Università degli Studi di Napoli Federico II Corso di abilitazione A049 Relazione La rivoluzione del ‘900, la Meccanica Quantistica e dualismo Onda-Particella Elaborata dai corsisti Dott.re Giuseppe Fico Dott.re Michele Carannante Dott.ssa Anna Di Lorenzo La rivoluzione del ’900 Alla fine del secolo XIX le proprietà dell’Universo, descritte dalla fisica, sembravano ormai delineate grazie alla teoria di Newton, alla termodinamica e alla teoria elettromagnetica di Maxwell, esposta nell’opera Treatise on magnetism and electricity. Le fondamentali leggi della Meccanica e dell’elettromagnetismo consentivano di analizzare ed interpretare coerentemente quasi tutti i fenomeni naturali conosciuti, da quelli meccanici a quelli termici, da quelli ottici a quelli ondulatori. I pilastri di questo edificio erano i principi di conservazione, in particolare quelli relativi alla materia e all’energia, i costituenti fondamentali dell’intero universo. Osservazione sull’evoluzione del concetto di energia: Inizialmente considerata solo come un attributo o una caratteristica dei corpi materiali, in seguito, grazie agli sviluppi del concetto di campo ed al fatto che l’energia,sotto forma di onda elettromagnetica, può trasmettersi anche nel vuoto, l’energia acquista la fisionomia di un’entità fisica, dotata di una sua esistenza autonoma. Nonostante ciò, i concetti di materia ed energia o quelli analoghi di particella ed onda, rimanevano sempre distinti, anzi, contrapposti: l’energia non ha nulla di materiale, una radiazione può essere costituita da particelle o, al contrario, da onde. In effetti, i corpi materiali opportunamente eccitati (portati, ad esempio, all’incandescenza) emettono energia sotto forma di onde elettromagnetiche (raggi infrarossi, luce, ecc..). E’ chiaro che fenomeni di questo tipo devono essere legati all’intima struttura delle particelle elementari, certamente più complesse di quanto si potesse pensare fino alla seconda metà dell’Ottocento. Ecco dunque i campi di ricerca che risultavano all’epoca più significativi e promettenti: •l’analisi approfondita delle radiazioni di ogni tipo; • l’elaborazione di modelli atomici che spiegassero tutti i fenomeni conosciuti e che rappresentassero la sintesi della ricerca scientifica di quasi 3 secoli Nessuno si aspettava che nei venti anni successivi la fisica avrebbe subìto una vera e propria rivoluzione Una delle prime tappe di questa rivoluzione fu la scoperta che la velocità della luce non cambia mai, comunque si muova l’osservatore (Michelson e Morley, 1887). Questo fatto sperimentale costituì la base della teoria della relatività di Einstein (1905) che portò alla conclusione che spazi, tempi e masse non sono invarianti, ma dipendono dalla velocità del sistema di riferimento. Le idee di Einstein trovarono conferme sperimentali nell’ambito delle ricerche sulla struttura degli atomi, e ciò, oltre a costituire un fatto di straordinario rilievo, evidenzia la necessità di andare oltre i limiti della fisica classica. Ma altre scoperte ed altre elaborazioni teoriche, collegate solo in parte con la Relatività, condussero ad una visione del tutto nuova e sorprendente della realtà fisica. Basti solo accennare al fatto che materia ed energia vengono a costituire due aspetti di una stessa entità; che, analogamente, uno stesso “oggetto” può risultare un’onda oppure una particella; che l’intervento dell’osservatore incide inevitabilmente sul comportamento di un sistema fisico microscopico; che qualsiasi previsione sui fenomeni che si verificano su scala atomica può avere soltanto un significato probabilistico. Di qui si capisce quanto sia stata profonda la rivoluzione concettuale dei primi decenni del Novecento Le ricerche sulla struttura dell’atomo e sui rapporti tra materia ed energia aprirono insospettate prospettive anche nello studio dei fenomeni celesti. L’indagine scientifica sull’infinitamente piccolo si saldò quindi con l’indagine sull’infinitamente grande Evidenziamo, ora, alcuni fenomeni fisici non interpretabili secondo la teoria dell’elettromagnetismo classico, che hanno indotto ad “azzardare” una visione quantistica della fisica e che meglio delineano il passaggio dalla concezione classica a quella quantistica 1. La distribuzione spettrale di radiazioni di un corpo nero; 2. L’effetto fotoelettrico LA RADIAZIONE DEL CORPO NERO La teoria quantistica ha origine dal tentativo