politiche sociali

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DIPARTIMENTO DELLA SOLIDARIETA’
Settore Nazionale Politiche Sociali
2013
LINEE DI TENDENZA OPERATIVA
Prima di ogni altra affermazione deve essere ribadito che il programma del Settore delle Politiche
Sociali, come da tradizione, e come viene confermato ogni anno nella presentazione dei
programmi per l’approvazione al Consiglio Nazionale e alla Direzione, sarà promosso ed
organizzato con la logica che da sempre distingue la sua modalità operativa: quella del “working
in progress”.
La scelta ha già prodotto, in un recente passato, considerevoli buoni risultati.
Come, più volte sottolineato, siamo di fronte ad un percorso di trasformazione dell’Associazione,
un percorso che è in sintonia anche con le nuove modifiche e con le nuove esigenze che propone il
sociale.
Ma prima, di ogni altra considerazione è opportuno evidenziare, sin da subito, che nei prossimi
anni e, quindi sin dal 2013, il SETTORE intensificherà i propri sforzi soprattutto su tre matrici
operative, oltre a quelle consolidatesi nel tempo.
- l’inclusione occupazionale dei giovani, secondo i parametri e le indicazioni della
comunità europea;
- il sostegno a politiche che consolidino il principio della “cittadinanza attiva”;
- il sostegno ad iniziative che tendano a tutelare le donne che subiscono violenze in
ambito familiare.
Di questi tre aspetti e di alcune considerazioni dottrinali sulla evoluzione dello Stato sociale si
parlerà nella parte conclusiva della programmazione.
IL PRINCIPALE COMPITO CHE IL SETTORE DEVE E CONTINUA AD ATTIVARE E’, allo
stesso tempo, QUELLO DI INTERCETTARE I NUOVI MERCATI, LE NUOVE
OPPORTUNITA’, LE NUOVE INDICAZIONI CHE PROVENGONO DAI PROBLEMI
ORGANIZZATIVI DELLA SOCIETA’. Ed è questo il motivo principale per il quale in sede di
programmazione è necessario predisporre soltanto linee di tendenza che durante l’anno potranno
subire modifiche. A questo proposito l’attenzione verso le oltre 100 donne che, ogni anno,
vengono uccise da fidanzati, ex mariti o ex compagni, è stato stimolato oltre che dai fatti di
cronaca, soprattutto dalla nascita di interventi come quelli di Cremona o Savona o di Battipaglia
dove sono sorti i nostri primi circoli che si occupano di questa tematica.
Appare, comunque, fin troppo evidente che siamo di fronte ad una società in evoluzione con
complessi processi di trasformazione, come confermato dall’andamento economico dell’ultima
stagione mondiale.
E’ sotto gli occhi di tutti e nella consapevolezza di tutti che i danni provocati dalla recessione
abbiano influenzato le scelte di molti governi, compreso quello italiano. Le decisioni del Governo
Monti, in ogni caso, hanno prodotto, inevitabilmente, effetti di grande problematicità anche nella
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gestione delle risorse economiche degli Enti Locali con ritorsioni sulle attribuzioni per gli
organismi di base. Tale situazione non propone scenari chiari neanche per il prossimo futuro,
considerate le nuove scadenze elettorali e il quadro politico, probabilmente rinnovato, che dovrà
affrontare immediatamente la crisi economica con un rilancio delle risorse da attribuire al “welfare
solidale”.
Per impostare una riflessione sulle scelte programmatiche del Settore occorre partire da questo
dato. CI SONO MENO RISORSE, MA SOPRATTUTTO LE RISORSE ESISTENTI NON
ANDRANNO A FAVORE DI COLORO CHE LAVORANO TRA E PER LA GENTE; DI
COLORO CHE OPERANO PER LA COLLETTIVITA’; DI COLORO CHE TENTANO DI
RIDURRE LE TENTAZIONI CHE PROVENGONO DAL RECLUTAMENTO DEI GIOVANI E
DEI MINORI NELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA; DI COLORO CHE INVESTONO IL
PROPRIO TEMPO LIBERO PER FAVORIRE L’INCLUSIONE DEI CITTADINI IMMIGRATI
O PER ATTIVARE STRUTTURE DI SERVIZIO CHE SIANO DI SUPPORTO ALLE
POLITICHE SOCIO-ASSISTENZIALI DELLO STATO.
Come già evidenziato negli ultimi anni, ritorna ancora in mente la stessa domanda: CHE FARE?
In primo luogo occorre riaffermare l’identità sociale della nostra Associazione. Quando si parla
di metodo, si parla anche di presupposti dottrinali su cui riconoscersi. Avere un criterio guida di
fondo ha già prodotto risultati importanti per il RICONOSCIMENTO che STRUTTURE
ISTITUZIONALI hanno dato alla nostra operatività e per il riconoscimento economico che è stato
concretizzato non solo con azione di lobbie, ma anche e soprattutto con progetti che hanno avuto
una loro coerenza programmatica. Il lavoro realizzato, ad esempio, con i formatori e con i
progettisti della società PRAGMATA corrisponde ad una prassi ideativa che nasce in una Scuola
ben precisa che è quella della Psicologia e sociologia giuridica di cui sono stati espressioni sublimi
i professori DE LEO e SALVINI e che oggi hanno tra i principali interpreti la professoressa
PATRIZI e il professore TURCHI, nomi e volti diventati familiari ad una pluralità di nostri
dirigenti nazionali e periferici.
L’impostazione di metodo ha promosso percorsi che hanno favorito processi di “empowering”
nei nostri operatori, che hanno consolidato l’idea di promuovere percorsi di inclusione
costruendo reti territoriali. Sostenere e utilizzare l’empowerment come approccio operativo sta
producendo buoni risultati perché i nostri operatori hanno imparato a lavorare sui soggetti deboli
che gli vengono affidati potenziandone le capacità di ripresa e di inclusione (questo vale
soprattutto nelle sfere del disagio). Questo complesso di valutazioni ha rilanciato, in modo
definitivo, ad esempio la certezza di assolvere ad una azione educativa nel momento in cui si
conduce un gruppo, una squadra, una società sportiva. Il ruolo del trainer, del mister,
dell’allenatore, del tecnico diventa, dunque, quello del referente dell’azione educativa.
Tutto questo corrisponde ad una metodologia. Di fronte all’impasse economico che la nostra
Società sta vivendo, di fronte al superamento delle politiche liberiste e di fronte alla prevalenza
della “economia di mercato”, occorre avere rigore per sapersi ritagliare uno spazio significativo.
In questa dimensione assume particolare rilevanza il riconoscersi in una prospettiva sociale e
politica ben definita che è quella della “ECONOMIA SOLIDALE”. L’Associazione, come già
sta facendo, deve orientare la propria natura identitaria verso meccanismi che tendano a
tutelare “l’economia solidale”. Senza voler fare riflessioni sul rapporto tra un welfare
solidale e le logiche che regolano l’economia del mercato, è indispensabile, comunque,
riaffermare l’idea che la nostra Associazione si caratterizza per proporre ed offrire una
serie di servizi, spesso sostitutivi delle carenze dello Stato.
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L’AICS grazie alla lungimiranza dell’attuale Presidente e di una parte “storica “ del gruppo
dirigente sta tentando di veicolare questo progetto che ha l’obiettivo di offrire una
immagine identitaria dell’Associazione in modo più complesso ed articolato.
Accanto alla tradizionale dimensione sportiva, che permane nella sua centralità, si sta
sempre più affermando un’attenzione verso le Politiche del Sociale e del Terzo Settore.
E le politiche sono certamente quelle sportive – dove il nostro rapporto con il CONI e con
gli altri EPS appare più consapevole e maturo e, spesso, si propone anche con funzione di traino
rispetto ad alcuni obiettivi – ma anche e soprattutto sono quelle dell’inclusione sociale, della
tutela della salute, del diritto allo studio, della tutela dei diritti dei cittadini immigrati, della
tutela dei diritti delle cittadine donne e della tutela dell’infanzia e tutela di una terza età
attiva e protagonista.
Questi sono i campi in cui l’Associazione sta sviluppando una propria capacità di incisione
operativa. E lo fa seguendo un’impostazione metodologica che non prescinde dal primo fattore
che consente i processi di trasformazione: “LA FORMAZIONE DEI QUADRI”.
Come detto consolidare un’immagine “politica” dell’Associazione corrisponde a valorizzare il
contenuto degli interventi in ambito sociale.
Ed allora, per avere un quadro chiaro di come si sta muovendo da qualche anno il Settore,
è indispensabile fare riferimento ad alcuni degli obiettivi raggiunti:
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L’iscrizione all’Albo Nazionale delle associazioni operanti a favore degli immigrati è
stata rinnovata negli ultimi 4 anni con attestati di consenso da parte del Ministero del
Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali
L’Associazione continua a proporsi come alternativa, trovando alleanze periodiche, al
duopolio “compagnia delle opere/ACLI -ARCI/AUSER” attivando un rapporto
riconosciuto con il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, con cui
sono stati evidenziati notevoli progressi sul piano della comunicazione.
