Gli Anticorpi e la Ricombinazione Genica

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Gli anticorpi e la ricombinazione genica
La natura dell’antigene è per lo più glicoproteica. Le immunoglobuline sono anch’esse delle
glicoproteine per cui non dobbiamo sorprenderci se le immunonoglobuline, oltre che da anticorpi, si
comportano anche da antigene. La conseguenza è che la somministrazione di immunoglobuline
provoca la produzione di anticorpi anti-globuline. Nell’ambito delle immunoglobuline
distinguiamo:
1) determinanti isoipici;
2) determinanti allotipici;
3) determinanti idiotipici.
1) determinanti isotipici:
con il termine di isotipia si intendono le differenze amminoacidiche presenti nelle regioni costanti
delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline. Altro non è che la classe o la sottoclasse delle
catene pesanti (ogni classe si contraddistingue per il 70% della catena amminoacidica presente nella
regione costante) e il tipo o sottotipo della catena leggera (λ, κ, λ1, λ2…). Ciascun isotipo viene
codificato da un gene; questo significa che esistono tanti geni quanti sono gli isotipi e sono presenti
in ciascuno di noi (questo vuol dire che in ciascuno di noi sono presenti tutte le classi, le sottoclassi,
i tipi di catene leggere e i sottotipi di catene leggere).
Pertanto la somministrazione di anticorpi di topo nel coniglio indurrà in questo la produzione di
anticorpi anti-topo ovvero anti-isotipo. Questi sono importanti perché sono utilizzati nella
diagnostica clinica.
Esempio di isotipia: le IgA hanno tutta la parte costante diversa dalle IgG.
2) determinanti allotipici:
gli isotipi, come già accennato, sono codificati da geni. Alcuni di questi geni presentano degli alleli
multipli; quindi diciamo che i determinanti allotipici sono differenze amminoacidiche presenti nella
regione costante delle catene pesanti e delle catene leggere presenti in alcuni individui e non
presenti in altri.
Esempio: questo si ritrova durante una trasfusione quando un individuo sviluppa anticorpi antiallotipo oppure ancora nel feto. Si conoscono ben 25 allotipi per la classe delle IgG (quindi 25
varianti alleliche), alcuni allotipi nella classe delle IgA ed, infine, alcune varianti allotipiche nella
catene leggera di tipo κ.
3) determinanti idiotipici:
definiamo, invece, come idiotipo le differenze amminocidiche presenti nella regione variabile.
Quindi l’idiotipo è specifico di ogni anticorpo. È chiaro, allora, che una IgG ha un idiotipo diverso
da un’altra IgG. L’IgG prodotta dal clone1 (stimolata ad esempio con l’antigene A) ha un idiotipo
diverso da un’altra IgG prodotta dal clone2 (stimolata dall’antigene B): questo perché la regione
variabile è diversa da IgG ad IgG. La regione variabile rappresenta il sito combinatorio
dell’immunoglobulina con l’antigene; quindi i determinanti idiotipici si trovano nel sito
combinatorio. Indichiamo con il termine di “idiotopo” la singola differenza presente nella regione
variabile. Allora i determinanti idiotipici indicano l’insieme degli idiotopi.
I profili idiotipici (pare) servono a regolare la risposta immunitaria; vediamo in che modo.
In condizione normali noi abbiamo le cosiddette cellule della memoria che sono prodotte da
precedenti stimolazioni e circolano liberamente nel nostro organismo. Nel momento in cui abbiamo
la stimolazione antigenica il clone si espande e quindi un mare di anticorpi si sviluppa nel nostro
organismo: anticorpi nei confronti dell’epitopo A, dell’epitopo B ecc. Lierne ha proposto che esiste
un network, cioè una rete di interazione tra idiotipo e anticorpi anti-idiotipo. Vediamo di spiegare
questo concetto: abbiamo un antigene che entra nel nostro organismo; nei suoi confronti si sviluppa
l’anticorpo Ab1 (il clone, cioè, inizia a sviluppare l’anticorpo Ab1); l’anticorpo Ab1 ha una propria
regione variabile ed essendo esso al tempo stesso una glicoproteina, induce la formazione di un
anticorpo anti-idiotipo (anti-regione variabile). Quindi nei confronti dell’anticorpo Ab1 si
svilupperà un secondo anticorpo che chiameremo Ab2.
