Ultima cena - Philippe de Champaigne

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Il
Pane
che Gesù ci dona
Dal Vangelo di Matteo (Cp 26,20-3)
Quando fu sera, si mise a tavola con i dodici discepoli. Mentre
mangiavano, disse: "In verità vi dico: Uno di voi mi tradirà". Ed essi,
profondamente rattristati, cominciarono a dirgli uno dopo l'altro: "Sono
forse io, Signore?" Ma egli rispose: "Colui che ha messo con me la mano
nel piatto, quello mi tradirà. Certo, il Figlio dell'uomo se ne va, come è
scritto di lui; ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo è tradito!
Meglio sarebbe per quell'uomo se non fosse mai nato". E Giuda, il
traditore, prese a dire: "Sono forse io, Maestro?" E Gesù a lui: "Lo hai
detto". Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la
benedizione, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli dicendo: "Prendete,
mangiate, questo è il mio corpo". Poi, preso un calice e rese grazie, lo
diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il
sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati.
Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino
al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio". Dopo che
ebbero cantato l'inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi.
L’ULTIMA CENA di Philippe de
Champaigne, 1652, Parigi – Louvre.
Questa che qui vediamo è l’Ultima Cena di
Philippe de Champaigne, un grande maestro
del ‘600 francese realizzata nel 1652 per l’altar
maggiore del celebre convento cittadino di
Port Royal a Parigi
Philippe de Champaigne è noto per la sua
devozione e per la fine sensibilità religiosa che
coltivava proprio a Port Royal, dove una sua
figlia si era fatta monaca. L’opera era stata
realizzata per la Comunità ed intesseva in una
trama sottile, un contrappunto melodico tra il
testo del Vangelo e la celebrazione eucaristica:
averlo visto nella sua sede originale, sopra
l’altar maggiore, doveva rappresentare
qualcosa di davvero unico! Questa Ultima Cena
dunque, non aveva una funzione meramente
decorativa, era invece pensata come un
“servizio” alla liturgia, come un aiuto per gli
occhi, per aiutare l’assemblea a collocare la
messa sullo sfondo dell’Ultima Cena di Gesù.
Port-Royal era un centro spirituale di grande
importanza in quel periodo: la comunità
monastica, pur sbilanciandosi verso
posizioni rigoriste, proclamava la sua fede
nel mistero eucaristico, esibendo sull’altar
maggiore della propria chiesa questa
superba rappresentazione dell’Ultima Cena.
Sullo sfondo di un drappo oscuro, che crea un clima serio e cupo (il contesto
di tradimento per Gesù) Philippe de Champaigne realizza una composizione
caratterizzata da colori chiari, vivi, assai gradevoli alla vista. Egli sa mostrare al
mondo la fonte ed il culmine della vita cristiana, il dono d’amore di Cristo
celebrato nell’eucaristia.
L’ULTIMA CENA di Philippe de
Champaigne, 1652, Parigi – Louvre.
- GENERALE - L’ispirazione di Philippe de
Champaigne risulta evidente: l’opera è il
risultato di una profonda meditazione sui testi
evangelici della Cena. E’ un Gesù molto
consapevole di ciò che sta facendo di fronte ai
suoi amici; Lui, venuto a realizzare il Regno, ora
assume e dona significato alla sua prossima
morte, vivendola come atto di gratitudine, di
dono, di benedizione. I suoi occhi sono rivolti
al cielo, al Padre: c’è fiducia, c’è speranza in
questo sguardo. La morte non sarà la fine… ma
il fine della sua vita. Ciò risalta ancor di più nel
contrasto del fondale scuro, ottima
interpretazione dell’artista della realtà
pasquale: da un lato la luminosità dell’amore,
dall’altro l’oscurità del rifiuto, dell’ingiusta
condanna, della violenza omicida, cui Gesù
non si sottrae, ma si consegna, restando così
fedele a se stesso, al Padre, ai fratelli.
- GESU’ BENEDICENTE –-Port-Royal
era un centro spirituale di grande
importanza che in quel periodo: la
comunità
monastica,
pur
sbilanciandosi
verso
posizioni
rigoriste, proclamava la sua fede nel
mistero eucaristico, esibendo sull’altar
maggiore della propria chiesa questa
superba rappresentazione dell’Ultima
Cena, in cui Cristo, al centro, sta
riproponendo il gesto consacratorio
del celebrante. Sullo sfondo di un
drappo oscuro, che crea un clima
serio e cupo (il contesto di tradimento
per
- TRE AL CENTRO, CON BROCCA - In questo caso potremmo
parlare proprio di un’opera “sacramentale”, che va ben al di là
di una funzione decorativa. Philippe de Champagne offre una
tela per una comunità religiosa che può così ascoltare il
Vangelo con gli occhi, perché scenda nei cuori, ne alimenti la
fede, quella fede che poi viene celebrata nella messa e vissuta
nel tessuto delle relazioni fraterne improntate al
comandamento dell’amore. Per questo, l’artista, discostandosi
dalla tradizione iconografica precedente che aveva privilegiato
nella raffigurazione il momento dell’annuncio del tradimento
(cfr. Leonardo) qui preferisce concentrarsi, come abbiamo già
notato, sul momento culminante della istituzione del
sacramento (così come avevano voluto evidenziare i canoni del
Concilio di Trento). Così, vediamo raffigurata sotto la tavola
anche la brocca, con cui, nello stesso contesto della cena, Gesù
lava i piedi agli apostoli, per riassumere la sua vita nel segno
del servizio, secondo il racconto di Giovanni 13. Dunque un
programma di vita completo. Un tocco di alta qualità è poi
questa raffigurazione della tovaglia, pulita e ben stirata: un
richiamo molto femminile, a quella tovaglia che certamente le
monache disponevano con cura sull’altare della loro chiesa.
