divieto degli esperimenti nucleari nell'atmosfera. La rottura della tregua nel 1960-61 -si acutizza la tensione internazionale che culmina nella crisi dei missili a Cuba (ottobre 1962)- porta al rilancio di una forte iniziativa di massa del movimento pacifista. Con l'allentarsi della guerra fredda e l'affacciarsi di movimenti distensivi, si assiste al proliferare di gruppi, movimenti, iniziative al di fuori del Movimento dei partigiani della pace...È il frutto dell'attivizzarsi in forme autonome di strati sociali intermedi, anche a causa di elementi di insoddisfazione nei confronti dell'esperienza dei paesi socialisti e delle forze tradizionali della sinistra socialdemocratica e comunista. Queste appaiono -specialmente in ambienti giovanili e intellettuali- viziate da burocratismo e in varia misura compromesse nella «gestione del sistema», fenomeno da cui trarrà origine la realtà delle cosiddette «nuove sinistre». Nell'aprile 1957, diciotto scienziati tedeschi, firmano un appello «dichiarazione di Gottingen» contro il progetto di dotare la Bundswehr di armi atomiche tattiche. Nascono qui, dal '58, le «marce di Pasqua»,che diventeranno tradizionali. Movimenti analoghi sorgeranno in Inghilterra e negli USA. Velio Spano ad una riunione del Movimento italiano per la pace affermerà "Noi non rivendichiamo il monopolio della lotta per la pace". In Italia si avrà l'incontro con le componenti «non violente» del pacifismo, che si concretizza in particolare nella Marcia per la pace Perugia-Assisi del 24 settembre 1961, promossa da Aldo Capitini. (Successivamente) l'epicentro del movimento tende a spostarsi dall'Europa verso i movimenti del Terzo mondo, mentre nell'Occidente capitalistico si sviluppano campagne continue con i popoli in lotta, fino al '62 col popolo algerino, negli anni successivi attorno al Viet Nam. Alla fine degli anni settanta, con l'affermarsi di una «seconda guerra fredda» si avrà un rilancio delle iniziative e delle tematiche più specificamente antinucleari. Da "Cuori Rossi" 24 febbraio 1945, nella Milano ancora in mano ai nazifascisti, viene assassinato il compagno Eugenio Curiel, fondatore del "Fronte della gioventù per l'indipendenza nazionale e la libertà", (pagg.18-24) In un giorno della vita ho camminato con Giorgio a capo scoperto nel cielo. Giorgio era il Partito Giorgio era il suo cuore maturo come un frutto Giorgio era la sua voce 49 inceppata e sicura, i denti neri, il tabacco nero la sigaretta arrotolata un desiderio di svegliare il mondo coi suoi pensieri. Ho udito Giorgio ho visto Giorgio alto come le case nell'orizzonte del cielo. A maggio lo portammo al cimitero. Se potevamo camminare e coprirlo di fiori e di bandiere era perché da morto ci indicava la grande strada della primavera. Alfonso Gatti - In memoria di Giorgio (nome di battaglia di Eugenio Curiel) "Dopo la fine della seconda guerra mondiale, dimenticati in fretta i cinquanta milioni di morti causati dal conflitto, i vivi vengono presi in ostaggio da una nuova parola: quella che, senza vergogna, spiega come dopo l'8 settembre l'Italia sia entrata in una fase in cui il conflitto sarà a "bassa intensità" (p.27) "E quando, il 18 aprile del 1948, si torna alle urne, si scopre che il terrore (e l'odio) rende più di qualunque propaganda visto che la maggioranza dei consensi va a un partito molto diverso rispetto a quello che aveva vinto le elezioni un anno prima: la democrazia cristiana.(p.45) "Con la democrazia cristiana al governo e la sinistra confinata tra i banchi dell'opposizione il destino dell'Italia, un Paese a "democrazia limitata" si compie. In Sicilia, la lunga campagna terroristica che, iniziata nel 1944, costerà la vita a decine di esponenti del mondo contadino e sindacale, attenua la sua ferocia anche se non smetterà mai di decretare la morte violenta nei confronti di chi osa mettere in discussione gli assetti di potere e le sue decisioni liberticide" (p.46) La Sicilia - e l'Italia - delle stragi mafiose, fasciste e di Stato (p.25-55) 17 giugno 1945 - Randazzo (Catania): tre morti 1 maggio 1947 - Portella della Ginestra (Palermo): sedici morti 22 giugno 1947 - Palermo: due morti La repressione del movimento delle occupazioni delle terre in Calabria('46-'49) (p.56-64) 28 novembre 1946 - Calabricata (Catanzaro): una morta 13 aprile 1947 - Petilia Policastro (Crotone): due morti (una donna e un uomo) 29 ottobre 1949 - Isola di Capo Rizzuto (Crotone):un morto 29 ottobre 1949 - Melissa (Crotone):due morti 9 novembre 1949 - Crotone: una morta La guerra delle borgate (p.65-68) 5 dicembre 1947 - sciopero contro la fame indetto dai sindacati- Roma: un morto, tafferugli e interruzioni del traffico a ponte Garibaldi, a Ponte Milvio, ad Ostia, sulla Casilina Le elezioni "democratiche" e la strage della bandiera insanguinata (p.69-73) 9 febbraio 1948 - S.Ferdinando di Puglia (Foggia): cinque morti fra cui Raffaele Riontino, di anni 7. Madonne che piangono, pressioni e ingerenze americane, italo-americani mobilitati, aiuti del piano Marshall "Coi discorsi di Togliatti non si condisce la pastasciutta. Perciò le persone intelligenti votano per De Gasperi che ha ottenuto gratis dall'America la farina per gli spaghetti e anche il condimento - [da una manifesto della DC]". Con ogni mezzo si cerca di impedire il comizio comunista, assalito dagli squadristi il capocellula di S.Ferdinando spara e ferisce uno squadrista alla coscia. La ritorsione squadrista fin dentro la sede dell'ANPI avviene a colpi di mitra. La repressione della rivoluzione che non c'è mai stata (l'attentato a Togliatti) (p.74-87) Ma se la rivoluzione non è un pranzo di gala non è neppure un colpo di testa: una cosa che possa essere decisa lasciandosi trasportare dall'indignazione o dall'emozione. I dirigenti comunisti riflettono. Ci sono i partigiani pronti a entrare in azione, ci sono le armi mai completamente riconsegnate ai carabinieri, ma sopratutto c'è una grande puzza di provocazione...doversi ritrovare a fronteggiare una mobilitazione di massa darebbe alla polizia, già epurata da Mario Scelba dalla quasi totalità degli elementi di sinistra, un ottima scusa per abbandonarsi a una carneficina. Dopo aver seppellito i morti ci avrebbe pensato la Democrazia Cristiana a completare l'opera, varando in fretta una legge tanto attesa sia dagli Stati Uniti che dal Vaticano e dichiarando illegale l'intero PCI." (p.76-78) 14 luglio 1948 - Roma: un morto; Genova: tre morti; Napoli: due morti; Taranto: un morto 50 15 luglio 1948 - Porto Marghera (Venezia) un morto; Gravina di Puglia (Bari): un morto 17 luglio 1948 - Livorno: un morto 18 luglio 1948 - Siena: un morto Le vittime della NATO e il nuovo ordine mondiale (p.88-98) 17 marzo 1949 - Terni: un morto; 17 gennaio 1951 - Adrano (Catania): un morto; 18 gennaio 1951 - Comacchio (Ravenna): un morto; Piana degli Albanesi (Palermo): un morto "Nel 1951, la guerra in Corea... il Presidente Harry Truman, il generale Dwight Eisenhover e il capo di stato maggiore, Matthew Ridgway (il "Generale peste") appoggiano un nuovo programma di ricerca su agenti chimici e batteriologici da impiegare nella realizzazione di nuove armi di distruzione di massa. Il provvedimento tratta come carta straccia la convenzione di Ginevra...Anche la carta costituzionale italiana viene messa da parte. Il generale Eisenhower arriva in visita ufficiale la sera del 17 gennaio 1951. Lo stesso giorno Pyongyang, la capitale coreana, viene bombardata dall'aviazione statunitense. Una manifestazione per la pace di contadini ad Adrano viene presa a fucilate dalla polizia, muore Girolamo Rosano, iscritto alla CISL. I cecchini della celere erano stati accolti dal missino Adrano Filadelfio Cancio, appostandosi sul suo balcone per aprire meglio il fuoco sui dimostranti. Il 18, a Comacchio, la carica è ordinata dai carabinieri.(p.94-95) La strage delle Fonderie Riunite (p.99-105) 10 gennaio 1950 - Modena:6 morti [per l'importanza delle lotte negli anni cinquanta V.par.261,ss. Fra i tanti episodi ricordiamo a integrazione: febbraio 1954 - Milano un morto 4 dicembre 1954 - Mussomeli (Sicilia) 4 morti] Luglio 1960 il governo Tambroni e la resistenza tradita (p.106 -127) 6 luglio 1960 - Licata (Agrigento): un morto 7 luglio 1960 - Reggio Emilia: 5 morti 8 luglio 1960 - Palermo: 4 morti; Catania: un morto SCHEDA: La questione meridionale 238) Mac Smith,563 Durante i primi anni dell’ Italia unita, il governo era stato in buona parte nelle mani di settentrionali che identificavano l’interesse nazionale con il proprio. Il Sud agricolo si trovò vittima di una pressione fiscale eccessiva e o di una carenza di investimenti, allo scopo di finanziare l’industria settentrionale. In seguito i settentrionali usarono il potere politico per rafforzare questo vantaggio regionale, anche quando rischiava di tradursi in un rallentamento della crescita complessiva del reddito nazionale e del ritmo dell' accumulazione di capitale. I dazi sulle importazioni di acciaio andavano incontro alle esigenze di alcune industrie del Nord, esattamente come la discriminazione antimeridionale attuata attraverso il rialzo dei prezzi dei manufatti. Inoltre, la protezione dei prodotti agricoli aveva mantenuto in vita le pratiche del latifondo; il prezzo artifìciosamente elevato dei cereali ritardava la diversificazione dell’agricoltura in attività più redditizie e tutto ciò agiva da freno all’espansione delle industrie meccaniche. L'unità politica dell’Italia aveva accresciuto la distanza tra il Nord capitalistico e il semifeudale, tradizionale e spesso autarchico Mezzogiorno. La politica di riarmo attuata da Mussolini negli anni Trenta aveva allargato questo scarto. 239) 564 La Resistenza armata del 1944-1945 rimase quasi completamente confinato al Nord e il Mezzogiorno perse una potenziale forza di rinnovamento. Nel 1943 l’amministrazione militare anglo-americana permise ai mafiosi di riaffermare la loro vecchia autorità su molte aree della società siciliana inficiando così uno dei parziali successi del fascismo. A Napoli e Lecce i suffragi a favore della monarchia (referendum istituzionale-1946) raggiunsero quasi l’80 per cento; il Nord votò massicciamente per la repubblica. Nella Democrazia cristiana molti erano allarmati dalla possibile «meridionalizzazione» o «clientelizzazione della vita politica italiana, e tanto più da questo sistema dualistico dell’economia e della moralità; ma c’era chi riluttava ad agire contro la mafia, trovando utile l’appoggio elettorale di criminali in cerca di favori. [V.par.74;110] 240) 564-565 Nel 1950 fu creata la Cassa per il Mezzogiorno. Nel 1954 il Piano Vanoni abbozzò un progetto che attraverso investimenti pubblici diretti e incentivi all’industria privata si proponeva di creare nel Mezzogiorno circa quattro milioni di posti di lavoro nell’arco di dieci anni, e di raddoppiare il tasso di crescita del reddito. Il Piano Vanoni non fu mai neppure presentato all’esame del 51 parlamento, anche perché gli imprenditori settentrionali non gradivano la simultanea campagna contro l'evasione fiscale. Industriali e proprietari terrieri preferivano il tipo di aiuto statale che attirava l’investimento privato nel Mezzogiorno offrendo credito a buon mercato, riduzioni dei costi di trasporto e incentivi fiscali. E anche queste misure s’imbatterono in obiezioni : distoglievano fondi da impieghi più redditizi; erano motivate dal desiderio di conquistare consensi nelle elezioni politiche. Le stesse critiche suscitò nel 1956 la creazione di uno speciale ministero delle Partecipazioni Statali, e poi la direttiva impartita al vasto settore delle imprese a proprietà pubblica di localizzare nel Mezzogiorno il 60 per cento di tutti i nuovi investimenti. Le organizzazioni addette allo sviluppo venivano spesso riempite di politici di secondo rango o di notabili locali disposti a mercanteggiare il loro appoggio elettorale. Furono costruiti villaggi in cui nessuno andò mai a vivere, e dighe da cui l’acqua fluiva senza frutto in mare anziché servire all’irrigazione del suolo. È probabile che sia andata così sprecata una quota abbastanza alta dei fondi disponibili (secondo alcuni, un buon terzo), e molti di questi ultimi andarono a finire nelle mani di mafiosi e camorristi. Come sotto il fascismo, e anche prima. 241) 566 Il più delle volte, a trasferirsi a sud (sotto pressioni politiche) furono imprese controllate dallo Stato. Molte industrie private preferirono fare assegnamento sul perdurare della disoccupazione meridionale, che permetteva di attirare nelle fabbriche del Nord la manodopera di cui avevano bisogno. Tutte queste ragioni misero in moto un’altra massiccia ondata di emigrazione dal Mezzogiorno. Oltre un milione di persone partirono per l’Australia e le Americhe; e un altro milione, su una base meno permanente, per i vari paesi europei più sviluppati; e tra gli ultimi anni Cinquanta e i primi Sessanta arrivarono forse a tre milioni i meridionali che si trasferirono nell’Italia settentrionale. Nelle regioni del Nord emersero così nuovi, grossissimi problemi sociali, come l’urgente necessità di fornire case, scuole e ospedali ai nuovi arrivati; e ciò creò malumori in entrambi i campi. Ma nel Mezzogiorno, malgrado l’emigrazione riducesse la disoccupazione e migliorasse i salari di coloro che restavano, il medesimo processo si portò via gli uomini in età di lavoro, lasciando sul posto i vecchi, i giovani e le donne. Si può dunque dire che risolvesse (in parte) un problema soltanto creandone un altro. Dopo il 1950, il Sud fece più strada che in qualunque periodo precedente. Ma, rispetto al loro formidabile costo, i progressi compiuti apparivano inferiori alle aspettative. Il Sud non raggiunse il Nord, anzi i meridionali videro crescere il loro svantaggio comparativo in termini di reddito e di sviluppo industriale. 242) Woolf/Allum,162-166 Per Dorso l’unificazione aveva significato l’accettazione da parte della classe dirigente meridionale di un ruolo subordinato nella vita nazionale: era necessario distruggere la classe dirigente tradizionale del Mezzogiorno; erano necessarie «idee chiare e proposte limitate»; attività intellettuale e azione di governo. La nuova classe dirigente, reclutata tra l' "intelligentzia" di origine artigiana e contadina, avrebbe fornito la guida; e appropriate misure di riforma delle strutture avrebbero assicurato il progresso della vita meridionale verso un ideale rappresentato dalle democrazie anglosassoni. 243) Per Togliatti e il Pci la creazione di nuovi rapporti politici (doveva avere per) base l’alleanza degli operai del Nord e dei contadini del Sud, preconizzata da Gramsci, in cui la funzione di guida era strettamente nelle mani della classe operaia e del suo partito. Così, Togliatti rispose a una lettera di Dorso che metteva in guardia il Pci sui pericoli di un risorgere del trasformismo: «Noi vediamo, in sostanza, una soluzione sola, che consista nell’accoppiare all’intervento dall’alto per dare scacco alla rinascita delle vecchie cricche reazionarie, l’azione indefessa dal basso per dare uno sviluppo nuovo, travolgente, grandioso, in tutto il Mezzogiorno, ai grandi partiti nazionali antifascisti di massa...Incominciamo dunque coll’organizzare solidamente queste masse, tanto in formazioni economiche più larghe (sindacati, leghe di contadini, ecc.) e appoggiandoci su queste forze, diamo battaglia per la rinascita politica dell’Italia meridionale" (Rinascita », I, 1, giugno 1944, p. 16. ) I dirigenti del partito sottolineavano che stavano proponendo una riforma democratica e non una riforma socialista, perché il Mezzogiorno doveva in primo luogo attuare la propria rivoluzione democratica borghese. La riforma che essi proponevano aveva perciò lo scopo di distruggere il latifondo come residuo feudale,era una premessa verso livelli di sviluppo più avanzati, più produttivi e più democratici, quindi si appoggiavano le piccole unità contadine piuttosto che le unità cooperative: a)limite all’estensione della proprietà agricola e l’immediata redistribuzione del surplus ai contadini non proprietari o ai piccoli proprietari con terra insufficiente. La terra avrebbe dovuto essere distribuita gratuitamente e nessun compenso avrebbe dovuto essere pagato per 52 l’espropriazione; b)assistenza economica e tecnica da parte dello Stato e a sue spese ai proprietari di unità piccole e medie e alle cooperative; c)riforma e regolamentazione delle affittanze agrarie per dare ai contadini stabilità e sicurezza economica; d)partecipazione dei contadini agli organismi interessati all’agricoltura, e dei lavoratori agricoli alla direzione delle unità agrarie. 244) Il Pci insistette sempre che la riforma agraria non dovesse essere un’operazione da imporre dall’alto, ma una operazione democratica da organizzare dal basso.Woolf/Allum,167-169 L’industrializzazione costituiva la risposta ovvia ai problemi economici del Sud. Il socialista Morandi, nel gennaio 1947, fondò l’Associazione per Io sviluppo industriale del Mezzogiorno (Svimez)... La commissione economica dell’Assemblea costituente (però) respingeva l’idea di creare concorrenti meridionali agli impianti già esistenti nel Nord. Suggeriva una politica di preindustrializzazione, la creazione di un' infrastruttura industriale mediante la spesa pubblica ed incentivi agli investimenti: un incremento della domanda locale risultante dalla spesa pubblica, avrebbe comportato lo sviluppo di una industria locale senza bisogno di un intervento diretto. Ciò forniva una giustificazione intellettuale all’adozione di un programma di assistenza sociale piuttosto che di industrializzazione. Era facile per il Pci dimostrare che la Cassa (del Mezzogiorno) rappresentava semplicemente la politica tradizionale di lavori pubblici per il Mezzogiorno che, lungi dal contribuire a risolvere i problemi, li avrebbe esasperati, a favore dei gruppi monopolistici settentrionali e stranieri e a spese dei piccoli industriali e dei lavoratori. 245) Woolf/Allum,172-173 Il fattore fondamentale nella politica meridionale di questo periodo fu la ricostituzione, almeno parziale, del «sistema meridionale», un elemento essenziale nella conservazione dello status quo, entro il quadro istituzionale liberaldemocratico che il paese aveva adottato. La caduta del governo Parri fu il primo passo verso la ricostituzione del sistema meridionale. La manovra rivelò la continuità della coincidenza di interessi dell’alleanza che costituiva il vecchio blocco storico. Ancora una volta gli uomini politici meridionali agirono nell’interesse del capitalismo settentrionale per conservare i propri privilegi. 246) La scomparsa della monarchia fece del Vaticano il più importante cardine istituzionale dello status quo nel paese e della Dc il partito dominante della borghesia. Un risultato del genere richiedeva che si ricostituisse il sistema meridionale, cioè che il Pci e il Psi venissero espulsi dalla coalizione governativa in quanto rappresentavano gli interessi della classe subordinata settentrionale: il governo De Gasperi fu un’ampia coalizione dei difensori dello status quo in una nuova maggioranza parlamentare che poteva trovarsi solamente a destra tra i notabili meridionali, sino allora esclusi dalla maggioranza governativa, che erano la chiave della situazione parlamentare, come di quella economica. Essi davano agli operatori economici settentrionali le garanzie che avrebbero lasciato loro il compito della ricostruzione economica. Praticamente tutti i fondi provenienti dagli aiuti Marshall furono utilizzati per la ricostruzione dell’industria settentrionale, almeno fino al 1950...Il Mezzogiorno ebbe un ruolo fondamentale nel ritorno delle forze conservatrici al potere dopo il governo tripartito. 247) Woolf/Allum,182-191 L’espulsione del Pci dal governo, aggravò la tendenza democristiana ad adottare come candidati notabili meridionali. Il sistema meridionale era stato ricostituito all’interno del partito di governo. Facendosi campione della causa per «la terra ai contadini» e per «la terra a quelli che la lavorano», l'organizzazione del Pci divenne rapidamente più forte nelle aree tradizionali di bracciantato non proprietario, il latifondo classico. Al congresso di Pozzuoli promosso dal Pci nel dicembre 1947 fu fondato il Fronte democratico del Mezzogiorno che divenne noto più tardi come Movimento per la rinascita del Mezzogiorno. Allo stesso tempo il partito creò i Comitati per la terra, che dovevano diventare « gli organi direttivi del movimento di riforma agraria» . Le rivolte agrarie che ne derivarono (e che raggiunsero un massimo nella primavera del 1950) innescarono una reazione talmente allarmata specialmente in Calabria ed in Puglia dove la polizia intervenne e alcuni contadini vennero uccisi. 248) Era talmente vivo il timore di una rivoluzione, che il governo fu costretto ad agire. Nella primavera del 1950, il governo distribuì 50.000 ettari di terra in Calabria. Vi fece seguito con un’altra legge (legge stralcio) dello stesso anno che redistribuì la terra di tutte le zone latifondistiche, e con una terza che istituì la Cassa del Mezzogiorno [V.par.148;279;307]. (La riforma agraria) viene attuata da un governo e da un partito conservatore molto cauto in fatto di riforme sociali in altri campi, nel quadro di una politica generale ispirata ad esigenze di stabilità economica e sociale. La riforma, in una fase di sostanziale depressione del 53 movimento contadino, la si concepisce al di fuori del movimento contadino, col proposito di piegarne e correggerne le attuali manifestazioni e la si affida ad organi tecnici dello Stato per mantenerlo entro il quadro delle leggi e dei piani predisposti. In primo luogo la riforma riguardò solamente la terra incoltivata nelle aree latifondistiche. In secondo luogo non venne imposta alcuna limitazione all’estensione delle proprietà agricole come l’articolo 44 della costituzione prescriveva. In terzo luogo agli espropriati vennero pagati grossi compensi. In quarto luogo i soggetti della riforma -i contadini- vennero accuratamente esclusi dalla sua amministrazione. Una operazione politica tesa a trasformare parte del proletariato delle città contadine in coltivatori diretti, sperando di renderli difensori dello status quo, (sottoponendoli) al controllo degli enti agrari, che avrebbero poi instaurato nuove forme di clientelismo. Ciononostante, fu sufficiente a spezzare il potere politico dei grandi latifondisti. (Quanto alla Cassa) essa rappresentava il primo esempio di attività governativa a lungo termine nel Mezzogiorno, ma non fu un organismo per una politica di industrializzazione del Sud. Nei primi anni il Nord fu il maggior beneficiano della Cassa, essendo il maggior fornitore di macchinari pesanti, trattori, macchine agricole ecc. La Cassa fu uno dei fattori che contribuirono di più all’espansione industriale del Nord e al «miracolo economico. Acc, XII,240 Nel primo decennio di attività della Cassa gli investimenti governativi furono indirizzati soprattutto non già alla creazione di stabilimenti industriali, come richiesto dalle forze democratiche, ma alla costruzione di infrastrutture come le strade e le comunicazioni. La riforma agraria attuata tra il 1950 e il 1955, nonostante il suo carattere limitato, fece fare grandi passi in avanti di carattere economico e sociale. Essa aprì una breccia considerevole nel sistema della grande proprietà fondiaria e portò alla liquidazione del latifondo nell’Italia meridionale, Sicilia compresa. 