1. RISORSE, ORGANISMI E AMBIENTI Gianfranco D’Onghia Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Bari Aldo Moro Campus, Via E. Orabona 4, 70125 Bari [email protected] 1.1 - Le risorse: significati e caratteristiche Sin dai primordi della lunga storia della vita sulla terra (circa 4 miliardi di anni) la variabile disponibilità di materia ed energia ha avuto il ruolo fondamentale per l’evoluzione degli esseri viventi. Le prime forme di vita, quasi sicuramente anaerobie fermentative, hanno ricavato queste “risorse” da molecole, casualmente formatesi nel “brodo primordiale”, producendo molecole di rifiuto attraverso il loro primitivo metabolismo e modificando, seppure in modo molto esiguo, le condizioni del mezzo ambiente in cui erano immersi (Padoa, 1974). La comparsa degli organismi fototrofi ha implicato l’utilizzazione della radiazione solare come fonte di energia. La successiva acquisizione di differenti strategie metaboliche, in un pianeta che andava modificandosi, anche grazie alla presenza della vita, ha permesso lo sfruttamento di differenti risorse energetiche da parte dei viventi. Pertanto, attraverso l’evoluzione biologica, strettamente legata a quella geochimica, numerose forme di vita hanno colonizzato (non sempre in modo definitivo) gli oceani e le terre emerse manifestando una notevole varietà di adattamenti biochimici, fisiologici e morfofunzionali. Qualunque siano gli adattamenti, per il mantenimento delle condizioni di esistenza, gli organismi devono utilizzare materia ed energia disponibili nell’ambiente in cui vivono. Per esempio l’acqua, la luce, i composti del carbonio (in forma di organismi viventi o materia in decomposizione), i composti inorganici ridotti, i sali nutritizi (azoto, fosforo), costituiscono risorse a cui gli organismi attingono per poter ricavare energia e per rinnovare le proprie strutture macromolecolari, cellulari e somatiche. A fronte di quanto appena detto, una risorsa è qualcosa che un organismo utilizza o consuma per soddisfare le proprie condizioni di esistenza. Dagli esempi appena riportati, è evidente che le risorse possono essere componenti abiotici (aria, acqua, suolo) e biotici dell’ecosistema e per la loro natura esse non soltanto risultano critiche per le funzioni vitali (sopravvivenza, accrescimento, riproduzione etc.) ma possono rappresentare cause di conflitto e competizione tra gli organismi. Nonostante l’enorme quantità di acqua presente sul pianeta (circa 1400 milioni di km3), coperto per i sette/decimi da questa molecola, la sua disponibilità non è equamente ripartita nelle varie regioni del globo. In molte regioni la sua presenza può essere intermittente e in molte altre è piuttosto carente. Nei deserti, infatti, è molto forte la competizione tra i vegetali per questo fondamentale composto della vita. Nella foresta tropicale, dove ogni giorno dell’anno arriva una grande quantità di luce, non manca la competizione per questo fattore ecologico, indispensabile per la fotosintesi, tra le specie vegetali localizzate al di sotto della cupola. Nella savana, spesso i predatori competono tra di loro per il cibo (composti del carbonio) rappresentato dagli erbivori pascolanti. La quantità e la disponibilità della risorsa determina la competizione. Le piante delle zone aride competono per l’acqua non per la luce mentre quelle di zone umide possono competere per i nutrienti ma non per l’acqua e raramente per la luce. I predatori nella savana competono per il cibo ma non per lo spazio mentre gli organismi della zona di marea (mediolitorale) in coste rocciose competono soprattutto per lo spazio. In tempi molto più recenti dell’evoluzione biologica, un organismo bipede aerobio ha colonizzato le terre emerse: l’uomo. Questo organismo, in quanto componente della natura, ha le medesime esigenze di aria, acqua, cibo, suolo etc. di ogni altro mammifero del pianeta ma, in quanto dotato di notevoli capacità intellettive, sin dagli albori della sua storia ha sfruttato le risorse della natura non soltanto per mere esigenze di sopravvivenza ma anche per costruire utensili, armi, indumenti, ornamenti, abitazioni etc. Pertanto, con lo sviluppo delle civiltà