Dopo aver trovato una propria collocazione all’Interno dell’Osservatorio Nazionale del
Terzo Settore, il Settore ha confermato la propria capacità d’incisione soprattutto ottenendo
una costanza nell’approvazione dei progetti legati ai bandi della legge sulla promozione
sociale.
L’Associazione dopo aver ridefinito nel 2007 il protocollo d’intesa con il Dipartimento
della Giustizia Minorile, ha consolidato un rapporto privilegiato soprattutto con l’area della
Direzione Generale dei provvedimenti penali esterni. In tale ottica sono sempre numerosi i
momenti di collaborazione con il DGM che si è proposto come partner privilegiato ed
istituzionale nella presentazione di tutti i bandi di cui siamo stati protagonisti negli ultimi
anni, compresi gli ultimi 2 appena elaborati e di cui si parlerà in seguito. Soprattutto il
DGM assumerà, a sua volta, l’AICS come partner privilegiato per la presentazione di
progetti per i bandi della Comunità Europea.
Appare appena il caso sottolineare la funzionalità della Scuola Nazionale di Formazione
di Casal del Marmo che in più di una occasione è stata apprezzata dai nostri corsisti;
Dipartimento Amministrazione Penitenziaria: la Convenzione attiva dal 1999 è stata
rinnovata per un quadriennio agli inizi di gennaio con una apposita iniziativa che ha visto
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protagonista il Presidente Bruno Molea e il Capo dell’Ufficio Detenuti e trattamento
Consigliere Sebastiano ARDITA. In ogni caso anche in questo caso sono molteplici i
contesti in cui intervengono i nostri animatori socioculturali e i nostri tecnici sportivi. Con
punte di eccellenza come in Campania, dove la Consulta Regionale Femminile, ha attribuito
all’AICS la priorità nella organizzazione delle attività nei carceri femminili della Regione
(Pozzuoli, Santa Maria Capua Vetere, Arienzo e Fuorni).
Dal 2007 è attivo il lavoro del Comitato Provinciale di Forlì. Nel 2009 si sono aggiunti i
Comitati di Reggio Emilia e soprattutto di Massa Carrara dove, in prospettiva, saranno
attivati dei corsi di formazione professionale. Di recente è stato attivato un progetto nel
carcere di Grosseto.
Sullo stesso piano da ricordare la riattivazione del rapporto con la custodia attenuata di
Sollicciano a Firenze.
Di grande rilievo il lavoro svolto nelle carceri umbre e la stipula del regolamento di
esecuzione (2011), tra il Provveditorato Regionale dell’Umbria e il Comitato regionale
presieduto da Sonia Gavini e dovuto al lavoro di raccordo di Patrizia Spagnoli, già
componente della Commissione nazionale della parità.
L’ASPETTO DA RIMARCARE RIGUARDA PERO’ IL RAPPORTO CHE IL NOSTRO
PRESIDENTE HA ATTIVATO CON IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E CON IL
CAPO DEL DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA PER
PROPORRE UNA SERIE DI PROGETTI CHE POTREBBERO OTTENERE IL
FINANZIAMENTO DALLA CASSA DELLE AMMENDE.
E’ appena il caso di ricordare, come sarà più diffusamente notiziato nell’ambito del Teatro
sociale, il grande lavoro della Compagnia Stabile Assai a Rebibbia e dell’Associazione
Gentes nell’area della massima sicurezza del carcere di Spoleto, di Pino Cacace nelle
carceri di Turi, Altamura e di recente di Foggia.
Continua il nostro momento di gloria nel rapporto con il Ministero della Salute che ha più
volte espresso apprezzamento per il lavoro prodotto nel campo del disagio mentale.
Ancora una volta, quest’anno a Savona durante il VII Meeting Nazionale del disagio
mentale sono giunti per la quarta volta consecutiva messaggi dal Presidente della
Repubblica e del Presidente del Senato
l’Associazione ha concluso a settembre 2012 due progetti legati ai bandi della 383 :
il primo inserito nella domanda di contributo per l’esercizio finanziario 2010 (attivato ad
agosto 2011) ai sensi dell’art. 12 della legge 383, “iniziative alla lettera d” intitolato “Per
una presenza sociale qualificante: conoscere e rispettare le nuove norme fiscali e
amministrative e lavorare per creare il bilancio sociale".
L’“azione formativa” è stata destinata a coloro che nei Comitati si occupano di analisi e
gestione amministrativa. Responsabile del progetto Maurizio Marcassa.
Il secondo progetto, dal titolo “I colori delle parole: come dar voce alle ombre. la
creatività di una comunità solidale” ”, inserito nella stessa domanda di contributo per
l’esercizio finanziario 2010, “iniziativa alla lettera f) ha toccato la tematica delle nuove
povertà. Responsabile del progetto Antonio Turco.
l’Associazione sta realizzando due progetti legati ai bandi della 383 per il 2011 diventati
attivi a luglio 2012 che si concluderanno a luglio 2013.
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Il primo, iniziative alla lettera d) legge 383” intitolato “Il welfare che cambia. Il principio
di sussidiarietà espresso all’art. 118 della Costituzione Italiana: occasione nuova per le
associazioni di promozione sociale” inserito nella “azione formativa” destinato a coloro
che nei Comitati si occupano di
sussidiarietà. Responsabile del progetto Maurizio
Marcassa.
Il secondo progetto, dal titolo “SLEEPERS: progetto di intervento per migliorare la
relazione interpersonale tra adulti e minori e per creare spazi di benessere atti a
prevenire il disagio e la devianza giovanile”, inserito nella stessa domanda di contributo,
“iniziativa alla lettera f) legge 383, mira ad intervenire per prevenire e contrastare la
devianza giovanile. Il responsabile del progetto Antonio Turco.
Il settore ha trovato e consolidato punti operativi di eccellenza, ma, al tempo stesso, trova
difficoltà a far lievitare l’interesse in alcune zone del nostro territorio nazionale ed è
opportuno anche evidenziare le criticità, perché taluni processi hanno avvii rapidissimi e
battute d’arresto quando si tratta di consolidare i percorsi.
STA CRESCENDO UNA NUOVA GENERAZIONE DI OPERATORI. ALCUNI
PROVENGONO DAI NOSTRI AMBITI FORMATIVI, ALTRI HANNO UN
BACKGROUND PROFESSIONALE GIA’ AQUISITO.
QUESTO E’ UN ASPETTO DI FONDAMENTALE RILEVANZA. LA CRESTITA
DEL SETTORE, LA CRESCITA STESSA DELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE E’
LEGATA AI NUOVI VOLTI CHE SI AFFACCIANO SUL PROSCENIO NAZIONALE.
ED E’ UN BENE CHE SIA COSI’ SOPRATTUTTO SE, CON GRANDE
SODDISFAZIONE, POSSIAMO DIRE DI AVER ALLEVATO PROFESSIONALITA’
COMPETENTI.
LE CRITICITA’ SONO DA ADDEBITARE AD UNO SVILUPPO NON OMOGENEO
DELLA NOSTRA OPERATIVITA’ E, CON GRANDE CHIAREZZA, ANCHE ALLE
RESISTENZE DI TALUNI CONTESTI PERIFERICI E DI ALCUNI DIRIGENTI A
CONFRONTARSI CON LE NUOVE SOLLECITAZIONI.
Difficoltà, come già affrontate da sempre dal Responsabile Nazionale del Settore Sport, legate,
per esempio, a quel particolare concetto che è la “rendicontazione”. Anche questo appartiene alla
dimensione metodologica ed è un aspetto su cui si sta insistendo per meglio qualificare il nostro
lavoro.
L’AICS deve tener conto di questa considerazione dottrinale poiché con un impegno costante
potrebbe proporsi come uno degli Enti di Promozione Sociale maggiormente in grado di
intercettare quella che oggi è la disoccupazione giovanile professionalizzata.
Perché ciò avvenga devono ESSERE CONDIVISE alcune strategie ed alcune convinzioni.
E’ indispensabile ribadire un concetto, già espresso in passato.
I nostri Dirigenti e i nostri operatori sportivi e sociali devono essere CONSAPEVOLI DI
APPARTENERE AD UNA ASSOCIAZIONE CHE SI BATTE:
- NON SOLO CONTRO LA CULTURA DEL DOPING, MA A FAVORE DELLA
TUTELA DELLA SALUTE;
- PER RENDERE LE CITTA’ COME COMUNITA’ SOLIDALI;
- PER PROMUOVERE LA QUALITA’ DELLA VITA E PER PREVENIRE IL
DISAGIO PSICOSOCIALE;
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PER COMBATTERE I CONTESTI CHE RIPRODUCO DISAGIO E, QUINDI,
CONTRO L’ETICHETTAMENTO CHE FAVORISCE LE CARRIERE DEVIANTI;
PER INNALZARE IL LIVELLO DI SELF EFFICACY DEI NOSTRI OPERATORI,
SOPRATTUTTO NEI TERRITORI DEGRADATI;
PER CONTRASTARE IL BULLISMO COMBATTENDO LA CULTURA DELLA
VIOLENZA.