100 mila contadini poterono riscattare 760 mila ettari di terra, mentre altrettanta veniva acquistata dagli agrari, grazie ai crediti governativi. Gli anni Cinquanta furono caratterizzati da grandi trasformazioni nel Sud. La creazione delle infrastrutture e la riforma agraria vi avevano fatto affluire del capitale privato, avevano esteso il mercato interno e reso possibile lo sviluppo di rapporti capitalistici in questa parte del paese. Ma, malgrado i passi in avanti compiuti dall’economia del Mezzogiorno, il suo ritardo nei confronti dello sviluppo dell’Italia settentrionale non era per niente superato. Lo sviluppo sociale ed economico dal 1950 al 1960 249) Mac Smith,560 Nel 1950, la produzione industriale era tornata più o meno ai livelli prebellici. Seguirono una decina d’anni di progresso costante dell’economia a un tasso di crescita annuo di circa il 5,9 per cento tra i più alti del mondo) cui si aggiunsero, per un certo tempo, prezzi relativamente stabili. 250) Acc, XII,238-241 Per aumentare la loro competitività sul mercato generale europeo i monopoli italiani, utilizzando crediti e agevolazioni fiscali statali e l’afflusso di capitale straniero, iniziarono l’ammodernamento dell’apparato produttivo portandolo a un nuovo livello tecnico-scientifico con l’automazione, l’elettronica, le materie sintetiche. (Mac Smith,559 furono importati da altri paesi nuovi processi industriali, non sfruttati dalla autarchia fascista) Grazie all’aumento della produttività del lavoro con il mantenimento di bassi salari fu raggiunto un alto grado di accumulazione capitalistica. Dal 1948 al 1958 il capitale nominale dei dieci maggiori monopoli era passato da 40 a 1.216 miliardi di lire. 251) Tra il 1950 e il 1960 il commercio estero dell’Italia aumentò di oltre tre volte, grazie anche all’entrata dell’Italia nella Comunità europea del Carbone e dell’acciaio (1952), e nel mercato comune (1958). Da una parte questo mercato rallentò i ritmi di sviluppo dell’agricoltura, delle industrie minerarie e di quelle leggere, mentre dall’altra favorì il rapido sviluppo di nuovi settori industriali, come quelli dell’elettronica, della petrolchimica e di altri ancora. 252) All’inizio degli anni Cinquanta la produzione industriale partecipava al reddito nazionale complessivo con il 45 per cento, nel 1960 con il 48 per cento. Ai primi posti c’erano la costruzione di macchine e le industrie automobilistica e chimica. Per quattro anni di “miracolo economico” i ritmi medi di accrescimento della produzione industriale superarono l’11 per cento. Il punto culminante fu raggiunto nel 1960 con il 15 per cento. Le città si svilupparono impetuosamente. Nuovi centri industriali sorsero, modificando la struttura sociale della popolazione, anche nelle arretrate province del 54 Sud un tempo esclusivamente agricole. Venne creato anche qui un grande reparto di proletariato industriale, forte di circa 700 mila uomini. La Fiat, concentrava nelle proprie mani l’80 per cento della produzione automobilistica del paese. Nel campo della chimica una posizione di monopolio era detenuta dal gruppo Montecatini, mentre l’Edison e l’Olivetti detenevano i monopoli, rispettivamente, dell’energetica e dell’elettronica. Il capitalismo monopolistico di Stato stava sviluppandosi a ritmi rapidissimi. Le società statali/private determinavano lo sviluppo dei settori-chiave dell’industria: metallurgico, petrolifero, petrolchimico, industria del gas, industria dei materiali da costruzione. Il gruppo statale Iri controllava, nel 1957, l’88 per cento della produzione della ghisa e il 51 per cento di quella dell’acciaio. Il gruppo statale Eni, costituito nel 1953, aveva il controllo di tutti i giacimenti di petrolio e di gas rinvenuti nel paese e della relativa lavorazione e diresse la costruzione di moderni impianti per la lavorazione del metano e le produzione di gomma sintetica. Mac Smith,559 La scoperta di gas naturale in Lombardia fece sperare di disporre di una fonte d’energia nazionale. Le importazioni di carbone erano costose, e rappresentavano un grosso onere per la bilancia dei pagamenti. Nel 1945 Enrico Mattei venne incaricato di liquidare la non remunerativa azienda mussoliniana per le esplorazioni petrolifere. Nel 1953 Mattei produceva ormai due miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno; quasi sette miliardi,quando morì (in un incidente aereo rimasto misterioso). A dispetto delle forti pressioni politiche esercitate da imprenditori rivali e dalle compagnie petrolifere internazionali, gli fu concesso un monopolio sull’ulteriore attività di ricerca nelle aree più promettenti. Fissando un alto prezzo per il suo prodotto, Mattei finanziò un enorme impero economico (chimica, tessili, turismo, trasporti, telefoni, energia nucleare) che includeva uno dei migliori quotidiani italiani, il «Giorno». Nominalmente un’azienda statale, in realtà il singolarissimo impero economico di Mattei agiva in quasi piena indipendenza e dal parlamento e dal governo. Acc,XII,241 Alla fine degli anni Cinquanta l’economia italiana aveva assunto nel suo complesso un carattere più indipendente che negli anni in cui aveva operato il “Piano Marshall”. I monopoli italiani avevano consolidato le loro posizioni sulla scene internazionale. L’Italia era passata al terzo posto nel mondo capitalistico per disponibilità di riserve auree e valutarie. Si era anche sviluppata l’esportazione di capitali all’estero, in Asia, in Africa, nell’America Latina. 253) Negli anni Cinquanta si produssero anche notevoli cambiamenti nella struttura sociale della società italiana. Dal 1951 al 1961 l’esercito della classe operaia aumentò di 1 milione 800 mila unità, raggiungendo i 7 milioni 600 mila, cioè il 38 per cento della popolazione attiva. Il numero degli addetti all’agricoltura era sceso nel frattempo da 8 milioni 66 mila a 6 milioni 200 mila. La massa degli emigranti dall’agricoltura fu inserita nella produzione industriale o nella sfera dei servizi. In questa ultima sfera il numero degli addetti passò da 5 milioni 200 mila a 6 milioni 500 mila. Una parte dei contadini trasferitisi in città andarono a ingrossare il contingente dei ceti medi urbani. Il problema dell’occupazione continuava a essere estremamente acuto. Dal 1951 al 1961, 2 milioni e mezzo di cittadini lasciarono l’Italia (circa 1 milione 800 mila unità in più degli immigrati). Ciò nonostante la disoccupazione rimaneva cronica, una delle maggiori del mondo capitalistico. Secondo i dati del ministero del Lavoro nel 1951 i disoccupati erano 1 milione 900 mila e nel 1954-1956 erano saliti a 2 milioni 200 mila. 254) La grande riserva di mano d’opera consentiva agli imprenditori di mantenere bassi i salari. Nel 1959 nei principali settori dell’industria i salari operai erano dal 15 al 30 per cento inferiori a quelli degli altri Paesi della comunità europea, e solo la quarta parte dei salari annui degli USA. L’offensiva economica dei monopoli ebbe come conseguenza la perdita, in misura notevole, dell’indipendenza delle piccole e medie imprese. Il blocco governativo tradizionale dei monopoli industriali del Nord e delle caste semifeudali del Sud aveva praticamene cessato di esistere. Nel campo dell’economia e in quello della politica si era rafforzato il potere del capitale monopolistico. La dislocazione delle forze politiche 255) Acc,XII,241-242 La Democrazia cristiana, espressione in primo luogo degli interessi dei grandi monopoli, aspirava ad attrarre larghi strati della borghesia urbana e rurale e parte della classe operaia. Grazie anche a una vasta rete di sezioni locali, il numero dei suoi iscritti -alla fine del 1959- era giunto a 1 milione 600 mila. La Dc era strettamente legata ad altre organizzazioni cattoliche di massa, sotto l’egida del Vaticano: l’Azione cattolica, la Cisl e le Acli. La politica negli interessi del capitale monopolistico suscitava continui contrasti e la nascita di diverse correnti in aspra lotta fra di loro. La Dc si era coalizzata con 55 altri partiti borghesi, il partito liberale e quello repubblicano, e anche con il Partito socialista dei lavoratori italiani, che nel settembre 1952 assunse la denominazione di Partito socialdemocratico italiano. Le organizzazioni socialdemocratiche non presero parte alle lotte di classe del proletariato italiano di quegli anni. I suoi dirigenti La maggiore forza politica popolare del Paese era il Partito comunista italiano. Dal 1950 al 1955 esso contava, assieme alla sua federazione giovanile, 2 milioni e mezzo di iscritti. Il Pci era strettamente legato alle organizzazioni democratiche di massa, si opponeva alla politica della Dc ed era alla testa delle lotte che i lavoratori conducevano per conservare ed estendere le loro conquiste democratiche. Il secondo partito della classe operaia per numero di iscritti rimaneva il Partito socialista italiano, che nel 1950 contava oltre 700 mila aderenti. Nella prima metà degli anni Cinquanta il Psi era legato al Pci da un patto di unità d’azione. Comunisti e socialisti organizzavano in comune comizi, manifestazioni. scioperi; assieme partecipavano al movimento dei Partigiani della pace; alla Camera si battevano assieme in difesa degli interessi dei lavoratori. La politica della democrazia cristiana per l’instaurazione di un potere forte 256) Acc,XII,242-243 Nella prima metà degli anni Cinquanta i democristiani tentarono un attacco frontale contro i movimenti operaio e contadino. Le azioni operaie e la lotta dei contadini per la terra venivano brutalmente represse. Il 9 gennaio 1950 polizia sparò su una dimostrazione operaia a Modena, uccidendo sei persone. I funerali delle vittime di Modena sfociarono in poderosa manifestazione nazionale di protesta. Nella primavera del 1950, quando riprese con maggior forza il movimento per l’occupazione delle terre dei latifondisti, le repressioni poliziesche assunsero un carattere particolarmente bestiale. La classe operaia e i lavoratori delle città intervennero ancora una volta con scioperi di solidarietà a fianco dei lavoratori dei campi. 257) Mentre era cominciata la guerra in Corea e la situazione internazionale si andava facendo sempre più tesa, il governo di Alcide De Gasperi attuava una politica interna che si rivelava un attacco alle conquiste democratiche del popolo. Nel 1951-1952 il Consiglio dei ministri elaborò una serie di provvedimenti straordinari -uno si prefiggeva di limitare il diritto di sciopero- La loro approvazione fu impedita dall’intervento attivo delle forze progressiste. Nella discussione venne alla luce un gruppo di centro- sinistra, alla cui testa stava Giovanni Gronchi. Nel febbraio 1952 la direzione democristiana liquidò tutte le pubblicazioni di opposizione all’interno del partito, compresa “La Libertà” di Gronchi. Alle elezioni amministrative del 1951-1952 i democristiani si presentarono assieme alle forze dell’estrema destra, monarchiche e neo-fasciste. In confronto al 1948 la Dc perse 4 milioni di elettori. Al IV congresso del partito democratico cristiano, del novembre 1952 i dirigenti del partito, Alcide De Gasperi e Guido Gonella, presentarono un programma, approvato a maggioranza, di rafforzamento del potere della Dc, di introduzione di leggi eccezionali, di clericalizzazione della vita sociale. La classe operaia nella lotta contro l’offensiva capitalista 258) Acc,XII,242-244 Agli inizi degli anni Cinquanta esistevano ormai tre centrali sindacali: la Cgil fondata nel 1944, la Uil diretta dai socialdemocratici e sorta nel 1950 e la Cisl, che riuniva fondamentalmente i cattolici.La scissione del movimento sindacale aveva provocato un calo degli scioperi negli anni 1951 e 1952. Nel corso di quest’ultimo anno, sotto la pressione delle masse, Cisl e Uil cominciarono ad appoggiare gli scioperi, (compresi) i primi scioperi economici nazionali. Negli anni Cinquanta, però, l’unità d’azione dei sindacati era ancora occasionale. 259) Grazie agli scioperi, i lavoratori conseguirono la revisione di alcuni contratti collettivi e un certo aumento dei salari. Furono aumentati gli assegni familiari, fu introdotta la scala mobile sulle retribuzioni, fu approvata una legge sulle assicurazioni sociali delle lavoratrici. 260) Tra il 1950 e il 1953 una delle forme di lotta furono gli scioperi con occupazione degli stabilimenti. Sotto la direzione di consigli di fabbrica appositamente costituiti, il lavoro negli stabilimenti continuava. I consigli richiedevano anche sussidi governativi per l’ammodernamento delle fabbriche, miniere o cantieri, minacciati di chiusura. Particolarmente imponenti furono le lotte operaie per la difesa della Breda, della Pirelli, 56 della Fiat e dell’Ansaldo. Nel 1950 gli operai e gli ingegneri della fabbrica di macchine “Reggiane” di Modena lavorarono per circa un anno, continuando a produrre macchine. Il movimento in difesa delle fabbriche si sviluppava nel quadro del Piano del lavoro che la Cgil aveva promosso nel 1949 e che comprendeva anche la rivendicazione d’una riforma industriale.[V.parr.144;191] Fallimento della "legge truffa" 261) Acc,XII,244 Disperando di poter conseguire la maggioranza assoluta alle elezioni politiche del 1953 i democristiani decisero di rivedere per tempo la legge elettorale in vigore. Alla fine del 1952 il ministro dell’Interno Mario Scelba approntò il progetto di una nuova legge elettorale, basata sul sistema maggioritario: il partito, o la coalizione di partiti, che avesse superato il 50 per cento avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi. Lo scopo era di limitare il carattere rappresentativo del Parlamento rafforzando, con ciò stesso, le posizioni della Democrazia cristiana, che non nascondeva il proposito di modificare la Costituzione conquistando i voti necessari. 262) I partiti comunista e socialista si impegnarono a fondo contro l’offensiva reazionaria. Un’ondata di comizi e di manifestazioni di masse, di scioperi contro la “legge truffa”, percorse il Paese. Contro il progetto si mobilitarono le forze democratiche al Parlamento. Il 30 marzo rispondendo a un appello della Cgil i lavoratori effettuarono uno sciopero politico generale nazionale. Nell'aprile del 1953 Nonostante l’ostruzionismo delle opposizioni la maggioranza democristiana riuscì a far passare la “legge truffa”, sostenuta anche dal partito socialdemocratico... 263) Le dimensioni assunte dalla lotta politica in difesa della democrazia permisero di mobilitare l’opinione pubblica contro questa legge e contro i suoi promotori. Alle elezioni del 7 giugno 1953. La coalizione governativa non riuscì a ottenere il numero dei voti necessario per assicurarsi i due terzi dei seggi al Parlamento. La “legge truffa” era fallita in virtù del voto popolare. Un anno dopo la legge fu abolita e al suo posto venne ristabilito il sistema elettorale proporzionale. 264) La lotta contro la “legge truffa” contribuì a far fallire il tentativo di instaurare il regime autoritario voluto dalla direzione del partito democratico cristiano. I risultati delle elezioni del 7 giugno 1953 segnarono un importante balzo a sinistra nella vita politica del Paese. Il Pci e il Psi ottennero 1 milione 400 mila voti in più del 1948, mentre la Dc ne perse quasi due milioni. Il partito governativo entrava in un periodo prolungato di crisi.Mac Smith,571 La Democrazia cristiana sui 590 seggi della Camera ne aveva ora 263 (contro i 305 della precedente legislatura) e si trattava di un gruppo indisciplinato, malsicuro, diviso in fazioni talvolta aspramente litigiose, talché in futuro l’appoggio di altri partiti sarebbe stato più necessario che mai. La crisi della politica di centro 265) Acc,XII,244-245 Dopo le elezioni del 7 giugno 1953 De Gasperi costituì un governo monocolore democristiano contando sull’appoggio in Parlamento da parte dei monarchici e dei neofascisti. Ma questo governo non resse neanche un mese. Il 2 agosto De Gasperi fu costretto alle dimissioni e scomparve ben presto dalla scena politica. Lo seguì il governo di Giuseppe Pella [conservatore e liberista], formato solo da democristiani, che durò fino al gennaio 1954, quando fu sostituito da Amintore Fanfani, rappresentante della corrente di centro-sinistra della Dc. Il 10 febbraio 1954 veniva formato un nuovo governo, diretto da uno dei più accaniti seguaci di De Gasperi, sostenitore della politica “di forza”, Mario Scelba. Al suo governo aderirono i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici. Al capo dei socialdemocratici, Giuseppe Saragat, venne affidato l’incarico di vicepresidente del Consiglio dei ministri. 266) Scelba riprese la violenta offensiva contro le liberta democratiche. Nel febbraio 1954 la polizia infierì su gruppi di dimostranti a Milano, uccidendo un operaio. Nella località siciliana di Mussomeli la polizia disperse una manifestazione di donne con l’impiego dei gas lacrimogeni. Quattro furono i morti e numerosi i feriti. Il 4 dicembre il governo annunciò l’intenzione di condurre la lotta contro il partito comunista e i suoi alleati sul piano amministrativo, discriminando cioè i cittadini sulla base delle loro idea politiche. 267) La continuazione della linea conservatrice “centrista” degasperiana, oltre che dall’ala destra della Dc, era sostenuta dai liberali e dai monarchici e godeva di un forte appoggio nel Vaticano. Un'altra linea politica, che in 57 una certa misura rifletteva le necessità oggettive dello sviluppo capitalistico del Paese e prevedeva riforme parziali e la programmazione statale dell’economia, faceva capo nella Dc ad Amintore Fanfani e Giovanni Gronchi. Al V congresso Fanfani fu eletto segretario politico della Dc, segnando l’inizio del fallimento della “politica centrista” di De Gasperi (che morì nell’agosto 1954). Nel maggio 1955 Giovanni Gronchi fu eletto presidente della repubblica. Nel suo messaggio alle Camere egli fece appello al rispetto della Costituzione e delle libertà civili, a una politica di riforme sociali e alla lotta contro la miseria e la disoccupazione. Il 6 luglio 1955 fu costituito un governo di coalizione con a capo Antonio Segni, rappresentante di una corrente moderata della Dc. Promulgò una legge contro gli evasori fiscali, un’altra sull’aumento delle pensioni, una terza sulle assicurazioni sociali per i lavoratori agricoli. Ma esso si oppose accanitamente alla riforma agraria generale e alla nazionalizzazione di una serie di settori industriali. Il 16 maggio 1957 il governo Segni cadeva, soprattutto per essersi rifiutato di accogliere il principio della “giusta causa” per impedire che i proprietari fondiari potessero violare i contratti senza fondati motivi. Fino al luglio 1958 seguì il governo monocolore di Zoli. Temporanea caduta del movimento operaio. Rottura del patto tra PCI e PSI 268) Acc,XII,245-247 La favorevole congiuntura economica del 1950-1953 aveva mutato l’ atteggiamento degli imprenditori, con l’introduzione del cosiddetto “paternalismo”. Nelle grandi aziende monopolistiche i padroni avevano istituito “premi antisciopero”, costruivano abitazioni a buon mercato per i lavoratori, asili infantili, e così via. Così riuscirono temporaneamente a spezzare il fronte unico degli scioperi e anche a indebolire l’influenza dei sindacati democratici. Era proprio su questo terreno che doveva mettere le sue radici in Italia l’ideologia del “neocapitalismo”, predicata dai capi del sindacalismo cattolico. 269) L’unita d’azione delle tre centrali sindacali, fu un’altra volta sostituita da un inasprimento della lotta tra di loro. Nel febbraio 1953 Uil e Cisl conclusero un patto per la formazione di un fronte unico contro la Cgil. Il numero degli scioperanti, da 4 milioni e mezzo nel 1953, nel 1954-1955 scese a meno di 2 milioni. Nel 1956 il numero degli iscritti alla Cgil era calato a 4 milioni. 270) Sul terreno politico, Pietro Nenni, era passato alla testa dell’ala riformista dei socialisti, la quale determinava la politica generale del partito. I socialisti si autoproclamarono gli unici assertori della democrazia socialista in Italia e cominciarono a parlare di “stabilizzazione duratura del capitalismo”, di “ristagno della lotta di classe” e di “stanchezza delle masse”. La “conquista dello Stato dall’esterno”, cioè con lo sviluppo delle lotte di massa assieme ai comunisti, sembrava all’ala destra dal Psi “senza prospettive” che si orientò alla “conquista dello Stato dall’interno”. 