Università degli studi di Padova

annuncio pubblicitario
Introduzione alla ricerca filosofica
Ad uso e… consumo della classe terza
«Fare dei piani il più delle volte è una sontuosa e vanagloriosa
occupazione dello spirito, con cui si dà un’aria di genio creatore con
l’esigere ciò che non si può fare da sé; col biasimare ciò che pure non si
può fare meglio; e col proporre ciò che da sé non si sa dove trovare»
[I. KANT, Prolegomeni ad ogni futura metafisica. A cura di R.
Ciafardone = Biblioteca filosofica Laterza, Laterza, Bari, 1992, 54]
«Ma quanto, e quanto correttamente penseremmo, se non
pensassimo per così dire in comune con altri a cui comunichiamo i
nostri pensieri, e che ci comunicano i loro?» [I. KANT, Che cosa
significa orientarsi nel pensiero. A cura di F. Volpi, 62]
Aggiungere: cos’è la ratio?
Il testo introduttivo di Th. Hobbes De corpore
Giovanni Aliberti
2
IL FARE FILOSOFIA
«Si può apprendere la filosofia senza saper filosofare. Chi vuole diventare davvero filosofo deve
dunque, esercitarsi a fare della propria ragione un uso libero e non un uso solo d’imitazione e, per così
dire, meccanico»1
Che cos’è la filosofia?
L’oggetto del filosofare
La domanda “cos’è la filosofia?” si lega al problema della ricerca dell’oggetto della filosofia.
Nelle altre discipline esistono oggetti, più o meno concreti, sia essi fenomeni (ciò che appare alla
osservazione in laboratorio), o piuttosto fatti (come le leggi di uno stato, le imprese di Napoleone), che
ci consentono di fare fisica o di fare storia. Su di essi si è costruito, tra prove ed errori, una conoscenza
certa, che in alcuni casi assume la pretesa di vero assoluto.
Come ogni disciplina che si studia a scuola, la filosofia è un sapere. La conoscenza
presuppone in genere due attori: il soggetto che conosce (l’uomo) e l’oggetto da conoscere.
In base all’oggetto della conoscenza l’uomo assume caratterizzazioni specifiche: possiamo
avere conoscenze empiriche (fondate su fatti) e conoscenze razionali (fondate su principi) 2. Se sono
fatti storici l’uomo è uno storico e fa storia; se sono norme, l’uomo diventa un giurista e fa
giurisprudenza…
Se è l’oggetto che specifica la conoscenza è, però, il soggetto che crea la conoscenza,
quando, per così dire, pone delle domande all’oggetto. Si crea un sorta di circolo, come la chiamava
un grande filosofo contemporaneo.
E’ come un interrogatorio, dove l’interrogato (il classico maggiordomo) dice sempre la verità a
patto che colui che interroga ponga sempre le domande giuste. Inoltre, il bravo detective è attento non
solo a cosa chiedere, ma anche al modo con cui chiede le informazioni. Infatti, non solo è attento a
chiedergli cosa stesse facendo all’ora del delitto, ma crea anche le condizioni migliori per ottenere le
informazioni (esempio è la classica lampada da tavolo con la luce diretta sul viso). Solo se le domande
sono pertinenti e mirate il maggiordomo risponde, altrimenti tace.
Così il fisico deve porre le domande giuste alla natura, altrimenti, quando non tace, risponde
altro. E la fisica è diventata conoscenza certa solo dopo che l’uomo ha imparato a fare domande
pertinenti e nel modo giusto. Nella conoscenza (compresa quella filosofica) è importante che il soggetto
sappia cosa chiedere e come chiederlo; nella scienza, infatti, sono importati tanto l’oggetto
quanto il metodo di ricerca.
Ma torniamo alla filosofia.
Se per altre scienze è relativamente facile invenire il fatto/fenomeno che è oggetto di studio, per
la filosofia è abbastanza problematico. Alla fine del corso istituzionale di un liceo, lo studente più…
1
2
I. KANT, Logica = BUL 111, Laterza, Roma Bari 19902, 17.
I. KANT, Logica…, cit., 16.
3
distratto potrebbe rispondere con un certo imbarazzo alla domanda: “Cos’è, insomma, la filosofia?”. In
genere si riduce ad una successione di nomi di personaggi più o meno famosi, seguiti a volte da parole,
che dovrebbero sintetizzare l’oggetto della loro ricerca, ma che si riducono, molto spesso, a puri suoni
privi di contenuto (“Leibniz?!” - “Ah sì, quello delle mònadi!”); sempre che non vengano personalizzati
con coloriti giudizi di valore (“Leibniz?!” - “Ah sì, quello delle mònadi!” – “Ma si dice mònade o..
monàde?”); altre volte, quando il modello di razionalità travalica il nebbioso ricordo, si affiancano al
nome del filosofo quelle sensazioni che suscita, in genere, uno studio privo di universo di senso
(“Leibniz?!” - “Cosa diceva?” – “Buah!” - “Che pizza!!”).
In storia abbiamo dei fatti che pur se stravolti non possono, in genere, essere negati. Per la
filosofia, invece, c’è un problema che il suo oggetto non è facilmente identificabile, tanto da essere
confuso alla fine con una carrellata/carosello di pensieri (la famosa hegeliana filastrocca di opinioni)
circa il proprio oggetto, i propri limiti e i propri obiettivi 3. Si identifica la filosofia con i filosofi! Ma anche a
questo punto la domanda ritorna: se lo studente studia i filosofi, i filosofi cosa studiano? Insomma, cosa
apprende colui che apprende filosofia?
La risposta a questa domanda è strettamente legata, se non si identifica, sempre con la
domanda iniziale, cos’è la filosofia?
Quid est phlosophia?
Possiamo tentare di individuare la risposta partendo dalla considerazione di un fatto che
caratterizza la cultura occidentale. La filosofia è stata la prima scienza (tentativo/pretesa dell’uomo di
conoscenza certa) da cui, come una sorta di gemmazione sono sorte le altre scienze. Questo fatto ci
dice che c’è in essa qualcosa che è fondante la conoscenza certa (sia come tentativo sia come
pretesa). Proviamo a ricercarne le origini.
Aristotele (384-322 a.C.) è stato sicuramente tra i primi a tentare una risposta consapevole,
definendo la fonte della ricerca filosofica nella meraviglia che nasce dall’atto della teoresi, che è tradotta
in italiano con un termine di derivazione latina (contemplazione), che ha un’etimologia (contemplatio)
molto lontana dal teoresis greco:
«Gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per
filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e di cui essi non
sapevano rendersi conto, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, si
trovarono di fronte a maggiori difficoltà, quali i fenomeni della luna e del sole e delle stelle e l'origine
dell'universo. Chi è nell'incertezza e nella meraviglia crede di essere nell'ignoranza […]; e quindi, se è vero
che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all'ignoranza, è evidente che essi perseguivano
la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico»4.
