L`urgenza dell`evangelizzazione oggi

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L’urgenza dell’evangelizzazione oggi: alla luce di alcuni documenti della chiesa italiana
Angelo Maffeis
Il compito che mi è stato affidato è di illustrare il tema dell’urgenza dell’evangelizzazione oggi; a
questa indicazione relativa al tema se ne è aggiunta una seconda, che suggeriva di trattare il tema a partire dalle
indicazioni proposte dai documenti magisteriali. Più che tentare di offrire un panorama completo, che si sarebbe
ridotto a poco più che un elenco di testi e di temi trattati, ho pensato di compiere una scelta e di delimitare il
campo in due modi: mi sono riferito ai documenti della chiesa italiana e ho preso in esame quelli più recenti, a
partire dal piano pastorale decennale che i vescovi italiani hanno proposto per il periodo 2000-2010.
Sono dunque quattro i testi su cui mi sono soffermato e dei quali intendo riproporre alcuni temi,
accompagnati da qualche sottolineatura e commento:
1. Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo
decennio del Duemila (2001).
2. Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Nota pastorale (2004).
3. CEI - Commissione episcopale per la dottrina della fede, Questa è la nostra fede (2005) sul tema del primo
annuncio.
4. CEI - Commissione episcopale per il laicato, Fare di Cristo il cuore del mondo (2005); lettera indirizzata ai
fedeli laici in vista del Convegno ecclesiale di Verona (ottobre 2006).
Il fondamento dell’evangelizzazione
Molti dei documenti pubblicati dai vescovi italiani nel periodo postconciliare partono dalla rilevazione
di quanto sta accadendo nel contesto sociale e culturale nel quale la chiesa è inserita ed è chiamata a svolgere la
sua missione. Su questa base si formulano poi indicazioni relative all’urgenza dell’evangelizzazione, ai suoi
soggetti e ai modi in cui essa deve realizzarsi. Questo schema, che parte dall’osservazione della realtà e dallo
sforzo di decifrare le dinamiche sociali in atto, si ispira alla Costituzione Gaudium et Spes, che si apre proprio
con un’analisi della situazione storica; proprio per tale ragione, questo documento conciliare è indicato da molti
commentatori come l’esempio di un cambio di metodo nell’esercizio del magistero, che abbandonerebbe il
procedimento deduttivo – dai principi alla realtà concreta – per assumere un metodo induttivo – dalla realtà
concreta nella quale Dio sta già operando alla definizione del compito della chiesa chiamata ad annunciare il
vangelo. Ispirandosi a questo modello, molti documenti pastorali sono stati costruiti secondo lo schema del
vedere, giudicare, agire, che al momento dell’analisi della realtà fa seguire il giudizio sulla base dei criteri
evangelici e, infine, formula le indicazioni relative all’agire pastorale.
Quando si leggono i documenti pastorali più recenti della chiesa italiana si constata che questo schema
è abbandonato o, comunque, subisce una consistente trasformazione. L’ascolto della realtà sociale e culturale
contemporanea rimane un elemento importante della riflessione, ma non è più il punto di partenza. Il punto di
partenza è invece rappresentato dalla illustrazione del contenuto del messaggio evangelico, che si riassume in
Cristo, nella sua persona, nel suo insegnamento, nella sua opera, nella sua vita, morte e risurrezione. Da questo
punto di vista è significativa la struttura del discorso sviluppato nel piano pastorale decennale Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia che, dopo l’introduzione, si articola in due capitoli: il primo porta il titolo Lo
sguardo fisso su Gesù, il secondo La Chiesa a servizio della missione di Cristo. Il primo capitolo si apre
significativamente con queste parole:
“La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di
fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne. [...] Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della
vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di
comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo. Solo seguendo l’itinerario della missione
dell’Inviato – dal seno del Padre fino alla glorificazione alla destra di Dio, passando per
l’abbassamento e l’umiliazione del Messia –, sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile
missionario conforme a quello del Servo, di cui essa stessa è serva” (Comunicare il Vangelo, n. 10).
