Tossicologia Occupazionale e Ambientale Prof. Luca Giovannini La Tossicologia Occupazionale e Ambientale studia l'esposizione ad agenti chimici (non fisici) derivanti dalle lavorazioni industriali ed agricole della popolazione lavorativa e nella popolazione generale. A differenza dell'Igiene Industriale, non misura la concentrazione di inquinanti a cui il soggetto è esposto, bensì stima la quantità di tossico/i che è entrata nell'organismo tramite il dosaggio dell'inquinante e/o di un suo prodotto di biotrasformazione (metabolita): nel sangue nell'urina più raramente, in altra matrice biologica La Tossicologia Occupazionale e Ambientale è il necessario complemento dell'Igiene Industriale per la valutazione quantitativa dell'esposizione individuale ad un agente chimico. Tossicologia Occupazionale e Ambientale Effettua la valutazione dell’esposizione a sostanze tossiche di natura chimica dei lavoratori e delle popolazioni generali mediante la determinazione delle sostanze tossiche stesse e dei loro metaboliti nel sangue, nell’urina, nei capelli, nell’aria espirata, nell’acqua, alimenti nonché l’eventuale comparsa di alterazioni biologiche precoci correlate. In tal modo vengono fornite informazioni sulle quantità di sostanze tossiche effettivamente assorbite dai soggetti esposti attraverso tutte le possibili vie (respiratoria, cutanea, orale). Prima di entrare nello specifico è necessario richiamare brevemente alcune definizioni e concetti-chiave: Dose, Esposizione, Concentrazione, Rischio. Un primo punto riguarda il rapporto tra “dose” ed “esposizione”. È noto infatti che la dose necessaria per determinare un dato effetto tossico dipende da vari fattori, tra cui modalità di esposizione, assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del composto in causa. Inoltre, è importante tener presente che esistono diversi tipi di “dose”, ciascuno con diverso significato tossicologico: dose esterna, dose inalata, dose ssorbita, dose al bersaglio, dose eliminata, dose accumulata, ecc. Come pure esistono diverse vie di esposizione: inalatoria, per ingestione, cutanea, ecc. È necessario quindi, ogniqualvolta si parli di dose, definire esattamente il contesto in cui si opera e la matrice ambientale o biologica cui ci si riferisce Una seconda importante puntualizzazione semantica va fatta per quanto concerne il rapporto tra “dose” e “concentrazione”, due termini spesso usati come intercambiabili, ma in realtà di significato diverso e con unità di misura distinte. Da un punto di vista tossicologico, il concetto di dose va oltre quello di concentrazione esterna in quanto presuppone l’assorbimento dell’agente/composto e quindi, implicitamente, la sua interazione con l’organismo, a differenza della concentrazione che si limita alla misura della quantità dell’agente in una specifica matrice o solvente, in genere l’aria. La stima della dose al bersaglio (che è quella più direttamente correlata all’effetto) presuppone poi la conoscenza delle modalità di esposizione e della tossicocinetica del composto, ciò che non sempre è dato conoscere. Un problema pratico che ne risulta in termini di valutazione del rischio è il fatto che gli effetti dipendono dalla dose, mentre i limiti di esposizione sono espressi generalmente in concentrazioni. In altre parole, è sì vero che l’esposizione ad una concentrazione, ad esempio nell’aria, determina una dose al bersaglio la quale a sua volta produce l’effetto biologico; non è detto però che soggetti esposti alla stessa concentrazione abbiano la stessa dose al bersaglio. Il terzo concetto riguarda il significato da dare al termine “rischio” per la salute (tralasciamo per semplicità di discutere il rischio per la sicurezza). Il rischio dunque può essere definito come possibilità o, meglio, probabilità che in un certo individuo o gruppo di individui si verifichi un effetto avverso a seguito dell’esposizione ad una determinata (concentrazione di) sostanza. Tale definizione corrisponde all’equazione fondamentale seguente: RISCHIO = f (FATTORE DI RISCHIO, ESPOSIZIONE, SUSCETTIBILITA’) È importante notare che in questa equazione l’esposizione rappresenta solo una delle tre variabili in giuoco e che non è quindi corretto valutare ed esprimere il “rischio” solo in funzione dell’esposizione (ovvero della dose/concentrazione esterna). Dose-effetto, dose-risposta e dose-soglia La relazione tra dose da un lato ed effetto o risposta dall’altro rappresenta il principio fondamentale che sta alla base della valutazione degli effetti tossici in generale e di quelli da composti chimici in particolare. Originariamente mutuato dalla farmacologia, il concetto ha poi assunto contenuti e metodi specifici in ambito tossicologico. La relazione può essere considerata da due prospettive diverse, quella clinica e quella epidemiologico-sperimentale, ed avere quindi significato diverso, ovvero: a) il comparire o l’aumentare di un determinato effetto in un singolo individuo o gruppo di individui all’aumentare della dose (dose-effetto) b) l’aumentare della percentuale di individui che manifestano un (pre)determinato effetto all’aumentare della dose (dose-risposta). Perché la relazione dose-risposta possa dunque essere utilizzata quantitativamente nella valutazione del rischio, è necessario che si verifichino o, quanto meno, si deve presumere che si verifichino le seguenti principali condizioni di base: 1. l’effetto è sicuramente dovuto all’esposizione al composto chimico in questione (rapporto di causalità), 2. l’effetto è secondario all’interazione del composto con una specifica struttura o funzione biologica (tessuto- od organobersaglio), 3. l’entità dell’effetto è proporzionale alla concentrazione di composto, o di un suo metabolita, nell’organo bersaglio (dose al bersaglio), 4) la dose al bersaglio è proporzionale all’esposizione, 5. l’uomo è considerato essere la specie animale più sensibile, 6) è possibile estrapolare alle basse dosi l’effetto osservato alle alte dosi (estrapolazione tra dosi). Solo qualora tutte le condizioni sopraesposte si verifichino, è lecito utilizzare il rapporto dose-risposta a fini preventivi, valutandone in modo più approfondito sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi. Dal punto di vista qualitativo, la curva dose-risposta mostra, in genere, una tipica distribuzione normale, o gaussiana, in cui alcuni individui manifestano l’effetto a dosi sensibilmente più basse (individui ipersuscettibili) ed altri a dosi più alte (individui resistenti) che non la maggioranza della popolazione. Altre caratteristiche importanti dell’andamento della curva, soprattutto alle dosi più basse, sono la pendenza e la forma. Ne consegue che all’andamento della curva dose-risposta alle alte dosi (quelle in grado di determinare effetti osservabili) è possibile stimare il numero di individui che potrebbero manifestare l’effetto a seguito dell’esposizione ad una dose più bassa. Come pure, viceversa, calcolare la dose cui corrisponde una (pre)determinata percentuale di soggetti affetti. Un terzo concetto fondamentale in tossicologia occupazionale è quello della dose-soglia. Dal punto di vista della tossicodinamica si può definire dose-soglia quella minima in grado, reagendo a livello di un recettore, di causare un effetto lesivo (adverse) in base a due criteri: o la minima quantità di agente che determina un effetto avverso misurabile (Low Observed Adverse Effect Level o LOAEL) o, viceversa, quella massima che non determina un effetto avverso osservabile (No Observed Adverse Effect Level o NOAEL). Analogamente, in medicina del lavoro si può pensare alla dosesoglia come alla minima dose assorbita, o la minima concentrazione nel sangue o la minima dose all’organo bersaglio, a cui si osserva un effetto avverso in una percentuale predefinita di lavoratori (o, viceversa, alla più alta che non determina