Un testo di Heidegger (1889-1976) spiega molto bene il significato di teoresis. Esso ha una
duplice origine che è  e . Entrambi questi termini significano vedere, ma con due accezioni
differenti. Il primo () indica il vedere ammirando un panorama nella sua totalità in uno sguardo
d’insieme: come quando, giunto su di un’altura, contemplo il paesaggio che mi circonda muovendomi
intorno (a quanti non è capitato di tirare su il naso e notare il cielo stellato?). Ma questo è solo il primo
3
Cfr. L. ILLETTERATI, Gli obiettivi dell’insegnamento della filosofia come problema per la filosofia in CENTRO
INTERUNIVERSITARIO DI DIDATTICA DELLA FILOSOFIA, L’insegnamento della filosofia oggi. A cura di F. De Natale, Stilo,
Bari 2003, 56-59. E’ come, dice Hegel, «viaggiare sempre senza conoscere le città, i fiumi, i paesi, gli uomini», cit in Ibidem, 69.
Cfr. M. DE PASQUALE, La filosofia nella scuola del 2000 in ID., Filosofia per tutti. La filosofia per la scuola e la società del 2000.
Prefazione di E. Berti, Franco Angeli, 1998, 63.
4
19883.7-11.
Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, A, 2, 982a-983 in ID., Opere. Vol. VI: Metafisica = BUL 52, Laterza, Bari
4
passo della teoresi. Perché ci sia teoresi è indispensabile andare oltre, cercando, senza perdere lo
sguardo d’insieme, il particolare – l’
 (osservare quella barca sull’orizzonte, o piuttosto la
Cassiopea, se non l’Orsa Maggiore). «Da qui risulta – dice Heidegger - che è  :
guardare l'aspetto sotto cui la cosa presente (das Anwesende) appare, e in virtù di questa vista sostare,
vedendo, presso di essa»5.
La contemplazione filosofica, ovvero il modo di fare filosofia è proprio questo vedere-vedere:
osservare il firmamento nella sua totalità, andando, nel contempo nel particolare, per ricercare la
Cassiopea o Venere. La « – conclude Heidegger - viene ad essere l'attenzione rispettosa che si
porta alla disvelatezza di ciò che è presente. La teoria, nel senso antico, cioè primitivo ma niente affatto
invecchiato, è il guardare, custodendola, la verità (das hütende Schauen der Wahrheit )»6.
L’esperienza filosofica originaria, da cui sono sorte le altre scienze dell’uomo è proprio la
teoresi. E’ come in quell’esilarante sketch di Aldo Giovanni e Giacomo, dove, arrivati in cima si
soffermano ad ammirare (contemplare) il panorama. Solo che il povero Aldo, a volte perché ingannato,
a volte perché preso da preoccupazioni più materiali (montare la tenda) non riesce ad osservare il
particolare del panorama. Giovanni e Giacomo, invece, sperimentano la teoresi filosofica (anche se
embrionale) che genera la meraviglia; Aldo, purtroppo deve fermarsi allo stadio precedente.
A questo punto è facile glossare le presenti riflessioni con ulteriori osservazioni. Se la teoresi
filosofica è la fonte da cui scaturisce lo scibile dell’Occidente, se è fondamento di tutto il sapere, cosa
ha di peculiare rispetto alle altre scienze? Cosa differenzia un astronomo che contempla il cielo stellato
dal filosofo, anch’egli con il naso all’insù?
Ci viene nuovamente in soccorso ancora Aristotele quando dice che la ricerca filosofica inizia
quando ciò che si ricerca non è un fatto particolare, ma l’essenza delle cose, ovvero ciò che della
realtà è immutabile e indica la cosa quale essa è.
Indagare filosoficamente significa ricercare la risposta alla domanda Quid est? Chiedersi
filosoficamente se una guerra è giusta, significa anzitutto chiedersi cos’è la giustizia, prima di dare una
qualsiasi risposta. Il matematico lavora con i numeri (“costruendo concetti”, dice Kant), ma nel momento
in cui si chiede “cos’è il numero?” non fa più matematica, ma filosofia della matematica; lo stesso il
giurista, che lavora con le leggi e con la loro corretta interpretazione, quando ricerca l’essenza delle
leggi (che cos’è la legge?), non fa più giurisprudenza, ma filosofia del diritto. Kant, prima ancora di
redigere il suo progetto per una pace perpetua, si domanda cos’è la pace?, per verificare poi se una
pace così definita possa aver una sua realizzazione e con quali mezzi e presupposti.
Ma questo significa che siamo tutti dei potenziali filosofi? In un certo senso sì. Perché se la
meraviglia è la fonte di ogni conoscenza e la conoscenza prima è ricerca filosofica, allora possiamo dire
che ciascuno possiede questa tensione alla filosofia, come un fuoco – diceva Platone (427-347 a.C.).
Solo che se tutti abbiamo questa sensibilità filosofica, non tutti siamo filosofi. E’ indispensabile
alimentare questo fuoco con lo studio, che va di pari passo con l’uso autonomo di ciò che si è studiato.
«Di un filosofo sono proprie principalmente due cose: 1) cultura del talento dell’abilità, per
usarne in vista di ogni sorta di fini: 2) destrezza nell’uso di ogni mezzo per possibili fini. Le due cose
devono essere unite; infatti, senza cognizioni non si diventerà mai filosofo, ma d’altro canto, non
5
M. HEIDEGGER, Scienza e meditazione in ID., Saggi e discorsi. A cura di G. Vattimo = Biblioteca di Filosofia
9, Mursia, Milano 1957, 33.
6
Ibidem.
5
saranno mai nemmeno le cognizioni da sole a fare un filosofo, se non vi si aggiunge una cognizione
conforme a fini, la quale raccolga in unità tutte le conoscenze e abilità, e una visione perspicace
dell’accordo di quelle con i fini supremi della ragione»7.
Abbiamo parlato della filosofia come di una conoscenza particolare, che Kant chiama razionale
(perché derivata da principi), contrapposta alla conoscenza storica (derivata da dati)8. Così spiega nella
Critica della ragion pura:
«La conoscenza storica è cognitio ex datis, quella razionale invece cognitio ex principiis. Una
conoscenza originariamente data, donde che sia, in chi la possiede, è storica se egli conosce soltanto
nel grado in cui, e per quel tanto per cui gli è stata data, vuoi per immediata esperienza o narrazione, o
anche per istruzione (conoscenze generali)»9.
Il soggetto conoscente si può rapportare ad oggetti razionali (astratti) sia con un atteggiamento
storico, considerandoli dati/fatti, da registrare nel modo più fedele possibile; sia con atteggiamento
razionale, considerandoli, invece, come oggetti di riflessione razionale 10. Si può, insomma, «apprendere
la filosofia anche senza saper filosofare».
