Cass. civ., Sez. II, Sent. 3 giugno 2009, n. 12828
Svolgimento del processo
1. - La società H. S. di A. M. & C. s.n.c. convenne innanzi al Tribunale di Bolzano la società S.
s.a.s. per sentirla condannare al pagamento dell'importo di lire 74.894.600, quale residuo
corrispettivo, I.V.A. inclusa, dedotto l'acconto di lire 10.000.000, per fatture non pagate
relative a lavori di termoidraulica effettuati nel corso della costruzione di un capannone
comprendente anche lavori extracontrattuali in economia.
La convenuta S., contestate le pretese attoree, chiese, in via riconvenzionale, la condanna
della attrice al pagamento dell'importo di lire 95.000.000, a titolo di penale per la ritardata
ultimazione dei lavori, assumendo che il mancato pagamento di quanto richiesto dalla H. S. era
dovuto alla ritardata consegna dei lavori commissionati, tanto che la ditta E., committente
della S., aveva intentato un'azione di risarcimento danni nei suoi confronti. Il Tribunale adito,
rigettata la domanda riconvenzionale, condannò la S. a pagare all'attrice la somma di lire
49.957.005, oltre a rivalutazione ed interessi compensativi al tasso del 5 per cento annuo fino
al 31 dicembre 2001, e gli interessi legali sull'importo rivalutato da tale data.
2. - La S. propose gravame, che fu respinto con sentenza della Corte d'appello di Trento - Sez.
distaccata di Bolzano, depositata il 26 maggio 2003.
Per quanto ancora rileva nella presente sede, in ordine al motivo di gravame con il quale si
contestavano i conteggi effettuati dai vari consulenti tecnici nominati dal Tribunale, nonché le
conclusioni cui questo era giunto, poiché nulla sarebbe stato dovuto per i lavori extra contratto
non avendo la H. fornito la prova che detti lavori fossero stati commissionati dalla S., e si
denunciava la liquidazione equitativa, ex art. 1226 cod. civ., di quanto asseritamente dovuto,
la Corte osservò che l'attrice aveva eseguito tutti i lavori richiesti dalla S., come confermato
dalle consulenze tecniche di ufficio e dalle bollette prodotte dalla stessa H., mentre non
assumevano alcun rilievo né la circostanza che, nell'esecuzione dei lavori in economia, non
fossero state rispettate alla lettera le prescrizioni del contratto di appalto, atteso che i lavori
erano stati comunque accettati dalla S., né quella che alcuni dei lavori in economia fossero
stati fatturati tra i lavori eseguiti in applicazione del contratto di appalto, o viceversa,
trattandosi di semplici artigiani, e considerato che nemmeno tecnici diplomati o laureati
riescono sempre ad inquadrare in modo inappuntabile i vari lavori nell'una o nell'altra
categoria.
Ad avviso della Corte di merito, risultava pretestuoso il tardivo tentativo della S. di coinvolgere
nella vertenza con la H. S. anche la prima committente E., con la quale la predetta H. non
aveva stipulato alcun contratto né concluso alcun accordo, tanto più che la S. non aveva
contestato che essa avesse materialmente eseguito i lavori in economia.
Quanto al rilievo secondo cui il debito di cui si tratta non era di valore, ma di valuta, e, come
tale, sottoposto alla disciplina dell'art. 1277 cod. civ., la Corte ritenne che tale obiezione, pur
condivisibile, non fosse sufficiente per modificare nella sostanza la decisione del primo giudice.
Dal testo delle conclusioni rassegnate in primo grado dall'attrice risultava, infatti, che essa,
dopo la richiesta di pagamento dell'importo capitale, aveva aggiunto «oltre agli interessi legali
e alla rivalutazione dal dì del dovuto al saldo effettivo, nonché al maggior danno subito
dall'attrice».
Dalla documentazione prodotta dalla stessa risultava, inoltre, che la H. era stata costretta a
richiedere dei finanziamenti bancari al tasso del 16 per cento, dimostrando così di aver subito
un danno, che, avuto riguardo alla inflazione, era senz'altro superiore rispetto alla rivalutazione
che il primo giudice avrebbe erroneamente riconosciuto. Quindi, ritenuto che, in mancanza di
appello incidentale della H., non era possibile riconoscere alla stessa il maggior danno per
interessi bancari, esso doveva esserle riconosciuto nei limiti degli interessi compensativi, come
ammessi dal primo giudice. La sentenza doveva, pertanto, essere confermata anche su tale
punto, anche se per motivi diversi.
