La “PAROLA” della Domenica 28 novembre 2010 Tempo di Avvento

La “PAROLA” della Domenica
28 novembre 2010
Tempo di Avvento (attesa della venuta del Signore)
I Domenica, Anno A
Is 2,1-5; Salmo responsoriale, 121; Rm 13,11-14; Mt 24,37-44
La vita secondo il Vangelo
La vera molla psicologica, che permette all’uomo di sopravvivere a se stesso ed alle sue disgraziate
scelte di vita, è la speranza di riuscire a costruire un mondo migliore, di cambiare gli eventi della
propria vita e della storia, di lasciarsi alle spalle paure ancestrali e nuove angosce esistenziali. Per il
cristiano, la speranza è addirittura una virtù teologale, che trova sostegno nella certezza della fede
ed alimento con la carità; per il cristiano, il futuro dell’intera umanità è al sicuro, perché racchiuso
nella “cassaforte di massima sicurezza” dell’amore provvidente di Dio. In definitiva, l’uomo ha solo
il doveroso impegno di stare all’erta e saper cogliere i segni dei tempi: il giudizio di Dio è sempre
incombente e la sua venuta non è umanamente prevedibile. Si impone un atteggiamento di continua
conversione, senza lasciarsi distrarre da false promesse di felicità a buon mercato.
La “conversione”: saper ricominciare da capo insieme a Dio
Il profeta Isaia, vissuto nell’VIII secolo a.C., ha una visione grandiosa: il Tempio, nel quale Dio
abita nello splendore della sua gloria, si erge maestoso ed imponente sulla cima del monte più alto
per essere visibile a tutti gli uomini, che qui accorrono da tutte le parti della terra. Tutti i popoli
sono chiamati a “salire sul monte del Signore” per apprendere la Legge di Dio e vivere secondo i
suoi dettami. Dalla fedele osservanza della Legge divina scaturisce uno stato di pace perenne, che
regalerà all’intero genere umano benessere e felicità senza fine e farà dimenticare la sciocca e
sciagurata legge della guerra, della sopraffazione, della violenza e dell’inganno. Finalmente l’uomo
si rimetterà al giusto giudizio di Dio e diventerà un operatore di pace (I lettura). Tutte le genti
convergeranno verso la “casa del Signore” per lodarlo e trovare quella pace e quella sicurezza che
nessun uomo può garantire in alcun modo (salmo responsoriale). L’apostolo Paolo invita i cristiani
di ogni tempo a “gettare via le opere delle tenebre” e ad “indossare le armi della luce”, cambiando
radicalmente le proprie pessime abitudini di vita che, guarda caso, sono molto attuali anche per i
nostri tempi: “orge, ubriachezze, lussurie, impurità, litigi, gelosie”. Basterebbe aprire un giornale
qualsiasi o seguire un notiziario televisivo a caso per scoprire che non è cambiato granché da
duemila anni a questa parte (II lettura)! Gesù non va tanto per il sottile e pure Lui raccomanda di
rizzare le antenne e di non farsi sorprendere impreparati dalla “venuta del Figlio dell’uomo”, che
ritornerà per giudicare il nostro operato “portando via uno e lasciando l’altro”, ristabilendo la sua
giustizia nel mondo “nell’ora che non immaginate” (vangelo). Un chiaro invito a non vivere con
eccessiva spensieratezza, dimenticandosi delle tante ingiustizie che ci sono nel mondo e a non farsi
giustizia da sé, ma a combattere con pazienza i propri vizi e, nonostante le inevitabili cadute e
ricadute nel peccato, a lasciarsi rialzare da Cristo per riprendere ogni giorno il cammino verso
quella salvezza che egli è venuto a portare agli uomini.
1
La “PAROLA” della Domenica
5 dicembre 2010
Tempo di Avvento (attesa della venuta del Signore)
II Domenica, Anno A
Is 11,1-10; Salmo responsoriale, 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12
La vita secondo il Vangelo
La nostra società ha perso, ormai da tempo, non solo il discernimento di ciò che è bene e di ciò che
è male, ma persino la capacità di scegliere in virtù di un malinteso e furbesco senso pluralistico
dell’etica e della morale, all’insegna del “tutto va bene, purché faccia comodo a me”. I dieci
comandamenti sono diventati una reliquia del passato e ciò che per alcuni è male, per molti altri è
invece un bene di cui vantarsi. La cultura moderna sta relativizzando tutto, anche il comportamento
morale. Non è mai troppo tardi per cambiare rotta e ribaltare il nostro modo di vivere e di pensare,
anche a costo di andare controcorrente e di essere apostrofati come retrogradi mentali. In fin dei
conti, i veri retrogradi sono coloro che obbediscono solo agli istinti animaleschi e non sanno elevare
lo spirito dai semplici bisogni materiali del vivere quotidiano.
Il Regno di Dio è vicino: solo Cristo può salvare l’uomo
Il profeta Isaia “vede” un mondo pacificato da Dio e letteralmente capovolto persino nei suoi valori
naturali. La visione del profeta sembra, secondo la logica umana, il ritratto perfetto di un mondo
irreale ed irrealizzabile, ma Dio è capace di fare questo ed altro, poiché Egli è “spirito di sapienza e
d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” e,
grazie al “germoglio spuntato dal tronco di Iesse”, ridonerà equilibrio all’intero creato. L’Inviato
del Signore, infatti, “giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della
terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà
l’empio”; nel mondo progettato da Dio e purificato completamente dalla piaga del male non ci sarà
più posto per i violenti, i malvagi, gli arroganti ed i prepotenti: “la conoscenza del Signore riempirà
la terra” e tutti i popoli saranno attratti dalla sapienza irradiata dal Figlio di Dio (I lettura). Più che
di speranza, si tratta di certezza, perché il profeta si fida di Dio e delle sue promesse di redenzione e
sa che Egli “libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto”, avrà “pietà del debole e
del misero e salverà la vita dei miseri” (salmo responsoriale). Anche s. Paolo è convinto che il
mondo degli uomini sia ormai avviato ad un completo rinnovamento, grazie all’opera di redenzione
compiuta da Cristo Gesù, ma occorre “tenere viva la speranza” ed affidarsi con fiducia al “Dio
della perseveranza e della consolazione”, accogliendosi vicendevolmente con spirito di servizio (II
lettura). La trasformazione radicale dei rapporti tra gli uomini è già in atto, ma non ancora
compiuto; d’altra parte Dio non ha fretta di cambiare il cuore degli uomini e lascia loro il tempo per
capire i propri limiti ed accettare di aver bisogno di Dio e degli altri esseri umani per maturare come
persone. Per raggiungere questo grado di perfezione, gli uomini devono accantonare pregiudizi e
false certezze: abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, dobbiamo cambiare mentalità. In altre
parole, dobbiamo convertirci, anche se costa “caro e salato” e ci tocca qualche brusco rimprovero
tipo quello rivolto da Giovanni Battista ai benpensanti (i farisei) ed agli esponenti del clero (i
sadducei), cioè alla parte “migliore” della società ebraica del suo tempo: “Razza di vipere! Chi vi ha
fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione”.
Secondo le aspettative del Battista, profeta severo e molto rigoroso soprattutto con se stesso (dal
momento che “portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo
cibo erano cavallette e miele selvatico”), il Messia avrebbe dovuto essere altrettanto terribile e
giusto, pronto a fare piazza pulita di tutte le iniquità presenti nel mondo: “egli vi battezzerà in
Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel
granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Cristo, invece, ha scelto un altro modo
per salvare gli uomini da loro stessi e dal loro desiderio incontrollabile di autodistruzione: l’amore.
2
La “PAROLA” della Domenica
8 dicembre 2010
Tempo di Avvento (attesa della venuta del Signore)
Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria
Gen 3,9-15.20; Salmo responsoriale, 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc1,26-38
La vita secondo il Vangelo
Le caratteristiche negative più evidenti della nostra società moderna, post-cristiana, sono la sfiducia
il dubbio e la disillusione. La “ragione”, sbandierata come la nuova ed unica divinità dai pensatori
“liberi ed illuminati” del XVIII secolo (quello dell’Illuminismo), è scesa da tempo dal suo
piedestallo ed ha perso la patente di suprema divinità a favore di altri idoli, miti e culti “irrazionali”
del nostro tempo, come la cura ossessiva della propria immagine, il “divismo”, il sesso libero
spacciato come conquista ed affrancamento da una morale cattolica oscurantista, il fanatismo
politico e religioso, il libertarismo camuffato da aspirazione legittima al bene supremo della libertà
e via discorrendo. Non c’è più molto spazio per la fede nel Dio diventato uomo per salvare l’intero
genere umano: fantasticherie d’altri tempi! Senza Dio, però, il progresso umano è senza futuro.
La “fede” di Maria ha donato al mondo il “Salvatore”
Quando l’uomo decise di fissare, per conto proprio, la linea di demarcazione tra il bene ed il male,
andò in confusione totale e si ritrovò totalmente “nudo” e pieno di “paura”, incapace persino di
assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Il racconto biblico del peccato originale e delle sue
immediate conseguenze è un perfetto esempio di “gioco a scaricabarile”: addossare all’altro le colpe
dei propri fallimenti per salvaguardare una parvenza di integrità morale, sperando che nessuno
s’accorga che la propria dignità è andata in frantumi a causa di inique scelte di vita. Illusione:
nessuno riesce a prendere in giro Dio, il quale inchioda l’uomo alle conseguenze della sua ribellione
ma, poiché è misericordia infinita, non lo abbandona al suo destino e gli dona un annuncio di
salvezza: “io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà
la testa e tu le insidierai il calcagno” (I lettura). Gli uomini dovrebbero riconoscere di aver bisogno
di Dio, del suo perdono e della sua pazienza infinita e non dovrebbero mai stancarsi di lodarlo e
ringraziarlo “perché ha compiuto meraviglie” e “sempre si ricorda del suo amore e della sua
fedeltà alla casa d’Israele” (salmo responsoriale). La misericordia di Dio nei confronti dell’uomo è
davvero commovente, ma quanti sono disposti a riconoscere, con assoluta onestà intellettuale, che
“tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”? Nonostante la tragedia del
peccato originale, Dio “ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” e, senza
che noi uomini lo meritassimo, “ci ha scelti, prima della creazione del mondo, a essere suoi figli
adottivi mediante Gesù Cristo”. Non si è trattato del classico “colpo di spugna”, che cancella
l’errore come se non fosse mai stato commesso: tutt’altro. Per redimere l’uomo dal suo gesto di
aperta ribellione, Dio ha volutamente “consegnato” suo Figlio agli uomini “secondo il disegno
d’amore della sua volontà”, permettendo che lo torturassero e lo uccidessero su una croce “per
essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (II lettura). L’uomo ha saputo, così,
ricambiare il gesto di pace e di amicizia di Dio con l’ennesimo gesto di iniquità e di ingiustizia. Dio
non ha fatto cadere dall’alto la sua volontà di salvezza, ma si è benevolmente degnato di chiedere la
collaborazione degli uomini mediante la generosa disponibilità di una “giovane donna” ebrea, “una
vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide”, di nome Maria. Alle parole del
messaggero di Dio, “ella fu molto turbata” avendo compreso di essere stata coinvolta in un progetto
di portata sovrumana. Non c’è nulla di strano se Maria ha chiesto un “segno” tangibile della volontà
di Dio: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. La gravidanza della cugina Elisabetta,
ormai in età da “menopausa”, è un segno più che sufficiente per indurre Maria a non farla tanto
lunga ed a donare la propria disponibilità ai piani di Dio senza incertezze e titubanze: “Ecco la
serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” Vangelo). Grazie, Maria, perché hai
detto “sì”.
