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Linfoistiocitosi Emofagocitica e sindrome di Down: descrizione di un caso clinico
Riportiamo il caso di un bambino di 7 anni con sindrome di Down, giunto alla nostra osservazione per
iperpiressia e pancitopenia. Tre mesi addietro il piccolo era stato ricoverato in ambiente Ospedaliero per la
stessa sintomatologia, per cui erano state eseguite infusione Ig e.v., senza beneficio e due emotrasfusioni.
Esami virologici negativi. Eseguito ago aspirato midollare risultato negativo per patologia neoplastica.
Durante il ricovero persistenza della febbre. All’esame obiettivo rilievo di importante epatosplenomegalia.
Eseguiti esami ematochimici con riscontro di ipofibrinogenemia, ipetrigliceridemia, iperferritinemia,
ipertransaminasemia. Abbiamo pertanto posto diagnosi di HLH secondo i criteri internazionali, che
includono: 1) febbre, 2) splenomegalia; 3) citopenia; 4) ipertrigliceridemia e/o ipofibrinogenemia; 5)
emofagocitosi a carico del midollo osseo; 6) riduzione e/o assenza NK attività; 7) iperferritinemia (> 500
mg/L); 8) riduzione recettore solubile CD25 (Tab.1).
Tab. 1 Criteri internazionali per la diagnosi di HLH. (Pediatr Blood Cancer 2007;48:124–131)
In presenza di almeno 5 degli elementi sopra riportati è stata posta diagnosi di HLH. È stata eseguita ricerca
mutazioni gene PRF1 risultata negativa e questo ha permesso di escludere la diagnosi della forma genetica
più frequente di HLH. Veniva, pertanto, avviata terapia con Desametasone (9 mg/kg/die) e Ciclosporina alla
dose di 4 mg/Kg/die. Successivo miglioramento delle condizioni cliniche del paziente, buon controllo clinico
e miglioramento dei dati di laboratorio.
Discussione
La linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è una condizione patologica severa caratterizzata da uno stato
infiammatorio che può essere secondario a deficit congeniti o acquisiti del sistema immunitario. HLH
comprende due forme: 1. familiare (autosomica recessiva) e 2. la forma acquisita. La prima ha una incidenza
intorno a 1:50.000 casi stimati tra i nuovi nati ed è una condizione severa e fatale, che si manifesta
prevalentemente durante la prima infanzia, con una mediana di sopravvivenza pari a due mesi circa dalla
diagnosi. La forma acquisita invece può svilupparsi in seguito ad una eccessiva risposta da parte del sistema
immunitario, in corso di patologie concomitanti quali: malattie neoplastiche (leucemie, linfomi o tumori
solidi), infezioni virali (EBV in particolare) o batteriche, malattie reumatologiche. I sintomi cardine sono
rappresentati da: febbre prolungata, epatosplenomegalia e pancitopenia. I dati di laboratorio includono:
aumento dei livelli di trigliceridi, ferritina, della porzione solubile del recettore dell’ IL-2, ipofibrinogenemia.
Tra i deficit dell’immunità troviamo una marcata riduzione dell’attività delle cellule NK e linfociti T
citotossici (CTL), tipici delle forme di HLH ereditarie. Il trattamento è basato sull’impiego degli steroidi
(desametasone), Ciclosporina o VP16 (etoposide). L’interruzione della terapia è prevista solo per i casi in cui
si è ottenuta una completa remisisone clinica e laboratoristica.
L’ HLH è quindi una condizione patologica severa che può compromettere in maniera severa la
sopravvivenza del paziente in seguito all’innesco di meccanismi di tipo infiammatorio. I difetti genetici delle
forme familiari compromettono la sintesi della perforina e di altre proteine necessarie per la mobilità dei
granuli citossici dei linfociti T e delle cellule NK, per il rilascio della perforina stessa e di altri enzimi che
eliminano le cellule infettate da virus e le cellule tumorali. Il difetto dell’attività citotossica delle cellule NK
è l’alterazione immunologica alla base del meccanismo eziopatogenetico. Uno dei difetti genetici alla base
dell’HLH familiare è costituito da mutazioni a carico del gene della perforina (PRF1), riscontrabili nel 2040% di tali forme, e nel 50% circa dei casi familiari di HLH in una coorte di famiglie Nord-americane. Nel
2003 è stato scoperto che anche mutazioni del gene UNC13D (17q25) che codifica per una proteina
(Munc13-4) essenziale per il rilascio dei granuli citotossici, possono essere alla base della HLH. Un terzo
gene è stato associato alla HLH, il STX 11 (6q24), che codifica per la sintassina 11, implicata nel
“trafficking” intracellulare, ma il cui ruolo preciso non è stato ancora determinato. Le mutazioni di UNC13D
e di STX11 sono state evidenziate nel 10-20% dei pazienti con HLH. Dal punto di vista istopatologico è
possibile riscontrare accumulo di linfociti e macrofagi, associato a segni di emofagocitosi, in organi quali la
milza, il midollo osseo, i linfonodi, il fegato e il sistema nervoso centrale.
Il trattamento dell’HLH prevede l’utilizzo di famaci immunosoppressivi quali la ciclosporina o le
immunoglobuline anti-timociti; farmaci antineoplastici quali l’etoposide; associati al desametasone,
quest’ultimo utilizzato soprattutto per il coinvolgimento del SNC, che in alcuni casi può essere irreversibile.
La HLH è stata descritta come complicanza di alcune sindromi genetiche con deficit immunologico, quali la
sindrome di Grisceli, la sindrome di Chediak-Higashi, la sindrome di Hermansky-Pudlak, XLlymphoproliferative. Il nostro è il primo caso descritto in letteratura di HLH in paziente affetto da sindrome
di Down. E’ noto come i soggetti con sindrome di Down hanno un’incrementata suscettibilità ai disordini
immunologici, sia come immunodeficienza sia come complicanze di tipo autoimmune. Yildirim MS, et al nel
2009 hanno descritto un caso di sindrome di Down associata ad una immunodeficienza combinata severa. E’
verosimile ipotizzare che un’alterazione della funzione dei linfociti T citotossici possa essere presente in
soggetti con sindrome di Down e che tale deficit immunitario possa determinare una suscettibilità alla HLH.
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