Presentazione di PowerPoint - Progetto e

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Struttura, recepimento nazionale,
e sistema giurisdizionale.
4 novembre 1950
Roma, gli Stati del
Consiglio d’Europa firmano la
Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo
ratificata in Italia con
la legge ordinaria 4 agosto 1955 n. 848
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Quali sono i diritti previsti dalla CEDU?
Tra gli altri:
il diritto alla vita (art. 2);
Il divieto di trattamenti inumani e degradanti (art. 3).
V., da ultimo, CEDU, Cestaro c. Italia, 7 aprile 2014.
il diritto ad un processo equo in materia civile e penale
(art. 6);
il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare
(art. 8);
la libertà di pensiero, coscienza e religione (art. 9);
la libertà di espressione (art. 10);
il diritto a disporre di un ricorso effettivo (art. 13);
il diritto al rispetto dei propri beni (art. 1 Prot. 1);
il diritto di votare e di presentarsi come candidati (art.
3 Prot. 1).
Le peculiarità della CEDU
contenutistiche
la
Convenzione
ha
contenuto
materialmente costituzionale, sovrapponendosi spesso alla
disciplina della Costituzione; tuttavia, l’ordinamento interno
non ha riconosciuto ad essa un rilievo particolare, a
differenza di quanto fatto, ad esempio, per i Patti Lateranensi
o il Trattato CE.
strutturali
è fornita di un apparato istituzionale e di un
sistema di tutela giurisdizionale deputati ad assicurarne il
rispetto; la sua portata è arricchita dall’attività della Corte
EDU, che ne interpreta ed applica le disposizioni; è previsto
un meccanismo di controllo sull’esecuzione delle sentenze
(art. 46 CEDU).
Quale posto per la CEDU nella gerarchia delle fonti?
Il ricorso alle legge ordinaria per la ratifica, a stretto rigore, dovrebbe far concludere
nel senso del riconoscimento di un rango di fonte primaria – al pari della legge che
rinvia ad essa – per la Convenzione.
Non sono mancati, tuttavia, tentativi della dottrina tesi a riconoscere una valore
costituzionale, o para-costituzionale, alla Convenzione, attraverso “l’ancoraggio” di
diverse norme costituzionali, quali ad esempio:
 l’art. 2, che impronta tutti i diritti tutelati dalla Costituzione ad un principio
personalista, di valorizzazione dell’individuo [Barbera], e che informa di sé l’intero
assetto istituzionale;
 l’art. 10, c. 1, perché molte disposizioni della CEDU coinciderebbero in realtà con
norme consuetudinarie internazionali, oggetto di adattamento automatico;
 l’art. 10, c. 2, che riguarda la disciplina applicabile agli stranieri;
 l’art. 11: soluzione già avvalorata per il Trattato CE, da taluni ritenuta applicabile a
tutti i trattati, in primis quelli riguardanti la tutela dei diritti fondamentali.
La giurisprudenza costituzionale italiana
Sentenza n. 10 del 1993
La CEDU stabilisce all'art. 6, terzo comma, lettera a), che "ogni accusato ha diritto (
..) a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli
comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell'accusa a lui
rivolta". Una disposizione del tutto identica è, altresì, contenuta nell'art. 14, terzo
comma, lettera a), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici … Le
norme internazionali appena ricordate sono state introdotte nell'ordinamento
italiano con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di
esecuzione (v. sentt. nn. 188 del 1980, 153 del 1987 e 323 del 1989) e sono tuttora
vigenti, non potendo, certo, esser considerate abrogate dalle successive
disposizioni del codice di procedura penale, non tanto perché queste ultime sono
vincolate alla direttiva contenuta nell'art. 2 della legge delega del 16 febbraio
1987, n. 81 ("il codice di procedura penale deve ( ..) adeguarsi alle norme delle
convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al
processo penale"), quanto, piuttosto, perché si tratta di norme derivanti da una
fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di
abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria.
La giurisprudenza costituzionale italiana
• Sentenze 348 e 349 del 2007  nel caso in cui il
giudice rilevi un contrasto fra norma interna e
norma della CEDU  ha l’obbligo di interpretare
la legge in senso conforme a Convenzione 
qualora l’interpretazione conforme non sia
possibile, è necessario sollevare una questione di
legittimità costituzionale per contrasto mediato
con l’art. 117, primo comma, Cost.
 le norme CEDU operano quali “norme
interposte” nel giudizio di costituzionalità.
C. cost. sent. 348/2007
“Si deve riconoscere che il parametro costituito
dall'art. 117, primo comma, Cost. diventa
concretamente operativo solo se vengono determinati
quali siano gli ‘obblighi internazionali’ che vincolano la
potestà legislativa dello Stato e delle Regioni. Nel caso
specifico sottoposto alla valutazione di questa Corte, il
parametro viene integrato e reso operativo dalle
norme della CEDU, la cui funzione è quindi di
concretizzare nella fattispecie la consistenza degli
obblighi internazionali dello Stato”.
Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale
italiana sulla CEDU
sentenza n. 80 del 2011 (svolgimento su istanza di parte dell’udienza pubblica nel
procedimento di applicazione delle misure di prevenzione)  confermativa delle sentenze
«gemelle»; la Corte nega che, allo stato, le innovazioni recate dal trattato di Lisbona [art. 6,
TUE] abbiano comportato un mutamento nella collocazione delle disposizioni CEDU nel
sistema delle fonti.
...“l’ordinamento comunitario configura una «realtà giuridica,
funzionale e istituzionale» differenziata dal sistema CEDU” …
La copertura costituzionale dell’art. 11 Cost., ha spiegato la Corte, non è invocabile per il
sistema convenzionale neppure facendo leva sull’art. 6 par. 3 TUE-L, che qualifica i diritti
fondamentali della CEDU come “principi generali del diritto comunitario”
Per la Corte costituzionale italiana, la situazione anteriore al Trattato di Lisbona non è mutata
neppure per il fatto che la Carta di Nizza ha ormai lo «stesso valore giuridico dei Trattati» (art.
6 TUE, paragrafo 1, primo comma) e che l’art. 52, paragrafo 3, primo periodo, della suddetta
Carta, preveda una clausola di equivalenza fra i diritti da essa previsti e «quelli corrispondenti
garantiti» dalla CEDU.
[Negli stessi termini: sentenze n. 113, 236, 303 del 2011, 78 e 230 del 2012].
• La Corte si ispira alla regola del «plus di tutela» (art. 46 CEDU
impegna gli Stati contraenti a «conformarsi alle sentenze definitive
della Corte [EDU] sulle controversie di cui sono parti»  «il
risultato
complessivo
dell’integrazione
delle
garanzie
dell’ordinamento deve essere di segno positivo, nel senso che
dall’incidenza della singola norma CEDU sulla legislazione italiana
deve derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti
fondamentali» (sentenza n. 317 del 2009).
• Contra: sent. n. 230 del 2012 (impossibilità di abolitio criminis per
mutamento giurisprudenziale): la Corte statuisce che non c’è
violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, nonché di
retroattività della legge penale più favorevole al reo “… sussistendo
nel nostro ordinamento i principi di riserva di legge in materia
penale e di separazione dei poteri in forza dei quali la abrogazione
delle norme penali, al pari della loro creazione, può discendere solo
da un atto di volontà del legislatore”.
Competenza della Corte EDU
 Competenza generale su tutte le questioni concernenti
l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni Cedu e dei
protocolli (art. 32 CEDU).
