tossicologia - Terapia Occupazionale

Tossicologia Occupazionale
e Ambientale
Prof. Luca Giovannini
La Tossicologia Occupazionale e Ambientale
studia l'esposizione ad agenti chimici (non
fisici) derivanti dalle lavorazioni industriali ed
agricole della popolazione lavorativa e nella
popolazione generale.
A differenza dell'Igiene Industriale, non
misura la concentrazione di inquinanti a
cui il soggetto è esposto, bensì stima la
quantità di tossico/i che è entrata
nell'organismo tramite il dosaggio
dell'inquinante e/o di un suo prodotto di
biotrasformazione (metabolita):
nel sangue
nell'urina
più raramente, in altra matrice biologica
La Tossicologia Occupazionale e Ambientale è il
necessario complemento dell'Igiene Industriale
per la valutazione quantitativa dell'esposizione
individuale ad un agente chimico.
Tossicologia Occupazionale e Ambientale
Effettua la valutazione dell’esposizione a sostanze
tossiche di natura chimica dei lavoratori e delle
popolazioni generali mediante la determinazione delle
sostanze tossiche stesse e dei loro metaboliti nel
sangue, nell’urina, nei capelli, nell’aria espirata,
nell’acqua, alimenti nonché l’eventuale comparsa di
alterazioni biologiche precoci correlate. In tal modo
vengono fornite informazioni sulle quantità di sostanze
tossiche effettivamente assorbite dai soggetti esposti
attraverso tutte le possibili vie (respiratoria, cutanea,
orale).
Prima di entrare nello specifico è
necessario richiamare brevemente alcune
definizioni e concetti-chiave:
Dose,
Esposizione,
Concentrazione,
Rischio.
Un primo punto riguarda il rapporto tra “dose” ed “esposizione”.
È noto infatti che la dose necessaria per determinare un dato effetto
tossico dipende da vari fattori, tra cui modalità di esposizione,
assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del composto
in causa.
Inoltre, è importante tener presente che esistono diversi tipi di “dose”,
ciascuno con diverso significato tossicologico: dose esterna, dose
inalata, dose ssorbita, dose al bersaglio, dose eliminata, dose
accumulata, ecc.
Come pure esistono diverse vie di esposizione: inalatoria, per ingestione,
cutanea, ecc.
È necessario quindi, ogniqualvolta si parli di dose, definire esattamente il
contesto in cui si opera e la matrice ambientale o biologica cui ci si
riferisce
Una seconda importante puntualizzazione semantica va fatta
per quanto concerne il rapporto tra “dose” e “concentrazione”,
due termini spesso usati come intercambiabili, ma in realtà di
significato diverso e con unità di misura distinte.
Da un punto di vista tossicologico, il concetto
di dose va oltre quello di concentrazione esterna in quanto
presuppone l’assorbimento dell’agente/composto e quindi,
implicitamente, la sua interazione con l’organismo, a differenza
della concentrazione che si limita alla misura della quantità
dell’agente in una specifica matrice o solvente, in genere l’aria.
La stima della dose al bersaglio (che è quella più direttamente
correlata all’effetto) presuppone poi la conoscenza delle modalità di
esposizione e della tossicocinetica del composto, ciò che non sempre
è dato conoscere.
Un problema pratico che ne risulta in termini di valutazione del rischio
è il fatto che gli effetti dipendono dalla dose, mentre i limiti di
esposizione sono espressi generalmente in concentrazioni. In altre
parole, è sì vero che l’esposizione ad una concentrazione, ad esempio
nell’aria, determina una dose al bersaglio la quale a sua volta produce
l’effetto biologico; non è detto però che soggetti esposti alla stessa
concentrazione abbiano la stessa dose al bersaglio.
Il terzo concetto riguarda il significato da dare al termine “rischio”
per la salute (tralasciamo per semplicità di discutere il rischio per
la sicurezza).
Il rischio dunque può essere definito come possibilità o, meglio,
probabilità che in un certo individuo o gruppo di individui si
verifichi un effetto avverso a seguito dell’esposizione ad una
determinata (concentrazione di) sostanza.
Tale definizione corrisponde all’equazione fondamentale seguente:
RISCHIO = f (FATTORE DI RISCHIO, ESPOSIZIONE,
SUSCETTIBILITA’)
È importante notare che in questa equazione l’esposizione
rappresenta solo una delle tre variabili in giuoco e che non è
quindi corretto valutare ed esprimere il “rischio” solo in funzione
dell’esposizione (ovvero della dose/concentrazione esterna).
Dose-effetto, dose-risposta e dose-soglia
La relazione tra dose da un lato ed effetto o risposta dall’altro rappresenta il
principio fondamentale che sta alla base della valutazione degli effetti
tossici in generale e di quelli da composti chimici in particolare.
Originariamente mutuato dalla farmacologia, il concetto ha poi assunto
contenuti e metodi specifici in ambito tossicologico.
La relazione può essere considerata da due prospettive diverse, quella
clinica e quella epidemiologico-sperimentale, ed avere quindi significato
diverso, ovvero:
a) il comparire o l’aumentare di un determinato effetto in un singolo
individuo o gruppo di individui all’aumentare della dose (dose-effetto)
b) l’aumentare della percentuale di individui che manifestano un
(pre)determinato effetto all’aumentare della dose (dose-risposta).
Perché la relazione dose-risposta possa dunque essere utilizzata
quantitativamente nella valutazione del rischio, è necessario che
si verifichino o, quanto meno, si deve presumere che si
verifichino le seguenti principali condizioni di base:
1. l’effetto è sicuramente dovuto all’esposizione al composto
chimico in questione (rapporto di causalità),
2. l’effetto è secondario all’interazione del composto con una
specifica struttura o funzione biologica (tessuto- od organobersaglio),
3. l’entità dell’effetto è proporzionale alla concentrazione di
composto, o di un suo metabolita, nell’organo bersaglio (dose al
bersaglio),
4) la dose al bersaglio è proporzionale all’esposizione,
5. l’uomo è considerato essere la specie animale più sensibile,
6) è possibile estrapolare alle basse dosi l’effetto osservato alle alte
dosi (estrapolazione tra dosi).
Solo qualora tutte le condizioni sopraesposte si verifichino, è
lecito utilizzare il rapporto dose-risposta a fini preventivi,
valutandone in modo più approfondito sia gli aspetti qualitativi
che quelli quantitativi.
Dal punto di vista qualitativo, la curva dose-risposta mostra, in
genere, una tipica distribuzione normale, o gaussiana, in cui
alcuni individui manifestano l’effetto a dosi sensibilmente più
basse (individui ipersuscettibili) ed altri a dosi più alte (individui
resistenti) che non la maggioranza della popolazione. Altre
caratteristiche importanti dell’andamento della curva,
soprattutto alle dosi più basse, sono la pendenza e la forma.
Ne consegue che all’andamento della curva dose-risposta alle
alte dosi (quelle in grado di determinare effetti osservabili) è
possibile stimare il numero di individui che potrebbero
manifestare l’effetto a seguito dell’esposizione ad una dose più
bassa.
Come pure, viceversa, calcolare la dose cui corrisponde una
(pre)determinata percentuale di soggetti affetti.
Un terzo concetto fondamentale in tossicologia occupazionale è
quello della dose-soglia. Dal punto di vista della tossicodinamica
si può definire dose-soglia quella minima in grado, reagendo a
livello di un recettore, di causare un effetto lesivo (adverse) in
base a due criteri: o la minima quantità di agente che determina
un effetto avverso misurabile (Low Observed Adverse Effect Level
o LOAEL) o, viceversa, quella massima che non determina un
effetto avverso osservabile (No Observed Adverse Effect Level o
NOAEL).
Analogamente, in medicina del lavoro si può pensare alla dosesoglia come alla minima dose assorbita, o la minima
concentrazione nel sangue o la minima dose all’organo bersaglio,
a cui si osserva un effetto avverso in
una percentuale predefinita di lavoratori (o, viceversa, alla più alta
che non determina alcun effetto).
Su questi pochi fondamentali concetti si basano essenzialmente
tutte le metodologie, alcune delle quali peraltro assai complesse,
oggi usate per la stima del rischio chimico ambientale e
occupazionale.
Tra queste citiamo il modello PBPK (physiologically based
pharmacokinetic model), il Benchmark Dose (BMD) e quelli per la
valutazione del rischio cancerogeno o di altri rischi specifici.