La condizione dello studente liceale, superata la fase imbarazzante di cui si è parlato sopra,
potrebbe fermarsi ad una conoscenza di cognizioni acquisite come dati fattuali (“chi è Kant?” – “cosa ha
scritto?” – “Quando?”) senza aver mai sperimentato l’atto del filosofare, al limite rientrando nel vasto
novero dei filodossi, di quelli che indossano una «maschera di gesso»:
«Egli [lo scolaro] si è formato secondo una ragione estranea; ma la facoltà imitativa non è la
facoltà produttiva, cioè la conoscenza non è provenuta in lui dalla ragione; benché quella oggettivamente
fosse assolutamente una conoscenza razionale, pure soggettivamente e meramente storica. Egli ha ben
capito e ritenuto, cioè imparato; ed è una maschera di gesso d’uomo vivo» 11.
Perché ci sia esperienza filosofica è indispensabile oltre alle conoscenze anche «l’esercizio e
l’uso autonomo della ragione», perché «tra tutte le scienze razionali (a priori) soltanto la matematica si
può imparare, ma non la filosofia (salvo storicamente); ma, per ciò che concerne la ragione, tutt’al più
si può imparare a filosofare»12.
«Chi vuole imparare a filosofare deve invece considerare tutti i sistemi di filosofia solo come
storia dell’uso della ragione e come oggetti di esercizio del suo talento filosofico.
«Il vero filosofo deve dunque, in quanto pensatore in proprio, fare un uso libero autonomo della
propria ragione e non un uso servilmente imitativo»13.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di offrire gli strumenti, non certo per creare futuri filosofibonsai, ma per provare a sperimentare in cosa consiste un esercizio libero-critico-pubblico della
ragione…e lo facciamo con Kant stesso:
«Questi [il discepolo] non deve imparar dei pensieri, ma deve imparare a pensare; e non si
deve portarlo, ma condurlo, se si vuole che più tardi egli sia capace di camminare da sé» 14.
7
I. KANT, Logica…, cit., 19. Per un commento, cfr. L. ILLETTERATI, Gli obiettivi dell’insegnamento…, cit., 68-
74.
8
I. KANT, Logica…, cit., 16-17.
ID., Critica della ragion pura. Traduzione di L. Lombardo-Radice. Introduzione di V. Mathieu =BUL 19,
Laterza, Bari 19969, 511.
10
«Nel caso di alcune conoscenze razionali è dannoso saperle solo in modo storico, nel caso di altre è invece
indifferente. Così, per es., il navigatore sa le regole della navigazione in modo storico, dalle sue tavole; e per lui ciò è sufficiente.
Ma se il giurista sa la dottrina giuridica solo in modo storico, egli è fallito come vero giudice e, a maggior ragione, come
legislatore»: I. KANT, Logica…, cit., 16-17.
11
ID., Critica della ragion pura…,cit., 511-512.
12
Ibidem.
13
I. KANT, Logica…, cit., 20.
9
6
TESTI
ARISTOTELE, Metafisica, A, 2, 982a-983a
[Natura e prerogative della filosofia]
Poiché la nostra indagine verte appunto su tale scienza, noi dovremmo esaminare quali cause
e quali princìpi costituiscono l'oggetto di cui la Sapienza è scienza. Ma forse tale ricerca può venir
condotta con maggiore chiarezza, se consideriamo le opinioni che abbiamo intorno al sapiente.
In primo luogo noi riteniamo che il sapiente conosca tutte le cose nei limiti del possibile, senza
che, però, egli abbia conoscenza di tali cose nella loro particolarità; in secondo luogo reputiamo
sapiente chi è in grado di comprendere le cose difficili e non agevolmente accessibili all'umana
conoscenza: provare una sensazione è, in realtà, una cosa comune a tutti, e perciò è una cosa facile e
non è indizio di sapienza; inoltre, riteniamo più sapiente chi, in ogni ramo della scienza, conosce le
cause con maggiore esattezza e sa meglio insegnarle; e fra le scienze quella che è preferibile di per se
stessa e ai fini della conoscenza, è più autenticamente scienza rispetto a quella che ci interessa per i
suoi risultati pratici, e quella che maggiormente comanda è più autenticamente sapienza rispetto a
quella che esegue gli ordini, giacché è indispensabile che il sapiente non riceva ordini, ma sia lui a darli,
e che non sia egli ad obbedire ad un altro, ma il meno sapiente ad obbedire a lui.
Tali e tanti sono i nostri modi di considerare la Sapienza e i sapienti; e, se teniamo conto di tali
prerogative, risulta indispensabile che la conoscenza scientifica di tutte le cose sia proprietà di colui che
conosce l'universale nella maniera più elevata, giacché questi, in un certo senso, conosce tutto ciò che
all'universale soggiace, ed è senza dubbio molto arduo per gli uomini saper discernere queste cose,
ossia le più universali, giacché esse sono molto remote dalle sensazioni […].
Che essa non sia una scienza produttiva risulta con chiarezza anche da qualche
considerazione su quelli che diedero inizio alla riflessione filosofica; infatti gli uomini, sia nel nostro
tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare, poiché dapprincipio
essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e di cui essi non sapevano rendersi conto, e
in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, si trovarono di fronte a
maggiori difficoltà, quali i fenomeni della luna e del sole e delle stelle e l'origine dell'universo. Chi è
nell'incertezza e nella meraviglia crede di essere nell'ignoranza (perciò anche chi ha propensione per le
leggende è, in un certo qual modo, filosofo, giacché il mito è un insieme di cose meravigliose); e quindi,
se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all'ignoranza, è evidente che
essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico. E ne è
testimonianza anche il corso degli eventi, giacché solo quando furono a loro disposizione tutti i mezzi
indispensabili alla vita e quelli che procurano benessere e agiatezza, gli uomini incominciarono a darsi
ad una tale sorta di indagine scientifica. È chiaro, allora, che noi ci dedichiamo a tale indagine senza
mirare ad alcun bisogno che ad essa sia estraneo, ma, come noi chiamiamo libero un uomo che vive
per sé e non per un altro, così anche consideriamo tale scienza come la sola che sia libera, giacché
essa soltanto esiste di per sé.
[…]Né bisogna credere che esista un'altra scienza più rispettabile di essa, giacché essa è la più
divina e veneranda; ed essa sola può, avere tali prerogative per due aspetti: infatti una scienza è divina
sia perché un dio la possiede al massimo grado, sia perché essa stessa si occupa delle cose divine. Ma
essa sola possiede entrambe queste prerogative, giacché da una parte tutti credono che dio è una delle
cause ed è un principio, dall'altra dio solamente, o almeno in sommo grado, può possedere una siffatta
scienza. Tutte le altre, pertanto, sono materialmente più necessarie di essa, ma nessuna è migliore. È
indispensabile, comunque, che l'acquisizione della Sapienza sollevi, in un certo modo, ad un punto di
vista che è contrario a quello in cui noi ci trovavamo all'inizio delle nostre ricerche. Tutti, infatti, come
dicevamo, cominciano col provar meraviglia che le cose siano in un determinato modo, come sono
soliti comportarsi di fronte alle marionette o ai solstizi o all'incommensurabilità della diagonale (difatti a
tutti quelli che non ne abbiano ancora indagato il motivo sembra un prodigio il fatto che una certa
lunghezza non possa essere misurata neppure dall'unità minima) […].