alcun effetto). Su questi pochi fondamentali concetti si basano essenzialmente tutte le metodologie, alcune delle quali peraltro assai complesse, oggi usate per la stima del rischio chimico ambientale e occupazionale. Tra queste citiamo il modello PBPK (physiologically based pharmacokinetic model), il Benchmark Dose (BMD) e quelli per la valutazione del rischio cancerogeno o di altri rischi specifici. Tutti questi modelli presentano tuttavia gravi limiti. Una difficoltà consiste ad esempio nell’impossibilità di verificare la correttezza del modello utilizzato per l’estrapolazione della probabilità dalle alte alle basse dosi. Un’altra difficoltà consiste nell’incertezza della forma e/o andamento della curva dose-risposta alle basse dosi. Ne deriva che un’applicazione acritica ed eccessivamente tecnicistica di questi modelli può portare ad una sovra- o sottostima del rischio. In questo contesto il contributo del medico del lavoro può dimostrarsi fondamentale per migliorare la valutazione del rischio attraverso le sue conoscenze delle relazioni dose-effetto e doserisposta per le diverse sostanze Ciò può essere meglio compreso utilizzando il piombo come esempio Le principali conoscenze/evidenze che dovrebbero essere tenute presenti nella scelta delle strategie preventive e nella gestione del rischio da piombo (ed in particolare la sua massima espressione, ovvero la determinazione del valore limite) sono i seguenti: a) La diversa suscettibilità degli enzimi coinvolti nella sintesi dell’eme all’inibizione da piombo che avviene secondo meccanismi dose-dipendenti, per cui è possibile identificare i valori di piombemia al di sotto dei quali tali effetti non sono osservabili: l’anemia inizia per valori di PbB a 50 ug/dl; la ZPP si eleva per valori di PbB > 30-35 ug/dl; le coproporfirine per valori > 40 ug/dl; l’ALA-U per PbB >di 35-40 ug/dl; l’ALA deidratasi per valori molto più bassi, cioè > 10 ug/dl. b) Gli effetti subclinici dovuti al blocco da parte del Pb degli enzimi contenenti eme ed implicati ad esempio nel metabolismo del calcio, di aminoacidi e proteine, soprattutto a livello del SNC. Tali effetti possono manifestarsi per valori di piombemia inferiori a 40 ug/dl, anche se per questi livelli non sono osservabili effetti avversi . c) La maggiore frequenza di disturbi a carico di SNP e SNC per livelli di esposizione che variano tra i 30 ed i 70 ug/dl di piombemia ma senza una precisa relazione dose-effetto al di sotto dei 50 μg/10 ml. d) Gli effetti sulla riproduzione per lo più qualitativi e, anche per essi, senza precise relazioni dose-risposta; effetti del piombo sulla riproduzione nell’uomo non sono stati osservati per valori di piombemia inferiori a 40ug/dl. e) Gli effetti cardiovascolari e sulla pressione arteriosa: sebbene la questione se esista una vera e propria cardiopatia indotta da esposizione lavorativa a piombo sia ancora dibattuta, numerose evidenze mostrano un aumento della pressione arteriosa stimato attorno a 1-5 mm Hg per ogni raddoppio della piombemia. Inoltre, alcuni studi longitudinali mostrano una significativa correlazione fra i livelli di PbB e pressione arteriosa (sia considerando la pressione sistolica che la diastolica) in casistiche di soggetti appartenenti alla popolazione generale senza che sia chiaramente individuabile una dose-soglia. Effetti con soglia ed effetti senza soglia Tutti i modelli di valutazione della relazione doserisposta possono essere ricondotti sostanzialmente a due sole categorie: A- quelli in cui è dimostrabile una dose al di sotto della quale non è osservabile alcun effetto (dosesoglia) B - quelli in cui tale soglia non è dimostrabile. I due modelli corrispondono in generale a due diversi meccanismi di tossicità, l’uno di tipo deterministico, come ad esempio la neuro-, o la nefro- o la epatotossicità di metalli o solventi, l’altro di tipo stocastico, come l’azione dei cancerogeni genotossici. La distinzione tra modelli di dose-risposta con e quelli senza soglia sta alla base delle due diverse metodologie normalmente usate per calcolare i valori limite di esposizione agli agenti chimici nei luoghi di lavoro e di vita. Il primo metodo è basato sulla determinazione del livello di non-effetto-avverso e la riduzione di quest’ultimo in base a determinati fattori di sicurezza. Il secondo metodo si basa sulla determinazione della dose virtualmente sicura, ovvero la dose di composto alla cui esposizione per tutta la vita corrisponde una probabilità che si verifichi l’effetto avverso così bassa da doversi considerare trascurabile (rischio irrilevante). Nel primo caso (effetto con soglia), una volta individuato, epidemiologicamente o sperimentalmente, il NOAEL (ovvero la più alta dose che non determina effetti avversi nell’uomo o nell’animale), da tale valore viene calcolato il valore limite, dividendo il NOAEL stesso per dei fattori di sicurezza che tengono conto dell’incertezza complessiva dei metodi adottati, inclusa la statistica, della gravità dell’effetto, del livello di protezione che si vuole raggiungere ed altri ancora. Nel secondo caso (effetto senza soglia) si presume che anche le basse dosi possano determinare un effetto, per quanto piccolo. Qui il processo adottato è in qualche modo inverso: si parte dal rischio per arrivare alla dose. È necessario cioè dapprima stabilire il livello di protezione che si vuole raggiungere, ovvero il livello di rischio che si è disposti ad accettare, e quindi da questo trovare la dose o concentrazione corrispondente a tale rischio. Un caso di tumore per milione di esposti per tutta la vita è considerato generalmente un livello di rischio accettabile. Questi due metodi costituiscono tuttora lo strumento più largamente utilizzato nella gestione del rischio chimico, sia in ambito occupazionale che ambientale Entrambi i metodi presentano tuttavia forti limiti intrinseci che dipendono principalmente dalla scelta e sensibilità del modello usato, sia animale che epidemiologico, e dal livello delle conoscenze sul meccanismo d’azione del composto in causa. Tra i principali limiti dell’uso del modello animale sono la possibile diversa sensibilità tossicodinamica della specie usata, le differenze tossicocinetiche e metaboliche, l’imprecisione dei metodi di estrapolazione dei risultati dall’animale all’uomo, le alte dosi testate nell’animale, il basso numero di animali testati (e il conseguente scarso potere statistico) ed altri ancora. In genere si cerca di superare tali limiti mediante l’adozione di alcuni assunti conservativi predefiniti tra cui, ad esempio: l’uomo è sensibile come la specie animale più sensibile, il composto viene metabolizzato nell’animale attraverso le stesse vie metaboliche che nell’uomo, è possibile estrapolare alle basse dosi l’effetto osservato alle alte dosi, e così via Anche nel caso degli studi epidemiologici vi sono forti elementi di incertezza. Da sottolineare sono la difficoltà nella stima dell’esposizione, la presenza di fattori di confondimento ignoti o sottostimati, gli errori sistematici di classificazione (bias) ed altri ancora. Ma il principale limite nell’uso dei fattori di sicurezza o della dose virtualmente sicura come metodi per stabilire i valori limite è rappresentato dalla loro incapacità di tenere in debito conto la suscettibilità individuale all’effetto tossico “Tutte le sostanze sono tossiche. La dose, se sufficientemente bassa, può da sola eliminare la tossicità”. Secondo Paracelso la dose è detta “bassa” in quanto, a differenza di quella alta, non dà tossicità. Il concetto di dose, quindi, è in questo caso intimamente legato ai suoi effetti più che alla sua misurabilità, ed ha quindi un significato qualitativo (tossicità si, tossicità no) più che quantitativo (valore numerico della dose). La definizione di “bassa dose” intesa come concentrazione di una sostanza nell’ambiente