I obiezioni Cartesio

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DESCARTES risponde al CATERUS
1) la causa di un’idea?
osserva che Caterus ha in mente
prima di tutto la realtà effettiva, che è
in atto, e per questo non vuol
riconoscere la realtà oggettiva
dell’idea, anche se dice che non è un
puro niente, ma qualcosa
osserva inoltre che il problema della
causa si pone anche per la realtà
oggettiva delle idee
Esempio: l’idea di una macchina
assai complessa. Da dove l’avrò
escogitata? forse ne avrò visto una o
forse me la sono inventata;
comunque “nella causa dovrà esserci
in modo formale (effettivo) la ragione
dell’artificio che penso con la mente”.
Per spiegare un’idea, non basta
tirare in campo la nostra ignoranza.
La causa deve avere almeno le
perfezioni dell’effetto. Non si può
spiegare l’idea di una macchina
piena d’artificio solo con l’ignoranza
della meccanica.
Cartesio: forse il Caterus dimentica
l’altra parte del ragionamento: non
solo ho detto che abbiamo in noi
l’idea di Dio, ossia di un essere
perfetto,
ma anche che noi siamo finiti, e che
la nostra mente proprio per questo
non può essere l’origine della realtà
obiettiva di tale idea.
Riguardo al secondo argomento
della terza meditazione:
il Caterus l’ha paragonato alla via
dalle cause efficienti di Tommaso.
Cartesio osserva che non è partito
dal mondo,
1) perché le cose sensibili sono
meno evidenti di Dio; 2) ma anche
per una ragione più profonda, legata
alla serie delle cause...
Cartesio introduce qui una difficoltà,
legata al modo con cui interpreta la
serie delle cause.
Osserva che non riesce a capire
come le cause infinite (cause
seconde) debbano richiedere una
causa prima.
Scambia però il modo con la
questione di fondo: “non si può
procedere all’infinito” (Aristotele)
Cartesio osserva infatti che
“dall’impossibilità di immaginarmi
una serie infinita di cause
non segue che debba esistere
una causa prima”;
e suggerisce un esempio
matematico: la divisione in frazioni
può continuare anche se non sono in
grado di immaginare come.
Cartesio conclude piuttosto che è
certo da tutto questo che
il mio intelletto finito non può
comprendere l’infinito.
Ecco perché è partito dall’esistenza
di se stesso e si è chiesto, non tanto
quale sia l’origine a ritroso (serie
delle cause) ma piuttosto come
possa essere conservato nell’essere.
Cartesio osserva inoltre che ha
cercato la causa della propria
esistenza non in quanto anima e
corpo, ma in quanto mente:
questa è l’unica cosa certa che ci
evita di andare in cerca della serie
delle cause
(i miei genitori e così via all’indietro)
E non bisogna anche qui dimenticare
la presenza in me dell’idea di Dio
o di perfezione:
solo così ho scoperto la mia finitezza
e la necessità che qualcun altro mi
abbia posto e mi conservi nell’essere
(NB come a dire: anche la seconda
prova è legata alla prima)
A conclusione di questo punto torna
sul problema del “per sé”:
è impossibile che qualcosa sia causa
efficiente di se stessa?
Sì, se si parla di cause efficienti che
debbono essere diverse dagli effetti o
precederli nel tempo; ma forse si può
intendere la causa efficiente in un
senso più largo.
Cartesio incomincia precisando che
la causa efficiente non è di per sé
qualcosa che deve precedere nel
tempo il proprio effetto;
né posso generalizzare dicendo che
tutto deve avere una causa:
in tale caso, anche la causa prima
dovrebbe avere a sua volta una
causa.
Cartesio suggerisce piuttosto che
deve esistere qualcosa che non ha
bisogno di una causa né per
esistere, né per conservarsi, e “che è
in certo modo causa di se stessa”
(causa sui)
Cartesio spiega meglio la propria
argomentazione: se anche fossi
esistito da sempre, avrei sempre
bisogno di qualcuno che mi conservi
nell’essere; così Dio, che da sempre
esiste, è esso stesso a conservarsi
nell’essere (causa sui): una causalità
efficiente che non dice un reale
influsso su se stesso, ma piuttosto
che Dio esiste da sempre.
Cartesio sembra tuttavia giocare
sulle distinzioni:
chi intende il per sé in senso
negativo, lo fa perché non è in grado
di sapere come questo accada
(questione solo di linguaggio);
ma ci deve essere anche un senso
positivo del per sé, ed è quello legato
alla verità delle cose.
Esempio: una pietra dirò che è
per sé (in senso negativo) perché
non conosco la sua causa;
ma se mi domando se nella pietra c’è
una forza che la mantenga
nell’essere, allora dovrò dire
che non è per sé (in senso positivo):
solo Dio è per sé in senso positivo e
al di là della parola, è come se fosse
‘causa efficiente’ di se stesso.
