SIMULAZIONE
Capitolo quanto mai complesso e difficile delle cc.dd. psicosi
carcerarie e, in specie, della sindrome di Ganser (stato
crepuscolan isterico, durante il quale il detenuto cerca di
recitare, più o meno consapevolmente, la parte del malato di
mente, in conformità a quello che egli ha imparato o ritiene
essere la malattia mentale). La frequenza con cui ciò avviene
in ambito forense è dovuta al fatto che il periziando non è
legato a un contratto terapeutico con il perito o consulente
che sia; non esiste libero accesso da parte
dell’indagato/imputato all’accertamento peritale che spesso
non è desiderato né richiesto, ma imposto e subito; il fine
non è quello terapeutico, promozionale della salute, bensì
quello di valutare uno stato eli mente in riferimento a un
atto di rilevanza giuridica agito o subito.
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SIMULAZIONE
In un setting valutativo quale quello peritale è «normale»
che il periziando/vittima/convenuto faccia il suo gioco
autotutelante e cerchi di ottenere il massimo vantaggio
con il minimo rischio; amplificare disturbi mentali fino a
simulare una malattia psichiatrica è azione dai molti
risvolti positivi (o ritenuti tali) per l’interessato, quali: in
ambito penale, non dover rispondere agli interrogatori
del magistrato; poter non partecipare al processo;
invalidare la credibilità di testimonianze, interrogatori,
versioni precedentemente resi; godere di trasferimenti in
reparti clinici o psichiatrici o di misure diverse dalla
custodia cautelare in carcere; vedersi riconosciuto un
vizio di mente al momento del fatto e via dicendo.
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SIMULAZIONE
In ambito civile,
i vantaggi possono essere quelli di vedersi riconosciuto
un danno biologico di natura psichica a varia genesi e
dinamica; ottenere una pensione; godere di un favorevole
riconoscimento del danno e via dicendo.
In un setting esclusivamente clinico, il problema si
presenta certamente in misura ridotta, ma non è assente,
per lo meno sotto il profilo dell’allegazione di disurbi
fittizi (fisici e/o psichici) o dell’amplificazione o della
simulazione degli stessi. In tal modo si possono ottenere
vantaggi clinici derivanti da queste e altre modalità di
inganno all’interno della relazione paziente/clienteterapeuta/sanitario.
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SIMULAZIONE
Sia nell’I.C.D.-10, sia nel D.S.M. sindrome di Ganser e
simulazione sono tenute distinte, perché nella seconda
è chiaro il meccanismo cosciente ili produrre
intenzionalmente sintomi fisici e/ psichici e il proposito
di amplificarIi o di esagerarli, al fine di richiamare su di
sé prepotentemente l’attenzione altrui e ottenere
determinati benefici lucidamente perseguiti. Nella
sindrome di Ganser, invece, la componente intenzionale
sarebbe più sfumata e prevarrebbe quella isterica più
elegantemente denominata dissociativa, con evidenti e
accentuati aspetti confusionali e crepuscolari psicogeni.
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SIMULAZIONE
L'amplificazione può essere parte integrante della simulazione, ma può
anche rappresentare il tipo di funzionamento di determinati disturbi
di personalità o una normale, soggettiva, comune e comprensibile
elaborazione della sofferenza psichica.
A loro volta, sindrome di Ganser e simulazione nel D.S.M.-IV sono
tenute distinte dai Disturbi fittizi, in cui nella produzione o simulazione
intenzionali di segni o sintomi fisici o psichici sono assenti incentivi
esterni per tale comportamento (per es. un vantaggio economico,
l’evitamento di responsabilità legali, o il miglioramento del proprio
benessere fisico, come nella Simulazione) e dal Disturbo fittizio N.A.S.,
in cui è ricompreso il disturbo fittizio per procura (produzione o
simulazione intenzionale di segni o sintomi fisici o psichici in un’altra
persona che è affidata al soggetto, allo scopo di assumere
indirettamente il ruolo di malato).
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SIMULAZIONE
Non illustrerò gli aspetti clinici di questo capitolo della psichiatria,
ricompresi modernamente nell’ampio capitolo dei Disturbi fittizi.
Penso più necessario invece puntualizzare quanto segue:
è opportuno abbandonare il termine di «psicosi carcerarie» per
sostituirlo con quello più comprensivo, più appropriato e meno
impegnativo di «sindromi o disturbi reattivi alla carcerazione»;
lo psichiatra nell’obiettivare l’esistenza di un alterato stato di
coscienza, torpore e rallentamento ideo-motorio, produzioni deliranti
del pensiero, disturbi dispercettivi, depressione dell’umore, autismo,
alterazioni a carico degli istinti fondamentali, deve tenere
costantemente presente che possono essere sì «autentici ma anche e
troppo spesso «recitati», al fine evidente di ottenere dei benefici;
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SIMULAZIONE
la reclusione, di per sé sola, non può generare un quadro
psicotico. Essa può invece, provocare disturbi reattivi
variamente connotati, oppure fungere da fattore
patoplastico nello slatentizzare una pregressa condizione
di precario equilibrio mentale, o nell’aggravare
preesistenti quadri psicotici più o meno dissimulati,
facendo «saltare» meccanismi di difesa troppo fragili.
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SIMULAZIONE
E quindi indispensabile cercare di porre, nella maniera più rigorosa
possibile attraverso una tanto tempestiva quanto protratta
