Regulation of circulation during exercise: Neural and mechanical controls. Antonio Cevese Lo scopo del cuore e del sistema circolatorio durante l’esercizio è di trasportare la quantità di ossigeno richiesta dai muscoli che lavorano, aumentando la gittata cardiaca in maniera strettamente (e linearmente) correlata al consumo d’ossigeno del corpo, che a sua volta rispecchia in genere l’aumento del metabolismo muscolare Il principale meccanismo che produce l’aumento della fuoruscita di sangue dal cuore è una rapida caduta delle resistenze nelle arteriole del muscolo scheletrico; questo tuttavia non basta, perché il cuore deve essere adeguatamente riempito per produrre e mantenere una gittata aumentata, mentre le resistenze periferiche totali devono essere regolate per impedire cadute della pressione arteriosa Tutto ciò è reso possibile dal concomitante aumento del flusso di sangue dalle vene centrali all’atrio destro, che è innanzitutto provocato da fattori meccanici, come l’azione di pompa delle contrazioni muscolari ritmiche e dall’aumento della pressione negativa intratoracica nel corso di inspirazioni profonde. Ovviamente, oltre ai comandi nervosi centrali ai muscoli attivi, la risposta integrata all’esercizio comprende una vasta gamma di reazioni nervose ed endocrine che contribuiscono ad aumentare la capacità gnenerale di compiere lavoro di goni individuo Non tutti i sistemi di controllo sono indispensabili. Per esempio, il cuore può perdere le proprie fibre nervose autonome e rimanere in grado di assolvere al suo ruolo e quindi di aumentare la gittata sistolica durante l’esercizio. In tutto il mondo, il numero di persone che sopravvivono ad un trapianto cardiaco e sono ancora in grado di svolgere una vita abbastanza normale è cresciuto enormemente negli ultimi vent’anni: il cuore trapiantato è denervato e, nella maggior parte dei casi, non si reinnerva. Ciononostante, i cardiotrapiantati possono aumentare la loro gittata cardiaca in maniera sufficiente a sostenere discrete quantità di lavoro muscolare. È peraltro vero che, anche dopo intensi allenamenti aerobici, la loro performance massimale non aumenta ai livelli degli atleti d’élite; è stato, però, ripetutamente dimostrato che il fattore limitante non è la capacità del cuore di aumentare la gittata cardiaca, ma riguarda i muscoli ed è in relazione alla malattia cronica che ha portato al trapianto cardiaco. Questo esempio è illuminante, perché dimostra come meccanismi ausiliari consentano di conservare una funzione perduta. Nel caso del cuore trapiantato, il meccanismo di Starling fa si che la gittata sistolica aumenti secondo le necessità, mentre il nodo del seno, liberato dal controllo nervoso autonomo, riesce ancora ad aumentare la frequenza cardiaca, anche se più lentamente, in risposta alle catecolamine circolanti, per sostenere la gittata cardiaca necessaria Il primo fattore responsabile dell’adattamento cardiovascolare all’inizio dell’esercizio è la caduta delle resistenze arteriolari locali nei muscoli attivi. Numerosi studi hanno dimostrato che già la contrazione dei muscoli, a prescindere da fattori metabolici, contribuisce ad aumentare il flusso di sangue muscolare: dato che la contrazione spinge il sangue fuori dai capillari, il gradiente arterovenoso di pressione aumenta transitoriamente, facilitando il passaggio del sangue dalle arteriole ai capillari. È molto importante tenere presente che, mentre il metabolismo muscolare aumenta all’improvviso, parallelamente allo sviluppo istantaneo di forza, la funzione cardiocircolatoria, invece, impiega un tempo reale a stabilizzarsi su nuovi livelli più elevati. La lista dei possibili fattori vasodilatatori è lunga e certamente incompleta, e pertanto non conviene rivederla. Vale la pena però di ricordare che recentemente alla lista si è aggiunto l’ossido nitrico (NO). È infatti evidente che il principale stimolo fisiologico