Abbiamo detto, pertanto, quale sia la natura della scienza che stiamo ricercando, e quale sia
scopo cui devono mirare la nostra indagine e l'intero nostro lavoro.
14
I. KANT, Notizia dell’indirizzo delle sue lezioni nel semestre invernale 1765-66. A cura di A. Guzzo in
«L’educazione nazionale» 6(1924), 297. Cfr. F. BIANCO, Insegnamento della filosofia: metodo “storico” o metodo “zetetico”? in
«Paradigmi» 8(1990), 391-410.
7
HEIDEGGER M., Scienza e meditazione in ID., Saggi e discorsi. A cura di G. Vattimo
= Biblioteca di Filosofia 9, Mursia, Milano 1957, 28-44.
[…] Che cosa significa la parola «teoria»? Il termine teoria viene dal verbo greco Theorein
(). Il sostantivo che gli corrisponde è Theorìa (). Queste parole posseggono un elevato e
misterioso significato. Il verbo Theorein (qewre‹n) deriva da due radici: Thea (qša) e Orao (Ðr£w).
Thea (Qša) (cfr. « teatro ») è l'aspetto, l'apparire in cui qualcosa si mostra, la veduta nella quale si offre.
Platone chiama questo apparire, in cui una cosa presente mostra ciò che essa è, eidon (eŒdon). Aver
visto, eidenai (e„dšnai), questo apparire è sapere. La seconda radice che compare nel verbo theorein
(qewre‹n), orao (Ðr£w), significa: guardare qualcosa, osservare, considerare. Da qui risulta che
theorein (qewre‹n) è thean orao (qšan Ðr£w): guardare l'aspetto sotto cui la cosa presente (das
Anwesende) appare, e in virtù di questa vista sostare, vedendo, presso di essa.
Il modo di vita (bios - b…oj) che si definisce in base al theorein (qewre‹n) e ad esso si dedica,
i greci lo chiamano bios theretikòs (b…oj qewrhtikÒj) il modo di vivere di colui che contempla, che
guarda in direzione del puro apparire delle cose presenti. Distinto da questo è il bios pratikos (b…oj
praktikÒj, il modo di vita che si dedica all'agire e al produrre. In questa distinzione dobbiamo tuttavia
tenere costantemente presente una cosa: per i greci, il bios theretikòs (b…oj qewrhtikÒj), la vita
contemplativa, specialmente nella sua forma più pura, è il supremo agire.
La theoria qewr…a, di per se stessa e non in virtù di una utilità che le si aggiunge dall'esterno, è
la forma perfetta dell'esistenza umana. La THeoria qewr…a è infatti la pura relazione agli aspetti di ciò
che è presente, che nel loro risplendere (Scheinen) toccano l'uomo in quanto fanno risplendere (bescheinen) la presenza (Gegenwart) degli dei. Non possiamo qui sviluppare l'ulteriore caratterizzazione
del theoria qewre‹n come quello che rende accessibili alla percezione e all'esposizione le arkai arca… e
le aitia a„t…ai di ciò che è presente, giacché questo richiederebbe una riflessione su ciò che
l'esperienza dei greci intendeva per quello che noi da molto tempo pensiamo come principium e causa
(cfr. Aristotele, Eth. Nic. VI, 2, 1139a sg.).
Al rango supremo che la theoria qewr…a occupava nel bios b…oj greco è legato anche il fatto
che i greci - i quali pensavano in una maniera peculiare a partire dalla loro lingua, cioè esperivano la
propria esistenza sulla base di essa - potevano udire risuonare anche qualcos'altro nella parola theoria
(qewr…a). Le due radici di cui è composta la parola, thea (qša) e orao (Ðr£w), possono suonare, con
un'altra accentuazione: thea (qša) e ora (õra). Thea (Qša) è la dea. Come tale appare a Parmenide, il
pensatore delle origini, la Alétheia ('Al»qeia), la disvelatezza (Unverborgenheit), da cui e in cui la cosa
presente si di spiega come presente (anwest). Noi traduciamo aletheia ¢l»qeia con il latino veritas e
con il tedesco Wahrheit (verità).
La parola greca orao (õra) significa il riguardo che usiamo, l'onore e l'attenzione che tributiamo.
Se pensiamo ora la parola theoria (qewr…a) in base a questi due ultimi significati dei suoi componenti,
theoria (qewr…a) viene ad essere l'attenzione rispettosa che si porta alla disvelatezza di ciò che è
presente. La teoria, nel senso antico, cioè primitivo ma niente affatto invecchiato, è il guardare,
custodendola, la verità (das hütende Schauen der Wahrheit ). L' antico altotedesco wara, (da cui wahr,
vero; wahren, custodire; Wahrheit, verità) risale alla stessa radice del greco orao (Ðr£w), ora (õra):
(fora) #ora.
L'essenza multivoca, e sotto ogni rispetto elevata, della teoria pensata nello spirito greco
rimane nascosta dal nostro moderno parlare di una teoria della relatività nella fisica, di una teoria della
discendenza in biologia, di una teoria dei cicli nella storiografia, di una teoria del diritto naturale nella
scienza giuridica. Nonostante ciò, anche nella «teoria» come la concepiamo noi moderni rimane
sempre l'ombra della qewr…a primitiva. È di questa che la «teoria» moderna vive, e ciò non solo nel
senso, superficialmente verificabile, di una dipendenza storica. Ciò che qui accade diventa più chiaro se
ora domandiamo: che cos'è, a differenza dell'antica theorìa (qewr…a); la «teoria» di cui parla la frase «la
scienza moderna è la teoria del reale»?
Possiamo rispondere con la necessaria brevità a questa domanda se scegliamo una via
apparentemente esteriore. Portiamo la nostra attenzione sul modo in cui le parole (Worte) greche
theorein (qewre‹n) e theoria (qewr…a); vengono tradotte in latino e in tedesco. Diciamo con intenzione
«le parole» ( die Worte) e non « i vocaboli » (die Wörter), per alludere al fatto che nel modo di
dispiegarsi e di imporsi del linguaggio si decide ogni volta un destino.
I romani traducono theorein (qewre‹n) con contemplari, e theorìa (qewr…a) con contemplatio.