osservazione possibilmente condotta in ambiente psichiatrico
idoneo, una distinzione fra quadri reattivi alla carcerazione (che poi il
detenuto in maniera più o meno consapevole magari elabori
soggettivamente, enfatizzandoli, ampliandoli e «aggravandoli» con
disturbi di tipo «patologico») e veri quadri psicotici: i soli rilevanti in
ambito forense, ai fini dell’eventuale accertamento dell’imputabilità
del soggetto al momento del fatto reato ma, soprattutto, della
sospensione del procedimento penale o dell’esecuzione dell pena.
In questi casi, il trasferimento in un reparto psichiatrico, fosse
anche giudiziario, per 1’autore di reato (indagato, imputato o
condannato che sia) è certamente una soluzione meno gravosa
rispetto a quella di rimanere in carcere.
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SIMULAZIONE
La disparità dei pareri di cui spesso si legge in relazione ai quadri
reattivi alla carcerazione sta nella valutazione dello proporzioni fra
ciò che vi è di intenzionale e ciò che vi è di autentico. Occorre in fatti
sempre tenere presente che in molti di questi «scompensi
psicopatologici» si cela il progetto di sfuggire al procedimento penale
e/o agli interrogatori oppure gettare il discredito sulle dichiarazioni
rese.
E pertanto fondamentale avere ben presente la posizione giuridica del
periziando. se primario o recidivo; se delinquente comune o affiliato
alla criminalità organizzata; se autore di reato «bagatellare» o grave
ed efferato; se detenuto da breve o da lungo tempo; se con posizione
giuridica certa o incerta; se con storia clinica o meno; se con
osservazione psichiatrica carceraria positiva o no; se con precedenti
accertamenti peritali o meno; se avvantaggiato, svantaggiato o
indifferente di fronte a un riconoscimento di patologia mentale
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rilevante a fini giudiziari.
SIMULAZIONE
I problemi delle «reazioni di scopo» nei detenuti in istruttoria sono
sorti con
l’acculturazione psichiatrica ormai diffusa e
accessibile a tutti, o in maniera diretta o indiretta, e si sono andati
sempre più complicando con la progressiva penetrazione della
psichiatria e della psicologia in ogni campo della vita associata.
Inoltre, è caratteristica della cultura mafiosa e camorristica quella di
allegare disturbi mentali che, magari coltivati da consulenti
compiacenti, assumono vesti sempre più evidenti di «patologia
mentale» sfruttabile e fini forensi (proscioglimenti e/ o internamenti
in ambito psichiatrico da cui è più facile uscire per brevi licenze e
permessi che non dal carcere) o essere addirittura dimessi per
revoca della misura di sicurezza, essendo venuta meno una peraltro
inesistente pericolosità sociale psichiatrica.
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SIMULAZIONE
Molto diverso è il caso della delinquenza economicofinanziaria in cui l’indagato (l’imputato o il condannato), se
«malato», allega disturbi non psichiatrici, bensì di
competenza internistica, con concomitanti disturbi
depressivo-ansiosi reattivi.
Per non parlare poi di coloro che vengono ristretti in
carcere e che poi, nel corso delle indagini preliminari o
con sentenza, vengono riconosciuti, a mesi o anni di
distanza, non colpevoli per non aver commesso il fatto o
per insufficienza di prove o altro e che hanno sviluppato
un più che comprensibile disturbo reattivo alla
detenzione.
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SIMULAZIONE
L’ 'analisi psicopatologica è l’unica che può - in tutti
questi casi - dimostrare se sia per lo meno lecito
dubitare del loro «significato di malattia» e discriminare
i veri malati o comunque coloro che presentano una
sofferenza psichica autentica dii quelli che tali non
sono.
Ciò è possibile solo se l’osservazione psichiatrica è
tempestiva e protratta, perche a distanza di mesi o di
anni l’indottrinamento o il contatto con veri malati di
mente può avere una pregnanza tale nel soggetto
periziato che «la malattia mentale» da lui presentata nel
corso degli accertamenti peritali assume precise
caratteristiche di «veridicità» e di «autenticità».
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SIMULAZIONE
Disponendo di mezzi opportuni è inoltre possibile
trovare «cattivi» maestri che aiutano il soggetto a
raffinare le sue capacità simulatorie o amplificatorie.
E allora diventa impossibile stabilire quanto ci può
essere di «simulato» e quanto di «autentico» nel
quadro in esame: altro che dire se il soggetto sia o no
un semplice simulatore!
A questo livello, quasi tutti gli Autori sono d’accordo
sulla eventualità di un inizio cosciente e non coerente
della sintomatologia psicotica e di un decorso che può
assumere poco per volta una sua progressiva
autonomia e «coerenza» (il gioco che prende la mano).
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SIMULAZIONE
Non è affatto raro, in altre parole, riscontrare che una
sintomatologia ganseriana o diversamente simulata
all’inizio, evolva poi verso un quadro praticamente
sovrapponibile ad una psicosi. Ciò specie nei gracili di
mente, in cui la carenza di critica favorisce
l’autosuggestione e l’autoconvincimento di essere
«veramente malati»; oppure nelle persone intelligenti, ma
la cui personalità sia fragile e disturbata.
In linea di massima, il simulatore, almeno nei periodi
iniziali:
 dà ad osservare sintomi singoli, isolati, non legati da una
correlazione patologica e non riconducibili a uno «stile
di vita» che, anche nella malattia mentale, mantiene una 14
SIMULAZIONE
-



