Arcidiocesi di Torino

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Arcidiocesi di Torino
UFFICIO DIOCESANO PER LA PASTORALE DELLA FAMIGLIA
CONVEGNO DIOCESANO
Torino, 24 novembre 2001
LA FAMIGLIA EVANGELIZZA
A vent’anni dalla “Familiaris Consortio”
IL RUOLO DELLA FAMIGLIA NELL’EVANGELIZZAZIONE OGGI
di mons. Lucio Soravito (Udine)
Premessa
Inizio questa riflessione prendendo lo spunto dall’esperienza che ho vissuto nella mia
diocesi negli anni ‘90. A partire dal 1991 la diocesi di Udine ha assunto la famiglia, accanto ai
giovani e agli operatori pastorali, come soggetto privilegiato dell’azione pastorale:
- l’Arcivescovo ha scritto alle famiglie friulane tre lettere sulla famiglia cristiana;
- ha stimolato la diocesi a svolgere la catechesi «sulla» famiglia (per far scoprire il Vangelo
del matrimonio e della famiglia), «nella» famiglia (mediante i “centri di ascolto”) e «per» la
famiglia (per evangelizzare soprattutto le famiglie);
- nel 1992 la diocesi ha celebrato il Congresso Eucaristico Diocesano (a 20 anni da quello
nazionale) sul tema: «Una famiglia, una Chiesa»; durante quel Congresso si sono valorizzate
molte esperienze di famiglie nell’ambito dell’impegno educativo, caritativo, ecclesiale, ecc.);
- dal 1992 in poi si sono promosse diverse iniziative pastorali «per e con» le famiglie:
formazione sistematica dei fidanzati, costituzione di gruppi-sposi e di gruppi-famiglie, ecc.
Eppure la crisi della famiglia e, in particolare, delle coppie di sposi ha continuato a
devastare il Friuli: in questi anni si è registrata una percentuale crescente di matrimoni civili (in
città ha raggiunto il 50%), di libere «convivenze» (dal 10 al 15%), di separazioni e divorzi (uno
ogni quattro matrimoni). Le cause di questa crisi sono molteplici:
- di natura sociale: famiglie espropriate dei loro compiti, famiglie dormitorio, in cui si
scaricano tensioni accumulate altrove; sovraccarico di lavoro e mancanza di comunicazione tra
i coniugi...;
- di natura culturale: mentalità soggettivistica, tendenza a valutare l’altro in base alla
gratificazione che offre (secondo la logica dell’«usa e getta»); svalutazione della scelta
religiosa...;
- di natura psicologica: immaturità e fragilità di molti giovani sposi...
Devo però riconoscere che l’azione pastorale ha contribuito poco ad arginare la crisi in atto.
L’attenzione delle comunità parrocchiali alle famiglie, di fatto, è stato piuttosto superficiale:
- non si è ripensata la pastorale a partire dalla famiglia e la famiglia non è stata assunta
come «luogo unificante» della pastorale; i destinatari della pastorale hanno continuato ad
essere le singole persone, più che il nucleo familiare;
- quando ci si è rivolti alle famiglie, queste sono rimaste il più delle volte «oggetto» di cura
pastorale; non sono state valorizzate come «soggetto» attivo di pastorale;
- nella formazione degli operatori pastorali non si è approfondita l’identità, il ruolo e la
missione della famiglia nella vita della comunità ecclesiale e nella società e non c’è stata una
riflessione sul dovere e sul modo di valorizzare il ministero coniugale.
Questa esperienza, che del resto ricorre anche in altre diocesi che hanno fatto le nostre
stesse scelte pastorali, è abbastanza eloquente e mette in evidenza come la riflessione che
andiamo a fare in questo Convegno è tutt’altro che accademica: essa è richiesta da un’esigenza
di fedeltà al progetto di Dio sulla famiglia, di valorizzazione della famiglia stessa e di fedeltà
1
alla missione della Chiesa, formata da queste «cellule» vitali che sono appunto le famiglie
cristiane.
Attraverso questo Convegno diocesano, vogliamo riflettere sul ruolo che la famiglia
cristiana ha oggi in ordine all’evangelizzazione del mondo contemporaneo e quindi vuole
individuare le scelte pastorali per rendere la famiglia sempre di più:
- soggetto attivo nella missione evangelizzatrice della Chiesa;
- soggetto attivo nell’animazione cristiana della realtà sociale e politica.1
Il mio intervento non pretende di affrontare tutta la problematica connessa con la missione
evangelizzatrice della famiglia nella Chiesa e nella società, ma si limita a dare questo contributo:
- richiama le ragioni per cui la famiglia va riconosciuta come soggetto ecclesiale e sociale;
- indica alcune modalità di partecipazione attiva della famiglia alla missione evangelizzatrice
della Chiesa, come sono prospettate oggi dalla pastorale familiare della Chiesa che è in Italia.
I. IL RUOLO DELLA FAMIGLIA NELLA COMUNITÀ ECCLESIALE
Sappiamo quanto è grave la crisi che la famiglia sta attraversando da alcuni anni in Italia e
sappiamo quanto pesantemente in questa crisi incide la svalutazione a cui la famiglia oggi è
sottoposta, soprattutto ad opera di alcuni mass media.
Ciò nonostante, in questi ultimi anni si assiste anche ad un interesse notevole per la
famiglia. Da molte parti si prende coscienza che essa, di fatto, è il crocevia di molti problemi
umani e cristiani; da essa, infatti, dipende in buona parte il futuro della persona e della società
umana, del cristiano e della comunità ecclesiale.
Questo ruolo della famiglia corrisponde alla missione affidatale da Dio. Nel progetto di Dio
la famiglia è chiamata ad essere segno e strumento di comunione tra le persone e di crescita
delle persone e della società. Essa è una comunità di amore e di vita, costituita da «un
complesso di relazioni interpersonali - marito/moglie, padre/madre, genitori/figli, fratelli, giovani/ adulti/ anziani - mediante le quali ogni persona è introdotta nella famiglia umana e nella
famiglia di Dio che è la Chiesa» (FC 15).
