Le politiche economiche
Una definizione universalmente accettata del
rapporto fra le amministrazioni pubbliche e le
politiche economiche non esiste.
Possiamo partire da una considerazione di fondo:
una buona amministrazione pubblica deve porsi
quale strumento di sviluppo nell’ambito della
politica economica di un Paese.
1
Le politiche economiche
Quando in Italia si parla di politiche economiche,
si tende a suddividere la scienza economica
sottostante in due rami:
•un ramo positivo (l’economia politica)
•un ramo normativo (la politica economica)
L’economia politica studia il funzionamento
concreto del sistema economico o di uno
specifico operatore
La politica economica studia gli strumenti con i
quali
l’azione
pubblica
può
raggiungere
determinati obiettivi.
2
La storia del pensiero
economico
La storia reale del pensiero economico fornisce
ampie prove del condizionamento storico delle
amministrazioni pubbliche.
Poiché l’economia è una scienza applicata,
strettamente legata ai giudizi sui sistemi e sulle
politiche reali, la cosa non deve apparire
sorprendente; sarebbe piuttosto sorprendente il
contrario, ovvero la totale assenza di tracce tra
le teorie economiche, i condizionamenti sociali e
l’evoluzione delle amministrazioni pubbliche.
3
Le determinanti del
Funzionamento delle A. P.

In dottrina, il sistema istituzionale, politico e aziendale,
può essere definito come l’insieme delle regole tramite cui
si persegue un equilibrio di diritti - doveri dei
comportamenti; sia tramite cui si persegue un equilibrio
tra valori della società e scelte finalizzate a consentire la
piena espressione di tali valori e tramite cui si realizzano
forme di composizione, mediazione, contemperamento,
convivenza di valori e culture diverse; sia tramite cui si
persegue un equilibrio tra bisogni e risorse limitate rispetto
agli stessi, tra domanda e offerta di beni.
4
I condizionamenti delle teorie
economiche
TEORIA
ECONOMICA
DETERMINA
SISTEMA
POLITICO
NUOVE
POLITICHE
ECONOMICHE
SISTEMA
CONDIZIONANO
ECONOMICO
INCIDE SU
SISTEMA
AZIENDALE
5
Segue…
le determinanti delle A. P.
SISTEMA POLITICO
SISTEMA
AZIENDALE
SISTEMA SOCIALE
SISTEMA
ISTITUZIONALE
SISTEMA
TERRITORIALE
SISTEMA
ECONOMICO
6
Segue…
le determinanti delle A. P.

L’analisi combinata del sistema economico, sociale
e territoriale, determina l’insieme delle variabili
che:


caratterizzano, contraddistinguono e condizionano in
termini di bisogni, aspettative, priorità, risorse disponibili
e attivabili, il comportamento delle amministrazioni
pubbliche;
grazie alla sana contaminazione con il sistema aziendale,
incidono sulle scelte del sistema politico e istituzionale
nella formulazione delle proposte di cambiamento, di
governo e sviluppo del territorio.
7
LE TEORIE ECONOMICHE
CONTESTO
TERRITORIALE DI
RIFERIMENTO
PERIODO
STORICO DI
RIFERIMENTO
DEFINIZONE DEL
RUOLO
DELL’ATTORE
PUBBLICO
8
ADAM SMITH - XVIII SECOLO
Pone le basi dell’economia politica partendo
dalla considerazione che ogni ricchezza è
prodotta dal lavoro e che ogni individuo è il
miglior giudice del proprio interesse.
Elabora la teoria della mano invisibile,
secondo cui, attraverso il meccanismo degli
scambi, gli interessi dei differenti individui e
quindi della società in quanto somma di
individui, sono realizzati con la massima
efficienza.