Tutti questi modelli presentano tuttavia gravi limiti. Una difficoltà
consiste ad esempio nell’impossibilità di verificare la correttezza
del modello utilizzato per l’estrapolazione della probabilità dalle
alte alle basse dosi.
Un’altra difficoltà consiste nell’incertezza della forma e/o
andamento della curva dose-risposta alle basse dosi.
Ne deriva che un’applicazione acritica ed eccessivamente
tecnicistica di questi modelli può portare ad una sovra- o
sottostima del rischio.
In questo contesto il contributo del medico del
lavoro può dimostrarsi fondamentale per migliorare
la valutazione del rischio attraverso le sue
conoscenze delle relazioni dose-effetto e doserisposta per le diverse sostanze
Ciò può essere meglio compreso utilizzando il piombo come esempio
Le principali conoscenze/evidenze che dovrebbero essere tenute presenti nella
scelta delle strategie preventive e nella gestione del rischio da piombo (ed in
particolare la sua massima espressione, ovvero la determinazione del valore
limite) sono i seguenti:
a) La diversa suscettibilità degli enzimi coinvolti nella sintesi dell’eme
all’inibizione da piombo che avviene secondo meccanismi dose-dipendenti,
per cui è possibile identificare i valori di piombemia al di sotto dei quali tali
effetti non sono osservabili:
l’anemia inizia per valori di PbB a 50 ug/dl;
la ZPP si eleva per valori di PbB > 30-35 ug/dl;
le coproporfirine per valori > 40 ug/dl;
l’ALA-U per PbB >di 35-40 ug/dl;
l’ALA deidratasi per valori molto più bassi, cioè > 10 ug/dl.
b) Gli effetti subclinici dovuti al blocco da parte del Pb degli enzimi
contenenti eme ed implicati ad esempio nel metabolismo del calcio, di
aminoacidi e proteine, soprattutto a livello del SNC. Tali effetti possono
manifestarsi
per valori di piombemia inferiori a 40 ug/dl, anche se per questi livelli
non sono osservabili effetti avversi
.
c) La maggiore frequenza di disturbi a carico di SNP e SNC per livelli di
esposizione che variano tra i 30 ed i 70 ug/dl di piombemia ma senza
una precisa relazione dose-effetto al di sotto dei 50 μg/10 ml.
d) Gli effetti sulla riproduzione per lo più qualitativi e, anche per essi,
senza precise relazioni dose-risposta; effetti del piombo sulla
riproduzione nell’uomo non sono stati osservati per valori di piombemia
inferiori a 40ug/dl.
e) Gli effetti cardiovascolari e sulla pressione
arteriosa:
sebbene la questione se esista una vera e propria
cardiopatia indotta da esposizione lavorativa a
piombo sia ancora dibattuta, numerose evidenze
mostrano un aumento della pressione arteriosa
stimato attorno a 1-5 mm Hg per ogni raddoppio
della piombemia.
Inoltre, alcuni studi longitudinali mostrano una
significativa correlazione fra i livelli di PbB e
pressione arteriosa (sia considerando la pressione
sistolica che la diastolica) in casistiche di soggetti
appartenenti alla popolazione generale senza che
sia chiaramente individuabile una dose-soglia.
Effetti con soglia ed effetti senza soglia
Tutti i modelli di valutazione della relazione doserisposta possono essere ricondotti sostanzialmente
a due sole categorie:
A- quelli in cui è dimostrabile una dose al di sotto
della quale non è osservabile alcun effetto (dosesoglia)
B - quelli in cui tale soglia non è dimostrabile.
I due modelli corrispondono in generale a due diversi
meccanismi di tossicità, l’uno di tipo deterministico,
come ad esempio la neuro-, o la nefro- o la
epatotossicità di metalli o solventi, l’altro di tipo
stocastico, come l’azione dei cancerogeni
genotossici.
La distinzione tra modelli di dose-risposta con e quelli senza
soglia sta alla base delle due diverse metodologie
normalmente usate per calcolare i valori limite di esposizione
agli agenti chimici nei luoghi di lavoro e di vita.
Il primo metodo è basato sulla determinazione del livello
di non-effetto-avverso e la riduzione di quest’ultimo in base a
determinati fattori di sicurezza.
Il secondo metodo si basa sulla determinazione della dose
virtualmente sicura, ovvero la dose di composto alla cui
esposizione per tutta la vita corrisponde una probabilità
che si verifichi l’effetto avverso così bassa da doversi
considerare trascurabile (rischio irrilevante).
Nel primo caso (effetto con soglia), una volta individuato,
epidemiologicamente o sperimentalmente, il NOAEL (ovvero la più alta dose
che non determina effetti avversi nell’uomo o nell’animale), da tale valore
viene calcolato il valore limite, dividendo il NOAEL stesso per dei fattori di
sicurezza che tengono conto dell’incertezza complessiva dei metodi adottati,
inclusa la statistica, della gravità dell’effetto, del livello di protezione che si
vuole raggiungere ed altri ancora.
Nel secondo caso (effetto senza soglia) si presume che anche le basse dosi
possano determinare un effetto, per quanto piccolo. Qui il processo adottato è
in qualche modo inverso: si parte dal rischio per arrivare alla dose. È
necessario cioè dapprima stabilire il livello di protezione che si vuole
raggiungere, ovvero il livello di rischio che si è disposti ad accettare, e quindi
da questo trovare la dose o concentrazione corrispondente a tale rischio. Un
caso di tumore per milione di esposti per tutta la vita è considerato
generalmente un livello di rischio accettabile.
Questi due metodi costituiscono tuttora lo strumento più largamente utilizzato
nella gestione del rischio chimico, sia in ambito occupazionale che
ambientale
Entrambi i metodi presentano tuttavia forti limiti intrinseci che
dipendono principalmente dalla scelta e sensibilità del modello
usato, sia animale che epidemiologico, e dal livello delle
conoscenze sul meccanismo d’azione del composto in causa.
Tra i principali limiti dell’uso del modello animale sono la
possibile diversa sensibilità tossicodinamica della specie usata, le
differenze tossicocinetiche e metaboliche, l’imprecisione dei
metodi di estrapolazione dei risultati dall’animale all’uomo, le alte
dosi testate nell’animale, il basso numero di animali testati (e il
conseguente scarso potere statistico) ed altri ancora. In genere si
cerca di superare tali limiti mediante l’adozione di alcuni assunti
conservativi predefiniti tra cui, ad esempio: l’uomo è sensibile
come la specie animale più sensibile, il composto viene
metabolizzato nell’animale attraverso le stesse vie metaboliche che
nell’uomo, è possibile estrapolare alle basse dosi l’effetto
osservato alle alte dosi, e così via
Anche nel caso degli studi epidemiologici vi sono forti elementi
di incertezza. Da sottolineare sono la difficoltà nella stima
dell’esposizione, la presenza di fattori di confondimento ignoti
o sottostimati, gli errori sistematici di classificazione (bias) ed
altri ancora.
Ma il principale limite nell’uso dei fattori di sicurezza o
della dose virtualmente sicura come metodi per stabilire
i valori limite è rappresentato dalla loro incapacità di
tenere in debito conto la suscettibilità individuale all’effetto
tossico
“Tutte le sostanze sono tossiche. La dose, se sufficientemente bassa, può da
sola eliminare la tossicità”.
Secondo Paracelso la dose è detta “bassa” in quanto, a differenza di quella alta,
non dà tossicità. Il concetto di dose, quindi, è in questo caso intimamente legato
ai suoi effetti più che alla sua misurabilità, ed ha quindi un significato qualitativo
(tossicità si, tossicità no) più che quantitativo (valore numerico della dose).
La definizione di “bassa dose” intesa come concentrazione di una sostanza
nell’ambiente di lavoro o nelle matrici biologiche può in realtà riguardare anche
altri parametri, assai diversi tra loro:
1. la quantità di agente chimico misurata nell’ambiente o nell’individuo in
rapporto alla sensibilità e specificità delle strumentazioni e delle tecniche di
misura (limiti di rilevabilità);
2. il livello quantitativo, misurato in un gruppo di soggetti esposti
professionalmente, rispetto a quello presente nella popolazione generale (dose
di riferimento);
3. la collocazione di tale livello rispetto a dosi di specifico significato in termini di
valutazione e gestione del rischio (livello d’azione, valori limite).
Considereremo ora questi tre casi separatamente, anche per chiarire il diverso
ruolo giocato da chi effettua le misure e da chi, invece, è chiamato ad
interpretarne il significato ambientale o tossicologico.