LINEE PROGRAMMATICHE DEL SETTORE
POLITICHE SOCIALI
L’operatività del settore è AUTOFINANZIATA e quindi non può prescindere dalle risorse
che individua e riesce a incamerare nei singoli contesti locali, grazie all’attivazione dei singoli
dirigenti provinciali.
In tale ottica assume ulteriore rilevanza un aspetto assolutamente innovativo:
PROTAGONISTI DEI PROGETTI DIVENTANO I SOGGETTI CUI E’ RIVOLTA
L’ATTIVITA’(i giovani, i minori, gli immigrati, le donne, i nuovi poveri).
Sulla stessa linea deve essere evidenziato un ulteriore fattore organizzativo.
Tanto per il progetto sulle nuove povertà, che per quello sul bullismo l’obiettivo di fondo è stato
quello di stimolare le nostre realtà periferiche a lavorare insieme ad altri soggetti per costruire
quella che viene definita RETE TERRITORIALE.
GLI INDIRIZZI OPERATIVI 2013
Dimensione progettuale, la realtà carceraria, la condizione minorile, il mondo del
disagio mentale, gli immigrati e la loro condizione, la condizione femminile, il mondo della
doppia diagnosi, il teatro sociale. A questi ambiti di intervento devono essere aggiunti, come
è avvenuto nell’ultima parte del 2012, una riflessione sul ruolo della famiglia, della scuola e
della terza età e della comunicazione intergenerazionale che continueranno a rappresentare
altri ambiti di lavoro importanti.
Oltre al lavoro quotidiano di base, oltre ai progetti presentati che coinvolgeranno molti comitati
provinciali e i loro operatori, sono in programma i due tradizionali Meeting nazionali.
 Considerato che il tema centrale per il 2013 sarà legato all’ “anno europeo della
cittadinanza attiva” il Meeting Nazionale della Solidarietà si terrà a Napoli, grazie
alla enorme disponibilità e capacita dimostrato dal gruppo dirigente del Comitato
(impegnato in prima persona nella lotta alla camorra, come dimostrato dal grande evento
di Scampia nell’ottobre 2012). Per l’occasione si tornerà alle origini con un MEETING
che consentirà alle categorie operative del Settore di trovare un proprio spazio di visibilità.
 il Meeting del Disagio Mentale “La promozione della salute ed il disagio psichico” si
terra a Savona o a Cremona, come da tradizione.
Altre iniziative sono state programmate sul territorio nazionale:
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Convegno Nazionale “La famiglia al centro: la gestione del disagio per una maggiore
qualità della vita” - Potenza
Convegno Nazionale “Il carcere in un sistema di welfare” - Forli’
Convegno Nazionale “Volontariato e sistema di servizi” Cremona o Savona
Convegno “Alcool, bulimia, doppia diagnosi: è questo il futuro dei giovani?” Roma
Convegno Nazionale “Le disabilità sociali: obiettivi e risorse” Vicenza
Convegno
Nazionale
“Il valore dell’associazionismo sociale e i percorsi
dell’aggregazione interetnica” Torino
Convegno Nazionale “Impresa e cooperazione sociale” Toscana
Convegno Nazionale “ I fund raising: le strategie per il reperimento di risorse” Padova
Seminario finale progetto 383 (VerdeAzzurro)
Convegno Nazionale sulla tematica della “Inclusione occupazionale dei giovani”Sportinfiore;
Convegno nazionale su “La violenza sulle donne: i mostri in famiglia” a Salerno o a
Roma
Il Comitato Provinciale di Napoli, un Comitato che in questi anni è certamente all’avanguardia per
il lavoro nel sociale ospiterà, grazie alla creatività di Giuseppe e Alessandro Papaccio , la IX
edizione del Meeting Nazionale della Solidarietà che, quest’anno, sarà dedicato alla
“Cittadinanza attiva: valori e strategie di inclusione sociale”
Sullo stesso piano deve essere evidenziato il lavoro del Comitato Provinciale di Roma che grazie
al sostegno del Presidente Monica Zibellini e alla operatività di Patrizia Spagnoli e Maurizio
Mattana, si sta ritagliando uno spazio significativo tanto sul piano territoriale romano, quanto su
quello nazionale. In particolare deve essere evidenziata la disponibilità del Comitato a farsi carico
dell’organizzazione del convegno nazionale “Alcool, bulimia, doppia diagnosi: è questo il futuro
dei giovani?” e, forse, del convegno sulla violenza sulle donne in ambito familiare.
Vale la pena rimarcare l’attività svolta nel settore del disagio mentale da Franco Costantino,
Presidente del circolo “Anima”, l’unico circolo in Italia composto da soli “persone con disagio
mentale”, instancabile operatore di base che, oltre ad attivare alcuni rapporti con i massimi
organismi governativi, si sta facendo carico di definire quello che, a breve, sarà il Protocollo di
intesa tra l’AICS e la Presidenza dell’ALBANIA. E l’operatività di Renato Bandera e Sabrina
Bovini e che a Cremona ha costruito una solida rete di comunicazione interprofessionale. Sullo
stesso piano da evidenziare la capacità professionale espressa da Tea Rinaldi a Padova, di Monia
Meneghin a Vicenza nell’ambito della problematica della disabilità sociale, di Annamaria Battista
a Torino, in grado di coaugulare molte energie giovanili, di Clotilde Grisolia che, nel salernitano,
utilizza il teatro come strumento di partecipazione (emblematico è il lavoro di “Voci di donne”),
di Franco Cafarelli a Potenza, di Viviana Neri, di Forli, recente protagonista della strategia che ha
consentito all’Associazione di essere inserita nel Coordinamento nazionale del volontariato in
carcere.
E’ indispensabile ribadire che tutte le iniziative del Settore sono autofinanziate, con interventi
degli Enti Locali o delle Fondazioni.
Il Settore, a propria volta, sostiene, inviando esperti o docenti ai convegni promossi dalle realtà
provinciali.
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Da ricordare, inoltre, il protocollo d’intesa con Telefono Azzurro e con l’Opera Don
Calabria e la collaborazione intensa con l’Associazione “Libera” che fa capo al Gruppo
Abele di Don Ciotti
Su questo piano va, inoltre, sottolineato l’ampliamento dei rapporti con le Universita’.
SASSARI, PADOVA, URBINO, LA SAPIENZA A ROMA, CASSINO, PALERMO,
CATANZARO sono contesti universitari dove è sviluppata una solida rete di rapporti con
il sostegno di docenti e di
collaboratori di cattedra (in particolare psicologia e sociologia) ai nostri progetti nazionali.
Come già detto non si può non sottolineare il
contributo dottrinale che ci viene offerto dal Dipartimento Economia Istituzioni e Società
di Sassari ed in particolare dalla Cattedra di Psicologia Sociale della Professoressa Patrizia
Patrizi. Così come sul piano formativo il contributo principale ci viene da PRAGMATA,
un’azienda che è legata alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Padova e agli
insegnamenti del Professor Giampiero Turchi, tradotti nell’operatività dalle Dottoresse
Annalisa Di Maso e Valeria Gherardini e Luisa Orrù.
Un contributo, sul piano metodologico ci è fornito da psicologi giuridici come Gianluigi
Lepri, Vera Cruzzocrea, responsabile del progetto sul bullismo, Maria Rosaria Genovese,
provenienti dalla scuola del compianto Professore Gaetano De Leo. Una new entry di
spessore è quella della professoressa Stefania Petrera, pedagogista, docente assegnata c/o
il MIUR
SEMINARI FORMATIVI
Sono molti gli altri ambiti di intervento che, sul piano territoriale, vedono coinvolti i nostri
Comitati.
L’impegno sugli anziani; l’impegno nel mondo dell’handicap; il lavoro a favore dei rom; le
iniziative dedicate all’interscambio tra culture giovanili; il lavoro a favore della realtà degli
immigrati e degli extracomunitari; gli interventi nel mondo della Scuola: sono questi alcuni dei
contesti sui quali il Settore sostiene gli sforzi dei singoli comitati, soprattutto in sede di
progettazione e ideazione delle iniziative.
Naturalmente tutti gli ambiti operativi necessitano di consolidare i percorsi operativi con
l’acquisizione di maggiore professionalità
Per il 2013, a tale proposito, saranno realizzati SEMINARI FORMATIVI dedicati a:
- OPERATORI SOCIO-SPORTIVI DEL DISAGIO MINORILE
- EDUCATORI DI STRADA
- OPERATORI DEL TEATRO SOCIALE
- OPERATORI DI COMUNITA’
- OPERATORI DEL DISAGIO MENTALE
TEATRO SOCIALE
I grandi risultati ottenuti dalla Compagnia Stabile Assai di Rebibbia, inserita totalmente (detenuti,
ex detenuti operatori penitenziari, musicisti ed attori professionisti) nel nostro Circolo Rino
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Gaetano di Velletri, ha imposto una riflessione sulla valenza del fenomeno del cosiddetto Teatro
Sociale.