3
La “PAROLA” della Domenica
12 dicembre 2010
Tempo di Avvento (attesa della venuta del Signore)
III Domenica, Anno A
Is 35,1-6a.8a.10; Salmo responsoriale, 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
La vita secondo il Vangelo
Una società, abituata a consumare tutto ed in fretta, ha bisogno di sensazioni forti per vivere ancora
qualche emozione ed uscire da una sconfortante mediocrità di valori umani e spirituali. Tutto ciò
che fa notizia deve essere, per forza di cose, “sensazionale” e “straordinario”, dal gesto atletico di
uno sportivo al delitto efferato di comune cronaca nera. Per gli uomini super-tecnologici, ma
psicologicamente frustrati, del nostro tempo, l’unico EVENTO veramente straordinario della loro
movimentatissima vita rimane ancora Gesù Cristo, che ha scelto di vivere nascosto tra gli esseri
umani più miserabili e sfortunati del suo tempo e di ogni epoca storica per far scoprire, a quanti
sono animati da “buona volontà”, il dono “straordinario” dell’Amore di Dio.
La gioia di “incontrarsi” con “Dio-che-salva”
Per il profeta Isaia è motivo di grande gioia e giubilo il semplice “vedere la gloria del Signore, la
magnificenza del nostro Dio”, che “viene a salvarci” vendicando i torti e premiando chi opera
secondo giustizia, rimettendo in sesto chi è colpito da ogni genere di malattia del corpo e dello
spirito e restituendo la dignità a chi l’ha persa per colpa propria o altrui (I lettura). Non esiste
situazione di umana miseria, di infelicità, di frustrazione o di sventura che Dio non sappia sanare in
virtù della propria premura misericordiosa e benefica, poiché Egli è “fedele per sempre” alle sue
creature e non vuole che esse soffrano né in questa né nell’altra vita, anche se si oppone, con tutta la
sua potenza, ai malvagi di cui “sconvolge le vie” (salmo responsoriale). L’apostolo Giacomo invita i
cristiani ad avere fede ed a perseverare come farebbe un qualsiasi agricoltore, che sa aspettare il
tempo giusto per raccogliere i frutti della terra e del suo lavoro, o come hanno saputo fare i profeti,
che hanno sopportato soprusi ed angherie da parte degli uomini, ma in fiduciosa attesa del giusto
giudizio di Dio (II lettura). Giovanni Battista è in carcere e, mentre attende di essere giustiziato, gli
giungono notizie contraddittorie su Gesù, perché non Egli non interpreta il tipo di Messia da lui
ipotizzato: un vendicatore di Dio, capace di fare repulisti di tutte le iniquità che guastano il cuore
degli israeliti, rendendolo depravato agli occhi del Signore Dio Altissimo. Gesù raccomanda agli
inviati del Battista di riferirgli che Dio sta operando, per mezzo suo, dei prodigi straordinari tra il
popolo di Israele, ma che la vera beatitudine consiste nel non trovare “motivo di scandalo” nel suo
modo di agire, poiché Egli è il vero interprete della volontà del Padre. Il “profeta” divino (Gesù),
rende, poi, omaggio al profeta umano (il Battista), definendolo “il più grande tra i nati di donna”,
ma anche meno grande del “più piccolo nel regno dei cieli”. Un paradosso tipico del linguaggio di
Gesù, il quale vuole farci capire che Giovanni Battista è un grande personaggio profetico, perché
rappresenta l’anello di congiunzione fra l’Antica e la Nuova Alleanza in quanto diretto precursore
del Messia Gesù, ma la sua grandezza è nulla se paragonata alla grandezza di chi già possiede
dentro di sé il Regno di Dio pienamente realizzato. Chi è già salvato contempla direttamente la
gloria di Dio e gode di una pienezza di pace, di gioia, di luce e di beatitudine assai superiore
rispetto a chi non ha ancora raggiunto la salvezza ed ambisce ad ottenerla, pur dibattendosi tra le
angosce di questo mondo.
L’Avvento è il tempo della gioia, la quale scaturisce dall’incontro col Signore che viene per donare
la salvezza. Il nome GESÚ significa, infatti: Dio salva.
4
La “PAROLA” della Domenica
19 dicembre 2010
Tempo di Avvento (attesa della venuta del Signore)
IV Domenica, Anno A
Is 7,10-14; salmo responsoriale, 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24
La vita secondo il Vangelo
Grazie alla propria intelligenza ed a sciagurate o discutibili scelte di vita, gli uomini hanno
raggiunto la terrificante capacità di auto-distruggersi, trascinando nella rovina anche il pianeta che li
ospita. La speranza di riuscire ad evitare il disastro e di gettare le basi per una convivenza migliore
e per una società più giusta deve costituire, soprattutto per i cristiani, il motivo per cui valga
veramente la pena di esistere e di impegnarsi per costruire la pace. La speranza è figlia di quotidiani
e semplici gesti di fiducia nei confronti di Colui che ha scelto di essere il “Dio-con-noi”, facendosi
uomo grazie all’umile collaborazione di una giovane ragazza ebrea e di un falegname “spiazzato”
dalle scelte di Dio, ma pronto a fidarsi dei suoi progetti misteriosi ed incomprensibili.
Speranza e fiducia: l’atteggiamento dell’attesa
Acaz (736-716 a.C.), re di Giuda, fu un personaggio negativo della storia del popolo ebraico perché
tradì la fede dei padri, adeguandosi alle pratiche idolatriche dei popoli confinanti e, non fidandosi
del profeta Isaia, che parlava a nome del Dio di Israele, preferì allacciare rapporti diplomatici col
potente di turno (l’Assiria), senza trarne alcun vantaggio ma subendone, anzi, le angherie. Pur di
fare rinsavire l’empio re, Dio gli offrì di chiedere “un segno” tangibile del suo provvidente
intervento in un momento critico per le vicende politiche del regno di Giuda, purché Acaz si fidasse
di Lui e non delle false divinità o dei poteri umani. L’empio re rifiutò orgogliosamente l’offerta di
Dio, adducendo la scusa di non volerlo “tentare”, ma il Signore gli annunciò ugualmente la nascita
di un “figlio” speciale, nato nientemeno che da una vergine, quale segno della sua onnipotente e
fedele presenza tra gli uomini: il nome del bambino, Emmanuele, era tutto un programma, perché
significa “Dio-con-noi”. Egli è quel “re glorioso” cui appartiene tutto l’universo ed a Lui si può
accostare con fiducia solo “chi ha mani innocenti e cuore puro” e “chi non pronunzia menzogna”.
Nel momento in cui l’Emmanuele entra nel mondo per salvarlo, tutte le creature devono cambiare
atteggiamento e spalancare le “porte antiche” dell’egoismo e dell’orgoglio per lasciarlo passare ed
accoglierlo con gioia (salmo responsoriale). La venuta del “Dio-con-noi” non giunge inaspettata,
perché i profeti l’hanno prevista da diversi secoli e ne hanno colto il profondo mistero: il Figlio di
Dio ha scelto di nascere “secondo la carne” (come uomo) e “secondo lo Spirito” (nella potenza
divina) per “ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti” e, attraverso la propria morte
sulla croce e la “resurrezione dai morti”, ricondurre ogni uomo al Padre (II lettura). Giuseppe è
“solo” un falegname, ma è un “giusto”, perché sa fidarsi di Dio anche quando la vita sembra
riservare solo amarezze (e che amarezze!), come scoprire che la propria fidanzata è incinta e non
per merito suo. Il problema è grave e di difficile soluzione: comunque vada a finire, Maria rischia
molto. Se Giuseppe denuncia di adulterio la sua “promessa sposa”, interviene l’impietosa legge
ebraica, che per questi casi prevede la lapidazione della donna; se la ripudia, assumendosi però la
responsabilità di averla messa incinta, la espone comunque alla pubblica riprovazione facendola
passare come “una poco di buono”, ma almeno le salva la vita. Se la tiene con sé, facendo finta di
nulla, non sentirebbe comunque quel figlio come “suo”. Che fare? Solo Dio può sciogliere quel
drammatico dilemma e così avviene. L’angelo del Signore rassicura quell’uomo giusto e buono,
riflessivo e capace di rifugiarsi nella preghiera per trovare una soluzione a tutti i problemi della vita:
“non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”,
in barba alle leggi stesse della natura. “Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai
suoi peccati”. Giuseppe accetta, con grande speranza e fede profonda, di essere il padre adottivo di
quel Figlio che proviene dalle inesplorabili profondità del mistero di Dio (vangelo).
