Si inizia dunque venerdì 7 dicembre con Umberto Orsini e Emilia Romagna Fondazione Teatro – Teatro Metastasio Stabile della Toscana che fino a domenica 16 dicembre porteranno in scena Molly Sweeney di Brian Friel per la regia di Andrea De Rosa. Lo spettacolo debutterà il 25 giugno al Festival Asti Teatro. Il testo, ispirato ad un fatto realmente accaduto e raccontato dal neurologo Oliver Sacks nel saggio Vedere e non vedere, porta l’attenzione sui problemi etici e filosofici nella cura dei pazienti. Brian Friel rielabora così la vicenda di un singolare caso clinico mantenendo però intatto il rigore scientifico. Ed ecco la protagonista della storia: Molly Sweeney è una donna di quarant’anni non vedente ma completamente autonoma che lavora come fisioterapista in un centro benessere. Lei riacquista in parte la vista con un intervento chirurgico ma perde però tutta la sua sicurezza acquisita con il “tatto” quando era cieca. Un cast d’eccezione compone il trittico dei personaggi: Umberto Orsini e Valentina Sperlì, nuovamente insieme dopo “Vecchi Tempi” (2004) sotto la regia di Roberto Andò, sono accompagnati da Leonardo Capuano che, ad esclusione di qualche esperienza sotto la direzione di Alfonso Santagata e un ruolo recente in “Gli uccelli” della Compagnia Lombardi Tiezzi, si è sempre ricavato uno spazio autonomo nel panorama teatrale italiano. Il regista Andrea De Rosa ha lavorato, sia in teatro che al cinema, soprattutto al fianco di Mario Martone. Le sue ultime regie risalgono al 2005 con il debutto di “Elettra” prodotto da Mercadante Teatro Stabile di Napoli e al 2004 con la sua prima regia lirica de “Idomeneo re di Creta” di Mozart per il teatro Comunale di Trento. Molly Sweeney si avvale delle scene di Laura Benzi e dei costumi di Ursula Patzak. Il nuovo anno si aprirà con I giganti della montagna di Luigi Pirandello che dal 4 al 13 gennaio vedrà in scena Sandro Lombardi, Iaia Forte e la compagnia LombardiTiezzi. La regia porta la firma di Federico Tiezzi con la collaborazione drammaturgica di Sandro Lombardi. Il debutto è in calendario per il 3 novembre al teatro Argentina di Roma. Le scene portano la firma di Pier Paolo Bisleri, i costumi di Giovanna Buzzi. Mettere in scena questo testo oggi significa per la Compagnia Lombardi Tiezzi legarlo soprattutto alla contemporaneità, alla società attuale, alla storia quotidiana. E alla storia martoriata di una terra come la Sicilia. Significa anche non dimenticare che, pur trattandosi di un mito, i Giganti della montagna raccontano delle concrete storie di esseri umani. Del resto tutto il teatro pirandelliano mette a nudo gli esseri umani, i loro sogni, i desideri, le sconfitte, le rivendicazioni impossibili o, come nel caso dei Giganti della Montagna, il conflitto tra “arte e vita”. Ultima fatica di Pirandello, e rimasta incompiuta, I Giganti della Montagna risveglia l’attenzione su alcuni interrogativi: cos’è l’arte? Quale è il linguaggio che può, più di ogni altro, combattere l’omologazione e scardinarla? Il teatro? Il cinema o la televisione? E qual è il ruolo dell’arte in una società che ha dimenticato la classicità, l’antichità, la “Polis” e soprattutto i segreti della comunicazione teatrale? Ponendosi queste domande Pirandello lascia aperto lo spazio a risposte che lo spettatore dovrà trovare da solo. Infatti non tutto si conclude sulla scena, e gli spettatori, abbandonato il teatro, dovranno continuare a cercare “la verità”. C’è quella di Cotrone, secondo cui la verità è nel fluire delle immagini; c’è quella di Ilse, che trova la verità nella sacralità della poesia... E se, invece, come evidenzia la regia di Federico Tiezzi, avessero ragione i mostruosi Giganti dediti, secondo le parole di Cotrone, “all’esercizio della forza in un mondo lacerato e in crisi ma non privo di opportunità”? Certo è, secondo la compagnia, che “dal conflitto tra queste tre diverse posizioni nasce la magia e l’attualità di questo testo”. Lo spettacolo le racconterà utilizzando una fusione di linguaggi: dalla recitazione alla musica, dall’arte visiva al cinema e alla danza. Un Pirandello giocato secondo i colori e le visioni del Fellini di Otto e Mezzo e della Dolce Vita e quelle letterarie del Pasolini di Petrolio e degli Scritti Corsari. Federico Tiezzi curerà la regia del