Il modello cristologico offre non solo il contenuto normativo e irrinunciabile dell’annuncio cristiano,
ma anche il paradigma secondo cui pensare la missione della chiesa. Nella descrizione della storia della
salvezza, merita di essere ricordata in particolare l’accentuazione dell’umiliazione del Figlio inviato a compiere
la sua missione.
“In Cristo Dio si è comunicato e si comunica mediante una profonda condivisione dell’esperienza
umana. Egli non ha rifuggito l’opacità della storia, ma l’ha assunta per redimerla. Il Verbo,
condividendo la condizione umana, l’ha illuminata rivelando le profondità di Dio. Lui che da sempre
era presso Dio, per rivelare Dio si è posto accanto all’uomo. Anzi, si può dire di più: ha mostrato il
volto di Dio attraverso il dono di sé sino alla morte, e alla morte in croce. [...] La Chiesa non lo dovrà
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mai dimenticare: sarà questa la sua strada a servizio dell’amore e della rivelazione di Dio agli uomini”
(Comunicare il Vangelo, n. 14).
D’altra parte, l’umiliazione e la croce non sono l’ultima parola della vicenda terrena di Gesù, ma sono
la via alla risurrezione che è il principio della speranza che l’annuncio cristiano deve rendere accessibile.
“La Risurrezione fa della storia umana lo spazio dell’incontro possibile con la grazia di Dio con
quell’amore gratuito che fin dall’inizio ha creato l’uomo per vivere in comunione con lui e donargli la
vita eterna. Questo è il progetto di Dio, questa la sua volontà, per tutti! Ed è bene che torniamo a
insistere, nella predicazione e in altre forme di comunicazione, sul fondamento e sul significato di
questa speranza per la vita dei cristiani e degli uomini tutti” (Comunicare il Vangelo, n. 26).
Anche la descrizione del contenuto del messaggio proclamato dalla chiesa proposta nel documento
Questa è la nostra fede, dedicato al tema del primo annuncio, si muove nella stessa prospettiva. La
preoccupazione di mantenere integro il contenuto cristologico e trinitario dell’annuncio cristiano si coglie poi
con chiarezza soprattutto nel III capitolo del documento (Questa è la nostra fede, nn. 11-17) che, non a caso,
termina con una professione di fede:
“La nostra fede è questa: «In tutto e per tutto non c’è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo
Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono in lui» (Ireneo). Il primo annuncio deve saper
unire correttamente la professione di fede cristologica: « Gesù è il Signore», con la confessione
trinitaria: «Credo nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo», poiché non sono che due modalità di
esprimere la medesima fede cristiana” (Questa è la nostra fede, n. 16).
La ragione per cui nei testi citati si propone una sintesi della storia della salvezza e di quanto
l’annuncio cristiano deve proclamare è probabilmente la constatazione di una certa erosione dei contenuti della
dottrina cristiana, anche presso i cristiani. Si vuole quindi riproporre l’integrità dei contenuti dell’annuncio
cristiano come norma fondamentale dell’azione evangelizzatrice della chiesa. La redazione del Catechismo della
chiesa cattolica e quella più recente del Compendio del medesimo catechismo rispondono alla stessa esigenza di
completezza dei contenuti, che non devono essere selezionati o ridotti in modo arbitrario.
Tale scelte riflette poi probabilmente anche la convinzione che sia necessario partire dal contenuto
dell’annuncio cristiano per mettere a punto le forme e i mezzi con cui tale annuncio deve essere realizzato da
parte della chiesa. La chiesa che evangelizza è dunque chiamata ad essere fedele anzitutto alla norma stabilita
dal contenuto del messaggio che le è stato affidato perché lo proclami al mondo. Per questo è una cristologia,
inserita nell’insieme del piano divino di salvezza e illustrata nella sua rilevanza antropologica, il tema teologico
fondamentale illustrato nel primo capitolo del documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.
“Con la sua vita Gesù ci ha mostrato come vivere e come morire, con la sua risurrezione ci ha svelato
qual è il cammino nel quale la parola del Padre introduce colui che lo ascolta ed entra pienamente in
relazione con lui” (Comunicare il Vangelo, n. 27).
