Il Novecento Il male assoluto Le leggi razziali del 1938 in Italia L’ultimo e un po’ sorridono Sono l’ultimo ormai, e un po’ hanno pena di un povero vecchio l’ultimo della mia generazione. - Auschwitz, ma scusa, non era Custoza? Intorno a me visi nuovi, freschi, rosei, - Era dopo? visi del benessere: - Impiccavano al suono di un tango? sono nati dopo la guerra. - Fratelli Rosselli o Bandiera? Non portano nei loro occhi - Sei milioni o seicentomila? Le motociclette dei tedeschi Sono l’ultimo ormai. Che si fermano con una brusca frenata; E quello che porto negli occhi, non portano nei loro occhi quello che porto nel cuore, fosse scavate quello che è sempre presente, e file di passi tremanti per loro è passato, che segnano il passo per loro è soltanto più storia, al suono di un valzer davanti a una forca. soltanto materia di studio. Non portano nei loro occhi L’angoscia non li ha conosciuti Nudi bambini al freddo in attesa, ed essi non possono capire e fili spinati ed essi dimenticheranno e docce e i loro figli più non sapranno. e docce col fumo che esce di sopra. Per questo non voglio morire. Io parlo a tutti quei visi rosei e freschi, Per questo non devo morire. ai visi del benessere, io, l’ultimo ormai Nedelia Tedeschi Lolli ed essi, buoni, mi ascoltano (edizione limitata) . Quest’anno in preparazione alla giornata della Memoria, io e la mia classe siamo andati in viaggio d’istruzione a Nonantola, in provincia di Modena. Arrivati a Nonantola siamo andati in una struttura dove abbiamo fatto un incontro con Geppe e Isma, due signori non di origini ebree che all’epoca delle persecuzioni razziali erano ragazzi e che ci hanno raccontato le loro esperienze. Il periodo che ci hanno descritto è il 1940-1941, immediatamente successivo all’emanazione delle Leggi razziali in Italia. Ci hanno raccontato che al tempo secondo la legge esistevano razze superiori, la razza ariana, e razze inferiori, gli ebrei, le persone di colore, gli omosessuali, ecc. Di conseguenza allora gli ebrei non potevano fare nessun lavoro pubblico. Al tempo a scuola si studiava per imparare come si utilizzavano le armi e si studiava inoltre, un opuscolo chiamato “La difesa della razza” che spiegava, appunto, come preservare la razza ariana. I ragazzi, per andare a scuola, avevano una divisa fascista e chi non l’aveva poteva essere umiliato dalla maestra. Ai ragazzi più piccoli venivano raccontate delle favole sugli ebrei che li descrivevano come persone sporche e malvagie per cercare di metterli in cattiva luce agli occhi dei più giovani. Un giorno parecchi ragazzi ebrei vennero a nascondersi a Villa Emma, una villa appena fuori Nonantola. Dopo un po’ che i ragazzi erano a Villa Emma incominciarono ad andare in città per cercare di imparare un mestiere che gli sarebbe stato utile una volta arrivati in Palestina per formare dei kibbutz, piccole comunità autosufficienti. Quando gli italiani firmarono l’armistizio con gli americani il nord Italia è ancora sotto i tedeschi e le persecuzioni diventano sempre più frequenti e i ragazzi che fino ad allora erano stati a Villa Emma vengono nascosti in tutte le famiglie e riescono a sfuggire ai controlli dei tedeschi. I persecutori offrono inoltre alte somme di denaro a chiunque consegnasse degli ebrei alle autorità tedesche, ma fortunatamente a Nonantola nessuno fece la spia. Questi ragazzi erano arrivati a Nonantola con la speranza di sfuggire alle persecuzioni da parte dei tedeschi e cercare di arrivare in Svizzera, che al tempo era un paese neutrale per poi cercare di raggiungere la Iugoslavia e, successivamente, arrivare in quella che, secondo gli ebrei, è la terra promessa: la Palestina. I Nonantolani allora si accorsero che gli ebrei non erano come le autorità li descrivevano, anzi, anche se sapessero poco la lingua italiana, li trovarono cordiali e puliti, allora i paesani cercarono di aiutare i ragazzi. Insieme a loro ad aiutare gli ebrei vi era anche un’associazione: la Delasem. Successivamente, creando dei falsi passaporti, gli ebrei riuscirono a fuggire in Svizzera e ad arrivare in Palestina. Dopo di che siamo andati in un’altra struttura attrezzata con tavoli e sedie e abbiamo pranzato con dei panini. Poi col pullman ci