lavoro, con la collaborazione drammaturgica di Sandro Lombardi che ne sarà anche interprete nel ruolo di Cotrone. Federico Tiezzi nella sua carriera ha messo in scena autori quali Brecht, Beckett, Pasolini, Shakespeare, Cechov. Si è distinto con successo nella regia lirica esordendo nel 1991 con “Norma” al Teatro Petruzzelli di Bari e lavorando poi in molti teatri tra cui il Comunale di Firenze, il san Carlo di Napoli, il Teatro dell’Opera di Roma, il Regio di Torino, La Fenice di Venezia. Il terzo appuntamento della stagione sarà con Tullio Solenghi e Le nozze di Figaro in scena al teatro Donizetti dal 18 al 27 gennaio. Lo spettacolo è portato in tourneè da Procope Studio e dalla Compagnia Lavia. La regia porta la firma di Matteo Tarasco che ha anche curato, insieme a Tullio Solenghi, la riduzione e l’adattamento del testo che Pierre Augustin De Beaumarchais scrisse nel 1778 e che, qualche anno dopo Mozart trasformò in un vero capolavoro lirico. Le scene e i costumi sono di Andrea Viotti, le elaborazioni musicali di Riccardo Benassi. La traduzione del testo di Beaumarchais è stata curata dal critico Enrico Groppali. Certamente una delle commedie più complesse e vivaci del teatro francese, Le nozze di Figaro rappresenta un testo ideale per le qualità istrioniche di Solenghi: “un’allegra commedia in un mondo che crolla” come la definisce il regista Matteo Tarasco, ma soprattutto una commedia che evidenzia l’anticipazione dei tempi nuovi, il simbolo della lotta del Terzo Stato contro una classe sociale e politica che chiude per sempre l'”ancient regime”. La divertente commedia vede nei panni del protagonista un inedito e “rivoluzionario” Solenghi che nella presentazione dello spettacolo parla così del suo personaggio: “Figaro mi ha subito conquistato per la sua schietta teatralità, messa abilmente al centro di una tessitura di commedia davvero prodigiosa. Ma sarebbe fargli torto il relegarlo al semplice virtuosismo scenico, senza avvertirne la componente di coraggiosa istanza sociale nei confronti di una classe eternamente dominante. Partendo dalla traduzione di Enrico Groppali, la nostra messa in scena propone sì il Figaro-servo, scaltro architetto di mille trame, ma anche il Figaro-proletario, degno rappresentante di quel Quarto Stato, che per troppo tempo fu costretto a tenere sopite le proprie rivendicazioni”. Una commedia, dunque, che resta attuale: un po’ vaudeville, un po’ farsa tragica. C'e', infatti, in questo “teatrino dei burattini”, che Beaumarchais racconta con allegria e che lo spettacolo cerca di evidenziare attraverso i costumi e le scene di Andrea Viotti, un mondo quasi da sogno, fiabesco. Un mondo in cui si racconta la realtà non come è o come dovrebbe essere ma come appare nei sogni, senza dimenticare che i sogni, a volte, possono diventare anche degli incubi! Il successo di questo genere di commedie deriva dalla vivacità delle situazioni, dal linguaggio franco e spiritoso e soprattutto dalla forte satira sociale. Le commedie di Pierre-Augustin de Beaumarchais, infatti, avevano segnato una netta rottura con la tradizione del teatro contemporaneo borghese, basato su personaggi e trame convenzionali, generalmente subordinate a intenzioni morali e edificanti. La commedia - La folle giornata ovvero Il matrimonio di Figaro (La folle journée ou Le mariage de Figaro) fu proibita al suo debutto nel 1783 ma rappresentata trionfalmente l'anno successivo. La commedia in cinque atti è il seguito del "Il barbiere di Siviglia”. Sono passati tre anni e Rosina è diventata la contessa di Almaviva ma il conte, stanco della vita coniugale, fa la corte alla cameriera della moglie, Susanna, spiritosa e gaia, alla vigilia delle sue nozze con Figaro. Lui, Figaro, è indignato, la contessa è triste nel vedersi trascurata ed è turbata dall'amore che ha per lei il giovanissimo paggio Cherubino, suo figlioccio. Inganni, equivoci e gelosie portano scompiglio ma alla fine è bene quel finisce bene: Figaro può sposare Susanna. “La storia di Figaro – commenta Tarasco – è tutto un equilibrio sopra la follia, dove il teatro diventa lo specchio della storia: la storia di un mondo sull’orlo di un abisso ma anche la storia privata di una famiglia in crisi”. Toni Servillo e la compagnia Teatri Uniti (con la collaborazione del