il termine “risorsa” ha acquisito altre accezioni ed il suo significato si è amplificato enormemente. L’acqua, oltre a svolgere un fondamentale ruolo per il funzionamento della vita, può essere utilizzata per una miriade di altri scopi. Un organismo vegetale può essere fonte di cibo ma anche di colori naturali, farmaci nonché legno per costruire uno strumento, un freccia oppure un’imbarcazione. Il suolo è una risorsa di spazio dove costruire abitazioni ma può essere fonte di cibo se viene praticata l’agricoltura. Nel sottosuolo si può trovare l’acqua ma da esso si possono estrarre minerali nonché combustibili fossili. Nelle società umane, quindi, una risorsa è qualcosa che viene utilizzata per creare ricchezza e forme di benessere sociale. Attraverso l’economia, quindi, l’uomo gestisce risorse di differente natura (energetiche, alimentari, minerarie etc.) allo scopo di soddisfare i propri bisogni. Comunque, gran parte delle risorse su cui si reggono i sistemi economici derivano dal “capitale” naturale, presente sul pianeta o proveniente dal sole (Odum, 1988). Dalla preistoria ai tempi attuali, l’uso delle risorse naturali da parte dell’uomo ha attraversato differenti fasi legate principalmente all’incremento demografico e allo sviluppo della tecnologia. Questa se da un lato ha consentito di estrarre e prelevare risorse anche in ambienti remoti e inaccessibili (per esempio il sottosuolo o le profondità degli oceani), dall’altro ha determinato effetti di vario tipo ed entità nell’ambiente (Commoner, 1972). Infatti, l’estrazione delle risorse naturali ed il loro consumo associato allo sviluppo industriale hanno modificano profondamente i sistemi naturali, degradato la qualità dell’aria, acqua e suoli nonché ridotto sensibilmente la consistenza di molte risorse e soprattutto la capacità di recupero (resilienza) degli ecosistemi e delle popolazioni di piante e animali. Molte specie sono state condotte all’estinzione, la biodiversità risulta attualmente minacciata in alcune regioni della terra e persino le condizioni climatiche dell’intero pianeta risulterebbero profondamente alterate. Poiché una popolazione umana più numerosa richiede una maggiore quantità di risorse, sembra ormai innescato un processo irreversibile di maggiore consumo al di sopra delle capacità portanti del pianeta (Ehrlich ed Ehrlich, 1991). In considerazione del fatto che questo non è poi tanto grande, da un pò di tempo, a partire dalla crisi ambientale esplosa nella seconda metà del secolo scorso (Carson, 1962), si discute, si ricerca, si “protocolla” la possibilità dell’uso sostenibile delle risorse naturali del pianeta ossia un uso che soddisfi i bisogni presenti senza compromettere quelli delle future generazioni (Commissione Brundtland, 1987). Ma su questo aspetto si tornerà più avanti. Quello che è importante evidenziare a questo punto, avendo parlato di estrazione, uso e consumo di risorse, è che le risorse naturali si possono distinguere in rinnovabili e non-rinnovabili. Le risorse rinnovabili richiederebbero un’ulteriore distinzione in effettivamente rinnovabili (inesauribili) e potenzialmente rinnovabili (esauribili) (Miller, 2002). Le prime sono quelle il cui uso non ne influenza la quantità alla fonte e la successiva 2 disponibilità. In tal caso la fonte è all’esterno del sistema che le utilizza. Per esempio, la luce è una risorsa per tutti gli organismi fotosintetici. L’uso da parte di una pianta potrebbe ridurne la disponibilità per un’altra posizionata in modo svantaggioso rispetto alla provenienza della radiazione ma non certo la quantità alla fonte da cui proviene o la disponibilità successiva. La radiazione solare, insieme all’azione del vento, delle maree e dell’acqua corrente, sono forme di energia che l’uomo può continuamente utilizzare senza intaccarne la rinnovabilità. Le risorse potenzialmente rinnovabili sono quelle il cui uso può influenzarne la quantità e la successiva disponibilità, pur avendo capacità di rigenerazione. Queste risorse spesso vengono generate all’interno del sistema e sono fortemente influenzate dall’entità del consumo. Infatti, un consumo limitato e comunque inferiore alle capacità di