di lavoro o nelle matrici biologiche può in realtà riguardare anche altri parametri, assai diversi tra loro: 1. la quantità di agente chimico misurata nell’ambiente o nell’individuo in rapporto alla sensibilità e specificità delle strumentazioni e delle tecniche di misura (limiti di rilevabilità); 2. il livello quantitativo, misurato in un gruppo di soggetti esposti professionalmente, rispetto a quello presente nella popolazione generale (dose di riferimento); 3. la collocazione di tale livello rispetto a dosi di specifico significato in termini di valutazione e gestione del rischio (livello d’azione, valori limite). Considereremo ora questi tre casi separatamente, anche per chiarire il diverso ruolo giocato da chi effettua le misure e da chi, invece, è chiamato ad interpretarne il significato ambientale o tossicologico. “Bassa dose” in rapporto alla sua misurabilità Da un punto di vista empirico l’uso del termine “basso”è da collegare alle caratteristiche di sensibilità, ovvero ai limiti di rilevabilità (quantizzazione), dei sistemi di misurazione e delle tecniche analitiche disponibili in un dato momento o luogo, senza alcun significato in termini di effetto o rischio. In tal senso, “bassa dose” significa “quantità scarsa, piccola, micro o anche “non misurabile”. Nulla ci dice, invece, circa i suoi possibili effetti. In questo caso il significato di “bassa dose” ha un valore relativo in quanto risente fortemente dell’evoluzione degli strumenti e dei metodi di misura. Basti pensare che sostanze ritenute a bassa concentrazione o non misurabili fino a pochi anni fa, sono oggi routinariamente monitorate nelle più diverse matrici. “Bassa dose” in rapporto ai valori di riferimento Il termine “valore normale” in Biologia e Medicina èstato spesso usato indifferentemente nei due diversi significati di “non patologico” e di “abituale”. Il suo impiego, pertanto, non risultava affatto chiaro, specie quando si cercava artatamente di far coincidere i due diversi significati. Per alcuni parametri, infatti, quali ad esempio i livelli di lipidi nel sangue, risultava difficile sostenere che valori “normali” (cioè abituali) dosati nelle popolazioni dei paesi occidentali fossero anche non patologici, cioè associabili all’assenza di alterazioni della salute. Ciò consigliò l’uso, di volta in volta, di termini alternativi più precisi e rispondenti al contesto specifico, quali “sano”, “non patologico”, “tipico”, “caratteristico”, ecc. Per far fronte a queste problematiche e permettere una corretta interpretazione dei dati di laboratorio, offerti peraltro dalla chimica clinica in numero sempre maggiore, nel 1968, da un’intuizione di R.Graspeck e N.Saris, nasce il concetto di “reference value” o “valore di riferimento” come viene tuttora chiamato “Bassa dose” in rapporto ai valori limite Un punto non eludibile quando si valutano i valori limite ed in particolare l’appropriatezza dei livelli adottati è quello di domandarsi “a cosa servono?” ovvero, in altre parole, se servono a tutelare la salute o se hanno (anche) altre finalità. Ad esempio, l’ American Conference of Governamental Industrial Hygienists definisce i valori limite di soglia (Threshold Limit Values o TLV) come “le concentrazioni delle sostanze aerodisperse al di sotto delle quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente giorno dopo giorno senza effetti negativi per la salute”. La stessa Associazione precisa che “a causa della notevole variabilità della suscettibilità individuale, una piccola percentuale di lavoratori può accusare disagio in presenza di alcune sostanze le cui concentrazioni siano uguali o inferiori ai TLV e, in una più piccola percentuale di individui, si può osservare un effetto più marcato per l’aggravarsi di condizioni preesistenti o per l’insorgere di una malattia professionale”. Gli igienisti tedeschi (DFG) hanno invece proposto limiti (MAK) definiti come massima concentrazione al posto di lavoro, cioè “concentrazione massima permissibile di un composto chimico presente nell’atmosfera di un’area di lavoro che, allo stato delle conoscenze, generalmente non compromette la salute dell’operatore, né causa disturbo.” In ambito di Unione Europea è stato istituito il Comitato Scientifico per i Limiti di Esposizione Professionale (Scientific Committee for Occupational Exposure Limits o SCOEL) che si propone di definire due tipi di limiti di esposizione professionale (Occupational Exposure Limits o OELs): valori limite obbligatori e valori limite indicativi. I valori limite potranno cioè essere o “basati sulla salute” (health based), per quelle sostanze per cui è possibile identificare chiaramente una dose soglia al di sotto della quale l’esposizione non darà, presumibilmente, origine ad effetti avversi, o “pragmatici”, per quelle sostanze per le quali le conoscenze attuali non consentono di definire con sicurezza una dose soglia (cancerogene, genotossiche, sensibilizzanti), e che comunque saranno fissati a concentrazioni tali da comportare un livello di rischio sufficientemente basso. Va ricordato, peraltro, che altri valori limite fissati dall’Unione Europea, quali ad esempio quelli per i pesticidi nelle acque potabili, hanno più un significato tecnico che tossicologico, in quanto si basano su criteri di misurabilità analitica. Diossine Le diossine, dal punto di vista della nomenclatura chimica, sono una classe di composti organici eterociclici la cui struttura base consta di un anello con quattro atomi di carbonio e due di ossigeno. Si ripartiscono in due categorie, entrambe derivate da composti di formula bruta C4H4O2 Le suddette categorie originano da: •Derivati dalla 1,2-diossina (CAS 289-87-2), strutturalmente un endoperossido. •Derivati dalla 1,4-diossina (CAS 290-67-5), il capostipite più stabile. Tra le circa 200 diossine stabili conosciute, le più note sono le dibenzodiossine policlorurate, composti aromatici la cui struttura consiste di due anelli benzenici legati da due atomi di ossigeno e con legati uno o più atomi di cloro. Gli anelli benzenici stabilizzano la struttura della molecola. Gli isomeri che hanno il cloro nella posizione 2, 3, 7 e/o 8 sono quelli più tossici. Le diossine alogenate si bioaccumulano con emivita variabile a seconda delle molecole degli organismi e delle condizioni degli stessi. La più nota e pericolosa di esse, per contaminazioni ambientali e alimentari, è la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina, spesso indicata con l'abbreviazione TCDD. Esistono diverse diossine naturali: ad esempio il repellente prodotto dalla spugna di mare Dysidea dendyi, detto spongiadiossina (1-idrossi-3,4,6,8tetrabromdibenzo [1,4] diossina), è un composto bromurato, così come alcuni metaboliti fungini dell'attività di degradazione nel terreno della lignina, peraltro a loro volta ad attività antimicotica. Anche i derivati della 1,2-diossina sono presenti in natura, le spugne del genere Plakortis producono uno di questi composti , e mostrano spiccate attività antifungine. Recenti linee di ricerca farmacologiche mirano all'utilizzo di questi composti in terapia, sia per le loro capacità antimicotiche a largo spettro (vari studi relativi ad infezioni da candida), sia recentemente per possibili attività antimalariche. Un ultimo settore di ricerca indaga sulle capacità antitumorali dei derivati della forma endoperossido (sempre 1,2diossine). Diossine come inquinanti organici persistenti La maggior parte delle diossine polialogenate sono inquinanti organici persistenti. Policlorodibenzodiossine o PCDD, policlorodibenzofurani o PCDF, e policlorobifenili coplanari o Co-PCB sono spesso indicati come diossino-simili in campo medico ed ambientale. Nel linguaggio corrente, quindi, vengono indicate come diossine anche i composti derivati dal furano, in particolare i dibenzofurani, e, dal punto di vista chimico, altrettanto