di spiegare la distribuzione di energia emessa da un corpo incandescente. Tutti i corpi, riscaldati, anche a temperatura ordinaria, emettono radiazioni. La radiazione emessa dà luogo ad uno spettro continuo, ma la distribuzione dell’intensità delle varie parti di questo spettro dipende dalla sostanza emittente Se, però, questa è un corpo nero, ovvero un oggetto capace di assorbire completamente onde elettromagnetiche di qualunque lunghezza d’onda, lo spettro risulta essere lo stesso qualunque sia la sostanza e la forma del corpo Nel 1860 Gustav Robert Kirchhoff dimostrò che si può ottenere un dispositivo che si comporta come un corpo nero ideale mantenendo a temperatura uniforme le pareti di un contenitore cavo (in pratica, un forno) dalla superficie interna irregolare, nel quale è praticato un piccolo foro. Le pareti calde emettono ed assorbono continuamente onde elettromagnetiche e solo una piccolissima frazione di tale radiazione riesce ad uscire dalla cavità Allo stesso modo, le onde provenienti dall’esterno e che giungono in corrispondenza del foro entrano nella cavità e, dopo diversi processi di diffusione sulle pareti, vengono assorbite. Come spiega l’elettromagnetismo classico l’emissione del corpo nero ? Gli atomi delle pareti che emettono radiazioni si possono schematizzare come oscillatori armonici, oscillanti periodicamente con una certa frequenza, indipendente dall’ampiezza e caratteristica di ciascun oscillatore, ed emettenti radiazioni con la stessa frequenza Inoltre, secondo le leggi della meccanica e dell’elettromagnetismo, l’energia di ognuno di questi oscillatori può assumere qualsiasi valore che, secondo la seguente legge di “Rayleigh e Jeans” vale 2 2 I 2 c Osservando il grafico in figura, si può notare che per una data T, la curva che rappresenta I in funzione di è una parabola con il vertice nell’origine degli assi la quale, però, coincide con la curva sperimentale solo nel campo delle basse frequenze ma poi se ne discosta decisamente per prendere tutt’altro andamento. Inoltre, l’intensità totale dell’energia emessa sotto forma di onde elettromagnetiche, data da Id 0 rappresentata dall’area racchiusa dalla curva dell’intensità e dall’asse delle ascisse, secondo la formula di Rayleigh-Jeans dovrebbe essere infinita, ma ciò è ovviamente assurdo. Fu nel 1899 che Planck scoprì quale era il punto in cui bisognava staccarsi dalle leggi classiche per giungere ad un risultato in totale accordo con l’esperienza. Egli suppose, per puro artificio di calcolo, che ogni oscillatore potesse emettere o acquistare energia non con continuità, ma per salti di una certa grandezza , ed assegnando ad essa un valore finito = h proporzionale alla frequenza propria dell’oscillatore, con h costante, si arriva alla formula di Planck: 2 2 I 2 c h e h KT 1 la quale, assegnando ad h il valore h = 6.625 10-27 erg sec (nel sistema CGS) rappresenta esattamente le curve sperimentali per ogni valore di T. Si nota, inoltre, che per ciascuna curva sperimentale il massimo si sposta verso frequenze più elevate al crescere della temperatura. La prima interpretazione data da Planck alla sua formula fu che l’energia avesse una struttura discontinua, ovvero si presentasse sempre in quantità multipla di h, quantità elementare che chiamò per l’appunto quanto; di conseguenza, la teoria successiva che si sviluppò si chiamò teoria dei quanti. EFFETTO FOTOELETTRICO Il concetto di quanto di energia venne ripreso da Einstein nel 1905, che lo utilizzò per superare altre contraddizioni tra teoria e fatti sperimentali. Uno di questi era proprio l’Effetto Fotoelettrico (un corpo colpito da radiazioni di frequenza elevata-raggi ultravioletti, raggi x o raggi -emette elettroni), che è ritenuto una delle più stringenti conferme della teoria quantistica. Fu scoperto dal fisico tedesco Heinrich R. Hertz nel 1887 Egli scoprì che, illuminando con raggi ultravioletti una superficie metallica, questa si caricava positivamente. Successivamente il fisico tedesco Wilhelm Hallwachs scoprì che illuminando con luce ultravioletta una superficie metallica carica negativamente, questa perdeva tutta la sua carica negativa; se invece la superficie era carica positivamente rimaneva carica. Le cariche negative potevano quindi lasciare una superficie isolata, mentre quelle positive no Nel 1899 il fisico ungherese Philipp Lenard misurò il rapporto e/m delle particelle