Piccolo teatro di Milano) porteranno al teatro Donizetti La trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni in cartellone dal 15 al 24 febbraio. Le scene sono di Carlo Sala, i costumi di Ortensia De Francesco. La regia porta la firma di Toni Servillo. Una regia che vuole accomunare l’opera di Goldoni (e più in generale tutto il suo teatro) all’arte di De Filippo. Tanto Goldoni quanto De Filippo, secondo Servillo, raggiungono in momenti storici diversi le vette più alte della lingua teatrale italiana. Al centro dell'esperienza di entrambi c'è l'indagine spietata dell'uomo medio italiano, le cui manchevolezze e miserie costituiscono il tessuto profondo della classe borghese. Se si osserva La Trilogia della villeggiatura dal punto di vista della scansione temporale si nota lo stresso movimento emotivo fra le albe e i tramonti che scandiva Sabato, domenica e lunedì di Eduardo. Anche le smanie, le avventure e i ritorni dalle villeggiature, ottimismi e infelicità, trovano nel succedersi di albe e tramonti la loro cerniera ideale. Ne La trilogia della villeggiatura i borghesi da un lato scimmiottano la nobiltà, dall'altro non comprendono il monito che sale dalle classi più povere. Questa commedia racconta una vacanza dalla vita che si rivela essere nient'altro che il contenitore di tutto l'orrore, le noie e le isterie della vita stessa. Ma racconta anche qualcosa di più terribilmente contemporaneo: il desiderio di “esserci” piuttosto che di “essere”. Il risultato finale è una malinconia infinita. Si comincia con le Smanie, ovvero la massima espressione di ansia e aspettativa; si prosegue con il tempo rilassato delle Avventure, quello ritmato dalle partite a carte e dal cioccolato per finire da ultimo con i silenzi e le malinconie del Ritorno. Toni Servillo, fondatore nel 1987 di Teatri Uniti, ha messo in scena durante la sua carriera testi di Eduardo De Filippo, Moliere, Pirandello; è stato diretto da registi teatrali come Memè Perlini, Mario Martone, Elio De Capitani, oltre ad essere interprete dei film di Mario Martone, Antonio Capuano, Paolo Sorrentino, e Elisabetta Sgarbi. Per “Le conseguenze dell’amore”, secondo film di Paolo Sorrentino, in concorso al Festival di Cannes 2004, Toni Servillo ha ricevuto il Nastro d’argento e il David di Donatello. Il quinto appuntamento della stagione sarà con Nebbia, uno spettacolo della compagnia canadese Cirque Eloize che sarà per la prima volta a Bergamo dal 29 febbraio al 9 marzo. Si tratta di una nuova produzione – il debutto è in calendario per i primi giorni di dicembre a Ginevra – che vede la collaborazione degli artisti canadesi e del Teatro Sunil di Lugano. Il nuovo allestimento è infatti stato scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca (fondatore del teatro svizzero) con la collaborazione dei registi Julie Hamelin e Jeannot Painchaud (fondatori della compagnia canadese). Daniele Finzi Pasca porterà in palcoscenico i suoi ricordi d’infanzia, la nebbia – appunto - nella pianura padana, i luoghi dove è nato e cresciuto. Tutto dentro un circo, un teatro nel teatro con acrobati, danzatori e giocolieri. In dieci anni la compagnia del Cirque Eloize ha conosciuto un grande successo, presentando oltre 500 spettacoli, in più di 200 città di 20 paesi del mondo. Gli artisti propongono danze, canti, musiche, esercizi di giocoleria e numeri acrobatici. Armati di una grande passione per il circo nel 1993 sette giovani artisti, originari delle Isole della Madeleine e diplomati alla Scuola nazionale di Montréal. Hanno dato vita a Cirque Eloize. Le tourneè in Canada, Quebec, Francia, Irlanda e Asia li fanno presto conoscere in tutto il mondo. Oggi, la compagnia continua il suo cammino con l’intento di promuovere le arti del circo come modo di esprimersi e fare teatro. Dopo l’arte circense, un dramma di Italo Svevo, La Rigenerazione. A. Artisti Associati e lo Stabile del Friuli Venezia Giulia porteranno in scena dal 28 marzo al 6 aprile il capolavoro psicanalitico del grande autore triestino. Il ruolo del protagonista è affidato a Gianrico Tedeschi, l’attore milanese che dal 2000 collabora stabilmente con la compagnia di Gorizia (nel 1998 ha ricevuto il Premio Ubu e il premio Simoni come migliore attore dell’anno). La regia dello spettacolo , che debutterà