erroneamente i derivati dal diossano. La ragione di questa confusione consiste nella particolare struttura spaziale delle molecole e nella localizzazione degli elettroni, che porta ad una convergenza nei meccanismi d'azione tossicologica delle diverse categorie di composti. I Co-PCB, con una struttura chimica alquanto diversa, mostrano tossicità elevate, proprio perché la particolare distribuzione dei sostituenti al difenile favorisce una disposizione quasi planare della molecola, come avviene in diossine e furani, e limita la rotazione sull'asse del legame centrale Ar-Ar. Questa struttura è coinvolta nei meccanismi d'azione molecolare in vivo. La diossina è cancerogena e come tale, a concentrazioni opportune, può provocare diversi tumori - in particolare linfomi, cancro al fegato e alla mammella - malattie della tiroide, endometriosi, diabete e danni al sistema immunitario, emopoietico e riproduttivo. Un'altra manifestazione tipica dell'intossicazione acuta da diossina è la cloracne, simile all'acne giovanile, si manifesta in qualunque parte del corpo e a qualsiasi età in seguito all'esposizione massiccia al tossico. La pericolosità della diossina è stata confermata non solo dalle indagini medico-scientifiche ma anche dall'osservazione diretta delle ripercussioni sulla salute degli abitanti di Seveso e dei villaggi vietnamiti colpiti dall'agente Orange, un defogliante estremamente potente contenente diossina ed utilizzato dagli Americani nel conflitto del 1964-1975. Azione in vivo delle diossine l principale meccanismo d'interazione (ma non l'unico in particolare negli effetti neurotossici e di distruzione del sistema endocrino) implica il coinvolgimento del recettore cellulare AHR, recettore per gli idrocarburi arilici meglio noto col termine inglese, aryl hydrocarbon receptor. Essendo l'AHR un fattore trascrizionale genico, appartenente alla stessa classe del più noto c-Myc, un protooncogene, la sua anomala modulazione conduce ad effetti distruttivi sulle funzioni vitali della cellula. I principali metodi di catalogazione dell'equivalenza della tossicità nelle diverse categorie di composti qui afferenti si basano su questa azione, e pongono il fattore di equivalenza tossica (TEF) della TCDD a valore unitario. Diossine in quanto classe tossicologica ambientale In genere, quando si parla di "diossina" in senso non chimicamente rigoroso, ma tossicologico, si intende l'intera classe delle diossine e diossino simili, furani, diossani e PCB coplanari compresi. Le diossine ed altri inquinanti organici persistenti sono sottoposti alla convenzione di Stoccolma del 22-23 maggio 2001. Questo accordo, entrato in vigore il 17 maggio 2004, prevede che gli Stati aderenti prendano misure atte ad eliminare ove possibile, o quantomeno minimizzare, tutte le fonti di diossine. Tossicità e cancerogenicità Le diossine, nel loro insieme sono molecole molto varie a cui appartengono composti cancerogeni. Ad esse vengono ascritti composti estremamente tossici per l'uomo e gli animali, arrivando a livelli di tossicità valutabili in ng/kg, sono tra i più potenti veleni conosciuti. Viene classificata come sicuramente cancerogena e inserita nel gruppo 1, Cancerogeni per l'uomo dalla IARC, dal 1997 la TCDD. Anche secondo le norme giuridiche di molti paesi molte diossine sono ormai agenti cancerogeni riconosciuti. Tossicità e cancerogenicità Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare, poco o nulla solubili in acqua (circa 10−4 ppm), ma sono più solubili nei grassi (circa 500 ppm), dove tendono ad accumularsi. Proprio per la loro tendenza ad accumularsi nei tessuti viventi, anche un'esposizione prolungata a livelli minimi può recare danni. Le diossine causano una forma persistente di acne, nota come cloracne; sugli animali hanno effetti cancerogeni ed interferiscono con il normale sviluppo fisico. È stato inoltre dimostrato che l'esposizione alla diossina può provocare l'endometriosi. Mediamente il 90% dell'esposizione umana alla diossina, eccettuate situazioni di esposizione a fonti puntuali (impianti industriali, inceneritori ecc.), avviene attraverso gli alimenti (in particolare dal grasso di animali a loro volta esposti a diossina) e non direttamente per via aerea: il fenomeno del bioaccumulo fa sì che la diossina risalga la catena alimentare umana concentrandosi sempre più, a partire dai vegetali, passando agli animali erbivori, ai carnivori ed infine all'uomo. Tossicità L'emivita della TCDD nell'uomo varia da 5,8 a 11,3 anni (Olson 1994) principalmente in funzione di livello metabolico e percentuale di massa grassa; varia tra 10 e 30 giorni nei roditori. La tossicità, espressa come LD50 è sensibilmente specie specifica (esempio LD50 somministrazione per via orale nella cavia è di 500.0 ng/kg nel caso di TCDD). Fonti di diossine È dimostrato che i composti della famiglia delle diossine si formano durante la fase iniziale della combustione dei rifiuti, quando la combustione genera HCl gassoso, in presenza di catalizzatori, quali il rame e il ferro.Responsabile principale della formazione di composti appartenenti alla famiglia delle diossine è il cloro "organico", cioè cloro legato a composti organici polimerici, ad esempio il PVC. La presenza di cloro e di metalli nel materiale di rifiuto pone le due principali condizioni per la formazione delle diossine. Il cloro, nella forma di acido cloridrico gassoso viene liberato durante la combustione del rifiuto dalla dereticolazione dei polimeri clorurati a circa 300 °C, quindi forma cloro gassoso se l’acido viene a reagire con l’ossido di un metallo di transizione in forma bivalente, quale ferro o meglio il rame, secondo la cosiddetta reazione di Deacon: Cu + ½ O2 -> CuO CuO + 2 HCl -> Cu + H2O + Cl2 2 HCl + ½ O2 -> H2O + Cl2 Il cloro risultante si lega agli anelli benzenici durante la fase di combustione secondo la reazione di sostituzione: 2 CuCl2 + R-H ->2Cu-Cl + HCl + R-Cl Lo zolfo invece porta rapidamente alla passivazione del rame e quindi all’inibizione della funzione di catalizzatore: CuO + SO2 + ½ O2 -> CuSO4 Fonti di diossine Le diossine si generano anche in assenza di combustione, ad esempio nella sbiancatura della carta e dei tessuti fatta con cloro e nella produzione di clorofenoli, specie quando la temperatura non è ben controllata. Può essere il caso della produzione degli acidi 2,4-diclorofenossiacetico e 2,4,5triclorofenossiacetico, noti diserbanti. Fonti di diossine Per quanto riguarda i processi di combustione, possiamo ritrovarle in: industrie chimiche, siderurgiche, metallurgiche, industrie del vetro e della ceramica, nel fumo di sigaretta, nelle combustioni di legno e carbone (potature e barbecue, camini e stufe), nella combustione (accidentale o meno) di rifiuti solidi urbani avviati in discarica o domestici, nella combustione di rifiuti speciali obbligatoriamente inceneribili (esempio rifiuti a rischio biologico, ospedalieri) in impianti inadatti, nei fumi delle cremazioni, delle centrali termoelettriche e degli inceneritori. Gli inceneritori sono stati a lungo fra i maggiori produttori di diossina, ma negli ultimi anni l'evoluzione tecnologica ha permesso un notevole abbattimento delle emissioni gassose da queste fonti (anche se questi emettono pericolose nanoparticelle che possono trasportare diossine in forma non gassosa). PROBLEMA RIFIUTI Tuttavia, per quel che riguarda gli aspetti sanitari finali, la stragrande maggioranza degli studi epidemiologici, anche recentissimi, basati su campioni molto vasti di popolazione, rilevano una correlazione tra le patologie diossina-correlate e la presenza di inceneritori nelle aree soggette ad indagini; viceversa sono pochi o nulli gli studi che non rilevano correlazioni. PROBLEMA RIFIUTI I dati di emissione possono variare moltissimo a seconda del periodo considerato grazie ai miglioramenti