I bambini esibiscono diverse emozioni e mostrano,
attraverso le loro reazioni, di comprendere quelle degli
altri già durante il primo anno di vita.
Verso i 12 mesi le emozioni degli altri diventano fonte di
informazione su oggetti o situazioni sconosciute.
Verso i 18 mesi compare la coscienza di sé e la capacità di
riflettere su se stessi. (imbarazzo invidia empatia)
Durante i primi 2 anni oltre alla conoscenza della realtà
esterna l’infante entra in contatto con la realtà interna, il
proprio Sé.
Diversi autori si sono occupati dello sviluppo del Sé e tutti
sottolineano l’intreccio tra Sé ed emozioni.
Il Sé può essere definito in base alle sue funzioni:
è l’istanza psicologica che consente a ciascuno di noi di
integrare le proprie esperienze, sia tracciando un confine
tra ciò che pertiene all’individuo e ciò che pertiene al
resto del mondo, sia assicurando la continuità tra
esperienze che avvengono in momenti diversi.
Il Sé quindi è ciò che ci consente di definire noi stessi e la
realtà esterna.
Diversi autori sostengono che esso è presente già nel neonato
e costituisce la sede dell’esperienza percettiva ed emotiva dei
processi autoregolatori con cui l’organismo reagisce alle
variazioni ambientali.
Il Sé presimbolico è dunque la base necessaria per il
successivo emergere della coscienza di Sé ed è il principio
unificatore delle attività orientate verso le altre persone.
Non si tratta di coscienza di sé ma solo di un’esperienza di tipo
intuitivo-affettivo: è quello che chiamiamo “Io.
Il primo indizio di un Sé consapevole è
costituito dal riconoscimento del proprio
aspetto fisico.
La consapevolezza di sé ha anche altre
manifestazioni: la gamma di emozioni che i
bambini
possono
sperimentare
si
arricchisce con la comparsa delle emozioni
autocoscienti;
i bambini manifestano una crescente determinazione nel far
valere la propria volontà nei confronti degli adulti, e al
tempo stesso anche un crescente autocontrollo, la
capacità cioè di resistere ai propri impulsi per agire in
conformità alle richieste dei genitori.
Già nelle prime settimane di vita i bambini manifestano
diverse espressioni facciali simili a quelle che negli adulti
corrispondono a delle emozioni.
Alcuni studiosi, quelli che aderiscono all’approccio
differenziale, ritengono che la comparsa di un’espressione
chiaramente riconoscibile indichi la presenza dell’emozione
corrispondente.
Il punto di vista che gode di maggior consenso si richiama
all’approccio della differenziazione o a quello organizzazionale
e sostiene che durante il primo anno di vita le emozioni non
compaiono già completamente formate, ma si sviluppano a
partire da strutture più primitive, attraverso un processo di
differenziazione e riorganizzazione, che avviene grazie a
concomitanti cambiamenti a livello cerebrale, cognitivo, sociale.
Secondo Alan Sroufe, le espressioni che si osservano nei primi
mesi di vita corrisponderebbero a prototipi fisiologici a cui
seguiranno dei precursori per arrivare alle emozioni vere e
proprie solo dopo i 6 mesi.
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
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Il prototipo fisiologico è presente nei primi mesi di vita.
I precursori compaiono verso i tre mesi.
Le emozioni vere e proprie compaiono dopo i sei mesi.
Per far sì che compaiano le emozioni sociali deve essere
conseguita una consapevolezza di sé che permetta la
comparsa di emozioni esposte, le quali richiedono che si
rivolga l’attenzione su se stessi, esponendo il proprio Sé allo
sguardo proprio o altrui.
Le emozioni esposte comprendono imbarazzo, invidia e
gelosia, e la empatia.
Un altro importante gruppo di emozioni sociali è costituito da
orgoglio, senso di colpa, vergogna, che possono essere
definite emozioni autocoscienti valutative, perché originate
da un confronto tra un proprio comportamento e delle norme
sociali.
Durante il primo anno di vita i bambini non hanno la capacità di
regolare le proprie emozioni, questa regolazione viene
esercitata soprattutto dai genitori, il cui intervento in questo
periodo è fondamentale: evitando che i bambini arrivino a
provare emozioni troppo intense, essi li aiutano ad acquisire
la capacità di regolare le proprie emozioni prima che queste
raggiungano dei picchi sui quali è difficile intervenire con
successo.
Le capacità di autoregolazione delle emozioni migliorano in
parallelo con lo sviluppo di capacità che consentano ai
bambini un controllo attivo sugli stimoli.
La gamma di emozioni con cui i genitori si rivolgono ai figli si
amplia man mano che questi crescono.