9
…Smith
Se ciascun soggetto è libero di decidere il
suo comportamento, se a ciascuna merce si
applica il medesimo prezzo (operando in un
mercato concorrenziale), ogni individuo
troverà l’impiego più vantaggioso per il
capitale di cui dispone e, pur perseguendo
esclusivamente il proprio interesse, egli,
spinto da una mano invisibile, accrescerà
contemporaneamente
il
benessere
collettivo.
10
…Smith
Pertanto, se il mercato, lasciato libero da
impedimenti
e
costrizioni,
raggiungere
risultati
è
positivi
in
grado
per
di
l’intera
società, diviene compito dello Stato e quindi
delle
amministrazioni
pubbliche,
quello
di
giocare un ruolo il più possibile neutrale in
campo economico.
11
…Smith
In
Adam Smith, c’è la consapevolezza
che lo Stato ha il compito di assicurare i
servizi pubblici essenziali allo sviluppo della
società
(giustizia,
difesa,
sanità,
opere
pubbliche) che non potrebbero essere affidati
ai privati poiché questi non sarebbero in
grado di porvi mano o per mancanza di mezzi
o perché il profitto previsto e’ troppo basso o
alternativamente
se
troppo
provocherebbe scompensi d’altro tipo.
alto
12
…Smith
Con Smith nasce il liberismo economico e vi
sono gli embrioni dei primi condizionamenti
tra teorie economiche e funzionamento della
pubblica amministrazione
13
DAVID RICARDO - XVIII-XIX SECOLO
Ricardo approfondisce per primo un tema che sarebbe divenuto di
grande attualità:
il problema della scelta tra finanziamento della spesa pubblica con
imposta straordinaria
o con debito pubblico
Egli non ha mai concordato con quanti hanno ritenuto che a causa degli
interessi dovuti sul capitale da rimborsare, il ricorso all’indebitamento
trasferisce l’onere della spesa pubblica sulle generazioni future.
14
…Ricardo
Secondo le sue teorie, in caso di ricorso al debito, solo
il capitale viene sottratto alla ricchezza produttiva
della nazione e non gli interessi; negli anni successivi
all’emissione del prestito, infatti, vi saranno da un lato
persone tenute a pagare tributi per gli interessi e
dall’altro, individui che riceveranno il pagamento di tali
interessi (i detentori del debito pubblico).
15
…Ricardo
In
definitiva,
future
non
aggiuntivo;
hanno
per
Ricardo
sopportano
indubbiamente,
influenzato
le
le
generazioni
alcun
le
sue
onere
teorie
amministrazioni
pubbliche del tempo.
16
…Ricardo
Egli aggiunge inoltre che per la generazione presente
imposta straordinaria e debito pubblico sono equivalenti
perché nel primo caso la collettività sopporta la spesa nel
momento in cui l’imposta è istituita; nel secondo caso,
invece, la pubblica amministrazione dovrà aumentare le
imposte future per pagare gli interessi del debito.
17
JOHN STUART MILL – XIX SECOLO
Mill, mitiga il rigore di Smith e le sue drastiche
concezioni
sulla
necessaria
neutralità
dell’attività finanziaria pubblica, ipotizzando la
possibilità di un intervento pubblico nei casi in
cui tale attività fosse in grado di migliorare le
condizioni sociali della collettività.
18
…Mill
Con Mill si cominciano ad approfondire i
legami tra l’attività finanziaria e l’attività
economica.
Mill è stato anche il primo economista a dare
basi solide teoriche alla cosiddetta teoria del
“sacrificio uguale”, in base al quale il
sacrificio
che
ogni
contribuente
deve
affrontare per il pagamento delle imposte
deve risultare proporzionale per tutti.
19
…Mill
Si ha così uguaglianza di carico tributario
quando i tributi imposti determinano ai
contribuenti un eguale sacrificio.
Il prelievo tributario, effettuato in relazione al
principio di decrescenza di utilità economica
della ricchezza, per Mill deve pesare sui più
abbienti. In tal modo, oltre a ripartire
equamente le imposte, si addossa alla
collettività il minor sacrificio possibile.