“Bassa dose” in rapporto alla sua misurabilità
Da un punto di vista empirico l’uso del termine “basso”è da
collegare alle caratteristiche di sensibilità, ovvero ai limiti di
rilevabilità (quantizzazione), dei sistemi di misurazione e delle
tecniche analitiche disponibili in un dato momento
o luogo, senza alcun significato in termini di effetto o rischio.
In tal senso, “bassa dose” significa “quantità scarsa, piccola,
micro o anche “non misurabile”. Nulla ci dice, invece, circa i
suoi possibili effetti. In questo caso il significato
di “bassa dose” ha un valore relativo in quanto risente
fortemente dell’evoluzione degli strumenti e dei metodi di
misura. Basti pensare che sostanze ritenute a bassa
concentrazione o non misurabili fino a pochi anni fa, sono
oggi routinariamente monitorate nelle più diverse matrici.
“Bassa dose” in rapporto ai valori di riferimento
Il termine “valore normale” in Biologia e Medicina èstato spesso
usato indifferentemente nei due diversi significati di “non
patologico” e di “abituale”. Il suo impiego, pertanto, non risultava
affatto chiaro, specie quando si cercava artatamente di far
coincidere i due diversi significati. Per alcuni parametri, infatti,
quali ad esempio i livelli di lipidi nel sangue, risultava difficile
sostenere che valori “normali” (cioè abituali) dosati nelle
popolazioni dei paesi occidentali fossero anche non patologici, cioè
associabili all’assenza di alterazioni della salute. Ciò consigliò
l’uso, di volta in volta, di termini alternativi più precisi e
rispondenti al contesto specifico, quali “sano”, “non patologico”,
“tipico”, “caratteristico”, ecc.
Per far fronte a queste problematiche e permettere una corretta
interpretazione dei dati di laboratorio, offerti peraltro dalla
chimica clinica in numero sempre maggiore, nel 1968, da
un’intuizione di R.Graspeck e N.Saris, nasce il concetto di
“reference value” o “valore di riferimento” come viene tuttora
chiamato
“Bassa dose” in rapporto ai valori limite
Un punto non eludibile quando si valutano i valori limite ed in particolare
l’appropriatezza dei livelli adottati è quello di domandarsi “a cosa servono?”
ovvero, in altre parole, se servono a tutelare la salute o se hanno (anche)
altre finalità. Ad esempio, l’ American Conference of Governamental
Industrial Hygienists definisce i valori limite di soglia (Threshold Limit Values
o TLV) come “le concentrazioni delle sostanze aerodisperse al di sotto delle
quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta
ripetutamente giorno dopo giorno senza effetti negativi per la salute”.
La stessa Associazione precisa che “a causa della notevole variabilità della
suscettibilità individuale, una piccola percentuale di lavoratori può accusare
disagio in presenza di alcune sostanze le cui concentrazioni siano uguali o
inferiori ai TLV e, in una più piccola percentuale di individui, si può osservare
un effetto più marcato per l’aggravarsi di condizioni preesistenti o per
l’insorgere di una malattia professionale”.
Gli igienisti tedeschi (DFG) hanno invece proposto limiti (MAK) definiti come
massima concentrazione al posto di lavoro, cioè “concentrazione massima
permissibile di un composto chimico presente nell’atmosfera di un’area di
lavoro che, allo stato delle conoscenze, generalmente non compromette la
salute dell’operatore, né causa disturbo.”
In ambito di Unione Europea è stato istituito il Comitato Scientifico per i
Limiti di Esposizione Professionale (Scientific Committee for Occupational
Exposure Limits o SCOEL) che si propone di definire due tipi di limiti di
esposizione professionale (Occupational Exposure Limits o OELs): valori
limite obbligatori e valori limite indicativi.
I valori limite potranno cioè essere o “basati sulla salute” (health based),
per quelle sostanze per cui è possibile identificare chiaramente una dose
soglia al di sotto della quale l’esposizione non darà, presumibilmente,
origine ad effetti avversi, o “pragmatici”, per quelle sostanze per le quali le
conoscenze attuali non consentono di definire con sicurezza una dose
soglia (cancerogene, genotossiche, sensibilizzanti), e che comunque
saranno fissati a concentrazioni tali da comportare un livello di rischio
sufficientemente basso.
Va ricordato, peraltro, che altri valori limite fissati dall’Unione Europea, quali
ad esempio quelli per i pesticidi nelle acque potabili, hanno più un
significato tecnico che tossicologico, in quanto si basano su criteri di
misurabilità analitica.
Diossine
Le diossine, dal punto di vista della nomenclatura chimica, sono una
classe di composti organici eterociclici la cui struttura base consta di un
anello con quattro atomi di carbonio e due di ossigeno.
Si ripartiscono in due categorie, entrambe derivate da composti di formula
bruta C4H4O2
Le suddette categorie originano da:
•Derivati dalla 1,2-diossina (CAS 289-87-2), strutturalmente un endoperossido.
•Derivati dalla 1,4-diossina (CAS 290-67-5), il capostipite più stabile.
Tra le circa 200 diossine stabili conosciute, le più note sono le
dibenzodiossine policlorurate, composti aromatici la cui struttura
consiste di due anelli benzenici legati da due atomi di ossigeno e con
legati uno o più atomi di cloro. Gli anelli benzenici stabilizzano la
struttura della molecola.
Gli isomeri che hanno il cloro nella posizione 2, 3, 7 e/o 8 sono quelli più
tossici.
Le diossine alogenate si bioaccumulano con emivita variabile a seconda
delle molecole degli organismi e delle condizioni degli stessi.
La più nota e pericolosa di esse, per contaminazioni ambientali e
alimentari, è la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina, spesso indicata con
l'abbreviazione TCDD.
Esistono diverse diossine naturali: ad esempio il repellente prodotto dalla
spugna di mare Dysidea dendyi, detto spongiadiossina (1-idrossi-3,4,6,8tetrabromdibenzo [1,4] diossina), è un composto bromurato,
così come alcuni metaboliti fungini dell'attività di degradazione nel
terreno della lignina, peraltro a loro volta ad attività antimicotica. Anche i
derivati della 1,2-diossina sono presenti in natura, le spugne del genere
Plakortis producono uno di questi composti , e mostrano spiccate attività
antifungine. Recenti linee di ricerca farmacologiche mirano all'utilizzo di
questi composti in terapia, sia per le loro capacità antimicotiche a largo
spettro (vari studi relativi ad infezioni da candida), sia recentemente per
possibili attività antimalariche. Un ultimo settore di ricerca indaga sulle
capacità antitumorali dei derivati della forma endoperossido (sempre 1,2diossine).
Diossine come inquinanti organici persistenti
La maggior parte delle diossine polialogenate sono inquinanti organici persistenti.
Policlorodibenzodiossine o PCDD, policlorodibenzofurani o PCDF, e policlorobifenili
coplanari o Co-PCB sono spesso indicati come diossino-simili in campo medico ed
ambientale.
Nel linguaggio corrente, quindi, vengono indicate come diossine anche i composti
derivati dal furano, in particolare i dibenzofurani,
e, dal punto di vista chimico, altrettanto erroneamente i derivati dal diossano.
La ragione di questa confusione consiste nella particolare struttura spaziale delle
molecole e nella localizzazione degli elettroni, che porta ad una convergenza nei
meccanismi d'azione tossicologica delle diverse categorie di composti.
I Co-PCB, con una struttura chimica alquanto diversa, mostrano tossicità elevate,
proprio perché la particolare distribuzione dei sostituenti al difenile favorisce una
disposizione quasi planare della molecola, come avviene in diossine e furani, e limita
la rotazione sull'asse del legame centrale Ar-Ar.
Questa struttura è coinvolta nei meccanismi d'azione molecolare in vivo.
La diossina è cancerogena e come tale, a concentrazioni
opportune, può provocare diversi tumori - in particolare linfomi,
cancro al fegato e alla mammella - malattie della tiroide,
endometriosi, diabete e danni al sistema immunitario,
emopoietico e riproduttivo.
Un'altra manifestazione tipica dell'intossicazione acuta da
diossina è la cloracne, simile all'acne giovanile, si manifesta in
qualunque parte del corpo e a qualsiasi età in seguito
all'esposizione massiccia al tossico.
La pericolosità della diossina è stata confermata non solo dalle
indagini medico-scientifiche ma anche dall'osservazione diretta
delle ripercussioni sulla salute degli abitanti di Seveso e dei
villaggi vietnamiti colpiti dall'agente Orange, un defogliante
estremamente potente contenente diossina ed utilizzato dagli
Americani nel conflitto del 1964-1975.
