IL MURO. L’ipotesi basamentale
La concezione di uno spazio di tipo basamentale riconduce a un’ipotesi
strutturale perseguita sulle orme di un’idea tettonica della massività del
blocco di pietra.
Il basamento, all’opposto del muro inteso nella qualità di recinto, propone,
nella analogia suggerita, una forma dello spazio in negativo,
assoggettandone la conformazione a un principio di sottrazione della materia.
Stratificazioni organiche
Seguendo un processo di stratificazione organica per elementi orizzontali, la
costruzione complessiva si sviluppa come modellazione e modificazione della
linea di terra, determinando così la la forma architettonica quale naturale
prosecuzione della massa terrestre.
La corporeità e la tattilità della costruzione, nella concezione basamentale
dello spazio architettonico, evocano quella parte della geologia che si occupa
delle articolazioni del terreno naturale. D’altronde, ragionando sulla etimologia
della parola tettonica, per il vocabolario italiano, si intende, oltre l’arte del
costruire, quella parte della geologia che si occupa dello studio delle
deformazioni della crosta terrestre: pieghe, falde, faglie ecc.
Peraltro, nell’idea semperiana (Gotfried Semper, I quatto elementi
dell’architettura), se l’arte della costruzione lignea viene associata alla figura
del tetto e l’arte muraria di origine tessile alla figura del recinto; alle opere di
sistemazione idro-geologica (opere idrauliche) e alle opere di sostruzione
(muratura dal terrapieno) viene associata la logica tettonica della costruzione
basamentale.
Il procedimento compositivo sullo spazio di una struttura concepita seguendo
l’analogia basamentale ricorre alla operazione del sezionare, del cavare le
parti. Gli spazi interni della costruzione basamentale risultano essere scavati
e sezionati; essi diventano luoghi cavernosi misurati, nella profondità, dalla
sovrapposizione degli strati orizzontali; gli spazi più che costruiti, appaiono
erosi geometricamente nella massa architettonica del corpo dell’edificio.
Il muro segue un processo di stratificazione organica che lo fonde alla
naturalità della terra, le trasmutazioni formali degli elementi orizzontali
rivelano le tracce di una sezione geologica, trasferendo la tensione verso
l’orizzontalità nel carattere della tettonica, nella identità degli elementi, nella
sintassi delle forme adottate.
Terme di Vals. Zumthor
Un grande volume di pietra, coperto di erba,
costruito in continuità con la montagna: é
questa l’immagine forte trasmessa dalla
costruzione delle Terme di Peter Zumthor
(Vals, Grigioni, 1991-1996). “Indifferente a
modelli formali rigidi”, la struttura fissa un
equilibrio tra l’organicità della forma rocciosa
e l’artificio dell’elemento architettonico,
stabilendo una relazione interattiva tra
naturalità e astrazione.
Tutto il progetto appare dominato dal
principio della stratificazione orizzontale che
attraversa lo spazio interno continuo, simile
a un “sistema geometrico di caverne”, spazio
costruito secondo l’operazione compositiva
dello scavo della massa muraria. Un
principio costruttivo di radicale semplicità si
associa all’interpretazione di uno spazio
elementare; il pilastro “murario” porta una
spessa lastra di copertura concettualmente
monolitica: “pietra che porta pietra”. Si tratta
di una costruzione priva di architravi che,
anche se realizzata con una tecnica mista
che prevede la combinazione, per le pareti,
del calcestruzzo armato con la pietra,
riassume l’elementarietà delle strutture
arcaiche.
Il pilastro non è assunto come elemento
costruttivo reiterabile, lo spazio dunque non
è connotato dalla logica ritmica della
struttura verticale; questa si configura nella
disposizione apparentemente casuale di
“frammenti” litici organizzati in sequenze di
spazi concatenati in successione
I sostegni sono elementi di massa straordinaria che rimandano alle forme degli
spazi ipogei; come nella tomba rupestre di Sinepower a Assuan, come nel
Museo della Crimea e delle provincie del Caucaso di Schinkel, le proporzioni
della struttura verticale non rimandano all’atto del sostenere, non solo a quello;
alla rappresentazione della condizione ctonia dello spazio sono commisurati gli
elementi verticali della struttura. A esaltare la condizione di spazio scavato
contribuisce l’articolazione dislivellata del piano orizzontale interno; i pilastri
murari non sembrano poggiati su esso, ma, in modo congruente all’idea
tettonica, appaiono connaturati alla forma del suolo. La superficie materica ne
ripropone la stratigrafia della roccia.