rigenerazione delle risorse ne consente la rinnovabilità mentre un consumo eccedente tale capacità può ridurne sensibilmente la disponibilità fino al completo depauperamento. Appartengono a questa categoria di risorse, l’acqua dolce, l’aria, i suoli fertili, le piante e gli animali, gli ecosistemi. L’acqua dolce è soltanto un’esigua frazione di tutta l’acqua presente sul pianeta. I suoi molteplici usi (civili, industriali, agricoli etc.) la degradano, soprattutto per contaminazione chimico-microbiologica, e quindi ne possono compromettere il suo riutilizzo. Persino l’aria che avvolge con uno strato di oltre dieci kilometri il nostro pianeta (troposfera) presenta problemi di rinnovabilità, a differente scala spaziale, in relazione all’inquinamento industriale e da traffico veicolare. Considerazioni analoghe sono possibili per i suoli fertili che, se eccessivamente sfruttati e alterati nelle varie condizioni che ne favoriscono la fertilità, diventano deserto improduttivo nonostante gli sforzi della tecnologia. Piante e animali rappresentano le risorse alimentari dell’umanità. L’abbondanza delle varie specie negli ecosistemi acquatici e terrestri dipende dal loro livello trofico nonché dalle condizioni dettate dalla propria nicchia ecologica (Colinaux, 1995). La rinnovabilità di piante e animali dipende moltissimo dalle caratteristiche dei cicli biologici delle varie specie. Tutti gli organismi, nascono, crescono si riproducono e muoiono, ma esistono differenze rilevanti tra le differenti specie. C’è chi ha tempi di crescita rapidi e chi cresce molto lentamente; c’è chi, nell’ambito del ciclo vitale, si riproduce una volta soltanto e chi molte volte; c’è chi genera una prole molto numerosa chi invece produce pochi discendenti. Senza entrare nei dettagli dei cicli biologici, è possibile considerare che se gli organismi vengono raccolti (pescati, cacciati) e consumati quando sono ancora piccoli o in uno stadio giovanile, non solo se ne ricava una minore biomassa, ma poiché essi non hanno ancora realizzato la riproduzione, le loro capacità di rigenerare la popolazione di cui fanno parte vengono sicuramente compromesse. Popolazioni di piante, animali, funghi, microrganismi sono componenti di sistemi viventi più ampi e complessi: gli ecosistemi. Questi sono fonte di beni e servizi per l’umanità. Cibo, fibre e materiali vengono prodotti naturalmente, molti rifiuti vengono riciclati in acqua, aria e suoli senza alcun intervento umano e persino il clima può essere controllato attraverso processi ecosistemici (Odum, 1988). Oltre a tutto questo, gli ecosistemi naturali rappresentano importanti risorse economiche in relazione al loro valore estetico e alle attività turistiche e ricreative che permettono di realizzare. L’economia classica ha sempre considerato abbondante e pressocchè inesauribile il capitale naturale e, pertanto, di basso valore. L’introduzione delle conoscenze ecologiche nell’analisi economica (economia ecologica), ha permesso di riconsiderare i sistemi naturali limitati e vulnerabili e, pertanto, di alto valore. L’atmosfera non è abbastanza grande da diluire efficacemente polveri e gas immesse dalle attività umane; 3 il mare non è poi così grande da smaltire tutto cò che viene sversato in esso e le sue risorse non sono inesauribili così come si riteneva in passato (Ehrlich & Ehrlich, 1991; Hall, 1999). Infine, le risorse non rinnovabili sono quelle il cui uso ne riduce la quantità e la futura disponibilità, almeno su scale di tempo umane. Appartengono a questo tipo di risorse, i combustibili fossili (petrolio, carbone etc.), i minerali metallici (ferro, alluminio etc.) e non metallici (graniti, basalti, argille etc.). I ritmi di formazione e accumulo di queste risorse sono lentissimi e appartengono ai cicli biogeochimici che si realizzano sul pianeta. Poiché la loro disponibilità è limitata, il loro sfruttamento ne riduce le riserve accumulate nel sottosuolo. Nei successivi paragrafi e capitoli ci occuperemo delle risorse potenzialmente rinnovabili rappresentate dagli organismi marini. 