20
Il Neoclassicismo
Alla
fine
pensiero
del
diciannovesimo
economico
letteralmente
secolo,
classico
ripudiato
e
il
viene
anche
se
“neoclassico” sembra indicare una certa
affinità, le teorie hanno ben poco a che
vedere con Smith e Ricardo.
21
…Il Neoclassicismo
Per i neoclassici, il valore di un prodotto non è
dovuto solo alla quantità di lavoro in esso
compreso,
ma
risiede
anche
nell’utilità
attribuita dal consumatore all’ultima unità
acquistata.
La teoria finanziaria neoclassica concentra la
propria attenzione prevalentemente su due
problemi:
•l’allocazione ottimale delle risorse
•la ripartizione del carico fiscale
22
…Il Neoclassicismo
Mentre la scuola neoclassica inglese concentra, alla
fine del diciannovesimo secolo, la propria attenzione
sulla ripartizione delle imposte, la stessa teoria
neoclassica, in altri paesi dell’Europa continentale
(come Italia e Francia), conserva un approccio più
ampio non scindendo mai il problema delle imposte
e quindi della determinazione delle entrate da quello
delle spese; il tutto incidendo pesantemente sulla
struttura dell’amministrazione pubblica e sul suo
funzionamento.
23
…Il Neoclassicismo
La causa di tale diversità va ricercata nelle
differenti condizioni di sviluppo sociale ed
economico dei vari paesi europei in questo
determinato periodo storico.
Mentre
in
Inghilterra
il
processo
di
industrializzazione della struttura economica
può considerarsi concluso agli inizi del ‘900,
con il ruolo di propulsione dello Stato ridotto
al minimo, ...
24
…Il Neoclassicismo
… in Italia lo Stato interviene nello stesso
periodo con vigore a difesa delle nascenti (e
molto deboli) industrie; tutto avviene con un
aumento considerevole della spesa pubblica.
25
Economia del Benessere - XIX-XX
secolo
Arriviamo così all’economia del benessere, quel
filone della teoria economica che valuta il
gradimento
sociale
di
situazioni
economiche
alternative.
L’economia del benessere, trae origine da un’opera
dell’economista Pigou ma è l’italiano Pareto che la
rende organica definendone i criteri fondamentali:
l’efficienza e l’equità
Criteri che oggi, a distanza di un secolo, ritroviamo
su
due
livelli
differenti
e
con
maggiore
sofisticazione, nell’analisi della determinazione, per
l’azienda pubblica, del valore pubblico.
26
ARTHUR PIGOU
Ritiene che il benessere sociale coincida
con il reddito e pertanto con il benessere
economico, e il reddito così come ogni altro
bene economico, ha un’utilità marginale
decrescente. Per tale motivo egli dice che una
politica redistributiva, che sposta il reddito
dalle fasce più ricche a quelle più povere della
popolazione,
accresce
inevitabilmente
il
benessere sociale.
Tutto questo a patto di non ridurre il volume
complessivo del reddito.
27
VILFREDO PARETO
Per Pareto è stato sufficiente dimostrare
che
un
possibile
sistema
è
aumentare
efficiente
il
se
benessere
non
di
è
un
individuo senza diminuire il benessere di
qualcun altro.
28
…Pareto
Egli fissa in tre condizioni l’efficienza:
• efficiente combinazione dei fattori produttivi,
• l’ottima combinazione del prodotto
• massima efficienza negli scambi.
Con queste tre condizioni, la società raggiunge
la frontiera della possibilità, costituita dalle
infinite
combinazioni
che
assicurano
l’efficiente allocazione delle risorse disponibili.
29
Pigou
I tentativi di Pigou non hanno trovato,
nel contesto storico ed economico di inizio
diciannovesimo
studiosi.
In
secolo,
particolar
il
favore
modo
è
degli
stato
contestata l’impossibilità di comparare le
variazioni di benessere tra persone diverse;
per tale motivo ogni giudizio su una politica
redistributiva non può essere frutto che di
un giudizio di valore.