Quanto alla contestazione della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva
respinto la domanda riconvenzionale di pagamento dell'importo di lire 95.000.000 a titolo di
penale per la ritardata esecuzione dei lavori, nonché alla doglianza relativa alla mancata
ammissione dei capitoli di prova offerti, la Corte di merito ritenne infondata la censura,
considerando raggiunta la prova, alla stregua del complessivo esame del materiale probatorio
raccolto, che il ritardo in cui era incorsa la H. fosse incolpevole. Per un verso, infatti, essa non
aveva potuto rispettare il termine del 30 luglio 1992 previsto per i lavori di cui al contratto di
appalto per non essere il cantiere pronto per la effettuazione dei lavori di idraulica e per essere
stati richiesti, in corso d'opera, consistenti lavori in economia. Per altro verso, la H. non aveva
ricevuto alcun sollecito ad eseguire i lavori entro detto termine, ed anzi la stessa S. aveva
omesso l'attività di coordinamento tra le varie ditte interessate ai lavori, attività indispensabile
al sollecito svolgimento degli stessi. Infine, i capitoli offerti dalla S., anche se ammessi, non
avrebbero provato nulla in ordine alla responsabilità della H. per il lamentato ritardo,
trattandosi di elementi pacifici o irrilevanti. Comunque, la S. era decaduta dalle prove per
avere omesso di riformulare i capitoli secondo le indicazioni del g.i.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la S. s.a.s. sulla base di quattro motivi, illustrati
anche da successiva memoria. Resiste con controricorso la H. S. s.n.c.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo di ricorso, si lamenta «violazione di legge (art. 61, 115, 116, 214,
215, 216 cod. proc. civ., 1325, n. 1, 1326, 1372, 2702 e 2697 cod. civ.), travisamento e
omessa, o comunque insufficiente e/o carente motivazione per aver ritenuto comprovata in
causa, tramite scritture private firmate dalla S. s.a.s., la sussistenza di vincolo contrattuale tra
costei e l'H. S. s.n.c. avente ad oggetto l'esecuzione di lavori in economia richiesta da essa
S.». La ricorrente sottolinea di non aver mai commissionato alla H. S. i lavori extracontrattuali
in questione, tranne quelli di cui al doc. n. 17, e che agli atti non esisteva prova contraria,
essendo state disconosciute le bollette intestate alla S. cui si fa riferimento nella sentenza
impugnata. Né alcuna valenza in senso contrario poteva essere attribuita alle c.t.u. in ordine ai
lavori in economia, che si erano limitate a valutare la congruità dei prezzi esposti per tali lavori
e la ricomprensione degli stessi nei lavori contrattuali, ma non si erano poste il problema di chi
avesse commissionato i lavori in economia alla H.. Errata era poi l'affermazione che la S. non
avrebbe contestato che quest'ultima avesse eseguito i lavori in economia di cui si tratta,
laddove tale contestazione in realtà era avvenuta fin dall'atto della costituzione in giudizio.
L'affermazione era comunque irrilevante, poiché la questione consisteva nella verifica se le
opere in esame fossero state richieste dalla S. all'H..
2.1. - La censura è inammissibile.
2.2. - Essa, infatti, pur attraverso la formale denuncia della violazione di diverse disposizioni
codicistiche, risulta sostanzialmente intesa a sollecitare una rivisitazione del quadro probatorio,
inibita a questa Corte in presenza di una congrua e non illogica valutazione dello stesso da
parte del giudice di merito.
Il motivo si incentra essenzialmente sulla prova, che la ricorrente ritiene non raggiunta,
dell'avvenuta richiesta di esecuzione dei lavori in economia alla H. S. da parte della stessa S..
Al riguardo, la Corte di merito ha motivato in modo corretto sul piano giuridico e logicamente
adeguato il proprio convincimento che le bollette prodotte dalla H., unitamente alle risultanze
delle c.t.u. disposte, costituissero sufficiente dimostrazione che tutti i lavori da quella eseguiti
fossero stati commissionati dalla S..
3. - Con il secondo motivo, si deduce violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., nullità della
sentenza, difetto assoluto di motivazione.
La sentenza di primo grado aveva riconosciuto alla H. S. un importo di lire 2.901.800 per
pretesi lavori mai fatturati alla S., non richiesto dall'attrice. Con l'atto di appello, la S. aveva
censurato la sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per ultrapetizione. Detta
doglianza era stata completamente ignorata dalla Corte di merito.
4. - La doglianza è immeritevole di accoglimento, ove solo si consideri che la sentenza
impugnata ha eS.nato, nel suo complesso, il rilievo relativo ai conteggi effettuati dai vari
consulenti nominati dal Tribunale, confermandone la esattezza, e, quindi, implicitamente,
rigettando la censura di extrapetizione formulata con l'atto di appello.