Quando i bambini cominciano a muoversi per la casa
forniscono ai genitori l’occasione per esprimere con
crescente frequenza paura e rabbia inducendoli anche a
imporre proibizioni e comandi con le parole, il tono della
voce, l’espressione del volto, oppure spostando di peso il
figlioletto.
Secondo Darwin la precoce reattività infantile delle emozioni
altrui indica che esiste negli esseri umani la capacità innata
di comprendere le espressioni emotive, e un istinto che ci
spinge a provare emozioni simili.
Oltre a presentare differenze connesse all’età, le emozioni
e la loro regolazione variano molto da un individuo
all’altro a tutte le età. E’ a queste differenze che ci
riferiamo dicendo che una persona è timida, paurosa,
temeraria, allegra, calma…
Particolarmente importante nella storia della ricerca sul temperamento è
stato uno studio longitudinale (il New York Longitudinal Study o NYLS )
intrapreso con l’intento di evidenziare differenze individuali in quelli che essi
chiamavano <<pattern di reazioni primarie>> degli infanti e poi ridefiniti
<<temperamento>>.
Sono state intervistate a più riprese 138 madri dalla nascita del loro
bambino fino al decimo anno.
Classificando le descrizioni materne gli autori hanno individuato tre profili
temperamentali:
Bambini facili (40% del campione)molto regolari nei ritmi biologici, attratti
dalle novità, si adattano ai cambiamenti e sono prevalentemente di buon
umore.
Bambini difficili (10%)hanno fame o sonno a orari imprevedibili,
reagiscono in modo eccessivamente intenso agli stimoli e sono
spesso di malumore.
Bambini lenti a scaldarsi (15%)presentano un basso livello di attività,
un’iniziale ritrosia di fronte alle novità, una certa lentezza nell’adattarsi, una
reattività un po’ esagerata e un umore non proprio ottimo.
Le differenze temperamentali contribuiscono in modo rilevante alla
sviluppo socioemozionale e della personalità.
La formazione della personalità può essere vista come il risultato di
meccanismi mediante i quali quegli attributi temperamentali che sono
parte dell’eredità genetica di ciascun individuo accumulano forza di
risposta mediante ripetuti rinforzi e vengono elaborati in strutture
cognitive fortemente prioritarie per accessibilità (Caspi, 1998).
Carpi propone sei principali processi che, nel corso dello sviluppo,
contribuiscono a strutturare la personalità in forme congruenti con il
temperamento iniziale.
In primo luogo il temperamento interferisce con i processi di
apprendimento;
In secondo luogo, le differenze temperamentali
del bambino suscitano reazioni diverse
dall’ambiente.
La percezione dell’ambiente da parte del soggetto stesso è il
terzo meccanismo attraverso cui il temperamento influisce sullo
sviluppo.

Mentre i primi tre meccanismi possono essere visti in azione già
nella prima infanzia, i tre rimanenti presuppongono un maggior
grado di sviluppo emotivo
Nel corso della fanciullezza, grazie alla capacità di assumere la
prospettiva altrui e di riflettere su di sé, vengono effettuati confronti
sociali e temporaliciò avviene principalmente per effetto di
meccanismi attentivi di selezione degli stimoli.
La crescente capacità di autoregolazione e il consolidarsi del
concetto di sé permetterà ai fanciulli di scegliere e manipolare il
proprio ambiente.
Infine si posso registrare dei cambiamenti sia normativi che non
normativi.
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I bambini sono orientati fin dalla nascita all’interazione con gli altri esseri
umani, e nel corso di alcuni mesi manifestano una predilezione particolare,
ovvero un attaccamento, nei confronti di una persona che di solito è la
madre.
La teoria sullo sviluppo dei legami affettivi che gode del più vasto seguito è
quella di John Bowlby secondo il quale gli esseri umani, assieme ai
mammiferi e diverse specie di uccelli, hanno la tendenza innata a cercare la
vicinanza e il contatto di uno o più individui.
Bowlby ha contrapposto la propria teoria al punto di vista allora
dominante, da lui chiamato <<Teoria dell’amore interessato>> portata
avanti dai comportamentisti: il legame tra i bambini e la madre e, più in
generale, le relazioni tra persone derivano dal fatto che per il loro tramite
vengono soddisfatti dei bisogni che in origine non sono sociali.
Il valore di rinforzo assunto dalle persone fa sorgere la motivazione alla
dipendenza.
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A favore della teoria di Bowlby c’è:
Il fatto che anche molti piccoli che già subito dopo la nascita sono in grado
di nutrirsi da sé seguono le loro madri.
Studi sulle scimmie antrofomorfe diretti da Harry Harlow che hanno
messo in evidenza la tendenza a cercare il contatto con un oggetto morbido
piuttosto che con quello che fornisce il cibo.
