JONAS
(il principio responsabilità)
Prof. Michele de Pasquale
"La responsabilità è la cura per un altro essere quando
venga riconosciuta come dovere, diventando
“apprensione” nel caso in cui venga minacciata la
vulnerabilità di quell’essere. Ma la paura è già
racchiusa potenzialmente nella questione originaria da
cui ci si può immaginare scaturisca ogni responsabilità
attiva: che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi
prendo cura di lui? Quanto piú oscura risulta la risposta,
tanto piú nitidamente delineata è la responsabilità.
Quanto piú lontano nel futuro, quanto piú distante dalle
proprie gioie e dai propri dolori, quanto meno familiare è
nel suo manifestarsi ciò che va temuto, tanto piú la
chiarezza dell’immaginazione e la sensibilità emotiva
debbono essere mobilitate a quello scopo"
(Jonas, Il principio responsabilità)
di fronte alle minacce della contemporaneità (la catastrofe
nucleare, il collasso ecologico, il rischio di una manipolazione
genetica), è urgente la formulazione di una nuova teoria
etica
perché l'etica valga universalmente deve fondarsi
metafisicamente:
si deve individuare nella struttura stessa dell'essere un bene, un valore
che consenta di colmare il divario tra essere e dover essere
“ La fondazione di una tale etica, non più legata alla sfera direttamente interpersonale
del presente, deve estendersi alla metafisica, a partire dalla quale soltanto si potrà
porre la questione del perché gli uomini debbano esistere nel mondo, del perché
quindi valga l'imperativo incondizionato di assicurare la loro esistenza futura.
Nell'ambito dell'ontologia verranno risollevate le antiche questioni concernenti il
rapporto fra essere dover essere, causa e scopo, natura e valore, per ancorare
nell'essere, al di là del soggettivismo dei valori, il nuovo obbligo dell'uomo.” (Jonas,
Il principio responsabilità)
l'uomo deve adoperarsi per negare il non-essere, agendo in favore
della vita e delle generazioni future
di fronte al “Prometeo scatenato” della odierna
civiltà tecnologica è indispensabile elaborare
una nuova etica della responsabilità
“il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza
conferisce forze senza precedenti e l'economia imprime un
impulso incessante, esige un'etica che mediante autorestrizioni impedisca alla sua potenza di diventare una
sventura per l'uomo. La consapevolezza che le promesse
della tecnica moderna si sono trasformate in minaccia, o
che questa si è indissolubilmente congiunta a quelle,
costituisce la tesi da cui prende le mosse questo volume.”
(Jonas, Il principio responsabilità)
la nuova etica è diversa dalle morali tradizionali
una morale che tenga
conto del mondo
extraumano e delle
generazioni future; che
medita sugli effetti a
lungo termine
morali
antropocentriche
che considerano
solo il presente
è insufficiente un’etica dell’intenzione o della
coscienza che ignori le conseguenze dei nostri atti:
dobbiamo saper prevedere gli influssi che le nostre
azioni potranno avere sul futuro
al vecchio imperativo categorigo kantiano bisogna
contrapporre il nuovo imperativo dell’età
tecnologica
“ Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al
nuovo tipo di soggetto agente, suonerebbe pressapoco così: " Agisci
in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la
permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”, oppure, tradotto
in negativo: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non
distruggano la possibilità futura di tale vita”, oppure, semplicemente:
“Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita
dell'umanità sulla terra”, o ancora, tradotto nuovamente in positivo:
“Includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell'uomo come
oggetto della tua volontà" (Jonas, Il principio responsabilità)
su cosa è fondato il dovere di far sì che la vita continui
indefinitamente?
“ È senz'altro evidente che nessuna contraddizione razionale è inerente alla violazione
di questo tipo di imperativo. Io posso volere il bene attuale sacrificando quello
futuro; come posso volere la mia fine, posso volere anche la fine dell'umanità.
Senza cadere in contraddizione con me stesso, posso preferire, per me come
anche per l'umanità, il breve fuoco di artificio di un'estrema autorealizzazione alla
noia di una continuazione infinita nella mediocrità.