 Ricorso dello Stato (art. 33): per fare valere qualsiasi
inosservanza delle disposizioni CEDU.
 Ricorso del singolo (art. 34): per lamentare la violazione di uno diritti
previsti dalla CEDU o dai suoi protocolli.
 L’individuo può lamentare anche la lesione di altre disposizioni ove lo
Stato abbia ostacolato il suo ricorso alla Corte o non abbia
ottemperato alle misure provvisorie adottate dalla Corte Edu.
Esecuzione delle sentenze CEDU
nell’ordinamento nazionale
• L’art. 46 CEDU impegna gli Stati contraenti a «conformarsi
alle sentenze definitive della Corte [EDU] sulle controversie
di cui sono parti».
• La Corte è tenuta ad applicare il diritto CEDU
nell’interpretazione che ne ha dato la Corte EDU, ma con un
«margine di apprezzamento e di adeguamento che – nel
rispetto della “sostanza” della giurisprudenza di Strasburgo
– le consenta comunque di tenere conto delle peculiarità
dell’ordinamento in cui l’interpretazione della Corte
europea è destinata ad inserirsi» (sentenze n. 230 del 2012,
236 e 303 del 2011, 311 del 2009).
Corte cost. n. 49/2015: l’obbligo di conformarsi al
diritto convenzionale vivente
 “7. Questa Corte ha già precisato, e qui ribadisce, che il giudice comune è tenuto
ad uniformarsi alla «giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente»
(sentenze n. 236 del 2011 e n. 311 del 2009), «in modo da rispettare la sostanza di
quella giurisprudenza» (sentenza n. 311 del 2009; nello stesso senso, sentenza n.
303 del 2011), fermo il margine di apprezzamento che compete allo Stato membro
(sentenze n. 15 del 2012 e n. 317 del 2009).”
 “È, pertanto, solo un “diritto consolidato”, generato dalla giurisprudenza
europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio
processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di
pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto
definitivo”.
 “La nozione stessa di giurisprudenza consolidata trova riconoscimento nell’art. 28
della CEDU, a riprova che, anche nell’ambito di quest’ultima, si ammette che lo
spessore di persuasività delle pronunce sia soggetto a sfumature di grado, fino a
quando non emerga un «well-established case-law» che «normally means caselaw which has been consistently applied by a Chamber», salvo il caso eccezionale
su questione di principio, «particularly when the Grand Chamber has rendered it»
(così le spiegazioni all’art. 8 del Protocollo n. 14, che ha modificato l’art. 28 della
CEDU).”
Segue
 Solo nel caso in cui si trovi in presenza di un “diritto consolidato” o di una
“sentenza pilota”, il giudice italiano sarà vincolato a recepire la norma
individuata a Strasburgo, adeguando ad essa il suo criterio di giudizio per
superare eventuali contrasti rispetto ad una legge interna, anzitutto per mezzo di
«ogni strumento ermeneutico a sua disposizione», ovvero, se ciò non fosse
possibile, ricorrendo all’incidente di legittimità costituzionale (sentenza n. 80 del
2011). Quest’ultimo assumerà di conseguenza, e in linea di massima, quale norma
interposta il risultato oramai stabilizzatosi della giurisprudenza europea, dalla
quale questa Corte ha infatti ripetutamente affermato di non poter «prescindere»
(ex plurimis, sentenza n. 303 del 2011), salva l’eventualità eccezionale di una
verifica negativa circa la conformità di essa, e dunque della legge di adattamento,
alla Costituzione (ex plurimis, sentenza n. 264 del 2012), di stretta competenza di
questa Corte.
 Mentre, nel caso in cui sia il giudice comune ad interrogarsi sulla compatibilità
della norma convenzionale con la Costituzione, va da sé che questo solo dubbio, in
assenza di un “diritto consolidato”, è sufficiente per escludere quella stessa norma
dai potenziali contenuti assegnabili in via ermeneutica alla disposizione della
CEDU, così prevenendo, con interpretazione costituzionalmente orientata, la
proposizione della questione di legittimità costituzionale.
Casi di convergenza tra la Corte costituzionale e
la Corte EDU
1.
Sent. n. 113 del 2011 (caso Dorigo): la Corte costituzionale dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui “non
contempla un «diverso» caso di revisione, rispetto a quelli ora regolati,
volto specificamente a consentire (per il processo definito con una delle
pronunce indicate nell’art. 629 cod. proc. pen.) la riapertura del processo
– intesa, quest’ultima, come concetto di genere, funzionale anche alla
rinnovazione di attività già espletate, e, se del caso, di quella integrale
del giudizio – quando la riapertura stessa risulti necessaria, ai sensi
dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza
definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo (…)”.
“La necessità della riapertura andrà apprezzata – oltre che in rapporto
alla natura oggettiva della violazione accertata (è di tutta evidenza, così,
ad esempio, che non darà comunque luogo a riapertura l’inosservanza
del principio di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6,
paragrafo 1, CEDU, dato che la ripresa delle attività processuali
approfondirebbe l’offesa) – tenendo naturalmente conto delle indicazioni
contenute nella sentenza della cui esecuzione si tratta, nonché nella
sentenza “interpretativa” eventualmente richiesta alla Corte di
Strasburgo dal Comitato dei ministri, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 3,
della CEDU.”
(segue)
2. Disciplina dell’indennità di espropriazione e del
risarcimento del danno derivante dalla occupazione
appropriativa
da
parte
della
pubblica
amministrazione. la Corte dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 5-bis, comma 6, del decreto
legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del
1992 (nel testo sostituito dall'art. 1, comma 65, della
legge n. 549 del 1995), che prevedeva la
quantificazione dell’indennizzo in misura non
corrispondente al valore di mercato del bene occupato,
in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla
CEDU in tema di diritto di proprietà (sentt. nn. 348 e
349 del 2007).
Nozione di “pubblica utilità”
 “Nel determinare l’importo del risarcimento adeguato
la Corte deve basarsi sul criterio stabilito nelle sue
sentenze riguardo all’articolo 1 del Protocollo 1 e
secondo cui, senza pagamento di un importo
ragionevolmente riferito al suo valore, una privazione
di
proprietà
normalmente
costituirebbe
un’interferenza sproporzionata che non può essere
considerata giustificabile … ed una mancanza totale del
risarcimento potrebbe essere considerata giustificabile
solamente in circostanze eccezionali. Comunque, la
disposizione non garantisce un diritto al pieno
risarcimento in tutte le circostanze poiché degli
obiettivi legittimi di “interesse pubblico” possono
richiedere un rimborso inferiore al pieno valore di
mercato …” (Schembri c. Malta, 10 novembre 2009).
Indennità di espropriazione per
pubblica utilità
 Cfr. Corte cost. sentenza n. 181/2011
“ … l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, terzo comma, Cost.,
se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita – in
quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale
che l’espropriazione mira a realizzare – non può essere, tuttavia, fissato in
una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un
serio ristoro (ex multis: sentenze n. 173 del 1991; sentenza n. 1022 del
1988; sentenza n. 355 del 1985; sentenza n. 223 del 1983; sentenza n. 5
del 1980). Quest’ultima pronuncia ha chiarito che, per raggiungere tale
finalità, «occorre fare riferimento, per la determinazione dell’indennizzo,
al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte
palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge.
Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante
all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio
rispetto al valore del bene».