dà ad osservare sintomi singoli, isolati, non legati da una
correlazione patologica e non riconducibili a uno «stile di vita» che,
anche nella malattia mentale, mantiene una sua coerenza e
peculiarità
espressive; pertanto, riproduce
sintomi
e
comportamenti, imitandoli;
inizia esibendo ed elencando spontaneamente e con immediatezza
espressiva i propri disturbi «patologici», a differenza del vero
malato di mente che costantemente li dissimula o accuratamente li
minimizza;
non è in grado di mantenere la distanza emotiva che invece il
malato di mente dà immediatamente e costantemente ad
osservare nella relazione con il perito;
è molto meno coerente, costante e convincente rispetto al vero
malato psichico;
15
SIMULAZIONE

richiama
prepotentemente
l’attenzione
dell’esaminatore
denunciando stati crepuscolari di coscienza (dal semplice
ottundimento, allo stupore, allo stato onirico) e quadri pseudodemenziali (perdita, completa o quasi, di tutte le nozioni, anche le
più elementari, apprese nella scuola e nella vita; disorientamento
temporo-spaziale, ignoranza del proprio nome e di quello dei
familiari,
dimenticanza
di
ogni notizia anamnestica, familiare o personale, passata o recente =
pseudodemenza isterica); però, nel corso dell’obiettivazione clinica
diretta o in regime ili osservazione condotta all’insaputa del
soggetto, non si registra un vero comportamento demenziale e
sono osservabili chiare ed evidenti discordanze negli attegiamenti,
nella cura del corpo, nello stato di nutrizione, ecc. rispetto a
quanto denunciato dal soggetto;
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SIMULAZIONE


descrive deliri e allucinazioni, definendoli con i loro
termini precisi e appropriati e ne sottolinea resistenza
all’esaminatore. Ora, un delirio e un’allucinazione che
sono riconosciuti in maniera così esatta e cosciente dal
«malato» cessano per ciò solo di esistere come
disturbi psicopatologici (tranne che si tratti di malato di
mente «acculturato»; ma allora si hanno o si debbono
avere notizie documentate di ciò);
presenta un atteggiamento mimico, gestuale e
comportamentale di intenso sforzo mentale, volto a
richiamare
insistentemente
l’attenzione
dell’esaminatoroìsforzo mentale, volto a richiamare
insistentemente l’attenzione dell’esaminatore
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SIMULAZIONE



elenca
reiterativamente
disturbi
psicosomatici,
cenestopatici ed ipocondriaci, di cui amplifica il «valore
di malattia»;
rifiuta le terapie farmacologiche che gli vengono
proposte, denunciandone In sostanziale inefficacia per
la cura della sua « sofferenza » psichica o finge di
assumere i farmaci che gli sono stati prescritti.
Inoltre:
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SIMULAZIONE


evidente è la componente falsamente partecipata,
recitata e finalistica, sia nell’emissione dei
comportamenti, sia nell’elencazione dei disturbi
patologici maggiori (allucinazioni e deliri);
le amnesie non sono uniformi, sono troppo estese e
riguardano prevalentemente o esclusivamente episodi
sfavorevoli a fine defensionale, mentre sono conservati
gli aspetti vantaggiosi (amnesie psicogene);
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SIMULAZIONE