siamo diretti verso un museo; precisamente il museo del deportato di Carpi. Al museo ci è stata raccontata la vita nei campi di sterminio. Nelle varie sale prevalevano tre colori:il nero, il grigio e il rosso che rappresentano rispettivamente la morte, la cenere e il sangue. Nelle pareti del museo vi erano scritte dedicate ai caduti nei campi di concentramento o frammenti delle loro lettere ai familiari. Ci sono state spiegate le condizioni in cui erano gli ebrei nei campi di sterminio, e soprattutto che erano vestiti con gli stessi vestiti: una maglia di cotone leggero, pantaloni del medesimo tessuto e degli zoccoli, ma soltanto d’inverno. Nei campi si poteva morire per motivi che noi riterremmo insignificanti come incrociare lo sguardo di una S.S. In una stanza di questo museo ci sono scritti alcuni dei nomi dei caduti nei campi di sterminio, anche se non si direbbe che sia solo una piccola parte dei caduti, poiché tutte le pareti di questa stanza sono tempestate di nomi. L’esperienza è stata per me molto istruttiva e mi è piaciuto imparare ciò che ci è stato detto. Villa Emma è una delle più belle residenze ottocentesche dell'Emilia Romagna. Fu realizzata a Nonantola (prov. di Modena) nel 1898 dall'architetto modenese V. Maestri per conto di Carlo Sacerdoti che la dedicò alla moglie Emma Coen. Nel 1913 la villa fu venduta e dopo alcuni passaggi di proprietà divenne, durante la prima guerra mondiale, granaio governativo. Dal 1940 transitarono e furono ospiti di Villa Emma, allora di proprietà del signor Grassi di Milano, numerosi emigrati e profughi israeliti. Tra il luglio 1942 e il settembre 1943 giunsero e soggiornarono a Villa Emma due gruppi di ragazzi ebrei della Jugoslavia. Con l'occupazione nazista in Italia, il rischio di deportazione gravava anche sui giovani di Villa Emma. I nonantolani dimostrarono allora di voler offrire, oltre all'ospitalità, anche amicizia, solidarietà e fratellanza. Infatti nel giro di ventiquattro ore tutti i ragazzi e i loro accompagnatori furono nascosti e protetti all'interno del seminario o presso famiglie del luogo. In seguito grazie all'opera di don A. Beccari, del dott. Moreali nonché diversi cittadini venne organizzata la loro fuga verso la Svizzera. Tutti si salvarono e alcuni di loro sono tornati a salutare e ringraziare la gente di Nonantola. NEGLI ANNI 1942-1943 107 RAGAZZI EBREI PERSEGUITATI E CACCIATI DAI PAESI EUROPEI OPPRESSI DAL NAZIFASCISMO A VILLA EMMA E DINTORNI TROVARONO RIFUGIO E PROTEZIONE CON IL GENEROSO E SPONTANEO SOSTEGNO DI UMANA SOLIDARIETA’ DEI NONANTOLANI RAGGIUNSERO LA SALVEZZA I CITTADINI DI NONANTOLA RICORDANO QUESTO ESEMPIO DI AMICIZIA E DI COLLABORAZIONE FRA POPOLI DIVERSI CHE LOTTARONO UNITI CONTRO GLI ORRORI DELLA GUERRA 21 APRILE 1985 – 40° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE Binario 21 Dal binario 21 della stazione centrale di Milano migliaia di ebrei italiani di ogni età partirono con destinazione il campo di concentramento di Aushwitz-Birkenau, Polonia, per essere uccisi nelle camere a gas e cremati.Su questo fatto e stato realizzato un cortometraggio basato sulla testimonianza di Liliana Segre, una delle poche sopravvissute, che all’epoca aveva cinque anni. Il binario 21 è ancora lì.Non bisogna dimenticare questo esempio della crudeltà umana. I campi di sterminio per gli "indesiderabili" erano disseminati in tutta l'Europa, con nuovi campi creati vicino ai centri con un'alta densità di popolazione "indesiderata": ebrei, intellighenzia polacca, comunisti e gruppi di rom. I campi di concentramento per ebrei ed altri "indesiderabili" esistevano anche nella stessa Germania: benché non fossero pensati specificatamente per lo sterminio sistematico, i prigionieri di molti di questi morirono a causa delle terribili condizioni di vita o a causa di esperimenti condotti su di loro da parte dei medici dei campi. Ogni giorno morivano milioni di persone … uomini, donne e bambini Sognavamo nelle notti feroci Sogni densi e violenti Sognati con anima e corpo: tornare; mangiare; raccontare. Finché suonava breve sommesso Il comando dell’alba; «Wastawac»; E si spezzava in petto il cuore. Ora abbiamo ritrovato la casa, il nostro ventre è sazio. Abbiamo finito