30
Say
L’influenza
maggiore
sulla
politica
neoclassica appartiene senza ombra di dubbio
all’economista Say.
La legge di Say afferma che l’offerta di beni crea
la domanda e pertanto non può esserci
sovrapproduzione rispetto alla domanda per un
lungo periodo di tempo.
31
…Say
Secondo questa teoria, se su un mercato c’è
un’insufficienza
di
domanda,
è
necessario
ammettere che su qualche altro mercato c’è
un’insufficienza dell’offerta.
32
…Say
Se la legge di Say è considerata accettabile,
non si può non dedurre che tutto quello che
viene prodotto è certamente venduto, a qualsiasi
livello
complessivo
di
produzione.
S’intende
pertanto che l’azienda ha sempre interesse a
produrre al massimo della capacità del sistema
economico; l’unico limite potrebbe essere dato
dalla forza lavoro disponibile.
33
CARLO MARX - XIX secolo
Egli ha liquidato la legge di Say, affermando che in un
sistema capitalistico, la moneta non è solo mezzo di
scambio, ma anche capitale.
In un sistema di questo tipo, non tutta la moneta
riscossa viene spesa.
•coloro che hanno redditi appena sufficienti ai loro
bisogni, utilizzano tutta la moneta disponibile;
•coloro che invece hanno redditi elevati, non spendono
tutto subito ma risparmiano in attesa di situazioni
maggiormente vantaggiose.
Poiché gli imprenditori acquistano beni strumentali
quando ritengono ci sia convenienza, ne consegue che
non sempre si verifica la legge di Say.
34
…Marx
Marx,
tempo
variamente
stesso
rappresenta
il
giudicato,
osannato
primo
criticato,
e
grande
al
detestato,
esempio
di
quanto una teoria economica possa incidere
sulla costruzione di nuove politiche che a loro
volta caratterizzano l’intero funzionamento
del sistema economico, privato e pubblico.
35
…Marx
Egli
mostra
situazioni
l’analogia
in
cui
che
esiste
tra
l’appropriazione
di
plusvalore è sancita politicamente o in cui è
riconosciuta
di
fatto,
come
“nella
forma
capitalistica di sfruttamento”
36
…Marx
Nel diciannovesimo secolo, per Marx, il problema
economico
non
consiste
nel
dimostrare
l’appropriazione, bensì nel conciliarla con la legge
del valore: nello spiegare, in altri termini, come
essa si verifichi nel regno della concorrenza e
della “mano invisibile” di Adam Smith del secolo
precedente,
sino
a
quel
momento
punto
di
riferimento del liberismo economico
37
…Marx
Verso la fine del secondo libro del capitale,
prima di affrontare la questione del prezzo e
del valore, Marx sviluppa il concetto delle due
principali sezioni della produzione sociale e
l’analisi dei loro rapporti. L’attenzione si
concentra in questa fase nella connessione
con
i
rapporti
strutturali
dello
sviluppo
economico.
38
JOHN MAYNARD KEYNES -
prima metà del XX secolo
Con Keynes si arriva ad un’unica soluzione:
“se
il
mercato
si
dimostra
incapace
di
raggiungere autonomamente l’equilibrio, occorre
che lo Stato svolga un ruolo più attivo nella vita
economica”.
In sostanza, per Keynes, la finanza pubblica deve
agire sul sistema economico trasformandosi da
semplice attività di raccolta di denaro per
affrontare la spesa, in un’attività di direzione
politica e sociale.
In quest’accezione (senza dubbio molto forte) si
è anche parlato di finanza funzionale come
strumento di programmazione e sviluppo.
39
…Keynes
Keynes ha pertanto ritenuto che la finanza
pubblica
potesse
eliminare
gli
squilibri
territoriali, correggere gli andamenti dei cicli
economici,
nazionale,
incrementare
mantenere
in
il
reddito
pieno
regime
occupazionale le varie forme di produzione e
infine
prevedere
le
esigenze
delle
generazioni future.