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Secondo Lierne l’idiotipia serve a regolare la risposta immunitaria; cioè per fare in modo che tutti
questi cloni interagiscano tra loro e si blocchino fra di loro: l’Ab1 viene bloccato dalla Ab2, la Ab2
viene bloccato dalla Ab3 e così via.
Lierne dice ancora che esiste sempre un anticorpo che è l’immagine speculare dell’antigene; i nostri
cloni (delle cellule della memoria) devono reagiscano prontamente nei confronti dell’introduzione
di una antigene e pare che essi siano tenuti attivi proprio dal fatto che esiste un anticorpo che è
l’immagine speculare dell’antigene. Ricapolando: abbiamo l’antigene; sviluppiamo l’anticorpo
Ab1; nei confronti dell’anticorpo Ab1 abbiamo sviluppato l’anticorpo Ab2; l’anticorpo Ab2 è
l’immagine speculare dell’antigene e serve a mantenere vivi i cloni cosicché essi siano pronti nel
momento in cui dovesse rientrare l’antigene. Gli anticorpi anti-idiotipi alle volte vengono utilizzati
come vaccini invece di somministrare l’antigene.
Abbiamo detto che esistono in ciascuno di noi 5 classi anticorpali: IgG, IgA, IgM, IgD, IgE.
Analizziamo ora quali sono le caratteristiche di queste classi anticorpali.
 IgG:
Quella delle IgG è la classe anticorpale più rappresentativa, infatti l’80% delle immunoglobuline
totali sono IgG. Esistono 4 sottoclassi di IgG (IgG1, IgG2, IgG3, IgG4) che si differenziano per la
regione hinge e per il numero dei legami disolfuro (le IgG3 hanno la regione hinge più lunga e
quindi sono le più flessibili). Le IgG hanno una struttura monometrica, un peso molecolare di 150
kD e una costante di sedimentazione di 8S. Esse hanno l’emivita più lunga ed inoltre, essendo
piccole, diffondono dal sangue ai tessuti di tutto l’organismo.
Esse sono importanti perché sono l’ isotipo della risposta secondaria (perché l’isotipo della risposta
primaria sono le IgM).; per le loro piccole dimensioni sono in grado di attraversare la placenta e
quindi proteggono il feto. Ancora un’altra funzione delle IgG è quella di attivare il complemento ed
esattamente l’IgG1e l’IgG3 attivano molto il complemento; l’IgG2 attiva lievemente il complemento;
IgG4 non attiva il complemento. Ma la condizione indispensabile perché l’IgG attivi il complemento
è la presenza di un “ponte”: questo significa che sono indispensabili due molecole di IgG in modo
da potere legare l’unità di riconoscimento del C1 (il quale è formato da Cq, Cf e Cr). Il C1q ha una
struttura a sei teste globulari e affinchè il complemento si attivi è necessario che almeno due fra
queste teste globulari si leghino a due IgG. Il C1q è quello che va a riconoscere l’anticorpo.
L’ultima funzione delle IgG è che esse sono le opsonine per eccellenza. Opsonizzare significa
“imburrare”, rendere più appetibile il patogeno. Perché cioè che realmente attiva il complemento è
l’immuno-complesso in quanto nessuna molecola anticorpale libera è in grado di attivare il
complemento ma solo l’immuno-complesso ovvero l’interazione tra antigene e l’anticorpo. Quindi
le IgG, che ripetiamo sono delle opsonine, imburrano il patogeno in modo da renderlo appetibile ai
fagociti sui quali sono presenti i recettori per le Fc delle immunoglobuline. L’interazione recettoreFc-antigene attiva la fagocitosi.
