L'ITALIANO LINGUA SECONDA Riflessioni sulle esperienze in una scuola ad alta presenza di alunni cinesi Lucia Maddii L’esperienza di insegnamento dell’italiano L2 nel III Circolo di Campi Bisenzio (FI): la sperimentazione, i problemi, le metodologie, i percorsi e le unità didattiche attuate dagli insegnanti di classe e di progetto. 1. L'inserimento dell'alunno non italofono…… nella scuola……… …..nella classe 2. Il percorso 3. La prima alfabetizzazione 4. Conclusioni 1- L'INSERIMENTO DELL'ALUNNO NON ITALOFONO Che cosa significa insegnare l’italiano L2 nella scuola elementare? Quali sono le problematiche, i possibili percorsi, le indicazioni metodologiche e didattiche? L’apprendimento di una seconda lingua è un fenomeno molto complesso che va collocato nella sua dimensione cognitiva, affettiva e sociale. Non è dunque qualcosa che può essere affrontato solo da un punto di vista strettamente linguistico: troppi sono i fattori che influiscono sull’apprendimento di una L2, i quali, se ignorati, porterebbero ad un’azione didattica molto meno efficace e sicuramente più frustrante sia per l’allievo sia per il docente. Questo significa che nella progettazione dei percorsi finalizzati all’apprendimento dell’italiano L2 occorre considerare non solo quanto sarà fatto in maniera specifica e individualizzata per l’alunno straniero, ma occorrerà esaminare l’organizzazione che si è data la scuola e la classe, l’ambiente sociale nel quale è inserito l’alunno straniero e le caratteristiche individuali dell’apprendente stesso. Poiché è spesso l’alunno straniero nuovo arrivato quello che provoca la "crisi professionale" dell’insegnante, il quale si trova di fronte un bambino con il quale sembra impossibile qualsiasi tipo di interazione, il mio contributo farà riferimento in particolare a ciò che può essere ed è stato fatto per i bambini che sono inseriti nelle classi e non conoscono la lingua italiana. Alcuni principi e molte indicazioni sono comunque valide anche per tutti quegli alunni, figli di lavoratori immigrati, i quali presentano livelli di competenza in italiano più elevati, ma che non possono ancora essere definiti italofoni. ….nella scuola ……. Il III Circolo Di Campi Bisenzio accoglie ogni anno più di una ventina di alunni nuovi arrivati che si aggiungono ad una presenza piuttosto consistente (nel plesso Vamba gli alunni stranieri, quasi tutti di nazionalità cinese, sono il 33% del totale degli iscritti). Quando un’insegnante si trova di fronte un nuovo bambino straniero, la prima preoccupazione è sicuramente quella di fornire al nuovo allievo gli strumenti linguistici necessari a poter seguire le normali attività della classe. Ma oltre alla domanda su come potrà intervenire per sviluppare tale competenza, l’insegnante dovrà porsi un altro importante interrogativo: "come deve modificarsi l’organizzazione della mia scuola per rispondere alle nuove esigenze?" L’utenza straniera porta all’interno della scuola bisogni e domande alle quali si può rispondere solo costituendo una rete di interventi coordinati, stimolati e verificati dalla scuola stessa. Per favorire l’apprendimento dell’italiano L2 e la scolarizzazione dei figli di lavoratori immigrati, il Circolo ha stabilito una serie di rapporti di reciproca collaborazione con i servizi sociali, le amministrazioni comunali, enti, associazioni e organizzazioni di volontariato presenti nel territorio. Tutto questo perché vi possa essere sostegno per le situazioni di disagio, collaborazione nell’azione educativa anche al di fuori della scuola e contributi professionali, ma anche finanziari, per migliorare i rapporti con le famiglie o arricchire l’offerta formativa della scuola stessa. Soprattutto con i bambini stranieri lo "star bene" con se stessi e con gli altri nell’ambiente scolastico è importante per avviare con successo l’apprendimento della lingua italiana e la sua scolarizzazione. Lo "star bene a scuola" si traduce anche in documenti e avvisi bilingui, presenza di mediatori, attenzione alle tradizioni culturali e religiose, possibilità di mantenere la lingua di origine con appositi corsi. ….. e nella classe La classe, nonostante la possibilità di attività a classi aperte, laboratori ecc., resta l’ambiente di socializzazione e di apprendimento privilegiato per il bambino. Se consideriamo che l’alunno straniero studia l’italiano in condizioni di "full immersion" qualsiasi attività è (teoricamente) per lui occasione di apprendimento della