5
La “PAROLA” della Domenica
25 dicembre 2010
Tempo di Natale (il Signore è tra noi)
Natale di nostro Signore Gesù Cristo
La vita secondo il Vangelo
Quando nasce un bambino è “quasi sempre” festa per la famiglia e la società umana perché un
neonato, una volta diventato adulto, garantirà la discendenza della sua famiglia, arricchirà la forza
lavoro del suo popolo e pagherà doverosamente le tasse, contribuendo al benessere sociale. Per
alcuni sociologi, psicologi e politici, però, ogni nuova nascita è l’equivalente di un rintocco di
campana che suona funesta per il destino dell’umanità: ogni neonato è una bocca in più da sfamare,
un potenziale disabile che peserà sulle finanze pubbliche, un probabile disadattato che andrà ad
ingrossare le fila di terroristi, spacciatori, mafiosi e delinquenti vari, un frustrato per il troppo lavoro
o per una cronica disoccupazione. Insomma, meglio limitare al massimo le nascite e “far fuori” i
bambini non ancora nati, in nome del progresso e della dignità dell’essere umano! Per Dio, invece,
è “sempre” festa quando nasce un bambino, perché una nuova creatura si aggiunge al già sterminato
numero di coloro che sono stati invitati al suo banchetto nel Regno dei cieli.
Gesù: il festeggiato “dimenticato”
Durante la messa della notte, ci viene ricordato che Dio ha regalato all’umanità suo Figlio, il cui
nome è tutto un programma: “Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della
pace”. Egli porta una luce ed una gioia infinita (I lettura, Is 9,1-6), dona la salvezza a tutti i popoli
(salmo responsoriale, 95) ed insegna a “vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con
pietà”. Questo neonato ci è stato donato da Dio “per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un
popolo puro, pieno di zelo per le opere buone” (II lettura, Tt 2,11-14). Quando apre i suoi occhi su
questo mondo, Gesù sperimenta subito cosa siano la prepotenza (il censimento indetto a scopo
fiscale, deciso dall’imperatore Augusto) e l’egoismo (“per loro non c’era posto nell’alloggio”);
tuttavia, Egli è venuto per donare gioia e luce, che solo dei poveri emarginati dalla società civile,
come i pastori, riescono ad accogliere, lodando Dio per il dono ricevuto (vangelo, Lc 2,1-14).
Durante la messa dell’aurora, partecipiamo all’esultanza del profeta, che gioisce per la venuta del
salvatore ed invita il popolo eletto a scoprire la sua nuova condizione di popolo “ricercato” da Dio
e non più “abbandonato” da Lui (I lettura, Is 62,11-12). “Una luce è spuntata” per i giusti e la
“gioia” erompe dai cuori delle persone rette. È giunto il momento di rallegrarsi nel profondo del
nostro essere per i doni ricevuti da Dio (salmo responsoriale, 96). Paolo ci ricorda che non siamo
stati salvati in virtù dei nostri meriti, ma solo in forza del gratuito amore di Dio, che per mezzo di
Gesù ci ha resi “eredi della vita eterna” (II lettura, Tt 3,4-7). Maria e Giuseppe sono i silenziosi e
reverenti testimoni di questo prodigio di bontà, scaturito dal cuore di Dio (vangelo, Lc 2,15-20).
Nella messa del giorno, il profeta contempla e gode gli effetti di una pace universale, che è scaturita
dalla salvezza donata da Dio agli uomini (I lettura Is 52,7-10), i quali si uniscono tutti insieme a
celebrare, con un canto di lode di dimensione cosmica, Colui che “si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele” (salmo responsoriale, 97). In mille modi, nel corso dei secoli,
Dio ha cercato di parlare al cuore degli uomini, richiamandoli attorno a Sé dopo i guasti causati
dalla colpa originale. Alla fine, Egli ha fatto ricorso a suo Figlio, che è “l’irradiazione della sua
gloria ed impronta della sua sostanza, mediante il quale ha fatto anche il mondo”. Attraverso
Gesù, Dio ha detto ed ha dato tutto il suo amore all’uomo (II lettura, Eb 1,1-6) ed è diventato
UOMO egli stesso per farci suoi figli ed eredi dell’eternità. Il rischio che corre ogni uomo è quello
di non riconoscere che “Dio è venuto tra noi” (vangelo, Gv 1,1-18).
Cosa c’entrano con tutto questo Babbo Natale e la Befana? Nulla. Assolutamente nulla, ma gli
uomini (anche tanti cristiani dalla fede anonima e resa pigra dalle abitudini) li hanno “usati” per
dimenticarsi e far dimenticare che oggi è nato per noi Gesù Cristo, Figlio di Dio, l’unica Persona
per la quale valga veramente la pena di esistere su questo pianeta.
6
La “PAROLA” della Domenica
26 dicembre 2010
Tempo di Natale (il Signore è tra noi), Anno A
Festa della Santa Famiglia
Sir 3, 3-7.14-17a; salmo responsoriale, 127; Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23
La vita secondo il Vangelo
Da ogni parte si leva il grido d’allarme: la famiglia è un’istituzione in pericolo! Già, ma chi l’ha
messa nei guai? Prima si ostenta la legge sul divorzio come una conquista della società moderna e
poi si raccolgono i cocci di una famiglia andata in frantumi, con quanto ne consegue. Mai come
oggi è tanto attuale l’esemplarità della Famiglia di Nazareth, i cui valori fondamentali sono la fede
in Dio, la preghiera, la fedeltà, il rispetto, la comprensione, il dialogo, l’accoglienza dei più deboli,
la generosità, la capacità di ascoltare l’altro, la pazienza, la sopportazione delle prove della vita,
l’amore generoso, ed il dono gratuito di sé. Se la famiglia umana non sa rispecchiarsi totalmente
nella Santa Famiglia di Nazareth, il suo destino è drammaticamente segnato.
La famiglia: il “sogno di Dio”
All’epoca di “Gesù (o Giosuè) figlio di Sirach” (attorno al 180 a.C.) e di suo nipote, che poco dopo
il 132 a.C. ne tradusse lo scritto dall’ebraico al greco, i problemi di una comune famiglia ebraica
non sembravano molto differenti da quelli che affliggono le famiglie di oggi, al punto da indurre
l’autore del libro, denominato Siracide, ad elogiare quei figli che onorano, glorificano, non
contristano e non disprezzano i genitori, anche quando soffrono di demenza senile o di Alzheimer
o, più semplicemente, quando lo scarto generazionale è tale da favorire incomprensioni insanabili
per evidenti differenze di mentalità. Ai figli rispettosi e pazienti, capaci di sopportare le “lune di
traverso” dei loro genitori, Dio garantisce la sua benedizione, il perdono dei peccati e l’esaudimento
delle preghiere (I lettura). Anche il salmista vagheggia un nucleo familiare in perfetta armonia,
felice, benestante e ricco delle benedizioni divine, ponendo come condizione che ogni membro
della famiglia tema il Signore e cammini nelle sue vie, rispettando la legge di Dio ed onorandola
con tutto il proprio essere (salmo responsoriale). Rivolgendosi ai cristiani che vivevano nella
cittadina di Colosse, nell’odierna Turchia, l’Apostolo Paolo fissò le coordinate per costruire la loro
comunità sul modello di una famiglia “perfetta”: rivestirsi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di
umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandosi a vicenda e perdonandosi l’un l’altro
senza serbare rancori o coltivare sentimenti di rivincita o di vendetta. Per ottenere tutto questo, una
cosa era indispensabile: lasciare abitare la parola di Cristo nel proprio cuore, permettendole di
plasmare la propria intelligenza e volontà sino a diventare un tutt’uno con Cristo Signore secondo il
proprio stato di figlio, di genitore o di coniuge. Il risultato di un simile atteggiamento è
straordinario, oggi come allora: la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati
chiamati in un solo corpo (II lettura). È molto di più di un generico “tutti per uno e uno per tutti”. È
diventare una cosa sola con il Signore Dio, che è una “famiglia” di Persone divine, Padre Figlio e
Spirito Santo. Come ogni umana famiglia, anche quella scelta da Dio per donare all’umanità suo
Figlio inciampa nelle pericolose trappole della cattiveria umana: Erode vuole cercare il bambino
per ucciderlo. Giuseppe è frastornato, ma Dio lo conduce al sicuro: Giuseppe prese il bambino e
sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode. Giuseppe ascolta nell’intimo
del proprio essere la voce di Dio e si lascia guidare da Lui con fiducia (vangelo); quando incombe il
pericolo ed è messa a rischio la sopravvivenza stessa dell’individuo, della famiglia o della
comunità, non bisogna perdere la fiducia, perché Dio vuole realizzare il suo sogno, coltivato dalla
notte dei tempi: fare dell’umanità redenta la sua famiglia, anche se malattie, guerre, disastri
ambientali ed atrocità variamente assortite vogliono raccontarci un’altra storia.
7
La “PAROLA” della Domenica
1 gennaio 2011
Tempo di Natale (il Signore è tra noi)
MARIA SANTISSIMA MADRE di DIO
Nm 6, 22-27; salmo responsoriale, 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21
La vita secondo il Vangelo
Inizia un nuovo anno, all’insegna di un ottimismo anche fin troppo spettacolare ma desolatamente
vuoto di contenuti. Come si può pensare di esorcizzare il male, che incombe sull’umanità intera,
gettando dalla finestra gli oggetti che non servono più, sparando o facendo un gran baccano coi
mortaretti e coi fuochi d’artificio? Certo, il giorno di Capodanno è un’occasione per fare festa, ma si
eviti almeno di ammazzare qualcuno a causa di comportamenti “festaioli” irresponsabili. Non si
costruisce la pace in famiglia, nella società e nell’intero consesso umano senza rinunciare, con
l’aiuto di Dio, agli aspetti peggiori della nostra umanità, come l’egoismo, l’indifferenza, la
prepotenza, la violenza e l’ingordigia. Maria insegna come comportarci per essere più “umani” e
solidali con i nostri fratelli.