Azione in vivo delle diossine
l principale meccanismo d'interazione (ma non l'unico in particolare negli
effetti neurotossici e di distruzione del sistema endocrino) implica il
coinvolgimento del recettore cellulare AHR, recettore per gli idrocarburi
arilici meglio noto col termine inglese, aryl hydrocarbon receptor.
Essendo l'AHR un fattore trascrizionale genico, appartenente alla stessa
classe del più noto c-Myc, un protooncogene, la sua anomala modulazione
conduce ad effetti distruttivi sulle funzioni vitali della cellula.
I principali metodi di catalogazione dell'equivalenza della tossicità nelle
diverse categorie di composti qui afferenti si basano su questa azione, e
pongono il fattore di equivalenza tossica (TEF) della TCDD a valore
unitario.
Diossine in quanto classe tossicologica ambientale
In genere, quando si parla di "diossina" in senso non
chimicamente rigoroso, ma tossicologico, si intende l'intera classe
delle diossine e diossino simili, furani, diossani e PCB coplanari
compresi.
Le diossine ed altri inquinanti organici persistenti sono sottoposti
alla convenzione di Stoccolma del 22-23 maggio 2001. Questo
accordo, entrato in vigore il 17 maggio 2004, prevede che gli Stati
aderenti prendano misure atte ad eliminare ove possibile, o
quantomeno minimizzare, tutte le fonti di diossine.
Tossicità e cancerogenicità
Le diossine, nel loro insieme sono molecole molto varie a cui
appartengono composti cancerogeni.
Ad esse vengono ascritti composti estremamente tossici per l'uomo
e gli animali, arrivando a livelli di tossicità valutabili in ng/kg, sono tra
i più potenti veleni conosciuti.
Viene classificata come sicuramente cancerogena e inserita nel
gruppo 1, Cancerogeni per l'uomo dalla IARC, dal 1997 la TCDD.
Anche secondo le norme giuridiche di molti paesi molte diossine
sono ormai agenti cancerogeni riconosciuti.
Tossicità e cancerogenicità
Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare, poco o nulla
solubili in acqua (circa 10−4 ppm), ma sono più solubili nei grassi (circa 500
ppm), dove tendono ad accumularsi. Proprio per la loro tendenza ad
accumularsi nei tessuti viventi, anche un'esposizione prolungata a livelli
minimi può recare danni.
Le diossine causano una forma persistente di acne, nota come cloracne;
sugli animali hanno effetti cancerogeni ed interferiscono con il normale
sviluppo fisico.
È stato inoltre dimostrato che l'esposizione alla diossina può provocare
l'endometriosi.
Mediamente il 90% dell'esposizione umana alla diossina, eccettuate
situazioni di esposizione a fonti puntuali (impianti industriali, inceneritori
ecc.), avviene attraverso gli alimenti (in particolare dal grasso di animali a
loro volta esposti a diossina) e non direttamente per via aerea: il fenomeno
del bioaccumulo fa sì che la diossina risalga la catena alimentare umana
concentrandosi sempre più, a partire dai vegetali, passando agli animali
erbivori, ai carnivori ed infine all'uomo.
Tossicità
L'emivita della TCDD nell'uomo varia da 5,8 a 11,3 anni (Olson 1994)
principalmente in funzione di livello metabolico e percentuale di
massa grassa; varia tra 10 e 30 giorni nei roditori.
La tossicità, espressa come LD50 è sensibilmente specie specifica
(esempio LD50 somministrazione per via orale nella cavia è di
500.0 ng/kg nel caso di TCDD).
Fonti di diossine
È dimostrato che i composti della famiglia delle diossine si formano
durante la fase iniziale della combustione dei rifiuti, quando la combustione
genera HCl gassoso, in presenza di catalizzatori, quali il rame e il
ferro.Responsabile principale della formazione di composti appartenenti
alla famiglia delle diossine è il cloro "organico", cioè cloro legato a
composti organici polimerici, ad esempio il PVC. La presenza di cloro e di
metalli nel materiale di rifiuto pone le due principali condizioni per la
formazione delle diossine. Il cloro, nella forma di acido cloridrico gassoso
viene liberato durante la combustione del rifiuto dalla dereticolazione dei
polimeri clorurati a circa 300 °C, quindi forma cloro gassoso se l’acido
viene a reagire con l’ossido di un metallo di transizione in forma bivalente,
quale ferro o meglio il rame, secondo la cosiddetta reazione di Deacon:
Cu + ½ O2 -> CuO
CuO + 2 HCl -> Cu + H2O + Cl2
2 HCl + ½ O2 -> H2O + Cl2
Il cloro risultante si lega agli anelli benzenici durante la fase di
combustione secondo la reazione di sostituzione:
2 CuCl2 + R-H ->2Cu-Cl + HCl + R-Cl
Lo zolfo invece porta rapidamente alla passivazione del rame e quindi
all’inibizione della funzione di catalizzatore:
CuO + SO2 + ½ O2 -> CuSO4
Fonti di diossine
Le diossine si generano anche in assenza di combustione, ad esempio nella
sbiancatura della carta e dei tessuti fatta con cloro e nella produzione di
clorofenoli, specie quando la temperatura non è ben controllata. Può essere
il caso della produzione degli acidi 2,4-diclorofenossiacetico e 2,4,5triclorofenossiacetico, noti diserbanti.
Fonti di diossine
Per quanto riguarda i processi di combustione, possiamo ritrovarle
in:
industrie chimiche, siderurgiche, metallurgiche, industrie del vetro e
della ceramica, nel fumo di sigaretta, nelle combustioni di legno e
carbone (potature e barbecue, camini e stufe), nella combustione
(accidentale o meno) di rifiuti solidi urbani avviati in discarica o
domestici, nella combustione di rifiuti speciali obbligatoriamente
inceneribili (esempio rifiuti a rischio biologico, ospedalieri) in
impianti inadatti, nei fumi delle cremazioni, delle centrali
termoelettriche e degli inceneritori.
Gli inceneritori sono stati a lungo fra i maggiori produttori di
diossina, ma negli ultimi anni l'evoluzione tecnologica ha permesso
un notevole abbattimento delle emissioni gassose da queste fonti
(anche se questi emettono pericolose nanoparticelle che possono
trasportare diossine in forma non gassosa).
PROBLEMA RIFIUTI
Tuttavia, per quel che riguarda gli aspetti sanitari finali, la
stragrande maggioranza degli studi epidemiologici, anche
recentissimi, basati su campioni molto vasti di popolazione,
rilevano una correlazione tra le patologie diossina-correlate e la
presenza di inceneritori nelle aree soggette ad indagini; viceversa
sono pochi o nulli gli studi che non rilevano correlazioni.
PROBLEMA RIFIUTI
I dati di emissione possono variare moltissimo a seconda del
periodo considerato grazie ai miglioramenti tecnologici imposti
dalla normativa su determinate fonti, fra cui gli inceneritori. La
Tabella 1 conferma questa tendenza: i vecchi impianti di
incenerimento e la gestione dei rifiuti in generale producono
quantità enormi di diossina, mentre gli impianti moderni, secondo
le normative vigenti per i nuovi impianti, sono scesi a una frazione
della produzione passata.
Se l'incenerimento di rifiuti solidi urbani, industriali o ospedalieri,
nel 1990 producevano rispettivamente oltre 20 e 50 volte più
inquinanti della produzione dell'acciaio, negli impianti attuali sono
circa a un decimo, senza contare esperienze ancora più positive.
È pertanto evidente che la rilevanza dell'incenerimento sul
complesso delle fonti di diossina in un Paese dipende fortemente
dall'arretratezza degli impianti esistenti, nonché ovviamente dalla
quantità di rifiuti bruciati.
Tab-1: Emissioni di diossine in Germania
dati in g TU (grammi in "Toxicity Units")
Fonte
1990 1994 2000
Estrazione e lavorazione metalli 740
220
40
Incenerimento rifiuti
400
32
0,5
Generazione energia
5
3
3
Inceneritori industriali
20
15
<10
Combustioni domestiche
20
15
<10
Traffico
10
4
1
Cremazioni
4
2
<2
Totale
1200 330
<70
Si conferma che il settore siderurgico di seconda fusione (dove possono
essere trattati anche materiali di recupero contaminati), considerando
anche gli alti valori assoluti della produzione, è insieme
all'incenerimento uno dei massimi responsabili della produzione di
diossine, e inoltre che la combustione non controllata di legna, rifiuti e
biomasse varie – contrariamente a quanto si può pensare – è molto
pericolosa.