risposte insensate, assurde (il «parlar di traverso»),
perseverazioni
motorie,
aprassie,
asimbolie,
denominazione delle dita, il «calcolar di traverso», sono
sintomi che depongono per la simulazione;
malumore, ottusità emotiva, disforia, ipocondria,
alterazioni del ritmo sonno-veglia sono quanto mai
variabili, contraddittorie ed imprevedibili;
altre volte, il soggetto sviluppa quadri di arresto
psicomotorio, di tipo acinetico-stuporoso (stupore
isterico), o manifesta stereotipie o manierismi gestuali o
verbali o altre paracinesie chiaramente finalizzate;
20
SIMULAZIONE
- spesso il simulatore emette dei comportamenti
puerili, bamboleggia, fa l’ingenuo, drammatizza, presenta
variazioni tipicamente infantili dell’umore, si comporta
come un bambino, ha paure di vario genere, disegna
pupazzetti, cerca la mamma (infantilismo isterico), parla
farfugliando;
 la
risposta all’eventuale somministrazione di
psicofarmaci è paradossale o comunque non
corrispondente a quella che dà il soggetto affetto da
autentici disturbi psicotici;
21
SIMULAZIONE
induce negli osservatori inquadramenti diagnostici
fortemente discordanti;
 il disturbo schizofrenico (quello più frequentemente
diagnosticato dinanzi alla caotica e disordinata congerie di
sintomi presentati) non va incontro alla sua evoluzione, ma
subisce oscillazioni e miglioramenti che non sono in assetto
con il decorso della malattia;
 Infine il simulatore quasi sempre si «ammala» e «guarisce»
molto rapidamente, in correlazione con l’andamento del
procedimento penale. Traspare, in altre parole, il meccanismo
finalistico volto ad evitare situazioni spiacevoli o dolorose o
pericolose e responsabilità nei confronti del reato
addebitatogli.

22
SIMULAZIONE
E’ chiaro che è impossibile stabilire, anche solo
approssimativamente, il perio della durata (il soggetto
non gradisce prognosi favorevoli o riconoscimenti di
miglloramento») se non ribadendo che il quadro, quasi
sempre reversibile, durerà tanto quanto durerà la
situazione che lo ha scatenato e fino a quando non sarà
stato raggiunto lo scopo che il soggetto si era proposto
di raggiungere. Non dipenderà certo da trattamenti
psicofarmacologici o da interventi psicoterapeutici,
ampiamente intesi, nei confronti dei quali, ovviamente, il
simulatore è sostanzialmente refrattario e non
recettivo. Talora ci si trova in presenza di quadri ili
Impregnazione indebita da neurolettici, che possono
solo danneggiare un sogetto che non richiede terapie
23
di questo genere.
SIMULAZIONE
Il contrario, invece, accade nel vero malato di mente. La
vera malattia mentale comjporta manifestazioni cliniche
acute o subacute e, a lungo andare, se non o mal curata,
segni di destrutturazione e di deterioramento della
personalità, di compromissione grave o di perdita di
abilità sociali e di capacità di contatto affettivo ed
interpersonale,
che
non
possono
sfuggire
all’osservazione e al controllo carcerario e sono
documentabili attraverso la registrazione dei
comportamenti cui danno luogo nell’ambiente di
custodia e la risposta alle terapie psicofarmacologiche.
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SIMULAZIONE
Ben giustamente, pertanto, in una non recente sentenza
della Corte di Cassazione (sez. III, 4.4.1980)
testualmente si afferma che:
« in mancanza di ogni elemento obiettivo di giudizio in
ordine a dette manifestazioni e a detti comportamenti,
legittimamente è esclusa la necessità di un
accertamento peritale che la legge riserva ai casi in cui
risultano gravi e fondati indizi di sofferenza mentale».
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SIMULAZIONE

La sentenza si riferisce espressamente alla perizia psichiatrica
disposta nel dibattimento e al problema dell’accertamento delle
cc.dd. «psicosi carcerarie». Ma neppure l’attestazione di
comportamenti «patologici» o di atteggiamenti «psicotici » nel
detenuto, quali registrati dal personale di custodia o di assistenza
del carcere, sono, di per sé, indicatori sufficienti di vera malattia
mentale, appunto perche, poi, a una precoce, attenta e protratta
osservazione psichiatrica, essi possono risultare espressione di
«simulazione». Sintomi isolati non assumono di per se soli
significato di malattia, essendo questa costituita da una confluenza
di sintomi, unitariamente raggruppati in una sindrome o disturbo
mentale. Ciò può essere particolarmente vero nei casi in cui, da un
giorno all’altro, l’osservatore passa da una descrizione di sintomi
reattivi alla carcerazione o dal sospetto di una simulazione, ad una
diagnosi di psicosi.
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SIMULAZIONE
La dissimulazione di malattia mentale
 In
ambito psicopatologico, dissimulare significa
nascondere, minimizzare, non lasciare spazio alla
propria individualità ed espressività, non far trasparire o
far trasparire solo in parte la propria sofferenza e i
segni della propria malattia,
 I disturbi più frequentemente dissimulati sono quelli deliranti
e quelli depressivi maggiori. La «maschera» è spesso
costruita con un insieme di atteggiamenti o
comportamenti scontrosi, diffidenti e irritanti, che
possono essere spicciativamente confinati in un
Disturbo di personalità, invece di essere collocati nella
loro esatta dimensione psicopatologico difensiva.
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
SIMULAZIONE