271) Nell’ottobre 1956 il Psi rompeva unilateralmente il patto d’unità d’azione con i comunisti. Nel febbraio del 1957 il XXXII congresso approvava la proposta di Nenni di rifiutare la collaborazione con i comunisti. Al congresso successivo, il XXXIII, tenutosi nel gennaio 1959, Nenni confermò il rifiuto dell’unità d’azione con i comunisti e dichiarò anzi che era necessaria una nuova politica, che differenziasse il Psi dai comunisti. Alla lotta di massa per una radicale trasformazione della società Nenni contrapponeva un blocco di vertice tra Psi e Dc allo scopo di avviare riforme sociali. La corrente di sinistra, formatasi al XXXIII congresso e diretta da Tullio Vecchietti, prese posizione contro l’alleanza con i democristiani o per l’unità d’azione politica con i comunisti. I sostenitori di Nenni ebbero la maggioranza e continuarono a dirigere il partito. Successivamente il processo di spostamento a destra del Psi fu un po’ rallentato dal movimento antifascista di massa, che nel luglio 1960 operò una temporanea saldatura tra i partiti operai e democratici. L’VIII congresso del PCI 272) Acc,XII,247-248 La IV conferenza nazionale dal Pci, nel gennaio 1955, aveva orientato il partito verso la lotta di massa per le riforme di struttura, per la nazionalizzazione di una serie di monopoli e per un controllo democratico sugli stessi. L’VIII congresso dal Pci, sulla base di un rapporto presentato da Palmiro Togliatti sulla “via italiana al socialismo” si svolse dall’8 al 14 58 dicembre 1956. Venne sottolineata in particolare la necessità di condurre, nel corso di un lungo processo rivoluzionario, lotte per profonde riforme di struttura. A differenza dai riformisti la forma fondamentale per l’attuazione di queste riforme di struttura doveva essere la lotta delle masse e non già compromessi di vertice. 273) Quale compito immediato l’VIII congresso pose al partito il problema della riforma agraria democratica in tutto il Paese, con la precisazione che la riforma industriale e quella agraria avrebbero dovuto essere indirizzate soprattutto contro il grande capitale, cioè tendere alla nazionalizzazione delle principali aziende monopolistiche, instaurando su di esse un controllo democratico. La lotta per le riforme di struttura avrebbe dovuto essere strettamente legata a quella per l’estensione nel paese della democrazia politica. 274) Il partito rilevava anche che la lotta per l’avanzata verso il socialismo richiedeva un fronte delle forze di sinistra, dirette dal proletariato, più ampio di quello che era stato possibile formare nel passato. In questo modo l’alleanza della classe operaia con tutti gli strati dei contadini lavoratori e con i ceti medi urbani non avrebbe avuto più un carattere tattico, ma avrebbe assunto un carattere strategico. Il congresso elesse nuovamente Palmiro Togliatti segretario generale del Pci. 275) Nel marzo 1956 si tenne il IV congresso della Cgil. Tenendo conto dei passi in avanti fatti dai movimenti sindacali socialdemocratico e cattolico, il congresso si pronunciò per l’unità d’azione non solamente alla base, ma anche al centro delle organizzazioni sindacali. Fu anche elaborato un piano concreto di lotta per le riforme, fu avanzata la richiesta di nazionalizzazione dell’industria elettrica, dell’industrializzazione del Mezzogiorno, del controllo sui prezzi, dello sviluppo democratico e antimonopolistico dei settori statali dell’industria, eccetera. 276) La fase di ristagno del movimento operaio e di quello democratico di massa stava per essere lentamente superata. Già nel 1957 si poteva notare una ripresa degli scioperi. Era anche ripreso il movimento per la trasformazione democratica delle campagne. La conferenza nazionale per la riforma agraria promossa nel 1957 e alla quale presero parte tutti i partiti di sinistra e la Cgil, segnò l’inizio di una nuova fase della lotta per la soluzione del problema della terra. La ripresa del movimento operaio e di quello democratico aveva lasciato il segno sulla dislocazione delle forze politiche del Paese, come doveva essere dimostrato dalle successive elezioni. Una nuova ondata di lotte di classe 277) Acc,XII,248-249 Le elezioni politiche del 25 maggio 1958 fecero crollare il mito della “crisi del comunismo” in Italia. Il Pci si aggiudicò 6 milioni 704 mila voti, quasi 600 mila in più rispetto al 1953. Il Psi, dopo la rottura del patto di unità d’azione con i comunisti, ne ebbe 800 mila in meno (4 milioni 208 mila voti). Il partito democristiano riuscì a ottenere la maggioranza: 12 milioni e mezzo di voti, pari al 42,3 per cento. Tuttavia esso non riuscì a ritornare livelli del 1948, quando deteneva in Parlamento il monopolio del potere. Nei diciotto mesi seguenti, l’Italia cambiò due volte il governo, dopo di che sopravvenne una acuta crisi governativa, provocata anche dalla ripresa del movimento operaio. 278) Mac Smith,571 Dopo Giuseppe Pella e Amintore Fanfani, che guidarono esperimenti temporanei di gabinetti monocolore, Mario Scelba e Antonio Segni riuscirono a formare coalizioni con liberali e socialdemocratici. Ciò che accadeva era in effetti che un certo numero di notabili appartenenti allo stesso partito, ciascuno con il proprio gruppo di seguaci, cercava di escogitare una sfumatura politica o tattica che gli permettesse la creazione di una nuova maggioranza. Ciascuna corrente democristiana aveva il proprio ufficio centrale, le proprie fonti di finanziamento e la propria agenzia di stampa; ma ciò che manteneva salda la sua identità non erano tanto gli obbiettivi ideologici, quanto la distribuzione di posti e la competizione per le lucrose leve del potere clientelare all’interno della macchina amministrativa. 279) Nel corso delle lotte economiche erano stati conseguiti nuovi risultati nel riavvicinamento dei sindacati. La Cgil, la Cisl e la Uil, avevano tracciato obiettivi comuni: aumenti salariali, riduzione della durata della giornata lavorativa, estensione dei diritti sindacali nelle imprese. Nel 1958 esse promossero assieme una serie di scioperi su scala nazionale. Nel 1959 e 1960 assunsero una particolare ampiezza gli scioperi dei siderurgici e dei metallurgici, dei tessili, degli edili, dei minatori, dei braccianti e dei mezzadri. In risposta ai 59 licenziamenti fu ripresa l’occupazione delle imprese. Nel 1959 fu occupata la “Galileo” di Firenze. Nel 1960 i minatori della Pertusola, in Sardegna, effettuarono un lungo sciopero sotto terra. 280) Il Pci e la Cgil cercavano di legare le lotte economiche della classe operaia a quelle per le riforme democratiche nel campo dell’industria e dell’agricoltura. Alla fine degli anni Cinquanta, al centro dell’attenzione non era più il movimento per la riforma agraria, ma la lotta contro il prepotere dei monopoli, per la nazionalizzazione di alcuni settori-chiave dell’industria e il controllo democratico sulla produzione. 281) I sindacati cattolici e quelli socialdemocratici incominciarono a loro volta a porsi il problema delle riforme sociali democratiche. Ma essi non vedevano una soluzione di questi problemi nelle lotte delle masse, bensì in compromessi di vertice con l’ala di “centro-sinistra” della Dc. 282) Le lotte di classe alla fine degli anni Cinquanta, il rafforzamento dell’unità d’azione delle masse lavoratrici e delle loro organizzazioni sindacali, l’inizio di azioni comuni per le riforme democratiche e sociali, approfondirono la crisi del sistema politico e resero attuale la necessità di un’alternativa democratica nello sviluppo del paese. L’attivizzazione dei neofascisti e il tentativo di formare un blocco reazionario di destra 283) Acc,XII,249-250 Contemporaneamente si stava assistendo a un consolidamento delle forze più squisitamente reazionarie. Il neofascista Movimento sociale italiano alle elezioni del 1953 aveva ottenuto 1 milione e mezzo di voti e portato il numero dei suoi deputati dai sei a 29. Alle elezioni del 1958 esso ottenne 24 seggi. I quadri del Msi erano costituiti in gran parte da ex-sostenitori di Mussolini che sognavano il ritorno a un regime di tipo fascista. Augusto De Marsanich, alla testa del partito dal 1949 al 1954, era stato ministro di Mussolini. Le posizioni ideologiche e programmatiche del Msi erano tratte in gran parte dalla cosiddetta Carta di Verona che i fascisti si erano dati ai tempi della “repubblica di Salò”. Il Msi si presentava come anticomunista all’estremo. Al suo III congresso del 1950 il Msi confermò la “vitalità dell’idea corporativa” e costituì l’organizzazione sindacale da esso controllata, la Confederazione italiana sindacati nazionali lavoratori -Cisnal- che doveva diventare la roccaforte del crumiraggio, della propaganda dell’ideologia della collaborazione di classe e del corporativismo. I neofascisti si rivelarono come i sostenitori più accaniti della politica di “solidarietà atlantica”. Il Msi aveva la propria base elettorale negli ambienti reazionari, negli exfunzionari dello Stato fascista, negli elementi più arretrati dei ceti medi urbani e rurali, specialmente nel Mezzogiorno. Esso prestava una particolare attenzione al reclutamento dei giovani. Nel 1950 i neofascisti avevano costituito il Fronte universitario di azione nazionale, diventato una organizzazione con un certo seguito. 284) Il Msi faceva di tutto per collegarsi alle altre forze parlamentari reazionarie: l’ala destra della Dc e i monarchici. Alle elezioni amministrative del 1952 la Democrazia cristiana e il Msi si presentarono in alcuni comuni assieme. Nell’agosto 1955 il Msi concluse un accordo con i monarchici, cementato dalla idea della “lotta per un forte Stato autoritario”. Nella primavera del 1960 si manifestò un' avvicinamento tra il Msi e l’ala destra della Dc. Nell’aprile Fernando Tambroni ottenne la fiducia grazie ai voti determinanti dei deputati neofascisti. Il movimento antifascista del luglio 1960 285) Mac Smith,573 La scelta di Tambroni dette un altro scossone all’intero sistema. In alcune cerchie era già stata ventilata l’idea che, per evitare la continua rotazione dei governi, bisognava modificare la Costituzione nel senso di un regime presidenziale sul modello di quello creato dal generale de Gaulle in Francia. Qualche incoraggiamento venne da Gronchi. Fu Gronchi a scegliere Tambroni come presidente del Consiglio. 286) Acc,XII,250-251 Il malcontento generale per la politica del governo Tambroni, alla fine di giugno del 1960 sfociò in un movimento politico di massa. Il Msi aveva tentato di organizzare il suo IV congresso a Genova. Genova, città medaglia d’Oro della Resistenza, lo considerava una provocazione, e il 30 giugno per iniziativa della Camera del lavoro e con l’appoggio di tutti i partiti antifascisti, fu proclamato uno sciopero politico di sei ore e una manifestazione alla quale presero parte circa 100 mila genovesi, e delegazioni antifasciste giunte da altre città. Le vie di Genova furono teatro di violenti scontri tra dimostranti e polizia. Vi rimasero feriti 40 dimostranti e 162 poliziotti. Il 1° luglio fu proclamato dalla Cgil uno 60 sciopero nazionale di solidarietà con i genovesi. I comunisti fecero appello al Parlamento. I neofascisti furono costretti a rinunciare al loro raduno. 287) Dopo aver fatto fiasco a Genova ai primi di luglio, i neofascisti tentarono delle sortite in altre città, incontrando pare ovunque una poderosa resistenza popolare. Il 5-8 luglio la polizia sparò sui manifestanti a Licata, Reggio Emilia, Palermo e Catania, provocando dieci morti e centinaia di feriti. I lavoratori risposero con azioni risolute. L’8 luglio, su appello della Cgil, scioperi politici ebbero luogo in tutti i grandi centri del paese. A Roma, Milano, Bologna, Napoli e in molte altre città 2 milioni di lavoratori scesero nelle strade recando striscioni con le scritte: “Abbasso il governo!”, “Abbasso il fascismo”. Il giorno successivo, sempre su appello della Cgil, fu effettuato in tutta Italia uno sciopero generale sostenuto dai partiti comunista, socialista, socialdemocratico e repubblicano. Il movimento antifascista assunse un carattere vasto, di massa, abbracciando tutto il paese, da nord a sud. Alle manifestazioni, ai comizi e agli scioperi si calcola abbiano preso parte circa 2 milioni e mezzo di persone. Alla classe operaia, che aveva preso la testa della lotta, si erano affiancati gli intellettuali progressisti e larghi strati di giovani. Nelle strade cittadine fece la sua comparsa la giovane generazione che si inseriva nella lotta politica. 288) Dopo lo sciopero generale dell’8 luglio, su proposta del presidente del Senato, Cesare Merzagora, il governo fece ritirare la polizia nelle caserme. La sinistra richiese con forza le dimissioni del ministero Tambroni, lo scioglimento del Msi e un’inchiesta sui delitti commessi dalla polizia durante gli avvenimenti di luglio. Il 18 luglio ebbero nuovamente luogo in tutta l’Italia comizi e dimostrazioni in appoggio a queste richieste. Il 19 luglio cadeva il governo Tambroni. [Le organizzazioni operaie erano state indebolite dalla deflazione e della crescita della disoccupazione; dalla scissione saragattiana; dalle scissioni sindacali; dal ritorno delle truppe sovietiche in Cecoslovacchia; dall'invasione della Polonia (1956); dalla denuncia dei crimini di Stalin nello stesso anno e la rottura da p arte dei socialisti del patto di unità: sembrava il momento buono per assestare un colpo decisivo al movimento operaio che, col crescere dell'economia, stava rialzando la testa. V.par.261,ss;280,ss.;307] 289) Il movimento di luglio fece fallire il tentativo dei circoli governativi di instaurare una dittatura clerico-fascista, diede un poderoso impulso alla lotta per la democrazia politica e sociale, stimolò il processo di rinnovamento della società italiana. I democristiani furono costretti a manovrare “da sinistra”. Il 26 luglio 1960 fu costituito il terzo governo Fanfani, un monocolore democristiano appoggiato da socialdemocratici e repubblicani. I socialisti si astennero. Il programma condannava il movimento neo-fascista e veniva proclamata l’intangibilità delle liberta democratiche. Però il governo confermava la posizione anticomunista dei democristiani. Il programma di riforme era oltremodo vago. I comunisti votarono contro la fiducia. Il governo era favorevole ai piani di integrazione politica ed economica dell’Europa Occidentale. La politica estera dell’Italia 290) Acc,XII,251-252 Il tratto dominante della politica estera dell’Italia rimaneva la fedeltà alla politica della Nato. Le forze democratiche italiane lottarono con coerenza contro la politica estera reazionaria del governo democristiano. Il Pci e il Psi condannarono ufficialmente l’aggressione americana alla Corea. I lavoratori italiani promossero manifestazioni di massa. Fecero lo stesso contro il viaggio in Italia dei generali americani Eisenhower e Ridgwav e contro la disponibilità dei porti italiani concessa agli USA. I portuali italiani rifiutarono di scaricare le armi americane che giungevano in Italia; 17 milioni di italiani firmarono l’appello di Stoccolma per la proibizione della bomba atomica. Il VII congresso del Partito comunista italiano, del 1951, aveva lanciato la parola d’ordine della creazione di un “governo di pace”, che liberasse l’Italia dagli obblighi della Nato. Nella prima metà degli anni Cinquanta, il Pci e il Psi, operarono insieme nella lotta per l’uscita dell’Italia dalla Nato. 291) La principale direzione della politica estera dell’Italia era quella rivolta all’integrazione militare dell’Europa Occidentale. Il governo italiano era stato il primo a ratificare il Trattato di Parigi del 1952 per la creazione della Comunità europea di difesa. Nel 1954 l’Italia entrò nell’alleanza europea occidentale, sorta sotto l’egida della Nato. Essa appoggiò nel 1955 l’ammissione della Rft nel Patto Atlantico e nel 1957 e sottoscrisse protocolli segreti di collaborazione con la Francia e la Rft nel campo degli armamenti. Nel marzo 1959 il governo italiano sottoscrisse, assieme a quello degli USA, un accordo per l’installazione sul 61 territorio italiano delle rampe di lancio per missili a media gittata. Nel corso del 1960 il governo italiano acconsentì alla dislocazione di truppe della Germania Occidentale in Sardegna. 292) La creazione del mercato comune rafforzò i maggiori monopoli italiani, che aspiravano ad avere più stretti rapporti con i monopoli della Rft, assumendo posizioni antifrancesi. I monopoli italiani erano entrati in concorrenza con gli altri Paesi per le fonti di petrolio in Medio Oriente. Nella discussione all’Onu sul problema di Suez, nel 1956, l’Italia sostenne i suoi amici della Nato. Le basi militari in territorio italiano furono utilizzate per l’aggressione anglo-americana contro il Libano e la Giordania. 293) Nella seconda metà degli anni Cinquanta, la tensione internazionale accennò ad attenuarsi. I dirigenti della Dc favorevoli al centro-sinistra proposero il “neoatlantismo”: estendere le funzioni della Nato oltre a quelle di un’organizzazione militare, a quelle di un’organizzazione politica ed economica. L’Italia, pur continuando ad avere una posizione subordinata, avrebbe dovuto assumere funzione di mediatrice per avviare contatti tra i due blocchi contrapposti. Tra il 1955 e il 1961 venne applicato con successo un trattato commerciale italosovietico a lungo termine. Un accordo fu concluso tra l’URSS e l’Eni per la fornitura da parte dell’URSS di petrolio, in cambio di prodotti sintetici e tubi di acciaio per oleodotti. Nel febbraio 1960 il presidente italiano Giovanni Gronchi effettuò una visita ufficiale nell’URSS. Le due parti, nelle conversazioni di Mosca, si pronunciarono per il disarmo totale e generale e per un ulteriore sviluppo relazioni economiche e culturali tra i Paesi. Venne firmato un accordo italo-sovietico su scambi culturali e scientifici. 294) Mac Smith,574-575 Nel 1958, fu eletto al papato l’anziano cardinale Roncalli, Giovanni XXIII. Papa Giovanni avrebbe grandemente attenuato quel conflitto tra clericalismo e anticlericalismo che aveva esercitato un’influenza così lacerante nella società italiana. La scomunica dell’estrema sinistra fu rinnovata nel 1959, ma Giovanni XXIII arrivò ad esortare la gerarchia a una cauta accettazione del partito socialista come possibile partner di governo. I diritti della coscienza individuale, che nel 1864 il Sillabo aveva condannato presentandoli quasi come un’eresia, vennero ora elogiati come una virtù cristiana. Nell’enciclica Mater et magistra del 1961, con la sua perorazione per la giustizia sociale, e poi nella Pacem in terris del 1963, con la sua invocazione della conciliazione internazionale e del dialogo con altre fedi e ideologie, papa Giovanni mostrò che la Chiesa poteva muoversi verso una collaborazione con la società laica. Il boom economico 295) Mac Smith,574-575 Il boom economico stimolò la discussione sull’intervento dello Stato e sulla pianificazione dell’economia, perfino alcuni liberali sostenevano che i metodi del laisser faire, non eliminavano né la disoccupazione né lo scarto tra Nord e Sud: soltanto il governo poteva creare quelle infrastrutture in cui il settore privato non era disposto a impegnarsi, e soltanto provvedimenti legislativi erano in grado di limitare lo sfruttamento dei consumatori da parte dei monopoli e quasi-monopoli privati. Anche se le attività economiche in mano pubblica erano in genere meno efficienti e redditizie di quelle private, l’azione governativa poteva però riuscire socialmente vantaggiosa approntando una legislazione antitrust e intervenendo là dove la libera iniziativa era inadeguata o socialmente nociva. Nel 1960, la Democrazia cristiana s’era ancor più allontanata dalla dottrina del laisser-faire. Il cosiddetto Piano Verde destinò ingenti fondi pubblici alla modernizzazione dell’agricoltura e al miglioramento delle condizioni di vita nelle campagne. 296) La corruzione della politica era in parte un’eredità del fascismo, la cui classe dirigente aveva spesso spudoratamente ignorato le leggi; e le vecchie abitudini erano difficili da estirpare. 576 Per molti anni dopo la scomparsa di Mussolini rimasero in vita numerosi enti statali e parastatali assurdamente anacronistici: l'organizzazione della gioventù fascista, la colonizzazione dell’Etiopia, l’amministrazione dei beni confiscati agli ebrei. Questi enti disponevano tuttora di fondi per coprire presunte spese amministrative. Inoltre, si crearono enti nuovi, in parte per manipolare fondi pubblici a fini politici: avrebbe aiutato a conquistare consensi elettorali e fornito stipendi a funzionari di partito e posti a possibili elettori. Nessuno sapeva quanti fossero; ma si trattava senz’altro di molte migliaia. Negli anni Cinquanta parecchie imprese del settore pubblico in espansione erano utilizzate come strumento della politica di partito. La convinzione largamente diffusa (era) che chi sceglieva la carriera politica lo faceva principalmente per motivi di tornaconto personale. 297) Tra i casi più clamorosi ci fu lo scandalo dell’Ingic, un ente incaricato della riscossione delle imposte locali; la costruzione dell’aeroporto di Fiumicino; la distribuzione della penicillina; l’Italcasse; l’Inps e il «sacco urbanistico di Roma». Altri ancora coinvolsero enti speciali monopolisti creati per l’importazione delle banane e del tabacco che potevano fissare arbitrariamente i rispettivi prezzi, comperando il silenzio o la collusione di ministri e delle guardie di finanza. Come sotto il 62 fascismo, erano i politici piuttosto che i manager di mestiere ad essere preposti a guidare holding gigantesche come l’Iri e l’Eni, ma anche la Rai e l’Alitalia. 298) 577 Perdita di efficienza manageriale, ma ricca fonte di posti per gli apparati di partito: le attività del settore pubblico vennero colonizzate da politici di secondo rango, anche i posti direttivi delle banche più importanti, tutte a proprietà statale. Non di rado, mancavano di qualunque competenza tecnica. A un livello più basso, la medesima prassi prese piede nel campo delle autorità municipali incaricate di controllare le assegnazioni di fondi agli ospedali, ai trasporti, al servizio di fornitura dell’acqua. Ma perfino ai livelli infimi era il clientelismo politico a governare l’assunzione di spazzini, uscieri e addetti ai parcheggi. Un immenso potere clientelare era inoltre legato al controllo dell’assegnazione delle licenze edilizie e dell’erogazione di pensioni, il tutto con oneri rilevantissimi per il contribuente. Già nel 1950 venne coniato il termine peggiorativo di «sottogoverno». (Tra il 1958 e il 1963), la magistratura chiese più di trecento autorizzazioni a procedere contro deputati accusati di corruzione, e di queste solo 51 furono concesse. La Corte dei Conti, già largamente esautorata da Mussolini che l’aveva posto sotto il diretto controllo dell’esecutivo, con una legge del 1958 (fu ulteriormente delimitata) nei suoi poteri. 