2: Emissioni di diossine negli USA (dati 2000)
Fonte
%
Incenerimento domestico
35,1
Incenerimento rifiuti ospedalieri
26,6
Motori diesel pesanti (camion, navi, treni)
6,9
Incenerimento fanghi di depurazione
6,3
Incenerimento rifiuti urbani
5,9
L'inventario dell'EPA (Ente americano di protezione dell'ambiente)
stima come maggiore fonte di diossine negli Stati Uniti
l'incenerimento domestico (pratica diffusa in quel paese). Il
miglioramento tecnologico degli impianti di incenerimento
(ospedalieri, fanghi e urbani) rispetto alle precedenti stime è netto: il
totale per il 2000, come si può evincere dalla tabella sotto riportata, è
26,6%, mentre nel 1995 era di 58,5% e nel 1987 di ben l'82,8% (stessa
fonte EPA).
Per quanto riguarda l'Europa, l'Unione Europea, in un corposo
e dettagliato documento intitolato Inventario europeo delle
diossine, stima che il trattamento dei rifiuti (e in particolare
l'incenerimento) e il settore industriale (in particolare il
siderurgico) sono i massimi responsabili dell'emissione in
atmosfera di diossine:
«Nonostante i considerevoli sforzi degli ultimi anni per ridurre
le emissioni degli inceneritori di rifiuti solidi urbani questo tipo
di fonte continua a dominare l'immissione di diossine in
atmosfera».
Le emissioni più rilevanti di diossina, tuttavia, non sono quelle in atmosfera
ma quelle nel terreno.
I massimi responsabili sono i pesticidi, in fase di produzione ma anche di
uso; seguono a una certa distanza i fuochi accidentali, nonché ancora una
volta lo smaltimento dei rifiuti.
Le stime sono generalmente molto incerte, per la difficoltà e la rarità delle
misurazioni su fenomeni assai poco controllati e controllabili.
I fuochi accidentali sono in particolare un elemento di estrema incertezza,
mentre l'incenerimento è una fonte più studiata e si sa che, come per i
pesticidi, l'attenzione che ha attirato e attira sta facendo diminuire le sue
emissioni.
Da tenere in conto è anche l'immissione di diossine nelle acque. I dati
disponibili sono pochissimi, e relativi solo alla produzione di carta,
all'incenerimento e allo smaltimento degli olii usati, le cui emissioni anche
nella peggiore delle ipotesi sono però molto inferiori a quelle in aria e terra.
Poco si sa invece su pesticidi, settore chimico, fuochi accidentali,
discariche di rifiuti, che pure sono stimati essere i massimi responsabili
delle emissioni nelle acque.
Come si rilevano le diossine - analisi e questioni collegate
L'elevatissima tossicità porta alla necessità di sensibilità piuttosto
elevate, con la risoluzione di livelli dell'ordine del picogrammo (10−12 g o
meglio 10−15kg per il sistema internazionale), e dalla processazione in
ambienti straordinariamente puliti e controllati (camere bianche o clean
room), tenuti costantemente in pressione dell'aria positiva (contenimento
dinamico), per evitare contaminazioni.
Le
tecniche
fondamentali
si
basano
principalmente
sulla
gascromatografia di estratti dei campioni, seguite dalla rilevazione dei
composti eluiti con rivelatori di massa (o a cattura di elettroni in casi
specifici).
Il Reg. (CE) 19/12/2006, n. 1883/2006 stabilisce come metodi strumentali
di conferma, quelli in cui sono impiegati gascromatografi ad alta
risoluzione accoppiati a spettrometri di massa ad alta risoluzione
(HRGS/HRMS).
A livello legale, tali analisi sono normate dal Decreto del Ministero Della
Salute del 23 luglio 2003 in recepimento della direttiva Europea
2002/69/CE, del 26 luglio 2002, che stabilisce i metodi di campionamento
e d'analisi per il controllo ufficiale di diossine e la determinazione di PCB
diossina-simili nei prodotti alimentari.
Intossicazione da Piombo o Saturnismo
Il saturnismo è una grave malattia dovuta
all'esposizione professionale od accidentale
al piombo; il nome deriva da "saturno", dio
romano (crono per i greci) associato dagli
alchimisti a questo elemento. L'assimilazione
di tale metallo può avvenire per vie cutanee,
mucose, inalazione o tramite l'apparato
digerente (picacismo).
Caratteristiche del metallo
Il piombo puro è un metallo malleabile e pesante di
colore grigio scuro per la presenza di ossidazione
superficiale; fonde a 327,46 °C, con emissione di
vapori a circa 450 °C.
L'ebollizione avviene invece a circa 1740 °C.
In natura si ritrova nella galena (solfuro di piombo),
cerusite (carbonato di piombo), anglesite (solfato di
piombo) o associato a zinco, argento e rame.
Può essere utilizzato allo stato puro, in lega con altri
metalli o per la produzione di composti inorganici o
come piombo tetraetile, antidetonante per i vecchi
combustibili.
Fonti di rischio
L'intossicazione da piombo può avvenire sia nell'ambiente lavorativo sia
occasionalmente.
Le persone esposte al rischio professionale sono:
Addetti alla estrazione o alla fusione del piombo
Addetti alla saldatura
Addetti alla produzione o smaltimento di accumulatori
Addetti alla produzione o all'uso di vernici
Addetti alla produzione e verniciatura di ceramiche
Addetti alla produzione di oggetti di cristallo
Addetti alla produzione di proiettili da caccia
Addetti alla produzione di leghe od oggetti contenenti piombo
Fonti di rischio
Accidentalmente, l'esposizione cronica da piombo può avvenire con
il consumo di distillati (talora anche aceto) stoccati in vecchi
contenitori di ceramica o contenenti piombo.
Altre volte il piombo si trova in:
Aria: uso di pesticidi contenenti piombo
Suolo e acqua: processi industriali
Cibi e bevande: per conservazione in contenitori con piombo
Particolare attenzione deve essere rivolta ai bambini
per la possibile ingestione di oggetti contenenti
piombo (picacismo) e soprattutto per la maggiore
sensibilità all'effetto tossico del metallo. Nei lattanti,
il piombo puo'essere assunto tramite depositi di sali
sul capezzolo materno. In passato l'uso di
copricapezzoli di piombo per la cura delle ragadi
della areola mammaria ha determinato frequenti
intossicazioni saturniche; il divieto dell'utilizzo di tali
sistemi ha drasticamente ridotto l'incidenza di
questa intossicazione in età pediatrica. Più
importante è inoltre la frazione assorbita dalle
cellule intestinale del bambino.
Tossicocinetica
Il piombo può essere assunto per via respiratoria o per ingestione. La
prima via è importante nei soggetti esposti ai fumi o vapori della
lavorazione del piombo o delle sue leghe. Questa via è molto
importante in quanto le piccole particelle che raggiungo i polmoni
sono assorbite in una quota di poco inferiore al 50%. Particelle di
diametro maggiore, polveri ingerite per contaminazione di cibo, liquidi
o tessuti, raggiungono invece il tratto gastrointestinale dove circa il
10% negli adulti e il 40% nei bambini sono assorbite. Una volta
assorbito il piombo si distribuisce il larga parte negli eritrociti e in una
piccola frazione (circa il 10%) nel plasma. Di qui è libero di distribuirsi
in diversi compartimenti corporei.
Tra questi:
- Tessuti molti, con cinetica di ridistribuzione rapida. Questa
frazione è responsabile dell'effetto tossico.
- Osso spongioso, muscoli e apparato tegumentario, con
cinetica di ridistribuzione intermedia.
-Capelli, denti e osso compatto. In quest'ultimo può rimanere
anche per venti anni.
Benché sia tendenzialmente inattivo dal punto di vista
tossicologico, il piombo immagazzinato rappresenta una
quota prontamente disponibile in caso di fratture e alterazioni
del tessuto osseo.
L'eliminazione del piombo ingerito è prevalentemente fecale, con
quota escreta pari al 60% nel bambino e al 90% nell'adulto. La via
urinaria rappresenta invece un affidabile indicatore di dose
assorbita; analogamente il piombo assorbito può passare nel
latte materno o attraverso la placenta (a partire dalla tredicesima
settimana).