Maria: la “benedizione” di Dio
Benedire significa “dire bene” di qualcuno, ma anche augurargli il bene, la pace, la prosperità e la
gioia. È l’augurio che Dio rivolge ad ogni essere umano: Ti benedica il Signore e ti protegga, faccia
brillare il suo volto su di te e ti sia propizio, rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace (I
lettura). Se Dio si degna di “dire bene” dell’uomo, creatura debole, limitata, incostante e peccatrice,
a maggior ragione deve essere l’uomo a sentirsi in obbligo di rendere il favore a Dio, che è il suo
creatore, il suo benefattore ed il suo bene supremo, mediante un’incessante preghiera di lode e di
ringraziamento. Esultino le genti e si rallegrino, perché giudichi i popoli con giustizia, governi le
nazioni della terra; ti benedicano i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti. Si tratta, chiaramente, di un
doveroso tributo di riconoscenza a Colui senza il quale l’uomo non si troverebbe nemmeno ad
abitare questo pianeta, dove si comporta il più delle volte con superba arroganza e villania, con la
presunzione di essere capace di dominare la natura al punto da disprezzarla e rischiare di
distruggerla. Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto. Quale
augurio migliore da porgere in questi giorni di festa ed in ogni giorno dell’anno a chi si sforza di
ignorare la sua via (vale a dire, la sua Legge) e la sua salvezza fra tutte le genti (salmo
responsoriale)? Ogni altra forma di augurio “puzza” di truffa e di inganno, come traspare dall’antico
detto romano: se vuoi la pace, prepara la guerra. L’apostolo Paolo ci ricorda che quando venne la
pienezza del tempo, Dio ci ha donato suo Figlio, nato da donna, perché tutti gli uomini ricevessero
l’adozione a figli, consentendo loro di chiamarlo abbà: papà. Chi ci rende così sicuri di essere noi,
uomini del XXI secolo, i migliori esseri umani apparsi su questa terra? Solo Dio sa giudicare
quando è giunto il momento (pienezza del tempo) per intervenire nella storia dell’uomo, facendo
sentire il “peso” della propria santità e volontà di salvezza, mandando gambe all’aria i progetti
dell’uomo, incapace di comprendere che, ormai, non siamo più schiavi, ma figli e, se figli, anche
eredi per volontà di Dio (II lettura), senza distinzione di razza e di cultura o di religione. Venti
secoli di cristianesimo non ci hanno insegnato proprio nulla? Sembra proprio di no, visti gli odi, le
guerre, le vendette ed i fanatismi che affliggono ancora il nostro mondo! Poche persone, semplici e
sprovvedute, (i pastori) “compresero” che quel bambino, che giaceva nella mangiatoia, era una
persona davvero “speciale”, unica e, pieni di meraviglia e di entusiasmo, riferirono ciò che del
bambino era stato detto loro (dagli angeli). Il contrasto tra l’indifferenza o l’astio dell’uomo nei
confronti di Dio e l’entusiasmo di questi, che è innamorato degli uomini al punto di diventare uno di
loro e di camminare al loro fianco sulle strade insidiose di questo mondo, condividendone speranze,
delusioni, dolori e persino la morte, è sconvolgente. Maria, attenta a queste contraddizioni del cuore
umano, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore, ormai pronta a tutto (vangelo) e ad
intercedere per noi peccatori.
8
La “PAROLA” della Domenica
2 gennaio 2011
Tempo di Natale (il Signore è tra noi)
II domenica dopo Natale
Sir 24,1-4.8-12; salmo responsoriale, 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
La vita secondo il Vangelo
I mezzi radio-televisivi ed internet sono i moderni pulpiti dai quali chiunque può raccontare la
propria “verità”, che è ritenuta, ovviamente, l’unica verità possibile, anche quando l’evidenza
suggerirebbe il contrario. Tutte le verità umane (filosofiche, sociologiche, politiche, economiche,
scientifiche) sono soggette a continui aggiustamenti, se non a veri e propri compromessi, perché in
realtà una sola è la Verità, immutabile ed eterna: Dio.
… e il Verbo si fece “carne”
L’autore del libro del Siracide ci descrive l’origine e le prerogative della Sapienza (sophìa), che non
è un’entità astratta, come quella proposta dai filosofi greci del suo tempo, bensì un essere
“personale” che affianca Dio per assolvere ad un compito ben preciso: fissare la tenda in
Giacobbe e prendere in eredità Israele, diventandone la guida saggia e lungimirante. Uscita dalla
bocca dell’Altissimo, la Sapienza ha ricoperto come nube la terra facendola diventare un luogo
adatto per ospitare gli esseri umani, dotati di intelligenza, di capacità decisionale e di senso di
responsabilità. Creata fin dal principio, quando il caos la faceva da padrone in un universo ancora
informe e privo di un vero e proprio progetto di sviluppo, la Sapienza non verrà meno per tutta
l’eternità e sarà un valido aiuto per gli uomini, il cui rischio più grave è quello di scivolare sulla
classica “buccia di banana” delle scelte insensate, irrazionali e degne di una “bestia” a causa della
propensione al male. La Sapienza ricorda all’intero genere umano di aver posto le radici in mezzo a
un popolo glorioso, nella porzione del Signore, sua eredità e di non avere alcuna intenzione di
lasciare andare alla deriva l’umanità per colpa della sua intrinseca debolezza, determinata dal
peccato originale (I lettura). Il salmista invita a lodare ed a glorificare Dio perché ha benedetto i
suoi figli facendosi come loro, Uomo tra gli uomini, debole tra i deboli, sofferente tra i sofferenti,
portando la pace e rendendo visibile e ben udibile la sua parola, facendo conoscere a tutto il genere
umano le sue leggi, i suoi decreti ed i suoi precetti (salmo responsoriale). Nessun uomo rimane
escluso dalla salvezza, poiché è piaciuto a Dio sceglierci prima della creazione del mondo, per
essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della
sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Per l’apostolo Paolo, Gesù Cristo è davvero il
centro di tutto, perché è grazie a Lui che ognuno di noi è diventato “figlio di Dio” ed ha ricevuto lo
spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di Lui (II lettura). Gesù è
l’incarnazione stessa del Verbo di Dio, vale a dire della sua “parola” creatrice e redentrice. Il
termine “Verbo” (o “Parola”) traduce il vocabolo greco Lògos, che significa anche progetto,
disegno, discorso. Tutto ciò che Dio ha pensato dall’eternità per il bene dell’uomo e dell’universo
intero, è diventato visibile nella persona (“carne”) di Gesù di Nazareth, che è la Sapienza di Dio
diventata vero uomo per abitare in mezzo a noi e per illuminare le nostre menti e le nostre
coscienze. Egli, infatti è la luce che proviene dalle profondità di un tempo “senza tempo”, perché
scaturisce dalla natura stessa di Dio: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo
era Dio. L’evangelista è sicuro di ciò che afferma, perché ha visto e compreso l’intera vicenda
umana di Gesù, respinto dagli uomini che lo hanno ucciso ma trionfante perché risorto dai morti:
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto
di ciò che esiste. Anche se il mondo non lo ha riconosciuto ed i suoi non lo hanno accolto, Gesù ha
concesso tuttavia, a quanti lo hanno accolto, il potere di diventare figli di Dio, non perché fossero
migliori o più intelligenti degli altri, ma solo per puro e gratuito dono di Dio. Nessuno ha mai visto
Dio: chi vuole, può vederlo solo guardando Gesù, il vero “volto del Padre” (vangelo).
9
La “PAROLA” della Domenica
6 gennaio 2011
Tempo di Natale (il Signore è tra noi)
Epifania: Dio si “manifesta” agli uomini
Is 60,1-6; salmo responsoriale, 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12
La vita secondo il Vangelo
Tra poco le luci delle luminarie si spegneranno, gli alberi addobbati ed i presepi saranno smantellati
e tutto ritornerà alla solita routine: qualche chilo di troppo da smaltire, valigie da disfare, il lavoro
quotidiano da affrontare coi soliti “musi lunghi” ed un “fegato grosso così”! Cos’è rimasto del
Natale e di tutte le celebrazioni, religiose e laiche, che si concludono oggi, solennità dell’Epifania?
Se ci limitiamo a constatare che “l’Epifania tutte le feste porta via”, allora siamo messi proprio
male. Se abbiamo storpiato il vocabolo “Epifania” con quello più magico (e melenso) di “Befana”,
non meravigliamoci se col “magico Natale” abbiamo eliminato Gesù Bambino dalla nostra vita e
fondato le nostre speranze su Babbo Natale o sulla Befana! Nella vita c’è ben poco di magico.
Dio si “manifesta” a tutti gli uomini
Non bastano la tecnologia e le ideologie più innovative del momento per dissipare la tenebra che
ricopre la terra e la nebbia fitta che avvolge i popoli. Bisogna alzare gli occhi intorno e guardare
quella luce abbagliante di gloria, che il Signore fa brillare sopra di noi facendo dilatare il nostro
cuore e rendendolo capace di amare tutta l’umanità e l’intero universo. L’umanità è in continua
evoluzione, ma se non vuole perdersi nelle tenebre dell’odio, della sopraffazione e dell’egoismo,
deve sapersi rivestire di luce e lasciarsi guidare dalle sapienti e provvidenti mani di Dio. Per farci
comprendere che Egli è il nostro compagno di viaggio lungo i tortuosi sentieri della nostra
esistenza, Dio si è “fatto uomo” e, in cambio, ci ha chiesto l’oro della nostra disponibilità ad
accoglierlo come uno di noi e l’incenso della nostra riconoscenza (I lettura). Difficilmente i
presuntuosi sapienti di questo mondo sono disposti ad accettare un Dio pronto a farsi uomo per
essere misero e povero come miliardi di poveri disgraziati, che in ogni epoca calpestano la polvere
del nostro pianeta, assetati ed affamati di giustizia e di solidarietà, prima ancora che di acqua e di
cibo per sopravvivere, ma tutti coloro che decidono di prostrarsi davanti a Lui ed a servirlo,
riconoscendone la suprema maestà, otterranno la salvezza (salmo responsoriale). Rivolgendosi ai
cristiani della ricca e gaudente città di Efeso, l’apostolo Paolo esprime la convinzione che tutte le
genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad
essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo. Nessuno deve sentirsi escluso a
priori dal progetto di salvezza che Dio, nella sua somma bontà, ha voluto “manifestare” agli uomini
rendendoli protagonisti del suo piano in modo responsabile e libero (II lettura). Studiosi delle stelle
e delle costellazioni, di cui cercano di penetrare i misteri, alcuni Magi (o “maghi”) di un punto
imprecisato dell’oriente che nulla conoscono delle tradizioni religiose d’Israele ed ignorano la fede
nel Dio unico ed invisibile, adorato dal popolo ebraico, sono incuriositi dalla comparsa, nel terso
cielo delle loro latitudini, di un’insolita stella che si muove verso occidente e la seguono, incuranti
della durata del viaggio e dei paesi che devono attraversare tra mille pericoli. Non si tratta solo di
curiosità scientifica, ma di sincera disponibilità ad affrontare il “mistero” e di misurarsi con quella
profonda inquietudine, che agita la loro intelligenza e funge da molla per la loro volontà di
conoscenza interiore. Quella stella, che solca il cielo, è segno che è nato un re, il quale merita di
essere adorato e di ricevere i loro doni. Essi ignorano la bassezza morale di Erode, che cerca il
nuovo re per eliminare l’ennesimo pretendente al suo trono e giungono alla loro méta: una povera
casa abitata da una comunissima madre, che accudisce un bimbo come ce ne sono tanti. La loro
stella, però, si è fermata nel cielo proprio su quella casa e non su altre. I Magi comprendono, senza
tante parole: essi sanno andare oltre le apparenze e, da quel momento, inizia la loro vera ricerca di
Dio, il sommo Re che merita tutta la nostra attenzione ed il nostro amore adorante e riconoscente
(vangelo). L’oro, l’incenso e la mirra sono il segno che la salvezza è giunta davvero per tutti.
10
La “PAROLA” della Domenica
9 gennaio 2011
Tempo di Natale (il Signore è tra noi), Anno A
Battesimo del Signore
Is 42,1-4.6-7; salmo responsoriale, 28; At 10,34-38; Mt 3,13-17
La vita secondo il Vangelo
Nel mondo ci sono circa un miliardo e duecento milioni di cristiani, battezzati nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo. Domanda: quanti di loro sanno veramente di essere cristi, vale a
dire “unti nel Signore” o “messia” allo stesso modo in cui Gesù di Nazareth venne “unto” di Spirito
Santo nel giorno del suo Battesimo? Il peggior difetto di troppi cristiani è la banalità della propria
esistenza, unitamente all’ignoranza della loro fede ed all’uso scaramantico degli atti di culto.
Lo Spirito Santo, un “olio” molto speciale
Il profeta Isaia esprime una certezza, che gli è stata comunicata direttamente da Dio (“così dice il
Signore”): l’umanità può salvarsi solo se interviene il servo del Signore, l’unico abilitato a portare
il diritto alle nazioni in virtù del fatto di avere ricevuto lo spirito di Dio su di sé e di essere stato
“consacrato” in modo del tutto speciale per assolvere a questo incarico. Costui non ha bisogno di
gridare, né di alzare il tono della voce per farsi ascoltare ed ubbidire, ma neppure di compiere
azioni di forza; gli basta proclamare il diritto di Dio con fermezza e non è certo uno che si abbatte
facilmente perché gli uomini fanno i finti tonti. Prima o poi egli stabilirà il diritto sulla terra,
facendo aprire gli occhi ai ciechi e liberando i prigionieri dal carcere dell’ignoranza, della pigrizia,
del torpore spirituale e della cattiveria allo stato puro (I lettura). Il Signore Dio scatena la propria
potenza per dominare la natura ribelle del cuore umano e donare la pace agli animi inquieti. In
cambio, Dio non chiede poi molto alle sue creature: rendergli gloria e prostrarsi davanti Lui,
riconoscendolo come proprio Signore e Dio, che siede re per sempre (salmo responsoriale).
L’apostolo Pietro, il primo papa della Chiesa, è spinto dallo Spirito Santo a rendersi conto che Dio
non fa preferenza di persone, ma chi lo teme (onorandolo, amandolo ed accettandolo come Signore)
e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Per un ebreo, educato sin
dalla nascita a considerare tutti i non ebrei come cani idolatri, buoni solo da bastonare e prendere a
sassate, è un bel passo avanti nel riconoscere che tutti gli uomini sono figli dell’unico Padre, che è
Dio. Cosa non sa fare lo Spirito Santo, mediante il quale Dio Padre consacrò (“unse”) Gesù di
Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del
diavolo, il grande seduttore e malefico ispiratore delle azioni più inique compiute dagli uomini sotto
ogni cielo! Questa, in buona sostanza, è la novità del vangelo di Gesù Cristo: il Signore è di tutti (II
lettura) e non di pochi eletti. Giovanni Battista ricorre al battesimo come segno di conversione ed
invita tutti coloro che ricorrono a lui ad immergersi nelle acque del fiume Giordano per spogliarsi
delle loro umane miserie ed uscirne cambiati nel cuore, nella mente e nelle abitudini. Gesù non ha
bisogno di questo battesimo, perché è già “pulito”, puro e “giusto” ed il Battista lo sa bene, ma
conviene che così si adempia ogni giustizia. Bisogna lasciar fare a Dio, che nel battesimo di Gesù si
rivela per quello che è: un solo ed unico Dio, ma in tre Persone che si distinguono per un diverso
modo di agire, in assoluta e perfetta armonia, in vista della nostra salvezza. I cieli, che si erano
chiusi dopo il peccato originale dei primogenitori, ora si aprono consentendo allo Spirito di Dio di
scendere su Gesù (vangelo) per “ungerlo” e consacrarlo come sommo “Re, Sacerdote e Profeta” ed
unico Mediatore tra Dio e gli uomini, luce delle nazioni e garante del diritto. Il “sacro olio” (o
crisma), usato per consacrare i cristiani durante il rito del battesimo, della cresima e dell’ordine
sacerdotale, ci ricorda che siamo tutti “cristi”, “unti” e consacrati “re, profeti e sacerdoti” in unione
con Cristo, per essere il “segno” vivente sulla terra della presenza redentrice e santificante di Gesù
in mezzo agli uomini di ogni tempo, fino alla “fine del mondo”.
11
La “PAROLA” della Domenica
16 gennaio 2011
II domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Is 49,3.5-6; salmo responsoriale, 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34
La vita secondo il Vangelo
Chi è Gesù per l’uomo moderno, succube del sistema informatico delle comunicazioni che, molto
spesso, è capace di rendere “virtuale” la realtà della vita quotidiana? Per qualcuno, Gesù è un mito,
per altri un’invenzione dei preti, per certuni un personaggio storico di scarsa rilevanza per l’uomo
del tempo presente. Per molti altri, Gesù è il Signore del tempo e della storia, il Figlio di Dio
apparso sulla terra come Uomo per salvare l’intero genere umano dal male e dalla perdizione eterna,
il “perno” attorno al quale ruota la loro stessa esistenza. Chi è Gesù per noi? Chi lo ha abbandonato
preferendo altri percorsi religiosi, è davvero sicuro di aver compiuto la scelta giusta?
Ecco l’Agnello di Dio
Il profeta Isaia tratteggia le caratteristiche morali e psicologiche di un misterioso “servo di Dio”, sul
quale il Signore manifesterà la sua gioia ed al quale ha assegnato un compito speciale nel momento
stesso in cui l’ha plasmato dal seno materno: ricomporre l’unità del popolo eletto e ricondurlo a Lui
purificato e pacificato. L’incarico di questo “servo” non è affatto facile ed il tempo storico a sua
disposizione non è illimitato; per consentire al suo “servo” di portare a compimento quanto gli ha
affidato, Dio lo ha reso luce delle nazioni, perché porti la sua salvezza fino all’estremità della terra,
anche dopo la sua morte (I lettura). Gli ebrei interpretarono la figura del “servo di Dio” come
immagine del Messia politico, capace di porre fine a tutte le dominazioni straniere cui andava
soggetto periodicamente il popolo ebraico, ma gli apostoli vi scorsero la vicenda storico salvifica di
Gesù, il Messia spirituale venuto a spezzare il giogo dell’oppressione del male, che rende gli uomini
schiavi del peccato e della morte dello spirito. Per liberarsi da questa forma di schiavitù morale, agli
uomini non bastavano i sacrifici offerti a Dio come espiazione dei loro peccati. Ci voleva ben altro!
Dio ha chiesto a suo Figlio di offrirsi come vittima, volontaria ed obbediente, per purificare gli
uomini e riscattarli dal Maligno, insegnando loro ad amare la legge di Dio nel profondo del loro
cuore (salmo responsoriale). Facendosi Uomo ed obbedendo alla volontà del Padre, il Figlio di Dio
ha dato la sua vita per donare la salvezza a tutti gli uomini, facendo conoscere loro il vero Volto di
Dio, che è un Padre misericordioso e sempre pronto a perdonare un cuore pentito. Corinto era una
città greca molto nota per le sue attività commerciali ed i suoi abitanti erano particolarmente
“difficili” da convertire al Vangelo di Cristo, perché inclini al vizio più sfrenato, arroganti e
vanitosi. In due anni di permanenza in questa città portuale, Paolo aveva battezzato pochissimi
convertiti alla fede in Cristo ma, quando scrisse questa lettera (57 d.C.), la comunità cristiana di
Corinto era abbastanza numerosa e turbolenta; a Paolo premeva far sapere a quei cristiani che Gesù
Cristo avrebbe continuato a vivere e ad operare nella loro comunità se essa si fosse mantenuta santa
ed unita, nella preghiera, alle altre comunità cristiane. Solo così i cristiani di Corinto avrebbero
ottenuto la pace da Dio Padre e dal Signore Gesù (II lettura). Nel momento stesso in cui stava
battezzando Gesù per immersione nelle acque del fiume Giordano, come segno esteriore di un atto
di penitenza e di conversione interiore, Giovanni il Battista comprese immediatamente che quel suo
“parente” apparteneva ad un’altra dimensione, avendo visto lo Spirito scendere come una colomba
dal cielo e posarsi su di lui. Gesù era il talya (vocabolo aramaico che significa “servo” e “agnello”)
di Dio, venuto tra gli uomini per togliere il peccato del mondo e per restituire piena dignità agli
esseri umani, plagiati dal tentatore, mediante il sacrificio della propria vita. Solo un essere
sovrumano avrebbe potuto portare su di sé il peso del peccato dell’intero genere umano, obbedendo
in modo totale al volere di Dio ed immolandosi come un agnello sacrificale, vittima innocente
dell’umana perfidia: il Figlio di Dio (vangelo).
12
La “PAROLA” della Domenica
23 gennaio 2011
III domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Is 8,23b-9,3; salmo responsoriale, 26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23
La vita secondo il Vangelo
Uno degli eventi più drammatici, che possa colpire le società tecnologicamente più evolute dei
nostri giorni, è il black-out. Milioni di persone, abituate a vivere ed a convivere coi televisori, i
cellulari, i computer, le luci artificiali di abitazioni, uffici e centri commerciali, o ad usufruire delle
comodità fornite dall’energia elettrica come gli ascensori, le scale mobili, gli elettrodomestici di uso
quotidiano e quant’altro, se all’improvviso si trovassero al buio si lascerebbero travolgere dal
panico. È già successo e succederà ancora. L’unica LUCE che non si spegnerà mai è Gesù Cristo.
Gesù, luce del mondo
Le pagine della Bibbia testimoniano l’interminabile lotta tra il bene ed il male, tra la luce e le
tenebre, tra l’odio e l’amore, tra Dio e satana. La luce rappresenta al meglio la realtà del bene ed il
buio è il simbolo calzante del male e della morte. Gli ebrei delle tribù di Zabulon e Neftali, che
abitavano il nord della Palestina (Galilea e dintorni) furono sconfitti dagli assiri e deportati in esilio
(734 a.C.), patendo sofferenze ed umiliazioni di ogni genere perché immersi nelle tenebre della
schiavitù. Ora, questo popolo che camminava nelle tenebre della vergogna e dell’oppressione, vide
una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, straniera ed ostile, rifulse una luce di
speranza per la fine imminente della schiavitù e dell’esilio. La gioia, descritta dal profeta, riflette le
condizioni di vita della gente del suo tempo, dedita all’agricoltura ed alla caccia, che esulta per una
messe rigogliosa ed abbondante o per una cacciagione particolarmente ricca e varia. Solo Dio
poteva operare un simile prodigio a favore del suo popolo (I lettura). Qualunque cosa possa
succedere agli esseri umani, e Dio solo sa quanto male fisico e morale si riversa quotidianamente
soprattutto sui più poveri ed indifesi di qualunque popolo della terra, il Signore è la sola nostra luce
e salvezza, perché Egli è difesa della nostra vita, luogo di rifugio nel giorno di sventura, nostra
dolcezza e fonte di ogni bontà (salmo responsoriale). Una comunità cristiana, lacerata dalle
discordie ed inquinata da inutili ed irresponsabili protagonismi, rende vana la croce di Cristo e
spegne la luce del suo Vangelo, precipitando nel buio più tenebroso coloro che attendono, invece, la
luce della salvezza. Gesù è stato crocifisso per la salvezza di tutti gli uomini e coloro che
annunciano il suo Vangelo sono stati mandati esplicitamente da Lui (II lettura). La Chiesa non può
presentarsi al modo discorde e divisa, altrimenti produrrebbe uno scandalo vergognoso, tale da
allontanare molti uomini da Cristo e rendere vano il suo sacrificio di redenzione. Proprio le tribù di
Zabulon e di Neftali, che avevano sperimentato l’angoscia dell’esilio e della schiavitù per mano
assira, furono le prime a vedere la grande luce annunciata da Isaia. Gesù, nato a Betlehem in
Giudea ma da oltre un trentennio residente a Nazareth di Galilea, all’inizio della sua attività
pubblica venne ad abitare a Cafàrnao, una cittadina di pescatori situata sulle rive del lago di
Galilea, abbastanza grande da essere chiamato dalla gente del posto “mare di Galilea”. Secondo
l’evangelista Matteo, fu Gesù a cercarsi dei discepoli, scegliendoli fra i pescatori di Cafàrnao: Pietro
e suo fratello Andrea, Giacomo di Zebedeo e suo fratello Giovanni. Non è l’uomo che va alla
ricerca di Dio, ma è Dio che si mette alla ricerca dell’uomo e lo vuole come collaboratore dei suoi
piani di salvezza. Anche la scelta di pescatori da parte di Gesù non fu casuale. Il “mare” era, per gli
ebrei, il simbolo del càos primordiale, che è disordine ed assenza di vita, cui solo la “parola”
creatrice di Dio ha saputo dare ordine e vita; il padrone indiscusso dei mari è il grande pesce,
chiamato dagli ebrei Leviathàn, simbolo del male e della morte, che sono i tratti caratteristici del
càos. I primi discepoli di Gesù ricevettero da Lui l’incarico di diventare “pescatori di uomini”, per
sottrarre ogni essere umano alla morte dello spirito (di cui il mare è immagine simbolica) ed
inserirlo nella vita di Dio, liberandolo da ogni sorta di malattia e d’infermità (vangelo). L’acqua del
fonte battesimale ricorda proprio questo passaggio dalla morte alla vita, che non è solo simbolico
ma reale.
13
La “PAROLA” della Domenica
30 gennaio 2011
IV domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Sof 2,3; 3,12-13; salmo responsoriale, 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a
La vita secondo il Vangelo
L’uomo, a qualsiasi società ed epoca storica appartenga, ha in mente una precisa scala di valori, che
l’insegnamento ricevuto in famiglia e a scuola o l’esperienza stessa della vita quotidiana gli hanno
inculcato: le persone che contano di più al mondo sono i ricchi, quelli che detengono una qualsiasi
forma di potere, i prepotenti ed i violenti. Chi usa il denaro o la forza bruta, l’ha sempre vinta, fino a
che non trova uno più ricco o prepotente di lui. Dio la pensa in modo diametralmente opposto; per i
“forti” di questo mondo non c’è posto nel suo Regno.
La “magna charta” del cristianesimo: le beatitudini
Sofonia profetizzò a metà del VII secolo a.C., verso il 640, in un’epoca in cui il regno del nord
(regno di Samaria) era già scomparso da almeno ottanta anni come entità politica autonoma, mentre
il regno del sud (regno di Giuda) stava traballando pericolosamente ed egli ne previde la fine,
avvenuta effettivamente dopo una cinquantina d’anni (586 a.C.). Per bocca del profeta, Dio dichiara
che solo i poveri della terra, che sanno eseguire gli ordini di Dio con giustizia ed umiltà possono
sentirsi al sicuro nel giorno dell’ira del Signore. Le immani tragedie, che talvolta si abbattono
sull’umanità, non sono il frutto di una pura casualità, ma dietro di esse c’è la mano di Dio che guida
la storia e si prepara un resto di umanità capace di confidare nel nome del Signore, umile e povero,
che non commetterà più iniquità e non proferirà menzogna (I lettura). Quelli che sono considerati i
più sfortunati, deboli ed insignificanti individui della nostra società umana (gli oppressi, i
prigionieri, i portatori di handicap, gli orfani, le vedove e chi non ha nemmeno il minimo
indispensabile per sopravvivere), sono invece i prediletti da Dio e destinati a trovare, nel suo Regno,
quella pace invano inseguita su questa terra (salmo responsoriale). L’apostolo Paolo ricorda che i
cristiani della comunità di Corinto appartengono, per la massima parte, agli strati più modesti ed
umili della società cittadina, ma questa connotazione di basso profilo della comunità cristiana è
frutto di una precisa scelta di Dio, il quale ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i
sapienti, ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ciò che nel mondo è ignobile e
disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa
gloriarsi davanti a Dio (II lettura). Chi nel mondo conta qualcosa a livello economico, politico e
sociale, difficilmente sente di aver bisogno di Dio e del suo aiuto e si fida esclusivamente dei propri
mezzi. È ciò che pensa anche Gesù che, all’inizio della sua missione pubblica, annuncia il suo
programma di Messia e di annunciatore del “regno di Dio”, formula elegante utilizzata dagli ebrei
per non usare in modo esplicito o poco rispettoso il santo Nome del Signore Dio d’Israele.
Chiamare una persona per nome equivaleva a vantare nei suoi confronti un’intimità o ad esprimere
una sorta di possesso che, nel caso di Dio, suonava come una bestemmia meritevole di pena
capitale. Gesù definisce “beati”, ossia felici e fortunati in quanto “benedetti da Dio”, coloro che,
secondo la mentalità corrente di ogni realtà socio-culturale umana, sono dei veri disgraziati, o illusi
o sciocchi sognatori. Tutte le persone definite “beate” da Gesù rientrano nella categoria degli
anawîm, vocabolo ebraico che indicava coloro che sono consapevoli di essere delle creature
bisognose, in ogni circostanza di vita, dell’aiuto e dell’intervento di Dio, sicché non hanno bisogno
di reagire ai torti con la violenza e facendosi giustizia da sé, ma sono miti, misericordiosi, assetati
di giustizia e non di vendetta, portatori di pace anche a costo di subire soprusi e violenze.
Nonostante il male che serpeggia nel mondo, gli anawîm si mettono a disposizione di Dio per
cambiare se stessi ed il mondo usando le armi di Gesù: la misericordia, il perdono, la pazienza, la
comprensione. Dio ripaga gli anawîm con buona moneta, spendibile a piene mani nel “regno dei
cieli”, di cui Egli è il Re supremo ed eterno: grande è la vostra ricompensa nei cieli (vangelo).
Anche Ghandi, induista e fautore della non violenza, aveva compreso che nelle “beatitudini” era
racchiusa l’essenza stessa del cristianesimo, il cui valore “morale” è davvero universale.
14
La “PAROLA” della Domenica
6 febbraio 2011
V domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Is 58,7-10; salmo responsoriale, 111; 1Cor 2,1-5; Mt 5,13-16
La vita secondo il Vangelo
Molti credenti e non solo cristiani, beninteso, si considerano “religiosi” solo perché partecipano a
varie pratiche di culto o recitano preghiere, chi in modo assiduo o chi, invece, saltuariamente. È un
grossolano errore nel quale incappano tanti “buoni” cristiani del nostro tempo, che considerano
esaurito il loro impegno come credenti partecipando semplicemente alla santa Messa, ricevendo i
sacramenti come l’Eucaristia e la Riconciliazione (senza esagerare, altrimenti si passa per bigotti) o
frequentando qualche novena. Nel Vangelo di oggi, Gesù dice chiaramente che tutto ciò non basta.