Ad analoghe conclusioni è giunta la già citata sentenza n. 348 del 2007, la
quale ha ribadito che «deve essere esclusa una valutazione del tutto
astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene
ablato» (principio già affermato dalla sentenza n. 355 del 1985) …”
segue
 Cfr. Corte cost. sentenza n. 338/2011
“ … sia la giurisprudenza di questa Corte che quella della Corte EDU hanno
individuato in materia di indennità di espropriazione un nucleo minimo di
tutela del diritto di proprietà, garantito dall’art. 42, terzo comma, Cost., e
dall’art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU, in virtù del quale
l’indennità di espropriazione non può ignorare «ogni dato valutativo
inerente ai requisiti specifici del bene», né può eludere un «ragionevole
legame» con il valore di mercato (da ultimo sentenza n. 181 del 2011 e
prima ancora, sentenza n. 348 del 2007).
In applicazione di tale principio, l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni
deve realizzare, in primo luogo, un «giusto equilibrio» tra le esigenze
dell’interesse generale della comunità e il requisito della salvaguardia dei
diritti fondamentali dell’individuo. In secondo luogo, nonostante che al
legislatore ordinario spetti un ampio margine, l’acquisizione di beni senza
il pagamento di indennizzo in ragionevole rapporto con il loro valore
costituisce normalmente un’ingerenza sproporzionata.
Il legislatore, quindi, sebbene non abbia il dovere di commisurare
integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del bene
ablato, non può sottrarsi al «giusto equilibrio» tra l’interesse generale e
la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui …”
3.
Qualificazione della confisca “per
equivalente” in materia fiscale come misura
analoga a una sanzione penale, con il
conseguente
divieto
di
applicazione
retroattiva, alla stregua dell’art. 7 CEDU. La
Corte costituzionale ne smentisce la natura di
misura amministrativa e ne riconosce la
valenza di misura penale, allineandosi con la
giurisprudenza CEDU (ordinanze n. 301 e n. 97
del 2009).
(segue)
 Sentenza n. 196 del 2010
Dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare
sull'interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, si ricava, pertanto, il
principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivoafflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della
sanzione
penale
in
senso
stretto.
Principio questo, del resto, desumibile dall'art. 25, secondo comma,
Cost., il quale - data l'ampiezza della sua formulazione («Nessuno può
essere punito…») - può essere interpretato nel senso che ogni
intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la
funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile - in
senso stretto - a vere e proprie misure di sicurezza), è applicabile
soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento
della
commissione
del
fatto
sanzionato.
Art. 7, par. 1, CEDU (nulla poena sine lege)
 Varvara c. Italia, seconda sezione, 29 ottobre 2013
Sanzione penale sotto forma di confisca di beni,
ordinata nonostante la dichiarazione di non luogo a
procedere (per prescrizione) nel procedimento
penale: violazione dell’art. 7, par. 1.
“ 71. La logica della «pena» e della «punizione», e la nozione di «guilty»
(nella versione inglese) e la corrispondente nozione di «persona
colpevole» (nella versione francese), depongono a favore di
un’interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, una dichiarazione
di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di
addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore. In mancanza di
ciò, la punizione non avrebbe senso (Sud Fondi e altri, sopra citata, § 116).
Sarebbe infatti incoerente esigere, da una parte, una base legale
accessibile e prevedibile e permettere, dall’altra, una punizione quando,
come nel caso di specie, la persona interessata non è stata condannata.”
Art. 7 CEDU: segue
Sui criteri di qualificazione della "infrazione penale" ai sensi dell'art. 7
CEDU
- Sentenza Engel c. Paesi, ove si chiarisce che una sanzione qualificata
come disciplinare a livello interno può ugualmente soggiacere agli artt. 6 e
7 CEDU;
- Sentenza Ozturk c. Germania, ove si riconosce che una sanzione
qualificata come amministrativa a livello interno può ugualmente
soggiacere all'art. 7 CEDU;
- Sentenza Welch c. Gran Bretagna, ove si ribadisce il carattere
"autonomo" della nozione di "pena" ai sensi dell'art. 7 CEDU;
- Sentenza Iussila c. Finlandia, ove si afferma che la lievità di una sanzione
non esclude ex se la natura penale ex art. 7 CEDU.
Segue
 Una sanzione penale ex art. 7 CEDU può essere inflitta anche in
assenza di dolo o colpa
- Sentenza Salabiaku v. Francia;
- Sentenza Janosevic v. Svezia;
- Sentenza Valico v. Italia: non violazione dell'art. 7 CEDU, per avere
inflitto una sanzione pecuniaria "penale" in materia urbanistica.
 Una autorità amministrativa può applicare una pena ex art. 7 CEDU,
purchè sia garantito un successivo controllo giurisdizionale
- Sentenza Malige v. Francia;
- Sentenza Baischer v. Austria;
 L'amministrazione può infliggere una pena ex art. 7 CEDU anche se
sui medesimi fatti non si è svolto alcun procedimento penale
- Sentenza Mamidakis v. Grecia
Corte cost. sent. n. 49/2015
 6.1. “ … la Corte EDU, fin dalle sentenze 8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi, e
21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania, ha elaborato peculiari indici per
qualificare una sanzione come una “pena” ai sensi dell’art. 7 della CEDU, proprio
per scongiurare che i vasti processi di decriminalizzazione, avviati dagli Stati
aderenti fin dagli anni 60 del secolo scorso, potessero avere l’effetto di sottrarre gli
illeciti, così depenalizzati, alle garanzie sostanziali assicurate dagli artt. 6 e 7 della
CEDU (sentenza 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania)”.
 “È infatti principio consolidato che la “pena” può essere applicata anche da
un’autorità amministrativa, sia pure a condizione che vi sia facoltà di impugnare
la decisione innanzi ad un tribunale che offra le garanzie dell’art. 6 della CEDU,
ma che non esercita necessariamente la giurisdizione penale (da ultimo, sentenza
4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, con riferimento ad una
sanzione reputata grave). Si è aggiunto che la “pena” può conseguire alla
definizione di un procedimento amministrativo, pur in assenza di una
dichiarazione formale di colpevolezza da parte della giurisdizione penale
(sentenza 11 gennaio 2007, Mamidakis contro Grecia)”.
Casi di disallineamento tra la Corte
costituzionale e Corte EDU
1. Principio di integrale retroattività della legge penale più mite (lex mitior)
con il solo limite del giudicato (art. 7 CEDU): Corte Strasburgo, Grande
Camera, Scoppola c. Italia, 17 settembre 2009.
Corte cost. sent. n. 236 del 2011: non fondatezza della q.l.c. dell’art. 10
della l. n. 251 del 2005 (c.d. ex-Cirielli) nella parte in cui esclude
l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione dei reati, se più favorevoli,
per i processi già pendenti in grado di appello o dinanzi alla Corte di
Cassazione. La Corte afferma che, secondo la Corte di Strasburgo, il
principio di retroattività della lex mitior concerne le sole “disposizioni che
definiscono i reati e le pene che li reprimono”, mentre il principio di
retroattività, di cui all’art. 2, quarto comma, del nostro codice penale, non
si limita alle sole disposizioni concernenti la misura della pena, ma va
esteso a tutte le norme sostanziali – come quelle relative alla prescrizione
- che incidono sul complessivo trattamento riservato al reo.
2. Interpretazione dell’art. 7 CEDU: «No one shall be held guilty of any
criminal offence on account of any act or omission which did not constitute a
criminal offence under national or international law at the time when it was
committed»  per “law” la Corte Edu intende anche il diritto di formazione
giurisprudenziale (CO. DU. 8 dic. 2009, Previti c. Italia; 20 gen. 2009, Sud
Fondi s.r.l. c. Italia; 24 apr. 1990, Kruslin c. Francia).