Il vangelo non deve essere annunciato con rinnovato vigore semplicemente perché i meccanismi di
trasmissione della fede sembrano oggi essersi inceppati, perché il contesto culturale non sembra prestare grande
interesse, perché la chiesa fatica a stabilire relazioni significative e a comunicare efficacemente con le persone,
ma perché il vangelo è messaggio di salvezza per l’umanità che porta in sé l’esigenza di essere proclamato.
L’oggi dell’evangelizzazione
Se l’analisi della situazione non è il punto di partenza, essa rimane nondimeno un passaggio essenziale
per giungere alla definizione dei modi in cui il compito dell’evangelizzazione può essere concretamente
realizzato. L’orientamento del Vangelo ad essere messaggio di salvezza e di speranza per l’essere umano, esige
infatti che l’annuncio della chiesa si confronti con le “gioie, le speranza, le tristezze e le angosce” dell’umanità
di oggi.
Anche in questo ambito si constata però un approccio originale. La comunità ecclesiale non vuole fare
semplicemente della sociologia religiosa, con taglio più o meno analitico o approssimativo. Nel secondo
capitolo del documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia la riflessione prende spunto dalla
necessità di compiere un discernimento dell’oggi di Dio: l’uso di questa categoria è interessante perché
suggerisce non tanto un approccio di tipo sociologico alla situazione, ma una lettura di tipo teologico, che si
interroga sui segni dell’azione divina nella storia umana. In questo discernimento del tempo presente, due
attenzioni si impongono in modo particolare:
1. “La prima consiste nello sforzo di metterci in ascolto della cultura del nostro mondo, per discernere
i semi del Verbo già presenti in essa, anche al di là dei confini visibili della Chiesa. Ascoltare le attese
più intime dei nostri contemporanei, prenderne sul serio desideri e ricerche, cercare di capire che cosa
fa ardere i loro cuori e cosa invece suscita in loro paura e diffidenza, è importante per poterci fare servi
della loro gioia e della loro speranza. Non possiamo affatto escludere, inoltre, che i non credenti
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abbiano qualcosa da insegnarci riguardo alla comprensione della vita e che dunque per vie inattese, il
Signore possa in certi momenti farci sentire la sua voce attraverso di loro” (n. 34).
2. “L’attenzione a ciò che emerge dalla ricerca dell’uomo non significa rinuncia alla differenza
cristiana, alla trascendenza del Vangelo, per acquiescenza alle attese più immediate di un’epoca o di
una cultura. [...] Vi è una novità irriducibile del messaggio cristiano: pur additando un cammino di
piena umanizzazione, esso non si limita a proporre un mero umanesimo” (Comunicare il Vangelo, n.
35).
Il secondo elemento ricordato conferma quanto si è detto a proposito del fondamento
dell’evangelizzazione: nel momento in cui si ascolta la cultura non si deve dimenticare che il vangelo è insieme
la risposta più autentica agli interrogativi umani, ma si pone anche criticamente in rapporto alla cultura.
L’esigenza di tenere insieme queste due attenzioni conferisce all’esperienza cristiana il suo carattere paradossale
e impegna i credenti a trasmettere la differenza evangelica nella storia.
Procedendo a un’indagine più analitica, il documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia
cerca di mettere il luce le potenzialità e gli ostacoli che la situazione culturale di oggi presenta per l’annuncio
cristiano e per la realizzazione della missione della chiesa.
Queste le potenzialità più significative che si possono constatare:
1. La presenza di un desiderio di autenticità , soprattutto tra i giovani.
2. La presenza di un desiderio di prossimità, di socialità, di incontro, di solidarietà e di ricerca della pace.
3. Una rinnovata ricerca di senso che avvicina di nuovo molti uomini e donne all’esperienza religiosa.
4. Lo sviluppo della scienza e della tecnica pone domande alle quali la scienza e la tecnica non sono in grado di
rispondere circa il fondamento e il senso dell’esistenza.
5. Lo sviluppo della comunicazione sociale offre nuove possibilità di conoscenza, di scambio e di
partecipazione.
Questi sono invece i rischi e i problemi:
1. Sono in aumento le persone che si dicono senza religione oppure che vivono in una condizione di
analfabetismo religioso; di conseguenza nella mentalità e nella legislazione si diffondono posizioni in contrasto
con il vangelo e la tradizione cristiana.