La stratificazione uniforme della pietra riconduce all’idea di una costruzione
monolitica”, gli elementi murari appaiono non costruiti, ma ricavati per
sottrazione di materia; la logica conseguenza è la mancanza di allineamenti, la
disposizione ‘libera’, apparentemente casuale, sempre mirata a ‘chiudere’ gli
spazi interni per lasciare traguardare l’esterno solo attraverso piccoli scorci
prospettici.
La copertura, un grande piano perfettamente orizzontale, riequilibra la
complessità dello spazio interno. Grandi lastre in cemento armato, come i
massicci blocchi di pietra delle costruzioni megalitiche, poggiano sui blocchi
murari; a ogni pilastro corrisponde, in copertura, uno spesso piano orizzontale
che aggetta in maniera non simmetrica sui quattro lati. Se è la struttura
cementizia a rispondere alle sollecitazioni dei carichi sulla copertura,
visivamente e architettonicamente è l’inerzia della massa muraria a spiegare la
condizione statica della struttura orizzontale in riferimento al principio tettonico
adottato. Lo spazio risulta così ricavato da “una massa omogenea di pietra”.
Tra le lastre di copertura la necessità del giunto si coniuga al dispositivo
luministico dell’intero complesso; i tagli ricavati nella copertura lasciano appena
filtrare la luce, lo spazio risulta ombroso, fendenti raggi di luce penetrano
all’interno, tra le fessure della copertura, misurando con la mutevolezza della
propria naturalità, la fissità e la grevità dello spazio.
“Platforms”.Stereotomia della
forma architettonica.
L’analogia
basamentale
introduce anche al concetto di
piattaforma, Al tema della
ridefinizione architettonica della
linea di terra si associa il
concetto di modellazione e di
deformazione: la stereotomia
della
forma
architettonica
introduce a una costruzione
interpretata
quale
podio
acropolico,
punto
di
osservazione privilegiato nel
paesaggio.
Nella costruzione acropolica del
podio, la forma della costruzione
si modella in qualcosa di più
naturale; come nel tempio a
terrazze di Deyr el-Bahri, come
nel Santuario della Fortuna
Primigenia, come nella casa
Malaparte di Libera; tra il suolo
supporto e la struttura
architettonica si instaura un
rapporto che assoggetta la
forma architettonica alle forme
della crosta terrestre.
Nel progetto di concorso per la Filarmonica
di Copenaghen, del 1993, Alberto Campo
Baeza immagina una “roccia” scavata
internamente per accogliere gli spazi necessari
previsti dal programma funzionale. Alla
stereotomia della massa architettonica,
nell’interno della quale sono ricavati gli spazi
destinati alle sale musicali, si contrappone
dialetticamente il sovrastante volume cristallino
che ospita gli spazi “definiti in funzione del loro
valore
panoramico” –foyer, ristorante,
biblioteca. Il granito grigio chiaro è il materiale
pensato per la massa rocciosa del podio
basamentale; la costruzione vitrea, è indicata
totalmente trasparente, per sublimare il
rapporto contemplativo con il paesaggio.
La costruzione di tipo acropolico-basamentale è
espressa nella trasfigurazione lenta dal
naturale all’artificiale; dalla struttura geologica
del suolo naturale, alla struttura tettonica dello
spazio architettonico, lo spazio segue un
processo lineare che fonde il piano sul quale la
struttura si poggia, ai volumi stereotomici dello
stesso edificio. Nella Filarmonica i prosceni
costruiti con il corpo solido della materia
architettonica sono disposti in successione
continua. I cinque piani terrazzati sono collegati
tra essi da scale che, con il loro tracciato,
definiscono l’ascesa processionale alla
sommità; solo le rampe di collegamento tra
essi, intaccano plasticamente, la rigorosa
stereometricità del complesso architettonico.
“Da qui essi possedevano il cielo, le nuvole e la brezza, mentre,
inaspettatamente, la sommità […]veniva trasformata in una grande
piana aperta. Con questo espediente architettonico essi avevano
completamente trasformato il paesaggio e dotato la loro vita visiva di
una grandezza che corrispondeva alla grandezza delle loro divinità”,
scriveva Jørn Utzon ritornato dal viaggio in Messico dove aveva
visitato le rovine Maya di Chichén Itzá e di Uzmal, ma la descrizione
appare appropriata per descrivere la condizione paesaggistica
ricercata con la “piattaforma” che Baeza aveva, con il suo progetto,
predisposto sulle acque danesi.