Corte cost. sentenza n. 230 del 2012: non fondatezza della q.l.c. dell’673 c.p.
nella parte in cui non prevede la revoca della sentenza di condanna per il
sopravvenire di una sentenza delle SS.UU. Cassazione la quale ha ritenuto che
il fatto giudicato non è previsto dalla legge come reato.
“Non sussiste la violazione del principio di (tendenziale) retroattività della
normativa penale più favorevole il quale, attenendo alla sola successione di
leggi, non può essere esteso ai mutamenti giurisprudenziali, essendo questi
ultimi privi di vincolatività e sussistendo nel nostro ordinamento i principi di
riserva di legge in materia penale e di separazione dei poteri in forza dei quali
la abrogazione delle norme penali, al pari della loro creazione, può
discendere solo da un atto di volontà del legislatore.”
3. presupposti e limiti della retroattività delle
leggi: leggi di interpretazione autentica e caso delle
“pensioni svizzere” (antefatto: CEDU, caso Maggio e
al. C. Italia, 31 maggio 2011)  pronunciamento
della CEDU opposto a quello reso dalla Corte
costituzionale nella precedente sentenza n. 172 del
2008. Disallineamento tra le due Corti in tema di
leggi di interpretazione autentica (così, anche
CEDU, caso Agrati e al. c. Italia, 7 giugno 2011).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 264 del
2012, dichiara non fondata la q.l.c., giustificando
l’intervento legislativo nazionale (peggiorativo) alla
luce dei “motivi imperativi di interesse generale” .
Seguito della sent. 264 del 2012: CEDU,
Stefanetti e al. c. Italia, 15 aprile 2014
 “43. La Corte ritiene inoltre, data la sequenza degli eventi, che non si
possa affermare che l'intervento legislativo mirasse a ripristinare
l'intenzione originaria del legislatore del 1962. Inoltre, anche assumendo
che la legge mirasse davvero a reintrodurre la volontà originaria del
legislatore dopo le modifiche del 1982, la Corte ha già accettato che il fine
di ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico, benché di interesse
generale, non era sufficientemente impellente da prevalere sui pericoli
inerenti all'utilizzo di una normativa retroattiva che incideva su una
controversia pendente. Invero, anche ammettendo che lo Stato stesse
tentando di perequare una situazione che originariamente non aveva
inteso creare, avrebbe potuto farlo tranquillamente senza ricorrere
all'applicazione retroattiva della legge.”
 La Corte dichiara pertanto la violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU.
(segue)
4. Nesso funzionale in materia di insindacabilità
parlamentare di cui all’art. 68 Cost. La Corte di Strasburgo
impone la sussistenza di un collegamento stringente tra la
dichiarazione resa extra moenia e l’attività prettamente
“parlamentare”. Sindacato più severo: la Corte EDU precisa
che “la mancanza di una chiara connessione con un’attività
parlamentare impone anche l’adozione di una stretta
interpretazione del concetto di proporzione” tra il fine di
consentire al parlamentare il libero esercizio del mandato
rappresentativo e il mezzo (l’opinione espressa) impiegata per
raggiungere tale fine (sentenze Cordova 1 e 2 c. Italia, 31
gennaio 2003 e De Jorio c. Italia, 3 giugno 2004).
Come si accede alla Corte?
Il Protocollo n. 11 CEDU firmato a Strasburgo nel 1994,
aggiuntivo alla Convenzione europea dei Diritti
dell'Uomo del 1950, prevede una radicale riforma della
procedura contenziosa davanti agli organi giurisdizionali
del Consiglio d’Europa, con la soppressione della
Commissione europea dei Diritti dell’Uomo e con la
facoltà del ricorso individuale diretto alla Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo.
Tale riforma è entrata in vigore il 1 novembre 1998.
Il ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo
può essere presentato da una persona fisica o
giuridica che sia stata parte (attrice o convenuta o
imputata) in una controversia davanti ai giudici
nazionali (civili, penali o amministrativi) e solo dopo
che siano esauriti tutti i possibili rimedi
giurisdizionali davanti agli stessi giudici nazionali,
cioè di regola fino alla sentenza definitiva in
Cassazione e, comunque, non oltre il termine
perentorio di sei mesi (quattro mesi, quando
entrerà in vigore il Protocollo n. 15), a decorrere
dalla data di pubblicazione di tale sentenza.
Nel ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo
vanno indicate le norme della Convenzione europea
dei Diritti dell'Uomo del 1950 che si pretendono
violate da parte dello Stato di cui si tratta, poiché
solo quest’ultimo assume il ruolo di controparte
nella procedura europea, anche se davanti ai
giudici nazionali la causa si era celebrata in
contraddittorio con altri soggetti privati o pubblici.
La Corte pronuncia una sentenza che ha carattere
vincolante: lo Stato interessato ha l’obbligo di
uniformarsi ad essa.
Requisiti per presentare ricorso
• Non è necessario che il soggetto che intende proporre il
ricorso abbia la cittadinanza di uno degli Stati membri del
Consiglio d’Europa. Tuttavia la violazione lamentata deve
essere stata commessa da uno degli Stati membri facenti
parte del Consiglio d’Europa (vedi caso Hirsi c. Italia: caso
di respingimento alla frontiera italiana di cittadini libici).
• Può trattarsi di una persona fisica o giuridica (società,
associazione, ecc.).
• Il soggetto deve essere personalmente e direttamente
vittima della violazione che denuncia. Non può lamentarsi
di una legge o di un altro atto in termini generali, ad
esempio perché lo ritiene ingiusto. Allo stesso modo, non
gli è consentito introdurre delle doglianze a nome di altre
persone (a meno che tali persone non siano chiaramente
identificate ed egli non sia il loro rappresentante ufficiale).
Condizioni pregiudiziali: versante interno
 Il soggetto deve avere esaurito, nello Stato in questione, tutti i
ricorsi suscettibili di porre rimedio alla situazione denunciata
(si tratta, nella maggior parte dei casi, di un’azione dinanzi al
tribunale competente, seguita all’occorrenza da un appello e da
un ricorso presso una giurisdizione superiore come la Corte
suprema o la Corte costituzionale).
 L’esercizio di questi ricorsi non è di per sé sufficiente: è
necessario anche che il soggetto abbia puntualmente sollevato
la violazione della Convenzione nell’ambito dei suddetti ricorsi.
 A partire dalla data della decisione interna definitiva (in
generale il giudizio pronunciato dall’istanza giurisdizionale più
alta in grado), decorre il termine di sei mesi (quattro quando
entrerà in vigore il Protocollo 15 CEDU) per introdurre il
ricorso. Una volta scaduto tale termine, il ricorso sarà
dichiarato irricevibile dalla Corte.
Altre condizioni di ricevibilità del ricorso ex art.
35 CEDU
• il ricorso non deve essere anonimo : non è esclusa, a richiesta del
ricorrente, l’omessa menzione del suo nome negli atti. In questa
circostanza, il caso può essere indicato con l’iniziale del nome o del
cognome o altra lettera alfabetica – es. CO.DU. X. c. Austria, 9 feb. 2013,
in materia di adozione da parte di coppia omosessuale; CO.D.U., Y.Y. C.