299) Né i tribunali ordinari costituivano una barriera efficace contro le pratiche illecite. Il sistema giudiziario era lento e impacciato né i tribunali erano completamente liberi da interferenze del ministero della Giustizia. La Corte Costituzionale per molti anni continuò ad applicare il codice fascista in flagrante violazione della nuova Costituzione repubblicana: in un primo tempo confermò la discriminazione mussoliniana punendo l’adulterio della donna più severamente dell' adulterio dell’uomo; né, per molti anni, abrogò la legge fascista che criminalizzava la critica dell’ordine sociale e istituiva il reato di vilipendio delle autorità dello Stato. 300) 578-580 Il fallimento di Tambroni nel 1960 insegnò che un’alternativa possibile era di allargare la maggioranza a sinistra, includendo Nenni e i suoi ottantaquattro socialisti: 380 deputati, contro un’opposizione di 140 deputati comunisti e da una sessantina della destra. Come Cavour e Giolitti avevano mostrato in passato, alleandosi con gli elementi moderati della sinistra i governi potevano talvolta assorbire o indebolire un’opposizione «potenzialmente pericolosa». Un primo tentativo fu compiuto da Fanfani, che nel luglio 1960 successe a Tambroni come presidente del Consiglio, ma s’imbattè in rinnovate critiche dell’autorità ecclesiastica. Dopo qualche dubbio iniziale, papa Giovanni prevalse sulla mentalità conservatrice dei cardinali di curia. Nel 1962 il quarto governo Fanfani fu finalmente in grado di offrire una linea politica che i socialisti potessero accettare. Ma i dorotei preferirono Aldo Moro, più cauto. Nelle elezioni dell’aprile 1963 i comunisti fecero un balzo in avanti di un milione di voti. Fanfani cadde. Soltanto alla fine del 1963 i socialisti di Nenni accettarono di entrare in un gabinetto di coalizione e Moro dette vita a un governo in cui Nenni era vice-presidente del Consiglio. L'«apertura a sinistra» era una realtà. 301) La alleanza fu sigillata con la nazionalizzazione dell’industria elettrica. L’Edison, la più grande società del settore, godeva di un considerevole potere politico, che usava per sostenere la destra. All’interno della Confindustria le grandi aziende erano fortemente critiche: la nazionalizzazione avrebbe significato inefficienza e sarebbe servita a sistemare altre persone inesperte nominate dai partiti; gli azionisti dovevano essere pagati con denaro che sarebbe stato meglio impiegato in scuole e ospedali. Contro i controlli statali e la nuova imposta cedolare d’acconto sui dividendi, i ricchi si portarono fuori del paese centinaia di miliardi, in una gigantesca fuga di capitali che contribuì a provocare un crollo della Borsa. La Chiesa rivendicò l’immunità fiscale per i suoi ingenti possessi immobiliari, e il governo accondiscese 302) 581 La recessione economica -dopo il 1962- aveva anche origini più profonde: deboli governi incapaci di esprimere una politica economica; la carenza di manodopera qualificata con incrementi salariali che fecero aumentare i costi più velocemente della produzione. (Si produsse) un deficit nella bilancia dei pagamenti; e si parlò di una possibile svalutazione. La nuova alleanza di centro-sinistra si trovo obbligata a ridimensionare la sua politica riformatrice e ad adottare misure antinflazionistiche miranti a ridurre i consumi. I socialisti non potevano gradirla e presto si cominciò a scorgere una crepa nella coalizione. D’altro canto, qualunque ulteriore iniziativa riformatrice rischiava di essere accolta da un altro rifiuto dell'industria e delle classi abbienti SCHEDA: Il «prezzo» pagato per l'industrializzazione: 303) Barca,37-38 "Negli anni cinquanta, con una disoccupazione sempre assai elevata e con un sindacato diviso dalla secessione politica, le posizioni di forza sono a tutto vantaggio delle imprese che ne fanno ampio uso. Il tasso di disoccupazione è in Italia assai più elevato che nel resto d'Europa:7-9 per cento fra il 1950 e il 1958 (1-2 per cento in Francia; in Germania cala dall'8 al 3 per 63 cento). Assai più bassa che negli altri paesi è la dinamica salariale. Nel settore industriale, a fronte di una crescita della produttività del 4,6 per cento l'anno, le retribuzioni crescono in termini reali solo dell'1,3 per cento l'anno.(Germania 5,4%; Francia 4,7%; Usa 3,2%) La bassa dinamica salariale è fonte di elevati autofinanziamenti per le imprese. A una forte precarietà dei rapporti di lavoro, si accompagnano: l'uso del licenziamento anche con motivazioni anti-sindacali o politiche; l'esercizio di forme di controllo sulle scelte personali dei lavoratori e di discriminazioni politiche e ideologiche, spesso attraverso la collaborazione con i datori di lavoro da parte di autorità di polizia e prefetti; condizioni di vita assai inique, specie per lavoratori immigrati dal Mezzogiorno, alloggiati in quartieri dormitorio delle città industriali del Nord e del Centro: quando la disoccupazione prenderà a calare la crisi delle relazioni industriali si manifesterà in forme anche violente. Barca,70-72 Nel 1955, dopo la sconfitta della Fiom-Cgil per l'elezione delle commissioni interne della Fiat, si determina una svolta della politica sindacale che torna a ricercare un ruolo di rilievo per la contrattazione aziendale. Dal 1957 prende l'avvio la riduzione del tasso di disoccupazione (dal picco di 9,2% nel 1956 a 8; 7,3; e 5,2 per cento nei tre anni successivi). Nel 1957 viene rivalutato il valore del punto di contingenza nel meccanismo di indicizzazione automatica dei salari ai prezzi. Nel 1958 la Cisl di Torino -che aveva fin lì appoggiato le iniziative discriminatorie dei vertici Fiat- si oppone alle minacce di licenziamento contro i lavoratori candidati o scrutatori per la Fiom-Cgil...Nel 1959/59 Cgil e Cisl effettuano scioperi congiunti...La crescente tensione delle relazioni industriali raggiunge il culmine con la vertenza nazionale per il rinnovo del contratto metalmeccanico avviata a fine 1962: i gravi incidenti di piazza a Torino, nel luglio 1963, con la partecipazione attiva di giovani operai meridionali non sindacalizzati, accrescono la consapevolezza generale che un cambiamento è in atto nei rapporti di forza fra lavoro e capitale...Nel 1962 i margini di profitto medi delle medie e grandi imprese industriali subiscono una prima e significativa flessione; poco più della metà degli investimenti è coperta dall'autofinanziamento...Si assiste a scalate che, in assenza di una regolamentazione, non rispondono a requisiti di trasparenza, coinvolgendo il sistema bancario in funzione offensiva o difensiva...Le eccezioni alla separatezza fra banche e impresa si estendono e sono impiegate al fine di destabilizzare gli assetti di controllo, senza requisiti di trasparenza. Barca,398 La bolla speculativa dei primi anni sessanta, trasforma il boom degli investimenti in una ventata di inflazione seguita da un crollo degli stessi investimenti e da una feroce razionalizzazione industriale nelle seconda metà del decennio... Si sommano, impulsi di domanda provenienti dall'estero; spinte dall'interno indotte dal contemporaneo premere degli investimenti e dei consumi causati da forti concessioni salariali, e un' accelerazione della spesa pubblica per realizzare almeno una parte del programma di centro-sinistra. Nel sistema delle partecipazioni statali si avvertono o rischi di autoritarismo e di degenerazione del potere sovrano di cui godono i maggiori manager pubblici. Petri,188-193 (Il prodotto interno lordo negli anni 1951-1963 crebbe in media del 5,8%,toccando addirittura il 7% nel 1959-62, mentre i salari) "prima del 1962 aumentarono in media del 2%, contro il 10-11% degli investimenti. Tale dislivello si spiega col fatto che -fino alla fase ascendente del 1958-1964- disoccupazione, precariato, trasferimenti settoriali e migrazioni interne indebolirono i sindacati e la sinistra politica. La stabilità sociale veniva favorita dal "trattamento" di manodopera esuberante nei serbatoi dell'agricoltura, dell'edilizia e del terziario...Il ritardo dei salari sull'aumento globale della produttività, contribuì sua volta a ritardare, relativamente, lo sviluppo dei consumi e delle importazioni...nel corso del tempo anche la domanda prese slancio, fino a "governare" il ciclo finale del periodo considerato...I sindacati poterono rafforzarsi e trasformare la richiesta di recuperi salariali nella "spallata salariale del 1962-63"...i consumi collettivi, nel periodo 1959-63 crebbero a un tasso medio del 4,1% per anno, e quelli privati al 5,9%. Nel 1959-63 l'aumento dei consumi privati salì all'8% annuo. [ L' avventura di Tambroni -V.par.292- serviva a bloccare preventivamente questa spallata La mancanza di un meccanismo permanente di redistribuzione del reddito produceva, da una parte tentativi reazionari per ritardarla mediante azioni di forza e, dall'altra, a seguito del fallimento di questi tentativi, la concentrazione della redistribuzione in poco tempo con effetti negativi sull'economia, specialmente se uniti a "recuperi" degli aumenti salariali mediante inflazione, quando, con Guido Carli alla guida della Banca d'Italia, si allentò il rigore della stabilità monetaria]. Petri,196-197 " L'equilibrio della bilancia dei pagamenti saltò a causa sopratutto dei cresciuti e cospicui deficit verificatisi nella bilancia commerciale, a loro volta dovuti all'immissione nel mercato di nuova moneta (50% nel solo periodo 1960-63). Barca,104-105 L'incapacità di riformare il modello 64 italiano di capitalismo e, anzi, la degenerazione di alcuni suoi tratti coinciderà con un forte rallentamento della crescita. Ciò avverrà già sul finire degli anni settanta, prima che un simile fenomeno si produca nell'insieme dei paesi industrializzati, per effetto degli shock connessi al prezzo delle materie prime e alla crisi del sistema monetario internazionale..la produttività cessa di crescere proprio alla fine degli anni sessanta. 304) Petri,362-364 (Negli anni '90) non si tratta più di un paese in fase di industrializzazione, ma di una nazione che, dopo un breve passaggio di welfare state industriale, si trova in una fase di parziale deindustrializzazione e di terziarizzazione, in un contesto di crescente integrazione dei mercati commerciali e finanziari internazionali...Verrebbe da chiedersi se la creazione dell'Unione monetaria e la cosiddetta «globalizzazione» abbiano veramente richiesto all'Italia di abdicare, come ha fatto negli anni ottanta e negli anni novanta (a differenza di altri paesi consimili), a una vera politica industriale, e se sia stata corretta la dispersione a cuor leggero, nel nome delle privatizzazioni e della "deregulation", di alcune delle poche basi high tech tanto faticosamente accumulate nei decenni. Le prime avvisaglie di tale distruzione «risalgono addirittura alla metà degli anni sessanta, quando le strutture economiche più innovative che il sistema dell'economia mista aveva creato nel nostro paese non riuscirono a resistere all'attacco concentrato del potere politico, che nei decenni successivi ha provveduto, dopo lo scempio clientelare da esso stesso perpetrato, affinché si facesse piazza pulita -in nome della modernizzazione prima e dei criteri di Maastricht poi- delle chimica fine, della farmaceutica, della produzione di personal computer, e di varie altre capacità finanziarie e di progettazione, nonché di attività produttive, di ricerca e di sviluppo sopratutto nel campo della grande industria e nei settori attigui. L'Italia, ormai, si ritrova a dover fare ampio affidamento sui vantaggi comparati che la piccola e media impresa può vantare in determinati segmenti del mercato mondiale per lo più caratterizzati dal basso tenore tecnologico dei prodotti. Lo stivale rischia di dover concorrere in prevalenza con i paesi «emergenti», produttori di magliette scarpe, prodotti di moda, la cui competitività può far leva sull'abbondanza di forza lavoro giovane e disponibile a basso costo. Ripensando (a tutto questo) si comprende il rimpianto perché «la classe dirigente protagonista dello sviluppo industriale del paese si è dissolta». Emerge anche il «prezzo» pagato, in termini politici e sociali , per l'industrializzazione: bassi salari e basso livello di consumi, gerarchie sociali accentuate, dignità calpestate e per lunghi anni soppressione delle libertà di coalizione, di espressione, di organizzazione e di opinione, guerra e sofferenza, spaccature politiche dolorose tra guerra «calda» e guerra fredda, migrazioni e disagi sociali, e via elencando. [La situazione italiana è stata sempre e resta «disperata, ma normale» V.par.161] 65 TOGLIATTI La via italiana al socialismo - Editori Riuniti – II ed. febbraio1972 Per una nuova maggioranza (p.192/197) - dalla relazione al IX Congresso del Pci, 30 gennaio 1960 305) Noi siamo per il socialismo e lottiamo per esso, senza ombra di dubbio, come deve fare, se ha coscienza della sua missione storica, la classe operaia del mondo intiero. Prima di tutto però sia ben chiaro che lavoriamo e lottiamo perché, nella società dove viviamo e operiamo, vi sia un progresso economico e politico quale è richiesto dalla situazione presente, si consolidi la distensione, si attui il disarmo, si conquisti una pace permanente, si rompa il predominio del grande capitale monopolistico e dei gruppi reazionari e clericali, e le classi lavoratrici accedano al potere come forze determinanti. 306) Che hanno dunque a che fare questi nostri obiettivi con il socialismo? Alla questione non è difficile rispondere, quando si tenga presente che questi obiettivi si debbono realizzare con una serie di misure e di riforme, tanto politiche quanto economiche, che spero di essere riuscito a mostrare come costituiscano un assieme organico e unito. Qui sta la differenza tra la nostra posizione e quella, per esempio, delle vecchie correnti riformiste del socialismo italiano. I suoi obiettivi rimasero frammenti staccati, che non investivano in modo radicale le strutture economiche e politiche. Problemi di fondo, come quello del Mezzogiorno, quello contadino e persino quello del suffragio universale, o non furono visti, o trascurati, o posti in modo sbagliato. 307) Qualcosa di analogo stanno facendo oggi, nel movimento operaio e democratico, le correnti socialdemocratiche di destra. Quando abbandonano i principi del marxismo e rinnegano gli obiettivi fondamentali del socialismo, quando accettano le dottrine del capitalismo «popolare» e chiudono gli occhi a quella cruda manifestazione della lotta di classe che così chiaramente si esprime nella prepotente avanzata e nei propositi antidemocratici della grande borghesia; quando negano la realtà stessa delle rivoluzioni socialiste e dei regimi cui esse hanno dato vita e slancio, queste correnti si condannano a non più avere un organico programma di rinnovamento sociale. Diventano una opposizione senza spina dorsale e senza carattere, non possono più essere sicure neanche di un appoggio compatto della classe operaia, perdono la possibilità di staccare gli strati decisivi del ceto medio dalla influenza politica della grande borghesia. 308) Il rapporto che passa tra le misure di riforma politica e strutturale che noi proponiamo e i nostri obiettivi più lontani è lo stesso rapporto che si stabilisce, nel mondo moderno, tra democrazia e socialismo...Sappiamo benissimo che una nazionalizzazione, o questo o quello intervento dello Stato per un razionale sviluppo economico, o una estensione delle autonomie politiche, o un maggior benessere per i lavoratori non cambiano ancora la natura del regime e della società in cui viviamo. Cambiano però qualche cosa e possono anzi cambiare molto del modo come si sviluppa la lotta delle masse lavoratrici per conquistarsi un nuovo livello di benessere e una nuova dignità, per avere una parte nuova nella direzione della vita sociale e quindi per modificare tutti i rapporti di forza tra le masse operaie e popolari e le classi sfruttatrici. Ed è questa avanzata, sono i successi ottenuti in questa direzione che noi chiamiamo e che di fatto sono marcia verso il socialismo. La natura dell’ordinamento cambierà radicalmente solo quando saremo riusciti a cambiare le classi dirigenti della società e dello Stato. 309) Nessuno schema astratto e lontano dalla situazione reale italiana sta quindi davanti a noi, ma la ricerca di una nostra via di sviluppo, nella direzione in cui tutto il mondo oggi si muove. Sono anni e anni che noi lavoriamo a valutare le condizioni del progresso democratico e socialista in questi paesi occidentali di capitalismo molto sviluppato, ricchi di ceto medio produttivo e scossi da contrasti diversi da quelli di altri luoghi e di altri periodi storici. Per questo siamo in grado di confutare tranquillamente chi ci accusa di volere statizzare, da una notte all’altra, o da un anno all’altro, tutta l’economia, mettere fuori gioco tutti 66 gli artigiani, tutti gli esercenti, tutti i coltivatori diretti, tutti i produttori indipendenti. Queste sono pure sciocchezze. Combinazioni di differenti forme economiche sono inevitabili, in un paese come l’Italia; l’iniziativa del produttore singolo sarà per lungo tempo necessaria; il socialismo si assicurerà la preminenza e la guida disponendo di quelle leve di importanza decisiva che ora sono nelle mani della grande borghesia e dei giganteschi complessi monopolistici, ma non si servirà di esse per schiacciare il ceto medio produttivo, bensì per aiutarlo; le forme associate, imposte in parte già ora a molti produttori indipendenti dai progressi della tecnica, saranno libere, volontarie; la terra apparterrà davvero e soltanto a chi la lavora. 310) Noi ci muoviamo sul terreno della Costituzione e ad essa rinviamo tutti coloro che ci chiedono che cosa mai faremmo al governo. Abbiamo scritto nella nostra Dichiarazione programmatica e ripetiamo che si possono compiere «nella piena legalità costituzionale le riforme di struttura necessarie per minare il potere dei gruppi monopolistici, difendere gli interessi di tutti i lavoratori contro le oligarchie e farvi accedere le classi lavoratrici». 311) Abbiamo scritto e manteniamo che «esistono in Italia le condizioni perché, nell’ambito del regime costituzionale, la classe operaia si organizzi in classe dirigente, unendo, intorno al suo programma di trasformazione socialista della società e dello Stato, la grande maggioranza del popolo»...Tutta la nostra attività tende ad avanzare con un grande movimento di massa e attraverso di esso, e questo è metodo democratico. 312) Quali saranno, progredendo la nostra avanzata, le forme di questo movimento? Una risposta già si può avere guardando al passato. Chi, se non la brutale tirannide fascista, che aveva soppresso qualsiasi parvenza di democrazia e dato l’Italia in balia a un invasore straniero, costrinse la parte migliore del popolo a prendere le armi e organizzare l’insurrezione nazionale? In seguito, in regime repubblicano, la violenza è stata usata non da noi, ma contro di noi, contro gli operai che chiedevano lavoro, contro i contadini che volevano la terra, dalle bande dei mafiosi siciliani o dalle forze armate di uno Stato che stava perdendo il suo carattere democratico. Noi vogliamo procedere verso le nostre mete col metodo pacifico dell’agitazione economica e politica, dei grandi movimenti di masse operaie, contadine e di ceto medio, degli scioperi economici e politici, della libera manifestazione della volontà popolare. Coloro che non accettano questo metodo, se non quando viene loro imposto dalla imponenza stessa del movimento e delle conquiste democratiche realizzate, sono i gruppi reazionari, i nostalgici del fascismo, i magnati dell’industria e gli agrari che hanno ancora nel cassetto la camicia nera, i clericali arrabbiati, i privilegiati che non vogliono cedere nulla della loro ricchezza e del loro potere. Chi fa appello alla violenza è colui che nega e rende impossibile, con la sua attività o con le sue preclusioni, il progresso politico e sociale...Abbiamo dimostrato e dimostriamo che, al punto in cui ci troviamo, esiste una situazione internazionale e nazionale per cui, in un regime di pacifica coesistenza e di non intervento di forze estranee nelle nostre questioni interne, l’avanzata verso un ordinamento sociale nuovo e la costruzione di questo ordinamento possono compiersi in modo pacifico. Per ottenerlo impegniamo tutte le nostre capacità politiche e le nostre forze. Che questa prospettiva pacifica sia respinta dalla violenza della parte più reazionaria delle attuali classi dirigenti noi però non possiamo oggettivamente escludere e apertamente lo diciamo. 313) Le garanzie migliori di uno sviluppo pacifico del nostro impegno democratico debbono quindi essere cercate, prima di tutto, in quello che si fa oggi. Noi dobbiamo offrirle con il contatto e la discussione con i diffidenti. Dobbiamo far vedere a tutti che il volto della prepotenza e della intolleranza non è il nostro, ma quello dei nostri nemici. Dobbiamo far comprendere che alla democrazia noi non vogliamo togliere nulla, ma vogliamo anzi aggiungere molte cose. Gli istituti democratici dell’Occidente non sono il punto di arrivo della storia. La democrazia deve ulteriormente svilupparsi, forme nuove di controllo e intervento diretto dei lavoratori nell’ordinamento della produzione debbono essere attuate; la maggior parte di quello che è ora apparato statale di costrizione deve scomparire, per lasciare il posto, come già avviene nei più avanzati paesi socialisti, a libere organizzazioni di aiuto reciproco e controllo collettivo nei vari campi della vita civile. 67 314) Le migliori garanzie che noi diamo stanno nel nostro stesso impegno per stabilire, oggi, una grande alleanza di forze sociali appartenenti a campi diversi: operai, braccianti e contadini coltivatori; lavoratori manuali, tecnici e ingegneri; proletari e artigiani, esercenti, imprenditori piccoli e medi; masse ancora arretrate e incolte e maestri, professori, artisti, uomini di cultura. Non si tratta di alleanze di comodo, dove gli uni siano strumento degli altri. Si tratta dell’aiuto reciproco che questi gruppi di cittadini debbono darsi per risolvere le loro questioni vitali combattendo contro i privilegi economici e il potere del grande capitalismo e dei governi ad esso asserviti. Si tratta della preparazione e prefigurazione di quella unità del popolo e della nazione su cui si fonderà un regime socialista. 