1. La famiglia cristiana nella comunità parrocchiale
La prima conversione che la comunità cristiana è chiamata a fare è quella di riconoscere
effettivamente la famiglia come un “soggetto pastorale”, fonte generativa della comunità
parrocchiale stessa. Infatti:
1) La famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matrimonio, come la Chiesa, non è solo
"relazione di persone", ma è "mistero di comunione", cioè manifestazione della comunione
trinitaria, segno dell'amore di Dio per l'umanità e del suo progetto sull’umanità. Dio partecipa
questo «mistero di comunione» agli uomini prima di tutto attraverso quella piccola comunità
che è la famiglia cristiana, chiamata dal Concilio "chiesa domestica" (cf. LG 11; AA 11; FC 49).
2) La famiglia cristiana, inserita nella Chiesa mediante il sacramento del matrimonio, riceve
una sua struttura e fisionomia interiore che la costituisce «cellula viva e vitale della Chiesa»
(CeC 4). Essa è il luogo dove si "costruisce" la chiesa; è «cellula» della comunità locale, grazie
alla quale la comunità ecclesiale diventa «famiglia di famiglie». Se le famiglie vengono meno,
alla comunità locale vengono a mancare le sue cellule vitali.
3) La famiglia, in quanto "chiesa domestica", partecipa alla missione della Chiesa: una
missione di salvezza radicata nel battesimo e nel matrimonio, che non solo la riguarda e la
E’ evidente che in questa riflessione il termine “evangelizzazione” è assunto nel suo significato più ampio: con
esso non si indica solo l’annuncio esplicito del Vangelo, ma si abbraccia tutto l’agire della Chiesa, in quanto
finalizzato alla diffusione del Vangelo e alla sua incarnazione nel contesto socio-culturale del nostro tempo. Da
questo punto di vista la famiglia cristiana, come la Chiesa, evangelizza attraverso tutto quello che essa è, fa e dice
(cf. AG 23, 27, ecc.; EN 17-24).
1
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coinvolge, ma che chiede pure di compiersi a beneficio proprio e di altri anche mediante la sua
parola, azione e vita (cf. GS 49-50; DPF 20).
Perciò la famiglia non è una realtà privata né privatizzabile. Essa è collocata da Dio nel
contesto vivo e dinamico della comunità ecclesiale. E' dentro la comunità ecclesiale, non
accanto. Vive nella comunità, ma è destinata, come la comunità ecclesiale, al servizio della
comunità degli uomini.
Se questa è l'identità e la missione della famiglia nella Chiesa, dobbiamo abituarci a vedere
la Chiesa nel suo insieme come un dinamismo di comunione che si manifesta:
- nella chiesa particolare o diocesi: questa è caratterizzata dall'unità di molteplici carismi e
ministeri intorno al vescovo ed è articolata in molteplici chiese locali;
- nelle chiese locali o parrocchie: in esse, seppure piccole e povere, organizzate localmente
e segnate dal territorio, poste sotto la guida di un presbitero che fa le veci del vescovo, si rende
visibile la Chiesa una santa cattolica ed apostolica (cf. SC 42);
- nelle chiese domestiche o famiglie, «luoghi» della prima e fondamentale esperienza di
comunione ecclesiale, dove gli sposi cristiani, con gli altri componenti della famiglia,
amandosi, ricordano, vivono e annunciano l’amore di Cristo per la Chiesa (cf. ESM 47).
In questo dinamismo, il rapporto tra la parrocchia e le famiglie si presenta come un tipico
scambio di doni, di capacità e di impegni, in un rapporto di interazione e di reciprocità:
- la Chiesa-madre genera, educa, edifica la famiglia cristiana con l'annuncio della parola di
Dio, la celebrazione dei sacramenti, la proclamazione del comandamento della carità;
- la famiglia cristiana, inserita nel mistero della Chiesa grazie al sacramento del
matrimonio, partecipa a suo modo, alla missione di salvezza propria di questa. Essa non solo
riceve l'amore di Cristo, diventando comunità "salvata", ma è chiamata a trasmettere ai fratelli
il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità "salvante". Essa “è chiamata a
prendere parte viva e responsabile alla missione della chiesa in modo proprio e originale,
ponendo cioè al servizio della chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto
intima comunità di vita e di amore (FC 50).
In conclusione, la parrocchia non deve dimenticare che essa cresce ed agisce nella storia
tanto più efficacemente, quanto più vive sono le famiglie che la compongono, e che l'intera
azione pastorale, proprio per essere vissuta in modo adeguato, deve rispettare i riflessi e le
implicazioni familiari di ogni sua iniziativa e deve accogliere e valorizzare il contributo che gli
sposi, in virtù del sacramento del matrimonio, possono offrire (cf. DPF 22 e 97).
Perché tra famiglia e parrocchia si realizzi un rapporto di reciprocità, occorre che la parrocchia:
- riscopra se stessa come “famiglia di famiglie” e riconosca le famiglie non come “oggetti”
delle sue cure pastorali, ma come “soggetti pastorali”, attivi e responsabili;
- riscopra la vocazione e la missione delle famiglie, ne sviluppi le potenzialità, favorisca la loro
partecipazione attiva alla vita ecclesiale e alla loro missione nella società;
- elabori il progetto pastorale parrocchiale con le famiglie e valorizzi la loro collaborazione
attiva anche nell’attuazione del progetto e nella verifica del lavoro svolto;
- valorizzi come operatori pastorali le coppie-sposi: nello svolgimento della catechesi (da
quella dell’iniziazione cristiana a quella dei giovani e degli adulti), nell’animazione della
liturgia, nella promozione della carità.
-
D’altra parte è necessario che la famiglia cristiana:
prenda coscienza della sua identità di "chiesa domestica" e del ministero coniugale e
familiare che ha ricevuto con il sacramento del matrimonio;
dia alla comunità un volto più umano ed accogliente, la aiuti a diventare famiglia di famiglie;
porti il suo contributo originale nei diversi ambiti o dimensioni della vita ecclesiale;
eserciti il ministero coniugale e familiare, “originale e insostituibile” (FC 53): la
testimonianza dell’amore e la promozione della vita.
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Nelle pagine che seguono illustriamo il servizio originale che la famiglia può svolgere
all’interno dei diversi ambiti della vita ecclesiale.
2. La famiglia cristiana al servizio di una rinnovata comunione ecclesiale
Il primo servizio che la famiglia è chiamata a dare alla parrocchia è quello di attuare in essa
una ministerialità che le è propria, la “ministerialità di comunione”, in modo da aiutare la
parrocchia a crescere nella vita di comunione, a diventare “famiglia di famiglie”. Infatti la
famiglia è il luogo in cui si sperimenta concretamente la comunione ecclesiale. "La famiglia
cristiana, che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione del patto di amore di
Cristo e della Chiesa, rende manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la
genuina natura della Chiesa, sia con l'amore e la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli
sposi, sia con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri" (GS 48)
Come valorizzare la “ministerialità di comunione” della famiglia per far crescere la
comunione ecclesiale nella comunità?
1) Innanzitutto è necessario che la parrocchia addotti nella sua vita e nei suoi organismi (ad
es. nel Consiglio pastorale) una dimensione familiare, cioè quello stile familiare che privilegia
l’attenzione alle persone, la comunicazione reciproca, le relazioni interpersonali, prima che
l’azione. Bisogna che la parrocchia promuova al suo interno una “cultura di famiglia”,
valorizzando l’esperienza di comunione familiare. Gli sposi, con le proprie caratteristiche di
tenerezza, accoglienza e comprensione, danno anima e umanità alle relazioni e alle strutture di
tutta comunità cristiana e sollecitano maggiore attenzione alle sofferenze, ai bisogni e alle
vicende delle singole persone. Essi inoltre possono contribuire al superamento delle tensioni
che si creano in una comunità, a causa delle differenze di età, di mentalità e di cultura.
2) In secondo luogo, occorre che la parrocchia valorizzi le famiglie per costruire una rete di
relazioni fraterne e solidali con tutte le famiglie e le persone sole, soprattutto quelle in
difficoltà. Per moltiplicare le relazioni tra le famiglie si suggerisce di:
- individuare coppie disponibili ad aprire la loro casa per incontri di preghiera, per allacciare
rapporti umani significativi con i vicini, ecc.
- affiancare le coppie di fidanzati, durante il percorso di formazione, e le giovani coppie con
coppie-sposi “accompagnatrici”;
- costituire gruppi di sposi giovani e affidarli alla guida di una coppia “matura”;
- creare occasioni di incontro tra famiglie, valorizzando l’amicizia dei figli (compagni di
scuola o di catechismo);
- individuare nei condomini o nei caseggiati delle coppie-sposi che possono fare da punti di
riferimento (“referenti”) per la segnalazioni di esigenze, di proposte, ecc.
- ripensare la parrocchia come un insieme di piccole comunità o gruppi di famiglie, collegati
tra di loro “in rete”.
3) Un impegno particolare è quello richiesto dalle “famiglie in difficoltà”, verso le quali
occorre un cambiamento di mentalità. Davanti a loro bisogna mettersi come di fronte a un
“roveto ardente”: in atteggiamento di ascolto, con discrezione, senza giudicare (domani
potrebbe capitare anche a te quello che è capitato a quella coppia!), nella ricerca di possibili vie
di uscita, con l’aiuto di istituzioni competenti. In ogni caso occorre che le famiglie rimangano
accanto a quelle in difficoltà con l’atteggiamento della compagnia e della solidarietà e siano
per queste ultime un “faro di speranza”.
Quale conversione promuovere nei componenti della famiglia, perché essa possa
contribuire a far crescere la vita di comunione?
3. La famiglia cristiana al servizio della vita e della persona
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La famiglia ha un contributo originale da dare alla parrocchia anche in ordine alla
testimonianza della carità. E’ questa infatti la missione della Chiesa: vivere nel mondo come
Cristo, “come Colui che serve” (Lc 22,27): essere al servizio della vita, di ogni persona, della
comunità degli uomini. "Dio ci ha prescelti da tutta l'eternità, perché esistessimo nella carità"
(Ef 1,4). Ci ha generati nell'amore, perché fossimo anche noi "amore" e perché manifestassimo
nel mondo questo amore che viene da Dio.
Per educare se stessa e ciascun credente alla vita di carità e allo stile del servizio la
parrocchia trova una fondamentale scuola di amore e un insostituibile sostegno nella famiglia
cristiana, che ha ricevuto “la missione di annunciare, celebrare e testimoniare l’amore, quale
riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo per
la sua Chiesa” (FC 17; cf. ETC 30). "Le modalità e i contenuti del servizio all'uomo da parte
della famiglia sono innanzitutto quelli propri e originali dell'esperienza coniugale e familiare,
quali il rapporto di reciproca carità tra l'uomo e la donna, la fedeltà coniugale, la paternità e
maternità responsabili e generose, l'educazione delle nuove generazioni, l'accoglienza degli
anziani, l'impegno di aiuto verso altre famiglie in difficoltà" (DPF 158).
Le famiglie testimoniano la carità e promuovono lo stile del servizio:
1) con il dono della vita e la prima educazione: i genitori sono i primi e autorevoli interpreti
di Dio Padre nel dare la vita, preziosi collaboratori di Dio creatore. La famiglia è il luogo primario della umanizzazione della persona e della società. Essa infatti promuove la persona come
"essere in relazione", aperto agli altri; favorisce la crescita della vita affettiva, della solidarietà,
della socialità;
2) con l'accoglienza, l'assistenza e la valorizzazione dei minori, dei disabili, dei malati e
degli anziani: resa partecipe, mediante l'Eucaristia ed il Matrimonio, del mistero d'amore di
Cristo sulla croce, morto per tutti gli uomini, la famiglia cristiana è chiamata ad essere fonte di
accoglienza e di servizio fraterno ad ogni uomo, rifiutando la facile tentazione della chiusura
nei propri particolari interessi;
3) con la solidarietà: "Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto
dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l'organizzazione previdenziale ed assistenziale delle
pubbliche autorità non riesce a raggiungere" (FC 44).
4) con l’ospitalità: le famiglie oggi esse sono chiamate a compiere questo gesto di
solidarietà che sta assumendo un'importanza sempre più grande nella nostra società; un gesto
che va dall'aprire la porta della propria casa all’aprire la porta del proprio cuore alle richieste
dei fratelli, dall’andare incontro alle famiglie nuove, soprattutto quelle indigenti e alle persone
anziane sole, all’accoglierle in casa. Esse sono chiamate a prestare un’attenzione particolare
alle famiglie di recente formazione, alle famiglie che si trasferiscono sempre più di frequente
da una città all’altra (a causa della mobilità del lavoro), alle famiglie degli immigrati.
Questa ospitalità va praticata anche verso le persone in situazione “irregolare”. Parecchi
divorziati risposati e parecchie persone conviventi ritengono che nella Chiesa non ci sia più
posto per loro; si ritengono rifiutati. «La Chiesa, istituita per condurre a salvezza tutti gli
uomini e soprattutto i battezzati – e quindi anche ciascuna famiglia cristiana – non può
abbandonare a se stessi coloro che, già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale, hanno
cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro
disposizione i suoi mezzi di salvezza" (FC 84).
Quale conversione promuovere tra i componenti della famiglia, perché la famiglia
possa contribuire a far crescere la solidarietà e lo stile del servizio in parrocchia?
4. La famiglia cristiana al servizio dell’evangelizzazione
La comunità cristiana è chiamata a far riecheggiare nel mondo di oggi la parola di Dio
anche con l’annuncio esplicito del Vangelo. Con la comunità ogni credente è chiamato a farsi
annunciatore della Parola e a saper rendere ragione esplicitamente della sua fede (cf. RdC 12).
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In questo impegno di evangelizzazione la parrocchia deve saper valorizzare il “ministero di
evangelizzazione” proprio degli sposi cristiani e della famiglia. Infatti la vita coniugale e
familiare, vissuta secondo il disegno di Dio, costituisce di per sé un “Vangelo”, in cui si può
“leg-gere” il volto di Dio-Trinità, il suo amore nuziale per l’umanità, l’amore paziente,
gratuito, eccedente di Cristo per la Chiesa.
La famiglia è lo spazio "in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia.
Nell'intimo di una famiglia, cosciente di questa missione, tutti i componenti evangelizzano e
sono evangelizzati" (DPF 138). In esse grandi e piccoli, giovani e anziani si evangelizzano a
vicenda. Non solo. Attraverso i gesti di amore, di perdono, di accoglienza e di solidarietà degli
sposi e della famiglia, “piccola chiesa”, Cristo stesso parla, accoglie, perdona, ama gli uomini
di oggi e si fa solidale con loro.
Quale contributo possono dare le famiglie cristiane con il loro ministero di evangelizzazione
alla missione evangelizzatrice della comunità ecclesiale?
1) Gli sposi cristiani e gli altri componenti della famiglia sono chiamati a svolgere la loro
missione evangelizzatrice prima di tutto all’interno della loro casa. La famiglia “è il primo
luogo in cui l'annuncio del vangelo può essere da tutti vissuto e verificato in maniera semplice
e spontanea: marito e moglie, genitori e figli, giovani ed anziani" (ETC, n. 30). "La catechesi
familiare precede, accompagna ed arricchisce ogni altra forma di catechesi" (CT 68).
Le famiglie svolgono la loro opera di evangelizzazione quando leggono con gli occhi della
fede la vita quotidiana e aiutano i loro componenti a scoprirvi le tracce della presenza di Dio;
quando i membri della famiglia imparano a riflettere insieme sulle reciproche esperienze di vita
con "spirito di fede" e con il senso della "provvisorietà".
La catechesi della famiglia è una catechesi "occasionale", non perché "si fa di tanto in
tanto", ma perché trae occasione dai fatti della vita quotidiana; è la vita stessa che le dà
organicità e sistematicità. "L'azione catechetica della famiglia... è più incisiva quando, in
coincidenza con gli avvenimenti familiari - quali la recezione dei sacramenti, la celebrazione di
grandi feste liturgiche, la nascita di un bambino, una circostanza luttuosa - ci si preoccupa di
esplicitare in seno alla famiglia il contenuto cristiano o religioso di tali avvenimenti" (CT n.
68).
2) Sono molte le occasioni di evangelizzazione che le famiglie possono creare al loro interno:
- momenti di verifica del rapporto di coppia, alla luce della Parola;
- il dialogo tra i componenti della famiglia, in cui rendere più naturale il "parlare di Dio",
rispettando i tempi di maturazione di ogni persona e sapendo cogliere i momenti opportuni;
- il significato religioso di molte ricorrenze familiari che sembrano svuotarsi sempre più del
loro significato profondo (anniversari di matrimonio, compleanni, ecc.);
- le espressioni tradizionali di fede: la preghiera prima di un viaggio, il ringraziamento per le
primizie della terra, la benedizione della tavola, la preghiera prima dei pasti, ecc.;
- la preparazione, la verifica e anche la riformulazione dell'incontro di catechesi parrocchiale;
- l'apertura e la partecipazione dei singoli componenti della famiglia alla vita di gruppi che
promuovono la crescita della vita di fede.
3) Le coppie degli sposi vanno chiamate a esercitare il loro ministero di evangelizzazione
anche fuori della famiglia, in parrocchia, verso le altre famiglie e nella realtà sociale: nel
cammino di iniziazione cristiana dei figli, nella catechesi dei fidanzati e delle giovani coppie,
nella catechesi dei genitori e dei “centri di ascolto”. E’ importante che gli sposi raccontino la
loro esperienza di fede alle altre famiglie con lo stile del “passa parola”, nello spirito della
condivisione gratuita. Questo comporta per le coppie la necessità di:
- maturare una coscienza missionaria e la consapevolezza della loro capacità evangelizzante;
- comunicare la fede avviene all’interno di relazioni interpersonali di amicizia e di “compagnia”; l’amicizia è la prima via dell’evangelizzazione;
- fare della casa un luogo accogliente, dove si condividono i bisogni e le difficoltà degli altri;
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- superare i pregiudizi nei confronti delle altre coppie, soprattutto di quelle “conviventi” o
sposate solo civilmente; guardare a tutti con affetto e comprensione, come Gesù;
- maturare il senso della corresponsabilità sociale e politica e partecipare alle associazioni
familiari (comunali, scolastiche, sanitarie, ecc.).
Che cosa fare per coinvolgere le coppie di sposi e le famiglie nell’iniziazione
cristiana dei figli e nell’impegno di evangelizzazione delle altre famiglie e delle
altre persone della parrocchia?
5. La famiglia cristiana al servizio di rinnovata vita liturgica
La vita di comunione, lo stile del servizio e l’annuncio del Vangelo trovano la loro sorgente
e la loro attuazione piena nell’azione liturgica della comunità ecclesiale. Attraverso la
comunità cristiana che celebra la liturgia, Cristo stesso agisce, parla, dona la sua vita, rende i
credenti partecipi della sua risurrezione. L'Eucaristia, in particolare, costituisce la fonte e
l'apice di tutta la vita cristiana e di tutta l’azione pastorale, il centro vitale della comunità ecclesiale. Qui la comunità trova la sorgente inesauribile del dinamismo per la sua crescita spirituale (cf.
AG 39).
Ma la vita cristiana non cresce, se la liturgia della parola e del sacramento non sfocia nella
liturgia della vita. Infatti la liturgia del rito, oltre che esprimere la lode, il ringraziamento e
l’adorazione a Dio, ha lo scopo di abilitare i credenti ad attuare la liturgia della vita, ossia il
dono di sé (cf. 1 Pt 2,4-5).
Ora la famiglia è il primo ambito della comunità parrocchiale, in cui la “liturgia del rito” si
traduce nella “liturgia della vita”, nel culto spirituale, di cui parla l’apostolo Paolo: “Vi esorto
fratelli ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro
culto spirituale” (Rm 12,1). La vita di famiglia è una liturgia vissuta nel quotidiano. Ogni gesto
di amore familiare, vissuto nella fede della presenza del Risorto in famiglia, è liturgia.
In che modo la famiglia può contribuire a promuovere la vita liturgica e di preghiera nella
parrocchia?
1) La famiglia è il primo ambito in cui la vita si può tradurre nella preghiera di lode e di
invocazione. In famiglia si può trasformare la gioia di essere sposi e la gratuità della vita
comune in preghiera di lode e di ringraziamento e con la preghiera si possono affrontare con
nuovo coraggio i momenti del dolore e della sofferenza.
E’ indispensabile che le coppie-sposi ed le famiglie imparino a pregare insieme. Perché la
preghiera in famiglia non si riduca a un fatto individuale, come capita spesso, ma sia un’esperienza di coppia e di famiglia, occorre che sia accompagnata da una vera “comunicazione”
interpersonale, condizione per la comunione. Anche in famiglia la preghiera si alimenta con
l’ascolto della Parola e si esprime nella rilettura del vissuto familiare alla luce della Parola.
2) I momenti della preghiera familiare non sono spontanei; bisogna prevederli: la
preghiera prima dei pasti; la celebrazione degli anniversari, compleanni ed onomastici; il
perdono e le benedizione dei genitori ai figli. Si suggerisce di fare un “calendario liturgico”
della famiglia con gli anniversari sacramentali dei componenti della famiglia stessa e di
stabilire alcuni luoghi e alcuni segni per la preghiera in casa (l’angolo del Vangelo, le icone,
ecc.). Si suggerisce di collegare i momenti di preghiera ai tempi e ai momenti liturgici della
comunità parrocchiale:
- vivere in casa esperienze liturgiche che preparino alla Messa domenicale: riti penitenziali,
lettura dei testi biblici, la fractio panis, ecc.;
- scegliere gli avvenimenti o le situazioni della vita familiare da offrire a Dio nella
presentazione delle offerte durante l’Eucaristia domenicale;
- fare la revisione della vita familiare nei tempi liturgici forti, ecc.
3) C'è una liturgia particolare che la famiglia è chiamata a vivere insieme: la celebrazione
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della domenica. Cristo risorto chiama genitori e figli a partecipare insieme alla Messa per
spezzare loro il pane della parola ed il pane del suo Corpo, perché diventino a loro volta pane
spezzato per i fratelli. Gli sposi e le famiglie cristiane nell’Eucaristia domenicale riscoprono se
stessi come attualizzazione della nuova alleanza. Accogliendo il dono di amore che Cristo fa di
se stesso nell’Eucaristia, vivificano e accrescono la capacità di donarsi reciprocamente e di
trasfigurare i loro corpi nell’amore. Celebrando l’Eucaristia danno fondamento solido alla
comunione nuziale e familiare, ristabiliscono rapporti di solidarietà all’interno della comunità,
si impegnano nel servizio di carità e vivono insieme la gioia della festa.
Perché tutto questo si realizzi, occorre che la liturgia domenicale sia preparata con le
famiglie e celebrata con la partecipazione attiva delle famiglie (figli compresi); le famiglie
aiutano il presbitero ad incrociare meglio la celebrazione con la loro vita concreta. Inoltre
occorre che la celebrazione eucaristica sia rinnovata nei segni e nel linguaggio, in modo che
diventi espressione reale di festa della comunità “famiglia di famiglie”.
Gli sposi e le famiglie cristiane danno un volto cristiano a tutta la domenica non solo con la
partecipazione all’Eucaristia, ma prolungando l’Eucaristia nel pasto consumato insieme, nel
segno della festa, negli incontri conviviali con altre famiglie, nell’attenzione a situazioni di
povertà presenti in parrocchia.
Che cosa fare per educare gli sposi e le famiglie alla preghiera e a partecipare
attivamente alle celebrazioni liturgiche della parrocchia e, in particolare,
all’Eucari-stia domenicale?
II. IL RUOLO DELLA FAMIGLIA NELL’AMBITO SOCIALE
Oltre che alla vita e alla missione della comunità parrocchiale, la famiglia è chiamata a
partecipare attivamente anche alla vita e allo sviluppo della società. La famiglia infatti possiede
un compito sociale originale, insostituibile e inalienabile: essa è “culla della vita e dell’amore”,
nella quale l’uomo nasce e cresce. Mediante la generazione nasce l’uomo e alla società viene
fatto il dono di una nuova persona; mediante l’educazione familiare cresce l’uomo come
persona, chiamata alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri.
Sono molti gli ambiti della vita sociale, in cui la famiglia svolge di fatto un ruolo originale,
spesso senza che il suo servizio sia riconosciuto dalle istituzioni pubbliche: la procreazione e
l’educazione dei figli, l’edificazione della convivenza civile, la promozione della solidarietà
sociale, il mondo del lavoro e dell’economia, ecc.
In questo intervento mi limito a richiamare alcune forme di impegno sociale della famiglia
e tento di abbozzare, a modo di esempio, alcune scelte che la aiutino a diventare soggetto attivo
nel rapporto con le istituzioni pubbliche.
1. La famiglia “soggetto sociale” al servizio della vita
Nell'attuale contesto socio-culturale italiano la famiglia, sia quella fondata sul sacramento
del matrimonio come quella fondata sul patto civile, è ritenuta il più delle volte un "affare
privato" dei due coniugi e degli altri componenti della famiglia stessa. Le istituzioni sociali scuola, servizi sociosanitari, aziende - sono talmente pervase da tendenze autoreferenziali che,
per loro, la mediazione familiare diventa sempre più difficile da cogliere, comprendere e tenere
in conto. Ora ci chiediamo: il far parte di una famiglia è rilevante o no, rispetto a determinati
fini sociali? Quali vantaggi derivano per la società, dal fatto che le persone siano "famiglia"?
Per rispondere a questa domanda, sarebbe sufficiente considerare i molteplici problemi
sociali che nascono dal mancato riconoscimento e sostegno delle funzioni di mediazione
sociale della famiglia: l'aumento del disagio, del malessere, delle malattie mentali, delle
tossicodipendenze, dei suicidi fra i giovani e anche tra i meno giovani.
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La società non può illudersi di risolvere questi problemi ignorando la mediazione familiare
o pensando di affrontarla in maniera indiretta, attraverso misure rivolte a singoli bisogni e a
singoli destinatari. Se la mediazione familiare dovesse essere ulteriormente negata o
implicitamente penalizzata, è certo che andremo incontro a problemi più seri e devastanti,
poiché la famiglia dovrebbe sobbarcarsi oneri ancora maggiori dei presenti - soprattutto nei
rapporti tra le generazioni - dovendo rispondere ai crescenti bisogni dell'infanzia, dei giovani e
degli anziani, senza essere riconosciuta in tali funzioni.
Se affrontiamo il problema in termini positivi, scopriamo che la famiglia dà un contributo
notevole al “ben-essere” della società, da diversi punti di vista.
1) Le più recenti ricerche sull’ambito familiare mettono in evidenza che la famiglia svolge
una mediazione decisiva nei confronti dell’individuo in ordine al suo destino sociale e alla
qualità della sua vita. La famiglia è luogo primario dell’umanizzazione della persona. Essa
aiuta le persone a identificarsi, a trovare un proprio posto nel mondo; si pensi a quanto decisivo
sia la mediazione familiare nel dare fiducia a un figlio che deve crescere; all'importanza,
nell'esistenza personale, di "avere una casa", con tutto ciò che essa significa.
2) L’appartenenza familiare ha un ruolo centrale nella definizione delle identità personali e
sociali. La famiglia è il luogo della “socializzazione primaria”. Nella famiglia l’uomo cresce
come “essere in relazione”. Il fatto che le persone vivano relazioni familiari non è indifferente
per le virtù civiche né per la qualità della cittadinanza. Se si vuole costruire una convivenza
civile umana occorre guardare alla famiglia. La famiglia aiuta la società a instaurare forme di
convivenza civile nella sfera pubblica.
3) Nel contesto postmoderno la famiglia emerge come nuova “soggettività sociale”, nel
senso che essa garantisce il giusto rapporto tra il singolo e la società, aiutandolo a evitare da
una parte l'individualismo che isola e dall'altra il collettivismo che annulla la persona. La
mediazione attiva della famiglia non si esplica soltanto verso i figli, ma riguarda tutti i soggetti
individuali che la compongono, poiché - volenti o nolenti - è la rete di relazioni familiari che
media il rapporto tra il singolo e la società più ampia.
In sintesi, possiamo dire che la famiglia è la cellula fondamentale della società; perciò se
muore la famiglia, muore anche la società. E’ cellula fondamentale della società perché «ne
genera i nuovi membri; forma la loro personalità; trasmette i valori essenziali della convivenza
civile, quali la dignità della persona, la fiducia reciproca, il buon uso della libertà, il dialogo, la
solidarietà, l'obbedienza all'autorità. Condiziona in misura notevole le scelte degli individui in
molti ambiti: acquisti, carriera professionale, impiego del tempo libero, amicizie e relazioni
sociali in genere. Svolge spesso un'azione sociale diretta attraverso aziende a conduzione
familiare, coinvolgimento nella scuola, partecipazione ad associazioni, volontariato verso
disabili, disadattati, anziani, coppie in difficoltà» (CEI, Catechismo degli adulti, n. 1067).
Quali scelte pastorali fare per valorizzare la soggettività sociale delle famiglie?
1) E’ urgente educare le coppie-sposi e le famiglie a crescere nella coscienza della loro
dimensione sociale e del ruolo originale che esse hanno nella società, perché possano dare il
loro contributo al benessere della società e partecipare al suo sviluppo.
2) Occorre aiutare le famiglie a farsi "soggetto d'intermediazione fra individuo e società" e a
salvaguardare i diritti di chi, per il fatto di vivere in una famiglia, deve essere riconosciuto e
sostenuto con adeguate garanzie sociali.
3) E’ necessario promuovere l’associazionismo familiare, per stimolare le istituzioni
pubbliche a riconoscere e a valorizzare la responsabilità sociale delle famiglie e il loro
protagonismo nella vita sociale.
2. La famiglia al servizio di una sana convivenza civile
Qual è l'identità antropologica che fa esistere la famiglia come soggetto sociale? E’ la
relazione interpersonale, fondata sull’amore e sulla gratuità. L’amore che suscita la comunione
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tra i componenti della famiglia costituisce il fondamento anche dell’intera società; esso è
germe e garanzia di convivenza pacifica. L’amore è la prima realtà attraverso la quale la
famiglia offre il suo contributo alla società e al suo sviluppo (cf. DPF 165).
La famiglia è quella specifica ed unica organizzazione che tiene insieme le differenze
originarie dell'essere umano: quella tra generi (maschile e femminile), tra generazioni (genitori
e figli), tra stirpi (l’albero genealogico materno e paterno). Essa è fatta di relazioni, di legami, e
genera legami: all’interno della famiglia e al suo esterno, tra la famiglia e la comunità in cui
essa vive. I due tipi di legami sono connessi; infatti se i legami all'interno della famiglia sono
deboli e frammentati, la famiglia diventa soggetto sociale debole; viceversa una forte capacità
relazionale tra i soggetti della famiglia, rende la famiglia capace di relazioni "efficaci" con
l’ambiente circostante.
I legami familiari sono fondamentali per la costruzione della identità personale e sociale.
Agiscono e si esprimono nella concretezza dei comportamenti quotidiani; collegano le famiglie
al loro passato, alla genealogia delle loro stirpi di appartenenza, ma si proiettano anche nel
futuro, nella speranza di fecondità di nuove generazioni. La famiglia è una comunità di
generazioni che collega generazioni presenti, passate e a venire.
L’obiettivo intrinseco della famiglia è quello di “generare”, cioè di dare forma umana a ciò
che da lei nasce e a ciò che in lei si lega. La famiglia genera l'umano attraverso la sua struttura
simbolica, che chiamiamo il “familiare”. Il “familiare” è l'identità profonda della famiglia, la
radice psichica del suo essere “soggetto”, la linfa che dà senso e valore ai legami familiari.
Il “familiare” è formato dalle qualità di base dei legami familiari. Questi legami vivono di
aspetti affettivi e di aspetti etici. La famiglia è il luogo sorgivo degli affetti più profondi, ma
anche il luogo della responsabilità nei confronti dell’altro, sia il piccolo di cui “ci si prende
cura”, sia l’uomo o la donna cui ci si lega. Nella società odierna vi è uno squilibrio tra aspetti
affettivi ed etici: i primi sono sovra-investiti ed i secondi sono sotto-stimati. Gli affetti senza
una direzione si trasformano in fluttuanti sentimenti e l’incertezza sul valore del compito
familiare indebolisce ed impoverisce i legami che cercano stabilità.
Quali scelte pastorali suggerire a questo riguardo?
1) Occorre incrementare la linfa simbolica che sta alla base delle relazioni familiari e aiutare
le famiglie a stabilire un equilibrio tra gli aspetti affettivi e gli aspetti etici che regolano le
relazioni tra i loro componenti. In tal modo si rafforza la famiglia come soggetto sociale e se ne
contrasta la frammentazione.
2) Occorre far prendere coscienza alle famiglie delle energie native che possiedono e che
ancor oggi sono in grado di sprigionare, per l’edificazione di una convivenza sociale pacifica.
3. La famiglia come “soggetto economico”
La famiglia è il primo produttore di benessere economico e svolge un ruolo decisivo come
soggetto di scelte economiche. Ma non è destinatario di provvedimenti legislativi e
amministrativi che attuino una vera e propria politica della famiglia, in sostituzione delle ormai
obsolete politiche per la famiglia. Sono molti i contributi che la famiglia dà al benessere
economico della società italiana.
1) La riproduzione della società: la decisione di mettere al mondo figli produce
conseguenze di grande rilevanza sul piano collettivo. Eppure, mentre i benefici di quella
decisione vanno a vantaggio di tutta la società, i costi della procreazione vengono addossati
alla famiglia, come se la decisione di fare figli fosse assimilabile ad una usuale scelta di
consumo.
2) La ridistribuzione del reddito. La famiglia ha la capacità di riequilibrare la distribuzione
personale del reddito. Pertanto essa si configura come un potente ammortizzatore sociale, che
funge da punto di smistamento e di raccolta dei redditi dei propri membri e influenza
positivamente la coesione sociale.
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3) La tutela dei soggetti deboli. La famiglia è l'istituzione che più di ogni altra sostiene e
tutela i soggetti deboli, dai bambini in età prescolare agli anziani non autosufficienti, dalla cura
dei disabili all'assistenza dei malati. Se la famiglia italiana non svolgesse quelle funzioni di tipo
socio-assistenziale, le strutture sanitarie del nostro Paese sarebbero al collasso e non
riuscirebbero a garantire la necessaria assistenza.
4) La formazione delle persone. La formazione professionale delle persone non dipende solo
dagli individui e dall'ambiente sociale, ma anche dall'ambiente familiare. All’interno delle
famiglie avvengono trasferimenti sistematici di conoscenze, favoriti dalla stretta vicinanza e
dai legami parentali. Là dove la famiglia tiene e fiorisce, è più elevato l’insieme di abilità
acquisite da un individuo e quindi è più alta la produttività media del sistema.
5) Le scelte di consumo. La famiglia funge da filtro tra individuo e mercato per quanto
concerne le scelte di consumo. E' risaputo che queste ultime risentono dell'insieme di valori,
delle prassi e degli stili di vita che il singolo trae dalla sua famiglia.
Se le cose stanno nei termini sopra descritti, l'obiettivo da perseguire non può essere quello
di reclamare maggiori risorse per la famiglia, ma quello di passare da una politica per la
famiglia, fondata su una logica di tipo paternalistico, ad una politica della famiglia che ponga
la famiglia nelle condizioni di sviluppare il proprio potenziale di crescita.
Quali proposte sostenere a questo riguardo?
1) Occorre sostenere le associazioni familiari nel loro impegno in favore di una politica
fiscale più equa nei confronti delle famiglie. La pressione fiscale attuale in Italia non solo non
riconosce la soggettività sociale della famiglia, ma la penalizza; essa, ad esempio, percuote i
costi che la famiglia deve affrontare per la casa e la cura dei minori nella stessa proporzione di
quelli per i consumi voluttuari.
2) Occorre intervenire sul sistema bancario perché vengano aperte linee di credito
specificamente rivolte alla famiglia, come avviene in Paesi civilmente più avanzati.
3) Occorre mettere in opera forme innovative di sanità integrativa, che vedano la famiglia
come soggetto, ad un tempo, di domanda e di offerta di certe prestazioni. Si pensi alla
cosiddetta ospedalizzazione domiciliare, alle terapie riabilitative per i malati psichiatrici, alle
varie pratiche socio-sanitarie.
4) Bisogna creare "fondazioni di comunità" centrate sulle associazioni familiari. La
realizzazione di un modello familiare di "fondazione di comunità" servirebbe ad avviare a
soluzione, ad esempio, il problema di una scuola libera e partecipata, e, più in generale,
darebbe ali al principio di sussidiarietà.
4. La famiglia come “soggetto politico”
Le famiglie sono chiamate a esprimere il loro compito sociale anche in forma di intervento
politico. Esse devono adoperarsi per prime affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo
non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In
tal senso «devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica
familiare” ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente saranno le
prime vittime di quei mali che si sono limitate ad osservare con indifferenza» (FC 44).
Una strada da percorrere per partecipare attivamente alla “politica familiare” è quella dell’associazionismo familiare. Le associazioni familiari, oltre a esprimere a loro modo la
dimensione della solidarietà, si presentano come «una necessità storica per le famiglie stesse
che vogliono possedere una adeguata forza rivendicativa dei loro doveri e diritti, di fronte ai
continui tentativi che le strutture pubbliche vanno facendo per ridurre o rifiutare quella
presenza sociale che compete di diritto alle famiglie come tali» (DPF n. 181).
L’associazionismo familiare consente alla famiglia di diventare un soggetto cruciale dei
contesto societario, svolgendo, con un codice d'azione improntato alla solidarietà, un'essenziale
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funzione di coordinamento tra risorse esterne ed interne all'unità familiare. L’esperienza
associativa potenzia le relazioni familiari, facendo leva su quattro caratteri discriminanti:
1) Il carattere generativo della famiglia. L’associazionismo familiare aiuta la famiglia a
interpretare la propria vocazione generativa al di là dei confini "privati" del nucleo familiare e
a rendere pubbliche le proprie esigenze.
2) La soggettività e il ruolo sociale della famiglia. L’associazionismo familiare stimola la
famiglia ad agire come soggetto sociale e a dare una dimensione familiare alle politiche sociali.
3) La cittadinanza societaria della famiglia. L'associazionismo familiare costituisce una
mediazione tra i bisogni privati e la necessità di dare ad essi una voce istituzionale, legale.
4. La famiglia come sorgente e custode dei valori. L’associazionismo familiare permette
alla famiglia di spendere i valori di cui essa è sorgente, per intervenire direttamente nel sociale.
Quali scelte pastorali fare in ordine all’associazionismo familiare?
Occorre promuovere l’associazionismo familiare in vista di due grandi settori di intervento:
la tutela dei diritti delle famiglie e l'auto-organizzazione dei servizi di vita quotidiana.
1) La tutela dei diritti delle famiglie. Le associazioni, da una parte, sostengono la
cittadinanza societaria delle famiglie, esprimendo ed organizzando le esigenze collettive e
diffuse delle famiglie, attraverso la promozione di una solidarietà reciproca e la
consapevolezza del loro ruolo sociale; dall’altra, sensibilizzano le istituzioni pubbliche verso le
tematiche familiari e i diritti delle famiglie, che spesso lo Stato non riconosce.
2) L’auto-organizzazione dei servizi di vita quotidiana. Le associazioni familiari
promuovono una vasta gamma di iniziative ed attività, che vanno dall'istituzione di scuole per i
figli, al sostegno per i membri malati, agli aiuti ai portatori di handicap, ecc. Tali servizi si
connotano per il loro carattere familiare: coinvolgono le famiglie nella risoluzione dei loro
problemi attraverso un’azione di responsabilizzazione ed imprimono agli interventi il carattere
di flessibilità che distingue le attività familiari.
Conclusioni
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