DIPARTIMENTO DELLA SOLIDARIETA’ Settore Nazionale Politiche Sociali 2013 LINEE DI TENDENZA OPERATIVA Prima di ogni altra affermazione deve essere ribadito che il programma del Settore delle Politiche Sociali, come da tradizione, e come viene confermato ogni anno nella presentazione dei programmi per l’approvazione al Consiglio Nazionale e alla Direzione, sarà promosso ed organizzato con la logica che da sempre distingue la sua modalità operativa: quella del “working in progress”. La scelta ha già prodotto, in un recente passato, considerevoli buoni risultati. Come, più volte sottolineato, siamo di fronte ad un percorso di trasformazione dell’Associazione, un percorso che è in sintonia anche con le nuove modifiche e con le nuove esigenze che propone il sociale. Ma prima, di ogni altra considerazione è opportuno evidenziare, sin da subito, che nei prossimi anni e, quindi sin dal 2013, il SETTORE intensificherà i propri sforzi soprattutto su tre matrici operative, oltre a quelle consolidatesi nel tempo. - l’inclusione occupazionale dei giovani, secondo i parametri e le indicazioni della comunità europea; - il sostegno a politiche che consolidino il principio della “cittadinanza attiva”; - il sostegno ad iniziative che tendano a tutelare le donne che subiscono violenze in ambito familiare. Di questi tre aspetti e di alcune considerazioni dottrinali sulla evoluzione dello Stato sociale si parlerà nella parte conclusiva della programmazione. IL PRINCIPALE COMPITO CHE IL SETTORE DEVE E CONTINUA AD ATTIVARE E’, allo stesso tempo, QUELLO DI INTERCETTARE I NUOVI MERCATI, LE NUOVE OPPORTUNITA’, LE NUOVE INDICAZIONI CHE PROVENGONO DAI PROBLEMI ORGANIZZATIVI DELLA SOCIETA’. Ed è questo il motivo principale per il quale in sede di programmazione è necessario predisporre soltanto linee di tendenza che durante l’anno potranno subire modifiche. A questo proposito l’attenzione verso le oltre 100 donne che, ogni anno, vengono uccise da fidanzati, ex mariti o ex compagni, è stato stimolato oltre che dai fatti di cronaca, soprattutto dalla nascita di interventi come quelli di Cremona o Savona o di Battipaglia dove sono sorti i nostri primi circoli che si occupano di questa tematica. Appare, comunque, fin troppo evidente che siamo di fronte ad una società in evoluzione con complessi processi di trasformazione, come confermato dall’andamento economico dell’ultima stagione mondiale. E’ sotto gli occhi di tutti e nella consapevolezza di tutti che i danni provocati dalla recessione abbiano influenzato le scelte di molti governi, compreso quello italiano. Le decisioni del Governo Monti, in ogni caso, hanno prodotto, inevitabilmente, effetti di grande problematicità anche nella 1 gestione delle risorse economiche degli Enti Locali con ritorsioni sulle attribuzioni per gli organismi di base. Tale situazione non propone scenari chiari neanche per il prossimo futuro, considerate le nuove scadenze elettorali e il quadro politico, probabilmente rinnovato, che dovrà affrontare immediatamente la crisi economica con un rilancio delle risorse da attribuire al “welfare solidale”. Per impostare una riflessione sulle scelte programmatiche del Settore occorre partire da questo dato. CI SONO MENO RISORSE, MA SOPRATTUTTO LE RISORSE ESISTENTI NON ANDRANNO A FAVORE DI COLORO CHE LAVORANO TRA E PER LA GENTE; DI COLORO CHE OPERANO PER LA COLLETTIVITA’; DI COLORO CHE TENTANO DI RIDURRE LE TENTAZIONI CHE PROVENGONO DAL RECLUTAMENTO DEI GIOVANI E DEI MINORI NELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA; DI COLORO CHE INVESTONO IL PROPRIO TEMPO LIBERO PER FAVORIRE L’INCLUSIONE DEI CITTADINI IMMIGRATI O PER ATTIVARE STRUTTURE DI SERVIZIO CHE SIANO DI SUPPORTO ALLE POLITICHE SOCIO-ASSISTENZIALI DELLO STATO. Come già evidenziato negli ultimi anni, ritorna ancora in mente la stessa domanda: CHE FARE? In primo luogo occorre riaffermare l’identità sociale della nostra Associazione. Quando si parla di metodo, si parla anche di presupposti dottrinali su cui riconoscersi. Avere un criterio guida di fondo ha già prodotto risultati importanti per il RICONOSCIMENTO che STRUTTURE ISTITUZIONALI hanno dato alla nostra operatività e per il riconoscimento economico che è stato concretizzato non solo con azione di lobbie, ma anche e soprattutto con progetti che hanno avuto una loro coerenza programmatica. Il lavoro realizzato, ad esempio, con i formatori e con i progettisti della società PRAGMATA corrisponde ad una prassi ideativa che nasce in una Scuola ben precisa che è quella della Psicologia e sociologia giuridica di cui sono stati espressioni sublimi i professori DE LEO e SALVINI e che oggi hanno tra i principali interpreti la professoressa PATRIZI e il professore TURCHI, nomi e volti diventati familiari ad una pluralità di nostri dirigenti nazionali e periferici. L’impostazione di metodo ha promosso percorsi che hanno favorito processi di “empowering” nei nostri operatori, che hanno consolidato l’idea di promuovere percorsi di inclusione costruendo reti territoriali. Sostenere e utilizzare l’empowerment come approccio operativo sta producendo buoni risultati perché i nostri operatori hanno imparato a lavorare sui soggetti deboli che gli vengono affidati potenziandone le capacità di ripresa e di inclusione (questo vale soprattutto nelle sfere del disagio). Questo complesso di valutazioni ha rilanciato, in modo definitivo, ad esempio la certezza di assolvere ad una azione educativa nel momento in cui si conduce un gruppo, una squadra, una società sportiva. Il ruolo del trainer, del mister, dell’allenatore, del tecnico diventa, dunque, quello del referente dell’azione educativa. Tutto questo corrisponde ad una metodologia. Di fronte all’impasse economico che la nostra Società sta vivendo, di fronte al superamento delle politiche liberiste e di fronte alla prevalenza della “economia di mercato”, occorre avere rigore per sapersi ritagliare uno spazio significativo. In questa dimensione assume particolare rilevanza il riconoscersi in una prospettiva sociale e politica ben definita che è quella della “ECONOMIA SOLIDALE”. L’Associazione, come già sta facendo, deve orientare la propria natura identitaria verso meccanismi che tendano a tutelare “l’economia solidale”. Senza voler fare riflessioni sul rapporto tra un welfare solidale e le logiche che regolano l’economia del mercato, è indispensabile, comunque, riaffermare l’idea che la nostra Associazione si caratterizza per proporre ed offrire una serie di servizi, spesso sostitutivi delle carenze dello Stato. 2 L’AICS grazie alla lungimiranza dell’attuale Presidente e di una parte “storica “ del gruppo dirigente sta tentando di veicolare questo progetto che ha l’obiettivo di offrire una immagine identitaria dell’Associazione in modo più complesso ed articolato. Accanto alla tradizionale dimensione sportiva, che permane nella sua centralità, si sta sempre più affermando un’attenzione verso le Politiche del Sociale e del Terzo Settore. E le politiche sono certamente quelle sportive – dove il nostro rapporto con il CONI e con gli altri EPS appare più consapevole e maturo e, spesso, si propone anche con funzione di traino rispetto ad alcuni obiettivi – ma anche e soprattutto sono quelle dell’inclusione sociale, della tutela della salute, del diritto allo studio, della tutela dei diritti dei cittadini immigrati, della tutela dei diritti delle cittadine donne e della tutela dell’infanzia e tutela di una terza età attiva e protagonista. Questi sono i campi in cui l’Associazione sta sviluppando una propria capacità di incisione operativa. E lo fa seguendo un’impostazione metodologica che non prescinde dal primo fattore che consente i processi di trasformazione: “LA FORMAZIONE DEI QUADRI”. Come detto consolidare un’immagine “politica” dell’Associazione corrisponde a valorizzare il contenuto degli interventi in ambito sociale. Ed allora, per avere un quadro chiaro di come si sta muovendo da qualche anno il Settore, è indispensabile fare riferimento ad alcuni degli obiettivi raggiunti: - - - - - L’iscrizione all’Albo Nazionale delle associazioni operanti a favore degli immigrati è stata rinnovata negli ultimi 4 anni con attestati di consenso da parte del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali L’Associazione continua a proporsi come alternativa, trovando alleanze periodiche, al duopolio “compagnia delle opere/ACLI -ARCI/AUSER” attivando un rapporto riconosciuto