40
…Keynes
La tesi dominante di Keynes è che un deficit di
bilancio
determina
espansionistici
per
comunque
il
sistema
effetti
economico,
anche se finanziato attraverso l’indebitamento
dello Stato (ovviamente senza l’emissione di
carta
moneta
addizionale
che
invece
provocherebbe effetti inflazionistici).
41
…Keynes
Nella visione degli economisti classici, la
politica di bilancio era semplicemente un
mezzo straordinario d’intervento pubblico;
per i keynesiani, diventa lo strumento
permanente dell’attività finanziaria dello
Stato.
Il meccanismo che per Keynes consente la
regolazione
dei
cicli
economici
è
il
moltiplicatore
che
stimola
il
sistema
economico in periodi di crisi e rallenta
l’espansione nelle fasi di boom.
42
…Keynes
Nell’impostazione
investimenti
Keynesiana,
privati
in
l’assenza
periodi
di
di
crisi
economica può essere compensata da un
aumento della spesa pubblica, che grazie
all’effetto del moltiplicatore, può stimolare
una crescita dell’intero sistema economico del
Paese.
43
…Keynes
Nel modello di Keynes il reddito nazionale è
dato dalla somma di tre differenti componenti:
•la domanda di consumi indispensabili indicata con
Co;
•la domanda per consumi strettamente legata al
reddito indicata con cY;
•gli investimenti, influenzati dal tasso d’interesse (i) e
dalle aspettative degli imprenditori (a), sono indicati
con I(i,a).
Y= Co + cY + I (i,a)
44
…Keynes
Se si indica con A la parte della domanda non
legata al reddito e quindi Co e I (i,a), si
potrebbe scrivere la formula precedente con:
Y= cY + A,
anche invertendo l’equazione con
Y-cY= A
45
…Keynes
La spesa pubblica è una componente della
domanda
aggregata
prevalentemente
a
poiché
esigenze
di
risponde
carattere
politico; la conseguenza è che un incremento
della
spesa,
attraverso
il
moltiplicatore,
determina un aumento del reddito.
46
…Keynes
Per Keynes, la spesa non deve pertanto
essere finanziata con l’emissione di carta
moneta, al fine di evitare effetti inflazionistici,
ma
solo
attraverso
deficit
spending,
convertendo i risparmi in investimenti;
oppure facendo ricorso al tradizionale sistema
della tassazione riducendo però gli effetti del
moltiplicatore.
47
…Keynes
Dopo lo shock petrolifero del 1973, anche le
teorie di Keynes sono apparse poco valide e in
alcuni casi assolutamente inadeguate.
La comparsa sullo scenario della stagflazione,
ovvero
della
inflazione
determinato
e
contemporanea
stagnazione
un
presenza
ha,
ripensamento
di
di
fatto,
delle
nuove
finalità dell’intervento pubblico.
48
I MONETARISTI
La critica più dura alle teorie Keynesiane è
arrivata dalla cosiddetta scuola monetarista
nata a Chicago.
Per i monetaristi, le grandezze monetarie non
influenzano le grandezze reali ed il sistema
economico è sempre in grado di assicurare il
pieno impiego dei fattori produttivi.
49
I MONETARISTI
Per molti, la teoria monetarista è una
riproposizione raffinata e meglio articolata
della teoria neoclassica.
L’esponente di maggior rilievo della scuola
monetarista è sicuramente Friedman, che a
chiare lettere dice che l’inflazione è sempre
un fenomeno monetario.
L’unico obiettivo raggiungibile attraverso una
politica monetaria è quello del controllo
dell’inflazione attraverso il controllo del tasso
di incremento annuo della quantità di moneta.
50
I MONETARISTI
Per
quanto
concerne
invece
le
politiche
fiscali, per i monetaristi, la spesa pubblica
aumenta
in
corrispondenza
delle
entrate
fiscali disponibili e pertanto, è opportuno
intervenire con tagli fiscali come mezzo di
riduzione della spesa pubblica.