 IgM:
Le IgM rappresentano il 10% delle immunoglobuline totali. Hanno una emivita di pochi giorni e si
possono presentare sottoforma monometrica (come immunoglobulina di membrana) o come
immunoglobulina secreta che ha una forma pentamerica. A chiudere la struttura pentamerica di
queste immunoglobuline troviamo un piccolo peptide che si chiama “catena J” e che è in grado di
indurre la polimerizzazione. I legami si stabiliscono tra il dominio CH4 di un monomero e il dominio
CH4 di un altro monomero e fra il dominio CH3 di un monomero e il dominio CH3 di un altro
monomero.
Le IgM sono importanti per diversi motivi. Innanzitutto sono la prima classe anticorpale che
compare alla nascita del bambino. L’IgM rappresenta l’isotipo della risposta primaria, cioè il primo
contatto con l’antigene induce la formazione di IgM; il secondo contatto con lo stesso antigene
induce, invece, la formazione di IgG. Le IgM sono delle molecole molto grosse perché hanno un
peso molecolare di 1000 kD ed una costante di sedimentazione di 19 S e quindi come tale non
diffondono nei tessuti e rimangono nel sangue. Da questo si capisce che le varie Ig hanno ruoli
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specifici: mentre le IgG proteggono l’intero corpo, le IgM proteggono il circolo ematico e quindi ci
proteggono dalle setticemie.
Le IgM, proprio per la loro struttura pentamerica, sono i migliori attivatori del complemento e
riescono ad indurre l’agglutinazione dei globuli rossi.
Le IgM hanno valenza o 5 o 10 e ciò dipende dalle dimensioni dell’antigene (per valenza si intende
il numero dei siti combinatori). Se l’antigene è piccolino abbiamo 10 siti di legami, invece se è
grosso per ingombro sterico si avranno soltanto 5 siti di legame.
 IgA:
Un’altra classe anticorpale molto importante è quella delle IgA. Questa classe rappresenta il 15%
delle immunoglobuline totali. Possono presentarsi sottoforma monomerica, dimerica e tetramerica.
Anche qua, ad indurre la polimerizzazione interviene quel piccolo peptide che si chiama “catena J”.
Le IgA sono presenti per lo più nelle secrezioni, nelle mucose. Quindi, cosa caratterizza una IgA
presente nelle mucose da una presente, invece, in una secrezione (saliva, colostro ecc)?
Le IgA secretorie si formano nella sottomucosa e da qui si portano verso la membrana basale della
cellula epiteliale. Nella membrana basale è presente il recettore poli-Ig il quale riconosce la
componente J. Non appena avviene il legame si ha una invaginazione del complesso recettore-IgA e
quindi l’endocitosi della Iga che, così, attraversa tutta la cellula epiteliale e si porta fino alla zona
luminale. Nella zona luminale è il recettore poli-Ig viene staccato e rimane solo la nostra IgA
secretoria costituita da due monomeri tenuti insieme da una catena J. Dopodiché abbiamo la
componente secretoria che si va a legare al dominio CH2 di un monomero e al dominio CH2 dell’altro
monomero di IgA. Quindi , in parole povere, questa componente secretoria è il recettore poli-Ig ed è
proprio ad essa che possiamo rispondere alla domanda di prima in quanto essa è presente solo nelle
IgA secretorie e manca invece nelle IgA non secretorie. La funzione del recettore poli-Ig è quella di
proteggere la nostra IgA dall’azione degli enzimi proteolitici e al tempo stesso è quella di
permettere il libero svolgimento dell’attività delle IgA che consiste nel prevenire la colonizzazione
batterica delle mucose. Ogni tanto nell’epitelio della mucosa sono presenti le cellule M all’interno
delle quali si trova una componente antigenica. Essa presenta come una tasca al cui interno sono
presenti i linfociti B; questi riconoscono l’antigene, si attivano, si espandono e si specializzano in
cellule della memoria e in plasmacellule. Le plasmacellule, a livello della sottomucosa, producono
quelle IgA dimeriche e si ha il meccanismo che abbiamo visto. Il primo vaccino che fanno ai
bambini è quella anti-polio e si effettua mettendo la gocciolina sotto la lingua e va ad attivare le
IgA.