Non può non essere evidenziata le eccezionali ultime annate che i nostri operatori sono stati capaci
di produrre con la Compagnia Stabile Assai.
Per sei anni è stata costantemente inserita nella programmazione ufficiale del teatro Parioli. Da
due anni è inserita nella programmazione del Teatro Golden a Roma . L’opera “Alle due i monaci
tornano in convento”, dedicata alla strage di Capaci è stato replicato in oltre 21 occasioni fuori dal
carcere, spesso anche grazie alla sensibilità dei nostri Presidenti periferici che l’hanno ospitata in
alcune manifestazioni nazionali. Lo spettacolo del 2013 si intitolerà “BAZAR” e sarà dedicato ad
una struggente storia basata sui “ricordi”.
Come noto la Compagnia è stata protagonista di eventi eccezionali, come la vittoria del PREMIO
TROISI, accompagnata, per l’occasione, dal Presidente MOLEA. Dopo essersi esibita nel 2009
per la prima volta, nella storia della Repubblica, all’interno della Camera dei Deputati, di fronte al
Presidente on.le Gianfranco Fini, al presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno e al
capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, anche in questo caso per
la prima volta nella storia della Repubblica è stata ospitata, nello scorso dicembre, dal
Sindaco di Roma onorevole Gianni ALEMANNO e da alcuni dei vertici dello Stato, oltre che
dai Magistrati del Tribunale di Sorveglianza di Roma. LA COMPAGNIA è stata insignita
della MEDAGLIA D’ORO dal Capo dello Stato, il presidente Giorgio Napolitano.
Legato all’importanza del teatro penitenziario deve essere sottolineato come il libro “Oltre
l’istituzione totale”, che è stato pubblicato agli inizi di gennaio 2011 dalla Franco Angeli editore,
è diventato libro di testo alla Facoltà di Sociologia all’Università di Bologna.
Si tratta di un importante riconoscimento, il primo dal punto di vista dottrinale, per l’attività che
l’AICS svolge all’interno delle carceri.
Di maggiore spessore dottrinale è il riconoscimento che è stato attribuito al libro ANIME
PRIGIONIERE, scritto da Antonio TURCO, che è stato assunto come libro di testo nelle
Università di Cassino, Sassari e Forlì.
Il lavoro del Circolo “Oltre il teatro” di Salerno, della nostra esperta di teatro Clotilde Grisolia, il
lavoro attivato nel circuito di massima sicurezza del carcere di Spoleto della Cooperativa
GENTES, diretta dalla teatro terapeuta Patrizia Spagnoli, il lavoro di Antonio Damasco all’IPM
di Torino, di Rosa ed Francesco Cafarelli nell’IPM di Potenza, di Leonardo Gregoraci a Crotone
con il suo interesse per il teatro popolare, sono solo alcuni delle tante sperimentazioni che
vengono gestite sul piano territoriale dai nostri operatori.
Permane, quindi, la necessità di creare una Commissione Nazionale in questo ambito settoriale che
si collega, non soltanto all’obiettivo di facilitare una ricognizione dell’esistente, ma soprattutto
insegue l’ipotesi della definizione di un “movimento di teatro sociale” che caratterizzi l’agire
dell’Associazione in una specifica “nicchia teatrale”.
Intendendo con questo termine l’idea di un teatro oltre confini, includendo in esso tutte le forme
sperimentali di teatro. Dal teatro civile (inteso come teatro di denuncia) al teatro sociale (inteso
come forma di analisi dei problemi contemporanei), al teatro popolare (inteso come espressione
del teatro dialettale non folkloristico): sono questi i terreni che favorirebbero un’azione
metodologica unitaria basata, sull’idea di teatro terapia.
La teatro terapia è una nuova forma di comunicazione che potrebbe essere sviluppata all’interno
della nostra identità operativa. Ovviamente l’intera progettazione che avrebbe come obiettivi:
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la costituzione di una metodologia unitaria di lavoro;
il favorire l’accesso gratuito ai teatri comunali, agli spazi di cui dispongono le singole
amministrazioni comunali;
- favorire le possibilità di libera espressione dei cittadini amanti del teatro
L’intera progettazione, dunque, deve essere sostenuta da un investimento economico che sarà
indispensabile ricercare all’esterno delle risorse associative.
Sarà compito del settore delle Politiche Sociali unitamente al Settore Nazionale della Cultura farsi
carico di individuare il possibile accesso a fondi tanto sul piano territoriale, quanto su quello
nazionale (Ministero del Turismo e dello Spettacolo, Ministero dei Beni Culturali)
IN OGNI CASO LA COMPLESSITA’ DEL LAVORO PROPOSTO PRESUPPONE UN
COINVOLGIMENTO SINERGICO, COME GIA’ STA AVVENENDO, TRA IL SETTORE
DELLE POLITICHE SOCIALI CON IL SETTORE NAZIONALE DELLO SPORT, CON
IL SETTORE NAZIONALE DELLA CULTURA, CON IL TERZO SETTORE, CON IL
SETTORE NAZIONALE DEL TURISMO SOCIALE, E CON IL SETTORE NAZIONALE
DELLE POLITICHE GIOVANILI.
LA COSTITUZIONE DELLA NUOVA ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE
DEVE ESSERE INTERPRETATA ANCHE COME AMPLIAMENTO DELLE OFFERTE
DI SERVIZIO CHE NON VANNO SOLTANTO ALLE PERSONE SVANTAGIATE, MA
ANCHE E SOPRATTUTTO A QUELLE CHE POTREMMO DEFINIRE “LE
CATEGORIE COMUNI DELLA CITTADINANZA ATTIVA” GLI ANZIANI, I
GIOVANI, LE DONNE, I BAMBINI RAPPRESENTANO “LA NORMALITA’ DELLLA
VITA”.
A QUESTE CATEGORIE DEVE ESSERE OFFERTO UN CONTRIBUTO PER QUELLO
CHE E’ L’OBIETTIVO DI TUTTO L’AGIRE DELLA PROMOZIONE SOCIALE
MODERNA: “MIGLIORARE LA QUALITA’ DELLA VITA”.
APPUNTI FINALI
Questa ultima parte della progettazione deve essere ritenuta necessaria per due motivi: il primo
perché consente di riflettere su ciò che è successo in questi anni nella evoluzione di quella che
possiamo definire “ECONOMIA ASSOCIATIVA E SOLIDARISTICA”- e il materiale citato
potrà essere usato, ad esempio, nella presentazione di alcuni progetti anche a livello
provinciale - il secondo perché, pur costringendo i dirigenti e gli operatori ad una lettura
complessa, si ritiene che analisi, metodo ed obiettivi siano elementi imprescindibili l’uno dall’altro
per delineare una “PROGETTUALITA’ DI PROSPETTIVA”.
Secondo Polanyi, dunque,” l’azione solidaristica a fini sociali è un’espressione insopprimibile
della società civile”. Frutto dei legami di solidarietà che si stabiliscono a livello dei piccoli gruppi
(dalla famiglia allargata alla comunità locale) o dei gruppi sociali intermedi (società di mutuo
soccorso, associazioni volontarie, etc…) o anche a livello sociale generale, ispirata e sostenuta da
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motivazioni etiche, laiche o religiose, tale attività ha trovato ulteriori motivi di rafforzamento con
lo sviluppo delle politiche sociali e del welfare state. Essa è volta a realizzare relazioni d’aiuto nei
confronti di altri in condizioni di bisogno o di isolamento sociale. E’ questo “orientamento
all’altro” e, quindi, la ricerca del contatto umano e la volontà di stabilire relazioni “simpatetiche”
con le persone bisognose che costituisce l’essenza del lavoro in campo sociale.
Come è stato osservato: “Si frequentano associazioni solidaristiche per sentirsi utili
nell’immediato dell’esperienza interattiva. In questa prospettiva ecco che il lavoro che vi si
esprime muta radicalmente significato. Non si parlerà più di occupazione, ma di lavoro in senso
lato; in senso creativo del termine, di activity” (Buccarelli, 2004). Come per il lavoro svolto
all’interno della famiglia, dunque, ci troviamo di fronte ad un diverso e più ampio significato del
lavoro, rispetto a quello strettamente economico o di mercato volto alla ricerca del successo
individuale. Osserva Ambrosini (2005): “Le aspirazioni diffuse di autorealizzazione personale
rappresentano una spinta motivazionale per entrare a far parte di iniziative solidaristiche e trovare
gratificante aiutare il prossimo. Così il mondo contemporaneo, frammentato e orientato
all’individualismo si rivela un terreno favorevole per la coltivazione di azioni solidali”. Si tratta di
solidarietà che Ambrosini definisce “elettive”, proprio in quanto appaiono figlie dello sviluppo
storico dei processi di modernizzazione e individualizzazione.