8
Questa traduzione, che viene dallo spirito romano della lingua, e cioè dell'esistenza, fa sparire d'un
colpo l'essenziale di ciò che le parole (die Wörte) greche dicono. Contemplari significa infatti: separare
qualcosa collocandolo in una sezione e racchiuderlo in essa. Templum è il greco temenos (tšmenoj),
che si ricollega a una esperienza tutta diversa dal theorein (qewre‹n). Temnein (Tšmnein) significa
tagliare, separare. Ciò che non è sezionabile è l’atmeton (¥tmhton), a-tomos (¥-tomoj), l'atomo.
Il latino templum significa originariamente la sezione del cielo e della terra che viene separata e
delimitata, il punto cardinale, la regione del cielo definita dal corso del sole. All'interno di questa gli
auspici fanno le loro osservazioni, per stabilire quale sarà il futuro fondandosi sul volo degli uccelli, sul
loro modo di gridare e di mangiare […].
Nella qewre…a divenuta contemplatio si annuncia l'elemento, già preparato nel pensiero greco,
del guardare che seziona e separa. Il carattere del procedere suddiviso, attivamente operante su ciò
che si offre allo sguardo, si fa valere nella conoscenza. Ma anche ora la vita contemplativa rimane
distinta dalla vita activa.
Nel linguaggio della religiosità e della teologia cristiano-medievale questa distinzione acquista
un senso ancora diverso. Essa serve a contrapporre la vita contemplativa del chiostro alla vita activa
del mondo.
9
«Che ingiustizia è mai questa che, mentre concediamo ad ogni categoria di persone di avere i
loro svaghi, li neghiamo poi in modo assoluto agli uomini di studio? Soprattutto poi… che lo scherzo
può menar al serio, e le buffonate si possono trattare in modo che talora se n’avvantaggi il lettore di
naso fine, piú di certe solenni scocciature»
(ERASMO DA ROTTERDAM, Elogio della pazzia, A cura di T. Fiore, Torino (Einaudi) 1964, 5)
Burlarsi della filosofia è il vero filosofare
(B. PASCAL , Pensieri, 4)
La gita
Scena: Un paesaggio montano. Si sentono delle voci. In scena non c'è nessuno.
Personaggi: Giovanni è il capocordata. Aldo e Giacomo gli scalatori incapaci. Marina Massironi è la
turista tedesca.
ALDO: Giacomino non fare basculare la corda perché
è pericoloso. Hai capito?
GIOVANNI Anche tu stai serrato non stare così
indietro.
ALDO E non è che sto indietro è che proprio c’ho il
fiatone.
GIOVANNI Avvicinati, metti la mano lì e vieni su.
ALDO Dove?
GIOVANNI Metti la mano lì dove c' è quella
sporgenza.
ALDO Dove ?
GIOVANNI Quella sporgenza lì a forma di zoccolo di
gnu.
ALDO Zoccolo di gnu ?
GIOVANNI Sì.
ALDO Non conosco lo gnu: devo conoscere lo zoccolo
di gnu?
GIOVANNI Dai stai serrato.
ALDO E non sono serrato?
GIOVANNI No.
ALDO E come dovrei essere serrato?
GIOVANNI Più vicino. Metti il piede lì e vieni su ALDO
Dove?
GIOVANNI Non vedi quella rientranza là. ..
ALDO Non la vedo.
GIOVANNI Quella lì a forma di nido di chiurlo dai. ..
ALDO Nido di chiurlo?
GIOVANNI Sì.
ALDO Un nido lo riconosco, un chiurlo no.
GIOVANNI Dai.
ALDO Dai dai, però corri.
GIOVANNI Dai metti lì la mano e ci siamo.
ALDO Dove ?
GIOVANNI Non vedi quella sporgenza che. ..
ALDO No, la vedi solo tu.
GIOVANNI Quella a forma di orecchio di licaone. ..,
ALDO Orecchio di licaone?
GIOVANNI Sì.
ALDO Ma uno deve essere Piero Angela per scalare
una montagna? Orecchio di licaone porca miseria.
(Giovanni arriva scavalcando una sporgenza Aldo è
ancora nascosto)
GIOVANNI Dai siamo arrivati.
ALDO Non ce la faccio. Qua la roccia è tutta franabile.
GIOVANNI Al massimo sarà friabile la roccia, non
franabile.
ALDO Comunque frana, non è che fria. ..
GIOVANNI Vieni su con un ultimo sforzo.
ALDO Ehh.
GIOVANNI Ci sei?
(Aldo appare sopra la sporgenza)
ALDO Oh c'è stato un miracolo lì, perché ci sono
passato, tu basta che sei avanti non ti preoccupi di
me. ..
GIOVANNI E già.
ALDO Adesso qui è liscio come un marmo.
GIOVANNI No, ho messo il piede sulla destra, c'è
uno spuntone quello lì ...
ALDO Qui è liscio come un marmo, ti sfido a
trovarmi uno spuntone.
GIOVANNI Quello a forma di vertebra di molfetta
non l'hai visto ?
ALDO Avanti dimmi come è fatta una molfetta.
GIOVANNI Ho detto vertebra: è dentro, non si
vede.
ALDO Si salva sempre. Non la vedo la vertebra,
comunque c’è un buco.
GIOVANNI Un buco?
ALDO Spero che non sia il culo della molfetta.
GIOVANNI Dai, tieni qua, così bravo. ..adesso
issati e vieni di qua, issati e vieni. ..tirati su !
ALDO E di' tirati su.
[…]
GIOVANNI Lasciati andare lasciati andare.
ALDO Non vedo non vedo discostati non vedo.
GIOVANNI Mancano quattro dita.
ALDO Porca miseria se non vedo non mi fido.
GIOVANNI Ne mancano quattro dita.
ALDO C’ho la sensazione del vuoto: se non vedo
non mi fido. (Aldo finalmente tocca il pianoro) Mi
era venuta la sensazione del vuoto.
GIOVANNI Nel cervello, il vuoto.
ALDO lo da piccolo ho avuto un trauma non che. ..
GIOVANNI Hai avuto più di un trauma va là,
comunque guarda Giacomo che trova tutti gli
appigli e viene su come un camoscio viene su.
(Tira la lune alla quale si suppone sia attaccato
Giacomo) Bravo Giacomino ti. .. (Si accorge che la
/une è spezzata e rimprovera Aldo) Non sentivi che
non c'era peso attaccato? Questo ti . sembra
Giacomino? (Mostra la cima della fune)
ALDO Se è lui ha cambiato pettinatura.
GIOVANNI Va bene dai tieni qua, speriamo che si
sia incastrato nel nido di chiurlo che vado a
recuperarlo.
ALDO Aspetta, aspetta, aspetta, ragioniamo.
GIOVANNI Eh ragioniamo.
ALDO Scendi che programmiamo come fare... Fai
lo scavezzacollo, subito ti ci precipiti.
GIOVANNI Ma che problemi hai?