con il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, con cui sono stati evidenziati notevoli progressi sul piano della comunicazione. Dopo aver trovato una propria collocazione all’Interno dell’Osservatorio Nazionale del Terzo Settore, il Settore ha confermato la propria capacità d’incisione soprattutto ottenendo una costanza nell’approvazione dei progetti legati ai bandi della legge sulla promozione sociale. L’Associazione dopo aver ridefinito nel 2007 il protocollo d’intesa con il Dipartimento della Giustizia Minorile, ha consolidato un rapporto privilegiato soprattutto con l’area della Direzione Generale dei provvedimenti penali esterni. In tale ottica sono sempre numerosi i momenti di collaborazione con il DGM che si è proposto come partner privilegiato ed istituzionale nella presentazione di tutti i bandi di cui siamo stati protagonisti negli ultimi anni, compresi gli ultimi 2 appena elaborati e di cui si parlerà in seguito. Soprattutto il DGM assumerà, a sua volta, l’AICS come partner privilegiato per la presentazione di progetti per i bandi della Comunità Europea. Appare appena il caso sottolineare la funzionalità della Scuola Nazionale di Formazione di Casal del Marmo che in più di una occasione è stata apprezzata dai nostri corsisti; Dipartimento Amministrazione Penitenziaria: la Convenzione attiva dal 1999 è stata rinnovata per un quadriennio agli inizi di gennaio con una apposita iniziativa che ha visto 3 - - - - - - - - protagonista il Presidente Bruno Molea e il Capo dell’Ufficio Detenuti e trattamento Consigliere Sebastiano ARDITA. In ogni caso anche in questo caso sono molteplici i contesti in cui intervengono i nostri animatori socioculturali e i nostri tecnici sportivi. Con punte di eccellenza come in Campania, dove la Consulta Regionale Femminile, ha attribuito all’AICS la priorità nella organizzazione delle attività nei carceri femminili della Regione (Pozzuoli, Santa Maria Capua Vetere, Arienzo e Fuorni). Dal 2007 è attivo il lavoro del Comitato Provinciale di Forlì. Nel 2009 si sono aggiunti i Comitati di Reggio Emilia e soprattutto di Massa Carrara dove, in prospettiva, saranno attivati dei corsi di formazione professionale. Di recente è stato attivato un progetto nel carcere di Grosseto. Sullo stesso piano da ricordare la riattivazione del rapporto con la custodia attenuata di Sollicciano a Firenze. Di grande rilievo il lavoro svolto nelle carceri umbre e la stipula del regolamento di esecuzione (2011), tra il Provveditorato Regionale dell’Umbria e il Comitato regionale presieduto da Sonia Gavini e dovuto al lavoro di raccordo di Patrizia Spagnoli, già componente della Commissione nazionale della parità. L’ASPETTO DA RIMARCARE RIGUARDA PERO’ IL RAPPORTO CHE IL NOSTRO PRESIDENTE HA ATTIVATO CON IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E CON IL CAPO DEL DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA PER PROPORRE UNA SERIE DI PROGETTI CHE POTREBBERO OTTENERE IL FINANZIAMENTO DALLA CASSA DELLE AMMENDE. E’ appena il caso di ricordare, come sarà più diffusamente notiziato nell’ambito del Teatro sociale, il grande lavoro della Compagnia Stabile Assai a Rebibbia e dell’Associazione Gentes nell’area della massima sicurezza del carcere di Spoleto, di Pino Cacace nelle carceri di Turi, Altamura e di recente di Foggia. Continua il nostro momento di gloria nel rapporto con il Ministero della Salute che ha più volte espresso apprezzamento per il lavoro prodotto nel campo del disagio mentale. Ancora una volta, quest’anno a Savona durante il VII Meeting Nazionale del disagio mentale sono giunti per la quarta volta consecutiva messaggi dal Presidente della Repubblica e del Presidente del Senato l’Associazione ha concluso a settembre 2012 due progetti legati ai bandi della 383 : il primo inserito nella domanda di contributo per l’esercizio finanziario 2010 (attivato ad agosto 2011) ai sensi dell’art. 12 della legge 383, “iniziative alla lettera d” intitolato “Per una presenza sociale qualificante: conoscere e rispettare le nuove norme fiscali e amministrative e lavorare per creare il bilancio sociale". L’“azione formativa” è stata destinata a coloro che nei Comitati si occupano di analisi e gestione amministrativa. Responsabile del progetto Maurizio Marcassa. Il secondo progetto, dal titolo “I colori delle parole: come dar voce alle ombre. la creatività di una comunità solidale” ”, inserito nella stessa domanda di contributo per l’esercizio finanziario 2010, “iniziativa alla lettera f) ha toccato la tematica delle nuove povertà. Responsabile del progetto Antonio Turco. l’Associazione sta realizzando due progetti legati ai bandi della 383 per il 2011 diventati attivi a luglio 2012 che si concluderanno a luglio 2013. 4 Il primo, iniziative alla lettera d) legge 383” intitolato “Il welfare che cambia. Il principio di sussidiarietà espresso all’art. 118 della Costituzione Italiana: occasione nuova per le associazioni di promozione sociale” inserito nella “azione formativa” destinato a coloro che nei Comitati si occupano di sussidiarietà. Responsabile del progetto Maurizio Marcassa. Il secondo progetto, dal titolo “SLEEPERS: progetto di intervento per migliorare la relazione interpersonale tra adulti e minori e per creare spazi di benessere atti a prevenire il disagio e la devianza giovanile”, inserito nella stessa domanda di contributo, “iniziativa alla lettera f) legge 383, mira ad intervenire per prevenire e contrastare la devianza giovanile. Il responsabile del progetto Antonio Turco. Il settore ha trovato e consolidato punti operativi di eccellenza, ma, al tempo stesso, trova difficoltà a far lievitare l’interesse in alcune zone del nostro territorio nazionale ed è opportuno anche evidenziare le criticità, perché taluni processi hanno avvii rapidissimi e battute d’arresto quando si tratta di consolidare i percorsi. STA CRESCENDO UNA NUOVA GENERAZIONE DI OPERATORI. ALCUNI PROVENGONO DAI NOSTRI AMBITI FORMATIVI, ALTRI HANNO UN BACKGROUND PROFESSIONALE GIA’ AQUISITO. QUESTO E’ UN ASPETTO DI FONDAMENTALE RILEVANZA. LA CRESTITA DEL SETTORE, LA CRESCITA STESSA DELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE E’ LEGATA AI NUOVI VOLTI CHE SI AFFACCIANO SUL PROSCENIO NAZIONALE. ED E’ UN BENE CHE SIA COSI’ SOPRATTUTTO SE, CON GRANDE SODDISFAZIONE, POSSIAMO DIRE DI AVER ALLEVATO PROFESSIONALITA’ COMPETENTI. LE CRITICITA’ SONO DA ADDEBITARE AD UNO SVILUPPO NON OMOGENEO DELLA NOSTRA OPERATIVITA’ E, CON GRANDE CHIAREZZA, ANCHE ALLE RESISTENZE DI TALUNI CONTESTI PERIFERICI E DI ALCUNI DIRIGENTI A CONFRONTARSI CON LE NUOVE SOLLECITAZIONI. Difficoltà, come già affrontate da sempre dal Responsabile Nazionale del Settore Sport, legate, per esempio, a quel particolare concetto che è la “rendicontazione”. Anche questo appartiene alla dimensione metodologica ed è un aspetto su cui si sta insistendo per meglio qualificare il nostro lavoro. L’AICS deve tener conto di questa considerazione dottrinale poiché con un impegno costante potrebbe proporsi come uno degli Enti di Promozione Sociale maggiormente in grado di intercettare quella che oggi è la disoccupazione giovanile professionalizzata. Perché ciò avvenga devono ESSERE CONDIVISE alcune strategie ed alcune convinzioni. E’ indispensabile ribadire un concetto, già espresso in passato. I nostri Dirigenti e i nostri operatori sportivi e sociali devono essere CONSAPEVOLI DI APPARTENERE AD UNA ASSOCIAZIONE CHE SI BATTE: - NON SOLO CONTRO LA CULTURA DEL DOPING, MA A FAVORE DELLA TUTELA DELLA SALUTE; - PER RENDERE LE CITTA’ COME COMUNITA’ SOLIDALI; - PER PROMUOVERE LA QUALITA’ DELLA VITA E PER PREVENIRE IL DISAGIO PSICOSOCIALE; - 5 - PER COMBATTERE I CONTESTI CHE RIPRODUCO DISAGIO E, QUINDI, CONTRO L’ETICHETTAMENTO CHE FAVORISCE LE CARRIERE DEVIANTI; PER INNALZARE IL LIVELLO DI SELF EFFICACY DEI NOSTRI OPERATORI, SOPRATTUTTO NEI TERRITORI DEGRADATI; PER CONTRASTARE IL BULLISMO COMBATTENDO LA CULTURA DELLA VIOLENZA. LINEE PROGRAMMATICHE DEL SETTORE POLITICHE SOCIALI L’operatività del settore è AUTOFINANZIATA e quindi non può prescindere dalle risorse che individua e riesce a incamerare nei singoli contesti locali, grazie all’attivazione dei singoli dirigenti provinciali. In tale ottica assume ulteriore rilevanza un aspetto assolutamente innovativo: PROTAGONISTI DEI PROGETTI DIVENTANO I SOGGETTI CUI E’ RIVOLTA L’ATTIVITA’(i giovani, i minori, gli immigrati, le donne, i nuovi poveri). Sulla stessa