Questa problematica, relativa ai rapporti tra il lavoro volontario e il mercato, si complica alquanto,
tuttavia, se si passa da una considerazione della natura della attività prestata dal singolo lavoratore
a quella delle organizzazioni non profit, all’interno delle quali molto spesso egli opera. Come
molti studi hanno mostrato, ci troviamo da alcuni anni di fronte ad una importante evoluzione in
questo campo, che ha visto molte delle associazioni e organizzazioni, stabilire nuovi e più stretti
rapporti con il mercato dei servizi sociali e personali. Questa evoluzione ha comportato, in tutta
Europa, un processo di “polarizzazione” tra le organizzazioni associative: da un lato troviamo le
associazioni più piccole, non consorziate con altri, che privilegiano la loro autonomia di azione e
offrono i loro servizi di aiuto alle persone al di fuori del mercato e, spesso, al di fuori anche di
ogni “riconoscimento” pubblico; dall’altro troviamo le organizzazioni maggiori, appartenenti
spesso a consorzi regionali o nazionali, che si sono dotate di strutture e di competenze
professionali e che diventano interlocutori privilegiati delle istituzioni pubbliche, essendo in grado
di competere efficacemente tra loro (ed eventualmente con le imprese private) per la gestione dei
servizi e il finanziamento dei progetti. Sono queste le organizzazioni che sono alla base della
crescita dell’occupazione conosciuta in questo settore. (In Italia, secondo l’ISTAT, alla fine degli
anni 2000, gli occupati nel settore non profit erano circa 662 mila, pari al 3,7% dell’occupazione
non agricola. A questi lavoratori, occupati come dipendenti nel settore non profit, vanno aggiunti
inoltre i volontari che ammontavano in Italia a circa 3,2 milioni, 2,0 dei quali impegnati in modo
saltuario).
Come noto,si è parlato in proposito di processi di “snaturamento” e “commercializzazione” del
terzo settore in corso in molti paesi europei. In effetti, anche a seguito delle difficoltà di bilancio
dello Stato e degli enti locali, in molti paesi europei si è largamente sviluppata la pratica della
delega della gestione di numerosi servizi tramite il ricorso a gare di appalto.
Secondo alcuni autori (De Luigi, Martelli e Zurla, 2000) ad esempio: “la logica del contracting
out viene a volte utilizzata dall’Ente pubblico per assicurarsi manodopera in grado di garantire
maggiori livelli di flessibilità, disposta a lavorare per un salario ridotto e con maggiore intensità in
quanto maggiormente coinvolta nel ‘progetto comune’ dell’organizzazione e disposta pertanto a
subire ‘responsabilmente’ condizioni di lavoro precarie. In definitiva si tratta di capire se (in tal
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modo) non si rischia di assecondare l’attuale processo di frammentazione, contribuendo a creare
un mercato parallelo in cui vigono remunerazioni inferiori e scarse garanzie”.
Secondo Bruni e Zamagni (2004), ad esempio, la presenza consistente di lavoratori che
mantengono un rapporto costante con la realtà sociale dalla quale spesso provengono e quindi ne
rappresentano efficacemente la domanda, permette all’organizzazione non-profit di superare
“l’autoreferenzialità” propria delle imprese di mercato e di diventare una organizzazione nella
quale è presente l’interesse dei consumatori o degli utenti. In questo quadro l’attività associativa si
conferma come categoria specifica e originale, che contribuisce in modo importante a dar corpo
all’area delle attività fuori mercato socialmente utili.
Ma il punto che ci sta più a cuore di sottolineare è che per questa forma di attività è all’opera un
processo di “riconoscimento sociale”. A livello delle Regioni e degli enti locali, esistono albi e
procedure di riconoscimento e accreditamento di queste associazioni. Nella legge 383/2000, poi, le
associazioni vengono chiamati a svolgere un ruolo istituzionale o “quasi istituzionale”, nel quadro
della costruzione dei piani sociali regionali e locali e nella “co-progettazione” di programmi e
servizi. Molte amministrazioni locali, inoltre, hanno sostenuto lo sviluppo delle cosiddette
“banche del tempo”, sorte come iniziative volontarie e finalizzate alla offerta e allo scambio
gratuito di servizi e professionalità che non sono reperibili facilmente sul mercato o che hanno un
prezzo non alla portata di chi ne ha bisogno. Una forma importante di riconoscimento sociale è
stata anche l’introduzione del congedo per partecipazione ad iniziative di volontariato, sia
ordinarie, che legate ad emergenze sociali o ambientali.
Nel nostro paese, tuttavia, siamo ancora lontani dal livello di tutela previdenziale del lavoro
solidaristico osservabile in altri paesi europei.
A questo proposito è possibile chiedersi se per questo lavoro di impegno civile e sociale sia
possibile ipotizzare un riconoscimento sociale che giunga sino al conferimento, da parte delle
istituzioni centrali o locali dello Stato, di un compenso monetario anche minimo. Tra gli autori che
formulano proposte di questo genere c’è, ad esempio Jeremy Rifkin (1995) il quale sostiene che:
“Lo Stato e i governi locali dovrebbero prendere in considerazione la corresponsione di un
“salario sociale” in alternativa alle sovvenzioni assistenziali per chi accetta di essere addestrato e
impiegato in attività del terzo settore. Con le organizzazioni locali e i gruppi nonprofit che si
assumono la responsabilità di rispondere ai bisogni tradizionalmente gestiti dallo Stato –continua
questo autore- una parte delle entrate tributarie si libererebbe e potrebbe essere utilizzata per
addestrare e corrispondere un “salario sociale” alle persone che lavorerebbero nella propria
comunità per aiutare gli altri”. Anche Ulrich Beck (2000) delinea un sistema in cui: “il lavoro di
impegno sociale e civile non viene veramente retribuito, ma ricompensato e, in questo modo,
riconosciuto e rivalutato socialmente tramite un reddito di cittadinanza non inferiore al sussidio di
disoccupazione”, sulla base di un progetto approvato a livello locale e “reso pubblicamente
visibile”. Beck è consapevole che questo tipo di lavoro non rimuoverà mai il lavoro di mercato:
“Esso –secondo questo autore (Beck, 2000)- sarà orientato e organizzato in modo complementare
e non sostitutivo rispetto al lavoro di mercato e pertanto sarà circoscritto a quegli ambiti di attività
che non possono essere ricoperti dal lavoro salariato”.
2. L’economia associativa.
A questo proposito si può richiamare anzitutto il pensiero di Giorgio Lunghini (1995): questo
autore muove dalla constatazione della “forbice” o del “paradosso” che si determina nella attuale
società dei servizi. Egli osserva infatti che mentre, da un lato, a seguito della intensità del ritmo
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dell’innovazione tecnologica si crea disoccupazione che non riesce ad essere facilmente
riassorbita, dall’altro: “si assiste alla crescita di bisogni insoddisfatti nel campo della cultura,
dell’educazione, della cura dei singoli e del tessuto sociale, della manutenzione dell’ambiente e
della natura”. A differenza di altri autori, però, Lunghini non intravede una via di uscita in
direzione del mercato (sia pure di un “mercato sociale” dei servizi). Secondo questo autore la
soluzione va cercata nel settore: “delle attività che non sono mosse dalla ricerca del profitto
(volontariato, associazionismo, cooperative) organizzando lavori concreti destinati
immediatamente alla produzione d’uso, lavori socialmente utili, ma non come meri
ammortizzatori sociali, ma come lavori capaci di soddisfare i bisogni sociali che la produzione di
mercato non soddisfa”. Dunque Lunghini pensa essenzialmente ad un settore non di mercato,
gestito secondo regole di reciprocità o di comunità.