Patogenesi (1)
L'azione tipica del piombo si esplica sull'emopoiesi, bloccando la funzione
di diversi enzimi preposti alla sintesi dell'EME. Questo effetto, unitamente
all'effetto citotossico eritrocitario con iperemolisi, è responsabile della
anemia ipocromica e della escrezione urinaria dei composti a monte della
via dell'EME. Infatti l'effetto inibitorio sull'enzima ALA deidratasi porta
all'accumulo di acido delta aminolevulinico mentre l'effetto su
coproporfirinogeno III ossidasi e su EME ossidasi è responsabile
dell'accumulo di coproporfirinogeno III e protoporfirina IX rispettivamente.
A livello dell'apparato gastroenterico il piombo è invece responsabile della
colica saturnina, dolore addominale di tipico spastico dovuto alla diretta
azione del piombo sulla muscolatura liscia intestinale parzialmente
risolvibile con spasmolitici. A questa si associa stipsi e meteorismo,
manifestazioni tipicamente preceduti da dolenzia addominale diffusa e
sapore metallico in bocca.
La deposizione del metallo a livello gengivale è responsabile del colorito
bluastro visibile a livello del coletto degli incisivi esterni e dei canini.
Patogenesi (2)
Il piombo (grave esposizione acuta o subacuta) esplica inoltre effetti tossici
diretti a livello del sistema nervoso centrale per spasmo delle arteriole e
conseguente edema cerebrale diffuso.
Il sistema nervoso periferico è invece interessato nelle forme croniche, con
polineuropatia e paralisi periferica (tipica paralisi del nervo radiale).
I reni possono essere il target della tossicità da piombo sia acutamente che
cronicamente; infatti l'effetto tossico diretto sull'epitelio tubulare e lo
spasmo delle arteriole renali può essere responsabile di un'insufficienza
renale acuta di tipo renale con proteinuria e cilindruria grave.
L'esposizione cronica provoca invece il cosiddetto rene grinzo saturnino,
condizione di insufficienza renale cronica dovuta all'ischemia cronica per
spasmo arteriolare.
La conseguente ipertensione arteriosa è responsabile dell'aumentato
rischio cardiovascolare nei soggetti esposti a piombo.
La gotta saturnina è invece dovuta alla diminuita escrezione di acido urico.
Profilo clinico (1)
I sintomi dell'intossicazione acuta (rara) sono:
Nausea, vomito, diarrea, intensi dolori addominali
Anemia emolitica
Ittero per epatopatia (anche lieve)
Insufficienza renale acuta
In caso di intossicazione massiva può eccezionalmente insorgere la
gravissima encefalopatia saturnina:
convulsioni
ipertensione cerebrale
edema cerebrale
quindi sopraggiunge la morte.
Richiede con urgenza una terapia chelante (CaNa-EDTA, con
supplementazione di zinco).
Profilo clinico (2)
In caso di intossicazione cronica si ha
- anemia (con alterazioni eritrocitarie: aumento delle protoporfirine, per il blocco
della via metabolica che porta alla sintesi di eme), alterazioni mitocondriali,
eritrociti immaturi in circolo)
- disturbi trofici gengivali (orletto di Burton) che si origina per reazione del
piombo presente nei capillari con l'idrogeno solforato dei residui alimentari
- alterazioni cognitive, astenia, parestesia ed irritabilità
- nefrosclerosi con: ematuria, proteinuria, cilindruria, oliguria e ipertensione
- colica saturnina: dolore addominale a cintura (tipo pancreatite) provocato dalla
contrazione della muscolatura liscia della parete intestinale (attenuabile tramite
gluconato di calcio), nausea vomito, stipsi
- elevata incidenza di mortalità neonatale, documentata infertilità nella donna;
nell’uomo si evidenziano anomalie spermatiche ed oligospermia
- ipertensione
- paresi del radiale; la velocità di conduzione motoria risulta alterata per la
demielinizzazione;
- encefalopatia da piombo (molto frequente nei bambini, più rara nell'adulto),
cefalea, amnesia.
Striscio periferico di sangue che mostra alcuni
eritrociti ipocromici e con inclusioni basofile (RNA
ribosomiale). Reperto suggestivo ma non specifico
per intossicazione da piombo
Profilo clinico (3)
Altre manifestazioni dell’intossicazione cronica sono: anoressia, nervosismo,
tremori, calo ponderale, cefalea, dolori addominali, astenia degli estensori,
colorito cinereo del volto, alterazione del metabolismo purinico, gotta acuta,
nefropatia gottosa, oliguria, proteinuria diarrea, vomito, nausea, sapore
metallico, intensa sete.
Gravi reliquati dell'intossicazione cronica non trattata comprendono:
•
•
•
•
Nefropatia cronica (rene grinzo saturnino) con ipertensione arteriosa e
insufficienza renale cronica
Neuropatia periferica, encefalopatia su base tossica ed ipertensiva
Gastrite cronica e duodenite, coliche persistenti
Vasculopatia e cardiopatia ipertensiva
Diagnosi (1)
Oltre a contesto anamnestico ed obiettivo,
esistono indicatori di dose (esami che indicano
la dose alla quali si è stati esposti) e indicatori
di effetto (indicatori dell'effetto sull'organismo
dell'esposizione al piombo).
Diagnosi (2)
Indicatori di dose
• Piombemia, corretta per la conta dei globuli rossi (talora gli stati anemici
conseguenti all'esposizione al piombo possono dare falsi negativi), indicatore
di esposizione. Non è un indicatore adatto per stimare le riserve tissutali.
• Piomburia, sempre corretta per la conta dei globuli rossi. Si eleva dopo due
settimane; come per la piombemia, non è un indicatore adatto per stimare le
riserve tissutali.
• Piombemia dopo somministrazione di 1 g di CaNaEDTA, agente chelante del
piombo. Se elevata, indica la presenza di riserve tissutali.
Diagnosi (2)
Indicatori di effetto
• Acido delta aminolevulinico deidratasi eritrocitaria: la sua inibizione è
l'indice più affidabile e più precoce di esposizione al piombo. Deve
però essere ricordato che esposizioni croniche o recenti all'alcool
possono inibire l'enzima.
• Protoporfirina IX eritrocitaria: la valutazione della concentrazione di
questa molecola correla direttamente con l'azione biologica del
piombo. Rimane elevata per alcuni mesi, rendendola efficace per
valutare i depositi di piombo tissutale.
• Acido delta aminolevulinico urinario: aumenta in corso di
intossicazioni da piombo e di porfiria acuta intermittente (con problemi
di diagnosi differenziale).
• Coproporfirine urinarie: diminuiscono rapidamente dopo esposizione
e rappresentano un buon indice di esposizione acuta.
Terapia
La terapia si basa sull'allontanamento dalla fonte e
sulla somministrazione di un chelante del piombo,
ossia il sale CaNa2EDTA endovena 1-2 g/die per
cicli di 4-5 giorni, con sospensione di 2-3 settimane
e poi ripresa. La terapia di deve continuare fino alla
normalizzazione della piombemia, parametro che
indica una diminuzione sostanziale delle riserve
tissutali. Le coliche possono essere controllate con
spasmolitici; si deve inoltre attuate una terapia atta
a correggere l'eventuale disionia ed ipertensione.
Persone malate di saturnismo
• La
morte di personaggi famosi come Beethoven e
Goya, o i disturbi mentali di Van Gogh, sono stati
attribuiti a saturnismo. Per i pittori si presume che
l'intossicazione cronica sia dovuta al loro contatto con i
colori: Goya inumidiva i pennelli con la bocca.
Recentemente anche la morte del Caravaggio è stata
attribuita al saturnismo.
• I linotipisti (addetti alla Linotype) venivano spesso a
contatto con il piombo rimasto nella camera di fusione
nella macchina e potevano riportare i sintomi
dell'avvelenamento da piombo.