che aumenta l’attività dell’enzima e-NOS (responsabile della produzione fisiologica di NO), cioè la forza di taglio (shear stress) è strettamente correlato con l’aumento del flusso e della velocità del sangue. È interessante riportare una vecchia osservazione secondo cui la combinazione di diversi fattori produce effetti vasodilatatori sempre maggiori di ciascun fattore preso da solo Quando i muscoli cominciano a contrarsi, fattori locali fanno cadere le resistenze vascolari, riducendo in parte l’opposizione alla fuoruscita del sangue dal cuore. Questo può avere due conseguenze dirette: a fronte di un postcarico ridotto il cuore può aumentare la gittata; d’altra parte, la caduta delle resistenza di per se abbas-sa la pressione arteriosa, che è la forza che spinge il sangue attraverso le arteriole, nei capil-lari di tutti i tessuti. Se l’aumento della gittata fosse compensato in maniera esatta dalla riduzione delle resistenze, la pressione non cambierebbe; è tuttavia ben difficile che ciò possa avvenire senza un selettivo sistema di controllo, che impedisce cambiamenti pressori eccessivi. Durante un esercizio massimale la gittata cardiaca può aumentare da 4 a 6 volte, arrivando a superare i 30 litri al minuto (sono stati ipotizzati anche aumenti maggiori, ma è quasi impossibile ottenere buone misure della gittata cardiaca nell’uomo durante l’esercizio intenso), in atleti di endurance ben allenati. A questo si arriva aumentando sia la gittata sistolica sia la frequenza cardiaca. Rimane comunque la necessità di riempire il cuore con un’adeguata quantità di sangue refluo dalla circolazione sistemica e da quella polmonare. Per comprendere di quanto possa aumentare il ritorno venoso, bisogna ricordare che il volume di sangue circolante può essere suddiviso fra due componenti, peraltro non distinguibili: Il volume di riempimento ed il volume in eccesso La prima componente è quel volume di sangue (tessuto liquido) che riempie completamente le cavità del sistema circolatorio, compreso il cuore, senza distenderne le pareti elastiche La seconda parte è il volume di sangue spinto a forza dentro i tubi, che si devono distendere per accoglierlo, e così facendo generano pressione. La pressione di distensione è stata denominata “pressione circolatoria media”. Se si fermasse all’improvviso il cuore e si pompasse rapidamente il sangue dalle arterie alle vene, la pressione scenderebbe rapidamente nelle arterie e crescerebbe più lentamente nelle vene; quando la pressione arteriosa fosse uguale a quella venosa, e ogni gradiente di pressione fosse annullato, si potrebbe misurare la pressione circolatoria media. Il valore generalmente attribuito alla pressione circolatoria media in condizioni basali è pari a 7 mmHg. È pertanto chiaro che ogni evento che modifica la pressione circolatoria media influenza il ritorno venoso, e quindi la gittata cardiaca, se il cuore assolve bene alla sua funzione di pompa. A sua volta, la pressione circolatoria media dipende dal volume totale di sangue, dal volume di riempimento, e dalla distensibilità (compliance) dei vasi. Il volume di sangue è mantenuto relativamente costante da vari fattori neuroumorali, fra cui ricordiamo il rene e i tessuti emopoietici. Il controllo del volume di sangue si manifesta lentamente, giorno dopo giorno, anche se bisogna ricordare che il volume totale può ridursi più o meno rapidamente a seguito di emorragia Il rapporto fra il volume totale di sangue e quello di riempimento, così come la distensibilità dei vasi, sono determinati da fattori strutturali, in particolare quelli che accompagnano l’accrescimento corporeo. Possono però cambiare anche rapidamente, e sono sotto controllo neuroumorale. Il volume totale del sangue si ripartisce in modo ineguale fra i compartimenti arterioso e venoso. Questo vale tanto di più per il volume in eccesso, che è contenuto quasi esclusivamente nelle vene (rapporto arterie/vene = 1:20). Il nostro corpo a riposo contiene una grossa riserva di sangue, distribuita nelle vene: essa può essere spostata rapidamente quando è necessario. Quando la respirazione diventa forzata, il sangue è risucchiato attivamente verso l’atrio destro, mentre viene pompato fuori dalle vene addominali dalla contrazione dei muscoli della parete che rinforza l’espirazione. La maggior parte del sangue venoso (fino all’80%) è però contenuta nelle piccole vene e nelle venule postcapillari, anche in quelle dei muscoli, che sono direttamente esposte all’azione di spremitura da parte delle fibre che si contraggono. Tutti i vasi sono controllati da una scarica simpatica vasocostrittrice (tono vasocostrittore), che può essere modulata, in primo luogo, dai riflessi cardiovascolari e, in maniera più lenta, da molecole vasoattive circolanti, fra cui le catecolamine. L’effetto più scontato di ogni aumento dell’attività simpatica è l’aumento delle resistenze periferiche totali, che in genere provoca aumenti della pressione arteriosa, o ne impedisce la caduta. Anche nelle vene si manifesta un aumento dell’attività contrattile della muscolatura liscia, che ha importanti effetti sulla capacitanza e sulla compliance venosa Le conseguenze dell’aumento del tono venoso si manifestano sia come riduzione del volume di riempimento (una proporzione maggiore del volume totale diventa volume in eccesso), sia come riduzione della compliance. Quindi, è facilitato il ritorno venoso, a causa dell’aumento del volume di sangue messo effettivamente in circolazione e di una maggiore pressione venosa. Il contributo delle vene dei vari distretti circolatori all’aumento del ritorno venoso dovuto alla stimolazione simpatica non è distribuito uniformemente: è prevalente nell’area splancnica e minimo nei muscoli. È stata introdotta l’idea di un “cuore periferico”: al cuore centrale spetterebbe il compito di spingere il sangue attraverso le arterie e le arteriole; al cuore periferico il compito di innescare la pompa centrale in maniera continua (ed adeguata) con la maggior quantità di sangue necessaria a far fronte a richieste metaboliche aumentate durante la contrazione dei muscoli scheletrici. L’ondata di ritorno venoso che deve riempire bene l’atrio destro per sostenere l’aumento della gittata cardiaca è normalmente del tutto adeguata. Soltanto soggetti con una grave insufficienza delle valvole venose, incompetenza autonomica o importanti riduzioni del volume di sangue circolante (di qualunque origine) possono andare incontro ad un’insufficienza acuta di questo meccanismo, con conseguente brusca ipotensione, annebbiamento della vista, vertigini, fino allo svenimento. LA LEGGE DEL CUORE DI STARLING Entro certi limiti, il cuore è in grado di aumentare la gittata in funzione del riempimento diastolico, come affermato dalla legge del cuore di Starling. Tuttavia, la reale importanza di questo principio per il funzionamento normale del cuore nell’esercizio fisico è stata messa in discussione, poiché si è visto che le dimensioni diastoliche dei ventricoli normalmente non aumentano nell’esercizio, anzi possono persino diminuire per sforzi lievi/moderati. Quello che rimane cruciale è il ruolo del meccanismo intrinseco nel mantenimento della parità funzionale fra le metà destra e sinistra della pompa cardiaca. Quando si pratica un esercizio in posizione supina, la gittata sistolica non aumenta affatto, perché il volume pompato a riposo è già quasi come quello che si raggiunge quando si inizia un esercizio in piedi. Il meccanismo che fa aumentare rapidamente la gittata sistolica in posizione eretta è legato alla necessità di compensare gli effetti della gravità sul ritorno venoso e non aggiunge un volume funzionale alla dinamica cardiocircolatoria durante l’esercizio. IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO Il sistema nervoso autonomo è