315) Questa è la base reale che apre in modo concreto la prospettiva di un governo democratico delle classi lavoratrici, un governo che realizzi un mutamento dei gruppi dirigenti governativi, non si fermi davanti a nessuna delle riforme che la Costituzione prescrive e attui una profonda trasformazione di tutti i metodi di direzione della vita nazionale. Questa è la via del progresso democratico e socialista che noi prevediamo. Capitalismo e riforme di struttura (p.263/268) - Da Rinascita, 11 luglio 1964 316) Le riforme di struttura, come via per lo sviluppo della democrazia e per aprire la strada alla costruzione di una società nuova, non sono né una invenzione nostra, né dei compagni socialisti, né del partito d’azione, né di alcun altro gruppo politico in modo particolare. Furono e sono parte integrante delle rivendicazioni programmatiche del grande movimento unitario della Resistenza. Questa non mirava infatti soltanto a liberare l’Italia dal fascismo, ma a impedire che un regime di reazione aperta potesse mai risorgere e a fondare, a questo scopo, una società nella quale fossero distrutte le radici della reazione e della conservazione sociale. Appariva perciò indispensabile una profonda trasformazione della organizzazione economica e politica nazionale e le grandi linee di questa trasformazione furono indicate nella stessa Costituzione dello Stato. Il momento originale di questa costruzione politica sta nella unità tra un programma di rinnovamento economico, e sociale e l’affermazione dei principi della democrazia come base incrollabile dello Stato repubblicano e norma da osservarsi in tutti i suoi successivi sviluppi. 317) Ma a quali forze poteva essere affidata la attuazione di questo grande piano di rinnovamento della società italiana? È evidente, per noi, che non poteva essere affidata ad altri che a un movimento e a una direzione unitari, cui partecipassero tutte quelle forze politiche e tutti quei gruppi sociali che avevano portato la Resistenza alla vittoria. Vi fu, invece, la rottura di quella unità, il prevalere del chiuso conservatorismo degasperiano, cui corrisposero quegli aggravamenti politici e quelle lotte che tutti ricordiamo. Il partito democristiano, assuntosi il compito di dirigere tutta la vita della nazione, dovette fare i conti con i vecchi gruppi dirigenti borghesi, che alla Resistenza non avevano contribuito se non per eccezione e che pretesero di riavere, come nel passato, il dominio incontrollato della vita economica. La natura e gli orientamenti tradizionali di questi gruppi vennero subito alla luce. L’esasperato anticomunismo, che sembrava rendere ormai impossibile l’attuazione dei propositi politici della Resistenza, fu di loro piena soddisfazione. Lo alimentarono e ne furono alimentati. A quella parte del partito democristiano che, passata anch’essa attraverso la Resistenza o ispirata da proprie idealità sociali, non aveva rinunciato a propositi economici e politici rinnovatori, non rimase che accontentarsi di un vago riformismo borghese, anch’esso, però, continuamente contestato e limitato nei tentativi di pratica applicazione. 318) Sorge infatti a questo punto una questione fondamentale: in quale misura i gruppi dirigenti della grande borghesia italiana, industriale e agraria, sono disposti ad accogliere anche solo un complesso di moderate misure di riformismo borghese? In quale misura, cioè, è possibile, in Italia, un riformismo borghese? Invitiamo gli studiosi di storia e di economia ad approfondire questa questione, che è di decisiva importanza non tanto per giudicare il passato quanto per tracciare le linee di un prospettiva. La questione è strettamente collegata a quella delle sorti di un partito socialdemocratico, che in Italia non è mai riuscito ad avere la stessa parte che in altri paesi europei, e degli altri partiti di lavoratori. È sulla struttura stessa del capitalismo italiano che è necessario concentrare l’attenzione. Essa è tale, per formazione e tradizione storica e per indirizzi di politica economica seguiti per decenni, che il processo della accumulazione è condizionato dalla 68 arretratezza e dalla mancanza di sviluppo di una metà del territorio nazionale, dalla sovrabbondanza di mano d’opera e quindi dal livello tremendamente basso dei salari e, infine, da un artificioso sostegno concesso dallo Stato al ceto privilegiato ai danni di tutta la collettività (protezionismo, commesse costose, politica tributaria, ecc.). Sono quindi presenti e contribuiscono alla ricchezza dei gruppi borghesi capitalistici vastissime zone di sovraprofitto e di rendita, alla cui difesa attende efficacemente la politica economica governativa. Su una struttura di questo genere è stato sempre assai difficile, anche da parte di chi forse lo avrebbe voluto, innestare una politica di riformismo borghese. Da questa struttura uscì invece il fascismo. Ma in quale misura ha essa subito, oggi, una trasformazione? 319) Subito dopo la liberazione, la grande borghesia esportò capitali e non partecipò alla ricostruzione economica se non quando poté essere sicura del proprio predominio. Anche la riforma agraria fu avversata, ridotta a un minimo indispensabile: non si doveva rompere la cerniera del blocco industrialeagrario. Un lungo periodo di disoccupazione di massa e quindi di difficile sviluppo vittorioso del movimento sindacale e, infine, la congiuntura internazionale prepararono e resero possibile il famoso «miracolo», che mutò i rapporti reciproci, all’interno dell’economia nazionale, tra agricoltura e industria, ma non dette luogo a nessuna modificazione delle strutture sociali di fondo. I momenti di progresso che si sono affermati (accesso al lavoro delle donne, parità salariale, riduzione della disoccupazione, ecc.) hanno quindi mantenuto un carattere abbastanza aleatorio. L’emigrazione all’estero e le imponenti e pesanti trasmigrazioni interne hanno avuto, d’altra parte, una importanza decisiva per tutto lo sviluppo economico. La capacità di concorrenza sul mercato mondiale si è affermata in un primo tempo, ma ora tende di nuovo a scomparire. Per consolidarla sarebbe infatti occorsa una rinuncia del grande capitale di tipo monopolistico alla tradizionale ricerca di sovraprofitti immediati, alla caccia alle posizioni di rendita e all’altrettanto tradizionale disfattismo di fronte ai pur molto velleitari propositi di riforma del centro sinistra. Per la nazionalizzazione elettrica furono imposte, a favore delle società espropriate, condizioni tali da sfiancare l’economia nazionale per un buon numero di anni. La creazione di un vasto settore di economia pubblica è, senza dubbio, cosa nuova e importante, ma sino ad ora non si è riusciti a modificare, utilizzando questo settore, il processo dell’accumulazione: anzi, non lo si è nemmeno tentato. Il settore pubblico non è stato capace di contestare le leggi del settore privato. 320) In sostanza, la sola azione sistematica volta a intaccare le strutture e coronata da un successo non trascurabile è stata, in tutto questo periodo, la lotta dei sindacati per l’aumento dei salari e l’accrescimento del loro potere contrattuale. La sola riforma effettiva delle strutture è stato quel tanto o poco di aumento delle retribuzioni che il movimento sindacale è riuscito ad imporre. Non per niente proprio in questa direzione si è scatenato l’attacco di tutto il mondo capitalistico e attorno a questo problema è venuta a maturazione la crisi attuale. 321) Di conseguenza, se la sostanza democratica del regime conquistato con la vittoria della Resistenza non ha potuto essere intaccata, nonostante i ripetuti tentativi di limitarla o annullarla (offensiva scelbiana, legge truffa, leggi capestro proposte da De Gasperi, tentativo tambroniano, ecc.) e non ostante i propositi e le minacce anche del giorno d’oggi, il piano di riforme della struttura economica è rimasto sino ad ora quasi esclusivamente un piano. Si è cosi creato nella società italiana uno squilibrio, diventato oggi evidente più che nel passato. È uno squilibrio non solo tra un piano costituzionale e una realtà, ma tra questa realtà e le aspirazioni delle grandi masse lavoratrici. D’altra parte, se la sostanza del regime democratico è stata salvata, lo si deve alla vigorosa azione condotta da queste masse nel corso di due decenni. E se a un certo punto si è creato un movimento di opinione pubblica che rivendicava l’immediato inizio di una azione di riforma e rinnovamento economico e sociale, è stato perché da tutte le forze economiche e sociali, da tutte le forze sinceramente democratiche è partita una profonda critica del vecchio ordinamento economico e la richiesta almeno di un inizio di applicazione integrale della Costituzione. 322) Questo è dunque, per ora, il nostro punto di arrivo e il nostro punto di partenza. Una valida e profonda riforma delle strutture non si può ottenere se si crede di potervi arrivare senza una lotta politica che contesti il predominio economico del vecchio ceto dirigente capitalistico. Ciò 69 vuol dire che sono necessarie, se si vuole andare avanti, una lotta politica e una mobilitazione di opinione pubblica ampie e decise. Questa nostra richiesta non ha dunque niente a che fare né col «massimalismo », di cui si parla tanto a sproposito, né con gli errori che furono commessi, sia dal movimento socialdemocratico sia da quello comunista, di fronte agli attacchi della reazione nel periodo tra le due guerre. Si sbagliò, allora, per l’assenza di obiettivi concreti di un grande movimento delle classi lavoratrici e per la mancanza di unità del campo democratico e prima di tutto della classe operaia. Questi sono invece, oggi, gli obiettivi che noi proponiamo a tutti, mentre in ogni modo lavoriamo e lottiamo per realizzarli. Il Partito - Editori Riuniti – II ed. febbraio1972 La nostra lotta per la democrazia e il socialismo (p.111/125) - dal discorso alla Conferenza nazionale di organizzazione del Pci, 10 gennaio 1947 323) ...Il Partito comunista italiano...è diverso da quello che esso stesso è stato in passato. È un partito di massa, ma in pari tempo è una forza dirigente. È un partito che si interessa di tutte le questioni che stanno a cuore di tutti gli strati di masse lavoratrici, ma se ne interessa non solo per criticare, bensì per risolvere concretamente e rapidamente tutte le questioni. È un partito che lotta e costruisce nello stesso tempo; che conquista le masse non solo attraverso la propaganda e l'agitazione, ma attraverso un'attività costruttiva che si esplica in tutti i campi: governativo, municipale, sindacale, cooperativo, e in tutti i rami dell'attività sociale... 324) Non possiamo rimanere legati alla vecchia posizione settaria di coloro che nel 1919-20 ci dicevano di organizzare prima il partito, che una volta organizzato il partito si sarebbe pensato a organizzare la rivoluzione. Partito e rivoluzione, partito e movimento delle masse, si devono organizzare contemporaneamente. Naturalmente la soluzione di un problema simile non la si raggiunge di colpo. Per questo non siamo arrivati ad essere subito quello che avremmo voluto essere, né possiamo dire di esserci già arrivati. Il congresso dell’anno scorso ci ha fatto fare un primo passo. Questa conferenza ci farà fare un passo, credo, ancora più grande. 325) E qui le questioni politiche diventano questioni di organizzazione. Ho però avuto l’impressione che qualche compagno ne parlasse ancora in modo un po’ strano, come se continuasse a credere che l’organizzazione comunista sia un’arte che possa riassumersi in qualche formuletta astratta, staccata dalla vita. Non è così: noi abbiamo dei principi fondamentali, i quali sono essenzialmente principi di interpretazione della realtà e quindi di guida nell’azione politica, ma l’arte dell’ organizzazione comunista si riduce a qualche cosa di molto semplice. Bisogna prima di tutto conoscere gli uomini, conoscere a fondo i quadri e i militanti di partito, allo scopo di poterli mettere tutti al loro giusto posto di lavoro, là dove le loro capacità e qualità si possono esplicare in pieno, possono rendere il massimo in tutte le direzioni. Poi bisogna conoscere il paese, o la regione, o la città, o il villaggio dove si lavora; bisogna conoscere le masse lavoratrici, i loro interessi, i loro bisogni, e bisogna riuscire, disponendo bene gli uomini e fissando loro giusti compiti di lavoro, a ottenere che essi siano attivi sulla linea tracciata, che sviluppino sempre più la loro iniziativa, in modo che tutto il partito diventi veramente quello che deve essere: un’organizzazione di avanguardia, uno strumento di lotta continua per la direzione di tutti i combattimenti delle masse lavoratrici per i propri interessi e per le proprie rivendicazioni. Qui è tutta l’arte dell’organizzazione e naturalmente non vi sono in essa formule fisse, come non vi sono formule definitive. Bisogna marciare avanti in ogni momento e in ogni momento riuscire a capire quale è la cosa più importante da farsi per organizzare il partito come partito d’avanguardia, come strumento di direzione, come organo di combattimento. 326) Su questa traccia fondamentale obbligatoriamente generica ci siamo sforzati di precisare quali sono i nostri compiti fondamentali di oggi, e di scoprire quali sono i nostri difetti, e mi pare che la conferenza li abbia individuati così: Siamo già un partito di massa, dobbiamo acquistare anche le principali qualità di 70 un partito di quadri, il che vuol dire che dobbiamo aumentare decisamente il numero dei quadri del partito, migliorare decisamente il loro lavoro e realizzare in pieno la parola d’ordine che tutti i comunisti debbono avere un compito e adempierlo scrupolosamente. Nel partito c’è lavoro per tutti; nel partito tutti debbono lavorare. Naturalmente questi obiettivi fondamentali non si raggiungono soltanto dando al partito in qualsiasi modo nuove formule di organizzazione. Essi si raggiungono prima di tutto elevando il livello ideologico di tutto il partito e principalmente dei suoi quadri. Su questo punto desidero soffermarmi per sottolinearne tutta l’importanza. Senza una dottrina rivoluzionaria non esiste partito rivoluzionario. Senza una dottrina di avanguardia, non esiste partito di avanguardia. Nel nostro partito queste verità sono state un po’ dimenticate. Da ciò deriva che oggi si legge, si studia, si lavora teoricamente troppo poco. Non crediate però che io dica questo solo come critica alla massa dei compagni. La critica è rivolta a tutti i nostri quadri, di cellula, di sezione, di federazione e anche del Comitato centrale e della direzione del partito. In ognuna di queste istanze si legge e si studia troppo poco e ciò avviene proprio in un momento in cui lo studio è necessario più che mai. 327) Se è sempre stata necessaria a un partito comunista, infatti, un’intensa attività ideologica, questa è indispensabile nel momento presente, dato il punto di sviluppo a cui si trova il movimento operaio non solo nel nostro paese ma internazionalmente, e per il punto di sviluppo a cui si trova il marxismo stesso. Il marxismo, lo avete letto dappertutto, non è un dogma, un catechismo, ma è una guida per l’azione. Ora l’azione della classe operaia oggi è arrivata a un punto tale che per svilupparsi deve seguire strade nuove, che non sono state ancora battute nel passato. Tracciare queste strade, prevedere il modo come esse si possono sviluppare e batterle con passo sicuro, è ciò che devono riuscire a fare oggi i dirigenti di un partito operaio marxista. Non si possono ripetere le impostazioni e le formule del passato: bisogna saper creare qualcosa di nuovo, attraverso un’azione politica e di organizzazione adeguata alle condizioni nazionali e internazionali in cui si sviluppa in tutto il mondo la lotta per la democrazia e per il socialismo. L’esperienza internazionale ci dice che, nelle condizioni attuali della lotta di classe nel mondo intiero, la classe operaia e le masse lavoratrici di avanguardia possono trovare, per arrivare al socialismo, -cioè per arrivare a sviluppare la democrazia fino al limite estremo, che è precisamente quello del socialismo-, strade nuove, diverse da quelle, per esempio, che sono state seguite dalla classe operaia e dai lavoratori dell’Unione Sovietica... Nella Jugoslavia esiste oggi un regime democratico avanzato, il quale si sviluppa nella direzione del socialismo; ma non esiste un regime uguale a quello che esisteva nella Russia dei soviet dopo la rivoluzione di ottobre. Non si può dire che in Jugoslavia esista la dittatura del proletariato, non esistono i soviet; esistono invece forme nuove di organizzazione del potere che si potrebbero tradurre nella formula generale di democrazia popolare, ed esistono organismi nuovi, creati attraverso la lotta di liberazione nazionale, i quali servono alle grandi masse popolari per esercitare la loro sovranità...Se la democrazia italiana avesse potuto svilupparsi mantenendo in piedi i Comitati di liberazione nazionale come organismi di contatto fra i differenti partiti e come organi di lotta per la democratizzazione del paese e base di un potere nuovo, anche noi avremmo avuto qualche cosa di simile, ma solo per alcuni aspetti, a quello che è avvenuto in Jugoslavia. 328) Vi sarebbe però stata una grande diversità, perché il Fronte di liberazione iugoslavo è diverso dal movimento di liberazione italiano, in quanto quello è un organismo di massa, mentre questo, il nostro, era un movimento fondato su una federazione di partiti. Ma quella strada l’Italia non ha potuto prenderla e non per ragioni dipendenti dalla debolezza del movimento di liberazione nazionale, bensì per ragioni internazionali. Se l’avessimo presa, anche quella sarebbe stata una strada diversa, nuova...Noi vediamo cioè che in ogni paese, in rapporto con le diversità di sviluppo del capitalismo, in rapporto con le tradizioni e le caratteristiche nazionali, e in rapporto anche con la posizione che questo paese ha avuto nel corso della grande guerra mondiale, la marcia verso la democrazia e verso il socialismo assume forme particolari. 329) È nostro compito acquistare quella capacità ideologica, politica e di organizzazione che ci permetta di trovare la via nostra, la via italiana, la via che è dettata dalle particolarità, tradizioni 71 e condizioni del paese nostro, di sviluppo della democrazia e di lotta per la realizzazione delle più avanzate riforme democratiche e per il socialismo. Questo compito non potremo assolverlo se il lavoro ideologico del nostro partito non diventa qualche cosa di collettivo, qualche cosa cui diano un contributo i quadri vecchi e nuovi del partito; cioè se nel partito non ci si mette a studiare di più. E che cosa bisogna studiare? Prima di ogni altra cosa bisogna studiare quella che è la nostra dottrina fondamentale, la dottrina politica della classe operaia: il marxismo, il leninismo , bussola che. ci ha diretto per venti anni della nostra storia e che ci dirige ancora per trovare la strada giusta, la strada italiana della lotta per la democrazia e il socialismo. Anche il marxismo e il leninismo, però, dovranno essere studiati bene, non per apprendere formule astratte, ma per imparare a distinguere una situazione dall’altra, per vedere come in situazioni diverse abbiano saputo muoversi i grandi maestri della politica proletaria, per imparare l’arte difficilissima di cogliere il generale e il particolare e di adeguarsi a quest’ultimo senza perdere di vista mai le mete supreme. Oltre a questo ritengo necessario che la formazione ideologica dei nostri quadri vada anche in altre due direzioni: la prima è quella dello studio più approfondito della storia del nostro paese, che noi non conosciamo abbastanza, che le giovani generazioni ignorano completamente o quasi, perché l’hanno appresa soltanto attraverso le falsificazioni retoriche, idealistiche, monarchiche, nazionalistiche e via dicendo. Dobbiamo ristabilire la verità, imparare come la storia del nostro paese è storia di lotte di classe e individuare attraverso a queste lotte lo sforzo democratico delle forze avanzate, progressive, della borghesia prima, poi dei contadini, degli operai, ecc., per riuscire a democratizzare l’Italia. Quindi dobbiamo individuare esattamente quali sono le tradizioni nazionali che noi continuiamo e quali sono quelle che respingiamo perché non sono nostre, perché sono ancora oggi una palla di piombo legata al piede del popolo italiano, e particolarmente un peso morto che impedisce a una parte molto grande degli intellettuali di progredire, di accostarsi alla classe operaia, di esercitare una funzione progressiva nello sviluppo della lotta politica. La seconda direzione in cui deve pure muoversi la formazione ideologica dei nostri quadri è quella dello studio approfondito dell' esperienza internazionale del movimento operaio e del movimento comunista, prima di questa ultima grande guerra, durante e dopo di essa...numerosi episodi decisivi della lotta internazionale per la democrazia e contro il fascismo sono ignorati, ignorati soprattutto dalle giovani generazioni, ignorati dalla massa di coloro che si occupano di politica, ignorati da una grande parte degli intellettuali. È nostro compito farli conoscere, ed è nostro compito di comunisti elaborare a fondo queste esperienze allo scopo di riuscire noi stessi a progredire e nella misura delle nostre forze -scusate l’espressione forse un po’ ambiziosa- dare un contributo allo sviluppo di quel marxismo vivente il quale non è altro che la elaborazione generale delle esperienze di lotta della classe operaia di ogni paese e dei singoli popoli per la emancipazione del lavoro, per la democrazia e per il socialismo... 330) In realtà non vi è da spaventarsi se qui sono state presentate soluzioni diverse per problemi che in parte ci si presentano per la prima volta. Soprattutto è da tener presente che del tutto nuovo è il problema del modo come si dirige operativamente un grande partito di massa come il nostro, di 2 milioni e 200 mila iscritti e del modo come questo grande partito di massa riesce a organizzare la propria attività in tutte le direzioni, cioè nella direzione di tutti gli strati sociali che esso vuole dirigere e influenzare. Il problema è veramente nuovo, e nella storia del movimento operaio e anche nella storia del bolscevismo, prima della conquista del potere, una soluzione bella e fatta non la troviamo. Dobbiamo elaborarla noi attraverso la nostra esperienza e studiando le esperienze degli altri partiti. Quindi non vi è affatto da scoraggiarsi se qui sono state espresse alle volte opinioni contrastanti. Alla fine dovremo arrivare e stiamo già arrivando a conclusioni abbastanza chiare. 