Reazioni avverse e
Farmacovigilanza
DEFINIZIONI (OMS) - I
• Effetto collaterale
Qualsiasi effetto non intenzionale di un farmaco che
insorga alle dosi normalmente impiegate e che sia
connesso alle proprietà del farmaco (es. xerostomia da
anticolinergici o gastrite da FANS)
• Reazione avversa (Adverse Drug Reaction)
Risposta ad un farmaco che sia nociva e non intenzionale
e che avvenga alle dosi normalmente usate per la terapia,
profilassi e diagnosi
Reazione avversa inaspettata (la natura e la gravità di ADR
non è riportata su scheda tecnica)
DEFINIZIONI (OMS) - II
• Evento avverso
Qualsiasi fenomeno clinico spiacevole che si presenti
durante il trattamento con un farmaco, ma che non abbia
necessariamente un rapporto di causalità con il trattamento
stesso (es. dermatite-cheratocongiuntivite-peritonite
sclerosante da practololo)
• Reazione avversa o evento avverso grave
Qualsiasi evento che per qualsiasi dose metta in pericolo la
vita del paziente, richieda l’ospedalizzazione, determini una
persistente disabilità, provochi la morte
REAZIONI AVVERSE INDOTTE DA
FARMACI
(classificazione eziopatogenetica)
• Reazione tossica
• Reazione idiosincrasica
• Reazione allergica
• (Malattia iatrogena)
REAZIONE TOSSICA
• Effetto avverso indotto da un farmaco tramite
uno dei meccanismi seguenti:
- meccanismo d’azione responsabile
dell’effetto terapeutico
- proprietà farmacodinamica secondaria
(non responsabile dell’effetto terapeutico)
- metabolita prodotto durante il processo di
biotrasformazione del farmaco
- proprietà chimico-fisica intrinseca alla
molecola del farmaco (es.: radicali
chimicamente reattivi)
CARATTERISTICHE DELLA REAZIONE TOSSICA
• Intensità del danno
- dipendente dalla dose del farmaco
• Conseguenze (esiti)
- danno reversibile, irreversibile, esito letale
• Sede anatomica del danno o disfunzione
- locale (singolo organo) o sistemica
• Relazione intensità/tempo
- reazione acuta, cronica, ritardata
ESEMPI DI REAZIONI TOSSICHE
•
•
•
•
•
•
Barbiturici
Anestetici locali
Chinoloni
Morfina
Isoniazide
Indometacina
depressione SNC
convulsioni
convulsioni
depressione respiratoria
necrosi epatica
depressione midollo osseo
acetilazione
acetilazione
Isoniazide
+
Idrolisi
+ idrolisi
Acetil-idrazina
Diacetil-idrazina
(metabolita non-tossico)
CYP450
Rifampicina
Idrazina
(metabolita tossico)
Metabolita reattivo
Via diretta
Via indiretta
Isoniazide: disfunzioni epatiche nel
10-20% dei pazienti; epatiti 1% dei casi
Lee WM. N Engl J Med 2003, 349: 474
Somministrazione concomitante di
isoniazide e rifampicina determina un
incremento di idrazina in soggetti
acetilatori lenti
L’idrazina è un metabolita altamente
reattivo che determina danni a proteine
intracellulari con rigonfiamento cellulare
e successiva rottura della membrana
Westphal et al. J Antimicrob Chemother 1994, 33: 387
ESEMPI DI TOSSICITA’ RITARDATA
•
•
•
•
•
•
Cloramfenicolo
Tetraciclina
Antitumorali
Antiepilettici
Cortisonici
Anticoagulanti orali
aplasia midollo osseo
alterazioni dentarie
teratogenesi
teratogenesi
teratogenesi
teratogenesi
FATTORI IN GRADO DI INFLUENZARE LA
TOSSICITA’
• Cortisonici
meno tossici nel bambino
• Oppioidi
più tossici nel bambino
Sesso
• Oppioidi
• Barbiturici
metabolismo lento (donna)
metabolismo lento (donna)
Malattia
• Catecolamine
• Beta-bloccanti
ipertiroidismo
asma, diabete mellito
Età
CARATTERIZZAZIONE DELLA TOSSICITA’ DI UN
FARMACO
• Indice terapeutico
DL-50 / DE-50
(anche: DT-50 / DE-50)
• Margine di sicurezza
DL-5 / DE-95
(anche: DT-5 / DE-95)
INDICE TERAPEUTICO
Dose letale 50%
Dose efficace 50%
ESEMPI DI FARMACI CON DIVERSO INDICE
TERAPEUTICO
• Farmaci con indice terapeutico basso
- digitale
- chemioterapici anti-tumorali
- anestetici generali
• Farmaci con indice terapeutico medio
- farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS)
- beta-bloccanti
- analgesici oppioidi
• Farmaci con indice terapeutico elevato
- antibiotici beta-lattamici
- antibiotici macrolidi
CARATTERIZZAZIONE DELLA TOSSICITA’ DI UN
FARMACO
• Attività teratogena
capacità di indurre malformazioni fetali
• Attività tossica perinatale
capacità di indurre effetti tossici sul feto nel periodo
prossimo al parto
• Attività tossica sulla fertilità
capacità di compromettere la capacità riproduttiva del
maschio o della femmina
• Attività mutagena
capacità di indurre mutazioni genetiche (aumento del
rischio di patologie tumorali)
REAZIONE TOSSICA DA
SOVRADOSAGGIO
• Sovradosaggio assoluto
Uso di un farmaco a dosi eccessive, per errore, a
scopo voluttuario o suicida (omicida); es.
Paracetamolo
• Sovradosaggio relativo
Dose somministrata nel range terapeutico ma ↑
concentrazioni plasmatiche per variazioni
cinetiche dovute a patologie epatiche, renali,
ipoalbuminemia, interazioni farmacologiche
REAZIONE IDIOSINCRASICA
Definizione
Reazione avversa provocata dalla
somministrazione di un farmaco e
determinata da un’alterazione della
costituzione genetica dell’individuo
CARATTERISTICHE DELLA
REAZIONE IDIOSINCRASICA
• La reazione tende a manifestarsi in seguito a
somministrazione di normali dosi terapeutiche
del farmaco (sovradosaggio non necessario)
• Dipende dalla costituzione genetica
dell’individuo (polimorfismi genetici)
• Può essere reversibile, irreversibile o letale
• Generalmente si manifesta come reazione
acuta già alla prima somministrazione del
farmaco
REAZIONE ALLERGICA
Risposta abnorme (patologica) del
sistema immunitario ad una sostanza
estranea (antigene) mediata da una
liberazione massiva di mediatori
dell’infiammazione sistemica o di
singoli organi
CARATTERISTICHE DELLA
REAZIONE ALLERGICA
• Origina da una precedente esposizione alla
sostanza sensibilizzante (primo contatto)
• I sintomi si manifestano dopo il secondo
contatto con la sostanza sensibilizzante
• Una piccola percentuale della popolazione
sviluppa allergie (predisposizioni genetiche?)
• La sostanza allergizzante (antigene) ha
struttura chimica generalmente proteica e
massa molecolare superiore a 1.000 Dalton
REAZIONE ALLERGICA INDOTTA DA
FARMACI (cronologia)
• Primo contatto
Sensibilizzazione
• Elaborazione della 7-14 giorni (in media)
risposta immunitaria
• Contatto
evocatore
comparsa dei sintomi
caratteristici della
reazione allergica
CLASSIFICAZIONE DELLE REAZIONI
ALLERGICHE
• Tipo 1
Reazione immediata (anafilattica)
• Tipo 2
Reazione citolitica mediata da
anticorpi
• Tipo 3
Danno tissutale da complessi immuni
• Tipo 4
Reazione ritardata (immunità cellulomediata)
MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLE
REAZIONI ALLERGICHE
• Tipo 1
asma, rinite, congiuntivite
edema laringeo
sindrome di Stevens-Johnson
shock anafilattico
• Tipo 2
emolisi
• Tipo 3
dermatite, arterite
granulocitopenia, emolisi
nefrite
• Tipo 4
lesioni granulomatose
ESEMPI DI REAZIONI ALLERGICHE INDOTTE DA
ANTIBIOTICI BETA-LATTAMICI
• Reazioni immediate (2-30 minuti)
- orticaria, prurito diffuso
- ipotensione, shock anafilattico
- edema laringeo, asma
• Reazioni rapide (1-72 ore)
- orticaria, prurito diffuso
- edema laringeo, asma
- reazioni infiammatorie d’organo
• Reazioni tardive (oltre 72 ore)
- eruzioni cutanee (morbilliformi, orticarioidi)
- artralgie; reazioni infiammatorie d’organo
• Reazioni tardive rare
- anemia emolitica, trombocitopenia
- febbre da farmaco
- insufficienza renale
MALATTIA IATROGENA
Reazione avversa nella quale il trattamento
con un farmaco provoca la comparsa di
sintomi e dsfunzioni organiche che:
1. sono identici a quelli di una malattia nota,
2. generalmente non recedono con la
semplice sospensione della
somministrazione del farmaco,
3. richiedono l’adozione di adeguati
provvedimenti terapeutici.