linea deve essere evidenziato un ulteriore fattore organizzativo. Tanto per il progetto sulle nuove povertà, che per quello sul bullismo l’obiettivo di fondo è stato quello di stimolare le nostre realtà periferiche a lavorare insieme ad altri soggetti per costruire quella che viene definita RETE TERRITORIALE. GLI INDIRIZZI OPERATIVI 2013 Dimensione progettuale, la realtà carceraria, la condizione minorile, il mondo del disagio mentale, gli immigrati e la loro condizione, la condizione femminile, il mondo della doppia diagnosi, il teatro sociale. A questi ambiti di intervento devono essere aggiunti, come è avvenuto nell’ultima parte del 2012, una riflessione sul ruolo della famiglia, della scuola e della terza età e della comunicazione intergenerazionale che continueranno a rappresentare altri ambiti di lavoro importanti. Oltre al lavoro quotidiano di base, oltre ai progetti presentati che coinvolgeranno molti comitati provinciali e i loro operatori, sono in programma i due tradizionali Meeting nazionali. Considerato che il tema centrale per il 2013 sarà legato all’ “anno europeo della cittadinanza attiva” il Meeting Nazionale della Solidarietà si terrà a Napoli, grazie alla enorme disponibilità e capacita dimostrato dal gruppo dirigente del Comitato (impegnato in prima persona nella lotta alla camorra, come dimostrato dal grande evento di Scampia nell’ottobre 2012). Per l’occasione si tornerà alle origini con un MEETING che consentirà alle categorie operative del Settore di trovare un proprio spazio di visibilità. il Meeting del Disagio Mentale “La promozione della salute ed il disagio psichico” si terra a Savona o a Cremona, come da tradizione. Altre iniziative sono state programmate sul territorio nazionale: 6 Convegno Nazionale “La famiglia al centro: la gestione del disagio per una maggiore qualità della vita” - Potenza Convegno Nazionale “Il carcere in un sistema di welfare” - Forli’ Convegno Nazionale “Volontariato e sistema di servizi” Cremona o Savona Convegno “Alcool, bulimia, doppia diagnosi: è questo il futuro dei giovani?” Roma Convegno Nazionale “Le disabilità sociali: obiettivi e risorse” Vicenza Convegno Nazionale “Il valore dell’associazionismo sociale e i percorsi dell’aggregazione interetnica” Torino Convegno Nazionale “Impresa e cooperazione sociale” Toscana Convegno Nazionale “ I fund raising: le strategie per il reperimento di risorse” Padova Seminario finale progetto 383 (VerdeAzzurro) Convegno Nazionale sulla tematica della “Inclusione occupazionale dei giovani”Sportinfiore; Convegno nazionale su “La violenza sulle donne: i mostri in famiglia” a Salerno o a Roma Il Comitato Provinciale di Napoli, un Comitato che in questi anni è certamente all’avanguardia per il lavoro nel sociale ospiterà, grazie alla creatività di Giuseppe e Alessandro Papaccio , la IX edizione del Meeting Nazionale della Solidarietà che, quest’anno, sarà dedicato alla “Cittadinanza attiva: valori e strategie di inclusione sociale” Sullo stesso piano deve essere evidenziato il lavoro del Comitato Provinciale di Roma che grazie al sostegno del Presidente Monica Zibellini e alla operatività di Patrizia Spagnoli e Maurizio Mattana, si sta ritagliando uno spazio significativo tanto sul piano territoriale romano, quanto su quello nazionale. In particolare deve essere evidenziata la disponibilità del Comitato a farsi carico dell’organizzazione del convegno nazionale “Alcool, bulimia, doppia diagnosi: è questo il futuro dei giovani?” e, forse, del convegno sulla violenza sulle donne in ambito familiare. Vale la pena rimarcare l’attività svolta nel settore del disagio mentale da Franco Costantino, Presidente del circolo “Anima”, l’unico circolo in Italia composto da soli “persone con disagio mentale”, instancabile operatore di base che, oltre ad attivare alcuni rapporti con i massimi organismi governativi, si sta facendo carico di definire quello che, a breve, sarà il Protocollo di intesa tra l’AICS e la Presidenza dell’ALBANIA. E l’operatività di Renato Bandera e Sabrina Bovini e che a Cremona ha costruito una solida rete di comunicazione interprofessionale. Sullo stesso piano da evidenziare la capacità professionale espressa da Tea Rinaldi a Padova, di Monia Meneghin a Vicenza nell’ambito della problematica della disabilità sociale, di Annamaria Battista a Torino, in grado di coaugulare molte energie giovanili, di Clotilde Grisolia che, nel salernitano, utilizza il teatro come strumento di partecipazione (emblematico è il lavoro di “Voci di donne”), di Franco Cafarelli a Potenza, di Viviana Neri, di Forli, recente protagonista della strategia che ha consentito all’Associazione di essere inserita nel Coordinamento nazionale del volontariato in carcere. E’ indispensabile ribadire che tutte le iniziative del Settore sono autofinanziate, con interventi degli Enti Locali o delle Fondazioni. Il Settore, a propria volta, sostiene, inviando esperti o docenti ai convegni promossi dalle realtà provinciali. 7 Da ricordare, inoltre, il protocollo d’intesa con Telefono Azzurro e con l’Opera Don Calabria e la collaborazione intensa con l’Associazione “Libera” che fa capo al Gruppo Abele di Don Ciotti Su questo piano va, inoltre, sottolineato l’ampliamento dei rapporti con le Universita’. SASSARI, PADOVA, URBINO, LA SAPIENZA A ROMA, CASSINO, PALERMO, CATANZARO sono contesti universitari dove è sviluppata una solida rete di rapporti con il sostegno di docenti e di collaboratori di cattedra (in particolare psicologia e sociologia) ai nostri progetti nazionali. Come già detto non si può non sottolineare il contributo dottrinale che ci viene offerto dal Dipartimento Economia Istituzioni e Società di Sassari ed in particolare dalla Cattedra di Psicologia Sociale della Professoressa Patrizia Patrizi. Così come sul piano formativo il contributo principale ci viene da PRAGMATA, un’azienda che è legata alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Padova e agli insegnamenti del Professor Giampiero Turchi, tradotti nell’operatività dalle Dottoresse Annalisa Di Maso e Valeria Gherardini e Luisa Orrù. Un contributo, sul piano metodologico ci è fornito da psicologi giuridici come Gianluigi Lepri, Vera Cruzzocrea, responsabile del progetto sul bullismo, Maria Rosaria Genovese, provenienti dalla scuola del compianto Professore Gaetano De Leo. Una new entry di spessore è quella della professoressa Stefania Petrera, pedagogista, docente assegnata c/o il MIUR SEMINARI FORMATIVI Sono molti gli altri ambiti di intervento che, sul piano territoriale, vedono coinvolti i nostri Comitati. L’impegno sugli anziani; l’impegno nel mondo dell’handicap; il lavoro a favore dei rom; le iniziative dedicate all’interscambio tra culture giovanili; il lavoro a favore della realtà degli immigrati e degli extracomunitari; gli interventi nel mondo della Scuola: sono questi alcuni dei contesti sui quali il Settore sostiene gli sforzi dei singoli comitati, soprattutto in sede di progettazione e ideazione delle iniziative. Naturalmente tutti gli ambiti operativi necessitano di consolidare i percorsi operativi con l’acquisizione di maggiore professionalità Per il 2013, a tale proposito, saranno realizzati SEMINARI FORMATIVI dedicati a: - OPERATORI SOCIO-SPORTIVI DEL DISAGIO MINORILE - EDUCATORI DI STRADA - OPERATORI DEL TEATRO SOCIALE - OPERATORI DI COMUNITA’ - OPERATORI DEL DISAGIO MENTALE TEATRO SOCIALE I grandi risultati ottenuti dalla Compagnia Stabile Assai di Rebibbia, inserita totalmente (detenuti, ex detenuti operatori penitenziari, musicisti ed attori professionisti) nel nostro Circolo Rino 8 Gaetano di Velletri, ha imposto una riflessione sulla valenza del fenomeno del cosiddetto Teatro Sociale. Non può non essere evidenziata le eccezionali ultime annate che i nostri operatori sono stati capaci di produrre con la Compagnia Stabile Assai. Per sei anni è stata costantemente inserita nella programmazione ufficiale del teatro Parioli. Da due anni è inserita nella programmazione del Teatro Golden a Roma . L’opera “Alle due i monaci tornano in convento”, dedicata alla strage di Capaci è stato replicato in oltre 21 occasioni fuori dal carcere, spesso anche grazie alla sensibilità dei nostri Presidenti periferici che l’hanno ospitata in alcune manifestazioni nazionali. Lo spettacolo del 2013 si intitolerà “BAZAR” e sarà dedicato ad una struggente storia basata sui “ricordi”. Come noto la Compagnia è stata protagonista