2. Si deve constatare una eclissi del senso morale, che rende difficile parlare dell’idea di bene.
3. C’è una scarsa trasmissione della memoria storica e dunque anche della tradizione religiosa.
Anche nel documento dedicato al primo annuncio si illustrano le caratteristiche del contesto sociale di
oggi, con le potenzialità positive e i limiti già segnalati dal piano pastorale del decennio. Si insiste in particolare
sulla necessità di fare i conti con un mutato contesto culturale e con la necessità che la dimensione culturale sia
presente nella ricerca dei modi più efficaci per realizzare l’evangelizzazione.
“In questo mutato contesto culturale non ci si può limitare a ripetere il Vangelo, occorre uno sforzo per
ricomprenderlo perché parli ancora alle donne e agli uomini di oggi. Non si tratta ovviamente di
annunciare un Vangelo diverso, ma occorre un modo diverso di annunciarlo. Il Vangelo è quello di
sempre, ma nuovo deve essere il modo di capirlo e di viverlo, non soltanto di dirlo, in modo che esso
liberi tutta la sua carica di rinnovamento e di speranza. È questo l’impegno del «progetto culturale»
della Chiesa in Italia, con il suo sforzo sempre più chiaro e determinato a tenere conto non solo delle
sfide che contrassegnano la comunicazione del Vangelo in questo inizio del terzo millennio, ma anche
delle interessanti opportunità che caratterizzano la nuova situazione” (Questa è la nostra fede, n. 7).
Quale comunità cristiana per l’evangelizzazione?
Dopo aver fatto la diagnosi della situazione attuale, il piano pastorale decennale si chiede quali compiti
siano prioritari per la chiesa italiana nel prossimo decennio. Prima di proporre i singoli aspetti dell’impegno al
quale la chiesa italiana è chiamata, si sottolinea l’importanza dell’orientamento di fondo della sua azione, che
deve assumere una chiara connotazione missionaria.
“Se comunicare il Vangelo è e resta il compito primario della Chiesa, guardando al prossimo decennio,
alla luce del contesto socio-culturale di cui abbiamo offerto qualche lineamento, intravediamo alcune
decisioni di fondo capaci di qualificare il nostro cammino ecclesiale. In particolare dare a tutta la vita
quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione
missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale,
teologico, culturale, umano; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli
uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per
l’umanità intera” (Comunicare il Vangelo, n. 44).
A questa indicazione fa eco il documento Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che
cambia, che si apre richiamando le indicazione proposte nel piano decennale per la chiesa italiana, che si
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riassumono nell’urgenza di ritrovare lo slancio missionario della chiesa.
“Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non
basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la
trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo
testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana
conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società” (Il
volto missionario, n. 1).
C’è dunque bisogno di una vera e propria conversione, che riguarda l’insieme della pastorale, che deve
orientarsi sempre di più a realizzare il compito missionario.
Il documento Il volto missionario delle parrocchie ha il merito di concretizzare il discorso
sull’evangelizzazione in riferimento alla comunità parrocchiale. Ogni discorso sulla missione della chiesa
chiamata a proclamare il messaggio evangelico rimane infatti generico e incompleto se non si riferisce a una
concreta comunità che vive in un luogo e che inserisce l’annuncio del vangelo nelle relazioni molteplici che essa
intreccia con le persone che vivono nello stesso luogo.
Il documento sulla parrocchia afferma che il “mondo della fede” non ha più caratteri unitari e allude a
“tre vicende spirituali nuove” che esigono risposte dalla comunità cristiana.
“Persone non battezzate domandano di diventare cristiane; e pure a chi non chiede deve giungere
l’annuncio di Gesù. [...] Ci sono poi i battezzati il cui Battesimo è restato senza risposta: possono anche
aver ricevuto tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma vivono di fatto lontani dalla Chiesa, su
una soglia non oltrepassata. [...] Ancora di più sono i battezzati la cui fede è rimasta allo stadio della
prima formazione cristiana; una fede mai rinnegata, mai del tutto dimenticata, ma in qualche modo
sospesa, rinviata” (Il volto missionario, n. 2).