strappate alla superficie metallica e scoprì che erano elettroni. La luce ultravioletta passa attraverso la finestrella di quarzo e colpisce la lastra metallica. Gli elettroni che lasciano la lastra sono accelerati da una d.d.p.V fino alla velocità v, secondo la relazione e V = 1/2 m v2 Gli elettroni sono poi accolti nell’elettrodo. Un campo magnetico B diretto perpendicolarmente al piano della slide deflette gli elettroni su un altro elettrodo. Vale allora la relazione e v B = mv2 / R con R raggio di deflessione Ricavando v da questa seconda relazione e sostituendola nella prima, in cui va isolato v2, si ha immediatamente e / m = 2V / B2R2 in cui tutte la grandezze a secondo membro sono note o misurabili e si può quindi calcolare il valore di e / m. Lenard trovò anche le leggi sperimentali che regolano l’Effetto Fotoelettrico 1. L’effetto ha luogo solo se la frequenza della radiazione incidente supera un certo valore 0 ( “soglia fotoelettrica”). Per frequenze maggiori l’energia degli elettroni emessi è pari a Ee ~ ( vr – v0) La frequenza di soglia dipende dal tipo di materiale utilizzato per realizzare la lastra 2. Gli elettroni escono dal metallo con una energia cinetica, e quindi con una velocità di fuga, che può variare da zero ad un valore massimo Tmax che dipende solo dalla frequenza della radiazione incidente e non dalla sua intensità, contrariamente a quanto prevede la teoria classica dell’elettromagnetismo; Precisamente si ha: Tmax= h(-0) (relazione di Einstein) dove h è la costante di Planck. 3. Il numero di elettroni emessi per cm e per secondo è proporzionale all’intensità della radiazione incidente mentre l’energia massima degli elettroni è indipendente da questa. 4. L’intensità del fascio influenza solo l’intensità della corrente. Interpretazione del fenomeno basata sull’elettromagnetismo classico la radiazione incidente penetra negli strati più superficiali del metallo e investe gli elettroni in esso contenuti, sottoponendoli ad un campo elettrico rapidamente alternato; gli elettroni vengono, così, costretti ad oscillare e, se le oscillazioni sono abbastanza ampie, essi vengono strappati dall’atomo cui appartengono e lanciati fuori dal corpo Secondo questa teoria, gli elettroni dovrebbero essere lanciati con velocità tanto maggiore quanto più forte è il campo elettrico della radiazione, e, quindi, quanto più questa è intensa (a parità di frequenza ), il che, invece, non avviene affatto. I risultati sperimentali diventano invece comprensibili grazie all’ipotesi di Einstein. Secondo la teoria di Einstein quindi ogni radiazione (e quindi anche la luce di una data frequenza v consiste di particelle di etere) è costituita da corpuscoli, detti fotoni, ciascuno dotato di una quantità di energia Efotone = h (il famoso quanto di Planck) Sulla base di questa teoria “corpuscolare” della luce, la spiegazione dell’effetto fotoelettrico è immediata. Un atomo, colpito da un fotone, riceve, tutta in una volta, l’energia h, sotto forma di energia cinetica. Muovendosi attraverso il metallo, l’elettrone perde parte della sua energia: tale energia è una costante tipica del metallo ed è chiamata “lavoro di estrazione” (W0 lavoro per strappare un elettrone dall’atomo e farlo uscire dal metallo). L’energia “netta” che possiede quindi un elettrone è data da E = h - W0 Se la frequenza della radiazione incidente è sufficientemente elevata allora risulta h> W0 e quindi E > 0 L’elettrone può pertanto lasciare il metallo e la sua energia di fuga sarà tanto maggiore quanto maggiore è la frequenza della radiazione incidente. L’elettrone verrà espulso con una energia Tmax = h - W0 ed, essendo W0 = h0, risulta Tmax = h - h0 = h( - 0) in accordo con le osservazioni sperimentali. Questo è il valore massimo perché l’elettrone può sprecare un po’ di energia in urti all’interno del metallo. Se invece la frequenza è troppo bassa allora risulta h < W0 e quindi E < 0 l’elettrone non riesce a lasciare il metallo resta pertanto giustificata l’esistenza della frequenza di soglia 0 = W0 h Dualismo Onda – Corpuscolo E’il concetto secondo il quale una radiazione elettromagnetica si può propagare come un’onda, quando le dimensioni degli ostacoli sono confrontabili con la lunghezza dell’onda, ma può scambiare con gli altri corpi dotati di massa la propria energia e la quantità di moto come un’effettiva particella, benché priva di massa. Quindi