1.2 - Le risorse biologiche del mare Le risorse biologiche del mare sono rappresentate dalle popolazioni di organismi animali e vegetali utilizzati dall’uomo, soprattutto per scopi alimentari ma anche per la produzione di farine di pesce, prodotti per l’acquacoltura e prodotti artigianali e ornamentali di vario tipo. Le risorse biologiche del mare sono risorse potenzialmente rinnovabili (gli organismi, nascono, crescono, si riproducono e muoiono) ma non inesauribili. La loro consistenza ed evoluzione è legata ai numerosi fattori selettivi che agiscono nell’ecosistema marino (condizioni idrografiche, produttività, predazione etc.) nonché alle attività umane, prima fra tutte l’attività di pesca. Le popolazioni di organismi acquatici sono generate e mantenute, attraverso complesse interazioni di tipo biotico e abiotico, all’interno dell’ecosistema marino che, come fornitore di queste risorse, rappresenta dunque la principale risorsa naturale rinnovabile su ampia scala spaziale e temporale. Nel mare gran parte delle forme di vita dipendono dall’energia solare che mediante fotosintesi viene trasformata in energia chimica ma esistono anche organismi e comunità, in prossimità delle dorsali oceaniche, legate all’energia geotermica e alla chemiosintesi. Comunque, gli organismi sfruttati dall’attività di pesca appartengono soprattutto alle catene alimentari il cui primo anello è rappresentato da alghe microscopiche (fitoplancton) la cui distribuzione è limitata alla disponibilità di luce, più o meno nei primi 200 m di profondità. La produttività primaria dovuta al fitoplancton (per oltre l’80% al nanoplancton) è correlata non soltanto alla disponibilità di luce ma anche a quella di nutrienti (azoto, fosforo, ferro etc.) nonchè a particolari fonti di energia sussidiaria (correnti di upwelling, flussi di marea etc.) (Nybakken, 1997). Pertanto, essa si differenzia moltissimo tra acque costiere, estuari, mare aperto, zone di upwelling e così via. L’energia fissata dai produttori primari viene trasferita nei successivi anelli delle catene alimentari marine. Nei processi di trasferimento si verifica una consistente perdita di energia e pertanto la sua quantità, insieme alla biomassa, si riduce passando dai primi agli ultimi livelli trofici, generalmente occupati dai carnivori terminali (o predatori di vertice). Assumendo un’efficienza di trasferimento del 10% tra il primo e il secondo livello trofico, occorrerebbero 100 kg di fitoplancton per formarne 10 kg di zooplancton. Considerando ancora un’efficienza del 10% nei successivi passaggi, dai 10 kg di zooplancton si potrà formare 1 kg di sardine e soltanto 100 g di sgombro. A fronte di tale esempio, si capisce che la quantità di risorse presenti in una determinata area marina dipenderà non soltanto dalla produttività primaria ma anche dall’efficienza di trasferimento nelle catene alimentari. Poiché l’efficienza di 4 trasferimento nel mare è generalmente maggiore che negli ecosistemi terrestri (produttori, consumatori primari e secondari sono soprattutto organismi microscopici o molto piccoli di più facile consumo e assimilazione) le catene alimentari possono presentarsi più lunghe (anche con 6-7 livelli trofici). Comunque, l’energia disponibile per i predatori di vertice è sempre piuttosto esigua e questo spiega non soltanto la rarità di questi organismi negli ecosistemi ma anche il fatto che maggiori quantità di risorse (e di cibo) si ricavano nei primi livelli trofici piuttosto che negli ultimi. Le stime effettuate da Pauly e Christensen (1995) indicano che in media l’8% della produttività primaria globale del mare sostiene la pesca a livello mondiale o, in altri termini, questa è la percentuale di produttività primaria che diventa cibo per l’uomo. Questa percentuale si abbassa per l’oceano aperto (circa 2%) e si alza nelle zone costiere e di upwelling (tra 24 e 35%) confermando la maggiore produttività di questi ultimi sistemi ambientali anche in termini di risorse sfruttate dall’uomo. Le statistiche della FAO (2012) riportano che le catture degli organismi marini a livello mondiale si attestano intorno a circa 90 milioni di tonnellate per anno. Considerando le catture non controllate dalle statistiche ufficiali nonché quelle non regolate o illegali è probabile che le