ALDO Ho problemi. ..i miei problemi. ..
GIOVANNI Che problemi hai?
ALDO Adesso cala la notte e rimango solo! Già ho
la sensazione del vuoto.
10
GIOVANNI Vuoto, qua non c'è niente.
ALDO Sì la sensazione un po' semplificata con niente.
..
GIOVANNI Allora?
ALDO (piangendo) Non capisci che ho avuto un
trauma da bambino?
GIOVANNI Non tirare! E di Giacomo cosa facciamo?
ALDO Tanto per lui non c' è più niente da fare,
renditene conto, non attaccarti alle cose. ..
GIOVANNI Non dire stupidate.
ALDO Accontentati di averne perso uno, scendi.
GIOVANNI Calmati.
ALDO Scendi.
GIOVANNI Calmati. Aldo calmati, ti, ti. (Colpisce Aldo
tre volte su una spalla) Ti sei calmato?
ALDO Ancora uno. (Altra botta)
GIOVANNI Dai, dammi la corda..
ALDO Stai attento.
GIOVANNI Sto attento sì, non tirare.
(Giacomo compare dalla quinta camminando
tranquillamente con le mani in tasca)
ALDO Indovina chi c' è qua.
GIOVANNI Da che parte sei arrivato? (Rivolto a
Giacomo)
GIACOMO C' è il sentiero.
(Aldo fulmina con lo sguardo Giovanni)
GIOVANNI Sì be', lo sapevo che c' era il sentiero.
ALDO Lo sapevi? E perché non siamo andati per il
sentiero ?
GIOVANNI L'ho fatto per farti provare un'esperienza
nuova, una scalata vera. Adesso non sei soddisfatto?
ALDO Non credo.
GIACOMO Ehi Giò, si è cacato sotto il caghetta.
ALDO Cretino, volevo vedere te lì.
GIOVANNI Dai dammi lo zaino.
(Aldo lancia a Giovanni uno zaino vuoto)
GIACOMO Il passo del chiurlo è facilissimo.
ALDO Ma che...
GIOVANNI Ehi, ciccio, qui lo zaino è vuoto.
ALDO Tu mi hai detto: «Porta lo zaino».
GIOVANNI E i panini? Le bibite?
ALDO Va be', monto la tenda.
GIACOMO Questo è deficiente, questo qua è. ..E
vent'anni che lo dico che è un deficiente e tu mi dici
che è un momento, passerà, eccolo!
GIOVANNI Pazienza: mangeremo bacche, muschi,
licheni, quello che troviamo.
GIACOMO Meno male che fa bene alla
gastroduodenite pilorica.
GIOVANNI Sai come fanno bene!
GIACOMO Lo dice il mio omeopata che è un fior fiore
di omeopata.
GIOVANNI Omeopata, ci vogliono quindici anni per
curare un raffreddore figurati.
GIACOMO Capito, ma io ho una gastrite. ..
GIOVANNI E ce ne vorranno trenta allora !
GIACOMO (osserva estasiato il panorama) Certo che
come scegli tu i posti in montagna. ..guarda: non c'è in
giro nessuno. Sei il re della montagna, The King of the
Mountain. (Si accende una sigaretta)
GIOVANNI Guarda che spettacolo però. (Si gira e
sorprende Giacomo) Cosa fai fumi? Ti porto qua a
tremila metri e tu fumi?
GIACOMO Vuoi mettere come si sente una Marlboro a
tremila metri?
GIOVANNI Guarda come si sente, guarda! (Prende la
sigaretta e la spegne sotto una scarpa)
GIACOMO Non troppo bene.
GIOVANNI (si rivolge poi ad Aldo che ha dei problemi
nel montaggio delta tenda) Guarda che non è una
bambola gonfiabile. ..Ehi, Giacomo, vieni a vedere
lo strapiombo.
GIACOMO Madonna mi vengono già i brividi, che
sarà. .. settecento-ottocento metri?
GIOVANNI Sarà anche mille, milledue metri. ..ocio.
(Finge di spingere Giacomo nello strapiombo)
GIACOMO Ma dai, sei bastardo !
GIOVANNI Fuma fuma visto che fa male.
GIACOMO Ma cosa c' entra il fumo! Lo sai che
soffro di tachicardia improvvisa, no? Ho la valvola
mitralica spanata.
GIOVANNI (rivolto ad Aldo che litiga coi tubi della
tenda) Che fai giochi a sciangai adesso? Che
spettacolo ragazzi. ..(Indicando all’orizzonte)
Giacomo, una marmotta, guarda! Oh, guarda come
gira, guarda come gira!
GIACOMO Oh bella Aldo! Va' come si gira.
(Aldo avvicinandosi cerca invano di individuare la
marmotta)
ALDO Porco giuda no! E andata via come un'
anguilla
GIOVANNI E una marmotta è andata via come una
marmotta.
GIACOMO Aldo dovevi vedere che belle cornine
muschiate che aveva: quattro di qua e quattro di
qua. .. bellissime.
GIOVANNI Ma che c…. di animale hai visto? Come
fa ad avere la marmotta le cornine, dai.
GIACOMO E un po' lontano e ho visto male.
GIOVANNI Aveva il pelo liscio è normale. Che
bella che era.
ALDO Me la sono persa.
GIACOMO Bellissimo. Non pensavo che in questa
stagione. ..(Guardando l'orizzonte)
GIOVANNI Lo stambecco!
GIACOMO No!
GIOVANNI Guarda guarda, Aldo !
{Aldo si avvicina ma sempre invano)
GIACOMO Maschio!
GIOVANNI Guarda!
GIACOMO No no!
GIOVANNI E andato!
GIACOMO Aldo bestiale, saltava come un grillo. ..a
un certo punto pem via come un' anguilla.
GIOVANNI Sì, anche lui.
GIACOMO Dovevi vedere che belle corna
muschiate che aveva, partivano da qui scendevano
giù giù e andavano tutte in fuori.
GIOVANNI Che c…. di animali vedi! Come fa uno
stambecco ad avere le corna muschiate sul petto.
Hai visto un pettine, avrai visto...
GIACOMO Ho un po' di congiuntivite e ho visto
male.
GIOVANNI No, hai la cateratta e non hai visto
niente.
ALDO Quando indichi non puoi tenere il dito
fermo? Sembri un tergicristallo!
GIACOMO …
GIOVANNI Il muflone!
GIACOMO No no il muflone!
GIOVANNI Il muflone!
GIACOMO Guarda lì.
(Aldo questa volta irrompe tra i due deciso a non
farsi fregare. Strabuzza gli occht, si inserisce tra le
braccia protese degli amici ma invano)
GIOVANNI Guarda.
GIACOMO Dove?
GIOVANNI Guarda.
GIACOMO No!
GIOVANNI No è andato!