In tale situazione, le parrocchie devono attrezzarsi per ascoltare e discernere i mutamenti della
situazione umana e sociale alla quale rivolgono l’annuncio; non si tratta più di un mondo che si orienta alla
parrocchia come naturale punto di riferimento, ma è la parrocchia a doversi situare nei diversi territori della
gente, per capirne i problemi e le possibilità.
È evidente che la parrocchia non inizia oggi l’opera dell’evangelizzazione, ma è erede di un’esperienza
secolare. E la forma tradizionale della parrocchia si è rivelata uno strumento efficace per inserire l’annuncio del
vangelo nella rete della relazioni sociali esistente tra coloro che vivevano nello stesso luogo. Il documento Il
volto missionario delle parrocchie lo riconosce quando afferma che storicamente la parrocchia ha cercato di
dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana; essa è la figura più conosciuta della chiesa per il suo
carattere di vicinanza a tutti. Ma oggi il tessuto sociale su cui per secoli l’azione evangelizzatrice della
parrocchia si è innestato sta conoscendo profonde trasformazioni, che mettono in crisi forme secolari di
pastorale ed espongono la comunità parrocchiale che non si rinnova ad alcuni rischi.
“Oggi [...] questa figura di parrocchia si trova minacciata da due possibili derive: da una parte la spinta
a fare della parrocchia una comunità «autoreferenziale», in cui ci si accontenta di trovarsi bene
insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione della parrocchia come
«centro di servizi» per l’amministrazione dei sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li
richiedono” (Il volto missionario, n. 4).
Il futuro della chiesa in Italia ha bisogno della parrocchia come luogo nel quale è possibile comunicare
e vivere il Vangelo. “Ma perché questo possa realizzarsi, è necessario disegnare con più cura il suo volto
missionario, rivedendone l’agire pastorale, per concentrarsi sulla scelta fondamentale dell’evangelizzazione” (Il
volto missionario, n. 5).
Oltre a sottolineare la necessità di una conversione missionaria della parrocchia, perché diventi
soggetto di evangelizzazione nel luogo in cui vive, i documenti pastorali dei vescovi italiani insistono anche
sulla finalità fondamentale che l’evangelizzazione deve perseguire: essa deve avere come obiettivo quello di far
crescere una fede adulta e pensata, capace di tenere insieme i diversi aspetti della vita. A questo obiettivo tende
il progetto catechistico della chiesa italiana, che è stato via via arricchito di indicazioni e che deve oggi
assumere una connotazione culturale. Già nel 1975 infatti Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi denunciava la
rottura tra il Vangelo e la cultura come il dramma per eccellenza della nostra epoca.
Il piano pastorale decennale constata come “in non poche comunità questo lavoro formativo e di aiuto
al discernimento dei giovani e degli adulti sia carente o addirittura assente” e questo esiga “una decisione
coraggiosa a cambiare le cose” (Comunicare il Vangelo, n. 50). La crescita di persone cristiane mature
rappresenta perciò l’obiettivo primario dell’evangelizzazione.
“Una parrocchia dal volto missionario deve assumere la scelta coraggiosa di servire la fede delle
persone in tutti i momenti e i luoghi in cui si esprime. Ciò significa tener conto di come la fede oggi
viene percepita e va educata. La cultura post-moderna apprezza la fede, ma la restringe al bisogno
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religioso; in pratica la fede è stimata e valorizzata se aiuta a dare unità e senso alla vita d’oggi
frammentata e dispersa. Più difficile risulta invece introdurre alla fede come apertura al trascendente e
alle scelte stabili di vita nella sequela di Cristo, superando il vissuto immediato, coltivando anche un
esito pubblico della propia esperienza cristiana.
Ogni sacerdote sa bene quanta fatica costa far passare dalla domanda che invoca guarigione, serenità e
fiducia alla forma di esistenza che arrischia l’avventura cristiana. Questo vale non solo per il servizio
agli altri, ma prima ancora per la scelta vocazionale, la vita della famiglia, l’onestà nella professione, la
testimonianza nella società” (Il volto missionario, n. 9).