catture mondiali di specie marine oscillino tra 100 e 140 milioni di tonnellate/anno (King, 1995). I pesci costituirebbero oltre l’85% di queste catture, i molluschi circa il 9% e i crostacei soltanto il 5-6%. In base a quanto prima detto sulla produttività dei sistemi acquatici, le rese medie per l’oceano aperto sarebbero di appena 0,02 t/km2/anno per le acque tropicali e 0,5 per quelle temperate, 2 e 6 t/km2/anno per le acque della piattaforma continentale rispettivamente temperata e tropicale fino a circa 18 t/km2/anno per le zone di upwelling (Marten e Polovina, 1982). Gli ecosistemi sono entità dinamiche e complesse in cui si verificano flussi di materia, energia e informazioni entro e tra le componenti. Questi flussi pur dipendendo dalla struttura dell’ecosistema ne determinano il funzionamento. Anche se i produttori primari, come prima detto, esercitano il controllo fondamentale sul flusso di energia (bottom-up control), anche il ruolo trofico dei predatori di vertice è importante nei meccanismi di regolazione e controllo dell’ecosistema marino (top-down control). Negli ultimi tempi, si è fatta strada l’idea che anche alcune specie particolarmente abbondanti ai livelli trofici intermedi della catena alimentare acquatica possano esercitare un ruolo nei processi ecosistemici (wasp-waist control) (Cury et al., 2000) e comunque, i differenti controlli e meccanismi possono agire in combinazione a seconda degli ecosistemi e delle condizioni presenti di volta in volta. Nell’ambiente acquatico, la struttura dell’ecosistema, composizione e abbondanza delle specie, e persino l’entità dei processi funzionali variano stagionalmente e da un anno all’altro, spesso senza mostrare alcun particolare andamento. A volte tali variazioni si presentano cicliche ma spesso sono di tipo caotico e quindi piuttosto difficili da interpretare (May, 1986). Una ormai famosa fluttuazione ambientale è quella (oscillazione australe) che causa il fenomeno El Niño, che inverte il flusso della corrente pacifica equatoriale influenzando il clima su scala globale. Questa variazione di flusso determina marcate variazioni della produttività e di altre caratteristiche dell’ecosistema influenzando sensibilmente la distribuzione e l’abbondanza di molti organismi marini. Il crollo della produzione di acciughe in Perù agli inizi degli anni 70 è stato attribuito oltre che all’azione dell’uomo, a causa di un eccessivo prelievo, anche a questa variazione ambientale che sembra avere una sequenza ciclica. Di fatto, le variazioni ambientali possono produrre effetti simili e spesso non distinguibili da quelli provocati dall’attività di pesca. Senza considerare tale attività, in generale, si ritiene che le variazioni nella 5 composizione e abbondanza delle differenti specie siano più contenute nell’ambiente tropicale, che presenta condizioni di maggiore stabilità, rispetto a quelle che si verificano alle latitudini temperate e fredde (Hall, 1999). La relativa stabilità delle condizioni ambientali ai tropici sembra aver favorito maggiori specializzazioni trofiche e quindi una maggiore dipendenza degli organismi dalle interazioni biotiche. In acque temperate, invece, le variazioni di abbondanza di molte specie sembrano essere più fortemente influenzate dalle condizioni fisiche e climatiche dell’ecosistema (Cushing, 1982). Le caratteristiche dell’ecosistema marino in termini di struttura e funzioni (condizioni idrografiche e climatiche, produttività, batimetria dei fondali, natura del substrato, relazioni trofiche etc.) determinano la composizione e l’abbondanza delle risorse biologiche ivi presenti. Le risorse biologiche marine, sottoposte ad attività di pesca, sono prevalentemente rappresentate dagli organismi del benthos (organismi presenti sul fondo del mare o con uno stretto rapporto con questo) e del necton (organismi abili nel nuoto e negli spostamenti in superficie, nella colonna d’acqua e in prossimità del fondo). In relazione ai differenti ambienti in cui si distribuiscono le varie specie e alle loro differenti strategie vitali e comportamentali, possiano distinguere le seguenti categorie di risorse nel mare. Risorse bentoniche. Sono quelle