all’inizio del prossimo anno, porta la firma di Antonio Calenda. Le musiche originali sono di Germano Mazzocchetti, le scene di Pier Paolo Bisleri, i costumi di Stefano Nicolao. E’ certamente significativo che per mettere in scena La rigenerazione, l’ultima grande fatica di Italo Svevo, si uniscano le forze di due realtà teatrali – la compagnia A. Artisti Associati di Gorizia e il teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia - che affondano le loro radici nel mondo dello scrittore. La linea dell’appartenenza culturale, della “territorialità”, dell’identità che chiaramente si delinea nell’opera di Svevo si intreccia, infatti, con quella di ancor più ampio respiro che riconosce nell’autore triestino il creatore del più grande romanzo psicanalitico dell’ultimo secolo, il critico e sarcastico analista dell’“uomo in crisi” colto in tutta la sua fragilità, nell’inettitudine davanti alle cose della vita e osservato magari con minor drammaticità rispetto a Pirandello ma con uguale, implacabile coerenza filosofica. Appassionato di teatro, Italo Svevo ha dedicato al palcoscenico ben tredici suoi lavori a cui si affiancano annotazioni critiche, varianti, bozze…Purtroppo non ha avuto la soddisfazione di vedere le sue commedie rappresentate: infatti tutte – eccetto Terzetto spezzato messo in scena da Anton Giulio Bragaglia - furono allestite dopo la morte dell’autore. La Rigenerazione è l’ultimo e certamente il più riuscito dei suoi lavori drammaturgici: ricco – come gli altri testi – di implicazioni psicologiche e culturali, mette in luce il protagonista, l’ultrasettantenne Giovanni, animato dal desiderio di sottoporsi ad un’operazione che gli consenta di ringiovanire: Giovanni vorrebbe recuperare la libertà dal rigore soffocante del suo matrimonio, dal conformismo della sua vita borghese. Una volta recuperata l’energia vitale però, Giovanni riconosce la propria consapevolezza, la propria responsabilità e decide di mantenere il suo ruolo di pater familiae. La rigenerazione debutterà a febbraio per essere poi presentata in tournée su tutto il territorio nazionale. La A. Artisti Associati, fondata nel 1987 a Gorizia e diretta da Walter Mramor, è una struttura consolidata sul territorio regionale, riconosciuta sin dal 1989 dal Ministero per i Beni e le attività culturali come Impresa di produzione teatrale e dalla regione Friuli Venezia Giulia come “organismo culturale di interesse regionale”. Oltre all’attività di produzione, che mira alla promozione e alla valorizzazione della drammaturgia contemporanea senza trascurare i testi classici meno frequentati, costante è la sua attività culturale svolta sul territorio e realizzata con la collaborazione e il sostegno delle istituzioni locali. Nel 1998 la compagnia goriziana ha vinto la gara d’appalto per la gestione del teatro comunale di Cormòns, il teatro ottocentesco recentemente restaurato che è diventato la sede produttiva della compagnia. Ad aprile sarà la volta di SVET La luce splende nelle tenebre di Lev Tolstoj, un dramma mai rappresentato in Italia e prodotto nella scorsa stagione, con grande successo di pubblico e critica, dal teatro Stabile di Genova. Lo spettacolo, che ha ricevuto il Premio della critica come miglior spettacolo della stagione 2006-2007, è in cartellone al teatro Donizetti dal 11 al 20 aprile, si avvale della regia di Marco Sciaccaluga sulla traduzione di Danilo Macrì ed è interpretato, oltre a Vittorio Franceschi (nel ruolo di Nikolaj Ivanovič Saryncev) da un folto gruppo di attori, tutti formatisi alla Scuola di Recitazione dello Stabile. La scena è firmata da Jean-Marc Stehlé e i costumi da Catherine Rankl; le musiche sono di Andrea Nicolini e le luci di Sandro Sussi. Scritto a più riprese tra il 1894 e il 1902, e rimasto incompleto nel quinto atto, SVET La luce splende nelle tenebre non era mai stato sino ad oggi rappresentato in Italia (e sui maggiori palcoscenici europei). Svet (alla lettera “luce”) venne pubblicato postumo nel 1912, a Berlino, con il titolo provvisorio di I Svet vo tme svetit che cita un verso del Vangelo di Giovanni (E la luce splende nelle tenebre). Lev Nikolaevic Tolstoj (1828-1910) condensa in quest’opera i principali motivi che ossessionarono gli ultimi anni della sua vita: la concezione evangelica