Quindi esiste un sistema comportamentale, indipendente da quelli del sesso
e dell’alimentazione, rivolto al mantenimento della vicinanza che è
all’origine dei legami affettivi e delle intense emozioni che accompagnano
le loro vicissitudini. La capacità di stringere legami emotivi intimi con altri
è considerata una delle caratteristiche principali di un funzionamento
efficace della personalità e della salute mentale.
Perché ci sia un comportamento di attaccamento, il bambino e la bambina
devono distinguere le persone che sono attorno a loro, formare una
preferenza per una o più di esse, e disporre dei mezzi per farle avvicinare e
mantenersi vicine (comportamenti di segnalazione) oppure per
avvicinarsi essi stessi (comportamenti di avvicinamento).
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Quattro fasi di attaccamento :
Fase 1: Preattaccamento (0-3 mesi)= l’infante manifesta un interesse per
la voce e per il volto umani senza distinguere ancora una persona dall’altra
e mette in atto una serie di comportamenti di richiamo che provocano
l’avvicinamento delle persone e mantengono la vicinanza.
Fase 2: attaccamento in formazione (3-8 mesi)= continuano a
manifestare interesse per le persone e piacere nell’interagire con esse ma
ora queste reazioni sono più intense nei confronti della madre e di altre
persone familiari.
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Fase 3: Attaccamento vero e proprio (8 mesi, 2-3 anni)= con l’inizio della
locomozione i bambini cominciano a esplorare l’ambiente e hanno dei mezzi
più efficaci per mantenere la vicinanza con la madre. Quando essa è
presente la usano come base sicura, se si allontana smettono di esplorare e
di giocare per chiamarla (ansia da separazione). La reazione agli estranei in
questa fase è diversa perché subentra una diffidenza che può trasformarsi in
un pianto a dirotto (angoscia o paura dell’estraneo).
Fase 4: Formazione di un rapporto reciproco (dai 3 anni in poi)= i
progressi nella sfera cognitiva e linguistica consentono ai bambini di
arricchire la propria rappresentazione delle figure di attaccamento con delle
idee sempre più elaborate sui loro pensieri e loro desideri. Questi progressi
offrono nuovi mezzi per mantenere la vicinanza (richieste verbali, minacce,
negoziazioni, tentativi di persuasione).
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L’influenza delle prime relazioni di attaccamento su quelle successive e
sulla serenità e la sicurezza di una persona è mediata dal fatto che esse
vengono codificate precocemente in rappresentazioni mentali che
perdurano nel tempo e orientano il comportamento, e nelle quali la figura di
attaccamento, il Sé e la relazione di attaccamento sono intrecciati.
Bowlby per designare queste
rappresentazioni usa il termine
<<working models>>= tradotto
come modelli operativi.
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Mary Ainsworth ha condotto ricerche sull’interazione madre-bambino nel
primo anno di vita che le hanno consentito di mettere a punto una
procedura di osservazione sistematica: STRANGE SITUATION.
Questa procedura e altre ricerche della Ainsworth hanno consentito di
identificare 3 tipi di attaccamento:
attaccamento sicuro
attaccamento insicuro-evitante
attaccamento insicuro-resistente (o ambivalente)
E successivamente identificato da altri studiosi:
attaccamento disorganizzato
CAUSE:
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Attaccamento sicuro = l’antecedente di questo tipo di attaccamento è stato
identificato in vari aspetti del comportamento della figura di attaccamento
come accettazione, cooperazione, accessibilità, e sensibilità intesa come
capacità di rispondere in modo tempestivo e appropriato ai segnali del
bambino.
Attaccamento evitante = si presenta nei bambini le cui madri sono invadenti,
poco attente alle richieste dei figli.
Attaccamento resistente = compare nei bambini che hanno madri distaccate,
che non li tengono in braccio o accarezzano volentieri, e spesso non
rispondono ai loro segnali.
Attaccamento disorganizzato = compare nei bambini che soffrono di gravi
abusi e negligenze.
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Molte ricerche però dimostrano che le cause dei vari tipi di attaccamento
siano più numerose è complesse di quanto ipotizzato da Bowlby e dalla
Ainsworth.
Tra le cause:
I bambini stessi, infatti già al momento della nascita hanno un proprio
temperamento che può rendere più o meno facile, difficile e in certi casi
estremamente difficile prendersi cura di loro.
Il comportamento della madre, influenzato da vari fattori come momenti di
difficoltà familiare, problemi sul lavoro, soddisfazione del proprio
matrimonio, insicurezza economica.