Perché i discorsi della parrocchia non siano vuota retorica, essa deve servire la vita concreta delle
persone nella realizzazione del loro progetto di vita. Si indicano l’ambito degli affetti (la relazione tra uomo e
donna e la famiglia), il lavoro e il riposo come ambiti in cui questo progetto di vita si realizza e nei quali la
chiesa è chiamata ad essere presente con modelli praticabili di vita cristiana.
Lo stile dell’evangelizzazione e la responsabilità dei laici
Tutti i temi ricordati – il fondamento dell’evangelizzazione, la situazione attuale, la forma che la
comunità parrocchiale deve assumere per essere all’altezza del compito di evangelizzazione che le è affidato –
hanno significative conseguenze per i modi in cui l’opera dell’evangelizzazione deve essere realizzata e per i
soggetti che ad essa devono dedicare il proprio impegno.
Lo stile dell’evangelizzazione si definisce soprattutto in relazione alle nuove situazioni create dal
pluralismo religioso, che impone il confronto con persone appartenenti ad altre tradizioni religiose, e
dall’allargarsi dell’area formata da battezzati che stanno sulla soglia o hanno legami molto labili e incerti con la
comunità cristiana. “Questa area umana, cresciuta in modo rilevante negli ultimi decenni, chiede un
rinnovamento pastorale: un’attenzione ai battezzati che vivono un fragile rapporto con la Chiesa e un impegno
di primo annuncio, su cui innestare un vero e proprio itinerario di iniziazione o di ripresa della loro vita
cristiana” (Comunicare il Vangelo, n. 57).
Per prendersi cura di questi battezzati, la comunità cristiana deve valorizzare i momenti in cui li
incontrano concretamente: la richiesta dei sacramenti per i figli o del matrimonio, le preghiere per i defunti, le
feste liturgiche che li portano ad affacciarsi alla porta della chiesa.
“Tutti questi momenti, che a volte potrebbero essere sciupati da atteggiamenti di fretta da parte dei
presbiteri o da freddezza e indifferenza da parte della comunità parrocchiale, devono diventare preziosi
momenti di ascolto e di accoglienza. Solo a partire da una buona qualità dei rapporti umani sarà
possibile far risuonare nei nostri interlocutori l’annuncio del Vangelo: essi l’hanno ascoltato, ma
magari sonnecchia nei loro cuori in attesa di qualcuno o di qualcosa che ravvivi in loro il fuoco della
fede e dell’amore” (Comunicare il Vangelo, n. 57).
Il tema è ripreso dal documento sulla parrocchia:
“Occorre incrementare la dimensione dell’accoglienza, caratteristica di sempre delle nostre parrocchie:
tutti devono trovare nella parrocchia una porta aperta nei momenti difficili o gioiosi della vita.
L’accoglienza, cordiale e gratuita, è la condizione prima di ogni evangelizzazione. Su di essa deve
innestarsi l’annuncio, fatto di parola amichevole e, in tempi e modi opportuni, di esplicita
presentazione di Cristo, Salvatore del mondo. Per l’evangelizzazione è essenziale la comunicazione
della fede da credente a credente, da persona a persona” (Il volto missionario, n. 6).
L’ospitalità rappresenta quindi il primo e fondamentale atteggiamento che i cristiani e le comunità parrocchiali
sono chiamati ad assumere nei confronti di coloro ai quali sono chiamati a portare l’annuncio del vangelo.
“[L’ospitalità] va oltre l’accoglienza offerta a chi si rivolge alla parrocchia per chiedere qualche
servizio. Consiste nel saper fare spazio a chi è, o si sente, in qualche modo estraneo, o addirittura
straniero, rispetto alla comunità parrocchiale e quindi alla Chiesa stessa, eppure non rinuncia a sostare
nelle sue vicinanze, nella speranza di trovare un luogo, non troppo interno, ma neppure insignificante,
in cui realizzare un contatto; uno spazio aperto ma discreto in cui, nel dialogo, poter esprimere il
disagio e la fatica della propria ricerca, in rapporto alle attese nutrite nei confronti di Dio, della Chiesa,
della religione. [...] Occorre anche assumere un atteggiamento di ricerca. Cercare i dispersi, azione che
connota il pastore e la pastorale, significa provocare la domanda dove essa tace e contrastare le risposte
dominanti quando suonano estranee o avverse al Vangelo. [...] A nulla però varrebbe accogliere e
cercare se poi non si avesse nulla da offrire. Qui entra in gioco l’identità della fede, che deve trasparire
dalle parole e dai gesti” (Il volto missionario, n. 13).