Ma il nuovo imperativo afferma appunto che possiamo sì mettere a repentaglio la
nostra vita, ma non quella dell'umanità; e che Achille aveva sì il diritto di scegliere
per sé una breve vita di imprese gloriose piuttosto che una lunga vita di sicurezza
oscura (nell'assunto sottinteso che ci sarebbe stata una posterità a narrare le sue
gesta); ma che noi non abbiamo il diritto di scegliere o anche solo rischiare il nonessere delle generazioni future in vista dell'essere di quelle attuali. Perché non
abbiamo questo diritto e perché abbiamo invece un dovere rispetto a ciò che non
esiste ancora né "in sé” ha bisogno di esistere, e comunque in quanto non
esistente non ne avanza la pretesa? Non è affatto facile dare una fondazione
teorica a questi perché – e forse è impossibile senza la religione. Il nostro
imperativo lo assume per il momento, senza fondarlo, come assioma.” (Jonas, Il
principio responsabilità)
rifiutando la legge di Hume (divieto di passare dall’essere
al dover essere) dichiara il primato dell’essere sul nonessere:
esiste un dover essere intrinseco all’essere che fa
sì che la vita esiga la conservazione di se stessa
se il bene è quella cosa la cui possibilità include l’esigenza
della sua realtà diventando così un dover essere, ne
segue che il dover essere dell’umanità risulta
deducibile dall’idea dell’uomo
poiché l’esistenza dell’umanità futura risulta implicita
nell’idea di un’autentica umanità, è l’idea dell’uomo
che va salvata prima ancora dei singoli individui
“ Il primo imperativo categorico e che ci sia un'umanità…
Per me, lo confesso, questo imperativo è l'unico per il quale
valga veramente la determinazione kantiana del
categorico, ossia dell'assoluto…
Ma poiché il suo principio non è, come per quello kantiano,
l'autocoerenza della ragione che si dà leggi di condotta,
cioè un'idea di azione ... Bensì l’idea ... di possibili attori, e
in quanto tale è un'idea ontologica, un'idea dell'essere, ne consegue che il primo principio di “un'etica del futuro”
non è insito nell'etica stessa in quanto dottrina dell'azione
... ma nella metafisica in quanto dottrina dell'essere (di cui
l’idea dell'uomo costituisce una parte)”
(Jonas, Il principio responsabilità)
la manifestazione concreta dell’imperativo categorico è il
senso di responsabilità
“ Tuttavia il tema vero e proprio è costituito dalla comparsa stessa di questo nuovo
obbligo, sintetizzato nel concetto di responsabilità. Pur non essendo certo un
fenomeno nuovo in ambito morale, la responsabilità non ha mai avuto un tale
oggetto e finora anche la teoria etica se n'è occupata poco. Sia il sapere che il
potere erano troppo limitati per includere il futuro più lontano nelle previsioni e
addirittura il globo terrestre nella coscienza della propria causalità. Anziché
interrogarsi oziosamente sulle remote conseguenze in un destino ignoto, l'etica si è
concentrata sulla qualità morale dell'atto momentaneo stesso, nel quale il diritto del
prossimo che condivide la nostra sorte ha da essere rispettato. Nel segno della
tecnologia, però, l'etica a che vedere con azioni (sia pure non più del soggetto
singolo) che hanno una portata causale senza eguali, accompagnate da una
conoscenza del futuro che, per quanto incompleta, va egualmente al di là di ogni
sapere precedente. A ciò si aggiunge la scala delle conseguenze a lungo termine e
spesso anche la loro irreversibilità. Tutto ciò pone la responsabilità al centro
dell'etica, con orizzonti temporali spaziali corrispondenti appunto a quelli delle
azioni. Per questo la teoria della responsabilità, a tutt'oggi una lacuna, costituisce il
centro dell'opera.” (Jonas, Il principio responsabilità)
la responsabilità trova il suo archetipo originario
nelle cure dei genitori verso i figli:
il neonato funge da paradigma ontico della coincidenza
ontologica tra essere e dover essere
“ Ritorniamo ancora una volta all'archetipo atemporale di ogni responsabilità, quella dei
genitori per il figlio. ... Il concetto di responsabilità implica quello del dover essere,
anzitutto come normatività dell'essere di qualcosa e poi come normatività dell'agire
di qualcuno in risposta a quella normatività dell'essere. Il diritto intrinseco
dell'oggetto ha quindi la priorità. Soltanto una pretesa immanente all'essere può
fondare oggettivamente un dovere di causalità transitiva dell'essere (che passa da
un essere all'altro). L'oggettività deve provenire veramente dall'oggetto. ... tutte le
prove della validità delle norme morali sono riconducibili in definitiva alla
dimostrazione in qualche modo argomentabile di un dover essere ontologico. ... E'
perciò necessario un paradigma ontico nel quale l'"è" semplice, fattuale, coincida
immediatamente con un "dover essere" negando quindi anche la sola possibilità di
un "mero è". %
Esiste un simile paradigma? ... Sì, sarà la risposta: ciò che è stato l'inizio di ognuno di
noi, quando non eravamo in grado di saperlo, ma che si offre continuamente allo
sguardo, se siamo capaci di guardare e di conoscere. Infatti, come risposta
all'esortazione: mostrateci un unico caso in cui abbia luogo quella coincidenza, si
potrà indicare la cosa più familiare a tutti: il neonato, il cui solo respiro rivolge
inconfutabilmente un "devi" all'ambiente circostante affinché si prenda cura di lui.