Turchia, 10 marzo 2012, in materia di rettificazione di attribuzione di
sesso);
• non deve essere essenzialmente identico ad uno precedentemente
esaminato dalla Corte o già sottoposto ad un’altra istanza internazionale
d’inchiesta o di risoluzione se non contenga fatti nuovi (si ribadisce la
regola del ne bis in idem);
• il ricorso deve essere compatibile con le disposizioni della Convenzione o
dei suoi Protocolli e non abusivo. Per quanto riguarda l’abusività, si
guarda ad eventuali comportamenti sleali del ricorrente: fornire
informazioni false, perseguire scopi diversi da quelli della Convenzione,
omettere di comunicare alla Corte l’avvenuta riparazione a livello
nazionale.
La sussistenza di un pregiudizio importante
come condizione di ricevibilità
L’art. 12 del Protocollo 14 CEDU aveva introdotto
nell’art. 35 CEDU un nuovo “filtro”: il ricorso poteva
essere dichiarato inammissibile (rectius, irricevibile)
qualora il ricorrente non avesse subìto un
“pregiudizio importante”, e sempre che nel merito
della causa si fosse già pronunciato un giudice
interno.
Tale ultimo riferimento, relativo al previo pronunciamento
di un giudice nazionale, è stato, tuttavia,
eliminato dal Protocollo n. 15.
Contro chi è possibile
presentare ricorso?
• Contro uno o più Stati membri della Convenzione
che si ritiene abbia/no (per azione od omissione
che concerne il soggetto direttamente
e
personalmente) violato la Convenzione europea
dei Diritti dell’Uomo.
• L’atto o gli atti contestati devono emanare da
un’autorità pubblica di questo/questi Stato/Stati
(ad esempio da un tribunale o da
un’amministrazione pubblica).
• La Corte non può esaminare le doglianze dirette
contro singoli o contro organismi di diritto privato,
come le società commerciali.
Oggetto del ricorso
 Il ricorso deve obbligatoriamente vertere su uno dei diritti previsti
dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Questo include
un’ampia gamma di possibili violazioni.
 Davanti alla Corte, non è possibile lamentarsi della violazione di uno
strumento giuridico diverso dalla Convenzione europea dei Diritti
dell’Uomo, quali ad esempio la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo o la Carta dei diritti fondamentali (Carta di Nizza).
Procedura pilota: il riferimento normativo
 Art. 61 del Regolamento interno della Corte (inserito il 21 febbraio 2011):
 1. La Corte può decidere di applicare la procedura della sentenza pilota e adottare una
sentenza pilota quando i fatti all’origine di un ricorso presentato innanzi ad essa rivelano
l’esistenza, nella Parte contraente interessata, di un problema strutturale o sistemico o di
un’altra disfunzione simile che ha dato luogo o potrebbe dare luogo alla presentazione di
altri ricorsi analoghi.
 2. a) Prima di decidere di applicare la procedura della sentenza pilota, la Corte deve invitare
le parti a comunicare se, a loro avviso, all'origine del ricorso da esaminare vi è un problema o
una disfunzione di questo tipo nella Parte contraente interessata e se il ricorso si presta a
questa procedura.
 b) La Corte può decidere di applicare la procedura della sentenza pilota d’ufficio o su
richiesta di una o di entrambe le parti.
 c) Ai ricorsi per i quali si è deciso di applicare la procedura della sentenza pilota deve essere
riservato un esame prioritario ai sensi dell'articolo 41 del regolamento della Corte. 57
 3. La Corte deve indicare nella sentenza pilota da essa adottata la natura del problema
strutturale o sistemico o della disfunzione da essa constatata e il tipo di misure riparatorie
che la Parte contraente interessata deve prendere a livello interno in applicazione del
dispositivo della sentenza.
 4. La Corte, nel dispositivo della sentenza pilota da essa adottata, può fissare un termine
per l’adozione delle misure menzionate al precedente punto 3, tenendo conto della natura
delle misure richieste e della rapidità con cui può porsi rimedio, a livello interno, al problema
da essa constatato.
Segue: articolo 61 Reg. int.
 5. Quando adotta una sentenza pilota, la Corte può riservarsi in tutto o in parte l’esame della
questione dell’equa soddisfazione, in attesa che la Parte contraente convenuta adotti le misure sia
individuali che generali indicate nella sentenza.
 6. a) All’occorrenza, la Corte può rinviare l’esame di tutti i ricorsi che traggono origine da uno
stesso motivo in attesa dell’adozione delle misure riparatrici indicate nel dispositivo della sentenza
pilota.
 b) I ricorrenti interessati sono informati della decisione di rinvio nella forma che conviene. Se
necessario, viene loro notificato ogni nuovo elemento riguardante la loro causa.
 c) La Corte può in qualsiasi momento esaminare un ricorso rinviato se ciò è necessario
nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia.
 7. Quando le parti in una causa pilota giungono a una composizione amichevole, quest’ultima deve
contenere una dichiarazione della Parte contraente convenuta riguardante l'attuazione delle
misure generali indicate nella sentenza e delle misure riparatrici in favore degli altri ricorrenti,
dichiarati o potenziali.
 8. Se la Parte contraente interessata non si conforma al dispositivo della sentenza pilota, la Corte,
salvo decisione contraria, riprende l’esame dei ricorsi che sono stati rinviati in applicazione del
precedente punto 6.58
 9. Il Comitato dei Ministri, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il Segretario
generale del Consiglio d’Europa ed il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa
sono informati sistematicamente dell’adozione di una sentenza pilota o di qualsiasi altra sentenza
in cui la Corte segnali l’esistenza di un problema strutturale o sistemico all’interno di una Parte
contraente.
 10. Le informazioni riguardanti la decisione di trattare un ricorso seguendo la procedura della
sentenza pilota, l’adozione di una sentenza pilota, la sua esecuzione e la chiusura della procedura
sono pubblicate sul sito Internet della Corte.
Come nasce la procedura pilota
 Risoluzione (2004)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa, adottata il 12 maggio 2004, in tema di “judgments
revealing an underlying systemic problem”, in cui il Comitato
invita la Corte EDU “a specificare, nelle proprie pronunce,
cosa si intenda per violazione sistematica e la causa di tale
violazione, soprattutto quando ciò sia suscettibile di dare
luogo a molteplici applicazioni, così da assistere gli Stati
nell’individuazione delle misure più appropriate e il Comitato
dei Ministri nel controllo sullo stato di esecuzione delle
sentenze”.
Segue:
High Level Conference on the Future of the European Court
of Human Rights
 Interlaken Declaration (19 febbraio 2010): si incoraggiano i singoli Stati a
cooperare con il Comitato dei Ministri “after a final pilot judgment” per
l’adozione di misure generali capaci di porre rimedio in modo efficace ai
problemi strutturali all’origine del proliferare di ricorsi ripetitivi (Action
Plan, art. 7, lett. B, p.to D);
 Izmir Declaration (26-27 aprile 2011): la Conferenza accoglie con favore
la formalizzazione della procedura pilota all’art. 61 Reg. int. Della Corte
EDU (Follow up Plan, art. 5, p.to F);
 Brighton Declaration (19-20 aprile 2012): si ribadisce la necessità di
ricorrere alla procedura pilota al fine di porre rimedio efficacemente alle
violazioni strutturali, invitando gli Stati, il Comitato dei Ministri e la Corte a
collaborare nella corretta individuazione delle misure più idonee a
fronteggiare i ricorsi derivanti da problemi sistematici (art. 20, lett. c) e d),
p.to D).