La disponibilità ad accogliere e la ricerca di coloro che si trovano al di fuori degli spazi della comunità cristiana
permette di intrecciare un dialogo attraverso il quale può passare l’annuncio del vangelo.
“Ma, al di là delle occasioni in cui ogni battezzato viene a contatto con la comunità eucaristica, ci
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sembra importante che i cristiani più consapevoli della loro fede, insieme con le loro comunità, non si
stanchino di pensare a forme di dialogo e di incontro con tutti coloro che non sono partecipi degli
ordinari cammini della pastorale. Nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di
vita sociale si creano occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo. Qui si incontrano
battezzati da risvegliare alla fede, ma anche sempre più numerosi uomini e donne, giovani e fanciulli
nono battezzati, eredi di situazioni e di ateismo o agnosticismo, seguaci di altre religioni. Diventa
difficile stabilire i confini tra impegno di rivitalizzazione della speranza e della fede in coloro che, pur
battezzati, vivono lontani dalla Chiesa, e vero e proprio primo annuncio el Vangelo” (Comunicare il
Vangelo, n. 58).
Il documento insiste sul fatto che l’incontro con credenti di altre religioni rappresenta una chiamata
all’evangelizzazione, attraverso una testimonianza cristiana rispettosa, ma anche capace di far conoscere il
Vangelo a coloro che non l’hanno ancora incontrato.
Tutti i membri della chiesa sono coinvolti in quest’opera, ma un ruolo specifico e insostituibile spetta ai
laici. Per assumere il compito dell’evangelizzazione essi non hanno bisogno di ricevere qualche incarico
particolare.
“Non c’è bisogno, per il credente, di alcuna forma di investitura che vada al di là dei sacramenti
dell’iniziazione cristiana, né di alcuna delega speciale, né di alcuna competenza specifica per
comunicare il Vangelo nella vita ordinaria: l’impegno dell’evangelizzazione non è riservato a degli
specialisti, ma è proprio di tutta la comunità. Infatti, perché un credente sappia comunicare con la
testimonianza il primo annuncio della fede, non gli si richiede altro che credere e non vergognarsi del
Vangelo; basta dire, con atteggiamenti concreti e con linguaggio appropriato, perché si è lieti e fieri di
credere” (Questa è la nostra fede, n. 18).
Al tempo stesso, i documenti dei vescovi italiani insistono sulla necessità di formare i laici perché
possano dedicarsi all’evangelizzazione. È necessario “uscire da quello strano ed errato atteggiamento interiore
che faceva sentire il laico più «cliente» che compartecipe della vita e della missione della chiesa”(Fare di Cristo
il cuore del mondo, n. 3). Su questo insiste in particolare il documento sulla parrocchia, che vede la formazione
dei laici come condizione essenziale per realizzare la pastorale integrata – cioè con la collaborazione dei diversi
ministeri e delle vocazioni presenti nella parrocchia e tra le diverse parrocchie – che è necessaria.
“La cura e la formazione del laicato rappresentano un impegno urgente da attuare nell’ottica della
«pastorale integrata» e in una duplice direzione. La prima richiede una formazione ampia e
disinteressata del laicato, non indirizzata subito a un incarico pastorale e/o missionario ma alla crescita
della qualità testimoniale della fede cristiana. La seconda esige di promuovere su questo sfondo anche
una capacità di servizio ecclesiale, sia in forma occasionale e diffusa sia con impegno a tempo parziale
o pieno. Bisogna peraltro dire con franchezza che non c’è ministero nella Chiesa che non debba
alimentarsi a un’intensa corrente di spiritualità e di oblatività. La Chiesa non ha bisogno di
professionisti della pastorale, ma di una vasta area di gratuità nella quale chi svolge un servizio lo
accompagna con uno stile di vita evangelico” (Il volto missionario, n. 12).