Le cause della disssimulazione in parte sono intrinseche alla
patologia stessa in parte si organizzano nel contesto relazionale in
cui il malato viene a trovarsi,
Le motivazioni che si trovano alla base dei processi dissimulatori
possono pertanto essere raggruppate in categorie soggettive,
oggettive e situazionali.
1. Le caratteristiche soggettive sono quelle che dipendono
essenzialmente dalla patologia di cui i soggetti sono portatori:
deliri di persecuzione, di riferimento, di veneficio, di
influenzamento, e via dicendo.
Questi disturbi, nella loro autonomia psicopatologica, sono in
grado di indurre il malato a nascondere, evitare, eludere, per paura
di subire le conseguenze che direttamente scaturiscono dalle
tematiche deliranti.
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SIMULAZIONE



Una decodificazione patologica dell’ambiente circostante e delle
persone che avvicinano l’indagato con atteggiamento inquisitorio e
non empatico, può indurre il soggetto a nascondere la sua
produzione delirante, offrendo unicamente elementi banali di
condotta e di atteggiamento emotivo di copertura del quadro
psicotico sottostante.
E ancora. L’assenza di consapevolezza di malattia fa sì che la
persona, convinta di essere nel giusto, agisca in assetto con la
psicosi: paura e malfidenza sono le ragioni principali addotte per
spiegare la reticenza ad aprirsi e parlare. Analogamente, per le
alterazioni nel rapporto con la realtà e con gli Altri.
Nei Disturbi depressivi, poi, la gravità della sintomatologia viene
minimizzata e nascosta all’osservatore, per timore della messa in
atto degli inevitabili provvedimenti sanitari e di controllo.
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SIMULAZIONE


Disturbi di personalità variamente aggettivati che spesso
accompagnano i processi psicotici possono per canto loro trarre
in inganno, perché manifestati e agiti con maggiore immediatezza e
facilità di quelli psicotici.
Quante volte tratti narcisistici o antisociali di personalità o difese
ipomaniacali hanno giocato un «brutto tiro» al perito che, di
fronte a comportamenti determinati da questi assetti clinici
reagisce sviluppando un tranfert negativo legato a sua volta al suo
Sé grandioso. Non dimentichiamo inoltre paura e diffidenza legate
all’esperienza della carcerazione o del ricovero in una struttura
psichiatrica e al non conoscere il proprio destino giudiziario. Il
potere misterioso di cui il malato investe il perito, che «chissà
dove va a parare», è un ulteriore fattore che alimenta angosce
psicotiche e condotte elusive.
30
SIMULAZIONE


2. Le caratteristiche oggettive possono essere costituite dal fatto che
il soggetto pratica delle terapie che attenuano o mascherano la
sintomatologia, specie quella produttiva e florida, presente la quale
è molto più facile fare delle diagnosi. Oppure può succedere che
l’osservazione inizi quando il quadro di scompenso acuto è andato
incontro ad una sua spontanea evoluzione clinica.
In altri casi, invece, l’incontro perito - periziando avviene nel
periodo che immmediatamente segue il reato, periodo in cui la
sintomatologia florida si è momentaneamente scaricata nel
passaggio all’atto, seguendo il fenomeno della deplezione psicotica.
Un allontanamento o uno spengimento o un raffreddamento della
fase di scompenso sono tutte ragioni per cui l’osservatore può
trovarsi di fronte
un quadro criptico, oligosintomatico,
mascherato, in cui le componenti psicotiche sono estremamente
attenuate.

31
SIMULAZIONE


Talvolta cartelle e diari clinici frettolosamente e
superficialmente compilati, inquadramenti clinici
sbagliati o incompleti, notizie anamnestiche imprecise e
vaghe concorrono nel costruire uno scenario clinico
apparentemente vuoto, poco significativo e fuorviante.
In non pochi casi, infine, l’enfasi da altri posta sul
comportamento criminale colloca sullo sfondo il
funzionamento patologico psichico, sfumandolo,
dissolvendolo e privandolo di significatività clinica.
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SIMULAZIONE
3. Le caratteristiche del contesto. Il contesto di esame è
importantissimo, nel senso che l’osservazione condotta nel
giudiziario è connotata da quella mancanza di spontaneità e di
libero accesso che invece caratterizzano di consueto il lavoro
clinico. Il periziando subisce un’indagine di cui quasi sempre non
conosce gli esatti termini oppure li conosce in maniera confusa e
preconcetta; magari è Indagato o imputato di un grave reato e i
periti lo incontrano in una struttura carceraria o manicomiale
spesso non accogliente e non rispettosa della privacy. Quante volte
periti e periziandi vengono disturbati da rumori fastidiosi, da andirivieni di altro personale che opera nella struttura, dallo sbattere
di porte, dal doversi incontrare nei parlatori di un carcere o in
una infermeria o in un c.d. repartino clinico, dove altri entrano ed
escono. Non sempre è così, ma certamente troppo spesso
veniamo accolti e relegati in spazi che per nulla agevolano il nostro
lavoro.
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SIMULAZIONE