nuova lingua. Il problema più grosso che le insegnanti incontrano è che effettivamente un bambino appena inserito riesce a comprendere poco o nulla di quanto viene detto o fatto in classe. Il periodo di non comprensione cresce inoltre con l’aumentare dell’età, perché le attività svolte nelle classi saranno sempre più complesse e orientate verso le materie di studio. Con i bambini cinesi, che presentano periodi piuttosto lunghi di apprendimento dell’italiano, tre anni non sono spesso sufficienti per garantire al bambino un linguaggio idoneo a comprendere quanto è scritto in un libro di testo, vuoi sussidiario o libro di lettura, né il linguaggio tecnico utilizzato per le spiegazioni. Il problema è minore per i bambini del primo ciclo poiché le attività svolte in queste classi lasciano più spazio ai linguaggi non verbali: disegno, pittura, musica, motricità, … Come si può dunque stimolare l’apprendimento dell’italiano L2 in classe senza per questo dover rivoluzionare l’intero programma? La risposta più ovvia è quella di preparare percorsi individualizzati per il bambino, o i bambini, che non riescono a seguire le spiegazioni. Questa soluzione va bene ed è normalmente adottata, ma non può essere l’unica, perché il bambino straniero non può vivere sempre come un corpo estraneo all’interno della classe. Occorre allora lavorare anche per gruppi, individuando e stabilendo compiti diversi adatti a ciascun bambino. In questo modo si creano situazioni che motivano lo scambio comunicativo e stimolano l’uso dell’italiano, evitando le esercitazioni spesso artificiose che vengono svolte durante le lezioni individualizzate. Le attività migliori sono quelle che utilizzano linguaggi non verbali, (nel Circolo, anche negli anni passati, sono stati organizzati laboratori di musica, pittura, teatro,..), ma con una gestione attenta da parte dell’insegnante si può inserire il bambino nuovo arrivato anche in tutti gli altri lavori di gruppo. Per questo alcune insegnanti organizzano le attività in modo che l’alunno straniero non svolga sempre il ruolo di colui che ha bisogno di aiuto. 2- IL PERCORSO Quando progettiamo un percorso di insegnamento di una L2 dobbiamo tener ben presente tutta una serie di fattori che influiscono sull’apprendimento linguistico: le condizioni socio-familiari, la possibilità di avere contatti con autoctoni e lo status attribuito al gruppo di appartenenza e alla lingua di origine. A livello individuale, poi, agiscono in maniera diversa la motivazione ad apprendere una nuova lingua, il grado di ansia, il disagio vissuto dal bambino nel processo di adattamento, i disturbi nella costruzione della nuova identità. Tutti questi fattori hanno un’influenza considerevole sul processo di apprendimento e devono essere attentamente valutati da parte dell’insegnante al momento della progettazione. I dati sono raccolti attraverso l’osservazione diretta, i colloqui con i genitori, ma anche attraverso la consulenza dei mediatori culturali che aiutano a comunicare con le famiglie e a "tradurre" certi comportamenti. Spesso la risoluzione di situazioni di disagio ha sbloccato l’apprendimento della nuova lingua, così come il verificarsi di problemi lo ha ostacolato. Da quanto detto appare chiaro che l’apprendimento della L2 può essere favorito solo attraverso una pluralità di interventi: attività specificamente linguistiche in gruppi o in classe, attività di laboratorio, valorizzazione della lingua di origine, oltre, naturalmente, a tutte quelle iniziative che la scuola, nei limiti che le sono propri, può intraprendere per diminuire il disagio degli alunni stranieri. Ma come è stata impostata l’azione didattica, quali contenuti, quali attività sono stati proposti? Mentre i contenuti e le attività vengono adattati alle diverse situazioni, all’età degli apprendenti o agli argomenti trattati in classe, il gruppo di insegnanti di progetto si è posto alcuni principi metodologioco-didattici che costituiscono i pilastri sui quali si edificano i percorsi. Nell’insegnamento di una seconda lingua la comunicazione all’interno del gruppo è il più possibile vicino a quella naturale, cioè centrata sul contenuto e non sulla forma. Questo significa evitare esercitazioni artificiose, ma significa anche accettare le forme "scorrette" dei nostri alunni soprattutto se certi "errori" non diminuiscono la comprensione del messaggio. Ciò che noi comunemente chiamiamo "forme scorrette" sono, infatti, frutto dei meccanismi di