331) La prima conclusione e forse la più importante mi pare sia che le forme di organizzazione del partito devono essere le più semplici che sia possibile. La nostra formazione di base, che è la cellula di officina o di strada, deve essere semplificata in modo tale che possa venire diretta da un nucleo non più grande di tre o cinque compagni. Per questo, quando sentiamo ancora parlare di cellule le quali hanno 2.000, 4.000, 6.000 iscritti, dobbiamo immediatamente dire che queste non sono cellule ma qualcosa di diverso: sono un complesso di 72 cellule, possono essere o diventare una sezione se volete, a seconda delle necessità e a seconda delle condizioni locali, ma non si tratta e non si può più trattare di una cellula sola. I compagni che dirigono una cellula devono poter quasi conoscere personalmente tutti i membri della cellula stessa. Deve esistere la possibilità di un controllo reciproco fra questi compagni. Tutto questo esige che, senza tornare in nessun modo ai gruppi di cinque o di tre che esistevano ai tempi della illegalità perché sarebbe assurdo, sia mantenuto alle cellule questo carattere di organizzazione numericamente ristretta. 332) In seguito dobbiamo sforzarci di creare il minor numero possibile di gradi, di istanze intermedie di partito, in modo da mantenere l’efficienza della direzione. Ammetteremo però quelle istanze intermedie che appariranno indispensabili per una buona e continua direzione operativa. 333) Fra le differenti istanze ci interessa oggi particolarmente la sezione. Alla sezione bisogna dare un’attenzione più grande di quella che si è data finora. La sezione non deve essere più soltanto un gradino burocratico, e soprattutto il comitato direttivo di sezione e i dirigenti di sezione non devono essere soltanto delle specie di cassette postali per ricevere circolari e trasmettere ordini e disposizioni amministrative. Essi devono diventare organismi politici dirigenti nel senso pieno della parola. I comitati di federazione dovranno quindi dare all’inquadramento giusto delle sezioni quella attenzione che noi diamo all’inquadramento delle federazioni stesse, cioè curare che a capo di ogni sezione ci siano uomini o per lo meno un uomo il quale garantisca la direzione politica dell’attività del partito là dove la sezione esiste, agisce e funziona. 334) Stabilito questo quadro generale di organizzazione, si dovranno studiare con la più grande attenzione tutte le forme di lavoro del partito, in modo da moltiplicarle, e soprattutto in modo da aumentare il volume del lavoro elementare di partito il quale può essere compiuto anche da compagni scarsamente qualificati, in contatto con determinati gruppi della popolazione. Naturalmente le forme di lavoro del partito sono molteplici e io non voglio qui intrattenermi a parlare di tutte, del lavoro sindacale, di quello municipale, del lavoro per la diffusione della stampa, del lavoro fra le donne, fra i giovani, fra le ragazze, ecc. Di tutto qui si è parlato e cercheremo di elaborare per ogni campo di attività istruzioni complete, le quali diano un contributo al miglioramento di tutta l’attività del partito in tutti i suoi settori. Se vogliamo però realizzare la direttiva che nel partito c’è lavoro per tutti e tutti nel partito devono lavorare, l’essenziale è di moltiplicare le forme di lavoro più elementari di diffusione dei contatti del partito con tutti gli strati della popolazione. Le esperienze già fatte dovranno essere diffuse. Nuove esperienze si dovranno fare. 335) È verissimo che, in relazione col volume che stanno assumendo le nostre attività, i nostri quadri sono troppo pochi; è vero però anche che in parte ciò avviene per difetto nostro. In molte organizzazioni la politica dei quadri viene ancora condotta in modo ristretto. Si pongono ancora barriere artificiali allo sviluppo dei quadri e soprattutto alla promozione dei più giovani militanti dei partito. Inoltre, abbiamo un difetto di quadri perché non sviluppiamo il lavoro del partito in tutte le direzioni e quindi non sviluppiamo le capacità di tutti i compagni, anzi non le mettiamo nemmeno alla prova. Io sono sempre dell’opinione che in una organizzazione dove vi è un gran numero di compagni inattivi, è vero che una gran parte della colpa ricade su questi compagni che dovrebbero sentire il dovere di essere attivi, ma è vero altresì che in moltissimi casi la colpa è dei dirigenti, incapaci di organizzare l’attività di tutti i compagni, scegliendo e indicando a ciascuno un campo di lavoro, nel quale egli possa esplicare la propria attività e svilupparsi. Nella direzione dei quadri più giovani si commettono ancora seri errori, e soprattutto nel Mezzogiorno. Vi sono ancora vecchi compagni dirigenti, diciamo pure vecchie bandiere cariche di gloria e di tutto quello che si vuole, i quali costituiscono un ostacolo allo sviluppo del partito perché non aprono la strada all’avanzata dei nuovi quadri e, quando quadri giovani avanzano, incominciano a lavorare e commettono un errore, li criticano in modo tale che li demoralizzano e spingono indietro. Queste abitudini devono essere liquidate, e soprattutto nel Mezzogiorno, dove è verissimo che l’avanzata di qualche quadro giovane alla testa di sezioni numerose può significare il capovolgimento di una situazione in un villaggio o in una zona determinata, là dove i vecchi quadri non riescono più a realizzare una funzione dirigente nei confronti di tutto il popolo. Bisogna dunque fare avanzare gli elementi giovani, e quando essi commettono errori 73 bisogna criticarli, ma in modo che li incoraggi. Bisogna criticare in modo più aspro i vecchi quadri di partito che non i giovani... 336) Abbiamo in Italia gruppi numerosi di intellettuali cui ci dobbiamo avvicinare per comprendere la loro mentalità e le loro esigenze...L’opera di attrazione e direzione degli intellettuali deve esser svolta in forme speciali, quali sono richieste dalle particolari caratteristiche di questi gruppi sociali. 337) Sono stati dedicati alcuni interventi anche ad esaminare i problemi della direzione del partito, e le critiche che sono state fatte sono giuste nella maggior parte: la direzione del partito le accetta e si sforzerà di lavorare in modo più adeguato ai bisogni della organizzazione. Desidero tuttavia attirare la vostra attenzione su alcuni elementi di fatto e prima di tutto sul modo come la direzione storicamente si è costituita attraverso lo sviluppo più che ventennale del partito e attraverso differenti periodi di lotta, nei quali gruppi di compagni diversi si sono formati come dirigenti. È evidente e chiaro per tutti che la direzione del partito è oggi unita, compatta, omogenea; però questo risultato è stato ottenuto attraverso un determinato lavoro, che ha richiesto una determinata attività di direzione, da svolgersi con cautela...dobbiamo evitare il pericolo di personalizzare troppo la direzione, la quale deve essere sempre una direzione collettiva...occorre che la direzione faciliti ai giovani compagni lo sviluppo delle loro capacità direttive... 338) Ai compagni che hanno criticato la direzione del partito è infine da ricordare che dal 2 giugno in poi la linea seguita, e consapevolmente seguita, è stata quella di mettere il maggior numero possibile di compagni della direzione alla testa delle grandi organizzazioni periferiche, tanto è vero che oggi (il che vuoi dire negli ultimi mesi) i compagni in permanenza a Roma e che dedicano il loro lavoro esclusivamente alla direzione di partito sono soltanto cinque, mentre gli altri membri della direzione hanno funzioni decentrate, sono cioè attivi a capo di organizzazioni periferiche o a capo di grandi organismi di massa. Due si dedicano completamente all’attività parlamentare. Come vedete, già ci siamo messi sulla strada di quel decentramento delle forze della direzione che deve permettere al compagni del Comitato centrale e della direzione stessa di esplicare le loro funzioni dirigenti in modo concreto, per assicurare un contatto più stretto tra periferia e centro... 339) ...Noi possiamo diventare -non come dicono gli avversari la forza unica, il partito unico, che dirige tutta l’Italia- no, ma la forza animatrice decisiva dell’azione comune di tutti i lavoratori e di tutti i democratici per il rinnovamento della vita nazionale. Ricordatevi, compagni, che siamo diventati quello che siamo, cioè un gran partito di massa, il quale marcia sicuro verso la conquista della maggioranza del popolo, attraverso il lavoro dei compagni, attraverso la devozione di tutti i nostri militanti, attraverso il sacrificio dei nostri migliori. In molti periodi della vita del nostro partito si sono posti dinanzi a noi compiti difficilissimi, compiti che alle volte qualcuno considerò non potessero essere nemmeno affrontati. Noi combattemmo aspramente contro costoro, li cacciammo dalle nostre file, perché quando un obiettivo del partito viene indicato sulla base di una giusta analisi politica e corrisponde alla situazione oggettiva e soggettiva del paese, il partito deve ad ogni costo trovare in sé la forza, l’energia, le forme di organizzazione, le capacità di lavoro, lo slancio necessario per raggiungerlo...Oggi l’obiettivo nuovo che si pone è quello che è stato fissato dal nostro V Congresso: rinnovare democraticamente l’Italia, aprire alla classe operaia e al popolo italiano la strada che li porti alla democrazia e al socialismo. Questo obiettivo è storicamente maturo, concretamente adeguato alla situazione italiana. Esso sgorga da tutta la storia del nostro paese, dalla situazione nazionale e internazionale in cui noi viviamo. Si tratta quindi, oggi, che il partito raccolga tutte le forze, organizzi tutte le proprie energie e vada avanti per la realizzazione di questo obiettivo. Rinnovare e rafforzare il partito (p. 127/138) - Dalla relazione politica all’VIII Congresso del Pci, 8 dicembre 1956 340) ...I tentativi di staccarci dalle masse fondamentali del popolo, dagli operai, dalle popolazioni povere del Mezzogiorno, da tutti coloro che sono oppressi da più misere condizioni di esistenza e da quella parte del ceto medio lavoratore che più sente le esigenze di un rinnovamento economico, non hanno avuto risultato. Indebolimenti parziali delle nostre posizioni qua e là vi sono stati, anche nelle fabbriche, ma sono lungi 74 dal potersi considerare indici di una situazione che non si possa correggere con un intenso lavoro. Al contrario, proprio nelle ultime settimane, agli attacchi sfrenati del nemico ha risposto un caldo stringersi attorno a noi di quella parte delle masse operaie e popolari in cui la coscienza di classe è più sviluppata e più sveglia. 341) È comune e giusta nostra convinzione che questa nostra forza, oltre che la conseguenza, com’è naturale, di tutta la azione da noi condotta in seno al movimento operaio, delle lotte combattute con eroismo e spirito di sacrificio per più di trent’anni, con una fondamentale coerenza rivoluzionaria, sia strettamente legata al carattere che abbiamo voluto dare al nostro partito dal 1945 in poi. Questo carattere già era, come allora dicemmo, una cosa nuova. Comprendeva l’abbandono totale delle vecchie posizioni settarie; la critica della concezione del partito come ristretto gruppo di eletti, organizzati quasi militarmente; lo slancio nel reclutamento; nuove forme di organizzazione e di lavoro. Comprendeva soprattutto lo sforzo continuo per avere un legame solido con tutti gli strati popolari allo scopo di poter affrontare e lottare sul terreno democratico per la soluzione di tutte le questioni che interessano la popolazione lavoratrice che sono essenziali per poter guidare la classe operaia e il popolo a una lotta conseguente per la democrazia e il socialismo...Sbaglieremmo se dicessimo che alla applicazione di essa (di questa concezione del partito) in tutti i campi della nostra attività non vi siano state resistenze e riserve, che questa applicazione non abbia quindi avuto dei limiti, spesso anche seri, e che di qui non sia venuta una riduzione della nostra efficienza politica. Quando abbiamo parlato di una certa «doppiezza» nella condotta complessiva del nostro partito siamo partiti dalla considerazione di queste resistenze e di questi limiti, e degli errori che ne sono derivati. L’espressione forse non fu felice, perché sembra contenga una critica di ordine morale. È però certo che determinati errori, costantemente ripetuti negli stessi campi di lavoro, non potevano non dare la impressione di una divergenza non manifestata, ma esistente, circa gli orientamenti del partito. Prendiamo, ad esempio, le questioni relative al movimento femminile. Sin dall’inizio, dodici anni fa, fu detto che il compito, in Italia, sta nel lottare per la emancipazione della donna, che questa è una delle questioni centrali della democrazia e della avanzata verso il socialismo, che dobbiamo quindi dare opera allo sviluppo di un grande movimento femminile democratico e autonomo, il cui obiettivo sia la emancipazione femminile. Di qui la necessità di una particolare attenzione a tutti i problemi femminili, al reclutamento delle donne nel partito e nei sindacati, alla loro organizzazione, allo studio delle questioni che le interessano, alla formazione e promozione di quadri femminili. Si è certamente andati avanti per questa strada, ma con quale stento! Si è stati costretti a confutare cento volte posizioni errate, come quella che nega la esistenza di un problema specifico femminile, che pensa le donne siano da muoversi solo come forza ausiliaria delle altre lotte sindacali o politiche. Si è dovuta combattere nel partito stesso la persistenza di pregiudizi reazionari e persino la negazione pura e semplice che una organizzazione femminile di massa debba esistere e abbia compiti specifici suoi. Viene fuori la visione di un partito che approva le cose giuste, ma una parte di esso non le fa, anzi, fa delle cose sbagliate. È soltanto trascuratezza e incapacità, o è assenza, anche se non dichiarata, di adesione a una linea politica? 342) Il criterio della adesione a una linea politica non sono le parole, è il lavoro per attuarla. Noi abbiamo sempre posto al centro della nostra politica la rivendicazione e la difesa delle autonomie locali. Sono numerosissime e di estrema importanza le questioni immediate, vitali e urgenti per le popolazioni più bisognose, che si risolvono con l’attività delle amministrazioni locali. Tutto il partito accetta questa posizione e ne è certamente convinto. Come si spiega allora che tanta parte del partito si accorga della importanza delle questioni amministrative solo quando c’è una consultazione elettorale, e quindi si perdano posizioni che si erano conquistate, oppure non si conquistino quelle che si sarebbero potute strappare al nemico? 343) L’importanza che noi diamo al parlamento in tutta la nostra strategia e tattica politica è nota da tempo e approvata da tutti. Ma il modo come utilizziamo il parlamento, fatta eccezione per alcune battaglie drammatiche e decisive, non è all’altezza di questa linea politica. Il complesso del partito non comprende giustamente e non dà il necessario valore al lavoro parlamentare. Gli stessi organi centrali non sono sempre riusciti a organizzare una direzione efficace. Speriamo che la recentissima risoluzione dei gruppi parlamentari, circa i compiti del parlamento stesso e dei nostri parlamentari, sia l’inizio di una energica correzione. 75 344) Tutti conoscono come in ogni nostra assemblea, sia al centro che alla periferia, si sottolinei la necessità del lavoro nostro nella direzione di strati sociali lontani dalla classe operaia e di gruppi di lavoratori ancora a noi ostili. Le iniziative atte a soddisfare questa necessità sono state molteplici, spesso buone e feconde di risultati, verso le popolazioni della montagna, per esempio, verso artigiani, impiegati, funzionari, pensionati, reduci di guerra e così via. Non si sfugge però alla frammentarietà e discontinuità del lavoro. Trascurata in modo quasi generale l’attività verso i piccoli coltivatori, i quali invece hanno oggi bisogno particolarmente di una guida che li sottragga al clericalismo e all’affarismo, i quali considerano questa categoria come loro terreno di caccia riservata. Così per ciò che riguarda le masse lavoratrici cattoliche, tra le quali appaiono continuamente i segni della ricerca di nuove vie di lotta contro l’ordinamento attuale, molto si scrive e si parla del necessario dialogo, ma il lavoro per l’avvicinamento ad esse e per la loro conquista è troppo limitato e discontinuo. Eppure, dappertutto, dove lo si è fatto, i risultati sono stati importanti. 345) Ma anche per stabilire, estendere, rafforzare e difendere i legami del partito con la classe operaia, forse che non costatiamo anche in questo, che dovrebbe essere il campo principale del nostro lavoro, deficienze serie, non viste e non corrette a tempo, e per questo destinate a manifestarsi in modo spiacevole nelle consultazioni di fabbrica? Il fronte del lavoro nelle fabbriche è il principale fronte del partito. Ed è un fronte molteplice. Le agitazioni e lotte sindacali non lo esauriscono. Queste lotte sono spesso molto dure, oggi; non danno sempre i risultati sperati. La propaganda, l’agitazione, la organizzazione del partito debbono intervenire per superare le durezze, non solo, ma per riuscire a far sì che da ogni lotta, anche se non coronata da pieno successo, possa uscire un consolidamento della coscienza di classe degli operai, una più decisa volontà, in loro, di organizzarsi, di unirsi, di opporre agli sfruttatori un fronte più compatto e una azione più efficace. Ogni organizzazione di partito deve saper essere sempre presente tra gli operai, deve avere un piano di lavoro per l’adempimento di questo compito e per la direzione delle lotte operaie. 346) Le critiche che essa fece (la IV Conferenza nazionale) e le soluzioni che indicò, spesso con energia e precisione, rimangono nella maggior parte giuste, ma rimangono anche in gran parte non applicate. La critica molteplice di tutti gli aspetti del nostro lavoro deve essere fatta e sarà fatta anche qui. Quando parliamo di un rinnovamento, intendiamo qualche cosa di più. 347) Dopo il grande successo riportato contro la legge truffa, si apriva al paese e a noi una situazione nuova. Non si può dire che nel centro del partito ciò non sia stato compreso. Ci si riferisca anche solo alle nostre deliberazioni del mese di ottobre del 1953. Si richiedeva in esse che il partito, forte della vittoria conseguita, si gettasse con impeto in una attività multiforme, ampia, verso tutte le categorie della popolazione lavoratrice, facendo leva sui loro interessi immediati e sulla necessità, generalmente sentita, di una politica nuova, di profonde riforme. Al partito non mancò l’orientamento; mancò lo slancio nella attuazione di questa politica. Mancò forse anche, qua e là o in qualcuno, la convinzione profonda che questa politica fosse giusta. Di qui una palese incertezza, cui si sommò il ritardo nella valutazione dei mutamenti che allora avvenivano nella economia e negli indirizzi politici altrui. Il periodo del governo Scelba fu pieno di iniziative e lotte di grande importanza e si chiuse con un successo delle forze democratiche e nostro. Non si può negare che dopo il 1953 il complesso della nostra iniziativa politica fu più limitato e il partito si chiuse alquanto in se stesso. 348) Da questa critica risulta bene che cosa è il rinnovamento che oggi chiediamo. Il fronte del rinnovamento del partito è essenzialmente un fronte rivolto verso l’esterno, che investe l’attività politica del partito e il suo modo di lavorare. Non vuol essere, dunque, un semplice colpo di frusta. Sta prima di tutto nella più compiuta e migliore elaborazione della nostra piattaforma politica, quale discende dalla ricerca più approfondita di una via italiana al socialismo. Sta nella più ricca analisi delle forze motrici del rinnovamento democratico e della rivoluzione socialista. Sta nella più ampia e libera ricerca degli alleati della classe operaia nella lotta contro il potere dei grandi monopoli. Sta nella definizione delle riforme di struttura che rivendichiamo, del loro valore e del modo di strapparle. Sta nel posto di primo piano che ancora una volta diamo alla riforma agraria generale per cui combatte la classe operaia e combattono i contadini. Sta nella migliore comprensione del metodo democratico della nostra azione, del valore che ha la conquista della democrazia nella avanzata verso il socialismo. 76 349) Al centro dell’opera di rinnovamento del partito sta dunque la lotta per la linea del partito e per una via italiana al socialismo. Che cosa ci può impedire di procedere per questa via? Due ostacoli principali: il settarismo massimalistico e il revisionismo riformistico. Il primo si chiude in sé, nell’attesa del gran giorno. Il secondo piega i ginocchi al capitalismo, nell’attesa che da sé diventi socialismo. Entrambi rinunciano all’azione rivoluzionaria per la conquista del socialismo...In seno alla classe operaia il danno che il riformismo può fare è il più grave, perché spegne lo slancio rivoluzionario e induce alla passività. Ma non potrà efficacemente combattere contro il riformismo un partito che sia chiuso in sé, settario, che non sia pienamente convinto della giustezza della sua linea politica, che non combatta per attuarla. La lotta per rimuovere l’uno di questi ostacoli si intreccia dunque con l'altra e la condiziona. La ricerca del modo come essa si presenta e deve condursi è quindi da legarsi con la giusta conoscenza dei compiti del partito e con l’attuazione di essi. 350) Si comprende, da tutto ciò che ho detto, il grande rilievo che assumono le questioni della vita interna e del funzionamento del partito. La parziale incapacità di realizzazione di una giusta politica e quella certa tendenza alla chiusura settaria, che ho denunciato, si esprimono infatti, nell’interno del partito, col manifestarsi di un irrigidimento burocratico, con la restrizione delle forme di attività e di vita democratica. Si comprende quindi come debba concentrarsi il fuoco in questa direzione, se si vuole accrescere tutta la capacità politica e di lavoro del partito. Questo diventa, perciò, nel partito stesso, il compito principale... 