tecnologici imposti dalla normativa su determinate fonti, fra cui gli inceneritori. La Tabella 1 conferma questa tendenza: i vecchi impianti di incenerimento e la gestione dei rifiuti in generale producono quantità enormi di diossina, mentre gli impianti moderni, secondo le normative vigenti per i nuovi impianti, sono scesi a una frazione della produzione passata. Se l'incenerimento di rifiuti solidi urbani, industriali o ospedalieri, nel 1990 producevano rispettivamente oltre 20 e 50 volte più inquinanti della produzione dell'acciaio, negli impianti attuali sono circa a un decimo, senza contare esperienze ancora più positive. È pertanto evidente che la rilevanza dell'incenerimento sul complesso delle fonti di diossina in un Paese dipende fortemente dall'arretratezza degli impianti esistenti, nonché ovviamente dalla quantità di rifiuti bruciati. Tab-1: Emissioni di diossine in Germania dati in g TU (grammi in "Toxicity Units") Fonte 1990 1994 2000 Estrazione e lavorazione metalli 740 220 40 Incenerimento rifiuti 400 32 0,5 Generazione energia 5 3 3 Inceneritori industriali 20 15 <10 Combustioni domestiche 20 15 <10 Traffico 10 4 1 Cremazioni 4 2 <2 Totale 1200 330 <70 Si conferma che il settore siderurgico di seconda fusione (dove possono essere trattati anche materiali di recupero contaminati), considerando anche gli alti valori assoluti della produzione, è insieme all'incenerimento uno dei massimi responsabili della produzione di diossine, e inoltre che la combustione non controllata di legna, rifiuti e biomasse varie – contrariamente a quanto si può pensare – è molto pericolosa. 2: Emissioni di diossine negli USA (dati 2000) Fonte % Incenerimento domestico 35,1 Incenerimento rifiuti ospedalieri 26,6 Motori diesel pesanti (camion, navi, treni) 6,9 Incenerimento fanghi di depurazione 6,3 Incenerimento rifiuti urbani 5,9 L'inventario dell'EPA (Ente americano di protezione dell'ambiente) stima come maggiore fonte di diossine negli Stati Uniti l'incenerimento domestico (pratica diffusa in quel paese). Il miglioramento tecnologico degli impianti di incenerimento (ospedalieri, fanghi e urbani) rispetto alle precedenti stime è netto: il totale per il 2000, come si può evincere dalla tabella sotto riportata, è 26,6%, mentre nel 1995 era di 58,5% e nel 1987 di ben l'82,8% (stessa fonte EPA). Per quanto riguarda l'Europa, l'Unione Europea, in un corposo e dettagliato documento intitolato Inventario europeo delle diossine, stima che il trattamento dei rifiuti (e in particolare l'incenerimento) e il settore industriale (in particolare il siderurgico) sono i massimi responsabili dell'emissione in atmosfera di diossine: «Nonostante i considerevoli sforzi degli ultimi anni per ridurre le emissioni degli inceneritori di rifiuti solidi urbani questo tipo di fonte continua a dominare l'immissione di diossine in atmosfera». Le emissioni più rilevanti di diossina, tuttavia, non sono quelle in atmosfera ma quelle nel terreno. I massimi responsabili sono i pesticidi, in fase di produzione ma anche di uso; seguono a una certa distanza i fuochi accidentali, nonché ancora una volta lo smaltimento dei rifiuti. Le stime sono generalmente molto incerte, per la difficoltà e la rarità delle misurazioni su fenomeni assai poco controllati e controllabili. I fuochi accidentali sono in particolare un elemento di estrema incertezza, mentre l'incenerimento è una fonte più studiata e si sa che, come per i pesticidi, l'attenzione che ha attirato e attira sta facendo diminuire le sue emissioni. Da tenere in conto è anche l'immissione di diossine nelle acque. I dati disponibili sono pochissimi, e relativi solo alla produzione di carta, all'incenerimento e allo smaltimento degli olii usati, le cui emissioni anche nella peggiore delle ipotesi sono però molto inferiori a quelle in aria e terra. Poco si sa invece su pesticidi, settore chimico, fuochi accidentali, discariche di rifiuti, che pure sono stimati essere i massimi responsabili delle emissioni nelle acque. Come si rilevano le diossine - analisi e questioni collegate L'elevatissima tossicità porta alla necessità di sensibilità piuttosto elevate, con la risoluzione di livelli dell'ordine del picogrammo (10−12 g o meglio 10−15kg per il sistema internazionale), e dalla processazione in ambienti straordinariamente puliti e controllati (camere bianche o clean room), tenuti costantemente in pressione dell'aria positiva (contenimento dinamico), per evitare contaminazioni. Le tecniche fondamentali si basano principalmente sulla gascromatografia di estratti dei campioni, seguite dalla rilevazione dei composti eluiti con rivelatori di massa (o a cattura di elettroni in casi specifici). Il Reg. (CE) 19/12/2006, n. 1883/2006 stabilisce come metodi strumentali di conferma, quelli in cui sono impiegati gascromatografi ad alta risoluzione accoppiati a spettrometri di massa ad alta risoluzione (HRGS/HRMS). A livello legale, tali analisi sono normate dal Decreto del Ministero Della Salute del 23 luglio 2003 in recepimento della direttiva Europea 2002/69/CE, del 26 luglio 2002, che stabilisce i metodi di campionamento e d'analisi per il controllo ufficiale di diossine e la determinazione di PCB diossina-simili nei prodotti alimentari. Intossicazione da Piombo o Saturnismo Il saturnismo è una grave malattia dovuta all'esposizione professionale od accidentale al piombo; il nome deriva da "saturno", dio romano (crono per i greci) associato dagli alchimisti a questo elemento. L'assimilazione di tale metallo può avvenire per vie cutanee, mucose, inalazione o tramite l'apparato digerente (picacismo). Caratteristiche del metallo Il piombo puro è un metallo malleabile e pesante di colore grigio scuro per la presenza di ossidazione superficiale; fonde a 327,46 °C, con emissione di vapori a circa 450 °C. L'ebollizione avviene invece a circa 1740 °C. In natura si ritrova nella galena (solfuro di piombo), cerusite (carbonato di piombo), anglesite (solfato di piombo) o associato a zinco, argento e rame. Può essere utilizzato allo stato puro, in lega con altri metalli o per la produzione di composti inorganici o come piombo tetraetile, antidetonante per i vecchi combustibili. Fonti di rischio L'intossicazione da piombo può avvenire sia nell'ambiente lavorativo sia occasionalmente. Le persone esposte al rischio professionale sono: Addetti alla estrazione o alla fusione del piombo Addetti alla saldatura Addetti alla produzione o smaltimento di accumulatori Addetti alla produzione o all'uso di vernici Addetti alla produzione e verniciatura di ceramiche Addetti alla produzione di oggetti di cristallo Addetti alla produzione di proiettili da caccia Addetti alla produzione di leghe od oggetti contenenti piombo Fonti di rischio Accidentalmente, l'esposizione cronica da piombo può avvenire con il consumo di distillati (talora anche aceto) stoccati in vecchi contenitori di ceramica o contenenti piombo. Altre volte il piombo si trova in: Aria: uso di pesticidi contenenti piombo Suolo e acqua: processi industriali Cibi e bevande: per conservazione in contenitori con piombo Particolare attenzione deve essere rivolta ai bambini per la possibile ingestione di oggetti contenenti piombo (picacismo) e soprattutto per la maggiore sensibilità all'effetto tossico del metallo. Nei lattanti, il piombo puo'essere assunto tramite depositi di sali sul capezzolo materno. In passato l'uso di copricapezzoli di piombo per la cura delle ragadi della areola mammaria ha determinato frequenti intossicazioni saturniche; il divieto dell'utilizzo di tali sistemi ha drasticamente ridotto l'incidenza di questa intossicazione in età pediatrica. Più importante è inoltre la frazione assorbita dalle cellule intestinale del bambino. Tossicocinetica Il piombo può essere assunto per via respiratoria o per ingestione. La prima via è importante nei soggetti esposti