5. - Con il terzo motivo, si denuncia «violazione artt. 1211, 1284, 1224 e 2691 cod. civ. e 115
cod. proc. civ. per aver riconosciuto all'attrice la rivalutazione monetaria, sia pure
qualificandola come “interessi compensativi” dovuti per risarcimento del danno - difetto di
motivazione». La Corte d'appello, pur avendo dato atto che il giudice di primo grado aveva
errato nel riconoscere al credito della H. S. natura di credito di valore e, conseguentemente,
nel riconoscere il diritto alla rivalutazione monetaria, aveva ritenuto che la sentenza del
Tribunale non dovesse essere modificata, in quanto la stessa H. avrebbe comprovato di aver
subito un danno, avendo dovuto richiedere finanziamenti bancari al tasso del 16 per cento, e
che tale danno superava la rivalutazione erroneamente riconosciuta a suo favore dal primo
giudice, con la conseguenza che esso doveva essere risarcito sotto forma di interessi
compensativi. In realtà, l'attrice non aveva affatto provato di aver subito un danno ulteriore e
di avere, quindi, diritto ad una somma superiore rispetto agli interessi legali, non essendo
emerso dalla documentazione allegata che l'H. S. avesse mai acceso dei finanziamenti bancari,
ma solo che aveva ottenuto dalla banca una comunicazione relativa alle condizioni di eventuali
finanziamenti. In nessun caso, poi, il cumulo tra rivalutazione ed interessi compensativi
sarebbe stato logicamente e giuridicamente giustificabile. Il Tribunale era, infatti, partito
dall'erroneo presupposto che si trattasse di debito di valore, ed aveva applicato principi dettati
per il risarcimento dei danni da illecito extracontrattuale.
6.1. - La doglianza è fondata nei termini e nei limiti che seguono.
6.2. - Premesso che il debito di valuta non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto
del processo inflattivo della moneta, in caso di inadempimento o ritardato adempimento
dell'obbligazione la rivalutazione monetaria del credito può essere riconosciuta, sempre che il
creditore alleghi e dimostri, ai sensi del secondo comma dell'art. 1224 cod. civ., l'esistenza del
maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e
non compensato dalla corresponsione degli interessi legali previsti con funzione risarcitoria in
misura forfettariamente predeterminata dal primo comma dell'art. 1224 cod. civ. (Cass., sent.
n. 11594 del 2004). Di recente, le SS.UU., con sentenza n. 19499 del 2008, hanno, poi,
chiarito che nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno
di cui all'art. 1224, secondo comma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i
casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza
non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale
ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la
qualità soggettiva o l'attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di
pensionato, impiegato, ecc.), fermo testando che se il creditore domanda, a titolo di
risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio
di rendimento dei titoli di Stato, avrà l'onere di provare l'esistenza e l'ammontare di tale
pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di
imprenditore, avrà l'onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario
sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero - attraverso la produzione dei bilanci - quale
fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal
canto suo, avrà invece l'onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il
creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegate il denaro
dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al
saggio legale.
6.3. - Nella specie, il giudice di secondo grado, pur avendo dato atto dell'errore in cui era
incorso il Tribunale nel qualificare il debito in questione come debito di valore, anziché di valuta
(come tale assoggettato alla disciplina di cui all'art. 1277 cod. civ., che esclude la
rivalutazione), ha, poi, contraddittoriamente, confermato la decisione di primo grado, che
aveva statuito la debenza della rivalutazione in base agli indici Istat, oltre agli interessi
compensativi al tasso annuo del 5 per cento in difetto di prova del maggior danno, ed inoltre
gli interessi legali. Ciò ha fatto nella considerazione che l'attrice, in primo grado, oltre a
richiedere il pagamento dell'importo capitale, aveva richiesto altresì gli interessi legali e la
rivalutazione dal giorno del dovuto al saldo effettivo, nonché il maggior danno subito, ed, al
riguardo, aveva dimostrato di aver dovuto richiedere dei finanziamenti bancari al tasso del 16
per cento, in misura, cioè, sicuramente superiore rispetto alla rivalutazione che il primo giudice
aveva riconosciuto, e che, tuttavia, in mancanza di appello incidentale da parte della H., tale
maggior danno non poteva essere ad essa riconosciuto se non nei limiti degli interessi
compensativi.
Il vizio di tale costruzione consiste, però, nell'aver ammesso il cumulo tra rivalutazione - che si
sarebbe dovuta sicuramente escludere, trattandosi, come si è visto, di debito di valuta - ed
interessi compensativi.