La vita senza la fede diventa arida, ma la fede senza una concreta applicazione nella vita è pura
ipocrisia.
La missione del vero cristiano: essere “sale della terra e luce del mondo”
Il profeta Isaia inveisce contro i benpensanti del suo popolo, che si preoccupano di rendere il dovuto
culto al Signore ma si dimenticano regolarmente di perseguire, altrettanto doverosamente, la pratica
sociale della giustizia attraverso gesti concreti come condividere il pane con l’affamato, dare
ospitalità ai senzatetto, ridare dignità a chi ha perso ogni cosa, combattere l’oppressione sociale,
prendere le distanze da calunniatori e bestemmiatori e preoccuparsi di chi si trova nel bisogno
materiale e spirituale (I lettura). Il modo migliore per meritarsi il castigo di Dio è sfruttare le
disgrazie altrui per il proprio tornaconto, peggio se aderendo ad un’associazione criminale. È
veramente benedetto da Dio l’uomo onesto, che non pratica l’usura ed è attento ai bisogni di chi,
nella vita, si trova in difficoltà: il giusto non vacillerà in eterno e non temerà annunzio di sventura
perché Dio è con lui, la sua giustizia rimane per sempre e la sua potenza s’innalza nella gloria
(salmo responsoriale). Ciò che la giustizia degli uomini non sempre riesce ad ottenere in questo
mondo, infallibilmente lo realizza la giustizia di Dio nell’altra vita. Rivolgendosi ai cristiani di
Corinto, Paolo ricorda di essersi presentato a loro con timore e trepidazione, consapevole che
nessuna sapienza umana è disposta ad accettare, sul piano storico e filosofico, un annuncio di
salvezza fondato su un uomo giustiziato sulla croce come un criminale. Paolo aveva usato con gli
ateniesi un approccio un po’ presuntuoso, fidandosi della propria capacità dialettica e della sua
abilità di predicatore, ma aveva clamorosamente fallito. Quando si parla di Gesù e della sua
missione redentrice, non si può prescindere dallo “scandalo della croce” e dalla fiducia che sia lo
Spirito Santo ad operare prodigi di conversione. Il cristiano diventa interprete credibile della
“speranza” cristiana solo se rimane fedele a Gesù Cristo, e questi crocifisso. La Sapienza di Dio,
che ha scelto il linguaggio della croce per manifestare il suo amore per gli uomini, è assai superiore
alla sapienza umana ed alle sue logiche di potenza e di predominio sulla coscienza, sulla libertà di
giudizio e sulla volontà degli uomini (II lettura). Gesù chiede ai suoi discepoli di essere sale della
terra e luce del mondo, per dare “sapore” alla vita ed illuminare la mente ed il cuore degli uomini
nei momenti più “bui” della loro esistenza. Se il cristiano si comporta con coerenza, realizzando
concretamente gli insegnamenti di Gesù, è come il sale che dà sapore al cibo; in caso contrario, “se
predica bene e razzola male”, è come il sale diventato insipido e buono soltanto per essere gettato a
terra come un naturale “antigelo” lungo le strade e sulle superfici pavimentate, rese scivolose dal
ghiaccio. Un sale destinato ad essere calpestato dagli uomini. Il vero cristiano è come una luce,
capace di diffondere nel mondo lo splendore delle opere buone, grazie alle quali gli uomini rendono
gloria al Padre che è nei cieli. Un cristiano incoerente, che compie iniquità e si rende responsabile
di malversazioni a danno dei suoi simili, è peggio del buio pesto che regna nelle caverne più
profonde della terra: una vera sciagura per l’umanità. Di fronte ai comportamenti scellerati dei
conquistatori della sua patria, che si professavano cristiani e che sfruttavano l’India in modo
disumano, il Mahatma Gandhi commentò: “Io diventerei cristiano, se i cristiani lo diventassero
anche loro”.
15
La “PAROLA” della Domenica
13 febbraio 2011
VI domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Sir 15,16-21; salmo responsoriale, 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37
La vita secondo il Vangelo
L’amore non deve essere assunto come scusa per fare sempre quello che si vuole ma, al contrario, è
la molla per mettersi al servizio del prossimo, secondo il volere di Dio. Gesù dimostra cosa sia il
vero amore: riconciliarsi col prossimo, trattenere l’ira, non insultare nessuno, non commettere
adulterio neanche col desiderio, non divorziare da un matrimonio valido... Molti cristiani d’oggi
pensano che sia giusto fare il contrario, tanto per essere alla pari degli altri.
Un amore “capovolto”
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male. Per l’autore del Siracide, la vita è
come un diario dalle pagine bianche su cui l’uomo scrive la trama del proprio destino e disegna i
progetti del proprio futuro. Ogni giorno noi dobbiamo compiere una scelta tra il bene ed il male e
decidere se vogliamo metterci in fila per la felicità (vita) o per la dannazione eterna (morte). Egli ti
ha posto davanti fuoco e acqua; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Dio non ci obbliga a
“subire” il suo desiderio di salvarci, ma pretende un nostro atto di libera scelta, perché ci ha creati
liberi, intelligenti e capaci di discernere il bene dal male. I comandamenti, che Dio ha scritto nella
coscienza intelligente dell’uomo, hanno il valore di guida e di orientamento nel libero arbitrio e
servono ad evitarci rovinose cadute: se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno e ti
impediranno di perdere la tua anima. A nessuno Dio ha comandato di essere empio e a nessuno ha
dato il permesso di peccare, ma a tutti ha dato la possibilità di vivere con Lui per sempre, vivificati
dalla sua grazia (I lettura). L’uomo può vivere tranquillo solo se cammina nella legge del Signore,
custodisce i suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. La vita ci pone di fronte a scelte talvolta
assai difficili, ma se sapremo custodire i suoi decreti ed osservare la sua parola sino alla fine della
nostra esistenza, guadagneremo la vita eterna (salmo responsoriale). Gli uomini, dice Paolo, sono
attratti dalle argomentazioni convincenti e fuorvianti dei sapienti di questo mondo, che non hanno
nulla da spartire con la sapienza di Dio, misteriosa e rimasta nascosta alla superbia della nostra
intelligenza, ma sempre attiva e tesa a salvare ogni uomo; noi non abbiamo nemmeno la più pallida
idea di cosa ci abbia riservato Dio per la nostra felicità ultraterrena e, se fossimo stati consapevoli
del dono che Egli ci ha fatto mandando suo Figlio tra noi, di certo non avremmo crocifisso il
Signore della gloria. A quanti, però, hanno scelto di fidarsi di Lui, Dio ha concesso di rivelare
l’infinita grandezza del suo amore, grazie all’intervento del suo Santo Spirito (II lettura). I sapienti
di questo mondo ritengono che i comandamenti, consegnati da Dio agli uomini e noti come il
Decalogo, siano lesivi della libertà umana. Gesù ci mette in guardia da simili ragionamenti “umani”
molto egoistici e presuntuosi: finché durerà questo mondo, nessuno deve azzardarsi a modificare
una sola virgola del Decalogo: chi trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli
altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Gesù si spinge oltre e dilata il
significato dei comandamenti di Dio. Non è necessario sopprimere fisicamente un uomo per violare
il comandamento che proibisce di uccidere, ma è sufficiente adirarsi con lui per essere contro la
legge di Dio. Addirittura, se ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo
dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Che c’importa se qualcuno è arrabbiato con noi, purché ci sentiamo in pace con la nostra coscienza
e siamo convinti di non aver fatto nulla di male? Gesù manda in frantumi le nostre convinzioni e ci
suggerisce che, così facendo, siamo anche noi responsabili di aver “ucciso” la pace che deve
regnare tra i figli di Dio. Oggi ci si vanta facilmente dei tradimenti coniugali; attenzione, chiunque
guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Alla
faccia di chi considera la fedeltà coniugale un optional d’altri tempi! Così la verità, non va giurata,
ma semplicemente detta: ciò che è sì deve essere sì, il no deve essere no, senza trucchi ed inganni
(vangelo). Gesù è scomodo e pericoloso per il nostro quieto vivere; per questo tentiamo spesso di
eliminarlo dalla nostra vita, personale e sociale.
16
La “PAROLA” della Domenica
20 febbraio 2011
VII domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Lv 19,1-2.17-18; salmo responsoriale, 102; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48
La vita secondo il Vangelo
La nostra società si considera moderna perché, ripudiando la “legge del taglione”, ha concepito una
legislazione fondata sullo “stato di diritto”: diritto alla vita, alla salute, al lavoro, alla privacy,
all’assistenza, alla difesa del proprio onore, alla tutela legale ed a molto altro ancora. La logica della
vendetta, innescata dal danno causato ad uno qualsiasi dei nostri diritti, dovrebbe essere retaggio
d’un lontano passato, cui Gesù ha contribuito a dare un taglio netto con la “legge di Dio”, fondata
sull’Amore. È davvero così?
La nuova “legge”: il comandamento dell’amore
L’insegnamento di Gesù non era il semplice frutto della sua straordinaria intelligenza o della sua
spiccata spiritualità, ma scaturiva dalla profonda conoscenza della Sacra Scrittura, che i rabbini e
tanti pii ebrei conoscevano a menadito avendone imparato a memoria ogni pagina. Il Levitico, uno
dei cinque libri che formavano la Toràh (la santa Legge di Dio), conteneva una frase che esprimeva
perfettamente il senso più genuino e vero della religiosità ebraica: Siate santi, perché io, il Signore
vostro Dio, sono santo. Tutta la vita del fedele ebreo doveva conformarsi a questo invito, rivolto da
Dio a tutto il popolo ebraico per bocca di Mosè, con conseguenze inverosimili sia per la mentalità
“materialista” dei popoli pagani e sia per il pigro e disimpegnato tradizionalismo religioso di tanti
ebrei, preoccupati più della forma che della sostanza della loro fede: Non coverai nel tuo cuore odio
contro il tuo fratello, non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma
amerai il tuo prossimo come te stesso. Chi vuole imitare la santità di Dio non può rincorrere la
vendetta o nutrirsi dell’odio nei confronti del prossimo, perché l’altro è pur sempre figlio di Dio e
nostro fratello; nella vicenda di Caino ed Abele possiamo riconoscere la nostra umanità fragile,
peccatrice, egoista e potenzialmente assassina (I lettura). Solo Dio sa veramente perdonare tutte le
nostre colpe, guarire le nostre infermità e salare la nostra vita dalla fossa dell’eterna perdizione,
perché Egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore e non ci tratta come
meriteremmo a causa delle nostre iniquità. Di tratta gli uomini come solo un padre tenero sa fare
quando i suoi figli sono un po’ troppo discoli ed indisciplinati, ma disposti a portargli rispetto al
momento opportuno (salmo responsoriale). Paolo ha provato sulla propria pelle cosa significhi
considerarsi ed agire da “sapiente” secondo il metro di giudizio degli uomini: disarcionato dalle sue
ferme e ferree convinzioni sulla via di Damasco, è stato accecato dalla luce abbagliante della
“sapienza di Dio”e da quella esperienza traumatica ha compreso che la sapienza di questo mondo è
stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia» .