Su questa stessa “lunghezza d’onda” si situa la riflessione di Franco Archibugi (2002): “Il
terremoto economico delle strutture produttive (o “rivoluzione terziaria”) –scrive questo autore- ha
due caratteri divergenti che segnano la crisi occupazionale che stiamo vivendo: da un lato, un
eccesso (o un surplus) di prodotti nei settori ad alto tasso di produttività; dall’altro, una crescente
espansione dei settori a basso tasso di produttività o ‘settori non produttivistici’”. Sulla base di
questa “dicotomia produttivistica”, nelle nostre società terziarie è già all’opera, secondo
Archibugi, una tendenza verso lo sviluppo di attività lavorative fuori mercato, fondamentalmente
“autogestitite”. “Nel mondo reale odierno, scrive questo autore, si può conseguire un livello più
elevato di benessere non attraverso l’aumento dell’occupazione totale, ma cercando di guidare i
nuovi impieghi verso attività socialmente utili, cioè necessarie a soddisfare bisogni ancora
insoddisfatti” E ancora: “Nella società dei servizi, tra l’economia privata orientata al profitto e
l’economia pubblica non orientata al profitto si è insinuata una economia che è insieme non-profit
(come quella pubblica), ma anche privata (come quella orientata al profitto). Questi servizi svolti
fuori del mercato, e quindi ignoti ai sistemi di contabilità economica, tendono a crescere
enormemente nella società dei servizi. La popolazione si ritaglia del tempo libero per sviluppare
attività sociali, culturali, politiche che non vengono considerate “economiche”, quando in larga
misura dovrebbero esserlo, e rientrano nella funzione del benessere sia individuale che sociale”. Ci
troviamo di fronte, insomma, ad una: “economia associativa o cooperativa il cui funzionamento
merita un’analisi economica, accanto a quella dell’economia dell’impresa e dell’economia
pubblica”. In sostanza, come Lunghini, anche Archibugi tende a valorizzare qui una economia
“autogestita”, in grado di sostituire l’offerta di servizi proveniente dal mercato o dallo Stato e in
grado di svilupparsi da sola. “Lo Stato –precisa Archibugi- invece di assumersi in proprio la
gestione diretta di tali servizi, potrebbe studiare formule attraverso cui mobilitare altri canali
finanziari, fondati essenzialmente sull’iniziativa e la gestione diretta degli stessi utenti. Si
dovrebbe lasciare, con opportune incentivazioni iniziali, all’associazionismo collettivo privato il
compito di marciare verso una auto-gestione, anche finanziaria, dei servizi”.
Sempre lungo questa linea di riflessione, occorre ricordare i contributi di Alessandro
Montebugnoli (2000, 2001), il quale ha il merito di accompagnare la analisi teorica con il
riferimento ad elementi empirici e operativi, ricavabili dalla osservazione della realtà sociale.
Questo gli permette di delineare concretamente i contorni della nuova “economia amministrata”,
cui egli ci introduce, come economia “condivisa” tra istituzioni locali e gruppi di cittadini,
nell’ambito di progetti volti a realizzare una serie di servizi, la cui provvista o la cui efficacia
altrimenti sarebbero inadeguate, quali ad esempio: la deistituzionalizzazione di servizi di cura e di
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assistenza; la valorizzazione degli “ambiti di prossimità” per una migliore personalizzazione dei
servizi sociali; gli “asili di palazzo”; le iniziative di “autogestione della salute”; i progetti integrati
di recupero urbano con la partecipazione dei residenti; le “banche del tempo”, etc. Si tratta di
esperienze nelle quali l’azione volontaria da parte di gruppi di cittadini giunge fino alla
autogestione di determinati progetti o servizi, ottenendo una incentivazione iniziale da parte delle
istituzioni pubbliche locali.
Infine, lungo questa linea di pensiero,è da ricordare il contributo di Bruni e Zamagni (2004), i
quali muovono dal riconoscimento che: “nelle società dell’Occidente avanzato molti bisogni non
vengono soddisfatti, non tanto perché mancano le risorse, quanto piuttosto perché mancano
soggetti di offerta adeguati alla particolare natura di tali servizi”, sicché si tratta: “in estrema
sintesi di intervenire sul confine che ha fino ad ora tenuta separata la sfera del lavoro come posto
di lavoro, dalla sfera delle altre attività lavorative e ciò nel senso di favorire l’allargamento della
seconda sfera rispetto alla prima”.
Si tratti dei “lavori socialmente utili” di Lunghini (1995), o della “occupazione informale”
nell’economia associativa di Archibugi; si tratti delle attività di riproduzione sociale nella
“economia amministrata” di Montebugnoli (2001) o delle “attività non monetarizzate” di Bruni e
Zamagni (2004),in questi anni si è sviluppata la convinzione per cui ci troviamo di fronte
all’emergere di un “tertium genus” tra il lavoro di mercato e le attività proprie della “popolazione
non attiva”, che la società contemporanea alimenta e rende visibile e di cui la politica sociale dei
governi dovrà sempre più prendere consapevolezza.
RIFLESSIONI SULLE TEMATICHE CENTRALI DEI PROSSIMI ANNI
- L’INSERIMENTO OCCUPAZIONALE DEI GIOVANI
Secondo i giovani, uno dei principali obiettivi dei governi e le istituzioni europee deve essere
quello di lottare contro la disoccupazione e l’esclusione sociale e rendere reale il modello sociale
europeo. Il sostegno è necessario in particolare per i giovani svantaggiati e coloro con minori
opportunità. Senza inclusione e accesso, i giovani non possono sperimentare la gioventù come
periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta e come fase di sperimentazione sociale e lo
sviluppo della creatività, la personalità, le responsabilità personali, etc. Si trovano inoltre a rischio
di esclusione sociale permanente.
La promozione dei diritti umani e la coesione sociale, come definite dalla Convenzione Europea
sui Diritti Umani e nella Carta Sociale Europea, è un elemento chiave della missione del Consiglio
d’Europa. I temi principali legati alla coesione sociale sono la tutela sociale, l’occupazione,
l’istruzione e la formazione professionale, i diritti dei lavoratori, la salute, la casa, le pari
opportunità, la non discriminazione e l’immigrazione.
La Strategia di Lisbona dell’Unione Europea ha focalizzato l’attenzione su un modello sociale
europeo rinnovato e modernizzato sui seguenti temi: investire sulle persone, creare uno stato
assistenziale attivo e dinamico, rafforzare azioni contro la disoccupazione, l’esclusione sociale e la
povertà.
Gli obiettivi della lotta contro la povertà e l’inclusione sono di interesse anche per i giovani:
- partecipazione nell’occupazione e l’accesso a tutte le risorse, i diritti, i beni e i servizi
- prevenzione dei rischi di esclusione, tra cui esclusione dall’istruzione
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- sostegno ai membri più vulnerabili della società
- mobilitazione di tutti i soggetti e gli organismi di rilievo e promozione della
partecipazione.
Nel Libro Bianco sui Giovani l’integrazione sociale viene citata come una delle cinque priorità nei
settori della politica orizzontale in cui gli aspetti legati ai giovani devono ricevere una maggiore
attenzione. Il Patto Europeo dei Giovani conferma l’importanza dell’occupazione, l’integrazione e
il progresso sociale e sottolinea la necessità di azioni di rilievo in queste aree, in particolare nella
Strategia Europea per l’Occupazione e la Strategia di Inclusione Sociale. Specialmente la Strategia
di Inclusione Sociale dovrà presentare una dimensione giovanile e dovrà tenere in considerazione
la Risoluzione del Consiglio nell’integrazione sociale dei giovani.
L’unità della Commissione Europea per i giovani è impegnata ad implementare una strategia
specifica per l’inclusione dei giovani con minori opportunità nel contesto del Programma
Gioventù. Il partenariato sui giovani tra la Commissione Europea e il Consiglio d’Europa ha
pubblicato un T-kit (kit per la formazione) sull’Inclusione Sociale al fine di offrire uno strumento
importante per gli animatori giovanili nel proprio lavoro per la creazione di un’Europa più
inclusiva.
Come storicamente accertato, i giovani Europei di oggi costituiscono una generazione che vive in
un contesto sociale, demografico, economico e tecnologico in rapida evoluzione. Le politiche
giovanili dell’Unione Europea mirano a far fronte alle aspettative dei giovani e allo stesso tempo a
incoraggiare i giovani stessi a dare un contributo alla società. Queste politiche sono sostenute
dall’azione concreta di un programma specifico per giovani, chiamato Gioventù in Azione.
L’attuale generazione di giovani Europei è la prima ad essere cresciuta in un’Europa pacifica, in
gran parte priva di frontiere. Un’Europa dove i giovani possono muoversi liberamente, lavorare e
apprendere più semplicemente rispetto a prima, un’Europa diversa da quella in cui sono cresciuti i
loro nonni o anche genitori. L’evoluzione delle Politiche Giovanili e l’inserimento di "gioventù"
come concetto all’interno della politica Europea è un fenomeno relativamente recente. Il Trattato
di Maastricht del 1993 ha esteso il campo delle politiche dell’Unione Europea al “settore” dei
giovani, grazie all’Articolo 149 § 2. L’articolo dichiara che l’Unione Europea dovrebbe
“incoraggiare lo sviluppo di scambi giovanili e lo scambio di istruttori socio-educativi…” Prima
del 2001 le attività delle Istituzioni Europee nel settore giovanile si incentravano per lo più sulla
considerazione e attuazione di programmi specifici, come “Gioventù per l’Europa”, lanciato nel
1988. Tuttavia l’opinione generale rimaneva che queste azioni e cooperazioni necessitavano di
essere sostenute ulteriormente e che i giovani stessi necessitavano di essere coinvolti
maggiormente. Allo scopo di ampliare e approfondire il dibattito politico e di andare oltre ai
programmi Europei esistenti, la Commissione Europea considerò lo sviluppo di una fattiva
cooperazione per i decenni futuri. Il punto centrale fu il Libro Bianco sulla Gioventù che fu
adottato a Novembre 2001. Il Libro proponeva agli Stati Membri Europei di aumentare la
cooperazione in quattro aree prioritarie per i giovani: partecipazione, informazione, attività di
volontariato e miglioramento della conoscenza delle questioni riguardanti i giovani.