particelle dotate di massa come gli elettroni, sotto determinate condizioni, si propagano nello spazio presentando fenomeni di diffrazione. Il dualismo onda – corpuscolo è quindi applicabile a 1. radiazione elettromagnetica che scambia energia quantizzata con la materia, comportandosi come una particella priva di massa (il fotone), 2. particelle con massa che si propagano manifestando effetti tipicamente ondulatori come l’interferenza o la diffrazione (le onde elettromagnetiche). Le scoperte sperimentali e le idee innovative e rivoluzionarie di Einstein Favorirono la teoria corpuscolare della luce di Newton Quindi nella fisica classica, se un fenomeno è descritto dal modello corpuscolare, ciò esclude a priori la possibilità che possieda caratteristiche proprie delle onde, e vale anche il viceversa. Un’onda, se è tale, è un profilo che si sposta trasportando energia, ma non materia, pertanto non può avere caratteristiche corpuscolari. Tali modelli non devono essere accettati in modo esclusivo, ma si applicano a seconda delle condizioni in cui avviene il fenomeno Un’onda può essere trattata come una particella o un insieme di particelle se la lunghezza d’onda è molto minore degli ostacoli o delle fenditure che incontra; se invece la lunghezza dell’onda è dello stesso ordine di grandezza degli ostacoli, allora il modello ondulatorio spiega la diffrazione e l’interferenza Anche per le particelle è lo stesso: quando le lunghezze d’onda a loro associate sono molto minori delle dimensioni degli oggetti con cui la particella interagisce, quest’ultima mantiene le caratteristiche corpuscolari; se invece le lunghezze d’onda sono confrontabili con quelle atomiche si manifestano fenomeni di diffrazione e interferenza da fenditure Questa proprietà di dualità che si presenta in natura solitamente viene chiamata dualismo onda-corpuscolo (onda-particella). La Fisica dei quanti ha avuto il merito di evidenziare sia le caratteristiche corpuscolari della luce e delle radiazioni, in genere classicamente considerate onde, sia le caratteristiche ondulatorie della materia, trattata invece dal punto di vista classico come singola particella o come agglomerato di particelle. LA RELAZIONE DI DE BROGLIE Louis Victor Pierre de Broglie (Dieppe 1892 – Louveciennes 1987), fisico sperimentale, sviluppò in forma organica l’idea originale del dualismo onda-corpuscolo nella sua tesi di dottorato (1924), per la quale fu insignito del premio Nobel nel 1929. Successivamente divenne convinto sostenitore delle applicazioni della meccanica quantistica in ambito biofisico. Nel 1961 fu insignito della prestigiosa onorificenza della Gran Croce della Legion D’onore. Morì all’età di 94 anni. Secondo la teoria classica dell’elettromagnetismo le radiazioni elettromagnetiche si propagano come un’onda che nel vuoto ha velocità c = 3 108 m/s Secondo la teoria dei quanti Se le radiazioni interagiscono con la materia possono essere considerate particelle dotate di energia e impulso Ipotesi di De Broglie: Come i fenomeni luminosi, anche le particelle ammettono la natura ondulatoria. De Broglie pensava che il moto delle particelle materiali fosse “guidato” da “onde pilota” che si propagano nello spazio insieme alle particelle. Per lui gli elettroni (onde elettroniche) hanno lunghezza d’onda λ = h/q = h/mv (h=6.626 10-34Js costante di Planck) Questa equazione è detta Relazione di De Broglie La frequenza delle onde è legata all’energia E = hf (energia della luce quantizzata di ciascun fotone) dell’elettrone dalla relazione f = E/h. Il momento angolare di un corpo puntifome di massa m che si muove con velocità v è Dalla quantizzazione del momento angolare si ottiene mvrn = nh/2π → qrn= nh/2π q = h/ λ → qrn=( h/ λ)rn = nh/2 π → nλ = 2πrn = Cn L = mR x v = R x p dove R è il vettore posizione e p = mv è la quantità di moto In definitiva, si ottiene nλ = Cn cioè l’n-esima orbita (circolare) del Modello di Bohr deve contenere un numero intero di lunghezze d’onda. . In pratica, per n = 1 la prima orbita è descritta da un’onda di lunghezza λ, per n = 2 la seconda orbita contiene due lunghezze d’onda, per n = 3 tre lunghezze d’onda e così via La situazione è perfettamente analoga al semplice caso della corda vibrante. Se L è la lunghezza della corda, si possono associare le onde stazionarie con lunghezza d’onda λ = 2L/n Le onde stazionarie corrispondono a energie quantizzate Fine