351) Noi...ci siamo resi conto della gravità dei problemi che venivano sollevati, abbiamo condannato e fatto condannare gli atti di frazionismo e indisciplina da quelli stessi che li avevano compiuti, e con coloro che erano in disaccordo abbiamo liberamente discusso, per convincerli e averli con noi su una giusta posizione politica. Il risultato è stato, sinora, positivo, e il metodo è stato giusto, perché è il normale metodo di direzione di un partito che vuole fondare sul ragionato e consapevole consenso, e non solo sulla obbedienza, la unità e compattezza delle sue file. 352) La circolazione delle idee, in tutto il partito, deve compiersi in due direzioni, dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Non si può pretendere che le idee, i suggerimenti, le proposte che vengono dal basso, si presentino sempre con una elaborazione perfetta e siano sempre del tutto giuste. A elaborarle e ricavare da esse tutto ciò che è necessario serve appunto la discussione. Il modo come noi ci siamo comportati è stato anche dettato dalla consapevolezza che questa forma di circolazione delle idee è nelle nostre file assai manchevole, nonostante tutte le cose che si sono dette e le decisioni che si sono prese per stimolarla. Se i compagni non vengono conquistati saldamente alla convinzione che la politica del partito è giusta, male essi lavoreranno per l'attuazione di essa. Il richiamo alla democrazia interna e la lotta per liquidare le artificiali sue limitazioni è quindi richiamo a una migliore efficienza politica, alla maggiore attività continua del maggior numero di compagni e quindi al migliore adempimento di tutti i nostri compiti. 353) La richiesta che si organizzino nel partito delle tendenze non favorirebbe, ma ostacolerebbe la circolazione delle idee e ridurrebbe la vita democratica a forme inammissibili di parlamentarismo deteriore...Metodi di direzione profondamente errati si esprimono, per esempio, nella caporalesca richiesta che ogni quadro il quale faccia un errore senz’altro debba cacciarsi dal lavoro, qualunque siano le sue capacità. Non è così che si forma un ricco quadro di partito ma dopo la critica aiutando i compagni a correggersi, a migliorarsi, a trovare la loro unità nella lotta per la nostra politica. 354) Noi non siamo un partito di discussori, ma un partito rivoluzionario, creato per l’azione, per il combattimento. Siamo il partito di una classe oggi sfruttata e oppressa, che per liberarsi ha bisogno di una guida solida, energica, unita. Siamo un partito che deve assolvere compiti sempre nuovi e sempre più vasti, via via che il movimento si sviluppa. Per questo dobbiamo avere una organizzazione sempre efficiente e dobbiamo mantenerla tale con un quadro intelligente e capace di militanti rivoluzionari. Si faccia avanti una nuova leva di questi militanti, venga dalle officine, dai campi, dalle scuole, per contribuire al rinnovamento che noi vogliamo. Si riducano, ove necessario, gli apparati di direzione, si attraggano alla direzione politica e pratica operai e lavoratori attivi nella produzione. Si 77 semplifichi il lavoro per renderlo più efficace. Si studi di più, ma si lavori e si combatta nel popolo e alla testa del popolo. La lotta per la democrazia e per il socialismo non può essere condotta alla vittoria che da un partito attivo e democratico, di lavoratori e di combattenti. In questo modo tutti i compiti confluiscono, la migliore conquista della nostra dottrina, la ricerca ideale e pratica, la conoscenza del nuovo che continuamente sorge e richiede giudizio ed azione adeguati, la vigilanza e la lotta contro il nemico di classe, l’organizzazione del movimento economico della classe operaia, la conquista della democrazia e del socialismo, la creazione dello strumento di cui il proletariato e il popolo hanno bisogno per poter attuare questa conquista... Un balzo in avanti del partito (p. 173/181) - dalla relazione al IX Congresso del Pci, 30 gennaio 1960 355) Le questioni e le lotte operaie sono state giustamente collocate e viste nell’insieme dei grandi problemi nazionali. Sono state al centro del nostro lavoro e debbono continuare ad esserlo. 356) Vi è una migliore conoscenza dei problemi attuali, l’attenzione è rivolta in tutte le direzioni, non ci si limita alla denuncia, si compie uno sforzo per indicare le soluzioni che si impongo per difendere gli interessi ed elevare le condizioni di esistenza di tutta la popolazione lavoratrice. Questa ricerca porta il partito a un contatto con nuovi gruppi sociali, a superare le posizioni strettamente corporative e operaistiche, ad approfondire lo studio e l’attuazione delle ampie alleanze di classe che sono necessarie per ‘la costruzione del socialismo... 357) Una linea politica incomincia a essere efficace quando si combatte per la sua applicazione e la si applica in modo ampio, coerente, conseguente, senza alcuna riserva mentale. Qui si sono presentate le resistenze e gli ostacoli di cui nella preparazione del congresso si è ampiamente parlato. Non una tendenza organizzata, ma una specie di forza d’inerzia che si esprimeva nei modi più diversi. Per superarla non vi era altro metodo che quello di un più elevato lavoro ideologico, di convinzione e di stimolo all'attività pratica; di una migliore composizione degli organi dirigenti e della correzione di errori singoli, per superare zone di passività e di cattivo lavoro. Sono problemi che si presentano sempre, in un grande partito di massa, ma assumono particolare acutezza quando il partito, meglio determinati i suoi obiettivi e i suoi compiti, deve lavorare in una situazione nuova. 358) Gran parte di questi problemi erano davanti a noi quando parlavamo di rinnovamento e rafforzamento e gli organi centrali hanno lavorato per risolverli, in modo che spetta a voi giudicare. Il metodo da noi seguito è stato quello di un’azione politica che partisse dal dibattito aperto, da una estensione della democrazia interna, dalla chiarezza delle posizioni e dallo sforzo per la utilizzazione di tutti i compagni; che guardasse dunque tutto il partito, nel suo complesso, per farlo progredire senza nulla perdere del suo capitale di esperienza e di lotta. 359) Non col bastone, ma una accorta opera di direzione politica e organizzativa, si dovevano risolvere e per gran parte sono stati risolti questi problemi. Il settarismo e il dogmatismo non potevano e non possono non essere l’ostacolo principale all’applicazione di una politica che rompe, effettivamente, gli schemi di un chiuso classismo corporativo: che respinge ogni posizione di massimalismo avveniristico e parolaio; che non vive di mistiche attese; che esige nel presente il lavoro per fare della classe operaia la guida di un grande movimento democratico e rivoluzionario. La ricerca dell’incontro con altri gruppi sociali, l’alleanza con contadini e con il ceto medio, la trattazione dei temi della emancipazione femminile, della cultura, della scuola, esigono che noi sappiamo presentare sempre a tutti il nostro vero volto di avanguardia democratica, di difensori di tutti gli sfruttati, di assertori degli interessi e degli ideali di una nazione libera e indipendente, di uomini che comprendono e vogliono il progresso, che sanno rispettare gli altri e vogliono convincere con argomenti validi, che vogliono essere forti, ma di una forza che getta le sue radici nella superiorità delle nostre grandi visioni sociali e in una maggiore capacità di lavoro. 360) Noi abbiamo condotto per anni ed anni una lotta dura, costretti da un avversario prepotente e spietato. Persecuzioni inumane si sano abbattute sui migliori quadri della classe operaia, mettendoli brutalmente di fronte alla prospettiva della disoccupazione e della miseria. Abbiamo vinto, grazie alla tenacia dei nostri militanti e allo spirito di lotta delle migliori nostre organizzazioni, la grande battaglia della guerra fredda. Nella battaglia, che 78 continua, contro la barbarie anticomunista, abbiamo ottenuto seri successi. Siamo riusciti a mantenere ampiamente aperta la via della democrazia e del socialismo e a progredire in essa. Tutto ciò che si è conquistato è dunque da conservare: sono da conservare le qualità di tenacia, devozione, e spirito di sacrificio che sono della massa dei nostri militanti; ma vi sono pure primitivismi e durezze, che spesso ci siamo portati dietro troppo a lungo. Sono necessari oggi più studio e più elaborazione politica, maggiore dibattito e maggior lavoro collettivo, migliori capacità di convinzione e di lotta. Tutta la organizzazione e tutte le nostre attività devono salire a un livello più alto, che corrisponda alle modificazioni che in tutta la vita sociale si stanno compiendo e alla più ricca ramificazione dei nostri obiettivi. L’iniziativa politica non può essere saltuaria, limitata, incerta. Deve continuamente accompagnare la propaganda: deve rendere concreta l’agitazione: deve aprire alle masse e al partito la via dell’azione... 361) Ma stiamo attenti. Il settarismo da un lato, l’opportunismo dall’altro, sono pericoli contro i quali noi dobbiamo essere abituati a combattere muovendoci sempre, nella dialettica interna del partito, sopra due fronti. 362) Oggi bisogna stare attenti a che non si dimentichi che la situazione che sta davanti a noi non si modifica se non con lo sviluppo di un forte movimento delle masse. A questo tende tutto il nostro lavoro, tendono le nostre ricerche e tendono i contatti con tutti i gruppi della popolazione lavoratrice. Come si può giungere, senza questo movimento, a strappare migliori condizioni di vita per i diseredati, a elevare le mercedi operaie, a soddisfar le rivendicazioni sacrosante dei braccianti, dei contadini, del ceto medio? Come si può giungere, senza questo movimento, alla formazione di una nuova maggioranza? Il progresso politico che il partito ha fatto deve quindi tradursi in una più vasta capacità di azione. Non basta avere le idee più chiare sul modo come una società socialista sarà organizzata, tenendo conto delle condizioni del nostro paese e del sistema di alleanze che a questo risultato ci porterà. Si tratta, di arrivarci, a questo risultato, e come ci si arriva se non con una serie di lotte vittoriose? Una migliore impostazione politica e una migliore propaganda, che parta dai fatti e dalle cose, ci aiuteranno potentemente a far progredire, anche in masse non proletarie, una coscienza democratica e socialista. Ma è la capacità di combattere per gli interessi di tutti i lavoratori la misura definitiva di questa coscienza. 363) La capacità di organizzare l’azione delle masse è il criterio per giudicare se vi è vero possesso della linea politica, se vi è unità del partito e se vi è disciplina. 364) Vi è un residuo di revisionismo che fa ostacolo al progresso in questa direzione, ed è l’ancora scarso numero degli attivisti. Per i revisionisti, gli attivisti non sarebbero necessari, perché i revisionisti concepiscono il partito come un circolo di discussori, un « gruppo di pressione», o, nel migliore dei casi, una organizzazione elettorale. Concezioni tutte sbagliate, che respingiamo. Il partito è una avanguardia di combattenti rivoluzionari, di propagandisti, di agitatori, di organizzatori, di donne e di uomini uniti nell’azione e che per portare e guidare le masse all’azione danno la loro attività. Tutti i nostri problemi sono legati all’aumento del numero degli attivisti e al miglioramento del loro lavoro... Tradurre la linea del partito in azione concreta (p.205/213) - dalla relazione al X Congresso del Pci, 2 dicembre 1962 365) La flessione del numero degli iscritti che ci porta, contando anche i giovani, un poco al di sotto dei due milioni e la perdita di voti nelle regioni meridionali è in parte legate a processi oggettivi, cui la nostra azione politica e di organizzazione non ha ancora corrisposto nel modo adeguato. 366) Un continuo e ampio dibattito si è svolto nel partito, dopo l’ultimo congresso, su temi nazionali e internazionali. Le tesi presentate al congresso attuale esprimono il risultato di questo dibattito e sono uno sviluppo conseguente della nostra linea strategica e tattica di avanzata verso il socialismo nella democrazia e nella pace. Nonostante la loro forse eccessiva lunghezza, esse sono state ampiamente discusse dal quadro dirigente e da una grande parte degli iscritti al partito e costituiscono la base sulla quale, dopo le discussioni e le correzioni che il congresso vorrà fare, il partito lavorerà, unito, per raggiungere suoi obiettivi. 367) Il difetto principale che si presenta, in questo quadro ampiamente positivo, credo debba venire trovato nella non ancora sufficiente capacità di tradurre la linea politica del partito in azione 79 concreta, tanto per lo sviluppo di lotte parziali, quanto per dar vita a un movimento generale politico. Questo difetto si manifesta in diversi campi. La rivendicazione delle riforme di struttura ha trovato e trovi grandi difficoltà a uscire dal generico, a superare i limiti del semplice dibattito, a tradursi in estesi movimenti unitari di massa che abbiano prospettive di successo qualitativo. Nelle campagne, le giuste indicazioni di lavoro vengono spesso applicate in modo frammentario, che limita la loro efficacia. Nel Mezzogiorno, il vecchio slancio unitario per risolvere la questione meridionale come questione di progresso economico e politico generale, di riforma agraria e di riforma democratica di tutte le strutture della società meridionale, si è rallentato, non per la sola nostra responsabilità, di fronte a condizioni in parte modificate. Nella classe operaia, le radici del nostro partito sono senza dubbio diventate più forti. Anche nella classe operaia, però, si incontrano difficoltà nel passaggio dall’azione sindacale al movimento politico e ciò rallenta tutto lo spostamento a sinistra della situazione. 368) Si deve quindi porre la duplice questione, del possesso della linea politica del partito e della capacità di realizzarla nella azione. 369) Con soddisfazione costatiamo che sono sorti nelle nostre file nuovi numerosi gruppi di compagni i quali partecipano attivamente all’elaborazione della nostra politica e alla sua esplicazione in diverse regioni del ‘paese e ‘settori dell’attività produttiva...Si deve rilevare che spesso esiste un distacco tra questi gruppi e un grande numero di compagni che non partecipa a questa elaborazione, è fedelissimo al partito, ne segue le lotte e vi prende parte, ma non sente quello stimolo all’iniziativa e all’attività continua che deriva dal pieno possesso della linea politica. Questo distacco, che in parte c’è sempre stato, deve essere superato, e il mezzo per superarlo è, prima di tutto, la intensificazione e il miglioramento, quantitativo e qualitativo, dell’attività ideologica nelle file del partito. 370) Noi abbiamo posto a disposizione dei militanti e degli uomini di cultura l’essenziale delle opere dei classici del marxismo. Quasi tutto Marx ed Engels. Tutti gli scritti principali di Lenin e 13 volumi delle sue Opere complete. Testi però difficili, accessibili solo a una parte dei nostri iscritti. Abbiamo pure pubblicato parecchie opere di divulgazione, anche molto elementare, ma l’iscritto al partito cerca invano qualcosa di molto semplice, che gli consenta di impadronirsi pienamente delle linee essenziali della nostra politica. Le nostre scuole hanno svolto una buona attività ma forzatamente limitata. La nostra stampa quotidiana è la più diffusa d’Italia. La sua diffusione nelle masse popolari è però ancora troppo scarsa e non è sufficiente l’impegno del partito per cambiare radicalmente questa situazione. Anche la nostra rivista ha una tiratura superiore a qualsiasi altra rivista politica, ma nelle file del partito deve essere letta e studiata molto di più. La sete di conoscere e il desiderio di essere giustamente orientati sono oggi enormi... 371) ...Deve essere chiaro che noi non intendiamo, come progresso ideologico, la capacità, più o meno grande, di ripetere delle frasi fatte. Intendiamo la conoscenza dei nostri principi, la dimostrazione convincente della giustezza della nostra linea politica, delle sue basi di classe e del suo contenuto democratico e socialista, intendiamo la capacità di comprenderne gli sviluppi, in rapporto con il cambiamento delle situazioni. Il rafforzamento ideologico ci deve consentire di affermarci sempre meglio nel campo delle attività culturali. I nostri compagni, studiosi di problemi economici, filosofici, sociali, hanno dato a questo progresso un contributo di cui siamo loro riconoscenti...Il confronto con le altre correnti di pensiero non si può ridurre a una dogmatica precostituita condanna. Deve dar luogo a un dibattito di contenuto, a un dialogo, nel quale non può mancare la ricerca di quei momenti nuovi e positivi che vengono alla luce attraverso sviluppi di pensiero che aderiscano alle nuove realtà umane, sociali. Quanto più si è forti nei principi, tanto più si deve essere capaci di condurre questo dialogo e questa ricerca. Grande è quindi la responsabilità dei nostri compagni che sono uomini di studio e di cultura. Si tratta di responsabilità verso se stessi e verso tutto il partito, anche perché non riteniamo che spetti agli organi dirigenti politici risolvere con loro decisione suprema questioni specifiche dibattute nel campo degli studi, degli indirizzi e delle realizzazioni artistiche, letterarie, cinematografiche e così via. Il pensiero marxista, su questi problemi, fornisce un indirizzo generale, che si afferma nella lotta sul vasto terreno della cultura, contro tutto ciò che tende a negare il valore dell’uomo nella vita sociale e nella lotta per un mondo nuovo; ma che si afferma anche nella comprensione di tutti i termini in cui si pongono le questioni concrete e nella tolleranza verso chi sinceramente, per uno sviluppo e con una sofferenza interna e non per servire potenze retrive, si tormenta nella ricerca della verità. 80 372) Per poter realizzare e sviluppare con efficacia la politica del partito, è necessario che il partito mantenga, consolidi, accresca il suo carattere di partito di massa. Il numero degli iscritti deve essere mantenuto. La flessione deve essere recuperata. E essere recuperata con un lavoro intenso nelle tre direzioni principali che da tempo indichiamo: gli operai, le donne, i giovani... 373) La trascuratezza e talora persino il disprezzo del lavoro tra le donne e delle donne è un vecchio vizio, in cui si riflettono le arretratezze secolari della società italiana. Se non si vigila, se non ci si batte su questo argomento considerandolo essenziale nel quadro della nostra attività non si andrà avanti. Pericolose sono le tendenze, dogmatiche e dottrinarie, a teorizzare un sedicente superamento dei temi della emancipazione femminile, unicamente per l’accesso di masse di donne alla produzione industriale e agricola, con una loro retribuzione autonoma. Queste idee, anche se si ammantano di fraseologia socialista, sono errate. Esse non tengono conto della dura realtà della situazione italiana, ignorano questioni, come quelle della crisi della famiglia, o degli assurdi limiti mascolini dell’istruzione professionale, e altre, che sono vitali per le donne. Ignorano soprattutto che l’accesso in massa al lavoro tende persino a rendere più gravi le condizioni della donna, quando su di essa vengono a pesare due forme di attività produttiva, quella professionale e quella domestica la quale è anch’essa attività produttiva. La questione della emancipazione conserva la sua acutezza, prendendo aspetti nuovi, imponendo la lotta per nuovi obiettivi economici, giuridici, politici, sociali. L’emancipazione delle donne è, per se stessa, una di quelle riforme della vecchia struttura sociale, per le quali noi dobbiamo chiamare a combattere tutti gli amici della democrazia e del progresso. 374) Il carattere di massa del nostro partito è stato affermato e conquistato da noi, durante la guerra di liberazione e dopo di essa, sulla base di una grande spinta popolare, che esprimeva la fiducia nel nostro partito delle classi lavoratrici, per la lotta da noi condotta per la salvezza del nostro paese, per la nostra politica di unità, per la nostra fede nella causa democratica e socialista. Oggi noi sentiamo maturare le condizioni nelle quali una spinta analoga si può produrre, perché le riforme democratiche e socialiste che noi rivendichiamo non sono soltanto dettate dalla situazione, ma sono necessarie per dare reale sollievo alle miserie, al disagio di milioni e milioni di uomini, per realizzare le aspirazioni di libertà e di progresso che sono nell’animo della grande maggioranza dei lavoratori. 375) Non v’è dubbio che noi siamo, in Italia, il partito nelle cui file si discute di più, che è sempre pronto ad aprire dibattiti, a svilupparli in pubblico, tra amici e avversari...Questo però non è tutto. Vita democratica vuol dire ampia e continua partecipazione alla attività del partito degli iscritti e una articolazione organizzativa e una direzione tale che consentano e sollecitino questa partecipazione. Perciò sono da combattere le forme di autoritarismo, di soffocamento della democrazia interna, di chiusura in se stessi dei gruppi dirigenti, quasi a difesa burocratica dal controllo della periferia. Questo è oggi il pericolo principale, perché se ne riscontrano manifestazioni anche in organizzazioni forti e bene articolate. Combattere questo pericolo non vuoi dire, s’intende, dare luogo a forme di anarchismo organizzativo, di democratismo deteriore e demagogico, di abdicazione degli organismi dirigenti a una ferma e responsabile azione di direzione e orientamento. Gli organi dirigenti devono sempre avere un organico contatto con la base, conoscere ciò che essa pensa e vuole, rispondere alle richieste che vengono avanzate, raccogliere e dare soddisfazione a tutte le esigenze che sorgono dal contatto con le masse e con la situazione reale. Ciò richiede un allargamento, a tutti i livelli, del quadro dirigente, non per avere organismi di direzione più numerosi, il che alle volte è un ostacolo, ma per avere una elaborazione politica più ampia, cui prendano parte i comunisti che sul luogo del lavoro vivono a diretto contatto con la produzione e con i lavoratori. Cosi si realizzano nel miglior modo la unità e la disciplina, senza le quali il partito non può svilupparsi e combattere le sue battaglie. 