Il contesto in cui si svolgono gli incontri peritali,
dunque, risente di inevitabili restrizioni dello «spazio di
libero movimento», psicologico e logistico.
Per queste ragioni, occorre incontrare il periziando in
una stanza silenziosa, appartata, tranquilla e, salvo casi
estremi, senza l’assistenza del personale di custodia, la
cui presenza spesso viene imposta dalla direzione del
carcere per ragioni ili sicurezza e di tutela dei periti, ma
che nella più parte dei casi può essere evitata.
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SIMULAZIONE


4. La caratteristiche della relazione. A questo livello,
abbiamo osservato e vogliamo segnalare in questa sede
alcuni aspetti della relazione peritale che incidono
profondamente sul rapporto periziando-perito.
Tante volte la dissimulazione, almeno nei primi incontri,
è il diretto prodotto dell’atteggiamento reciproco di
diffidenza, fastidio, sfiducia e sospettosità, a sua volta
determinato dalla mancanza di libero accesso
all’incontro stesso.
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SIMULAZIONE
Se tra perito e periziando si crea un incontro inizialmente
inautentico, coatto, artificioso, ognuno finisce per fare il suo
gioco autotutelante e autoprotettivo, quando non
addirittura pregiudicato da interessi «altri»: nell’attività
d’ufficio, dal proposito velleitario di «fare giustizia»;
nell’attività di parte, dal proposito di ingraziarsi il
committente, a seconda che questi sia il pubblico ministero,
il difensore dell’autore del reato, il difensore della parte
civile.
 Se poi il clinico orienta le sue domande in una direzione
prestabilita al fine di confortare l’ipotesi diagnostica che si è
aprioristicamente costruita in mente, blocca il malato nella
sua libera espressione.

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SIMULAZIONE
La conseguenza è la dissimulazione o iI nascondimento di
parte della produzione psicopatologica con conseguente
errore diagnostico e terapeutico. In altre parole, è un errore
metodologico fondamentale ricorrere nella clinica
psichiatrica e psicologica a un procedimento deduttivo
invece che induttivo.
Inoltre il perito (più o meno consapevolmente) nei confronti
del «delinquente» conserva la sua veste di persona che
agisce e reagisce anche emotivamenlo, culturalmente e
socialmente e può avere difficoltà a indossare «li sacri
paludamenti» del tecnico della psiche. Vecchi e radicati
stereotipi, pregiudizi e preconcetti, non ultimo quello di
essere un perito (con la P maiuscola) sono inevitabili
componenti del suo bagaglio culturale.
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SIMULAZIONE
Inoltre egli è collocato in una posizione di potere nei
confronti di chi ha da subire l’indagine disposta dal
magistrato. L’autore di reato si è «macchiato» davanti al
sistema sociale e della giustizia, è un «diverso», un
«criminale», quando non un «folle», uno che si può guardare
«dall’alto al basso».
Il periziato, pertanto, viene avvicinato come un soggetto
inferiore. Egli è uno su cui il perito può calare la ponderosa
mannaia del suo sapere per sezionarne (= analizzarne) e
spiegarne (= la diagnosi che si picca di risolvere anche il
problema del perché) il comportamento. Il periziando,
apparentemente, non ha diritto alcuno: il suo dovere,
secondo molti periti, è solo quello di fornire risposto
esaurienti ed educate a colui che lo inquisisce.
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SIMULAZIONE


L’atteggiamento di chi osserva è condizionato, tra l’altro, anche
dalla sua reazione emotiva e dalla risonanza che in lui hanno
determinati delitti. Non si può negare infatti che una storia
«ripugnante» può suscitare nell’esaminatore atteggiamenti
controtransferali di rifiuto e di stigmatizzazione, che comportano
una sovrastima dei comportamenti e una sottovalutazione dei
sintomi.
L’Io morale e sociale, nel prendere in questi casi il sopravvento su
quello razionale, privano ulteriormente di neutralità e obiettività
un lavoro clinico già di per sé intriso di soggettività. La distorsione
che ne deriva a livello di comunicazione verbale ed extraverbale
può determinare, di conseguenza, una selezione più o meno
consapevole di sintomi e segni da parte sia di colui che osserva, sia
di colui che è osservato.
39
SIMULAZIONE