elaborazione del linguaggio: i nostri alunni non comunicano in un italiano imperfetto, ma in una vera e propria lingua caratterizzata da proprie regole. Difficilmente comunque un bambino nuovo arrivato inizia subito a parlare: esiste sempre un periodo che possiamo chiamare "del silenzio" nel quale l’apprendente ascolta, ma non comunica in L2. Gli insegnanti rispettano questa fase: sarà il bambino che inizierà a parlare spontaneamente quando si sentirà sicuro. Ne consegue che quando programmiamo le unità didattiche, prevediamo la possibilità da parte dell’alunno di poter rispondere anche con gesti o movimenti. Le conversazioni o i dialoghi sono lasciate per le fasi successive. Non per questo abbiamo ridotto lo spazio dedicato alla lingua orale che ha invece un posto predominante: chiaramente, nelle prime fasi, è l’insegnante che parla, mentre gli alunni ascoltano o eseguono comandi, fanno giochi o attività guidate. Nella progettazione di una lezione gli insegnanti pongono inoltre estrema attenzione al fatto che le produzioni linguistiche siano ricche di referenti concreti: se parliamo di ciò che è presente o avviene "qui e ora", la comprensione da parte dell’alunno sarà più semplice. Non è superfluo ricordare che un clima sereno e rilassato favorisce l’apprendimento: per questo cerchiamo di lavorare in un ambiente piacevole e programmiamo attività nelle quali il bambino non si sente valutato o giudicato dall’insegnante e dai compagni. Per quanto l’apprendimento della L2 sia l’obiettivo al quale noi miriamo è necessario che il bambino non perda la L1. Lasciare che l'alunno dimentichi la lingua materna, senza aver perfettamente acquisito l’italiano, significa sgretolare la competenza comunicativa del bambino: il semilinguismo è purtroppo un fenomeno piuttosto frequente ed è causa di difficoltà nell’apprendimento e nelle relazioni sociali e affettive. 3- LA PRIMA ALFABETIZZAZIONE Per esemplificare concretamente quanto si può e si sta facendo nella scuola per risolvere questo tipo di problema mi riferirò ad un gruppo di ragazzi cinesi di età compresa tra i nove e i dodici anni, nuovi arrivati, iscritti in classi del secondo ciclo. Ciò che verrà descritto è stato svolto nello scorso anno scolastico con un gruppo sperimentale. Per questi bambini era stata pensata una forma graduale di inserimento: la prima settimana hanno frequentato solo la mattina riuniti in gruppo. Nelle settimane successive, per un mese, i ragazzi seguivano le attività linguistiche nel gruppo di alfabetizzazione (chiamato anche "classe di accoglienza"), in orario antimeridiano, mentre il pomeriggio tornavano nelle classi di appartenenza. Contemporaneamente l’insegnante di progetto aveva attivato in queste classi attività di pittura e di origami a gruppi in modo da favorire la prima socializzazione di questi alunni. Trascorso questo periodo, il numero delle ore trascorso fuori della classe era stato ridotto. Su questo gruppo intervenivano diverse figure professionali: oltre gli insegnanti di classe, contribuivano allo sviluppo dell’italiano l’insegnante di progetto, una mediatrice madrelingua cinese, un’esperta sinologa e un insegnante cinese. L’insegnante di progetto si occupava del gruppo per alcune ore settimanali curando soprattutto lo sviluppo lessicale; la mediatrice cinese seguiva la programmazione dell’insegnante di progetto, rinforzava quanto veniva affrontato nel gruppo utilizzando come lingua veicolare il cinese (in questo modo era possibile fare riflessioni a carattere metalinguistico, chiedere spiegazione ecc.). L’esperta sinologa, con il laboratorio bilingue, ha fornito unità didattiche in lingua cinese riguardanti argomenti di studio che poi venivano tradotte in italiano (questo per fornire agli alunni un vocabolario minimo per lo studio). L’insegnante cinese, in orario non scolastico, ha invece tenuto un corso di lingua di origine (per consolidare quanto già era stato acquisito). Oltre a queste attività più propriamente linguistiche, i bambini partecipavano anche ai laboratori organizzati nelle rispettive classi: un laboratorio di storie a fumetti e un laboratorio geografico. Che cosa è stato fatto in particolare con questo gruppo? Quali sono le unità didattiche specifiche per l’apprendimento dell’italiano L2? Con i bambini nuovi arrivati ha senso cominciare dagli oggetti che normalmente servono a scuola e dalle azioni più richieste dall’insegnante (apri il quaderno, prendi la penna, chiudi la