ESEMPI DI FARMACI IN GRADO DI
PROVOCARE MALATTIE IATROGENE
•
•
•
•
•
•
•
Rifampicina
Diuretici tiazidici
ACE-inibitori
FANS
Antracicline
Aminoglicosidi
Cortisonici
epatite acuta
glomerulonefrite
sindrome nefrosica
ulcera peptica
miocardiopatia
ipoacusia
ipertensione, diabete…
Perché la farmacosorveglianza
“consiste nella valutazione del
rischio e nel monitoraggio della
incidenza di effetti indesiderati
potenzialmente associati al
trattamento farmacologico.”
IMPORTANZA CRESCENTE DELLA FARMACOVIGILANZA
L’importanza crescente della Farmacovigilanza è motivata dalle
osservazioni seguenti:
• Negli USA sono registrati 100.000 morti/anno per tossicità da
farmaci (4a-6a causa di morte, più frequenti delle morti da
malattia diabetica)
• Il 5-10% dei ricoveri nel pronto soccorso dei paesi europei è
dovuto a reazioni tossiche ai farmaci
• Nel periodo 2000-2001 si sono verificati in Italia numerosi
episodi di tossicità causati dal trattamento con i farmaci
cerivastatina e cisapride
• Nel 2002 il Ministero della Salute – Commissione Unica del
Farmaco - ha sospeso per alcuni mesi, in via cautelativa, il
trattamento con sibutramina
• Numerosi farmaci registrati vengono tolti dal commercio a
causa del numero di reazioni avverse segnalate dai servizi di
Farmacovigilanza
DEFINIZIONE 1
Definizione di reazione avversa ai farmaci (ADR)
secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità:
“Una risposta nociva e non voluta a un farmaco
che si manifesta a dosaggi normalmente impiegati
nell’uomo per la profilassi, la diagnosi o la terapia
delle malattie, o per modificare le normali funzioni
fisiologiche”
WHO. International drug monitoring: the role of national centres.
Tech Rep Ser WHO 498, 1972
Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000
DEFINIZIONE 2
“Una reazione sensibilmente dannosa o sgradevole,
derivante da un intervento connesso con l’uso di un
prodotto medicinale, che predice il rischio derivante
dall’uso futuro e richiede prevenzione o trattamento
specifico, modifica del regime di dosaggio o la
sospensione del farmaco stesso”
Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000
DEFINIZIONE 3
“Il termine effetto avverso è preferibile ad altri termini
quali effetto tossico o effetto collaterale.
Un effetto tossico è un’estensione dell’effetto
terapeutico voluto e non è comune alle dosi
normalmente utilizzate”
Esempio: Il mal di testa dovuto a un calcio-antagonista è un
effetto tossico dovuto allo stesso meccanismo
dell’effetto terapeutico: la vasodilatazione
Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000
CLASSIFICAZIONE DELLE REAZIONI AVVERSE AI
FARMACI (1)
TIPO DI
REAZIONE
CARATTERISTICHE
ESEMPI
TIPO A
Dose-dipendente
•Comune
•Effetto anticolinergico degli
•Correlata alle caratteristiche antidepressivi triciclici
farmacologiche del farmaco
•Prevedibile
•Bassa mortalità
TIPO B
Non dosedipendente
•Rara
•Non correlata alle
caratteristiche
farmacologiche del farmaco
•Imprevedibile
•Alta mortalità
•Shock anafilattico da
penicilline
•Idiosincrasie
TIPO C
Dose e tempo
dipendente
•Rara
•Associata a fenomeni di
accumulo del farmaco
•Inibizione asse ipotalamoipofisi-surrene da cortisonici
•Sordità da aminoglicosidi
Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000
CLASSIFICAZIONE DELLE REAZIONI AVVERSE AI
FARMACI (2)
TIPO DI
REAZIONE
CARATTERISTICHE
ESEMPI
TIPO D
Tempodipendente
• Rara
• Normalmente dosedipendente
• Si manifesta a distanza di
tempo dalla sospensione
del farmaco
• Teratogenesi (talidomide,
farmaci antitumorali)
• Carcinogenesi (estrogeni)
• Discinesia (DOPA)
TIPO E
Sospensione
• Rara
• Si manifesta subito dopo
la sospensione del
farmaco
• Astinenza da oppiacei
• Ischemia cardiaca da
sospensione di -bloccanti
• Ipertensione per sospensione
di clonidina
TIPO F
Fallimento
della terapia
• Comune
• Dose-dipendente
• Spesso correlata ad
un’interazione tra farmaci
• Antiepilettici
• Anticoncezionali
• 2 stimolanti
Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000
METODI DI INDIVIDUAZIONE DELLE REAZIONI
AVVERSE AI FARMACI E DI VALUTAZIONE DEI
RAPPORTI DI CAUSALITA’
• SEGNALAZIONE ANEDDOTICA
• SEGNALAZIONE VOLONTARIA ORGANIZZATA
• MONITORAGGIO INTENSIVO
• STUDI CLINICI DI FASE IV
• RECORD LINKAGE (RACCOLTA DI INFORMAZIONI DA
BANCHE DATI SANITARIE)
• STUDI DI METANALISI
Edwards IR e Aronson JK. Adverse drug reactions. Lancet 356, 1255, 2000
INCIDENZA DI ADR IN RELAZIONE AL
NUMERO DI FARMACI PRESCRITTI
May FE et al. Clin Pharmacol Ther 1977; 22: 322
60
50
40
30
20
10
0
0-5
6-10
11-15
16-20
Numero di farmaci prescritti
INTERAZIONI TRA FARMACI
• 6.5% di pazienti ricoverati in ospedale
ha un ADR da interazione tra farmaci
– (Manchon et al. Rev Med Interne 1989; 10: 521-5)
• Più di 2000 interazioni identificate
• Più di 15000 articoli pubblicati negli
ultimi 30 anni
• Spesso scarsa informazione sulla
rilevanza clinica e sull’impatto sulla
salute pubblica
– Drug Interactions newsletter, N183, 1999
Segnalazione
È la descrizione di un evento clinico non
previsto e/o non desiderato che il segnalatore
ritiene che possa essere collegato al(i)
farmaco(i) che il paziente assume
Segnalazione spontanea
Può essere considerata come un classico
sistema di segnale ed il suo scopo
principale è quello di fornire l’allarme di
un possibile rischio il più presto possibile
La scheda di
segnalazione
Campi indispensabili perché
la segnalazione sia valida
SEGNALAZIONE
ORGANIZZATA
dove reperire la scheda di segnalazione
• Nel bollettino di Informazione sui Farmaci del
Ministero della Salute
• Presso il responsabile della FV dell’ASL o AO
• Scaricata dal sito www.farmacovigilanza.org
• Presso l’Informatore scientifico del Farmaco di
qualsiasi azienda farmaceutica
Segnalazione spontanea in Europa nel 1993
(Segnalazioni totali. Fonti: OMS e Ministero Sanità)
Francia
Svezia
UK
Irlanda
Germania
Spagna
Paesi Bassi
Austria
Italia
Portogallo
0
100
200
300
400
500
Numero di segnalazioni per milione di abitanti
Farmacovigilanza ed erbe
medicinali (1)
• Convinzione
– le preparazioni
erboristiche sono
naturali e quindi
“sicure”
• Conseguenza
– se si sviluppa un
evento avverso
difficilmente si associa
all’erba medicinale
In Inghilterra solo lo 0,8% dei pazienti (su 515 intervistati)
consulterebbe il GPs per una AE grave da prodotto
erboristico e solo lo 0,4% per un AE minore (Barnes J et al.
Br J Clin Pharmacol. 1998; 45: 496-500)
Farmacovigilanza ed erbe
medicinali (2)
• La maggior parte dei
• La maggior parte di
presidi erboristici sono
coloro che usano
oggetto di
queste terapie è
autoprescrizione o di
riluttante a riferirne
suggerimenti da parte
l’uso al proprio medico
di non medici
curante
Negli USA, su 523 pazienti che avevano assunto un
prodotto erboristico, solo il 28% aveva informato il GPs
(Eisenberg DM et al. N Engl J Med. 1993; 328: 246-252)
Farmacovigilanza ed erbe
medicinali (3)
• La maggior parte dei
Medici curanti SA
POCO O NULLA di
fitoterapia
• La maggior parte dei
Medici curanti è
RILUTTANTE A
CHIEDERE al paziente
se fa uso di prodotti
erboristici
Farmacovigilanza ed erbe
medicinali (4)
• La maggior parte dei
presidi erboristici sono
oggetto di
AUTOPRESCRIZIONE
o di suggerimenti da
parte di non medici
• La maggior parte di
coloro che usano
queste terapie
probabilmente si
rivolge al
FARMACISTA