51
I MONETARISTI
Questo pensiero ha certamente influenzato
numerosi
soprattutto
interventi
negli
dell’amministrazione
di
politica
USA
nel
Reagan
economica
periodo
(che
ha
proceduto a una riduzione delle imposte ancor
prima di diminuire la spesa) e in Inghilterra
durante i governi Thatcher.
52
I MONETARISTI
Anche il Fondo Monetario Internazionale ha
spesso imposto, negli anni ’80 un maggior
controllo della politica monetaria e fiscale. Si
può tranquillamente asserire che l’analisi
delle esperienze dimostra come la politica
monetaria riduca certamente l’inflazione,
producendo facilmente recessione. Infatti, la
riduzione dell’inflazione in Inghilterra nel
periodo 1980-1985 e quella degli USA tra il
1981 e il 1986, sono state seguite da
profondissime recessioni.
53
LA MACROECONOMIA
CLASSICA
Negli anni ’80 si sviluppa la nuova macroeconomia
classica, che riprende le tematiche portanti del
pensiero economico classico, inserendolo in un
contesto
macroeconomico.
Questa
scuola
che
annovera tra i maggiori esponenti Robert Lucas negli
Stati Uniti e Patrick Minford in Inghilterra, porta alle
estreme conseguenze le idee dei monetaristi
concentrando l’attenzione su due aspetti particolari
del sistema economico come la flessibilità dei salari e
dei prezzi e il ruolo delle aspettative razionali
nell’influenzare l’operato dei soggetti economici.
54
LA MACROECONOMIA
CLASSICA
Mentre
i
monetaristi
ammettono
che
la
flessibilità dei prezzi e dei salari c’è nel lungo
periodo ma nel breve è possibile avere una
situazione
di
squilibrio
temporaneo,
gli
economisti della macroeconomia classica negano
la possibilità che il sistema economico possa
essere in squilibrio anche nel breve periodo;
pertanto ogni livello di disoccupazione che si
realizza nel sistema economico rappresenta un
tasso
di
disoccupazione
disoccupazione volontaria.
di
equilibrio
o
di
55
L’ECONOMIA DELL’OFFERTA
Sempre negli anni ottanta, c’è stata una scuola
di pensiero che ha vissuto un momento di
grande notorietà.
E’
la
scuola
che
ha
accomunato
diversi
economisti (Laffer e Boskin tra tutti), meglio
conosciuta come ECONOMIA DELL’OFFERTA.
56
…Economia dell’offerta
L’idea centrale è costituita dalla convinzione
che la crescita economica è determinata da
fattori reali e non monetari; la crescita è
pertanto
influenzata
da
fattori
propri
del
mercato come:
•la mobilità dei lavoratori,
•il tasso di crescita della popolazione,
•l’utilizzo di un’efficiente combinazione
produttiva che impattano sul settore reale.
57
…Economia dell’offerta
La
supply
argomenti
side
ha
del
pertanto
ripreso
cosiddetto
gli
liberismo
economico, affermando che quando vi è il
perfetto funzionamento del mercato, c’è una
conseguente
piena
occupazione
ed
una
crescita del sistema.
58
…Economia dell’offerta
Questa teoria è stata, come del resto è accaduto
anche alle altre, diffusamente e
variamente
interpretata.
Ed allora ci si è ritrovati con casi differenziati: da un
lato
casi
con
misure
di
politica
economica
caratterizzate da immediata riduzione del prelievo
fiscale e vendita di aziende dello stato, dall’altro
interpretazioni che hanno dimostrato che l’obiettivo
della
crescita
non
implica
necessariamente
la
cessione delle imprese pubbliche.
59
L’AZIENDA PUBBLICA
L’azienda pubblica, può infatti raggiungere
l’obiettivo
di
una
economico
purché
crescita
la
sua
del
sistema
esistenza
sia
coerente con le trasformazioni del sistema e
con le esigenze del mercato.