Il Libro Bianco inoltre proponeva di tenere maggiormente in considerazione la dimensione
giovanile anche nel contesto di altre rilevanti politiche, come ad esempio l’istruzione, la
formazione, l’occupazione e l’inclusione sociale, la salute e la lotta contro la discriminazione. Fra
le altre cose, il Libro Bianco rappresentò una risposta all’apparente disaffezione dei giovani nei
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confronti delle tradizionali forme di partecipazione nella vita pubblica e sollecitò i giovani Europei
a diventare dei cittadini maggiormente attivi. Sulla base del Libro Bianco, il Consiglio
dell’Unione Europea a Luglio 2002 stabilì un quadro per la cooperazione Europea nel settore dei
giovani.
Più tardi, a Novembre 2005, il quadro venne aggiornato, con l’inserimento del Patto Europeo per i
Giovani.
Il quadro è ora costituito da 3 aspetti principali:
- Cittadinanza attiva dei giovani.
Gli Stati membri si sono concordati su obiettivi comuni per ognuna delle quattro priorità del Libro
Bianco. Al fine di raggiungere questi obiettivi, viene applicato il Metodo di Coordinamento
Aperto. Altri strumenti per promuovere la cittadinanza attiva dei giovani sono il programma
Gioventù in Azione, il Portale dei Giovani e il Centro di Conoscenza Europeo sulle Politiche
Giovanili. Il dialogo strutturato mira a coinvolgere i giovani in dibattiti politici legati all’agenda
Europea.
- Integrazione sociale e occupazionale dei giovani.
Il Patto Europeo per i Giovani ha come obiettivo quello di migliorare l’istruzione e la formazione,
le opportunità di occupazione, l’inclusione sociale dei giovani Europei, e allo stesso tempo
facilitare la riconciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare.
- Includere una dimensione giovanile nelle altre politiche.
La Commissione Europea lavora attivamente per tenere in considerazione la dimensione giovanile
anche nel contesto di altre rilevanti politiche, prime fra tutte la salute e la lotta contro la
discriminazione. Oltre a questi aspetti, l’Unione Europea contribuisce allo sviluppo della mobilità
dei giovani e del riconoscimento delle loro esperienze di apprendimento non-formale.
La strategia giovanile UE 2010 – 2018. Nell’Aprile 2009, la Commissione ha presentato una
Comunicazione dal titolo "Una strategia UE per i giovani – Investire e Rafforzare. Un metodo
aperto di coordinamento rinnovato per affrontare le sfide e le opportunità dei giovani". La nuova
strategia invita sia gli Stati membri che la Commissione, nel periodo 2010-1018, a cooperare nel
settore giovanile attraverso un metodo aperto di coordinamento rinnovato. Propone un approccio
transettoriale, con azioni a breve e lungo termine, che comprenda tutte le aree politiche chiave
concernenti i giovani europei. La Strategia sottolinea l’importanza del lavoro giovanile e definisce
misure rafforzate per una migliore attuazione delle politiche a favore della gioventù a livello
dell'UE. Invita, inoltre, tutti gli Stati membri ad organizzare un dialogo permanente e regolare
(Dialogo Strutturato) con i giovani. La Commissione nella sua Strategia incoraggia una politica
giovanile maggiormente basata sulla ricerca e la concretezza. L’adozione da parte della
Commissione della nuova strategia per la gioventù rappresenta il seguito di un ampio lavoro di
consultazione realizzato nel 2008, che ha visto il coinvolgimento di autorità nazionali, il Foro
Europeo dei Giovani, organizzazioni giovanili ed altre parti interessate. I giovani stessi sono stati
consultati online e conseguentemente invitati a fornire il proprio feedback sulle proposte della
Commissione in una nuova fase del dialogo permanente tra l’UE e i suoi giovani. Nel Novembre
2009, il Consiglio UE dei Ministri per la Gioventù, composto da 27 Stati membri dell’UE, ha
adottato una Risoluzione su un quadro rinnovato per la cooperazione europea nel settore giovanile
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per il prossimo decennio. La Risoluzione si basa sulla Comunicazione della Commissione
dell’Aprile 2009 “Una Strategia UE per i Giovani: Investire e Rafforzare”.
La nuova Strategia UE per i Giovani definisce due obiettivi generali:
- Maggiori pari opportunità per i giovani nell’istruzione e nel mercato del lavoro
- Cittadinanza attiva, inclusione sociale e solidarietà dei giovani
Queste considerazioni di carattere storico-sociologico sono al centro dell’interesse che l’AICS
deve attivare per intercettare le nuove proposte progettuali che l’Unione Europea diramerà a
breve. A tale proposito sarà compito del Settore e del gruppo nazionale di progettazione affiancare
o indirizzare i singoli comitati provinciali nella presentazione di progetti che consentano di
accedere alle consistenti risorse finanziarie che la UE attribuirà ai Bandi europei.
Le cifre prospettate parlano di centinaia di milioni di euro da investire e da attribuire alle
organizzazioni che opereranno per favorire l’”inclusione lavorativa giovanile”. A tale proposito
deve essere evidenziato che il consolidamento del rapporto con il Dipartimento della
Giustizia Minorile costituirà un efficace strumento operativo da utilizzare nella
presentazione dei progetti, considerata la accertata disponibilità del massimo organismo
minorile ad affiancare l’AICS in termini di dichiarazione di partnership qualificata.
L’inclusione occupazionale giovanile costituisce, infatti, un importante antidoto
all’emarginazione e alla devianza post adolescenziale e spesso gli obiettivi associativi si
coniugano in modo significativo con quelli delle politiche giudiziarie minorili.
Ma, più in generale, il Settore delle politiche Sociali presterà attenzione alle indicazioni del
mondo istituzionale e governativo che dovrà necessariamente movimentare la scena della
politica rivolta ai giovani per non decretare la fine definitiva della “politica”, come
strumento regolatore della realtà sociale.
CITTADINANZA ATTIVA
Con l’espressione “Cittadinanza attiva” si è soliti indicare la partecipazione consapevole delle
persone alla vita politica e il loro pieno inserimento nella rete dei diritti e doveri che sono
costitutivi dell’essere cittadino. Questa espressione torna, nell’era contemporanea, ad essere
rivitalizzata e da più parti si ravvisa l’interesse per una nuova concezione di Cittadinanza, intesa
quale esercizio di potere e di responsabilità del cittadino nella vita quotidiana della democrazia,
dove si affrontano problemi di interesse pubblico (Trincia, 2008). Ma cosa si intende con questa
espressione? Perché proprio oggi questo concetto tende a destare particolare interesse, nelle
scienze sociali e politiche?
Negli ultimi anni si è assistito ad un ritorno di interesse per il tema della Cittadinanza, sia come
questione da discutere che come fenomeno da interpretare e fronteggiare. In questo rinnovato
interesse si tende a significare la Cittadinanza Attiva come la presenza rilevante degli individui
nell'arena pubblica della comunità nella quale vivono (Moro, 2005).
Scrive Moro: “Possiamo intendere la Cittadinanza Attiva quale capacità dei cittadini di
organizzarsi in modo multiforme, di mobilitare risorse umane, tecniche e finanziarie, e di agire
nelle politiche pubbliche con modalità e strategie differenziate, per tutelare i diritti e prendersi
cura dei beni comuni, esercitando a tale fine poteri e responsabilità"
Ciò che sembra rilevante, in tale definizione, è da un lato l’oggetto della Cittadinanza Attiva,
ovvero i diritti e i beni comuni, dall’altro l’identificazione del ruolo che la stessa sembrerebbe
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assumere, relativo al potere che deriva dall'attivarsi in nome del bene comune. Se da una parte la
nozione di Cittadinanza Attiva si configurerebbe, dunque, come quell'insieme di attori che
condividono l'impegno per la cura dei beni comuni, sia nel senso della lotta contro il loro degrado,
sia riguardo all'impegno per la loro dotazione per tutti i cittadini, dall'altra l'impegno principale
della Cittadinanza Attiva consisterebbe nel “rendere tutelabili i diritti sanciti dalle leggi e quelli
considerati patrimonio della collettività anche se non formalizzati in norme. Questo impegno può
consistere nella mobilitazione di energie aggiuntive rispetto a quelle esistenti ma insufficienti,
oppure nel sostituirsi del tutto all'azione delle strutture statuali”. La tutela dei diritti
rappresenterebbe quindi, nell'ottica della Cittadinanza Attiva, una “modalità di azione mediante la
quale la cittadinanza attiva stessa sperimenta la sua capacità di contare nei processi di sviluppo
[...] la tutela dei diritti quindi, come strategia generale della cittadinanza attiva, rappresenta
l'esercizio di forme di potere attraverso le quali il cittadino può manifestare, far valere e rendere
effettive le sue legittime esigenze di fronte ai suoi interlocutori, o soddisfarle costruendo da sé le
risposte” Proprio in questo senso esisterebbe “una stretta connessione tra il riconoscimento e le
tutela dei diritti e i processi di empowerment, vale a dire di acquisizione da parte dei soggetti
oppressi o comunque subalterni, del controllo sulle diverse manifestazioni del potere sociale” Si
introduce così un elemento centrale nella definizione del concetto di Cittadinanza Attiva, quello di
potere, concepito quale “senso di efficacia che emerge quando la gente comprende che può
risolvere i problemi che si trova di fronte e ha diritto di contestare condizioni ingiuste” (Rubin e
Rubin 1992). Si può, in definitiva, considerare la Cittadinanza Attiva una nozione-ombrello che
tenta di accomunare una pluralità di esperienze e campi di azione sulla base di alcune
caratteristiche peculiari quali la tutela dei diritti, l'empowerment dei cittadini e la cura dei beni
comuni attraverso l'esercizio di specifici poteri.