evidentemente coinvolto negli adattamenti cardiovascolari all’esercizio. La risposta tipica consiste in un aumento generalizzato dell’attività simpatica sul cuore e sui vasi ed in una caduta del tono parasimpatico sul cuore. Questi aggiustamenti funzionali sono innanzitutto provocati dal comando centrale che coordina le contrazioni dei muscoli dello scheletro e riguarda anche il sistema nervoso autonomo, sia in maniera diretta, sia indirettamente, attraverso un resetting dei sistemi di controllo riflessi. Il controllo riflesso del sistema circolatorio è affidato a due ordini principali di recettori: quelli che si trovano nei compartimenti a bassa pressione (vene centrali, atri e vene polmonari) e quelli che si trovano nei compartimenti ad alta pressione (sostanzialmente, i barocettori aortici e carotidei). I recettori a bassa pressione sono da considerare più precisamente recettori di volume (si tratta comunque di meccanocettori, stimolati dalla deformazione delle pareti), proprio per la distribuzione disuguale del volume di sangue di cui si è parlato. Il loro ruolo consiste nell’aumentare la frequenza cardiaca quando aumenta il ritorno venoso (il ben noto riflesso di Bainbridge), ma anche quando il cuore non ce la fa a smaltire tutto il sangue che riceve, come accade nell’insufficienza cardiaca. La loro importanza fisiologica è però soprattutto legata al controllo neuroumorale del volume totale di sangue. Il volume di sangue è controllato dai fattori che regolano l’emopoiesi e dal rene, che controlla l’equilibrio fra assunzione e perdita di acqua e soluti. L’equilibrio ionico è sotto il controllo dell’aldosterone (ormone della corteccia surrenale) la cui produzione, a sua volta, è stimolata dall’angiotensina (asse renina-angiotensina-aldosterone): presiede alla determinazione del riassorbimento facoltativo di soluti (e acqua) L’assorbimento di acqua è regolato a livello dei dotti collettori dall’ormone antidiuretico (ADH – vasopressina). L’ADH è prodotto nei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo e accumulato nella neuroipofisi, che lo immette in circolo, secondo i seguenti stimoli: l’osmolarità del plasma è avvertita dalle cellule dell’ipotalamo, dette anche “osmocettori”: quando questa aumenta, normalmente per eccessiva perdita di acqua, aumenta la liberazione di ADH e il riassorbimento renale L’attività dei nuclei sopraottico e paraventricolare è regolata anche in via riflessa da fibre afferenti dai meccanocettori atriali (recettori di volume). Quando l’atrio si distende perché aumenta il ritorno venoso, la produzione di ADH è inibita e aumenta l’escrezione di urina diluita. Il ritorno venoso può aumentare per mancanza dell’accelerazione di gravità (voli spaziali, decubito supino) o per eccessivo accumulo di acqua. Gli atri si distendono anche quando la contrattilità ventricolare è ridotta LA VARIABILE CONTROLLATA La variabile del sistema cardiovascolare classicamente definita come controllata è la pressione arteriosa media. Numerosi sitemi di controllo contribuiscono al mantenimento della pressione arteriosa media su valori sostanzialmente stabili nel corso di una giornata, mediante meccanismi che agiscono in tempi rapidi, intermedi e lunghi. I meccanismi rapidi sono quelli legati al controllo nervoso autonomo. Il problema, tuttora parzialmente irrisolto, è se I barocettori continuino a funzionare durante l’esercizio, e se sì, se il loro funzionamento si modifichi e in quale misura. A prima vista, si direbbe che essi sono fuori gioco, perché nell’esercizio dinamico la pressione arteriosa effettivamente cambia: la diastolica tende a diminuire o rimane costante, mentre la sistolica aumenta, raggiungendo anche valori elevati (180-200 mmHg). Pertanto, la pressione media aumenta. Contemporaneamente, aumenta anche la frequenza cardiaca, raggiungendo i più elevati valori possibili per ciascun individuo. Evntuali rapide variazioni della pressione, però, come quelle associate alle variazioni posturali, rimangono efficacemente controllate: questo indica che i barocettori continuano a regolare la pressione, anche se su valori più elevati. È quindi evidente che il set point dei recettori è spostato in alto, probabilmente per effetto del comando centrale: l’ambito operativo è spostato a destra, ma il guadagno non cambia. Ogni ricerca sui barocettori nell’uomo è piuttosto difficile, perché per caratterizzare un sistema di controllo basato su un anello a controreazione negativo (negative feedback loop) in teoria sarebbe necessario aprire l’anello, com’è stato fatto tante volte in animali da esperimento. Gli esprimenti classici, eseguiti soprattutto su cani, si avvalevano dell’isolamento chirurgico delle biforcazioni carotideee, per poter cambiare la pressione a livello dei seni, indipendentemente dalla pressione arteriosa. Questo ovviamente non sarebbe possibile nell’uomo. Nell’uomo, Il riflesso barocettivo è stato studiato in condizioni di anello chiuso, analizzando i rapporti fra piccole variazioni della pressione e del periodo cardiaco (inverso della frequenza). Le oscillazioni spontanee di queste variabili si possono studiare calcolando ripetutamente la regressione lineare fra le due variabili per pochi cicli cardiaci consecutivi, quando cambiano nella stessa direzione, in registrazioni di lunga durata. Si può anche ricorrere all’analisi cross spettrale. Si possono anche provocare rapide alterazioni della pressione arteriosa somministrando alternativamente un farmaco vasoconstrittore (fenilefrina) ed uno vasodilatatore (nitroprussiato di sodio), mentre si misura il periodo cardiaco e calcolando ancora la pendenza della retta di regressione fra le due variabili. Si studia il riflesso barocettivo anche in condizioni di anello aperto applicando pressioni negative e/o positive ad un collare rigido munito di una cuffia gonfiabile e sistemato intorno al collo. Non sembra che l’allenamento aerobico migliori la funzione barocettiva, dato che si sono spesso misurate riduzioni del guadagno del riflesso dopo l’allenamento. È tuttavia necessario attendere il risultato di ulteriori studi sull’argomento. La branca efferente del baroriflesso coinvolge entrambe le sezioni del sistema nervoso autonomo. Considerato che il primo passo dell’adattamento cardiovascolare all’esercizio è rappresentato dalla caduta delle resistenze periferiche, dovuta ad una serie di fattori locali, potrebbe verificarsi un’ampia riduzione della pressione arteriosa, che scarica i barocettori ed innesca la risposta riflessa. La scarica vagale sul cuore si riduce o cessa del tutto, provocando un rapido aumento della frequenza cardiaca. Con un breve ritardo, compaiono gli effetti della stimolazione simpatica, che aumentano ulteriormente la frequenza e fanno crescere il tono della muscolatura liscia vasale. Il tono arteriolare aumenta ed è responsabile di una vasocostrizione generalizzata, che non risparmia i vasi dei muscoli scheletrici. Nei muscoli attivi, gli effetti vasodilatatori locali annullano completamente la vasocostrizione nervosa. Quest’osservazione ha fatto introdurre il termine “simpaticolisi funzionale”, che indica la perdita di ogni effetto vasocostrittore delle fibre simpatiche sui muscoli attivi. Quest’idea non è stata confermata da risultati di ricerche successive che hanno dimostrato che la stimolazione del simpatico, come quella provocata dallo scarico dei barocettori, in effetti riduce la conduttanza vascolare nei muscoli durante l’esercizio. In tutti gli altri tessuti, compresi in muscoli non impegnati nell’esercizio, la resistenza aumenta e il flusso ematico è più o meno drasticamente ridotto. Pertanto, durante l’esercizio, ha luogo una profonda ridistribuzione della gittata cardiaca. Le variazioni delle scariche nervose autonome provocano cambiamenti globali della