La procedura pilota
• Con la procedura pilota la Corte condanna lo Stato per un
vizio strutturale dell’ordinamento, assegnando un termine
per la restaurazione della legalità violata e per l’esame degli
altri ricorsi analoghi (es. sentenza Torreggiani c. Italia dell’8
gennaio 2013 in materia di sovraffollamento carcerario;
sentenza M.C. e al. c. Italia, del 3 settembre 2013 in materia
di indennizzo per danno da emotrasfusione).
Seguito della sentenza Torreggiani: Corte cost.
n. 279/2013
 “Lo statuto costituzionale e quello convenzionale del divieto
di trattamenti contrari al senso di umanità confermano
l’esigenza che l’ordinamento appresti i necessari rimedi di
tipo “preventivo” a tutela del detenuto. Questi rimedi
possono essere innanzi tutto “interni” al sistema
penitenziario, e quindi tali da comportare, in casi come quelli
oggetto delle ordinanze di rimessione, non già la sospensione
dell’esecuzione carceraria della pena, ma, ad esempio, più
semplicemente, lo spostamento del detenuto in un’altra
camera di detenzione o il suo trasferimento in un altro istituto
penitenziario”.
segue
 “Esiste dunque, in primo luogo, uno spazio per interventi
dell’amministrazione penitenziaria che devono essere indirizzati alla
salvaguardia, congiuntamente, del diritto a non subire trattamenti
disumani e della finalità rieducativa della pena, perché il contesto «non
dissociabile» nel quale vanno collocati i due princìpi delineati dal terzo
comma dell’art. 27 Cost. esclude l’ammissibilità di interventi che, allo
scopo di porre rimedio a una lesione del primo, determinino una
compromissione della seconda.”
 “Come ha rilevato fondatamente la sentenza Torreggiani, considerate le
dimensioni strutturali del sovraffollamento carcerario in Italia è facile
immaginare che le autorità penitenziarie non siano sempre in grado di dare
esecuzione alle decisioni dei magistrati di sorveglianza e di garantire ai reclusi
condizioni detentive conformi alla CEDU. Perciò deve riconoscersi che il
sovraffollamento carcerario può nella realtà assumere dimensioni e caratteristiche
tali da tradursi in trattamenti contrari al senso di umanità e da rendere al tempo
stesso impraticabili i rimedi “interni” di cui si è parlato. In questi casi occorre un
rimedio estremo, il quale, quando non sia altrimenti possibile mediante le
ordinarie misure dell’ordinamento penitenziario, permetta una fuoriuscita del
detenuto dal circuito carcerario, eventualmente correlata all’applicazione nei suoi
confronti di misure sanzionatorie e di controllo non carcerarie”.
segue
 “Da vari punti di vista, dunque, risulta la pluralità di possibili
configurazioni dello strumento normativo occorrente per
impedire che si protragga un trattamento detentivo
contrario al senso di umanità, in violazione degli artt. 27,
terzo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione
quest’ultimo all’art. 3 della CEDU, e a fronte di tale pluralità, il
«rispetto della priorità di valutazione da parte del legislatore
sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine
costituzionalmente necessario» (sentenza n. 23 del 2013)
comporta una dichiarazione di inammissibilità delle
questioni.” (sent. n. 279 del 2013)
Seguito normativo della sentenza Torreggiani
•
Legge n. 117 dell’ 11 agosto 2014 (conv. D.L. n. 92 del 2014):
Art. 1. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 1. «Articolo 35-ter (Rimedi
risarcitori conseguenti alla violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di
soggetti detenuti o internati). - 1. Quando il pregiudizio … consiste, per un periodo
di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da
violare l'articolo 3 della CEDU (…) su istanza presentata dal detenuto,
personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato
di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della
pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci
durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio. 2. Quando il periodo di
pena ancora da espiare e' tale da non consentire la detrazione dell'intera misura
percentuale di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al
richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno,
una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha
subito il pregiudizio.
Nello stesso modo dispone il magistrato di sorveglianza nel caso in cui il periodo
di pena da espiare sia inferiore ai quindici giorni.
Il Protocollo n. 14 CEDU
• Adottato il 13 maggio 2004, entrato in vigore nel 2010.
Casi ripetitivi. L’art. 28 CEDU, come novellato dall’art. 8 del Protocollo n. 14, esclude la
ricevibilità dei ricorsi che siano oggetto di “giurisprudenza consolidata della Corte”.
• Art. 41 del Regolamento di Procedura della Corte: ordine di trattazione dei ricorsi
pendenti sulla base della "rilevanza e urgenza". In particolare, si hanno:
-ricorsi urgenti (ad esempio nel caso in cui sia a rischio per la vita o la salute del
ricorrente);
-ricorsi suscettibili di avere un impatto sul sistema convenzionale ovvero ricorsi riguardanti
questioni di interesse generale;
- ricorsi che lamentano principalmente la violazione degli artt. 2, 3, 4 o 5 della
Convenzione;
-ricorsi manifestamente fondati;
-ricorsi ripetitivi;
- ricorsi che presentano problemi di ammissibilità;
-ricorsi manifestamente inammissibili.
Protocollo n. 14 CEDU: segue
• Viene istituito il giudice in composizione monocratica (non
può essere il giudice nazionale dello Stato parte della
controversia) competente unicamente a dichiarare irricevibili i
ricorsi, ovvero a cancellarli dal ruolo ove non risulti necessario
alcun esame. Nel caso di dichiarazione di ricevibilità il giudice
unico dovrà rinviare l'esame del ricorso al comitato dei 3
giudici o alla camera dei 7.
• Una nuova condizione di ricevibilità (ex art. 35 CEDU): oltre
all'esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte dichiara
irricevibile qualsiasi ricorso individuale qualora ritenga che il
ricorrente non abbia subìto alcun importante pregiudizio, a
meno che il rispetto dei diritti dell'uomo garantiti dalla
Convenzione e dai suoi Protocolli non esiga un esame del
ricorso nel merito [e a patto di non rigettare, per questa
ragione, alcuna causa che non sia stata debitamente esaminata
da un tribunale interno (Periodo eliminato dal Protocollo 15)].
Comitato dei Ministri:
nuovo articolo 46 CEDU
Il protocollo n. 14 CEDU ha introdotto all’art. 46 i parr. 3,
4 e 5, che disciplinano rispettivamente:
 la possibilità per il Comitato dei Ministri di ottenere
dalla Corte una sentenza interpretativa ogni volta che
l'esecuzione di un precedente giudicato sia resa più
problematica da una difficoltà di comprensione ed
interpretazione della volontà della Corte (par. 3);
 Procedura d’infrazione: il Comitato dei Ministri potrà
sottoporre alla Grande Camera la mancata esecuzione
di una condanna da parte di uno Stato (par. 4 e 5).
Il Protocollo n. 15 CEDU
• Adottato il 24 giugno 2013, dopo il parere positivo adottato
dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 26 aprile
2013.
• Riafferma il principio di sussidiarietà e la dottrina del margine di
apprezzamento (art. 1).
• Termine per presentare ricorso: da sei a quattro mesi dalla data di
pubblicazione della sentenza definitiva interna (art. 4).
• È eliminato il riferimento alla condizione di ricevibilità di cui
all’articolo 35, paragrafo 3, comma b, della Convenzione, ovvero
l’obbligo di trattare un caso che non sia stato debitamente
esaminato da un tribunale interno (art. 5), eliminando le seguenti
parole «e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun
caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale
interno». Di fatto, riduce la possibilità di richiedere tutela.
Protocollo 16 CEDU: cosa cambia?
• Adottato il 2 ottobre 2013; non ancora entrato in vigore.