ai fumi o vapori della lavorazione del piombo o delle sue leghe. Questa via è molto importante in quanto le piccole particelle che raggiungo i polmoni sono assorbite in una quota di poco inferiore al 50%. Particelle di diametro maggiore, polveri ingerite per contaminazione di cibo, liquidi o tessuti, raggiungono invece il tratto gastrointestinale dove circa il 10% negli adulti e il 40% nei bambini sono assorbite. Una volta assorbito il piombo si distribuisce il larga parte negli eritrociti e in una piccola frazione (circa il 10%) nel plasma. Di qui è libero di distribuirsi in diversi compartimenti corporei. Tra questi: - Tessuti molti, con cinetica di ridistribuzione rapida. Questa frazione è responsabile dell'effetto tossico. - Osso spongioso, muscoli e apparato tegumentario, con cinetica di ridistribuzione intermedia. -Capelli, denti e osso compatto. In quest'ultimo può rimanere anche per venti anni. Benché sia tendenzialmente inattivo dal punto di vista tossicologico, il piombo immagazzinato rappresenta una quota prontamente disponibile in caso di fratture e alterazioni del tessuto osseo. L'eliminazione del piombo ingerito è prevalentemente fecale, con quota escreta pari al 60% nel bambino e al 90% nell'adulto. La via urinaria rappresenta invece un affidabile indicatore di dose assorbita; analogamente il piombo assorbito può passare nel latte materno o attraverso la placenta (a partire dalla tredicesima settimana). Patogenesi (1) L'azione tipica del piombo si esplica sull'emopoiesi, bloccando la funzione di diversi enzimi preposti alla sintesi dell'EME. Questo effetto, unitamente all'effetto citotossico eritrocitario con iperemolisi, è responsabile della anemia ipocromica e della escrezione urinaria dei composti a monte della via dell'EME. Infatti l'effetto inibitorio sull'enzima ALA deidratasi porta all'accumulo di acido delta aminolevulinico mentre l'effetto su coproporfirinogeno III ossidasi e su EME ossidasi è responsabile dell'accumulo di coproporfirinogeno III e protoporfirina IX rispettivamente. A livello dell'apparato gastroenterico il piombo è invece responsabile della colica saturnina, dolore addominale di tipico spastico dovuto alla diretta azione del piombo sulla muscolatura liscia intestinale parzialmente risolvibile con spasmolitici. A questa si associa stipsi e meteorismo, manifestazioni tipicamente preceduti da dolenzia addominale diffusa e sapore metallico in bocca. La deposizione del metallo a livello gengivale è responsabile del colorito bluastro visibile a livello del coletto degli incisivi esterni e dei canini. Patogenesi (2) Il piombo (grave esposizione acuta o subacuta) esplica inoltre effetti tossici diretti a livello del sistema nervoso centrale per spasmo delle arteriole e conseguente edema cerebrale diffuso. Il sistema nervoso periferico è invece interessato nelle forme croniche, con polineuropatia e paralisi periferica (tipica paralisi del nervo radiale). I reni possono essere il target della tossicità da piombo sia acutamente che cronicamente; infatti l'effetto tossico diretto sull'epitelio tubulare e lo spasmo delle arteriole renali può essere responsabile di un'insufficienza renale acuta di tipo renale con proteinuria e cilindruria grave. L'esposizione cronica provoca invece il cosiddetto rene grinzo saturnino, condizione di insufficienza renale cronica dovuta all'ischemia cronica per spasmo arteriolare. La conseguente ipertensione arteriosa è responsabile dell'aumentato rischio cardiovascolare nei soggetti esposti a piombo. La gotta saturnina è invece dovuta alla diminuita escrezione di acido urico. Profilo clinico (1) I sintomi dell'intossicazione acuta (rara) sono: Nausea, vomito, diarrea, intensi dolori addominali Anemia emolitica Ittero per epatopatia (anche lieve) Insufficienza renale acuta In caso di intossicazione massiva può eccezionalmente insorgere la gravissima encefalopatia saturnina: convulsioni ipertensione cerebrale edema cerebrale quindi sopraggiunge la morte. Richiede con urgenza una terapia chelante (CaNa-EDTA, con supplementazione di zinco). Profilo clinico (2) In caso di intossicazione cronica si ha - anemia (con alterazioni eritrocitarie: aumento delle protoporfirine, per il blocco della via metabolica che porta alla sintesi di eme), alterazioni mitocondriali, eritrociti immaturi in circolo) - disturbi trofici gengivali (orletto di Burton) che si origina per reazione del piombo presente nei capillari con l'idrogeno solforato dei residui alimentari - alterazioni cognitive, astenia, parestesia ed irritabilità - nefrosclerosi con: ematuria, proteinuria, cilindruria, oliguria e ipertensione - colica saturnina: dolore addominale a cintura (tipo pancreatite) provocato dalla contrazione della muscolatura liscia della parete intestinale (attenuabile tramite gluconato di calcio), nausea vomito, stipsi - elevata incidenza di mortalità neonatale, documentata infertilità nella donna; nell’uomo si evidenziano anomalie spermatiche ed oligospermia - ipertensione - paresi del radiale; la velocità di conduzione motoria risulta alterata per la demielinizzazione; - encefalopatia da piombo (molto frequente nei bambini, più rara nell'adulto), cefalea, amnesia. Striscio periferico di sangue che mostra alcuni eritrociti ipocromici e con inclusioni basofile (RNA ribosomiale). Reperto suggestivo ma non specifico per intossicazione da piombo Profilo clinico (3) Altre manifestazioni dell’intossicazione cronica sono: anoressia, nervosismo, tremori, calo ponderale, cefalea, dolori addominali, astenia degli estensori, colorito cinereo del volto, alterazione del metabolismo purinico, gotta acuta, nefropatia gottosa, oliguria, proteinuria diarrea, vomito, nausea, sapore metallico, intensa sete. Gravi reliquati dell'intossicazione cronica non trattata comprendono: • • • • Nefropatia cronica (rene grinzo saturnino) con ipertensione arteriosa e insufficienza renale cronica Neuropatia periferica, encefalopatia su base tossica ed ipertensiva Gastrite cronica e duodenite, coliche persistenti Vasculopatia e cardiopatia ipertensiva Diagnosi (1) Oltre a contesto anamnestico ed obiettivo, esistono indicatori di dose (esami che indicano la dose alla quali si è stati esposti) e indicatori di effetto (indicatori dell'effetto sull'organismo dell'esposizione al piombo). Diagnosi (2) Indicatori di dose • Piombemia, corretta per la conta dei globuli rossi (talora gli stati anemici conseguenti all'esposizione al piombo possono dare falsi negativi), indicatore di esposizione. Non è un indicatore adatto per stimare le riserve tissutali. • Piomburia, sempre corretta per la conta dei globuli rossi. Si eleva dopo due settimane; come per la piombemia, non è un indicatore adatto per stimare le riserve tissutali. • Piombemia dopo somministrazione di 1 g di CaNaEDTA, agente chelante del piombo. Se elevata, indica la presenza di riserve tissutali. Diagnosi (2) Indicatori di effetto • Acido delta aminolevulinico deidratasi eritrocitaria: la sua inibizione è l'indice più affidabile e più precoce di esposizione al piombo. Deve però essere ricordato che esposizioni croniche o recenti all'alcool possono inibire l'enzima. • Protoporfirina IX eritrocitaria: la valutazione della concentrazione di questa molecola correla direttamente con l'azione biologica del piombo. Rimane elevata per alcuni mesi, rendendola efficace per valutare i depositi di piombo tissutale. • Acido delta aminolevulinico urinario: aumenta in corso di intossicazioni da piombo e di porfiria acuta intermittente (con problemi di diagnosi differenziale). • Coproporfirine urinarie: diminuiscono rapidamente dopo esposizione e rappresentano un buon indice di esposizione acuta. Terapia La terapia si basa sull'allontanamento dalla fonte e sulla somministrazione di un chelante del piombo, ossia il sale CaNa2EDTA endovena 1-2 g/die per cicli di 4-5 