Un altro fattore che influisce sulla capacità di una donna di svolgere in
modo adeguato le sue funzioni materne è il tipo di modello operativo che
essa ha dei propri rapporti di attaccamento durante la fanciullezza. Questi
modelli vengono esaminati attraverso una intervista semistrutturata = la
Adult attachment interview
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Numerose ricerche sono state condotte per vedere se i diversi tipi di
attaccamento persistevano nel tempo e se la loro influenza si manifestava
anche al di fuori dell’ambito familiare:
Per gli adulti è stata ideata l’Adult attachement interview.
Per i bambini in età prescolare sono stati apportati vari strumenti che vanno
dall’osservazione dei comportamenti in situazioni di separazione-riunione,
all’uso di strumenti semiproiettivi.
La stabilità dell’attaccamento dall’infanzia alla fanciullezza è elevata, le
differenze tra attaccamento a un anno e modello interno vent’anni dopo a
volte è spiegabile sulla base delle esperienze intercorse.
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La sicurezza dell’attaccamento assicura ai bambini la fiducia in se stessi e nelle
altre persone che costituisce una premessa per un armonioso sviluppo sociale e
cognitivo.
Alan Sroufe ha messo in relazione l’attaccamento con le altre caratteristiche
sociali e cognitive misurate durante gli anni dell’asilo e della scuola
elementare:
i bambini con attaccamento sicuro = erano più curiosi, facevano giochi
più complessi e persistevano più a lungo nel tentativo di risolvere problemi.
Inoltre instauravano alla scuola materna buoni rapporti con le insegnanti e gli
altri bambini.
i bambini con attaccamento evitante e ambivalente erano accompagnati
da varie difficoltà nei rapporti con i coetanei e con il personale della scuola.
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Già al suo formarsi il comportamento di attaccamento è rivolto verso più
persone, è però possibile distinguere una figura di attaccamento principale.
La preferenza non è data dalla quantità di tempo trascorso con l’infante o il
fatto di nutrirlo e pulirlo, ma dalla prontezza nel rispondere ai suoi richiami
e dalla sua disponibilità a interagire sorridendo, giocando, coccolandolo.
Per la maggior parte dei bambini la figura di
attaccamento principale è la madre ma in linea
di principio non si può escludere che possa essere
il padre, ma ciò non sembra molto comune.
Di regola i bambini con attaccamento sicuro alla madre hanno un
attaccamento altrettanto positivo anche nei confronti del padre ma ci cono
anche bambini in cui l’attaccamento al padre risulta più solido che alla
madre .
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Un fattore che favorisce l’attaccamento al padre è il tempo che questi
dedica al piccolo. In molti paesi industrializzati si osserva un crescente
coinvolgimento dei padri nelle cure quotidiane del lattante.
I padri dedicano ai figli complessivamente meno tempo rispetto alle madri
ed esibiscono verso i piccoli meno reazioni emotive, essi però giocano con
i figli di più delle madri prediligendo attività fisiche e giochi che implicano
il contatto diretto.
Anche la relazione tra l’infante e le educatrici meritano interesse infatti
queste sembrano svolgere un ruolo diverso da quello familiare ma
compensatorio riuscendo spesso a fornire risorse affettive aggiuntive ai
bambini con attaccamento materno insicuro.
Una delle motivazioni che spingono molti
genitori ad inserire il bambino al nido è la
presenza di altri bambini della stessa età.
E’ stato riscontrato che le relazioni tra bambini
sono tendenzialmente positive.
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Fino al sesto mese circa = un lattante che vede un altro bambino mostra
interesse, guardandolo, toccandolo, emettendo dei vocalizzi o sorridendo.
Tra i 6 ed i 9 mesi = il bambino inizia a rivolgere ai coetanei dei gesti più
specificamente sociali. All’azione del primo però non corrisponde ancora
un’azione del secondo, i contatti con i bambini rimangono di solito
unilaterali fino al termine del primo anno di vita.
Dopo i 12 mesi = questo avviene sempre più di frequente dando vita ad
interazioni complementari che implicano azioni coordinate di entrambi i
partecipanti.
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Durante il primo anno di vita, molte <<aperture sociali>> tra coetanei
restano infruttuose poiché per un infante interagire con un altro infante è
meno facile che con un adulto: così le prime attività in comune tra
compagni di asilo nido risultano un pò inferiori per qualità e durata rispetto
a quelle che ciascuno dei due bambini riuscirebbe a portare avanti con il
sostegno di un adulto.
Alcuni studi hanno comunque messo in luce che già tra i 9 e 12 mesi, se si
offre a due bambini la possibilità di familiarizzare incontrandosi
ripetutamente, la relazione tra essi subisce delle trasformazioni in senso
positivo
alcuni autori hanno sostenuto l’esistenza di relazioni
amicali nel primo anno di vita anche se forse sarebbe
più prudente limitarsi a parlare di <<familiarità>>.