In questo gioco delle parti però non è possibile dimenticare che
periti e consulenti si trovano di fronte a persone autrici o vittime
di atti penalmente o civilmente rilevanti, ma pur sempre persone con
le quali è indispensabile stabilire una relazione il più possibile autentica
e significativa, perché tanto più ricco e articolato è il materiale raccolto,
tanto più motivate saranno le risposte ai quesiti.
Il malato di mente autore di reato che non si sente accolto e
compreso, non si lascia mai andare a «confidenze», essendo
convinto che venga ascoltato con sufficienza e perplessità.
Colludere con lo psicotico è strategia indispensabile, dunque, se si
vuole andare oltre le apparenze ed esplorare i percorsi
psicopatologici.
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SIMULAZIONE
In altri casi, se non si riescono a cogliere le «perdite» e non
si vedono le «cicatrici psicotiche che si rivelano attraverso
l’estrema fragilità e vulnerabilità di un soggetto che sta
sgretolandosi sotto gli assalti della malattia e si pone ad
esempio l’enfasi su parole di risentimento e di odio si
esprime, con superficiale faciloneria, un giudizio «morale» e
non «tecnico»: l’unico che ci viene chiesto.
 In altre parole, si vuole dire che la qualità del lavoro peritale
discende non solo dalla soluzione di problemi tecnici, ma
anche dalla qualità della relazione umana instaurata con il
periziando, che, come tutte le relazioni umane, è ricca di
risvolti negativi e positivi.

41
SIMULAZIONE


Per quanto riguarda quelli negativi, molti sono gli aspetti
che possono insidiare la qualità della relazione con
l’autore di reato malato di mente, suscitando in lui
contro
atteggiamenti
di
allontanamento,
di
mascheramento, di negazione, di banalizzazione e di
dissimulazione.
Di particolare importanza sono, a nostro avviso, quelli
relativi al setting interno, Intendendo per tale l’assetto
mentale e affettivo-relazionale con cui il perito si
accosta al periziando. Ci limiteremo a citarli:
42
SIMULAZIONE


la presunzione di poter ridurre il colloquio psichiatrico
a una intervista del tipo «a domanda risponde»,
infiorita in un secondo tempo con questionari, reattivi
psicodiagnostici e protocolli di dubbia validità, perché
raccolti in un clima inautentico da un punto di vista
clinico;
la convinzione che si possa arrivare a verità oggettive,
ignorando o sottovalutando che è il periziando che
deve conferire i significati ai suoi comportamenti agiti o
subiti), senza forzature di nessun tipo da parte del
perito;
43
SIMULAZIONE



il convincimento che si possa fare una «buona clinica»
seguendo un metodo deduttivo, anziché induttivo;
l’ancoraggio disperato e rassicurante a codici alfanumerici sui quali si aprono dotte, ma spesso inutili,
disquisizioni, come se fare psicologia e psichiatria
significasse unicamente descrivere e classificare e non
anche comprendere e interpretare;
il procedimento in base al quale si cerca di far
percorrere al periziando una strada che il perito ha
precostruito per giungere a quella categoria diagnostica
in cui ha già deciso di collocare la persona in esame;
44
SIMULAZIONE
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