 IgD:
Le IgD hanno una struttura monomerica. Sono dotate di una regine hinge molto lunga e sono ricche
di carboidrati. Sono molecole deboli in quanto hanno solo un legame disolfuro. La funzione delle
IgD è ancora un po’ sconosciuta. Esse fanno parte dell’isotipo che contraddistingue la cellula B
vergine cioè che non è mai venuta a contatto con l’antigene. Condizione lo stadio maculativo della
cellula B.
Oltre all’anticorpo anche altre molecole hanno una struttura di tipo dominiale e possiamo dire che
tutte queste molecole appartengono alla superfamiglia delle immunoglobuline.
Abbiamo detto che uno dei cardini dell’immunità acquisita è l’elevata specificità nei confronti
dell’antigene. La coesistenza nella stessa molecola di una regione altamente variabile e di una
regione relativamente variabile è frutto di un meccanismo genomico.
Sono state avanzate due teorie:
1) la Teoria Germinativa: tutti i geni che codificano le immunoglobuline si trovano nel genoma;
quindi tutti i geni, secondo questa teoria, vengono ereditati dai genitori. Ma se pensiamo
all’enorme diversità della catena anticorpale va da se che questa teoria non può esser valida
perché significherebbe che l’intero menoma è formato dai soli geni che codificano per gli
anticorpi.
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2) la Teoria Somatica: pochi geni, che derivano dal menoma, sono responsabili della codificazione
delle molecole anticorpali. Ma questi pochi geni nella cellula somatica vanno incontro a
meccanismo di ricombinazione genica, di mutazione. Tutta questa riorganizzazione genica da
origine a quell’enorme repertorio linfocitario capace di combattere l’enorme varietà di molecole
antigeniche.
Drier e Bennet ipotizzarono questa teoria: Due geni, una catena polipetidica; un gene che codifica
per la regione variabile e un gene che codifica per la regione costante. I due geni si riuniscono a
livello del DNA per dare origine ad un trascritto che verrebbe tradotto poi in catena leggera e catena
pesante. Anzi ipotizzarono anche questo gene variabile si presenta sottoforma di famiglie
multigeniche. In pratica unirono le due teorie, quella germinativa e quella somatica.
Queste ipotesi di Drier e Bennet furono confermate nel 1976 da Tonegawa (addirittura ricevettero il
Nobel nel 1987 per la loro scoperta). Tonegawa utilizzò una tecnica attraverso la quale vide
sperimentalmente ciò che avevano ipotizzato Drier e Bennet. Prese delle cellule mielomatose
(plasmacellula tumorale) di topo, separarono il DNA mediante degli enzimi di restrizione
(endonucleasi) e lo frammentarono. Poi sottoposero questi frammenti di DNA ad elettroforesi e
tagliarono a strisce il gel che si formava. In seguito il DNA viene eluito e poi denaturato. Le singole
catene prodotte dalla denaturazione vengono, allora, ibridizzate con una sorta di RNA marcato con
fosforo 32 e si va a formare così la doppia elica (l’elica di RNA marcato si lega in maniera
complementare all’elica originaria di DNA). Allora i due geni che codificano per le
immunoglobuline nelle cellule embrionali sono distanti fra di loro; i due geni (quello che codifica la
regione variabile e quello che codifica la regione costante) non vengono mai a contatto. Nella
plasmacellula, invece, questi due geni (quello che codifica la regione variabile e quello che codifica
la regione costante) vengono a contatto e danno origine ad un unico gene funzionale. Le cellule
somatiche non codificheranno mai immunoglobuline (i due geni sono lontani); soltanto nelle cellule
linfoidi (quindi nella plasmacellula che è lo stadio differenziativi della cellula B) i due geni
vengono a contatto per dare origine ad un gene funzionale.