Tra le diverse trasformazioni intervenute nella contemporaneità, la crisi del fordismo e con essa la
fine della modernità, hanno determinato il cambiamento del patto sociale alla base dei rapporti
all'interno degli Stati, promuovendo l’emergenza di nuovi poteri e di nuove soggettività sociali
(Moro, 2005). Ad essere entrata in crisi l’idea di uno Stato Nazione e la figura di cittadino insita
nel concetto di rappresentanza politica. La crisi degli Stati, che fortemente ha influenzato il
cambiamento degli assetti sociali nell’epoca contemporanea, si manifesta in ordine a diversi
fenomeni:
• la crisi del modello tradizionale di welfare e l'affermarsi di un neoliberismo 2 che nel contempo
toglie compiti allo Stato e aumenta le necessità di protezione sociale e di tutela dei diritti (Moro,
1998);
• la crisi di efficacia delle pubbliche istituzioni, e in particolare della loro capacità di gestire da
sole problemi di rilevanza pubblica, di prevenire e risolvere i conflitti sociali;
• strettamente connesso a ciò, il deficit di consenso dei cittadini verso le istituzioni politiche e la
crisi della democrazia rappresentativa, evidenziata dalla sfiducia nelle leadership politiche e nei
partiti e dal grande decremento della partecipazione elettorale.
Accanto a questi cambiamenti il processo di progressiva globalizzazione, che ha portato con sé
rilevanti flussi migratori e che ha contribuito a mettere in discussione la capacità dello Stato di
essere vettore di identità nazionale: i confini culturali e quelli geografico-politici degli Stati
Nazione non coincidono più. In questo panorama il concetto stesso di Cittadinanza entra in crisi.
La Cittadinanza, che si concretizza in un insieme di diritti e doveri che regolano il rapporto tra uno
Stato e gli individui o gruppi sociali che in quello Stato vivono la loro esperienza (Moro, 2005)
sembrerebbe non essere più in grado di rappresentare la realtà delle cose.
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Per quanto attiene, infine, ai diritti sociali, che riguardano la garanzia di adeguati standard di vita,
con riferimento al lavoro, all'educazione, alla salute e alle pensioni, si vede come tale concezione
vada in crisi con la parallela crisi dei sistemi di welfare. La Cittadinanza sociale, infatti, riguarda
una Cittadinanza istituita dallo Stato come quadro politico e costituzionale dei benefici previsti dal
welfare. Ma la crisi e la ridefinizione dei sistemi di welfare in termini di welfare society o welfare
community, in cui sarebbe l'iniziativa sociale di individui, gruppi, organizzazioni a fornire tali
benefici, anche se in partnership con lo Stato, tenderebbe a svuotare di significato la declinazione
sociale stessa della Cittadinanza. La connotazione “Attiva”, allora, da un punto di vista
psicologico, è spia di un modo di significare un problema (la crisi di un modello di convivenza
fondato su un rapporto cittadini – istituzioni mediato da rappresentanza politica e, in risposta a ciò,
garanzia di servizi di welfare, in cui il riferimento identitario è ad un modello unico di
riconoscimento e garanzia delle libertà individuali) e, al tempo stesso, identificazione di una
strategia di soluzione a tale problema.
In particolare, si potrebbe rileggere la crisi degli Stati Nazione come crisi di “appartenenza” e la
crisi del sistema di rappresentanza quale crisi della fiducia nel rapporto tra cittadini e istituzioni
politiche, che veicola specifiche modalità di gestione del “potere” entro il rapporto stesso.
La crisi della Cittadinanza, allora, potrebbe essere riletta quale indebolimento della capacità
coagulante delle dimensioni di appartenenza e di potere come cornici di senso in grado di definire
ed organizzare processi di convivenza, cornice che hanno fondato per molto tempo
l’interpretazione personale e sociale dell’ambiente, organizzando e mediando l’azione sociale,
l’interazione tra gli interessi, i percorsi collettivi di costruzione e scambio tra cittadini e istituzioni
e tra cittadini e cittadini.
La ricerca di strumenti attraverso cui far presenti i propri diritti (che assume spesso la forma di una
rivendicazione, nelle pratiche di Cittadinanza Attiva) sembra configurarsi, infatti, come un modo
per consolidare un modello di rapporto (tra cittadini ed istituzioni, così come tra cittadini e
cittadini, cittadini e beni comuni) noto.
Tale modello, infatti, non viene messo in discussione; al contrario si cerca di potenziarlo con altre
opzioni (ad esempio configurando in modo ancora più netto il riferimento alla distinzione tra
cittadini e istituzioni, come se le istituzioni fossero cosa altra dai cittadini, e sostenendo gli stessi a
mettersi in rapporto con le stesse, attraverso dimensioni di potere).
In questi termini, allora, la Cittadinanza Attiva sembrerebbe una strategia di soluzione ad un
problema dovuto al confronto con un cambiamento, utilizzando le stesse premesse di fondo che lo
hanno generato.
Se la cornice di senso organizzata da appartenenza e potere è andata in crisi nel definire ed
orientare processi di convivenza sociale e se è sensato immaginare che la “Cittadinanza Attiva”
non sia altro che un tentativo di rispondere alla crisi, rendendo rilevanti le stesse categorie che
sono in crisi, allora significa che è arrivato il momento di mettere in discussione il modello del
problema stesso.
In questi termini, quindi, non si tratterebbe di rendere la Cittadinanza più “Attiva” (e quindi: più
potente in riferimento all’esercizio di diritti, e dunque, in ultima analisi, maggiormente ancorata a
dimensioni identitarie, alla propria appartenenza), bensì maggiormente CAPACE di mettersi in
relazione con un’estraneità, maggiormente COMPETENTE nel farsi carico di costruire un
rapporto con l’altro, in riferimento ad uno specifico oggetto (un bene comune, ad esempio).
Concepire la Cittadinanza quale “competenza a fruire di un contesto” (Salvatore, Scotto di Carlo,
2005) consente di pensarla come competenza, da parte di soggetti, organizzazioni, istituzioni, a
perseguire scopi interpretando funzionalmente e prospetticamente la mediazione del contesto
stesso. Tale competenza sostiene il soggetto nel costruire i significati della propria esperienza
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storica e nel connettere risorse personali con condizioni e vincoli dell’ambiente di vita. In tal
senso, così concepita, può rappresentare un sostegno alle funzioni di scelta e decisione di singoli e
gruppi organizzati, intese come momenti critici dello scambio tra soggetti e ambiente; essa, in
questi termini, diviene risorsa strategica per l’adattamento e l’inserimento sociale, alimento dei
comportamenti e atteggiamenti di responsabilità, civismo, autoimprenditorialità, progettualità e
orientamento al risultato, assunzione del rischio ed esploratività del contesto stesso.
Concepire la Cittadinanza in questi termini consente di cogliere la crisi dei modelli di conoscenza,
di azione e di rapporto contestuale come domanda di sviluppo per individui, gruppi,
organizzazioni, istituzioni, confrontate con un cambiamento che rischiamo di non cogliere e non
affrontare in modo produttivo, se si rimane entro le stesse premesse di fondo che oggi sono
diventate critiche.
QUESTO, DUNQUE, IN SINTESI L’ASPETTO TEORICO E DOTTRINALE CHE RIFLETTE
SUI DUE TEMI DELLA INCLUSIONE OCCUPAZIONALE DEI GIOVANI E SULLA
CITTADINANZA ATTIVA, TEMATICHE, NEL TEMPO, SEMPRE PIU’ PATRIMONIO DEI
SAPERI DEI NOSTRI OPERATORI E SEMPRE PIU’ IN SINTONIA CON l’IDENTITA’
SOCIALE DELLA ASSOCIAZIONE.
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