presenti quasi stabilmente sui fondi mobili di sabbia e fango oppure infossate, come i molluschi bivalvi, vongole, cuori, cannolicchi etc. distribuiti lungo la fascia costiera e in acque di platea. Risorse bentoniche sono presenti anche sui fondi rocciosi di piattaforma e sono rappresentate sia da organismi sedentari e vagili, come ad esempio ricci e granchi, sia da organismi sessili, come ad esempio i mitili, attaccati al substrato mediante il bisso, le ostriche, fissate mediante l’adesione concrezionata di una valva, e il dattero insediato all’interno roccia calcarea. Risorse demersali. Sono quelle che vivono in prossimità del fondale o che hanno un qualche rapporto con esso, come triglie, naselli, pagelli, saraghi, scampi, gamberi, polpi, moscardini etc. Il comportamento sul fondale può differenziarsi moltissimo tra le varie specie, con quelle piuttosto sedentarie che si mimetizzano sul substrato, come seppie, sogliole e rombi, quelle con habitus fossorio come gli scampi nonchè quelle natanti a differente mobilità, come triglie, musdee e naselli. Tra le specie demersali vi sono quelle tipicamente costiere, come la triglia di fango, quelle ad ampia distribuzione batimetrica, come il nasello, e quelle con una localizzazione batimetrica profonda, come i gamberi rossi. Mentre sulla piattaforma continentale le specie possono rinvenirsi su fondali di diversa natura (sabbia, fango, fondi duri, praterie di fanerogame etc.), sulla scarpata esse si distribuiscono su fondali più omogenei, quasi completamente costituiti da fanghi batiali. In relazione al tipo di distribuzione verticale delle varie specie è possibile caratterizzare differenti comunità demersali lungo il gradiente batimetrico. Risorse pelagiche. A tali risorse appartengono quelle specie che vivono nella colonna d’acqua a differenti profondità e per la loro colorazione vengono spesso indicate come “pesce azzurro”. Si distinguono in piccoli pelagici, come acciughe e sarde distribuite sulla piattaforma continentale, e grandi pelagici, come tonni e pesce spada che compiono ampie migrazioni in ambiente pelagico attraversando differenti masse d’acqua sia in termini batimetrici che geografici. A questa categoria di risorse appartengono anche i sauri, gli sgombri, le corifene, le ricciole e altre di notevole interesse commerciale. Naturalmente, anche se per molte specie la suddetta classificazione risulta inequivocabile, per molte altre potrebbe apparire riduttiva e un pò forzata in relazione ai 6 differenti ambienti attraversati dagli organismi marini durante i loro cicli vitali. Infatti, la gran parte degli organismi marini bentonici e nectonici hanno anche una fase planctonica negli stadi di sviluppo ossia conducono, per tempi più o meno lunghi, le prime fasi della loro esistenza flottando nella colonna d’acqua con limitate capacità di movimento e soggetti ai prevalenti movimenti delle masse d’acqua. Dopo una o più metamorfosi, a seconda delle specie, gli organismi bentonici si insedieranno o si localizzerano sul fondo mentre quelle nectoniche continueranno la loro vita nella colonna d’acqua a differenti profondità. Le specie nectoniche strettamente pelagiche completano il loro ciclo vitale in prossimità della superficie (specie epipelagiche), a profondità intermedie nella colonna d’acqua (specie mesopelagiche) oppure in ambiti molto profondi (specie batipelagiche). In generale, la loro localizzazione è legata alle caratteristiche idrologiche delle masse d’acqua nonché alla presenza di risorse alimentari. Le specie pelagiche migratorie, attraversano masse d’acqua con caratteristiche idrologiche differenti in relazione alle proprie esigenze trofiche e riproduttive. Le specie demersali sono quelle che, come prima detto, dopo aver ultimato la fase di uova-larve (planctonica) e giovanile (pelagica) si avvicinano al fondo per il resto della loro esistenza. Anche in queste specie, che nella fase adulta vivono in prossimità del fondo, la fase larvale-giovanile di tipo planctonico-pelagico è legata ad esigenze trofiche che possono essere soddisfatte nella colonna d’acqua. Bibliografia Carson R., 1962. 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