di eventi eccezionali, come la vittoria del PREMIO TROISI, accompagnata, per l’occasione, dal Presidente MOLEA. Dopo essersi esibita nel 2009 per la prima volta, nella storia della Repubblica, all’interno della Camera dei Deputati, di fronte al Presidente on.le Gianfranco Fini, al presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno e al capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, anche in questo caso per la prima volta nella storia della Repubblica è stata ospitata, nello scorso dicembre, dal Sindaco di Roma onorevole Gianni ALEMANNO e da alcuni dei vertici dello Stato, oltre che dai Magistrati del Tribunale di Sorveglianza di Roma. LA COMPAGNIA è stata insignita della MEDAGLIA D’ORO dal Capo dello Stato, il presidente Giorgio Napolitano. Legato all’importanza del teatro penitenziario deve essere sottolineato come il libro “Oltre l’istituzione totale”, che è stato pubblicato agli inizi di gennaio 2011 dalla Franco Angeli editore, è diventato libro di testo alla Facoltà di Sociologia all’Università di Bologna. Si tratta di un importante riconoscimento, il primo dal punto di vista dottrinale, per l’attività che l’AICS svolge all’interno delle carceri. Di maggiore spessore dottrinale è il riconoscimento che è stato attribuito al libro ANIME PRIGIONIERE, scritto da Antonio TURCO, che è stato assunto come libro di testo nelle Università di Cassino, Sassari e Forlì. Il lavoro del Circolo “Oltre il teatro” di Salerno, della nostra esperta di teatro Clotilde Grisolia, il lavoro attivato nel circuito di massima sicurezza del carcere di Spoleto della Cooperativa GENTES, diretta dalla teatro terapeuta Patrizia Spagnoli, il lavoro di Antonio Damasco all’IPM di Torino, di Rosa ed Francesco Cafarelli nell’IPM di Potenza, di Leonardo Gregoraci a Crotone con il suo interesse per il teatro popolare, sono solo alcuni delle tante sperimentazioni che vengono gestite sul piano territoriale dai nostri operatori. Permane, quindi, la necessità di creare una Commissione Nazionale in questo ambito settoriale che si collega, non soltanto all’obiettivo di facilitare una ricognizione dell’esistente, ma soprattutto insegue l’ipotesi della definizione di un “movimento di teatro sociale” che caratterizzi l’agire dell’Associazione in una specifica “nicchia teatrale”. Intendendo con questo termine l’idea di un teatro oltre confini, includendo in esso tutte le forme sperimentali di teatro. Dal teatro civile (inteso come teatro di denuncia) al teatro sociale (inteso come forma di analisi dei problemi contemporanei), al teatro popolare (inteso come espressione del teatro dialettale non folkloristico): sono questi i terreni che favorirebbero un’azione metodologica unitaria basata, sull’idea di teatro terapia. La teatro terapia è una nuova forma di comunicazione che potrebbe essere sviluppata all’interno della nostra identità operativa. Ovviamente l’intera progettazione che avrebbe come obiettivi: 9 - la costituzione di una metodologia unitaria di lavoro; il favorire l’accesso gratuito ai teatri comunali, agli spazi di cui dispongono le singole amministrazioni comunali; - favorire le possibilità di libera espressione dei cittadini amanti del teatro L’intera progettazione, dunque, deve essere sostenuta da un investimento economico che sarà indispensabile ricercare all’esterno delle risorse associative. Sarà compito del settore delle Politiche Sociali unitamente al Settore Nazionale della Cultura farsi carico di individuare il possibile accesso a fondi tanto sul piano territoriale, quanto su quello nazionale (Ministero del Turismo e dello Spettacolo, Ministero dei Beni Culturali) IN OGNI CASO LA COMPLESSITA’ DEL LAVORO PROPOSTO PRESUPPONE UN COINVOLGIMENTO SINERGICO, COME GIA’ STA AVVENENDO, TRA IL SETTORE DELLE POLITICHE SOCIALI CON IL SETTORE NAZIONALE DELLO SPORT, CON IL SETTORE NAZIONALE DELLA CULTURA, CON IL TERZO SETTORE, CON IL SETTORE NAZIONALE DEL TURISMO SOCIALE, E CON IL SETTORE NAZIONALE DELLE POLITICHE GIOVANILI. LA COSTITUZIONE DELLA NUOVA ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE DEVE ESSERE INTERPRETATA ANCHE COME AMPLIAMENTO DELLE OFFERTE DI SERVIZIO CHE NON VANNO SOLTANTO ALLE PERSONE SVANTAGIATE, MA ANCHE E SOPRATTUTTO A QUELLE CHE POTREMMO DEFINIRE “LE CATEGORIE COMUNI DELLA CITTADINANZA ATTIVA” GLI ANZIANI, I GIOVANI, LE DONNE, I BAMBINI RAPPRESENTANO “LA NORMALITA’ DELLLA VITA”. A QUESTE CATEGORIE DEVE ESSERE OFFERTO UN CONTRIBUTO PER QUELLO CHE E’ L’OBIETTIVO DI TUTTO L’AGIRE DELLA PROMOZIONE SOCIALE MODERNA: “MIGLIORARE LA QUALITA’ DELLA VITA”. APPUNTI FINALI Questa ultima parte della progettazione deve essere ritenuta necessaria per due motivi: il primo perché consente di riflettere su ciò che è successo in questi anni nella evoluzione di quella che possiamo definire “ECONOMIA ASSOCIATIVA E SOLIDARISTICA”- e il materiale citato potrà essere usato, ad esempio, nella presentazione di alcuni progetti anche a livello provinciale - il secondo perché, pur costringendo i dirigenti e gli operatori ad una lettura complessa, si ritiene che analisi, metodo ed obiettivi siano elementi imprescindibili l’uno dall’altro per delineare una “PROGETTUALITA’ DI PROSPETTIVA”. Secondo Polanyi, dunque,” l’azione solidaristica a fini sociali è un’espressione insopprimibile della società civile”. Frutto dei legami di solidarietà che si stabiliscono a livello dei piccoli gruppi (dalla famiglia allargata alla comunità locale) o dei gruppi sociali intermedi (società di mutuo soccorso, associazioni volontarie, etc…) o anche a livello sociale generale, ispirata e sostenuta da 10 motivazioni etiche, laiche o religiose, tale attività ha trovato ulteriori motivi di rafforzamento con lo sviluppo delle politiche sociali e del welfare state. Essa è volta a realizzare relazioni d’aiuto nei confronti di altri in condizioni di bisogno o di isolamento sociale. E’ questo “orientamento all’altro” e, quindi, la ricerca del contatto umano e la volontà di stabilire relazioni “simpatetiche” con le persone bisognose che costituisce l’essenza del lavoro in campo sociale. Come è stato osservato: “Si frequentano associazioni solidaristiche per sentirsi utili nell’immediato dell’esperienza interattiva. In questa prospettiva ecco che il lavoro che vi si esprime muta radicalmente significato. Non si parlerà più di occupazione, ma di lavoro in senso lato; in senso creativo del termine, di activity” (Buccarelli, 2004). Come per il lavoro svolto all’interno della famiglia, dunque, ci troviamo di fronte ad un diverso e più ampio significato del lavoro, rispetto a quello strettamente economico o di mercato volto alla ricerca del successo individuale. Osserva Ambrosini (2005): “Le aspirazioni diffuse di autorealizzazione personale rappresentano una spinta motivazionale per entrare a far parte di iniziative solidaristiche e trovare gratificante aiutare il prossimo. Così il mondo contemporaneo, frammentato e orientato all’individualismo si rivela un terreno favorevole per la coltivazione di azioni solidali”. Si tratta di solidarietà che Ambrosini definisce “elettive”, proprio in quanto appaiono figlie dello sviluppo storico dei processi di modernizzazione e individualizzazione. Questa problematica, relativa ai rapporti tra il lavoro volontario e il mercato, si complica alquanto, tuttavia, se si passa da una considerazione della natura della attività prestata dal singolo lavoratore a quella delle organizzazioni non profit, all’interno delle quali molto spesso egli opera. Come molti studi hanno mostrato, ci troviamo da alcuni anni di fronte ad una importante evoluzione in questo campo, che ha visto molte delle associazioni e organizzazioni, stabilire nuovi e più stretti rapporti con il mercato dei servizi sociali e personali. Questa evoluzione ha comportato, in tutta Europa, un processo di “polarizzazione” tra le organizzazioni associative: da un lato troviamo le associazioni più piccole, non consorziate con altri, che privilegiano la loro autonomia di azione e offrono i loro servizi di aiuto alle persone al di fuori del mercato e, spesso, al di fuori anche di ogni “riconoscimento” pubblico; dall’altro troviamo le organizzazioni maggiori, appartenenti spesso a consorzi regionali o nazionali, che si sono dotate di strutture e di competenze professionali e che diventano interlocutori privilegiati delle istituzioni pubbliche, essendo in grado di competere efficacemente tra loro (ed eventualmente con