di raccontare. È tempo. Presto udremo ancora Il comando straniero: «Wastawac». Primo Levi (11 gennaio 1946) Ecco, bambini miei, di che cosa era fatto quel silenzio che abitava la mia infanzia di figlia di sopravvissuti, nata l’indomani della guerra e delle Shoah. Ma siamo tutti figli di sopravvissuti, bambini miei: noi, discendenti di ebrei emarginati rinchiusi nei ghetti, deportati e uccisi. Noi e con noi, accanto a noi, tutti gli altri. Il mondo intero che vide, udì, combatté o collaborò: siamo tutti sopravvissuti a questa catastrofe che abitava nel silenzio beato della mia infanzia,che abita ancora dietro il vostro benessere di oggi. I nomi di quei bambini sono voce di silenzio, sono ciò che i vostri nonni hanno raccontato faticosamente, con parole a volte avare perché per sopravvivere, dopo aver visto e sofferto, l’unica ricetta era provare a tacere su quell’orrore buttarselo alle spalle e tentare di dimenticare. I nomi di quei bambini sono le parole che cerco e che non trovo, affidando a voi questa vana ricerca perché a poco a poco il tempo passa, i testimoni se ne vanno, il ricordo sbiadisce e le generazioni trascorrono. Le parole che non trovo sono quelle per spiegarvi ciò che è successo e che nessuno potrà mai spiegare: la Shoah non ha ragione, non c’è logica che le stia al passo, non ci sono parole per descriverla, non c’è traccia per provare a condividere quel che i nostri nonni e i genitori hanno visto, sentito, patito. Non ci resta che ascoltare il ricordo così come si ascolta quella voce nel buio, sapendo che né io né voi troveremo mai più le parole per descrivere, e che ai vostri figli e ai loro figli affideremo insieme, io e voi, un tenue filo di memoria. L’unico antidoto perché ciò che è accaduto non accada più, ha detto Primo Levi. Ma ormai, il suo silenzio è una fitta che fa male da morire. Queste pagine sono parole sparpagliate fra la testa e il cuore, voci che sento dal profondo, e dopo averle sentite provo a estrarle, raccontandole. Ai miei figli e a chi voglia ascoltare. Tutto qui. Elena Loewenthal è nata a Torino nel 1960. Lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d’ Israele, attività che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei Beni Culturali. Campo di transito di Fossoli A circa sei chilometri da Carpi, in località Fossoli, rimangono ancora le tracce visibili di quello che, nel corso del 1944, era il Campo poliziesco e di transito. • I circa 5.000 prigionieri politici e razziali che passarono da Fossoli ebbero come tragiche destinazioni i campi di Auschwitz-Birkenau, Dachau, Buchenwald, Flossenburg. La storia • Dopo l’8 settembre 1943, gli ebrei italiani sfuggiti ai rastrellamenti tedeschi, furono colpiti dall’ ordine di polizia n. 5 del 30 novembre del 1943 emanati dalle autorità della RSI (Repubblica Sociale Italiana) che prevedeva il loro immediato arresto e internamento, con sequestro dei beni. • Mentre si predisponevano prigioni e luoghi di internamento delle singole province, si decise anche l’allestimento di un grosso campo di raccolta nazionale, in località Fossoli, a pochi chilometri da Carpi, in provincia di Modena. •Il campo di Fossoli era diviso in due sottocampi:il “campo vecchio” e il “campo nuovo”. • Il “campo vecchio” così denominato perché sorgeva nello spazio del precedente campo per i prigionieri di guerra n. 73, gestito dalla RSI di Mussolini e sorvegliato dalle forze di polizia della questura di Modena, internava principalmente politici e detenuti comuni non soggetti a deportazione. Il “campo nuovo” gestito direttamente dai tedeschi comprendeva un settore per ebrei e uno per politici ed era definito campo di transito. • Secondo stime recenti, in assenza di molti documenti, si possono ipotizzare 2450 deportati da Fossoli, per motivi razziali (in prevalenza ebrei), e 2500 deportati per motivi politici. •Il 2 agosto 1944 ebbe luogo l’ ultima deportazione che mise fine all’ attività del campo di transito di Fossoli. Hanno partecipato alla realizzazione del progetto sulle leggi razziali i ragazzi della 3^ I della scuola media statale “B. Croce” di Forlì: • CIOCCA JESSICA • ERANI ILARIA • LUNGHERINI BARBARA • MARONI LUCA • MORETTI ERICA • PIANI FEDERICO • RAVAIOLI LUCIA