funzione cardiaca. Di particolare importanza l’effetto inotropo positivo, perché la funzione di pompa del cuore dev’essere adeguatamente sostenuta, per permettergli di trasferire alle arterie il grosso vlume di sangue che ritorna dalle vene centrali durante l’esercizio e di mantenere la gittata cardiaca richiesta. A questo si associa un ben documentato effetto lusitropo, che accelera e migliora il rilasciamento del cuore, assicurando un’efficace fase di riempimento rapido all’inizio della diastole. Si accorcia anche la durata della sistole. La combinazione di questi fattori migliora la capacità del cuore sia di accogliere il ritorno venoso aumentato, sia di trasferire più sangue ossigenato alle arterie. RIDISTRIBUZIONE DELLA GITTATA CARDIACA Mentre il flusso di sangue dei muscoli attivi deve aumentare, e pure quello delle arterie coronarie, che servono le accresciute richieste metaboliche del cuore, esso è drasticamente ridotto nell’area splancnica. Altri importanti distretti vascolari seguono le proprie regole. La cute è vasocostretta, ma la circolazione cutanea può aumentare per esigenze di termoregolazione, per cui l’esercizio al caldo umido può condurre ad un palese conflitto, sottraendo una parte crescente della gittata cardiaca ai muscoli attivi, che tuttavia non possono ridurre il proprio flusso. La termoregolazione può venirne compromessa e si va incontro al colpo di calore. Al contrario, la circolazione cerebrale rimane tipicamente autoregolata. I reni tendono ad autoregolare il proprio flusso: la vasocostrizione renale contribuisce infatti all’aumento generalizzato delle resistenze vascolari dei tessuti non muscolari, ma in maniera non correlata al carico di lavoro. L’argomento più controverso è la partecipazione delle arteriole muscolari alla vasocostrizione simpatica. Il flusso ematico è scarso nei muscoli a riposo, ma si può verificare un’ulteriore vasocostrizione, che contribuisce a mantenere alta la pressione arteriosa. Nei muscoli nei quali il livello del metabolismo è elevato a causa dell’attività contrattile ritmica, invece, il flusso non può ridursi. È però stato dimostrato che anche i muscoli attivi ricevono segnali vasocostrittori dal simpatico, che limitano la grande vasodilatazione provocata da fattori locali. IL METABORIFLESSO Se si blocca il deflusso venoso da un gruppo di muscoli in contrazione (per es. un braccio), le tipiche risposte cardiovascolari durano di più del periodo di contrazione e rimangono segni d’intensa stimolazione simpatica finché l’ostacolo al deflusso venoso non viene rimosso. Questo fatto è stato interpretato come la prova dell’esistenza di un cosiddetto “metaboriflesso”. Sono state riconosciute fibre di piccolo diametro dei gruppi III e IV: le prime deriverebbero da meccanocettori e le seconde da chemiocettori, sebbene esista un notevole polimorfismo Gli stimoli meccanici sono lo stiramento e la pressione (all’interno del tessuto). Per quanto riguarda gli stimoli chimici, si è pensato ad una varietà di ioni o molecole generalmente rilasciati dai muscoli in contrazione, specialmente se in condizioni di ischemia. Però i più ovvi, come gli idrogenioni e l’acido lattico, sono stati scartati, mentre spesso è stato riconosciuto un ruolo strategico agli ioni K+. La stimolazione di fibre afferenti dai muscoli inibisce il controllo vagale del cuore, aumentando la tachicardia, e attiva fibre efferenti simpatiche. L’effetto sarebbe un aumento delle resistenze periferiche totali e della pressione. È stato proposto che questo riflesso possa limitare l’effetto dei vasodilatatori locali che incrementano la conduttanza vascolare nel muscolo scheletrico attivo. Questo riflesso meccano-metabolico è in qualche modo alterato nei pazienti con insufficienza cardiaca e potrebbe essere responsabile di una stimolazione simpatica eccessiva, con ipertensione e ridotta tolleranza allo sforzo in questi pazienti.