dell'esistenza, l'anticlericalismo, il rifiuto della guerra e della violenza, il tema della non resistenza al male. Emerge così in primo piano il dramma morale, vissuto sulla propria pelle dal protagonista, dell'impossibilità di far coincidere la teoria con la pratica quotidiana: dramma che travagliò anche la vecchiaia di Tolstoj rendendo difficile i suoi rapporti in famiglia, sino alla disperata fuga da casa e alla sua squallida morte nella stazione di Astopovo. Così, percorso da una forte tensione autobiografica, la vicenda si costruisce intorno al personaggio di Nikolaj Ivanovič Saryncev, un ricco possidente che, preso da improvvisi scrupoli religiosi, decide di applicare alla lettera il Vangelo, giungendo sino a distribuire la sua ricchezza a tutto il popolo a lui vicino. Questo progetto eticoreligioso di Saryncev incontra l’incomprensione della moglie e la dichiarata ostilità del figlio maggiore e degli altri parenti e porterà ben presto l’intera famiglia alla rovina. “Senza voler essere più pedagogico del pedagogo Tolstoj – ha commentato il regista Marco Sciaccaluga - credo che il rapporto di Nikolaj Ivanovič e la sua famiglia con i loro contadini raffiguri esattamente quello che c’è oggi tra l’opulenta società occidentale e il Terzo Mondo. Come quello di Nikolaj Ivanovič rispetto ai suoi contadini, anche il nostro benessere si fonda sulla sofferenza e sulla morte degli altri. Svet ci pone con forza il problema e ci costringe a domandarci che cosa si può fare. A questo interrogativo, Nikolaj Ivanovič offre risposte la cui radicalità è direttamente proporzionale alla loro insufficienza, anche perché finisce col produrre una forma di inaudita violenza nei confronti delle persone che gli stanno vicino, mettendo in moto una rete di incomprensioni spinte sino al limite della follia. Nessuno può accettare che un uomo sacrifichi i propri figli, o porti all’autodistruzione quelli degli altri, per amore dell’umanità. Ci deve essere un’altra soluzione”. Ultimo spettacolo in cartellone è Inventato di sana pianta ovvero Gli affari del barone Laborde di Hermann Broch portato in tournée dallo scorso marzo dal Piccolo Teatro di Milano che sarà al teatro Donizetti dal 9 al 18 maggio. La regia – sulla traduzione di Roberto Rizzo – porta la firma di Luca Ronconi. Le scene sono di Marco Rossi, i costumi di Jacques Reynaud, le luci di Gerardo Modica, le musiche a cura di Paolo Terni. Commedia divertente, la spregiudicata storia del barone Laborde è stata scritta nel 1934 e rappresentata per la prima volta nel 1981 anche se sembra a tutti gli effetti perfettamente calata nella nostra quotidianità. Vi si racconta la carriera di un affascinante imbroglione, millantatore e mitomane, che facendo leva sul proprio fascino personale e sull’abilità nel raccontare bugie riesce a muoversi abilmente tra i rappresentanti del jet-set industriale. Contemporaneo di Arthur Schnitzler, come lui viennese e di origine ebraica, Hermann Broch (Vienna 1886-New Haven, Cunnecticut 1951) nato da una ricca famiglia di industriali del settore tessile diresse fino a quarant’anni la ditta di famiglia per poi dedicarsi esclusivamente allo studio della matematica, della filosofia, della psicologia. Nel 1938 riuscì a fuggire negli Stati Uniti per sottrarsi alle persecuzioni antisemite dove ottenne la cittadinanza americana e la cattedra di letteratura tedesca all’Università di Yale. Per Ronconi, “Broch scatta la fotografia di un secolo in crisi, in cui la morale si è definitivamente sfaldata”. Il tratto saliente del testo di Broch è, secondo Ronconi, “la leggerezza che fa pensare al cinema di Lubitsch e alle sue commedie brillanti e divertenti”. “La scelta di questa commedia – conclude Ronconi – non nasce tanto dal desiderio di far conoscere un autore poco noto quanto piuttosto dal fatto che, sia pure con un’indubbia differenza di impegno e qualità, di densità e complessità, “Inventato di sana pianta” si pone su quella linea di indagine dei comportamenti umani che ci riporta al “Professor Bernhardi” da me messo in scena due anni fa”. Inoltre, in calendario per la serata del 31 dicembre il teatro Donizetti proporrà fuori abbonamento uno spettacolo – il titolo è ancora in via di definizione – per offrire al pubblico l’occasione di festeggiare san Silvestro.