Il sequenziamento del DNA ha rivelato una situazione ancora più complessa e cioè famiglie
multigeniche codificano per la catena pesante e per la catena leggera. E questi geni si trovano
localizzati su cromosomi differenti ed esattamente sul cromosoma 14 per quanto riguarda la catena
pesante, sul cromosoma 2 per quanto riguarda la catena leggera di tipo κ, sul cromosoma 22 per
quanto riguarda la catena leggera di tipo λ. Queste famiglie multigeniche sono organizzati in
segmenti genomici chiamati esoni, che sarebbero i segmenti codificanti ed introni che sono i
segmenti non codificanti. Quindi i geni, o meglio gli esoni VDJ codificano per la catena pesante
(Variability Diversity Junction), mentre le catene leggere sono codificate dal segmento DJ (manca
il segmento V). Ogni segmento variabile è preceduto da un segmento leader (L) detto così in quanto
guida la catena nascente verso il reticolo endoplasmico. Qui nel momento in cui si ha
l’assemblaggio fra la catena leggera con la catena pesante il segmento leader si stacca. Per cui il
segmento leader manca nella immunoglobulina matura.
Vediamo come si arriva all’enorme variabilità del repertorio anticorpale, come si forma la catena
leggera e la catena pesante.
Il meccanismo del riarrangiamento è un meccanismo casuale:
uno dei tanti segmenti D (D1, D2…, Dn) si associa casualmente con uno dei quattro segmenti J. Se,
per esempio, il D1 si associa con il J4 tutto ciò che è intercalato fra D1 e J4 va perso. In seguito si ha
un secondo riarrangimento in cui l’unità funzionale che già abbiamo formato (con il primo
riarrangiamento e che è il D-J), si va ad associare con uno dei tanti segmenti variabili V per
esempio il V1 per cui vengono persi tutti i segmenti intercalati. Abbiamo così costituito il gene
funzionale ed è il VDJ; quindi si forma un primo trascritto che riamane attaccato ai geni costanti
dagli introni. Successivamente abbiamo uno splicing in cui vengono eliminati li introni che legano
il trascritto ai geni costanti. In seguito allo splicing abbiamo l’mRNA che viene tradotto in
polipeptide e quindi in catena pesante: si è formata la catena μ. Allo stesso modo si forma la catena
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leggera; l’unica differenza con la catena pesante è che in questa si hanno due riarrangiamenti
mentre nella catena leggera se ne ha uno solo perché manca il segmento V.
La catena μ ha importanti funzioni: regola il meccanismo dell’esclusione allelica e vediamo in che
modo. Il linfocita, come tutte le cellule somatiche, è una cellula diploide e soltanto nei linfociti uno
solo dei cromosomi viene riarrangiato mentre l’altro si trova in configurazione germinativa (cioè
nel genoma); questo per assicurare la monospecificità perché se tutti e due i cromosomi venissero
riarrangiati, la nostra molecola anticorpale non sarebbe più monospecifica ma polispecifica. Se
durante il meccanismo per dare origine al gene funzionale VDJ nel cromosoma si verificano delle
mutazioni che impediscono la produzione della catena pesante, allora parte il riarrangiamento
dell’altro cromosoma che si trova in configurazione germinale. Un segnale del primo cromosoma
non funzionante si porta all’altro che così viene riarrangiato. Qualora anche questo cromosoma non
desse vita ad una catena pesante allora la cellula muore per apoptosi. Nell’eventualità che, invece, il
cromosoma sia funzionale e dia vita al famoso complesso VDJ e quindi alla catena μ, da questa
catena parte un messaggio che si porta all’altro cromosoma e così è uno solo il cromosoma che
viene riarrangiato. C’è un ordine nel riarrangiamento genomico: prima vengono riarrangiate le
catene pesanti, poi le catene leggere di tipo κ e successivamente le catene leggere di tipo λ.