376) Abbiamo sempre respinto e respingiamo la formazione di frazioni e correnti cristallizzate attorno a posizioni contrapposte. Questo non sarebbe infatti un progresso della democrazia dl partito, ma un regresso. L’attività del partito e gli stessi dibattiti interni sarebbero paralizzati, distorti, congelati in modo precostituito. I nostri principi sono il punto di partenza unitario della nostra elaborazione politica. Le nostre decisioni collettive sono la base unitaria della nostra azione. Se vi sono dissensi, è attirando al lavoro di direzione e pratico anche chi dissente, che la democrazia s rafforza e si rafforza la unità delle nostre file ... 81 La concezione marxista del partito politico della classe operaia (p.215/224) - intervento alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci, 4-7 dicembre 1963 377) Nel documento che qui si sta discutendo vengono posti numerosi problemi e compiti, di ordine generale e particolare, relativi alle strutture organizzative, alla loro maggiore o minore aderenza al tessuto sociale, alla loro efficienza, alle trasformazioni che debbono subire e così via. Tutti questi temi sono trattati e debbono essere trattati alla luce della fondamentale definizione che noi diamo del partito nostro, cioè del partito politico della classe operaia come partito di massa e partito di lotta. Questo è un momento essenziale, non rinunciabile, della nostra dottrina del partito. Queste qualità si possono concretamente realizzare in modo diverso, secondo le diverse situazioni, e possono dar luogo, quindi, a diverse strutture; non si debbono però perdere mai. Derivano da questo punto notevoli differenze tra la nostra concezione del partito politico e altre concezioni, che noi critichiamo e respingiamo. Noi siamo d’accordo, anzi, noi insistiamo nell’affermare e sottolineare che l’esistenza del partito politico -anzi, precisiamo, l’esistenza dei partiti politici- è indispensabile per l’esistenza stessa e per lo sviluppo di un regime di democrazia. Non è concepibile, oggi, una società democratica nella quale non esista il partito politico. La tendenza a ridurre, in questa società, la funzione del partito politico e la sua importanza; la tendenza a denunciare la presenza e l’intervento continuo del partito politico nella vita democratica come elemento di disturbo e quasi di degenerazione, è una tendenza da considerarsi nettamente reazionaria. Ciò non vuol dire che non possano esservi, nella attività dei partiti e soprattutto dei partiti di governo, momenti che devono venire criticati e respinti, in quanto tendono a sostituire alla democrazia una specie di oligarchia di gruppi dirigenti. L’essenziale, però, è che senza una attività continua dei partiti, non può esistere democrazia politica. Considero quindi anche antidemocratica e da respingersi la tendenza a sostituire al partito politico il cosiddetto gruppo di pressione e al sistema dei partiti un sistema di gruppi di pressione...questa è la tendenza propria di quello che si è oramai soliti chiamare il neocapitalismo. Il punto di arrivo di questa tendenza è una società priva di democrazia politica...Non intendo aprire la questione di cosa sia, oggi, la democrazia americana. Certo è che essa si è presentata al mondo, nei giorni scorsi, con lineamenti spaventosi. E non colpisce soltanto l’assenza di confine tra il contrasto di diversi gruppi dirigenti e la delinquenza comune. Colpisce l’assenza di una opinione politica organizzata e di massa, la quale riesca, di fronte a fatti di indicibile peso politico e morale, ad esprimersi liberamente e in modo efficace. I gruppi di pressione sono diventati gruppi di potere e questi gruppi di potere è difficile sapere che cosa in realtà siano, come si dispongano e si colleghino con le forze reali della società, ma si sa che sono pronti a combattersi con tutte le armi, facendo ricorso anche ai mezzi più criminali. Nessun difetto di un sistema democratico fondato su una articolazione di partiti politici eguaglia questa vera degenerazione della vita politica e civile. 378) Tra la concezione del gruppo di pressione, che agisce per diventare gruppo di potere, e la nostra concezione del partito politico vi è un sostanziale punto di differenziazione, che sta precisamente nella affermazione del carattere che noi attribuiamo al partito politico della classe operaia, come organizzazione di massa e organizzazione di lotta, che si propone di guidare le grandi masse popolari verso questi obiettivi di profonda trasformazione sociale, che sgorgano dallo stesso sviluppo oggettivo della economia e dalla coscienza delle classi lavoratrici... 379) Modifichiamo e correggiamo ciò che apparirà necessario. Non abbandoniamoci però a previsioni e soluzioni che siano soltanto o prevalentemente tecnico-organizzative. La struttura del partito deve essere tale che, facendolo aderire alle strutture sociali, gli consenta una più tempestiva, più articolata e più efficace elaborazione politica, ma allo scopo, sempre, di essere in grado di esercitare, tra le masse e alla testa di un movimento di massa, la necessaria direzione di un’azione politica. Tra il partito e la sua base sociale esiste un rapporto complesso, un movimento interno che il partito si sforza di comprendere e dominare, per poter adempiere la propria funzione. Anche le forze reazionarie, soprattutto quando si propongono compiti di aperta rottura, tentano di crearsi basi organizzate tra le masse. Valgano gli esempi del fascismo, del gollismo, dello hitlerismo. Il nostro rapporto con le masse lavoratrici è però cosa profondamente diversa, per la sua natura organica e perché esprime un processo di libertà. In questo senso esso è diverso anche dal rapporto che stabilisce con le masse il partito democristiano con intenti prevalentemente di conservazione dell’ordinamento economico attuale. 82 380) La classe operaia e le masse lavoratrici ad essa più vicine vogliono affermarsi come forze dirigenti della società, allo scopo di compiere una rivoluzione degli ordinamenti sociali. Il nostro partito è quindi organo di lavoro e di lotta per realizzare questo obiettivo. E questo si raggiunge in diversi e concorrenti modi. 381) La classe operaia, infatti, si afferma come classe dirigente per il suo programma, che indica mete più lontane, presenta soluzioni adeguate per i problemi vicini e urgenti, e che spetta al partito, in contatto con altre forze democratiche, elaborare e rendere popolare, facendolo diventare il programma di un grande movimento di lavoratori. La classe operaia si afferma come classe dirigente per la sua capacità di lottare per la realizzazione di questo programma e imporla, in forme e in condizioni determinate. La classe operaia, infine, si afferma come classe dirigente per la sua capacità di esercitare sulla opinione pubblica un certo grado di egemonia politica anche prima di avere conquistato il potere. Ciò dipende dal grado di sviluppo della stessa società capitalistica e quindi dal grado di maturità dei germi di socialismo che sono in questo sviluppo; dipende dalla avanzata del socialismo nel mondo e dalle condizioni della lotta politica in ciascun paese. Il complesso di questi tre momenti è decisivo perché si possa avere una avanzata democratica verso il socialismo ed è attraverso la elaborazione politica, il lavoro, la organizzazione e le lotte del partito che in questi tre campi si riesce a progredire. In tutti e tre questi campi, però, ogni progresso è subordinato ai legami del partito con le masse, alla loro direzione, estensione e solidità e cioè al carattere di massa del partito. 382) Gramsci parlò del partito della classe operaia come intellettuale collettivo. In questa definizione confluiscono tutti i momenti cui ho brevemente accennato. Nel partito è superata la coscienza soltanto corporativa: si giunge alla politica. Il partito opera nella società civile e nella società politica per trasformarle. L’adesione al partito e la costruzione del partito sono quindi atti di libertà. L’operaio, il lavoratore incomincia a liberarsi, entrando nel partito e lottando nelle sue file dalIa condizione puramente oggettiva, individuale, cconomico-naturale della sua esistenza e della sua vita di cittadino. La sua attività diventa creazione, cultura, costruzione consapevole di un mondo nuovo. 383) Noi abbiamo da tempo elaborata, per quel che ci riguarda, una posizione nostra. Riteniamo possibile e necessaria, nelle condizioni che stanno davanti a noi, la pluralità dei partiti politici durante la costruzione di una società nuova. Né si deve credere che questa nostra posizione sia dettata soltanto dalle circostanze del nostro paese; né soltanto dalle così aspre critiche che sono state fatte di errori, violazioni di legalità e persino crimini commessi sotto il potere di Stalin. Il motivo di fondo delle nostre ricerche ed elaborazioni sta nella consapevolezza da un lato delle complicate differenziazioni politiche e sociali che sono proprie di società capitalistiche molto sviluppate e di tradizione democratica... 384) Si presenta, sia per il momento presente, sia in una prospettiva più lontana, la questione delle relazioni tra questi partiti, e cioè tra tutte quelle forze politiche organizzate che abbiano una base nella classe operaia, che veramente tendano a una trasformazione socialista degli ordinamenti attuali, che siano consapevoli della possibilità e necessità di una avanzata democratica verso il socialismo, che siano portatrici nel mondo di oggi sia della spinta oggettiva al socialismo, sia della coscienza che l’accompagna. I problemi che si pongono sono di avvicinamento, di contatto, di reciproca conoscenza, di collaborazione, cioè di unità. E debbono essere considerati nel presente e per il futuro. 385) La stessa concezione di una avanzata democratica verso il socialismo richiede, per potersi attuare, che la classe operaia e le masse lavoratrici che aspirano a trasformazioni socialiste riescano ad avere, nel campo della sovrastruttura politica e anche nel campo governativo, un peso e una parte crescenti. Se non si ottiene questo risultato, non è verso il socialismo che si avanza, ma in direzione opposta. Per questo i dirigenti conservatori della Democrazia cristiana hanno sin dall'inizio concepito il centro-sinistra come una manovra di rottura nei confronti della classe operaia... 386) Nel passato, già venne posto da noi, nello sviluppo del fronte unico e del fronte popolare, il problema della unificazione politica. 83 387) Oggi le cose si presentano in circostanze nuove e in modo nuovo. Si tratta di trovare, in queste circostanze, un sistema di contatti e articolazioni particolari, tra forze le quali accettino una certa base unitaria, pur avendo e conservando ciascuna una propria tradizione, organizzazione e personalità. È facile a comprendersi che una base unitaria di questa natura non può uscire dalle menti dei dirigenti di un solo partito. Essa dovrebbe essere il risultato di una grande elaborazione, di principi e politica, da compiersi a contatto e con la partecipazione diretta delle masse lavoratrici stesse, degli operai e intellettuali di avanguardia, di tutti coloro che sentono la necessità di contestare il processo di sviluppo neocapitalistico... 388) Le linee della ricerca e della elaborazione sono molteplici. Tre se ne presentano a prima vista. La prima riguarda i punti programmatici, le trasformazioni alle quali si tende in una prospettiva più lontana e le misure di valore immediato e anche urgente. La seconda riguarda il metodo. Non basta dire che si vuole avanzare verso il socialismo per una via democratica, seguendo il metodo della democrazia. Nella lotta per il socialismo e nella costruzione socialista la classe operaia apporta molte cose nuove nello stesso sviluppo del metodo e degli istituti democratici. La ricerca, in questa direzione, è appena iniziata. Si presenta una folla di problemi, che investono le funzioni specifiche delle organizzazioni della classe operaia e di tutte le classi lavoratrici; riguardano il sindacato e l’affermarsi di un potere operaio nella fabbrica; riguardano le associazioni contadine e il loro intervento per determinare gli sviluppi della economia agricola; riguardano la vita e il coordinamento tra le cellule dell’attività produttiva e il complesso dell’organismo sociale. Uno sterminato campo di ricerca e di azione, e che è appena affrontato nei suoi termini generali, per ora. Infine, si pongono i problemi specificamente organizzativi, di rapporti reciproci interni ed esterni, di collaborazione e di unità nelle sue varie forme possibili. 389) Saremmo dei presuntuosi se per ognuno di questi campi pretendessimo di essere senz’altro in grado di presentare delle soluzioni...il problema dell’unità politica delle forze che vogliono avanzare verso il socialismo non lo poniamo, oggi, come problema di scelta, ma come problema di dibattito. Vorremmo riuscire, impegnando la forza e la capacità del nostro partito, le quali sono grandi soprattutto nei centri economicamente e socialmente decisivi, ad aprire questo dibattito nelle fabbriche tra operai di diverse tendenze, nei campi, nelle scuole, in un proficuo confronto e in una elaborazione comune con gruppi di altri partiti, del partito socialista, di quello socialdemocratico, di organizzazioni cattoliche. 390) Si sente oggi parlare di svolte storiche, periodi nuovi che si aprono e cosi via. Io sono sempre diffidente verso definizioni di questa natura, che sono, spesso, l’espressione un po’ retorica di certi propositi, ma non ancora di una realtà. Certo la situazione che oggi affrontiamo è per molti aspetti nuova. La manovra ritardatrice e conservatrice del vecchio ceto dirigente è in pieno sviluppo. La lotta che noi proponiamo, per affrontare il problema della unità politica della classe operaia e delle forze socialiste, può essere un grande contributo per spingere questa manovra, com’è necessario, al fallimento e più speditamente far avanzare il nostro paese, per una via democratica verso il socialismo. 84 CRONOLOGIA 1922 28 ottobre 1940 10 giugno 1943 marzo 10 giugno 25 luglio agosto 3 settembre 8 settembre 9 settembre -marcia su Roma -entrata in guerra dell’Italia -scioperi al Nord -viene sciolta l'Internazionale comunista -destituzione di Mussolini e nomina a primo ministro di Badoglio -scioperi al Nord -firma delle condizioni di armistizio -annuncio dell’armistizio -fuga di Vittorio Emanuele e di Badoglio da Roma; il Comitato di liberazion nazionale appena formato lancia un appello alla lotta e alla resistenza 25-30 settembre -giornate di Napoli 29 settembre -firma del secondo armistizio 13 ottobre -dichiarazione di guerra alla Germania novembre-dicembre -scioperi diffusi 1944 28-29 gennaio -Congresso dei partiti antifascisti a Bari che richiede l’abdicazione del re ed una Assemblea costituente alla fine della guerra marzo -scioperi al Nord 14 marzo -riconoscimento russo del governo Badoglio 28 marzo -arrivo di Togliatti a Napoli 12 aprile - Vittorio Emanuele annuncia l' intenzione di cedere il potere al figlio alla liberazione di Roma 22 aprile -formazione del governo Badoglio-Togliatti, con la partecipazione dei partiti del Cln 4 giugno -liberazione di Roma 6 giugno -il re trasmette i suoi Poteri al Umberto; sbarco alleato in Normandia 8 giugno -Bonomi sostituisce Badoglio come primo ministro,al governo i sei partiti deI Cln 9 giugno -formazione del Corpo dei volontari della libertà (Cvl), che unisce le forze partigiane 25 giugno -decreto Bonomi che prevede una Assemblea costituente dopo la guerra 11 agosto -insurrezione a Firenze guidata dal Cln della Toscana 22 agosto -liberazione di Firenze 9-20 ottobre -Conferenza anglosovietica di Mosca 13 ottobre -trasmissione radio del generale Alexander ai partigiani che li invita a riunirsi in primavera 26 novembre -crisi del primo governo Bonomi dicembre -eliminazione di partigiani comunisti greci da parte di truppe britanniche 5 dicembre -attacco del segretario di Stato americano Stettinius alla Politica britannica nei confronti dell’Italia e della Grecia 7 dicembre - Protocolli di Roma tra il governa militare alleato e il Clnai, che concedono il riconoscimento alleato al Cnl 12 dicembre - formazione del secondo governo Bonomi, con l’astensione dei socialisti e del Partito d’Azione 26 dicembre -il Clnai viene nominato dal governo suo rappresentante nell’Italia occupata 1945 4-11 febbraio -conferenza di Yalta marzo-aprile -scioperi a Milano e Torino 19 aprile -insurrezione a Bologna 24 aprile -insurrezione a Genova 25 aprile - insurrezione a Torino, Venezia e Trieste. Il Clnai assume pieni poteri con la Liberazione 28 aprile -fucilazione di Mussolini 8 maggio -resa della Germania maggio -crisi del secondo ministero Bonomi 21 giugno -Parri diventa presidente del Consiglio con un governo dei sei partiti del Cln 31 luglio -Il Consiglio nazionale del Partito socialista raccomanda la fusione con il Partito comunista 6 agosto -Hiroshima viene distrutta dalla prima bomba atomica 9 agosto -viene distrutta Nagasaki 18 settembre - l’Italia viene invitata a esprimere il proprio parere sulle condizioni di pace alla conferenza dei ministri degli Esteri alleati a Londra 25 settembre -prima riunione della Consulta 85 1946 1947 1948 1949 1950 24 novembre 10 dicembre 27 dicembre 1 gennaio 4-8febbraio marzo-aprile 9 maggio 2 giugno 25 giugno 28 giugno 13 luglio agosto 17 settembre 10 novembre gennaio 9-13 gennaio 20 gennaio 3 febbraio 10 febbraio 13 maggio 31 maggio 5 giugno 31 luglio 25-27 settembre 12 ottobre 15 dicembre 22 dicembre 1 gennaio 25 febbraio 20 marzo 18 aprile 11 maggio 24 maggio giugno 14 luglio estate 4 aprile 20/25 aprile 6 maggio maggio luglio settembre 1 ottobre giugno agosto 1953 aprile 1956 ottobre 4 novembre 1959 2 gennaio 1961 1962 -caduta del governo Parri -primo governo De Gasperi, basato sui sei partiti del Cln -accordi monetari di Bretton Woods -l’Amg cede l’amministrazione del Nord al governo italiano -congresso del Partito d’Azione e sua scissione -elezioni amministrative -abdicazione di Vittorio Emanuele a favore del figlio, Umberto II -referendum sulla questione istituzionale e elezioni per l'Assemblea costituente -prima riunione dell'Assemblea costituente -nomina di Enrico De Nicola a presidente provvisorio della repubblica -formazione del secondo governo De Gasperi basato su Dc,Pci,Psi e Pri -protesta di parlamentari britannici contro il possesso italiano dell'Alto Adige -dimissione del ministro del Tesoro liberale Corbino -seconda tornata di elezioni amministrative -visita ufficiale di De Gasperi negli Stati Uniti -congresso del Partito socialista, scissione di Saragat che forma il Psli -dimissioni di De Gasperi -terzo ministero De Gasperi formato dai tre partiti di massa, Dc, Pci e Psi -firma del Trattato di pace a Parigi -dimissioni di De Gasperi e espulsione del Pci e del Psi dal governo -quarto governo De Gasperi, con l’appoggio di indipendenti ed Einaudi vicepresidente -annuncio del piano Marshall -ratifica del Trattato di pace da parte dell’Assemblea costituente -formazione del Cominform -elezioni amministrative a Roma -quinto governo De Gasperi con l’appoggio della Dc, del Psli e del Pri -approvazione della Costituzione -la Costituzione della repubblica italiana entra in vigore -in Cecoslovacchia viene instaurato il sistema del partito unico -promessa da parte degli alleati occidentali di restituire Trieste all’Italia -elezioni politiche -elezione di Luigi Einaudi a presidente della repubblica -sesto governo De Gasperi, con l’appoggio della Dc, del Psli e del Pri -a Jugoslavia di Tito viene espulsa dal Cominform -attentato a Togliatti - sciopero generale - scissione sindacale dei cattolici -l’Italia entra nella Nato come membro fondatore -congresso mondiale dei partigiani della pace -accordo Sforza-Bevin sulle ex colonie italiane -socialdemocratici e repubblicani lasciano la CGIL e formano un nuovo sindacato -scomunica dei comunisti -l'Urss produce la bomba atomica -Viene proclamata la Repubblica Popolare di Cina -inizia la guerra di Corea che durerà fino al 1953 -creazione della Cassa per il Mezzogiorno e legislazione sulla riforma agraria -gli USA fabbricano la bomba all’idrogeno , nove mesi dopo la fabbrica l'URSS -viene approvata la legge truffa che viene battuta nelle elezioni del 7 giugno -Vietnam, cade il campo trincerato francese di Dien bien Phu -il PSI rompe l'unità d'azione con i comunisti -Ungheria - l'esercito sovietico occupa Budapest -Fidel Castro entra a L'Avana -viene assassinato Patrice Lumumba,artefice dell'indipendenza del Congo -crisi dei missili a Cuba 86 BIBLIOGRAFIA Questo documento è basato sulla elaborazione dell'Accademia delle scienze dell'URSS e sulla "Storia d'Italia dal 1861 a oggi" di Denis Mac Smith, integrati da ampi stralci tratti da "Italia 1943/1950-La ricostruzione" a cura di Stuart J. Woolf: Accademia delle scienze dell'URSS - Storia Universale - Nicola Teti Editore - voll.X e XI Denis Mac Smith - Storia d'Italia dal 1861 a oggi - Laterza 1998 Stuart J. Woolf (a cura di) - Italia 1943-1950 "La ricostruzione" - Laterza 1974 a) Guido Quazza - La politica della resistenza italiana b) Geoffrey Warner - L'Italia e le potenze alleate dal 1943 al 1949 c) Franco Catalano - La "nuova" democrazia italiana dopo il 1945 d) Percy A.Allum - Il Mezzogiorno e la politica nazionale dal 1945 al 1950 e) Gianfranco Poggi - La Chiesa nella politica italiana dal 1945 al 1950 f) Marcello De Cecco - La politica economica durante la ricostruzione 1945-1951 g) Bianca Beccalli - La ricostruzione del sindacalismo italiano 1943-1950 h) Stuart J. Woolf - La rinascita dell'Italia 1943-1950 Ulteriori integrazioni sono state tratte da: Cristiano Armati - Cuori rossi - Newton Compton 2008 Fabrizio Barca (a cura di) - Storia del capitalismo italiano - Donzelli 1997;2001,2010 Valerio Castronovo - Storia d'Italia-Einaudi 1975,4*,350/ss:la storia economica;Parte quarta;"il periodo della ricostruzione";"il "miracolo conomico" Ruggero Giacomini - I partigiani della pace - Vangelista editore 1984 Eric J.Hobsbawm - Il secolo breve - SB Saggi - qunta edizione,gennaio 2002 Rolf Petri - Storia economica d'Italia (1918-1963) - Il Mulino 2002