le imprese private) per la gestione dei servizi e il finanziamento dei progetti. Sono queste le organizzazioni che sono alla base della crescita dell’occupazione conosciuta in questo settore. (In Italia, secondo l’ISTAT, alla fine degli anni 2000, gli occupati nel settore non profit erano circa 662 mila, pari al 3,7% dell’occupazione non agricola. A questi lavoratori, occupati come dipendenti nel settore non profit, vanno aggiunti inoltre i volontari che ammontavano in Italia a circa 3,2 milioni, 2,0 dei quali impegnati in modo saltuario). Come noto,si è parlato in proposito di processi di “snaturamento” e “commercializzazione” del terzo settore in corso in molti paesi europei. In effetti, anche a seguito delle difficoltà di bilancio dello Stato e degli enti locali, in molti paesi europei si è largamente sviluppata la pratica della delega della gestione di numerosi servizi tramite il ricorso a gare di appalto. Secondo alcuni autori (De Luigi, Martelli e Zurla, 2000) ad esempio: “la logica del contracting out viene a volte utilizzata dall’Ente pubblico per assicurarsi manodopera in grado di garantire maggiori livelli di flessibilità, disposta a lavorare per un salario ridotto e con maggiore intensità in quanto maggiormente coinvolta nel ‘progetto comune’ dell’organizzazione e disposta pertanto a subire ‘responsabilmente’ condizioni di lavoro precarie. In definitiva si tratta di capire se (in tal 11 modo) non si rischia di assecondare l’attuale processo di frammentazione, contribuendo a creare un mercato parallelo in cui vigono remunerazioni inferiori e scarse garanzie”. Secondo Bruni e Zamagni (2004), ad esempio, la presenza consistente di lavoratori che mantengono un rapporto costante con la realtà sociale dalla quale spesso provengono e quindi ne rappresentano efficacemente la domanda, permette all’organizzazione non-profit di superare “l’autoreferenzialità” propria delle imprese di mercato e di diventare una organizzazione nella quale è presente l’interesse dei consumatori o degli utenti. In questo quadro l’attività associativa si conferma come categoria specifica e originale, che contribuisce in modo importante a dar corpo all’area delle attività fuori mercato socialmente utili. Ma il punto che ci sta più a cuore di sottolineare è che per questa forma di attività è all’opera un processo di “riconoscimento sociale”. A livello delle Regioni e degli enti locali, esistono albi e procedure di riconoscimento e accreditamento di queste associazioni. Nella legge 383/2000, poi, le associazioni vengono chiamati a svolgere un ruolo istituzionale o “quasi istituzionale”, nel quadro della costruzione dei piani sociali regionali e locali e nella “co-progettazione” di programmi e servizi. Molte amministrazioni locali, inoltre, hanno sostenuto lo sviluppo delle cosiddette “banche del tempo”, sorte come iniziative volontarie e finalizzate alla offerta e allo scambio gratuito di servizi e professionalità che non sono reperibili facilmente sul mercato o che hanno un prezzo non alla portata di chi ne ha bisogno. Una forma importante di riconoscimento sociale è stata anche l’introduzione del congedo per partecipazione ad iniziative di volontariato, sia ordinarie, che legate ad emergenze sociali o ambientali. Nel nostro paese, tuttavia, siamo ancora lontani dal livello di tutela previdenziale del lavoro solidaristico osservabile in altri paesi europei. A questo proposito è possibile chiedersi se per questo lavoro di impegno civile e sociale sia possibile ipotizzare un riconoscimento sociale che giunga sino al conferimento, da parte delle istituzioni centrali o locali dello Stato, di un compenso monetario anche minimo. Tra gli autori che formulano proposte di questo genere c’è, ad esempio Jeremy Rifkin (1995) il quale sostiene che: “Lo Stato e i governi locali dovrebbero prendere in considerazione la corresponsione di un “salario sociale” in alternativa alle sovvenzioni assistenziali per chi accetta di essere addestrato e impiegato in attività del terzo settore. Con le organizzazioni locali e i gruppi nonprofit che si assumono la responsabilità di rispondere ai bisogni tradizionalmente gestiti dallo Stato –continua questo autore- una parte delle entrate tributarie si libererebbe e potrebbe essere utilizzata per addestrare e corrispondere un “salario sociale” alle persone che lavorerebbero nella propria comunità per aiutare gli altri”. Anche Ulrich Beck (2000) delinea un sistema in cui: “il lavoro di impegno sociale e civile non viene veramente retribuito, ma ricompensato e, in questo modo, riconosciuto e rivalutato socialmente tramite un reddito di cittadinanza non inferiore al sussidio di disoccupazione”, sulla base di un progetto approvato a livello locale e “reso pubblicamente visibile”. Beck è consapevole che questo tipo di lavoro non rimuoverà mai il lavoro di mercato: “Esso –secondo questo autore (Beck, 2000)- sarà orientato e organizzato in modo complementare e non sostitutivo rispetto al lavoro di mercato e pertanto sarà circoscritto a quegli ambiti di attività che non possono essere ricoperti dal lavoro salariato”. 2. L’economia associativa. A questo proposito si può richiamare anzitutto il pensiero di Giorgio Lunghini (1995): questo autore muove dalla constatazione della “forbice” o del “paradosso” che si determina nella attuale società dei servizi. Egli osserva infatti che mentre, da un lato, a seguito della intensità del ritmo 12 dell’innovazione tecnologica si crea disoccupazione che non riesce ad essere facilmente riassorbita, dall’altro: “si assiste alla crescita di bisogni insoddisfatti nel campo della cultura, dell’educazione, della cura dei singoli e del tessuto sociale, della manutenzione dell’ambiente e della natura”. A differenza di altri autori, però, Lunghini non intravede una via di uscita in direzione del mercato (sia pure di un “mercato sociale” dei servizi). Secondo questo autore la soluzione va cercata nel settore: “delle attività che non sono mosse dalla ricerca del profitto (volontariato, associazionismo, cooperative) organizzando lavori concreti destinati immediatamente alla produzione d’uso, lavori socialmente utili, ma non come meri ammortizzatori sociali, ma come lavori capaci di soddisfare i bisogni sociali che la produzione di mercato non soddisfa”. Dunque Lunghini pensa essenzialmente ad un settore non di mercato, gestito secondo regole di reciprocità o di comunità. Su questa stessa “lunghezza d’onda” si situa la riflessione di Franco Archibugi (2002): “Il terremoto economico delle strutture produttive (o “rivoluzione terziaria”) –scrive questo autore- ha due caratteri divergenti che segnano la crisi occupazionale che stiamo vivendo: da un lato, un eccesso (o un surplus) di prodotti nei settori ad alto tasso di produttività; dall’altro, una crescente espansione dei settori a basso tasso di produttività o ‘settori non produttivistici’”. Sulla base di questa “dicotomia produttivistica”, nelle nostre società terziarie è già all’opera, secondo Archibugi, una tendenza verso lo sviluppo di attività lavorative fuori mercato, fondamentalmente “autogestitite”. “Nel mondo reale odierno, scrive questo autore, si può conseguire un livello più elevato di benessere non attraverso l’aumento dell’occupazione totale, ma cercando di guidare i nuovi impieghi verso attività socialmente utili, cioè necessarie a soddisfare bisogni ancora insoddisfatti” E ancora: “Nella società dei servizi, tra l’economia privata orientata al profitto e l’economia pubblica non orientata al profitto si è insinuata una economia che è insieme non-profit (come quella pubblica), ma anche privata (come quella orientata al profitto). Questi servizi svolti fuori del mercato, e quindi ignoti ai sistemi di contabilità economica, tendono a crescere enormemente nella società dei servizi. La popolazione si ritaglia del tempo libero per sviluppare attività sociali, culturali, politiche che non vengono considerate “economiche”, quando in larga misura dovrebbero esserlo, e rientrano nella funzione del benessere sia individuale che sociale”. Ci troviamo di fronte, insomma, ad una: “economia associativa o cooperativa il cui funzionamento merita un’analisi economica, accanto a quella dell’economia dell’impresa e dell’economia pubblica”. In sostanza, come Lunghini, anche Archibugi tende a valorizzare qui una economia “autogestita”, in grado di sostituire l’offerta di servizi proveniente dal mercato o