11
GIACOMO Aldo, che spettacolo a un certo punto pem
via come due anguille. ..oh dovevi vedere che orecchie
enormi che avevano!
GIOVANNI L'unico animale con le corna grosse tu gli
vedi le orecchie. Fatti operare!
ALDO Giro... ma... anche voi. ..uno indica di là e
l'altro... il muflone. ..fin da piccolo. ..aaaahhh!
GIOVANNI Fra l'altro qui c'è anche l'eco.
GIACOMO Ma va?
GIOVANNI E chiamata la valle dell'eco, questa!
Facciamo una gara?
GIACOMO Pizza?
GIOVANNI Chi fa più ritorni, pizza.
GIACOMO Chi fa più ritorni, pizza.
GIOVANNI Inizio io. (Gridando all’infinito) Giovanni. ..
anni... anni... anni... anni... ni! Cinque ritorni...
GIACOMO lacomo... lacomo... ...
GIOVANNI Che eco di merda che hai.
GIACOMO Eh ho un po' dì farìngìte.
ALDO Quanti ne hai fatti?
GIOVANNI Cìnque.
ALDO Tu?
GIOVANNI Lasciamo perdere.
ALDO (portandosi le mani alla bocca) Aldooo. ..(Eco)
GIOVANNI e GIACOMO Terun terun terun. ..(Ridono)
(Aldo salta addosso a Giacomo che cade a terra.
Giovanni li divide )
GIACOMO Ahìa ahia.
GIOVANNI Giacomo, ti ha spaccato una spalla?
GIACOMO No.
GIOVANNI Cosa c'è?
GIACOMO Mi ha tirato via una pellicina. (Mostra il dito
offeso)
GIOVANNI Ma sei matto gli potevi far male
seriamente!
ALDO Non gli ho fatto niente, l'ho preso solo per la
cammicia.
GIOVANNI. ..camicia, con una m sola, camicia non
cammicia.
GIACOMO Sìccome è di flanella è più grossa e lui
raddoppia.
GIOVANNI Giacomo vieni, facciamo un gioco, un
sasso a testa. (Lancia il sasso a Giacomo che non lo
prende al volo e lo fa cadere con gran rumore)
GIACOMO Allora sei deficiente dillo sei deficiente.
Ma lo sai che ho il morbo di duputrein in questa
mano!
GIOVANNI Ma sei una discarica.
GIACOMO Dai non far cazzate in montagna.
GIOVANNI Dai vediamo chi va più lontano.
GIACOMO Non far cazzate in montagna.
(Giovanni lancia un sasso di cartapesta in platea)
GIOVANNI Hai visto gli stambecchi?
GIACOMO Non è successo niente ma a fondovalle
si sono cagatì sotto.
GIOVANNI Allora hai finito di montare la tenda?
ALDO Sì.
GIOVANNI Così è montata?
(Aldo ha montato i tiranti della tenda all' esterno
anziché all'interno del telo)
ALDO Ti piace con il pergolato? (C'è un improvviso
calo di luce)
GIACOMO Hai visto, incredibile, in montagna ti giri
è giorno ti giri è notte: «. ..e cala la notte repentina
sulle nostre membra stanche desiderose di riposo
e anelito libertario e sulle nostre menti contrite che
anelano tutto qualcosa e anche un pochino più là».
GIOVANNI Cos' è questa roba?
GIACOMO E una poesia futurista.
GIOVANNI Poesia futurista. ..Ungaretti?
GIACOMO No quello lì era un ermetico.
GIOVANNI Montale?
GIACOMO No.
GIOVANNI Chi è che l'ha scritta questa cosa?
GIACOMO L'ho scritta io. -"
GIOVANNI L'hai scritta tu?
GIACOMO Sì.
GIOVANNI Veramente?
GIACOMO Sì.
GIOVANNI Prova a mettere il gomito così un
attimo. .. ma va a cagare vai, futurista, ma. ..
(Si sente un rumore in lontananza, come un
fruscio)
[…]
12
KANT I., Logica = BUL 111, Laterza, Roma Bari 19902, 16-21.
Concetto di filosofia in generale -La filosofia considerata secondo il concetto scolastico e
secondo il concetto cosmico -Requisiti e fini essenziali del filosofare - Compiti più generali e più
elevati di questa scienza.
È talvolta difficile chiarire ciò che s'intende per una scienza. Ma la scienza acquista in
precisione, stabilendone il concetto determinato, e così vengono evitati parecchi errori che, per certi
motivi, altrimenti s'insinuano, se non si è ancora capaci di distinguere la scienza in questione da quelle
che le sono imparentate.
Frattanto, prima che cerchiamo di dare una definizione di filosofia, dobbiamo svolgere
un'indagine preliminare sul carattere delle diverse conoscenze e, siccome le conoscenze filosofiche fan
parte delle conoscenze razionali, chiarire in particolare ciò che si deve intendere per queste ultime.
Le conoscenze razionali vengono contrapposte alle conoscenze storiche. Le prime sono
conoscenze derivanti da princìpi (ex principiis); le seconde, conoscenze derivanti da dati (ex datis ). Ma
una conoscenza può aver avuto origine dalla ragione ed essere nondimeno storica; così, per es., se
uno che non è che un letterato apprende i prodotti della ragione altrui, la sua conoscenza di tali prodotti
razionali è solo storica.
Le conoscenze possono infatti venire distinte 1) secondo la loro origine oggettiva, vale a dire
secondo le fonti dalle quali soltanto è possibile una conoscenza. Da questo punto di vista tutte le
conoscenze sono o razionali o empiriche; 2) secondo la loro origine soggettiva, vale a dire secondo il
modo in cui.una conoscenza può venire acquisita dagli uomini. Considerate da quest'ultimo punto di
vista, le conoscenze sono o razionali o storiche, comunque abbiano avuto origine in sé. È dunque
possibile che qualcosa che oggettivamente è una conoscenza razionale sia tuttavia soggettivamente
solo storica.
Nel caso di alcune conoscenze razionali è dannoso saperle solo in modo storico, nel caso di
altre è invece indifferente. Così, per es., il navigatore sa le regole della navigazione in modo storico,
dalle sue tavole; e per lui ciò è sufficiente. Ma se il giurista sa la dottrina giuridica solo in modo storico,
egli è fallito come vero giudice e, a maggior ragione, come legislatore.
A partire dalla differenza indicata fra conoscenze oggettivamente o soggettivamente razionali,
risulta ora chiaro che si può per certi versi apprendere la filosofia senza saper filosofare. Chi vuole
diventare davvero filosofo deve dunque esercitarsi a fare della propria ragione un uso libero e non un
uso solo d'imitazione e, per cosi dire, meccanico.
Abbiamo definito le conoscenze razionali come conoscenze derivanti da principi; e da ciò segue
che devono essere a priori. Ma ci sono due specie di conoscenze che sono ambedue a priori, ma che
tuttavia presentano molte differenze considerevoli: intendo la matematica e la filosofia.