Notevole è il motivo insistito delle pieghe a forma di croce, una
chiara allusione al mistero pasquale riassunto nell’Ultima Cena.
- Philippe de Champaigne ha voluto lasciare
per questo uno spazio libero sul davanti: per
ricordarci che c’è posto anche per noi.
Possiamo tornare allora all’essenzialità di quei
soli due segni, pane e vino che sono su questa
mensa. Solo un pane ed un calice ha voluto
dipingere l’artista: sono ciò che basta a dare
impronta alla vita del cristiano, nel ‘600 come
ei nostri giorni. Così come questi segni hanno
assunto un significato riassuntivo della vita di
Gesù, così possono far scaturire un modo
nuovo di vivere le relazioni, nelle nostre
comunità e nel mondo in cui viviamo, a PortRoyal, come a casa nostra. Sta a noi
riconoscere con gratitudine l’amore di Dio nella
nostra vita così come ce lo ha rivelato l’Ultima
Cena, perché anche noi, con Cristo, per Cristo
ed in Cristo diventiamo “buoni come il pane”,
capaci di spezzarci per far crescere la vita dei
fratelli e sorelle.
A SINISTRA - Dall’altra parte del tavolo, seduto lui
pure con noi al di qua della tavola, si impone sugli
altri la figura di Giuda in primo piano (don Mazzolari
lo chiamava “il nostro fratello Giuda!”). Il sacchetto
con i soldi del tradimento, la gamba protesa in avanti
come in gesto di sfida (quasi una mossa di scherma!)
la mano fieramente posata sul fianco, stanno a dirci
la distanza abissale, la radicale opposizione della sua
logica rispetto a quella di Gesù. E’ l’unico che sciupa
con il braccio l’armonia della tovaglia, creando delle
pieghe. Eppure il Signore è seduto a mensa anche
con lui… come sempre aveva fatto durante la sua
vita, senza la paura di condividere le ambiguità dei
peccatori. A questa mensa, con Giuda, con Pietro che
poi lo rinnegherà, con gli altri che sotto la croce lo
abbandoneranno… possiamo sedere anche noi, santi
e peccatori, sani o malati, uniti o divisi anche come
fratelli cristiani! Gesù è il servo di JHWH che si carica
le nostre colpe, riconciliandoci con Dio. La cena è
allora il raduno messianico di riconciliazione, il
banchetto dell’unità della comunità nuova,
perdonata sempre rimessa in piedi dopo ogni caduta.
Qui, possiamo prendere posto davvero tutti…
prendendo coscienza ancora più fortemente delle
divisioni tra di noi.
A DESTRA - Il gruppo dei dodici reagisce: li vediamo
sorpresi, dubbiosi, meravigliati per le parole di Gesù e
per la portata dei gesti che sta compiendo: non
capiscono il perché di questa oblazione fino alla fine.
Ce lo dicono i dialoghi degli sguardi, le torsioni dei
corpi, il gesticolare delle mani. Gesù sta dicendo e
facendo questa cena per loro, per far comprendere
che questo atto d’amore per tutti, per ogni uomo.
Ecco la diversità delle reazioni: ciascuno con la sua
personalità, il suo stile è chiamato a partecipare
all’evento. Certo, non è facile da capire, ma è molto
bello vedere Gesù che offre gratuitamente il suo pane
come proposta di vita per chi si dispone ad
accoglierla. Il discepolo a destra, girato di spalle, è
posto come noi al di qua della mensa per indicarci il
gesto di Gesù, per indirizzarci a lui. E’ normale che
anche noi restiamo sorpresi e facciamo fatica; l’amore
ci risulta impegnativo, difficile. Tuttavia è altrettanto
normale che restiamo affascinati ed irresistibilmente
attratti da questo dono di Cristo.
-Congediamoci allora da questo capolavoro di arte e di fede,
disponendoci a celebrare l’eucaristia in modo sempre più
autentico e sincero per saper fare questo in memoria di Lui.
In ogni nostro atto d’amore oblativo, si fa presente il Signore:
“Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Dio gradito”.
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