Guarda e saprai! Dico inconfutabilmente e non irresistibilmente, perché è
naturalmente possibile resistere alla forza di questo come di ogni altro "devi"; il suo
appello può incontrare insensibilità oppure essere soverchiato da altri appelli,... ma
questo non toglie nulla alla inconfutabilità dell'istanza stessa e della sua evidenza
immediata. Vorrei precisare che non si tratta di implorazione dell'ambiente
("prendetevi cura di me"), posto che il lattante non è ancor in grado di implorare e
soprattutto, un'implorazione, anche quella più commovente, non è ancora
vincolante. E neppure si parla qui di compassione, pietà o di qualunque sentimento
possa subentrare da parte nostra, e nemmeno di amore. Intendo sostenere
davvero in senso stretto che qui l'essere di un ente, sul semplice piano ontico,
postula in modo immanente ed evidente un dovere degli altri; e lo postulerebbe
anche se la natura non venisse in soccorso di questo dovere con la forza degli
istinti e dei sentimenti.”
(Jonas, Il principio responsabilità)
l’imperativo etico si realizza attraverso un
minimalismo programmatico:
bisogna salvaguardare la sopravvivenza più
che tendere alla perfezione
un’etica dell’emergenza che rifiuti
l’utopismo prometeico dell’Occidente per il
più modesto imperativo della
sopravvivenza
alla pericolosa euforia delle utopie (baconiana e marxista)
che si sono trasformate in programmi di stravolgimento
del mondo si oppone l’elogio della cautela che si nutre di
speranza e paura
“ Dall'ampliamento della dimensione futura della responsabilità attuale consegue il
tema conclusivo: l'utopia. La dinamica del progresso tecnologico mondiale in
quanto tale racchiude in sé, tendenzialmente se non programmaticamente,
un'utopismo implicito. E la sola etica caratterizzata da una visione globale del futuro
che già esista, il marxismo, ha elevato appunto, nel suo legame con la tecnica,
l'utopia a fine esplicito. Questo impone una critica approfondita dell'ideale utopico.
Poiché esso ha dalla sua i più antichi sogni dell'umanità e ora sembra trovare nella
tecnica anche i mezzi per tradurre in pratica il sogno, l'utopismo un tempo innocuo
è diventato la tentazione più pericolosa - proprio perché idealistica - per l'umanità
odierna. All'immodestia dei suoi obiettivi, che mancano il bersaglio sotto il profilo sia
ecologico che antropologico il principio responsabilità che contrappone il compito
più modesto, dettato dalla paura e dal rispetto, di preservare all'uomo, nella residua
ambiguità della sua libertà, che nessun mutamento delle circostanze può mai
sopprimere, l'integrità del suo mondo e del suo essere contro gli abusi del suo
potere.” (Jonas, Il principio responsabilità)
alla paura viene affidata la scoperta dei nuovi
principi etici che devono ispirare i nuovi doveri
dell’individuo tecnologico per tutelare l’uomo da
scelte irresponsabili:
euristica della paura
“ La sottomissione della natura finalizzata alla felicità umana ha lanciato con il suo
smisurato successo, che coinvolge ora anche la natura stessa dell'uomo, la più
grande sfida che sia mai venuta all'essere umano dal suo stesso agire. Tutto è qui
nuovo, dissimile dal passato sia nel genere che nelle dimensioni: ciò che l'uomo è
oggi in grado di fare e, nell'irresistibile esercizio di tale facoltà, è costretto a
continuare a fare, non ha eguali nell'esperienza passata, alla quale tutta la
saggezza tradizionale sul comportamento giusto era improntata. Nessuna etica
tradizionale ci ammaestra quindi sulle norme del bene e del male alle quali vanno
subordinate le modalità interamente nuove del potere e delle sue possibili
creazioni. %
La terra vergine della prassi collettiva, in cui ci siamo addentrati con l'alta
tecnologia, è per la teoria etica ancora terra di nessuno. In questo vuoto si
colloca l'indagine qui presentata. Che cosa può fornire un criterio? Lo
stesso pericolo prefigurato dal pensiero! In questo suo balenarci incontro
dal futuro, nella prefigurazione delle sue estensioni planetarie e delle sue
durevoli conseguenze sull'uomo, è possibile scoprire alfine i principi etici da
cui sono desumibili i nuovi doveri del nuovo potere. Definisco ciò euristica
della paura. Soltanto il previsto stravolgimento dell'uomo ci aiuta a cogliere il
concetto di umanità che va preservato da quel pericolo. Sappiamo ciò che è
in gioco soltanto se sappiamo che esso è in gioco. Poiché qui non si tratta
soltanto del destino umano, ma anche dell'immagine dell'uomo, non soltanto
di sopravvivenza fisica, ma anche di integrità dell'essere, l'etica che ha la
funzione di salvaguardarle entrambe deve essere, al di là della dimensione
della prudenza, quella del rispetto.”
(Jonas, Il principio responsabilità)