7. - Con il quarto motivo, si lamenta «violazione di legge (con riferimento agli artt. 115, 116,
187 IV comma nel testo ante riforma, 245, 346, c.p.c., 2697 e 2729 c.c. per aver ritenuto
sussistente agli atti, mediante mera presunzione, prova che il ritardo dell'H. S. s.n.c.
nell'ultimazione dei lavori fosse incolpevole e non aver altresì dato ingresso alle prove orali
offerte dalla S. ritenendo erroneamente quest'ultima decaduta dalle stesse, respingendo così la
domanda riconvenzionale della S. s.a.s. relativa al pagamento della penale contrattuale
violando il principio dell'onere della prova - omessa o comunque insufficiente motivazione sul
punto». L'H. S. avrebbe dovuto rispettare il termine del 30 luglio 1992 quanto meno per i
lavori contrattuali. Né il ritardo potrebbe giustificarsi con il rilievo che erano stati richiesti ed
eseguiti anche lavori in economia, in realtà, peraltro non commissionati dalla S.: la presenza di
lavori aggiuntivi e complementari non incide sulla esecuzione dei lavori principali contrattuali.
Irrilevante era, poi, la circostanza, evidenziata dalla Corte di merito, della mancanza di solleciti
alla H., come della mancanza di attività di coordinamento tra le varie imprese operanti in
cantiere, attività non spettante alla S.. Avrebbe, ancora, errato la Corte di merito nel non
ammettere i capitoli di prova richiesti dalla attuale ricorrente, che tendevano a dimostrare la
responsabilità della H. nel ritardo ed il carattere reale, e non virtuale, del pregiudizio subito per
il ritardo. Sarebbe, poi, erronea l'affermazione della Corte territoriale sulla intervenuta
decadenza della S. dalle prove per mancata ottemperanza alla ordinanza del g.i., decadenza
già esclusa dal giudice di primo grado, ed in ordine alla quale nessuna eccezione era stata
riproposta in appello. Del resto, l'invito, contenuto nella citata ordinanza, ad una riformulazione
dei capitoli di prova si riferiva esclusivamente a quelli formulati dall'attrice.
8.1. - La doglianza è inammissibile in ognuna delle sue articolazioni.
8.2. - Ancora una volta la ricorrente tende ad ottenere da questa Corte un sindacato, ad essa,
invece, inibito, sulla valutazione delle risultanze processuali, correttamente e congruamente
operata dal giudice di secondo grado.
La Corte territoriale ha, invero, eS.nato il materiale probatorio a disposizione, e ne ha tratto il
convincimento, motivato in modo ampiamente argomentato, dell'avvenuto raggiungimento
della dimostrazione che il ritardo in cui era incorsa la H. fosse incolpevole. Induceva a tale
conclusione, secondo l'esaustivo iter motivazionale esposto dal giudice di secondo grado,
anzitutto la considerazione che il termine, posto contrattualmente, non potesse che riguardare
i lavori previsti nel contratto di appalto, e non anche quelli svolti in economia. Peraltro, il
ritardo nella consegna dei lavori - neanche sollecitata dalla S. - appariva giustificato, per un
verso, dalla circostanza della mancata predisposizione del cantiere per la esecuzione delle
opere di idraulica, e, per l'altro, dalla mancata opera di coordinamento tra le varie ditte
interessate ai lavori.
8.3. - Parimenti inammissibile si rivela la censura nella parte afferente alla mancata
ammissione dei capitoli di prova richiesti dalla S., incensurabile essendo nella presente sede la
valutazione della Corte di merito circa la non rilevanza degli stessi al fine della dimostrazione
dell'addebitabilità del ritardo nella consegna dei lavori alla H. S.. E ciò a prescindere dalla
ritenuta decadenza della S. dalle prove a causa della omessa riformulazione dei capitoli
secondo le indicazioni della ordinanza del g.i. in data 8 ottobre 1999.
9. - Conclusivamente, va accolto il terzo motivo del ricorso, per il resto da rigettare. La
sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo
comma, cod. proc. civ., con l'accoglimento dell'appello della S. limitatamente ai capi della
sentenza di primo grado relativi alla rivalutazione monetaria ed agli interessi, riconoscendo
dovuti, in aggiunta alla sorte capitale, i soli interessi compensativi, a decorrere dal 15 giugno
1994, data di notifica dell'atto di citazione, con esclusione della rivalutazione.
Avuto riguardo alla parziale soccombenza di ciascuna delle parti, sussistono giusti motivi per la
compensazione delle spese tra le stesse.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso, accoglie il terzo. Cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, accoglie l'appello
limitatamente ai capi della sentenza di primo grado relativi alla svalutazione monetaria ed agli
interessi, riconoscendo dovuti, in aggiunta alla sorte capitale, i soli interessi compensativi a
decorrere dal 15 giugno 1994, con esclusione della rivalutazione. Dichiara interamente
compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio.