3B_31TO - salesiani don Bosco

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Omelie per un anno
Volume 2 - Anno “B”
Anno “B”
31ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
 Dt 6,2-6 - Ascolta, Israele: ama il Signore tuo Dio con tutto il
cuore.
 Dal Salmo 17 - Rit.: Ti amo, Signore, mia forza.
 Eb 7,23-28 - Egli, poiché resta per sempre, possiede un
sacerdozio che non tramonta.
 Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Se uno mi ama, osserverà la
mia parola, dice il Signore, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a
lui. Alleluia.
 Mc 12,28b-34 - Questo è il primo comandamento, il secondo poi
gli è simile.
Regno di Dio nell’amore
Cristo, sommo sacerdote
Liberazione e gioia sono dono di Dio, Signore e Padre nostro. Dono
che non abbiamo meritato, ma ci è stato procurato da Gesù, il sommo
sacerdote “sempre vivo per intercedere in nostro favore” (Eb 7,25).
Già nella scorsa domenica siamo stati invitati a ricorrere con fiducia a
lui per ottenere misericordia e aiuto. “Sommo sacerdote così grande
che è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli” (Eb 8,1; cf
10,12), egli nella Chiesa “esercita ininterrottamente la sua funzione
sacerdotale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spirito”,
soprattutto nella “sinassi eucaristica... centro della comunità dei
cristiani presieduta dal presbitero”, nella quale i fedeli sono invitati “a
offrire la divina vittima a Dio Padre nel sacrificio della Messa, e a fare,
in unione con questa vittima, l’offerta della propria vita”
(Presbyterorum ordinis, 5).
“Non sei lontano dal regno di Dio”. L’elogio fatto da Gesù allo scriba
che “aveva risposto saggiamente” c’invita a riflettere su questa
risposta per avvicinarci anche noi al regno di Dio, anzi per entrarvi
mettendo in pratica ciò che lo scriba aveva capito della legge divina e
delle parole del Maestro. C’invita ad “ascoltare”, come il Signore
chiedeva a Israele, con sincera volontà di comprendere, a tener fissi
31ª domenica del Tempo Ordinario “B” • © Elledici, Leumann 2005
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nel cuore i suoi precetti e farne la norma della nostra vita.
“Amerai il Signore Dio tuo”
All’ebreo che dall’insegnamento dei rabbini aveva appreso che la
legge contiene 613 comandamenti, 365 negativi e 248 positivi,
distinti in “gravi” o “grandi” e “leggeri” o “piccoli”, interessava
certamente sapere se c’è un comandamento che debba considerarsi
“il primo di tutti”. Gesù, venuto non per abolire la legge ma per darle
compimento (cf Mt 5,17), risponde con le parole del Deuteronomio,
leggermente amplificate: “Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio
nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il
tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”.
La risposta era particolarmente appropriata per uno scriba, che aveva
come impegno professionale lo studio e l’insegnamento della legge
divina. Ma la risposta è valida, è essenziale anche per noi.
Per il cristiano che non trova posto per Dio in una vita tutta presa dal
lavoro e dagli affari, dalle distrazioni e dai piaceri. Per il cristiano che
quando ha “ascoltato un pezzo di Messa” si ritiene in credito con Dio,
senza nemmeno domandarsi se la Messa lo impegni in qualche modo
nella vita. Per il cristiano che, consapevolmente e polemicamente,
giudica inutile la preghiera, il contatto personale e il colloquio con
Dio, pretendendo di ridurre il cristianesimo a impegno sociale. Per il
cristiano, infine, che, attento e docile, come lo scriba,
all’insegnamento del Maestro, ripete col salmista: “Ti amo, Signore,
mia forza; Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio,
mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente
salvezza” (Sal 17,1-2); “Amo il Signore perché ascolta il grido della
mia preghiera” (Sal 114,1), e apre a Dio il suo cuore nella preghiera
di lode e di ringraziamento nella supplica umile e fiduciosa con cui
Gesù c’invita a rivolgerci al Padre.