Il meccanismo del riarrangiamento avviene per mezzo di alcuni enzimi detti ricombinasi (che sono
codificate dai geni RAG1 e RAG2); quindi il taglio di tutto ciò che c’è tra i vari segmenti (V, D, J)
è opera di queste ricombinasi. Le ricombinasi riconoscono delle sequenze formate da 7-9 nucleotidi
che si sono conservate nel tempo. Questi eptameri e nonameri affiancano in posizione 3’ l’esone
variabile (V) mentre affiancano l’esone J in posizione 5’. Questi eptameri e nonameri sono
intercalati da spaziatori di 12 o 23 nucleotidi. La delezione avviene mediante uno stream and loop.
Se il segmento Vκ (stiamo modificando ovviamente la catena leggera di tipo κ) si deve affiancare al
segmento J l’eptamero del segmento variabile si associa all’eptamero del segmento J; poi abbiamo
gli spaziatori e così lo spaziatore di 12 nucleotidi si associa allo spaziatore di 23 nucleotidi; il
nonamero del segmento V si associa al nonamero del segmento J. Le ricombinasi a questo punto
agiscono effettuando un taglio. Le ricombinasi agiscono solo durante gli stadi precoci della
maturazione della cellula B e non agiscono più nella cellula B matura; questo vuol dire che nel
momento in cui gli anticorpi hanno raggiunto la specificità le ricombinasi non agiscono più in
quanto questa specificità non può essere cambiata.
Questo è il meccanismo che porta alla specificità del repertorio anticorpale che porta alla diversità
degli anticorpi. Ad amplificare la diversità del repertorio anticorpale è la flessibilità giunzionale in
quanto il taglio non coinvolge sempre le stesse triplette.
La flessibilità giunzionale cade nel segmento ipervariabile CDR3 (che è il segmento più variabile).
Ad amplificare il repertorio anticorpale contribuisce anche l’aggiunta di nucleotidi N o P ai lati del
segmento D. Essi vengono aggiunti ad opera di un enzima, la desossiribonucleotidiltrasferasi.
Questi meccanismi sono tutti antigene indipendente. Un altro meccanismo invece è antigene
dipendente e che si chiama “mutazione somatica”; mutazione vuol dire sostituzione di singoli
nucleotidi nell’unità VDJ o DJ con altre basi.
Ogni esone costante è affiancato da una sequenza di riconoscimento specifica, la sequenza di
Switch. Queste sequenze di riconoscimento sono specifiche per esone e si dice, quindi, che sono
classe specifiche. Le sequenze di Switch sono sotto il controllo, non solo delle ricombinasi ma
anche dei linfociti T-helper. Questi linfociti producono citochine (ad esempio l’interleuchina-4
agisce sulle sequenze di Switch delle IgE ed induce lo Switch isotipico verso le IgE; l’interferon-γ
induce lo Switch isotipico verso le IgG3; l’interleuchina-5 induce lo Switch isotipico verso le IgA).
Ricapitolando: per le sequenze costanti abbiamo lo stesso meccanismo delle sequenze variabili, le
ricombinasi classe specifiche perché ogni esone che codifica una immunoglobulina è affiancato da
una sequenza di Switch (che sono pentameri). Sulle sequenze di Switch agiscono le interleuchine e
le citochine prodotte dai linfociti T-helper. Quindi le citochine condizionano la classe anticorpale
che si andrà a formare; l’unità funzionale variabile VDJ si può associare indifferentemente ad un
qualsiasi esone della regione costante (quindi la stessa regione variabile si può associare alle IgA,
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IgG, IgD, IgE ed IgM). Perché la catena μ che si forma condiziona tutti riarrangiamenti delle catene
leggere? Perché l’esone più prossimo all’unità funzionale VDJ è l’esone μ!!!
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