“C’è bisogno di laici che non solo attendano generosamente ai ministeri tradizionali, ma che sappiano
anche assumerne di nuovi, dando vita a forme inedite di educazione alla fede e di pastorale, sempre
nella logica della comunione ecclesiale. Riconoscendo l’importanza e la preziosità di questa presenza,
si provvederà, da parte delle diocesi e delle parrocchie, anche alla destinazione coraggiosa e illuminata
di risorse per la formazione dei laici” (Comunicare il Vangelo, n. 54).
La lettera indirizzata ai laici in vista del Convegno ecclesiale di Verona richiama il cammino compiuto
dopo il Vaticano II nella valorizzazione del ruolo dei laici e nella ricerca dei modi per tradurre in atto la loro
responsabilità per la missione della chiesa. D’altra parte, con realismo, la lettera segnala anche i fenomeni di
segno opposto. In filigrana si leggono anche alcune difficoltà che il riconoscimento del un ruolo proprio dei laici
può presentare.
“Si ha talora la sensazione che lo slancio conciliare si sia attenuato. Sembra di notare, in particolare,
una diminuita passione per l’animazione cristiana del mondo del lavoro e delle professioni, della
politica e della cultura ecc. Vi è in alcuni casi anche un impoverimento di servizio pastorale all’interno
della comunità ecclesiale. Serve un’analisi attenta ed equilibrata delle ragioni dei ritardi e delle
distonie, per poterle colmare con il concorso di tutti.
A volte, può essere che il laico nella Chiesa si senta ancora poco valorizzato, poco ascoltato o
compreso. Oppure, all’opposto, può sembrare che anche la ripetuta convocazione dei fedeli laici da
parte dei pastori non trovi pronta e adeguata risposta, per disattenzione o per una certa sfiducia o un
larvato disimpegno. Dobbiamo superare questa situazione. Una cosa è certa: il Signore ci chiama;
chiama ognuno di noi per nome. [...] Nel mistero della comunione ecclesiale dobbiamo ricercare la
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coralità di una risposta armonica e differenziata alla chiamata e alla missione che il Signore affida a
ogni membro della Chiesa. Il momento attuale richiede cristiani missionari, non abitudinari” (Fare di
Cristo il cuore del mondo, n. 2).
Quello che è chiaro è che la valorizzazione dei ministeri laicali e delle forme nuove nelle quali essi sono
chiamati alla testimonianza non deve ridursi “alla redistribuzione di qualche compito oggi svolto dal presbitero
(anche se è necessario che questi si concentri di più sul proprio essenziale)” ma esige la “ricerca di nuove
opportunità e modalità tipiche della loro condizione laicale per il servizio della comunità cristiana” (Fare di
Cristo il cuore del mondo, n. 8).
Dell’eredità del Vaticano II, i riferimenti alla vocazione laicale presenti nei documenti recenti dei
vescovi italiani recuperano soprattutto la dimensione secolare della testimonianza, nell’ambito della vita
professionale e della partecipazione all’edificazione della comunità civile.
Conclusione
I documenti esaminati mettono in rilievo anche il significato che le forme associate di impegno laicale
assumono per l’evangelizzazione. Nel contesto dedicato alla presenza dei laici nei doversi ambienti di vita,
attraverso la capacità di partecipare al dialogo sui grandi temi della società civile, attraverso la loro competenza
professionale e mettendo in comunicazione la chiesa e il territorio, il piano pastorale decennale dedica un
passaggio anche al ruolo dei laici associati nell’Azione Cattolica.
“In questa prospettiva intendiamo sostenere con attenzione e speranza il cammino dell’Azione
Cattolica, da cui, in particolare, ci attendiamo un’esemplarità formativa e un impegno che, mentre si fa
sensibile alle necessità pastorali delle parrocchie, contribuisca a rinvigorire, mediante la testimonianza
apostolica tipicamente laicale dei suoi aderenti, il dialogo e la condivisione della speranza evangelica in
tutti gli ambienti della vita quotidiana” (Comunicare il Vangelo, n. 61).
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