Ma non basta. Il suo furore di persecutore accanito dei cristiani si è infranto contro una nuova
consapevolezza della propria nullità e, in seguito all’incontro col Risorto, ha dovuto cambiare
radicalmente modo di rapportarsi con se stesso, col prossimo e con Dio: nessuno si illuda; se
qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente,
perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. La sapienza di Dio ha fatto
comprendere a Paolo che tutti gli uomini sono tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in
ciascuno di loro. Questa scoperta ha indotto l’Apostolo a coltivare un sentimento d’amore generoso
per ogni essere umano ad imitazione di Gesù Cristo, il quale abita in ogni uomo ed è geloso di ogni
sua creatura: se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui (II lettura). Proprio Gesù ha
insegnato a stravolgere il proprio modo di pensare: non opporsi ai malvagi, porgere l’altra guancia
a chi ci fa del male, assecondare i desideri del prossimo anche quando sono un po’ egoistici, amare
i nemici e pregare per chi ci perseguita perché siamo tutti figli dello stesso Padre, che fa sorgere il
suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Per essere perfetti come è
perfetto il Padre nostro celeste non basta una morale di basso profilo (vangelo).
17
La “PAROLA” della Domenica
27 febbraio 2011
VIII domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Is 49,14-15; salmo responsoriale, 61; 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34
La vita secondo il vangelo
Le persone più ascoltate della nostra società sono gli economisti e gli astrologi. I primi ci insegnano
che non c’è futuro per l’uomo moderno se non si rispettano le buone regole di una sana ed oculata
pianificazione delle risorse del pianeta e se non ci si cura con sagacia dell’economia nazionale ed
internazionale. Il motore dell’economia è il denaro, la cui garanzia è la riserva mondiale dell’oro
(giallo o nero, poco importa). I secondi, invece, promettono furbescamente il benessere futuro
garantendo colpi di fortuna e successi irresistibili, grazie alle congiunzioni astrali (prima, però,
occorre versare una congrua parcella, rigorosamente esentasse). Chi scommette ancora su Dio?
La divina Provvidenza: una “polizza” per l’eternità
Il popolo ebraico, sconfitto dopo una guerra sanguinosa ed in gran parte mandato in esilio, è avvilito
e demoralizzato. Che fine ha fatto il Dio d’Israele? Perché non è intervenuto per salvare il suo
popolo, evitandogli una simile umiliazione per opera di nemici idolatri ed impuri? Il Signore mi ha
abbandonato, il Signore mi ha dimenticato, è il lamento che si leva dal profondo del cuore di ogni
ebreo esiliato ed asservito al padrone di turno, ma la voce del profeta si leva commossa, sommessa
e rassicurante al tempo stesso, garantendo che Dio non dimentica mai i suoi figli: si dimentica forse
una donna del suo bambino,così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Le cronache
dei giorni nostri raccontano angoscianti storie di bambini abbandonati dai loro genitori, ma Dio non
si dimenticherà mai dei suoi figli (I lettura), anche se le vicende della vita sembrano raccontare una
storia diversa, come avvenuto decenni fa nei campi di sterminio. Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza. Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: mai potrò vacillare,
nonostante gli immancabili rovesci e momenti di dolore che, inevitabilmente, ogni essere umano
deve prima o poi affrontare nella propria vita. La sofferenza fa parte della nostra esistenza, ma in
Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio. Occorre avere
fiducia in Dio e nella sua provvidenza, nonostante le evidenze contrarie della storia: confida in lui, o
popolo, in ogni tempo; davanti a lui aprite il vostro cuore (salmo responsoriale). L’apostolo Paolo
ricorda ai cristiani di Corinto che solo Dio è il supremo ed inappellabile giudice di ogni essere
umano e che solo Lui metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori;
allora ciascuno riceverà da Dio la lode. Ciascuno deve comportarsi in modo responsabile ed al
servizio del prossimo, lasciando a Dio il compito di guidare la storia personale e sociale verso un
traguardo di salvezza; nessuno, pertanto, si deve arrogare il diritto di giudicare nulla prima del
tempo, fino a quando il Signore verrà, ma deve accettare il volere di Dio senza pretendere di
sostituirsi a Lui (II lettura). Lo sguardo dell’uomo si estende verso orizzonti assai limitati, mentre
quello di Dio scruta l’intero universo e si spinge oltre i confini del tempo e dello spazio. Nulla
sfugge al suo amore premuroso e provvidente. Questa è l’immagine di Dio lasciataci Gesù, che ha
messo ciascuno di noi sull’avviso: o si pone Dio in cima alla scala dei valori, o si diventa schiavi
del denaro: nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si
affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Chi riconosce Dio
come suo Signore, non si preoccupa più di tanto delle necessità contingenti della vita terrena,
perché sa che Dio conosce i bisogni di ogni sua creatura e provvede al bene di ciascuno, mentre chi
ripone ogni sua speranza nel denaro non è neppure in grado di allungare anche di poco la propria
vita. Occorre cercare, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutti i beni materiali di questa
vita saranno dati in aggiunta. Gesù non è contro il possesso del denaro o contro la programmazione
del proprio futuro su questa terra, ma è contrario all’eccessiva fiducia che l’uomo ripone nella
ricchezza: Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A
ciascun giorno basta la sua pena (vangelo).
18
La “PAROLA” della Domenica
6 marzo 2011
IX domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Dt 11,18.26-28; salmo responsoriale, 30; Rm 3,21-25a.28; Mt 7,21-27
La vita secondo il vangelo
In ogni periodo storico, gli uomini hanno un compito esaltante e gravoso da svolgere nella loro vita
personale e sociale: costruire se stessi ed il mondo in modo positivo o fallimentare, esercitando il
diritto di scegliere liberamente se accogliere o no la “parola” consegnata da Dio al genere umano
nella persona di Gesù Cristo. Le leggi stesse, promulgate dalla società civile, riflettono tale scelta di
campo al pari dei comportamenti etici e delle scelte morali dei singoli individui. Da quale parte
decidono di stare i cristiani del nostro tempo? Dalla parte di Cristo, Parola incarnata di Dio, o da
quella del proprio egoistico interesse? Dalle scelte dei singoli dipende il destino di un’intera società.
Fatti e parole
Per inculcare nel suo popolo un vero amore per la Legge di Dio, la cui osservanza è fonte di vita e
di libertà perché aiuta l’uomo a tenersi alla larga dal pericolo di scelte sbagliate e rovinose per la
propria stessa sopravvivenza, Mosè se ne inventa una davvero buona: porrete nel cuore e
nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un
pendaglio tra gli occhi. Ancora oggi, gli ebrei di stretta osservanza ortodossa portano legate sulla
fronte e su braccio sinistro delle piccole scatolette contenenti alcune parole essenziali della Legge di
Dio, trascritte su sottili e strette striscioline di carta, per ricordare a se stessi, in ogni istante della
loro vita, che la “parola” di Dio deve guidare i loro pensieri e le loro azioni. Dall’osservanza o dal
rifiuto della “legge” di Dio consegue un destino di benedizione o di maledizione, di fede o di
disperazione, di vita o di morte (I lettura). Chi sceglie di vivere illuminato dalla “legge di Dio”,
trova in essa una roccia di rifugio, un luogo fortificato che salva dal pericolo dell’autodistruzione.
Vivere in modo contrario alla legge divina significa perdere la propria dignità umana e rischiare
l’eterna dannazione; la libertà di scelta è una gran cosa, ma senza una totale fiducia in Dio e nel suo
provvidente aiuto, rischia di tramutarsi in una sciagura: sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia (salmo responsoriale). Riprendendo l’insegnamento di Gesù, che ha
sintetizzato la legge mosaica nell’unico precetto dell’amore totale verso Dio ed il prossimo, Paolo si
rivolge ai cristiani della comunità di Roma ed afferma che non basta la stretta e pedante osservanza
di una serie di norme e principi, seppur suggeriti da un grande uomo e legislatore come Mosè per
ispirazione divina, ma occorre fidarsi di Dio perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di
Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in
Cristo Gesù. Si è reso necessario il sacrificio sulla croce del Figlio di Dio per riscattare gli uomini
dalla loro condizione di peccato e ciò non sarebbe avvenuto se, per salvarsi, fosse stato sufficiente
rispettare i Dieci Comandamenti in modo impeccabile, anche senza un briciolo d’amore per Dio e
per i propri simili. Dio ha scelto diversamente: l’uomo, dunque, è giustificato (ossia, salvato) per la
fede, indipendentemente dalle opere della Legge, grazie a Gesù che si è immolato volontariamente
per amore degli uomini (II lettura). Per salvare la propria anima, non basta dichiararsi credenti e
neppure essere praticanti o debitamente istruiti nei principi dottrinali della propria fede. Gesù
afferma che ci vuole ben altro: Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Gesù ci ha spiegato cosa significa
“fare la volontà del Padre”: ispirare il proprio modo di pensare, di agire e di amare al suo
insegnamento. Un cristiano si fa riconoscere dal modo in cui sa tradurre in pratica il “discorso della
montagna”, facendo della misericordia, della mitezza, della capacità di perdonare e di amare persino
i nemici, della ricerca fiduciosa ed operosa della pace e del riconoscersi bisognosi di Dio, il tratto
distintivo della propria appartenenza a Cristo. Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in
pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia e nessuna difficoltà
o contrarietà della vita lo farà vacillare.
19
20