dallo Stato e in grado di svilupparsi da sola. “Lo Stato –precisa Archibugi- invece di assumersi in proprio la gestione diretta di tali servizi, potrebbe studiare formule attraverso cui mobilitare altri canali finanziari, fondati essenzialmente sull’iniziativa e la gestione diretta degli stessi utenti. Si dovrebbe lasciare, con opportune incentivazioni iniziali, all’associazionismo collettivo privato il compito di marciare verso una auto-gestione, anche finanziaria, dei servizi”. Sempre lungo questa linea di riflessione, occorre ricordare i contributi di Alessandro Montebugnoli (2000, 2001), il quale ha il merito di accompagnare la analisi teorica con il riferimento ad elementi empirici e operativi, ricavabili dalla osservazione della realtà sociale. Questo gli permette di delineare concretamente i contorni della nuova “economia amministrata”, cui egli ci introduce, come economia “condivisa” tra istituzioni locali e gruppi di cittadini, nell’ambito di progetti volti a realizzare una serie di servizi, la cui provvista o la cui efficacia altrimenti sarebbero inadeguate, quali ad esempio: la deistituzionalizzazione di servizi di cura e di 13 assistenza; la valorizzazione degli “ambiti di prossimità” per una migliore personalizzazione dei servizi sociali; gli “asili di palazzo”; le iniziative di “autogestione della salute”; i progetti integrati di recupero urbano con la partecipazione dei residenti; le “banche del tempo”, etc. Si tratta di esperienze nelle quali l’azione volontaria da parte di gruppi di cittadini giunge fino alla autogestione di determinati progetti o servizi, ottenendo una incentivazione iniziale da parte delle istituzioni pubbliche locali. Infine, lungo questa linea di pensiero,è da ricordare il contributo di Bruni e Zamagni (2004), i quali muovono dal riconoscimento che: “nelle società dell’Occidente avanzato molti bisogni non vengono soddisfatti, non tanto perché mancano le risorse, quanto piuttosto perché mancano soggetti di offerta adeguati alla particolare natura di tali servizi”, sicché si tratta: “in estrema sintesi di intervenire sul confine che ha fino ad ora tenuta separata la sfera del lavoro come posto di lavoro, dalla sfera delle altre attività lavorative e ciò nel senso di favorire l’allargamento della seconda sfera rispetto alla prima”. Si tratti dei “lavori socialmente utili” di Lunghini (1995), o della “occupazione informale” nell’economia associativa di Archibugi; si tratti delle attività di riproduzione sociale nella “economia amministrata” di Montebugnoli (2001) o delle “attività non monetarizzate” di Bruni e Zamagni (2004),in questi anni si è sviluppata la convinzione per cui ci troviamo di fronte all’emergere di un “tertium genus” tra il lavoro di mercato e le attività proprie della “popolazione non attiva”, che la società contemporanea alimenta e rende visibile e di cui la politica sociale dei governi dovrà sempre più prendere consapevolezza. RIFLESSIONI SULLE TEMATICHE CENTRALI DEI PROSSIMI ANNI - L’INSERIMENTO OCCUPAZIONALE DEI GIOVANI Secondo i giovani, uno dei principali obiettivi dei governi e le istituzioni europee deve essere quello di lottare contro la disoccupazione e l’esclusione sociale e rendere reale il modello sociale europeo. Il sostegno è necessario in particolare per i giovani svantaggiati e coloro con minori opportunità. Senza inclusione e accesso, i giovani non possono sperimentare la gioventù come periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta e come fase di sperimentazione sociale e lo sviluppo della creatività, la personalità, le responsabilità personali, etc. Si trovano inoltre a rischio di esclusione sociale permanente. La promozione dei diritti umani e la coesione sociale, come definite dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani e nella Carta Sociale Europea, è un elemento chiave della missione del Consiglio d’Europa. I temi principali legati alla coesione sociale sono la tutela sociale, l’occupazione, l’istruzione e la formazione professionale, i diritti dei lavoratori, la salute, la casa, le pari opportunità, la non discriminazione e l’immigrazione. La Strategia di Lisbona dell’Unione Europea ha focalizzato l’attenzione su un modello sociale europeo rinnovato e modernizzato sui seguenti temi: investire sulle persone, creare uno stato assistenziale attivo e dinamico, rafforzare azioni contro la disoccupazione, l’esclusione sociale e la povertà. Gli obiettivi della lotta contro la povertà e l’inclusione sono di interesse anche per i giovani: - partecipazione nell’occupazione e l’accesso a tutte le risorse, i diritti, i beni e i servizi - prevenzione dei rischi di esclusione, tra cui esclusione dall’istruzione 14 - sostegno ai membri più vulnerabili della società - mobilitazione di tutti i soggetti e gli organismi di rilievo e promozione della partecipazione. Nel Libro Bianco sui Giovani l’integrazione sociale viene citata come una delle cinque priorità nei settori della politica orizzontale in cui gli aspetti legati ai giovani devono ricevere una maggiore attenzione. Il Patto Europeo dei Giovani conferma l’importanza dell’occupazione, l’integrazione e il progresso sociale e sottolinea la necessità di azioni di rilievo in queste aree, in particolare nella Strategia Europea per l’Occupazione e la Strategia di Inclusione Sociale. Specialmente la Strategia di Inclusione Sociale dovrà presentare una dimensione giovanile e dovrà tenere in considerazione la Risoluzione del Consiglio nell’integrazione sociale dei giovani. L’unità della Commissione Europea per i giovani è impegnata ad implementare una strategia specifica per l’inclusione dei giovani con minori opportunità nel contesto del Programma Gioventù. Il partenariato sui giovani tra la Commissione Europea e il Consiglio d’Europa ha pubblicato un T-kit (kit per la formazione) sull’Inclusione Sociale al fine di offrire uno strumento importante per gli animatori giovanili nel proprio lavoro per la creazione di un’Europa più inclusiva. Come storicamente accertato, i giovani Europei di oggi costituiscono una generazione che vive in un contesto sociale, demografico, economico e tecnologico in rapida evoluzione. Le politiche giovanili dell’Unione Europea mirano a far fronte alle aspettative dei giovani e allo stesso tempo a incoraggiare i giovani stessi a dare un contributo alla società. Queste politiche sono sostenute dall’azione concreta di un programma specifico per giovani, chiamato Gioventù in Azione. L’attuale generazione di giovani Europei è la prima ad essere cresciuta in un’Europa pacifica, in gran parte priva di frontiere. Un’Europa dove i giovani possono muoversi liberamente, lavorare e apprendere più semplicemente rispetto a prima, un’Europa diversa da quella in cui sono cresciuti i loro nonni o anche genitori. L’evoluzione delle Politiche Giovanili e l’inserimento di "gioventù" come concetto all’interno della politica Europea è un fenomeno relativamente recente. Il Trattato di Maastricht del 1993 ha esteso il campo delle politiche dell’Unione Europea al “settore” dei giovani, grazie all’Articolo 149 § 2. L’articolo dichiara che l’Unione Europea dovrebbe “incoraggiare lo sviluppo di scambi giovanili e lo scambio di istruttori socio-educativi…” Prima del 2001 le attività delle Istituzioni Europee nel settore giovanile si incentravano per lo più sulla considerazione e attuazione di programmi specifici, come “Gioventù per l’Europa”, lanciato nel 1988. Tuttavia l’opinione generale rimaneva che queste azioni e cooperazioni necessitavano di essere sostenute ulteriormente e che i giovani stessi necessitavano di essere coinvolti maggiormente. Allo scopo di ampliare e approfondire il dibattito politico e di andare oltre ai programmi Europei esistenti, la Commissione Europea considerò lo sviluppo di una fattiva cooperazione per i decenni futuri. Il punto centrale fu il Libro Bianco sulla Gioventù che fu adottato a Novembre 2001. Il Libro proponeva agli Stati Membri Europei di aumentare la cooperazione in quattro aree prioritarie per i giovani: partecipazione, informazione, attività di volontariato e miglioramento della conoscenza delle questioni riguardanti i giovani. Il Libro Bianco inoltre proponeva di tenere maggiormente in considerazione la dimensione giovanile anche nel contesto di altre rilevanti politiche, come ad esempio l’istruzione, la formazione, l’occupazione e l’inclusione sociale, la salute e la lotta contro la