60
L’AZIENDA PUBBLICA
1. I sistemi economici condizionano le determinanti
del
funzionamento
delle
amministrazioni
pubbliche;
2. Le teorie economiche vivono in simbiosi con le
altre determinanti caratterizzanti un Sistema
Paese
e
ne
subiscono
a
loro
volta
i
condizionamenti;
3. Sin dalla nascita delle prime teorie, l’oggetto di
analisi, valutazione e critica è comunque stato il
comportamento del soggetto pubblico.
61
L’INTERVENTO PUBBLICO
Pur non mancando coloro che sottolineano
come
l’intervento
pubblico
comporti
necessariamente effetti negativi, è bene
evidenziare
che
invece
lo
scopo
dell’intervento pubblico nella vita economica
è semplicemente quello di accrescere il
benessere collettivo; ed è su questo che va
valutata l’azione pubblica e il funzionamento
delle amministrazioni.
62
L’INTERVENTO PUBBLICO
E’ possibile riassumere le moderne teorie
politico-economiche
dello
principali
intervento
tipi
di
Stato
in
tre
pubblico
nell’economia:
• la redistribuzione dei prodotti;
• la stabilizzazione macroeconomica;
• la regolazione del mercato.
63
LA REDISTRIBUZIONE
La redistribuzione include tutti i trasferimenti
di
risorse
da
un
gruppo
di
individui,
di
imprese, di enti locali, regioni o Paesi verso
altri gruppi, altri territori, altri Paesi; così
come
anche
meritori,
l’offerta
quali
di
beni
l’istruzione
cosiddetti
primaria,
le
assicurazioni sociali, i servizi sanitari e tanti
altri beni simili, sono parte integrante della
redistribuzione.
64
LA STABILIZZAZIONE
MACROECONOMICA
La stabilizzazione macroeconomica tenta di
raggiungere e sostenere livelli soddisfacenti
di crescita economica e e di occupazione; gli
strumenti principali sono la politica fiscale e
quella monetaria, insieme con la politica del
mercato del lavoro e quella industriale.
65
LA REGOLAZIONE DEL MERCATO
Le politiche di regolazione del mercato sono
finalizzate alla correzione dei vari tipi di
“fallimento del mercato” come:
• gli effetti del monopolio,
• l’informazione incompleta,
• le esternalità negative,
• l’insufficiente offerta di beni pubblici e
così via.
66
LA PUBLIC CHOICE
Da questo punto di vista va sottolineata la
nascita e la crescita, nel mondo anglosassone,
della scuola delle cosiddette “scelte pubbliche”
conosciuta come PUBLIC CHOICE.
Il punto chiave della scuola di public choice è la
convinzione
che
tutti
gli
operatori
operano come dei soggetti economici
politici
67
LA PUBLIC CHOISE
Per tale impostazione, l’elettore cerca sempre
di far fruttare al meglio la propria scelta
politica,
così
come
il
politico
tenta
di
massimizzare il consenso attraverso l’adozione
di specifiche policies.
68
LA PUBLIC CHOISE
L’obiettivo più importante delle analisi di public choice
è lo studio dei comportamenti degli operatori coinvolti
a vario titolo nell’assunzione di determinate scelte
politiche e della loro influenza sui diversi livelli
finanziari (entrate e spese) dello Stato.
I soggetti sono ovviamente
•i gruppi di pressione
•le imprese, i sindacati
•la burocrazia
•i politici
•gli stessi elettori
69
LA PUBLIC CHOISE
Questa impostazione in qualche modo cambia
ancora l’impostazione di tipo Keynesiano che
vede lo Stato come soggetto che opera al fine
di massimizzare il benessere della collettività.
La
public
choice
consente
di
rileggere
complessivamente il ruolo dell’attore pubblico
territoriale e le riforme in fase di attuazione.
70