porta, …). Per questo la prima cosa che l’insegnante ha fatto è stata quella di fornire un primo vocabolario necessario ad orientarsi nell’ambiente scolastico. Queste prime parole erano destinate poi a comporre le prime frasi minime sulle quali si sarebbero agganciati più tardi gli attributi e tutte le espansioni. Nei primi giorni le parole da insegnare, oltre che essere presentate nel loro naturale contesto, cioè la frase, sono state isolate per essere proposte al bambino mostrando l’oggetto di riferimento o mimando l’azione. Questo, a mio parere, rassicura l’alunno che può tornare a casa con la convinzione di aver imparato almeno cinque o sei parole. Non si è trattato certo di fare noiosi esercizi di denominazione. Sono invece state organizzate attività di disegno, pittura, piegatura della carta nella quale l’insegnante usava le parole da apprendere in contesto naturale (mi dai la matita? prendi la colla, taglia il foglio con queste forbici …..). L’input linguistico in queste prime fasi era attentamente controllato: l’insegnante parlava in modo chiaro, lento, semplice, ma corretto evitando forme di foreigner talk, cioè di lingua semplificata per stranieri (es. "dare penna", "no tagliare" ……). In certi casi non è consigliabile iniziare subito dalle classiche domande "come ti chiami?" " Quanti anni hai?" soprattutto se non si ha a disposizione un bambino che possa fare da interprete. Queste domande, infatti, essendo prive di un referente concreto, non possono essere comprese per quanto noi possiamo gesticolare, batterci il petto e ripetere il nostro nome o quello degli altri compagni (oltretutto il gesto cinese per dire "io" è indicarsi il naso e non il cuore come noi occidentali!). Per questo è stato scelto di affrontarle un po’ più tardi. Una volta apprese le prime parole della scuola l’insegnante introduceva i colori, i numeri e altri semplici aggettivi (es. piccolo- grande). I verbi, nelle prime fasi erano proposti all’imperativo o al presente indicativo anche se le prime produzioni spontanee si hanno spesso all’infinito. Lavorando con bambini già scolarizzati, è stato naturale dedicare una parte della lezione anche alla lingua scritta; molti di questi ragazzi conoscevano già il sistema alfabetico anche se la corrispondenza fra grafemi e fonemi non è identica. Non è stato utilizzato il metodo globale puro, metodo fra l’altro pensato per l’apprendimento della lettura e della scrittura da parte di alunni più piccoli, perché i bambini sapevano già discriminare le lettere: si è trattato di risistemare ciò che già conoscevano. Inizialmente i ragazzi hanno copiato i nomi degli oggetti da imparare su cartellini da incollare sulle cose, poi è stato creato un piccolo dizionario italiano cinese illustrato. Gli alunni esercitavano la lettura utilizzando questi prodotti. Dopo alcuni giorni l’insegnante è passata a suddividere le parole in sillabe ed ha mostrato le possibili combinazioni e le relative pronunce. Con i ragazzi già scolarizzati in Cina, l’apprendimento della lettura e della scrittura non costituisce un problema. Il caso è diverso per i bambini più piccoli e che non hanno frequentato la scuola nel paese di origine. Con questi alunni si può ricorrere al metodo globale, ma con molta attenzione: le frasi prescelte devono essere effettivamente comprese dal bambino e devono essere molto semplici in modo da evitare ulteriori sovraccarichi per la memoria. Altro aspetto al quale occorre prestare attenzione è l’alfabetiere che propone oggetti, personaggi non conosciuti dai bambini stranieri (es. befana) o rappresentazioni che potrebbero risultare offensive (es. l’immagine di un cinese giallo come un limone con il cappello e il codino). Il carattere da presentare può essere lo stampato maiuscolo o minuscolo. Il corsivo può essere affrontato più tardi visto che non è essenziale e presenta notevoli difficoltà per chi proviene da un sistema di scrittura diverso dal nostro (come gli arabi o i cinesi). Dopo due mesi di lavoro i ragazzi erano capaci di comprendere i semplici comandi dell’insegnante, riconoscevano i colori ed erano capaci di numerare in italiano. Una buona parte dei ragazzi aveva già acquisito la tecnica della lettura e della scrittura, non senza "errori" molto simili a quelli commessi dagli apprendenti italiani (doppie, accenti, …); più marcata era la difficoltà a distinguere la "l" dalla "r" (dovuta alla nota sordità fonologica verso la "r") e nel comprendere i digrammi "gn" e "gl". A questo punto è stato pensato di aprire gli spazi linguistici e di occuparsi di campi più interessanti per i bambini. Per questo è stato deciso di lavorare sugli animali: sui loro nomi, sulle azioni che possono compiere e sui possibili attributi. In questo modo l’enunciato andava arricchendosi di espansioni. Dopo un lavoro svolto nel gruppo su immagini e filmati, i ragazzi sono stati portati in visita ad uno zoo: sono state scattate foto sulle quali i ragazzi hanno nuovamente lavorato, verbalizzando e ricostruendo ciò che avevano visto. Molti lavori sono stati fatti anche in lingua cinese. Ogni unità didattica è stata raccolta dall’insegnante di progetto in una piccola dispensa che poteva essere riutilizzata dai ragazzi.: la dispensa conteneva un piccolo vocabolario con immagini, frasi o piccoli testi da leggere e una serie di esercizi che gli alunni potevano svolgere una volta rientrati in classe. Il grosso problema di questi ragazzi era, infatti, quello di rendere fruttuosi certi "tempi morti" che si verificavano quando il resto della classe svolgeva compiti che loro non erano in grado di seguire. Ogni unità didattica che prevedeva l’acquisizione di nomi, aggettivi e verbi i quali si strutturavano in frasi sempre più ricche, impegnava gli alunni per un mese, un mese e mezzo. Dopo aver parlato di animali, sono stati scelti altri temi: l’abbigliamento, i mestieri e infine il cibo. Grazie alle conversazioni spontanee, ai giochi e alle attività svolte con i compagni si erano comunque sviluppati altri campi semantici e si era arricchito il patrimonio di frasi adatte alla comunicazione: oltre a saper rispondere alle domande inerenti la propria persona (come ti chiami, dove abiti, che classe fai?…) i ragazzi conoscevano i nomi dei mesi, delle ore, dei giorni, sapevano inserirsi in un gioco, acquistare in cartoleria, al bar, al mercato… Per ogni nuovo argomento affrontato era stata programmata una serie di uscite: al mercato, quando si parlava di abbigliamento, dai vigili del fuoco, dai carabinieri, in una fattoria, in una cantina e in un frantoio quando si parlava di mestieri, al ristorante cinese quando si parlava di cibo. Ogni uscita è stata preparata fornendo prima gli strumenti linguistici essenziali ai ragazzi per comprendere ciò che andavano a vedere, e dopo ogni uscita gli alunni hanno rielaborato, verbalizzato l’esperienza arricchendo, con un percorso a spirale, la propria competenza. Spesso sono stati costruiti testi bilingui: se la padronanza dell’italiano era ancora minima, i ragazzi potevano scrivere in cinese. La presenza della mediatrice madrelingua, per due giorni la settimana, ha permesso di svolgere queste attività assicurandone la piena comprensione. Il fatto di poter disporre di un’insegnante della stessa cultura ha aiutato molto i ragazzi a risolvere dubbi e problemi di incomprensione: sapevano che avevano a disposizione una persona attraverso la quale poter comunicare a noi i bisogni e questo ha sicuramente abbassato il grado di ansia e di frustrazione causato dalle difficoltà comunicative. Alla fine dell’anno scolastico i ragazzi, nella maggior parte dei casi iscritti nelle classi quinte, sono stati in grado di sostenere l’esame di licenza elementare, di svolgere un breve e semplice testo scritto e tenere una conversazione orale anche su argomenti di studio. Questo è stato possibile anche grazie al lavoro svolto dall’esperta sinologa nel laboratorio bilingue, fornendo unità didattiche di storia e di scienze in cinese, materiale che è stato poi tradotto nelle sue linee essenziali in italiano. 4- CONCLUSIONI E’ importante ribadire dunque, in conclusione, quanto già affermato: l’apprendimento dell’italiano L2, proprio perché coinvolge le diverse dimensioni del soggetto, necessita di percorsi che si articolano su piani diversi. Gli interventi devono essere coordinati in modo da concentrare gli sforzi verso gli stessi obiettivi. Situazioni complesse e fluide come quelle delle classi e delle scuole che accolgono numerosi alunni stranieri richiedono una delicata alchimia tra minuziosa organizzazione e creatività, tra gestione collegiale e libertà del singolo insegnante, tra leggi, circolari, programmi e storie personali che mal si piegano a commi, articoli e paragrafi. Uno squilibrio fra le diverse componenti porterebbe solo al disagio degli insegnanti e degli alunni: in questo caso anche la migliore didattica dell’italiano L2 sarebbe sicuramente meno efficace.