discriminazione. Fra le altre cose, il Libro Bianco rappresentò una risposta all’apparente disaffezione dei giovani nei 15 confronti delle tradizionali forme di partecipazione nella vita pubblica e sollecitò i giovani Europei a diventare dei cittadini maggiormente attivi. Sulla base del Libro Bianco, il Consiglio dell’Unione Europea a Luglio 2002 stabilì un quadro per la cooperazione Europea nel settore dei giovani. Più tardi, a Novembre 2005, il quadro venne aggiornato, con l’inserimento del Patto Europeo per i Giovani. Il quadro è ora costituito da 3 aspetti principali: - Cittadinanza attiva dei giovani. Gli Stati membri si sono concordati su obiettivi comuni per ognuna delle quattro priorità del Libro Bianco. Al fine di raggiungere questi obiettivi, viene applicato il Metodo di Coordinamento Aperto. Altri strumenti per promuovere la cittadinanza attiva dei giovani sono il programma Gioventù in Azione, il Portale dei Giovani e il Centro di Conoscenza Europeo sulle Politiche Giovanili. Il dialogo strutturato mira a coinvolgere i giovani in dibattiti politici legati all’agenda Europea. - Integrazione sociale e occupazionale dei giovani. Il Patto Europeo per i Giovani ha come obiettivo quello di migliorare l’istruzione e la formazione, le opportunità di occupazione, l’inclusione sociale dei giovani Europei, e allo stesso tempo facilitare la riconciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare. - Includere una dimensione giovanile nelle altre politiche. La Commissione Europea lavora attivamente per tenere in considerazione la dimensione giovanile anche nel contesto di altre rilevanti politiche, prime fra tutte la salute e la lotta contro la discriminazione. Oltre a questi aspetti, l’Unione Europea contribuisce allo sviluppo della mobilità dei giovani e del riconoscimento delle loro esperienze di apprendimento non-formale. La strategia giovanile UE 2010 – 2018. Nell’Aprile 2009, la Commissione ha presentato una Comunicazione dal titolo "Una strategia UE per i giovani – Investire e Rafforzare. Un metodo aperto di coordinamento rinnovato per affrontare le sfide e le opportunità dei giovani". La nuova strategia invita sia gli Stati membri che la Commissione, nel periodo 2010-1018, a cooperare nel settore giovanile attraverso un metodo aperto di coordinamento rinnovato. Propone un approccio transettoriale, con azioni a breve e lungo termine, che comprenda tutte le aree politiche chiave concernenti i giovani europei. La Strategia sottolinea l’importanza del lavoro giovanile e definisce misure rafforzate per una migliore attuazione delle politiche a favore della gioventù a livello dell'UE. Invita, inoltre, tutti gli Stati membri ad organizzare un dialogo permanente e regolare (Dialogo Strutturato) con i giovani. La Commissione nella sua Strategia incoraggia una politica giovanile maggiormente basata sulla ricerca e la concretezza. L’adozione da parte della Commissione della nuova strategia per la gioventù rappresenta il seguito di un ampio lavoro di consultazione realizzato nel 2008, che ha visto il coinvolgimento di autorità nazionali, il Foro Europeo dei Giovani, organizzazioni giovanili ed altre parti interessate. I giovani stessi sono stati consultati online e conseguentemente invitati a fornire il proprio feedback sulle proposte della Commissione in una nuova fase del dialogo permanente tra l’UE e i suoi giovani. Nel Novembre 2009, il Consiglio UE dei Ministri per la Gioventù, composto da 27 Stati membri dell’UE, ha adottato una Risoluzione su un quadro rinnovato per la cooperazione europea nel settore giovanile 16 per il prossimo decennio. La Risoluzione si basa sulla Comunicazione della Commissione dell’Aprile 2009 “Una Strategia UE per i Giovani: Investire e Rafforzare”. La nuova Strategia UE per i Giovani definisce due obiettivi generali: - Maggiori pari opportunità per i giovani nell’istruzione e nel mercato del lavoro - Cittadinanza attiva, inclusione sociale e solidarietà dei giovani Queste considerazioni di carattere storico-sociologico sono al centro dell’interesse che l’AICS deve attivare per intercettare le nuove proposte progettuali che l’Unione Europea diramerà a breve. A tale proposito sarà compito del Settore e del gruppo nazionale di progettazione affiancare o indirizzare i singoli comitati provinciali nella presentazione di progetti che consentano di accedere alle consistenti risorse finanziarie che la UE attribuirà ai Bandi europei. Le cifre prospettate parlano di centinaia di milioni di euro da investire e da attribuire alle organizzazioni che opereranno per favorire l’”inclusione lavorativa giovanile”. A tale proposito deve essere evidenziato che il consolidamento del rapporto con il Dipartimento della Giustizia Minorile costituirà un efficace strumento operativo da utilizzare nella presentazione dei progetti, considerata la accertata disponibilità del massimo organismo minorile ad affiancare l’AICS in termini di dichiarazione di partnership qualificata. L’inclusione occupazionale giovanile costituisce, infatti, un importante antidoto all’emarginazione e alla devianza post adolescenziale e spesso gli obiettivi associativi si coniugano in modo significativo con quelli delle politiche giudiziarie minorili. Ma, più in generale, il Settore delle politiche Sociali presterà attenzione alle indicazioni del mondo istituzionale e governativo che dovrà necessariamente movimentare la scena della politica rivolta ai giovani per non decretare la fine definitiva della “politica”, come strumento regolatore della realtà sociale. CITTADINANZA ATTIVA Con l’espressione “Cittadinanza attiva” si è soliti indicare la partecipazione consapevole delle persone alla vita politica e il loro pieno inserimento nella rete dei diritti e doveri che sono costitutivi dell’essere cittadino. Questa espressione torna, nell’era contemporanea, ad essere rivitalizzata e da più parti si ravvisa l’interesse per una nuova concezione di Cittadinanza, intesa quale esercizio di potere e di responsabilità del cittadino nella vita quotidiana della democrazia, dove si affrontano problemi di interesse pubblico (Trincia, 2008). Ma cosa si intende con questa espressione? Perché proprio oggi questo concetto tende a destare particolare interesse, nelle scienze sociali e politiche? Negli ultimi anni si è assistito ad un ritorno di interesse per il tema della Cittadinanza, sia come questione da discutere che come fenomeno da interpretare e fronteggiare. In questo rinnovato interesse si tende a significare la Cittadinanza Attiva come la presenza rilevante degli individui nell'arena pubblica della comunità nella quale vivono (Moro, 2005). Scrive Moro: “Possiamo intendere la Cittadinanza Attiva quale capacità dei cittadini di organizzarsi in modo multiforme, di mobilitare risorse umane, tecniche e finanziarie, e di agire nelle politiche pubbliche con modalità e strategie differenziate, per tutelare i diritti e prendersi cura dei beni comuni, esercitando a tale fine poteri e responsabilità" Ciò che sembra rilevante, in tale definizione, è da un lato l’oggetto della Cittadinanza Attiva, ovvero i diritti e i beni comuni, dall’altro l’identificazione del ruolo che la stessa sembrerebbe 17 assumere, relativo al potere che deriva dall'attivarsi in nome del bene comune. Se da una parte la nozione di Cittadinanza Attiva si configurerebbe, dunque, come quell'insieme di attori che condividono l'impegno per la cura dei beni comuni, sia nel senso della lotta contro il loro degrado, sia riguardo all'impegno per la loro dotazione per tutti i cittadini, dall'altra l'impegno principale della Cittadinanza Attiva consisterebbe nel “rendere tutelabili i diritti sanciti dalle leggi e quelli considerati patrimonio della collettività anche se non formalizzati in norme. Questo impegno può consistere nella mobilitazione di energie aggiuntive rispetto a quelle esistenti ma insufficienti, oppure nel sostituirsi del tutto all'azione delle strutture statuali”. La tutela dei diritti rappresenterebbe quindi, nell'ottica della Cittadinanza Attiva, una “modalità di azione mediante la quale la cittadinanza attiva stessa sperimenta la sua capacità di contare nei processi di sviluppo [...] la tutela dei diritti quindi, come strategia generale della cittadinanza attiva, rappresenta l'esercizio di forme di potere attraverso le quali il cittadino può manifestare, far valere e rendere effettive le sue legittime esigenze di