l’ipervalutazione di caratteristiche personali del periziando e
l’ipovalutazione dei fattori situazionali relativi al contesto;
una iperidentificazione acritica con la vittima, o un rifiuto
controtransferale dell’autore;
le aspirazioni fittizie, che possono indurre a far giustizia, cercare il
vero o il falso, premiare o punire, soddisfare i propri bisogni
narcisistici, usare il periziando per gratificare il proprio sé
grandioso, esibire il proprio potere e difenderlo a ogni costo,
cercare le colpe, le responsabilità e le giustificazioni;
il tenere in non Considerazione quanto da altri accertato, perché
non ci si può permettere il lusso di mettere in crisi i propri
convincimenti dogmatici;
45
SIMULAZIONE
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
il dimenticare che i quadri di scompenso acuto e quelli
di stato obiEttivati in una dimensione trasversale
assumono un loro pertinente significato clinico, solo
se inseriti in un percorso clinico che fa suo anche un
approccio longitudinale fin» considera decorso ed esiti.
Sembra inutile, e al limite offensivo, ribadire principi che
dovrebbero esseri presenti a tutti noi: ma è bene
ricordare che nessun perito o consulente ha il diritto di
aggredire il periziando, di intimorirlo, di sedurlo, di ricattarlo
o di condurlo forzatamente su di un sentiero funzionale a
tesi accusatorie o difensive che altri debbono sviluppare
all’interno dei loro specifici ambiti (magistrati e difensori).
46
SIMULAZIONE
Non è lecito: promettere esiti o minacciare
provvedimenti giudiziari che non sono di competenza
peritale; dare del tu al periziando; chiamarlo per nome
o con vezzeggiativi o diminutivi; essere seduttivi;
diventare polemici, inquisitori e fiscali sulla
ricostruzione dei fatti; offendersi per il silenzio o
l’amnesia volontaria del periziando o la distorsione
della verità; estorcere confessioni o versioni
preconfezionate; interrompere costantemente il
discorso del periziando impedendogli di esprimersi;
simulare alleanze perverse al solo fine di accattivarselo
per ottenere confessioni.
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SIMULAZIONE
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
Per quanto riguarda i risvolti positivi della relazione che
possono incrinare fino ad abbattere il muro della
diffidenza e della non collaborazione ricordiamo:
l’autentica disponibilità e curiosità scientifica e umana
attestata dal rispetto per la persona umana: il perito
(psicologo o psichiatra che sia) non ha certamente il
compito di accertare la verità processuale, di indurre il
periziando a confessare, di giocare sue presunte o reali
abilità inquisitorie. La sua collaborazione con il
magistrato deve essere limitata alla risposta ai quesiti
che vengono formulati e collegialmente discussi e
concordati;
48
SIMULAZIONE
l’impiego di ascolto, silenzio e compartecipazione, che si
traducono
nel
favorire
consapevolmente
e
responsabilmente la comunicazione e rincontro e nel
considerare l’Altro una persona che ha una sua storia
ricca di un indubbio significato esistenziale e non un
oggetto da osservare con distacco e freddezza e
interrogare con atteggiamento sufficiente o prevenuto.
49
SIMULAZIONE
Osservazione partecipante e comprensione empatica non
significano affatto identificazione acritica con il periziando.
Evitano piuttosto l’assunzione di atteggiamenti
controtransferali negativi e risposte emotive di ostilità,
di rifiuto, di giudizio, di stigmatizzazione, di semplicistica
identificazione, che ostacolano il comprendere
psicologico e psicopatologico. Costruiscono al
contempo un’occasione di incontro esistenziale che
riconosce e restituisce al periziando, attraverso il
corretto uso della strumento comunicativo, quella
dignità di persona che il malato di mente, proprio per
caratteristiche intrinseche alla sua sofferenza, molto
rapidamente coglie e restituisce al perito attraverso
una collaborazione ricca e autentica.
50
SIMULAZIONE


Riassumendo quanto esposto nelle pagine precedenti,
possiamo dire che il fenomeno di dissimulazione di
malattia mentale è — in primis — legato ai disturbi
psicopatologici di cui il paziente è portatore, specie
quelli deliranti e quelli depressivi maggiori.
Tuttavia, con particolare riferimento all’ambito
psichiatrico forense di uguale se non maggiore
importanza nell’indurre fenomeni di dissimulazione è il
contesto relazionale in cui si svolgono i colloqui
psichiatrici e le indagini psicodiagnostiche.
51
SIMULAZIONE


In questi contesti in cui l’incontro perito- periziando è
coatto, i meccanismi evitamento, negazione, proiezione,
possono essere alimentati da comportamenti e
atteggiamenti
scorretti
dell’esaminatore,
che
appartengono al suo setting interno.
Ancora una volta, pertanto, un forte richiamo alla
deontologia e all’etica professionale ci sembrano utili
per stabilire e mantenere la correttezza dell’incontro
clinico e peritale e favorire al meglio nel malato
un’autentica espressione di sé e deIla propria patologia.
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SIMULAZIONE E DISSIMULAZIONE
SIMULAZIONE
Il SImiliatore dà ad osservare sintomi
singoli, Isolati, riproducendoli e
imitandoli, senza quella coerenza e
peculiarità espressoive della malattia
mentale;
Esibisce ed elenca spontaneamente
con immediatezza ed enfasi espressiva
i propri disturbi;
Non è in grado di mantenere distanza
emotiva dall’esaminatore, che cerca di
coinluvolgere nella propria sofferenza;
Non è coerente, costante e
convincente;
denuncia disurbi dello stato di
coscientza (sindrome di Ganser),
bamboleggia, è puerile, fa il “demente”,
descrive deliri e alllucinazioni;
Talvolta sviluppa quadri di tipo
acinetico stuporoso o depressivo
catatonico.
DISSIMULAZIONE
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dissimulatore
nasconde
e
minimizza i propri disturbi;
Mantiene
la
distanza
emotiva
dall’esaminatore;
Presenta atteggiamenti di tipo
ipomaniacale, di fuga e di negazione
dall’angoscia psicotica;
Presenta una “maschera” scontrosa,
diffidente, irritante, genericamente
antipatica, che spesso viene intesa
come espressione di un disturbo di
personalità (narcisistico o antisociale);
I
disturbi
più
frequentemente
dissimulati sono quelli depressivi
maggiori e quelli deliranti, mascherati
talvolta anche da soprastrutture
difensive di tipo nevrotico;
E sensibile alla somministrazione di
farmaci antipsicotici.
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