Amare Dio, perché “il Signore Dio nostro è l’unico Dio”. Non è lecito
sostituire a lui gli idoli creati da una mente fuorviata dall’orgoglio,
dalla sete di potere e di piacere, dalla moda del momento a cui
conviene piegarsi perché è scomodo andare contro corrente. Amare
Dio: la misura indicata da Gesù: “con tutto il tuo cuore, con tutta la
tua mente e con tutta la tua forza”, mostra che l’amore impegna tutta
la persona, stimolandoci a uno sforzo incessante, attuato nella fede,
nell’umiltà e nella pace, per rimanere nell’amore (cf Gv 15,9-10),
conservarsi nell’amore di Dio (Gd 21), camminare nell’amore (Ef 5,2).
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“Amerai il prossimo tuo come te stesso”
Gesù va oltre la domanda dello scriba, dichiarando qual è, dopo il
“primo”, il “secondo” comandamento: “Amerai il prossimo tuo come
te stesso”. Lo scriba non poteva ignorare questo comandamento,
espresso chiaramente nella legge: “Amerai il prossimo tuo come te
stesso” (Lv 19,18; cf v. 34). Ma Gesù voleva fargli capire che non si
può amare Dio senza amare il prossimo. “Se uno ha ricchezze di
questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il
proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17); “Se
uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore.
Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio
che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi
ama Dio, ami anche il suo fratello” (4,20-21).
Fratelli siamo tutti, quindi a tutti siamo debitori di un amore sincero e
operoso. Cominciando dai più vicini, i membri della nostra famiglia,
della medesima comunità civica ed ecclesiale, la parrocchia e, a
raggio più ampio, della diocesi, passando attraverso la zona che
riunisce un gruppo di parrocchie per un’azione pastorale comune. Non
sono cose che interessano soltanto il vescovo, i preti, gli uffici e gli
organismi riconosciuti, ma toccano ogni fedele, perché l’adempimento
della missione propria della Chiesa si attua anche valendosi di questi
strumenti. Prenderne coscienza e darsi da fare perché essi rispondano
sempre meglio al loro scopo è dar prova di senso di responsabilità e
di maturità cristiana.
Lo scriba mostra d’aver capito. In bocca a un ebreo, educato a vedere
nel culto del tempio, eseguito con puntualissima fedeltà, l’espressione
suprema della pietà religiosa, l’affermazione che amare Dio e amare il
prossimo “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”, è molto
significativa.
Due tentazioni opposte stanno sempre in agguato: o impegnarsi per
gli altri mettendo da parte Dio, o illudersi d’amare Dio dimenticando i
fratelli. (C’è anche il pericolo di far a meno sia dell’amore di Dio sia
dell’amore del prossimo, chiudendoci in un sordido e sterile egoismo).
Anche per l’amore del prossimo la legge di Dio dà un criterio, ripreso
da Gesù: “come te stesso”. Non si può dire che sia una richiesta poco
esigente: non è facile trattare gli altri con lo stesso amore con cui
tratto me stesso. Vogliamo provare a confrontare come ci
comportiamo verso gli altri e come ci comportiamo verso noi stessi?
Eppure Gesù andrà più avanti, chiedendoci un modo di amare ancora
più impegnativo: amarci come ci ha amato lui. “Vi do un
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comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato,
così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). “Questo è il mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”
(Gv 15,12).
Non è questo un ideale troppo alto? Certo, se si pensa a quella
perfezione dell’amore che non è di questo mondo, ma si realizzerà
solo nell’al di là, poiché “la carità non avrà mai fine” (1 Cor 13,8). Ma
quanti cristiani s’impegnano seriamente per rispondere all’invito del
Signore?
Anche oggi la 2ª lettura ci presenta Gesù Cristo come “il sommo
sacerdote che ci occorreva”, che ha offerto se stesso per i nostri
peccati. Prova suprema di amore per tutti gli uomini: “Cristo vi ha
amato e ha dato se stesso per voi offrendosi a Dio in sacrificio di
soave odore” (Ef 5,2); per ogni uomo: “Mi ha amato e ha dato se
stesso per me” (Gal 2,20); invito all’amore riconoscente: “Che cosa
renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Sal 115,12); stimolo
all’imitazione generosa.
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