Cartesio riprende poi l’osservazione
del Caterus ripresa da Suárez:
ciò che è limitato ha una causa
e osserva che non è la limitazione a
richiedere una causa, semmai la
cosa limitata;
il che equivale a dire: la limitazione si
può spiegare con la forma (per sé)
ma l’esistenza non è una questione
puramente formale.
E allarga quindi il discorso:
tutto quello che esiste è
o per una causa,
o per sé come per una causa:
In conclusione:
il per sé va interpretato comunque in
senso positivo.
Osservazione: qui Cartesio torna a
privilegiare l’esistenza sull’essenza
Ma veniamo all’idea di infinito:
a dire il vero l’infinito in quanto
infinito non può essere compreso
ma è tuttavia inteso
un conto è l’indefinito,
un conto l’infinito:
del primo non conosco i limiti solo
per qualche aspetto,
del secondo sotto tutti gli aspetti
Inoltre un conto è l’infinità in quanto
tale e un conto la cosa infinita:
l’infinità è concepita come qualcosa
di positivo, ma viene intesa come
assenza di limitazioni (ossia in modo
negativo)
la cosa infinita viene concepita in
modo positivo, ma non in tutta la sua
estensione, che è appunto infinita
Torna all’esempio del chiliogono e
aggiunge quello del mare:
noi vediamo distintamente una parte
o un particolare, ma vediamo solo
confusamente il tutto.
Altrettanto si deve dire di Dio:
noi abbiamo solo una conoscenza
che è propria di una mente finita;
non ho mai preteso di conoscere
l’infinito in tutta la sua estensione
Cartesio dopo aver concesso che in
tal modo gli sembra di essere
d’accordo con Tommaso d’Aquino
riguardo alla conoscenza solo
confusa di Dio,
passa alla prova a priori.
E incomincia facendo mostra di
essere d’accordo con Tommaso:
Anselmo avrebbe dovuto dire che la
parola Dio indica appunto qualcosa
che esiste non solo nella mente, ma
anche nella realtà;
ma si tratta solo del significato della
parola, mentre io ho detto qualcosa
di ben diverso
La differenza è proprio questa, la
premessa di tutto il ragionamento:
ciò che concepisco in modo chiaro e
distinto appartenere all’essenza di
qualcosa, deve essere affermato con
verità di quella cosa (premessa
maggiore)
Ora nell’essenza di Dio, ... (minore)
quindi (conclusione) posso dire con
verità di Dio che esiste.
Osserva Cartesio che la premessa
maggiore non è in fondo che il
principio dell’evidenza;
la difficoltà è piuttosto nella
premessa minore: nelle cose comuni
siamo soliti distinguere tra essenza
ed esistenza e facciamo fatica a
pensare un’essenza in cui sia
necessario pensare anche
l’esistenza.
Forse sarebbe meglio distinguere tra
esistenza possibile ed
esistenza necessaria:
nelle cose comuni l’esistenza è
pensata come possibile;
solo nell’idea di Dio troviamo l’idea di
un’esistenza necessaria.
Si può inoltre aggiungere un ulteriore
criterio:
le idee inventate da noi sono divisibili
in modo chiaro e distinto (nel cavallo
alato: posso pensare le due cose
divise in modo chiaro e distinto);
mentre per le idee che mi fanno
conoscere qualcosa di immutabile,
le distinzioni sono possibili solo con
una restrizione della mente.
Prendiamo l’idea di un corpo
perfettissimo, come suggerisce il
Caterus: mi accorgo subito che le
perfezioni sono state da me riunite a
partire dai diversi corpi;
inoltre, nel concetto di corpo non
trovo l’idea di una potenza in grado
di produrlo o conservarlo nell’essere.
Nell’idea di un essere onnipotente,
invece, troviamo anzitutto
l’idea di una esistenza possibile;
ma troviamo anche l’idea di una
potenza infinita, che senz’altro ne
garantisce l’esistenza.
113: “è manifesto per lume naturale
che ciò che esiste per la sua propria
forza, esiste sempre”
All’ultima obiezione, sulla sesta
meditazione, Cartesio osserva che
occorre non una distinzione formale,
ma una distinzione reale; precisa:
“io concepisco pienamente che cos’è
un corpo (una cosa completa);
altrettanto posso dire della mente o
dello spirito: ecco il fondamento della
distinzione reale”; una distinzione
formale rimane all’interno della cosa.
Osservazione:
le precisazioni di Cartesio alle prima
obiezioni sono importanti per capire
anche le discussioni successive, in
particolare le seconde (Mersenne) e
le quarte obiezioni (Arnauld).
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