• Il Protocollo introduce una sorta di rinvio preventivo da parte dei tribunali
nazionali di ultima istanza (art. 10) alla Corte Edu per ottenere un parere
consultivo (non vincolante) sull’interpretazione ed applicazione della
relativa Convenzione, sulla falsariga del rinvio pregiudiziale alla Corte di
Lussemburgo ex art. 267 TFUE.
• I giudici nazionali, seppure con talune limitazioni, potranno sospendere il
procedimento in corso e chiedere alla Corte europea un parere consultivo
su una questione di principio relativa all’applicazione della Convenzione
europea e dei suoi Protocolli.
• L’art. 10 del Protocollo prevede che ogni Parte contraente comunichi al
momento della firma o del deposito della ratifica l’elenco degli organi
giurisdizionali che possono richiedere parere consultivo su una questione
di principio attinente all’interpretazione e/o all’applicazione delle
disposizioni CEDU e dei Protocolli addizionali dinanzi alla Corte di
Strasburgo.
• Il Protocollo entrerà in vigore tre mesi dopo la sua ratifica da almeno dieci
Stati Membri.
Art. 6, Trattato UE
1.
L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12
dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze
dell'Unione definite nei trattati.
I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle
disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua
interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa
riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
2.
L'Unione aderisce (testo inglese: shall accede) alla Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale
adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.
3.
I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto
dell'Unione in quanto principi generali.
Sull’incorporazione dell’UE alla CEDU:
alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa italiana
(smentite dalla Corte costituzionale)
• Consiglio di Stato sentenza n. 1220 del 2010  le norme
della
CEDU
sarebbero
direttamente
applicabili
nell’ordinamento interno, a seguito della modifica dell’art.
6 del Trattato sull’Unione europea  conseguente
disapplicazione delle norme interne confliggenti .
• TAR Lazio, sez. II bis sentenza n. 11984 del 2010  il
riconoscimento dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU
come principi interni al diritto dell'Unione rende le norme
della Convenzione immediatamente operanti negli
ordinamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione 
conseguente disapplicazione delle norme interne
confliggenti.
Accordo di adesione UE-CEDU
• Nei giorni tra il 3 e il 5 aprile del 2013, a Strasburgo, si è
provveduto alla formale redazione da parte del gruppo
47+1 (47 Stati parte del Consiglio d’Europa più l’Unione
europea) della bozza di adesione dell’UE (sia sostanziale
che procedurale-amministrativa) alla CEDU.
• Questa, sebbene rappresenti l’ipostatizzazione del dettato
dell’art. 6 TUE, non dispiegherà i propri effetti prima di un
articolato procedimento che prevede:
- da un lato, la sottoposizione alla Corte di giustizia per
vagliarne la compatibilità con il più generale sistema dei
Trattati e il voto (all’unanimità) del Consiglio dell’Unione;
- dall’altro, la ratifica da parte dei 47 Stati appartenenti al
sistema del Consiglio d’Europa.
L’Accordo di adesione …
 … prevede che gli atti dell’UE possano essere sottoposti direttamente al
vaglio della Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani.
 all'art. 3, … prevede un'apposita procedura mediante la quale l'Unione
Europea possa essere chiamata a rispondere, in qualità di “coconvenuta”, ogniqualvolta uno Stato membro sia ritenuto responsabile
di una violazione convenzionale derivante dall'applicazione del diritto
europeo, e gli Stati membri possano essere chiamati a rispondere, in
qualità di “co-convenuti”, ogniqualvolta sia l'Unione ad essere ritenuta
responsabile di una violazione convenzionale derivante dai Trattati.
 … ai sensi dell’art. 3, par. 6, è prevista l'estensione all'Unione Europea di
talune categorie applicate agli Stati, quale il concetto di giurisdizione di
cui all'art. 1 CEDU che per l'Unione Europea diverrà la somma delle
giurisdizioni degli Stati membri.
 … non modifica le competenze dell’Unione definite dai Trattati e dall’art.
59, comma 2, CEDU (“L'Unione europea può aderire alla presente
Convenzione”).
Una battuta d’arresto nel processo di adesione
dell’UE alla CEDU: il parere n. 2/13 CGUE
• Il parere negativo è stato pronunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione
europea ai sensi dell’art. 218 TFUE e si compone di otto sezioni.
• Sulla ricevibilità della domanda di parere della Commissione
La Corte, ricordando il precedente parere 2/94, afferma che per consentire
alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità delle disposizioni di un
“accordo previsto” con i Trattati, è necessario che essa disponga degli
elementi sufficienti in merito al contenuto di tale accordo (punto 147). Nel
caso di specie, la Commissione aveva provveduto a trasmettere tutti i
progetti degli strumenti di adesione. La Corte ritiene di disporre degli
elementi sufficienti per poter pronunciare il proprio parere.
Segue
 La mancanza di coordinamento tra l’art. 53 CEDU e l’art. 53
della Carta di Nizza
La Corte osserva che l’interpretazione ad opera della Corte di Strasburgo
vincolerebbe l’Unione e le sue Istituzioni, mentre l’interpretazione dei diritti
contenuti nella CEDU fornita dalla Corte di giustizia non potrebbe vincolare la
Corte EDU (185).
Secondo la Corte «le valutazioni della Corte [di Lussemburgo] relative all’ambito di
applicazione sostanziale del diritto dell’Unione, al fine in particolare di stabilire se
uno Stato membro sia tenuto a rispettare i diritti fondamentali dell’Unione, non
dovrebbero poter essere messe in discussione dalla Corte EDU» (186). In
particolare, la Corte chiarisce come «l’articolo 53 della Carta stabilisca che
nessuna disposizione di quest’ultima deve essere interpretata come limitativa o
lesiva dei diritti fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione,
dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali
delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla CEDU,
nonché dalle costituzioni degli Stati membri» (187).
Art. 53 CEDU e art. 53 Carta di Nizza: segue
•
Art. 53 CEDU: Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere
interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà
fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte
contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi.
•
Art. 53 Carta Nizza: Nessuna disposizione della presente Carta deve essere
interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto
dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali
l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare
la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri.
•
In conclusione, a parere della Corte, occorrerebbe coordinare l’art. 53 della Carta
con l’art. 53 della CEDU, «affinché la facoltà concessa dall’articolo 53 della CEDU
agli Stati membri resti limitata, per quanto riguarda i diritti riconosciuti dalla
Carta corrispondenti a diritti garantiti dalla citata convenzione, a quanto è
necessario per evitare di compromettere il livello di tutela previsto dalla Carta
medesima, nonché il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione» (189).
L’equiparazione dell’Unione ad uno Stato e il rapporto tra
Stati membri
 La Corte censura «l’approccio adottato nell’ambito dell’accordo previsto,
consistente nell’equiparare l’Unione ad uno Stato e nel riservare ad essa
un ruolo del tutto identico a quello di qualsiasi altra Parte contraente».
Tale approccio, infatti, «contravviene [..] alla natura intrinseca dell’Unione
e, in particolare, omette di considerare il fatto che gli Stati membri, in
virtù della loro appartenenza all’Unione, hanno accettato che i loro
reciproci rapporti, relativamente alle materie costituenti l’oggetto del
trasferimento di competenze dagli Stati membri all’Unione stessa, fossero
disciplinati dal diritto di quest’ultima, con esclusione, se così prescritto da
tale diritto, di qualsiasi altro diritto» (193).