fronte ai suoi interlocutori, o soddisfarle costruendo da sé le risposte” Proprio in questo senso esisterebbe “una stretta connessione tra il riconoscimento e le tutela dei diritti e i processi di empowerment, vale a dire di acquisizione da parte dei soggetti oppressi o comunque subalterni, del controllo sulle diverse manifestazioni del potere sociale” Si introduce così un elemento centrale nella definizione del concetto di Cittadinanza Attiva, quello di potere, concepito quale “senso di efficacia che emerge quando la gente comprende che può risolvere i problemi che si trova di fronte e ha diritto di contestare condizioni ingiuste” (Rubin e Rubin 1992). Si può, in definitiva, considerare la Cittadinanza Attiva una nozione-ombrello che tenta di accomunare una pluralità di esperienze e campi di azione sulla base di alcune caratteristiche peculiari quali la tutela dei diritti, l'empowerment dei cittadini e la cura dei beni comuni attraverso l'esercizio di specifici poteri. Tra le diverse trasformazioni intervenute nella contemporaneità, la crisi del fordismo e con essa la fine della modernità, hanno determinato il cambiamento del patto sociale alla base dei rapporti all'interno degli Stati, promuovendo l’emergenza di nuovi poteri e di nuove soggettività sociali (Moro, 2005). Ad essere entrata in crisi l’idea di uno Stato Nazione e la figura di cittadino insita nel concetto di rappresentanza politica. La crisi degli Stati, che fortemente ha influenzato il cambiamento degli assetti sociali nell’epoca contemporanea, si manifesta in ordine a diversi fenomeni: • la crisi del modello tradizionale di welfare e l'affermarsi di un neoliberismo 2 che nel contempo toglie compiti allo Stato e aumenta le necessità di protezione sociale e di tutela dei diritti (Moro, 1998); • la crisi di efficacia delle pubbliche istituzioni, e in particolare della loro capacità di gestire da sole problemi di rilevanza pubblica, di prevenire e risolvere i conflitti sociali; • strettamente connesso a ciò, il deficit di consenso dei cittadini verso le istituzioni politiche e la crisi della democrazia rappresentativa, evidenziata dalla sfiducia nelle leadership politiche e nei partiti e dal grande decremento della partecipazione elettorale. Accanto a questi cambiamenti il processo di progressiva globalizzazione, che ha portato con sé rilevanti flussi migratori e che ha contribuito a mettere in discussione la capacità dello Stato di essere vettore di identità nazionale: i confini culturali e quelli geografico-politici degli Stati Nazione non coincidono più. In questo panorama il concetto stesso di Cittadinanza entra in crisi. La Cittadinanza, che si concretizza in un insieme di diritti e doveri che regolano il rapporto tra uno Stato e gli individui o gruppi sociali che in quello Stato vivono la loro esperienza (Moro, 2005) sembrerebbe non essere più in grado di rappresentare la realtà delle cose. 18 Per quanto attiene, infine, ai diritti sociali, che riguardano la garanzia di adeguati standard di vita, con riferimento al lavoro, all'educazione, alla salute e alle pensioni, si vede come tale concezione vada in crisi con la parallela crisi dei sistemi di welfare. La Cittadinanza sociale, infatti, riguarda una Cittadinanza istituita dallo Stato come quadro politico e costituzionale dei benefici previsti dal welfare. Ma la crisi e la ridefinizione dei sistemi di welfare in termini di welfare society o welfare community, in cui sarebbe l'iniziativa sociale di individui, gruppi, organizzazioni a fornire tali benefici, anche se in partnership con lo Stato, tenderebbe a svuotare di significato la declinazione sociale stessa della Cittadinanza. La connotazione “Attiva”, allora, da un punto di vista psicologico, è spia di un modo di significare un problema (la crisi di un modello di convivenza fondato su un rapporto cittadini – istituzioni mediato da rappresentanza politica e, in risposta a ciò, garanzia di servizi di welfare, in cui il riferimento identitario è ad un modello unico di riconoscimento e garanzia delle libertà individuali) e, al tempo stesso, identificazione di una strategia di soluzione a tale problema. In particolare, si potrebbe rileggere la crisi degli Stati Nazione come crisi di “appartenenza” e la crisi del sistema di rappresentanza quale crisi della fiducia nel rapporto tra cittadini e istituzioni politiche, che veicola specifiche modalità di gestione del “potere” entro il rapporto stesso. La crisi della Cittadinanza, allora, potrebbe essere riletta quale indebolimento della capacità coagulante delle dimensioni di appartenenza e di potere come cornici di senso in grado di definire ed organizzare processi di convivenza, cornice che hanno fondato per molto tempo l’interpretazione personale e sociale dell’ambiente, organizzando e mediando l’azione sociale, l’interazione tra gli interessi, i percorsi collettivi di costruzione e scambio tra cittadini e istituzioni e tra cittadini e cittadini. La ricerca di strumenti attraverso cui far presenti i propri diritti (che assume spesso la forma di una rivendicazione, nelle pratiche di Cittadinanza Attiva) sembra configurarsi, infatti, come un modo per consolidare un modello di rapporto (tra cittadini ed istituzioni, così come tra cittadini e cittadini, cittadini e beni comuni) noto. Tale modello, infatti, non viene messo in discussione; al contrario si cerca di potenziarlo con altre opzioni (ad esempio configurando in modo ancora più netto il riferimento alla distinzione tra cittadini e istituzioni, come se le istituzioni fossero cosa altra dai cittadini, e sostenendo gli stessi a mettersi in rapporto con le stesse, attraverso dimensioni di potere). In questi termini, allora, la Cittadinanza Attiva sembrerebbe una strategia di soluzione ad un problema dovuto al confronto con un cambiamento, utilizzando le stesse premesse di fondo che lo hanno generato. Se la cornice di senso organizzata da appartenenza e potere è andata in crisi nel definire ed orientare processi di convivenza sociale e se è sensato immaginare che la “Cittadinanza Attiva” non sia altro che un tentativo di rispondere alla crisi, rendendo rilevanti le stesse categorie che sono in crisi, allora significa che è arrivato il momento di mettere in discussione il modello del problema stesso. In questi termini, quindi, non si tratterebbe di rendere la Cittadinanza più “Attiva” (e quindi: più potente in riferimento all’esercizio di diritti, e dunque, in ultima analisi, maggiormente ancorata a dimensioni identitarie, alla propria appartenenza), bensì maggiormente CAPACE di mettersi in relazione con un’estraneità, maggiormente COMPETENTE nel farsi carico di costruire un rapporto con l’altro, in riferimento ad uno specifico oggetto (un bene comune, ad esempio). Concepire la Cittadinanza quale “competenza a fruire di un contesto” (Salvatore, Scotto di Carlo, 2005) consente di pensarla come competenza, da parte di soggetti, organizzazioni, istituzioni, a perseguire scopi interpretando funzionalmente e prospetticamente la mediazione del contesto stesso. Tale competenza sostiene il soggetto nel costruire i significati della propria esperienza 19 storica e nel connettere risorse personali con condizioni e vincoli dell’ambiente di vita. In tal senso, così concepita, può rappresentare un sostegno alle funzioni di scelta e decisione di singoli e gruppi organizzati, intese come momenti critici dello scambio tra soggetti e ambiente; essa, in questi termini, diviene risorsa strategica per l’adattamento e l’inserimento sociale, alimento dei comportamenti e atteggiamenti di responsabilità, civismo, autoimprenditorialità, progettualità e orientamento al risultato, assunzione del rischio ed esploratività del contesto stesso. Concepire la Cittadinanza in questi termini consente di cogliere la crisi dei modelli di conoscenza, di azione e di rapporto contestuale come domanda di sviluppo per individui, gruppi, organizzazioni, istituzioni, confrontate con un cambiamento che rischiamo di non cogliere e non affrontare in modo produttivo, se si rimane entro le stesse premesse di fondo che oggi sono diventate critiche. QUESTO, DUNQUE, IN SINTESI L’ASPETTO TEORICO E DOTTRINALE CHE RIFLETTE SUI DUE TEMI DELLA INCLUSIONE OCCUPAZIONALE DEI GIOVANI E SULLA CITTADINANZA ATTIVA, TEMATICHE, NEL TEMPO, SEMPRE PIU’ PATRIMONIO DEI SAPERI DEI NOSTRI OPERATORI E SEMPRE PIU’ IN SINTONIA CON l’IDENTITA’ SOCIALE DELLA ASSOCIAZIONE. 20