giorni, con sospensione di 2-3 settimane e poi ripresa. La terapia di deve continuare fino alla normalizzazione della piombemia, parametro che indica una diminuzione sostanziale delle riserve tissutali. Le coliche possono essere controllate con spasmolitici; si deve inoltre attuate una terapia atta a correggere l'eventuale disionia ed ipertensione. Persone malate di saturnismo • La morte di personaggi famosi come Beethoven e Goya, o i disturbi mentali di Van Gogh, sono stati attribuiti a saturnismo. Per i pittori si presume che l'intossicazione cronica sia dovuta al loro contatto con i colori: Goya inumidiva i pennelli con la bocca. Recentemente anche la morte del Caravaggio è stata attribuita al saturnismo. • I linotipisti (addetti alla Linotype) venivano spesso a contatto con il piombo rimasto nella camera di fusione nella macchina e potevano riportare i sintomi dell'avvelenamento da piombo. Reazioni avverse e Farmacovigilanza DEFINIZIONI (OMS) - I • Effetto collaterale Qualsiasi effetto non intenzionale di un farmaco che insorga alle dosi normalmente impiegate e che sia connesso alle proprietà del farmaco (es. xerostomia da anticolinergici o gastrite da FANS) • Reazione avversa (Adverse Drug Reaction) Risposta ad un farmaco che sia nociva e non intenzionale e che avvenga alle dosi normalmente usate per la terapia, profilassi e diagnosi Reazione avversa inaspettata (la natura e la gravità di ADR non è riportata su scheda tecnica) DEFINIZIONI (OMS) - II • Evento avverso Qualsiasi fenomeno clinico spiacevole che si presenti durante il trattamento con un farmaco, ma che non abbia necessariamente un rapporto di causalità con il trattamento stesso (es. dermatite-cheratocongiuntivite-peritonite sclerosante da practololo) • Reazione avversa o evento avverso grave Qualsiasi evento che per qualsiasi dose metta in pericolo la vita del paziente, richieda l’ospedalizzazione, determini una persistente disabilità, provochi la morte REAZIONI AVVERSE INDOTTE DA FARMACI (classificazione eziopatogenetica) • Reazione tossica • Reazione idiosincrasica • Reazione allergica • (Malattia iatrogena) REAZIONE TOSSICA • Effetto avverso indotto da un farmaco tramite uno dei meccanismi seguenti: - meccanismo d’azione responsabile dell’effetto terapeutico - proprietà farmacodinamica secondaria (non responsabile dell’effetto terapeutico) - metabolita prodotto durante il processo di biotrasformazione del farmaco - proprietà chimico-fisica intrinseca alla molecola del farmaco (es.: radicali chimicamente reattivi) CARATTERISTICHE DELLA REAZIONE TOSSICA • Intensità del danno - dipendente dalla dose del farmaco • Conseguenze (esiti) - danno reversibile, irreversibile, esito letale • Sede anatomica del danno o disfunzione - locale (singolo organo) o sistemica • Relazione intensità/tempo - reazione acuta, cronica, ritardata ESEMPI DI REAZIONI TOSSICHE • • • • • • Barbiturici Anestetici locali Chinoloni Morfina Isoniazide Indometacina depressione SNC convulsioni convulsioni depressione respiratoria necrosi epatica depressione midollo osseo acetilazione acetilazione Isoniazide + Idrolisi + idrolisi Acetil-idrazina Diacetil-idrazina (metabolita non-tossico) CYP450 Rifampicina Idrazina (metabolita tossico) Metabolita reattivo Via diretta Via indiretta Isoniazide: disfunzioni epatiche nel 10-20% dei pazienti; epatiti 1% dei casi Lee WM. N Engl J Med 2003, 349: 474 Somministrazione concomitante di isoniazide e rifampicina determina un incremento di idrazina in soggetti acetilatori lenti L’idrazina è un metabolita altamente reattivo che determina danni a proteine intracellulari con rigonfiamento cellulare e successiva rottura della membrana Westphal et al. J Antimicrob Chemother 1994, 33: 387 ESEMPI DI TOSSICITA’ RITARDATA • • • • • • Cloramfenicolo Tetraciclina Antitumorali Antiepilettici Cortisonici Anticoagulanti orali aplasia midollo osseo alterazioni dentarie teratogenesi teratogenesi teratogenesi teratogenesi FATTORI IN GRADO DI INFLUENZARE LA TOSSICITA’ • Cortisonici meno tossici nel bambino • Oppioidi più tossici nel bambino Sesso • Oppioidi • Barbiturici metabolismo lento (donna) metabolismo lento (donna) Malattia • Catecolamine • Beta-bloccanti ipertiroidismo asma, diabete mellito Età CARATTERIZZAZIONE DELLA TOSSICITA’ DI UN FARMACO • Indice terapeutico DL-50 / DE-50 (anche: DT-50 / DE-50) • Margine di sicurezza DL-5 / DE-95 (anche: DT-5 / DE-95) INDICE TERAPEUTICO Dose letale 50% Dose efficace 50% ESEMPI DI FARMACI CON DIVERSO INDICE TERAPEUTICO • Farmaci con indice terapeutico basso - digitale - chemioterapici anti-tumorali - anestetici generali • Farmaci con indice terapeutico medio - farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) - beta-bloccanti - analgesici oppioidi • Farmaci con indice terapeutico elevato - antibiotici beta-lattamici - antibiotici macrolidi CARATTERIZZAZIONE DELLA TOSSICITA’ DI UN FARMACO • Attività teratogena capacità di indurre malformazioni fetali • Attività tossica perinatale capacità di indurre effetti tossici sul feto nel periodo prossimo al parto • Attività tossica sulla fertilità capacità di compromettere la capacità riproduttiva del maschio o della femmina • Attività mutagena capacità di indurre mutazioni genetiche (aumento del rischio di patologie tumorali) REAZIONE TOSSICA DA SOVRADOSAGGIO • Sovradosaggio assoluto Uso di un farmaco a dosi eccessive, per errore, a scopo voluttuario o suicida (omicida); es. Paracetamolo • Sovradosaggio relativo Dose somministrata nel range terapeutico ma ↑ concentrazioni plasmatiche per variazioni cinetiche dovute a patologie epatiche, renali, ipoalbuminemia, interazioni farmacologiche REAZIONE IDIOSINCRASICA Definizione Reazione avversa provocata dalla somministrazione di un farmaco e determinata da un’alterazione della costituzione genetica dell’individuo CARATTERISTICHE DELLA REAZIONE IDIOSINCRASICA • La reazione tende a manifestarsi in seguito a somministrazione di normali dosi terapeutiche del farmaco (sovradosaggio non necessario) • Dipende dalla costituzione genetica dell’individuo (polimorfismi genetici) • Può essere reversibile, irreversibile o letale • Generalmente si manifesta come reazione acuta già alla prima somministrazione del farmaco REAZIONE ALLERGICA Risposta abnorme (patologica) del sistema immunitario ad una sostanza estranea (antigene) mediata da una liberazione massiva di mediatori dell’infiammazione sistemica o di singoli organi CARATTERISTICHE DELLA REAZIONE ALLERGICA • Origina da una precedente esposizione alla sostanza sensibilizzante (primo contatto) • I sintomi si manifestano dopo il secondo contatto con la sostanza sensibilizzante • Una piccola percentuale della popolazione sviluppa allergie (predisposizioni genetiche?) • La sostanza allergizzante (antigene) ha struttura chimica generalmente proteica e massa molecolare superiore a 1.000 Dalton REAZIONE ALLERGICA INDOTTA DA FARMACI (cronologia) • Primo contatto Sensibilizzazione • Elaborazione della 7-14 giorni (in media) risposta immunitaria • Contatto evocatore comparsa dei sintomi caratteristici della reazione allergica CLASSIFICAZIONE DELLE REAZIONI ALLERGICHE • Tipo 1 Reazione immediata (anafilattica) • Tipo 2 Reazione citolitica mediata da anticorpi • Tipo 3 Danno tissutale da complessi immuni • Tipo 4 Reazione ritardata (immunità cellulomediata) MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLE REAZIONI ALLERGICHE • Tipo 1 asma, rinite, congiuntivite edema laringeo sindrome di Stevens-Johnson shock anafilattico • Tipo 2 emolisi • Tipo 3 dermatite, arterite granulocitopenia, emolisi nefrite • Tipo 4 lesioni granulomatose ESEMPI DI REAZIONI ALLERGICHE INDOTTE DA ANTIBIOTICI BETA-LATTAMICI • Reazioni immediate (2-30 minuti) - orticaria, prurito diffuso - ipotensione, shock anafilattico - edema laringeo, asma • Reazioni rapide (1-72 ore) - orticaria, prurito diffuso - edema laringeo, asma - reazioni infiammatorie d’organo • Reazioni tardive (oltre 72 ore) - eruzioni cutanee (morbilliformi, orticarioidi) - artralgie; reazioni infiammatorie d’organo • Reazioni tardive rare - anemia emolitica, trombocitopenia - febbre da farmaco - insufficienza renale MALATTIA IATROGENA Reazione avversa nella quale il trattamento con un farmaco provoca la comparsa di sintomi e dsfunzioni organiche che: 1. sono identici a quelli di una malattia nota, 2. generalmente non recedono con la semplice sospensione della somministrazione del farmaco, 3. richiedono l’adozione di adeguati provvedimenti terapeutici. ESEMPI DI FARMACI IN GRADO DI PROVOCARE MALATTIE IATROGENE • • • • • • • Rifampicina Diuretici tiazidici ACE-inibitori FANS Antracicline Aminoglicosidi Cortisonici epatite acuta glomerulonefrite sindrome nefrosica ulcera peptica miocardiopatia ipoacusia ipertensione, diabete… Perché la farmacosorveglianza “consiste nella valutazione del rischio e nel monitoraggio della incidenza di effetti indesiderati potenzialmente associati al trattamento farmacologico.” IMPORTANZA CRESCENTE DELLA FARMACOVIGILANZA L’importanza crescente della Farmacovigilanza è motivata dalle osservazioni seguenti: • Negli USA sono registrati 100.000 morti/anno per tossicità da farmaci (4a-6a causa di morte, più frequenti delle morti da malattia diabetica) • Il 5-10% dei ricoveri nel pronto soccorso dei paesi europei è dovuto a reazioni tossiche ai farmaci • Nel periodo 2000-2001 si sono verificati in Italia numerosi episodi di tossicità causati dal trattamento con i farmaci cerivastatina e cisapride • Nel 2002 il Ministero della Salute – Commissione Unica del Farmaco - ha sospeso per alcuni mesi, in via cautelativa, il trattamento con sibutramina • Numerosi farmaci registrati vengono tolti dal commercio a causa del numero di reazioni avverse segnalate dai servizi di Farmacovigilanza DEFINIZIONE 1 Definizione di reazione avversa ai farmaci (ADR) secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità: “Una risposta nociva e non voluta a un farmaco che si manifesta a dosaggi normalmente impiegati nell’uomo per la profilassi, la diagnosi o la terapia delle malattie, o per modificare le normali funzioni fisiologiche” WHO. International drug monitoring: the role of national centres. Tech Rep Ser WHO 498, 1972 Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000 DEFINIZIONE 2 “Una reazione sensibilmente dannosa o sgradevole, derivante da un intervento connesso con l’uso di un prodotto medicinale, che predice il rischio derivante dall’uso futuro e richiede prevenzione o trattamento specifico, modifica del regime di dosaggio o la sospensione del farmaco stesso” Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000 DEFINIZIONE 3 “Il termine effetto avverso è preferibile ad altri termini quali effetto tossico o effetto collaterale. Un effetto tossico è un’estensione dell’effetto terapeutico voluto e non è comune alle dosi normalmente utilizzate” Esempio: Il mal di testa dovuto a un calcio-antagonista è un effetto tossico dovuto allo stesso meccanismo dell’effetto terapeutico: la vasodilatazione Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000 CLASSIFICAZIONE DELLE REAZIONI AVVERSE AI FARMACI (1) TIPO DI REAZIONE CARATTERISTICHE ESEMPI TIPO A Dose-dipendente •Comune •Effetto anticolinergico degli •Correlata alle caratteristiche antidepressivi triciclici farmacologiche del farmaco •Prevedibile •Bassa mortalità TIPO B Non dosedipendente •Rara •Non correlata alle caratteristiche farmacologiche del farmaco •Imprevedibile •Alta mortalità •Shock anafilattico da penicilline •Idiosincrasie TIPO C Dose e tempo dipendente •Rara •Associata a fenomeni di accumulo del farmaco •Inibizione asse ipotalamoipofisi-surrene da cortisonici •Sordità da aminoglicosidi Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000 CLASSIFICAZIONE DELLE REAZIONI AVVERSE AI FARMACI (2) TIPO DI REAZIONE CARATTERISTICHE ESEMPI TIPO D Tempodipendente • Rara • Normalmente dosedipendente • Si manifesta a distanza di tempo dalla sospensione del farmaco • Teratogenesi (talidomide, farmaci antitumorali) • Carcinogenesi (estrogeni) • Discinesia (DOPA) TIPO E Sospensione • Rara • Si manifesta subito dopo la sospensione del farmaco • Astinenza da oppiacei • Ischemia cardiaca da sospensione di -bloccanti • Ipertensione per sospensione di clonidina TIPO F Fallimento della terapia • Comune • Dose-dipendente • Spesso correlata ad un’interazione tra farmaci • Antiepilettici • Anticoncezionali • 2 stimolanti Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000 METODI DI INDIVIDUAZIONE DELLE REAZIONI AVVERSE AI FARMACI E DI VALUTAZIONE DEI RAPPORTI DI CAUSALITA’ • SEGNALAZIONE ANEDDOTICA • SEGNALAZIONE VOLONTARIA ORGANIZZATA • MONITORAGGIO INTENSIVO • STUDI CLINICI DI FASE IV • RECORD LINKAGE (RACCOLTA DI INFORMAZIONI DA BANCHE DATI SANITARIE) • STUDI DI METANALISI Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000 INCIDENZA DI ADR IN RELAZIONE AL NUMERO DI FARMACI PRESCRITTI May FE et al. Clin Pharmacol Ther 1977; 22: 322 60 50 40 30 20 10 0 0-5 6-10 11-15 16-20 Numero di farmaci prescritti INTERAZIONI TRA FARMACI • 6.5% di pazienti ricoverati in ospedale ha un ADR da interazione tra farmaci – (Manchon et al. Rev Med Interne 1989; 10: 521-5) • Più di 2000 interazioni identificate • Più di 15000 articoli pubblicati negli ultimi 30 anni • Spesso scarsa informazione sulla rilevanza clinica e sull’impatto sulla salute pubblica – Drug Interactions newsletter, N183, 1999 Segnalazione È la descrizione di un evento clinico non previsto e/o non desiderato che il segnalatore ritiene che possa essere collegato al(i) farmaco(i) che il paziente assume Segnalazione spontanea Può essere considerata come un classico sistema di segnale ed il suo scopo principale è quello di fornire l’allarme di un possibile rischio il più presto possibile La scheda di segnalazione Campi indispensabili perché la segnalazione sia valida SEGNALAZIONE ORGANIZZATA dove reperire la scheda di segnalazione • Nel bollettino di Informazione sui Farmaci del Ministero della Salute • Presso il responsabile della FV dell’ASL o AO • Scaricata dal sito www.farmacovigilanza.org • Presso l’Informatore scientifico del Farmaco di qualsiasi azienda farmaceutica Segnalazione spontanea in Europa nel 1993 (Segnalazioni totali. Fonti: OMS e Ministero Sanità) Francia Svezia UK Irlanda Germania Spagna Paesi Bassi Austria Italia Portogallo 0 100 200 300 400 500 Numero di segnalazioni per milione di abitanti Farmacovigilanza ed erbe medicinali (1) • Convinzione – le preparazioni erboristiche sono naturali e quindi “sicure” • Conseguenza – se si sviluppa un evento avverso difficilmente si associa all’erba medicinale In Inghilterra solo lo 0,8% dei pazienti (su 515 intervistati) consulterebbe il GPs per una AE grave da prodotto erboristico e solo lo 0,4% per un AE minore (Barnes J et al. Br J Clin Pharmacol. 1998; 45: 496-500) Farmacovigilanza ed erbe medicinali (2) • La maggior parte dei • La maggior parte di presidi erboristici sono coloro che usano oggetto di queste terapie è autoprescrizione o di riluttante a riferirne suggerimenti da parte l’uso al proprio medico di non medici curante Negli USA, su 523 pazienti che avevano assunto un prodotto erboristico, solo il 28% aveva informato il GPs (Eisenberg DM et al. N Engl J Med. 1993; 328: 246-252) Farmacovigilanza ed erbe medicinali (3) • La maggior parte dei Medici curanti SA POCO O NULLA di fitoterapia • La maggior parte dei Medici curanti è RILUTTANTE A CHIEDERE al paziente se fa uso di prodotti erboristici Farmacovigilanza ed erbe medicinali (4) • La maggior parte dei presidi erboristici sono oggetto di AUTOPRESCRIZIONE o di suggerimenti da parte di non medici • La maggior parte di coloro che usano queste terapie probabilmente si rivolge al FARMACISTA