 Secondo la Corte, infatti, tale equiparazione e la possibilità per gli Stati
membri di adire la CEDU anche per violazioni derivanti dall’applicazione
del diritto comunitario minerebbero la fiducia reciproca tra gli Stati
membri e sarebbero, dunque, incompatibile con il sistema dell’Unione.
Il mancato coordinamento tra Protocollo 16 CEDU e rinvio
pregiudiziale ex art. 267 TFUE
 Nell’ipotesi in cui la CEDU, per effetto dell’adesione, divenisse
parte integrante del diritto dell’UE ex art. 216, par. 2 TFUE, la
richiesta di parere interpretativo sui diritti e le libertà garantiti
dalla CEDU potrebbe, in linea teorica, sostituire il rinvio
pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE (196-197).
 Si pone il problema di coordinare i due strumenti di dialogo
intergiudiziario – da una parte, rinvio pregiudiziale alla CGUE,
dall’altra, il parere preventivo consultivo alla Corte EDU – al
fine di evitare che il ricorso a quest’ultimo possa costituire un
modo di eludere la sottoponibilità al primo.
L’art. 344 TFUE
 Secondo la Corte di giustizia, il Progetto di accordo si pone in contrasto
anche con l’art. 344 TFUE, che prevede l’obbligo per gli Stati di non
sottoporre una controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione
dei trattati ad un modo di composizione diverso da quello previsto da
questi ultimi.
 Secondo la Corte, il ricorso interstatale di cui al citato art. 33 CEDU è
suscettibile di trovare applicazione a qualsiasi Parte contraente, e dunque
anche alle controversie tra gli Stati membri o (dopo le menzionate
modifiche di cui all’art. 59 CEDU) tra questi e l’Unione allorché viene in
discussione il diritto dell’Unione. Dunque, tramite l’art. 33 CEDU,
potrebbero sottrarsi alla Corte di giustizia le controversie che le sono
obbligatoriamente ed esclusivamente attribuite ex art. 344 TFUE.
 In particolare, secondo la Corte di giustizia, «soltanto un’espressa
esclusione della competenza della Corte EDU risultante dall’articolo 33
della CEDU per eventuali controversie tra gli Stati membri, ovvero tra
questi e l’Unione, relative all’applicazione della CEDU nell’ambito di
applicazione sostanziale del diritto dell’Unione, sarebbe compatibile con
l’articolo 344 TFUE» (213).
Il meccanismo del convenuto aggiunto
 Art. 3, par. 2, progetto di accordo: quando un ricorso è proposto contro uno o più Stati
membri, l’Unione europea può partecipare al procedimento in qualità di convenuto
aggiunto se appare che la violazione contestata metta in discussione la compatibilità con la
CEDU di una norma del diritto dell’Unione europea, specie quando detta violazione avrebbe
potuto essere evitata dai sistemi nazionali tramite l’inosservanza della norma dell’Unione.
 Il successivo par. 3 dell’art. 3 prevede che, quando un ricorso è proposto nei confronti
dell’Unione europea, gli Stati membri possono intervenire in qualità di convenuto aggiunto,
se appare che la violazione contestata metta in discussione una norma del TUE, del TFUE o di
ogni altra disposizione con il medesimo valore giuridico, soprattutto quando detta violazione
avrebbe potuto essere evitata unicamente mediante l’inosservanza di tali disposizioni.
 L’intervento del convenuto aggiunto può avvenire su invito della Corte di Strasburgo o su
richiesta della stessa Parte contraente già convenuta o che intende partecipare secondo
questo meccanismo. Secondo la CGUE, la Corte EDU, verificando, di fatto, i presupposti ai
fini della suddetta procedura, si troverebbe a sindacare anche le norme del diritto
dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra quest’ultima e i suoi Stati
membri, nonché i criteri di imputazione degli atti o delle omissioni ai medesimi.
 Un tale controllo per la Corte di giustizia è inammissibile, perché rischierebbe di incidere
sulla ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri (225).
Il convenuto aggiunto: segue
•
L’art. 3, par. 7, del Progetto di adesione stabilisce che, in linea di principio,
convenuto principale e aggiunto sono ritenuti congiuntamente responsabili. Di
conseguenza, uno Stato potrebbe essere ritenuto responsabile della violazione di
una norma CEDU anche nel caso in cui abbia formulato riserve rispetto a
quest’ultima. Ciò si pone in contrasto con il Protocollo 8 relativo all’art. 6, par. 2,
TUE, in forza del quale l’accordo di adesione deve garantire che nessuna delle sue
disposizioni incida sulla situazione particolare degli Stati membri nei confronti
della CEDU e, segnatamente, in relazione alle riserve formulate riguardo a
quest’ultima (228).
•
Inoltre, la Corte di giustizia censura anche la previsione dell’art. 3, par. 7, del
progetto di accordo, ai sensi della quale la Corte EDU, dopo aver sentito le
osservazioni del ricorrente, può decidere che solo uno dei soggetti sopra indicati
(convenuto e convenuto aggiunto) venga dichiarato responsabile di tale
violazione.
Anche in questo caso, secondo la Corte, vi sarebbe il rischio di interferire con le
competenze della Corte di giustizia e sui rapporti tra Unione e Stati membri.
•
Il previo coinvolgimento della Corte di giustizia
 Ai sensi dell’art. 3, par. 6, del Progetto di adesione, nei procedimenti in cui
l’Unione europea è parte in qualità di convenuto aggiunto, se la Corte di giustizia
non si è già pronunciata sulla compatibilità, con i diritti previsti dalla CEDU o dai
suoi Protocolli rilevanti nel caso di specie, delle disposizioni del diritto dell’Unione
di diritto derivato o primario, deve essere concesso un tempo sufficiente alla
stessa per effettuare tale valutazione, nonché alle parti in causa dinanzi alla Corte
EDU, per presentare le proprie osservazioni.
 Secondo la Corte, tale procedura dovrebbe strutturarsi «in modo tale che, per ogni
causa pendente dinanzi alla Corte EDU, venga trasmessa un’informazione
completa e sistematica all’Unione, affinché la competente istituzione di
quest’ultima sia messa in condizione di valutare se la Corte si sia già pronunciata
sulla questione costituente l’oggetto di tale causa e, in caso negativo, di ottenere
l’attivazione di detta procedura» (241).
 La Corte evidenzia che «se non fosse permesso alla Corte [di giustizia di] fornire
l’interpretazione definitiva del diritto derivato e se la Corte EDU, nel suo esame
della conformità di tale diritto alla CEDU, dovesse fornire essa stessa
un’interpretazione determinata tra quelle che sono plausibili, il principio della
competenza esclusiva della Corte quanto all’interpretazione definitiva del diritto
dell’Unione verrebbe senz’altro violato» (246).
Il controllo giurisdizionale in materia
di PESC
• Secondo la Corte di giustizia, «per effetto dell’adesione nei termini
contemplati dall’accordo previsto, la Corte EDU sarebbe legittimata a
pronunciarsi sulla conformità alla CEDU di determinati atti, azioni od
omissioni posti in essere nell’ambito della PESC e, in particolare, di quelli
per i quali la Corte non ha competenza a verificare la loro legittimità in
rapporto ai diritti fondamentali» (254). Dunque, il controllo su tali atti
sarebbe di fatto attribuito ad un organo esterno all’Unione.
• Per ovviare a tale circostanza, secondo la Corte, sarebbe sufficiente
ricorrere ad una revisione dei Trattati ai sensi dell’art. 48 TUE, estendendo
il controllo della Corte di giustizia anche su tali atti.