Secondo quanto si è soliti affermare, matematica e filosofia si distinguerebbero tra loro secondo
l'oggetto, in quanto la prima tratterrebbe della quantità, la seconda della qualità. Ma ciò è falso. La
differenza tra queste due scienze non può fondarsi sull'oggetto; la filosofia, infatti, prende in
considerazione ogni cosa, quindi anche i quanta; e la matematica fa, in parte, altrettanto, nella misura in
cui ogni cosa ha una grandezza. È soltanto la diversa specie di conoscenze razionali o di uso della
ragione, nella matematica e nella filosofia, ciò che costituisce la differenza specifica tra queste due
scienze. La filosofia, infatti, è la conoscenza razionale per meri concetti, la matematica, invece, la
conoscenza razionale per costruzione dei concetti.
Noi costruiamo concetti quando li rappresentiamo nell'intuizione a priori, senza ricorrere all'esperienza,
ovvero quando rappresentiamo nell'intuizione l'oggetto che corrisponde al concetto che noi abbiamo di
esso. Il matematico non può mai servirsi della propria ragione secondo meri concetti, ne il filosofo della
sua seconda costruzione dei concetti. Nella matematica la ragione viene usata in concreto, l'intuizione,
però, non è empirica, bensì qui ci si dà qualcosa a priori come oggetto dell'intuizione.
E in ciò la matematica ha dunque, come si vede, un vantaggio rispetto alla filosofia: le
conoscenze della prima sono intuitive, quelle della seconda, invece, sono solo conoscenze discorsive.
Ma la ragione per cui è nella matematica che le grandezze vengono maggiormente considerate
consiste nel fatto che le grandezze possono venire costruite nell'intuizione a priori, le qualità, invece,
non si lasciano rappresentare nell'intuizione.
La filosofia è dunque il sistema delle conoscenze filosofiche ovvero delle conoscenze razionali
per concetti. Questo è il concetto scolastico di tale scienza. Secondo il concetto cosmico essa è la
scienza dei fini ultimi della ragione umana. Questo concetto elevato conferisce dignità, cioè un valore
assoluto, alla filosofia. E in vero non c'è che essa soltanto ad avere un valore affatto intrinseco e a poter
dare quindi un valore a tutte le altre conoscenze.
13
Eppure si sente sempre chiedere, alla fin fine, a che servono il filosofare e il suo scopo finale: la
filosofia stessa come scienza, considerata secondo il concetto scolastico.
In questo significato scolastico della parola, la filosofia non ha di mira altro che l'abilità;
considerandola secondo il concetto cosmico, invece, ha di mira l'utilità. Dal primo punto di vista, quindi,
essa è una dottrina dell'abilità; dal secondo, una dottrina della saggezza: è la legislatrice della ragione e
il filosofo, pertanto, non è un tecnico della ragione, ma il suo legislatore.
Il tecnico della ragione ovvero, come Socrate lo chiama, il filodosso non aspira ad altro che al
sapere speculativo, senza considerare quanto il sapere contribuisca al fine ultimo della ragione umana;
egli dà le regole per l'uso della ragione in vista di qualunque fine possibile. Il filosofo pratico, il maestro
della saggezza tramite l'insegnamento e l'esempio, è l'autentico filosofo. La filosofia, infatti, è l'idea di
una saggezza perfetta che ci indica i fini ultimi della ragione umana.
Per la filosofia intesa secondo il concetto scolastico ci vogliono due elementi:
in primo luogo, una scorta sufficiente di conoscenze razionali; in secondo luogo, una
connessione sistematica di queste conoscenze, ovvero una loro congiunzione nell'idea di un tutto.
La filosofia non solo si presta a una connessione rigorosamente sistematica, ma essa, anzi, è
l'unica scienza che ha, nel senso più proprio, una connessione sistematica e che dà unità sistematica a
tutte le altre scienze.
Ma per quanto concerne la filosofia secondo il concetto cosmico (in sensu cosmico ), la si può
chiamare anche una scienza della suprema massima nell'uso della nostra ragione, intendendo per
massima il principio interno della scelta tra fini diversi.
Nel suo secondo significato, la filosofia è infatti per l'appunto la scienza della relazione di ogni
conoscenza e di ogni uso della ragione con lo scopo finale della ragione umana, al quale, in quanto fine
supremo, tutti gli altri fini sono subordinati e nel quale devono raccogliersi in unità.
Il campo della filosofia in questo significato cosmopolitico si può ricondurre alle seguenti
domande:
1) Che cosa posso sapere? 2) Che cosa devo fare?
3) Che cosa mi è dato sperare? 4) Che cos'è l'uomo?
Alla prima domanda risponde la metafisica, alla seconda la morale, alla terza la religione e alla
quarta l'antropologia. In fondo, si potrebbe però ricondurre tutto all'antropologia, perché le prime tre
domande fanno riferimento all'ultima.
Il filosofo deve dunque saper determinare:
1) le fonti del sapere umano,
2) l'estensione dell'uso possibile e utile di ogni sapere, e infine
3) i limiti della ragione.
L 'ultima cosa è la più necessaria, ma anche la più difficile; ma di essa il filodosso non si cura.
Di un filosofo sono proprie principalmente due cose: 1) cultura del talento dell'abilità, per usarne
in vista di ogni sorta di fini; 2) destrezza nell'uso di ogni mezzo per possibili fini. Le due cose devono
essere unite; infatti, senza cognizioni non si diventerà mai filosofo, ma, d'altro canto, non saranno mai
nemmeno le cognizioni da sole a fare un filosofo, se non vi si aggiunge una cognizione conforme a fini,
la quale raccolga in unità tutte le conoscenze e abilità, e una visione perspicace dell'accordo di quelle
con i fini supremi della ragione umana.
Chi non sa filosofare non può definirsi in alcun modo filosofo. Ma a filosofare s'impara soltanto
con l'esercizio e usando autonomamente la ragione.
Come potrebbe mai propriamente venire insegnata la filosofia? Ogni pensatore che si dedica
alla filosofia costruisce la propria opera per così dire sulle rovine di un'altra; ma nessuna opera è mai
arrivata a uno stato in cui fosse stabile in tutte le sue parti. Pertanto non si può imparare la filosofia già
solo per la ragione che la filosofia non c'è ancora. Ma anche ammesso che ce ne fosse una
effettivamente data, nessuno, pur imparandola, potrebbe. mai dire di essere un filosofo: infatti, la
conoscenza che ne avrebbe sarebbe pur sempre, soggettivamente, solo storica.
Nella matematica la cosa va diversamente. Questa scienza può ben venire imparata in qualche
misura; infatti le prove sono qui talmente evidenti che ciascuno può venirne convinto; a causa della sua
evidenza, essa, in quanto dottrina certa e stabile, può anche venire per così dire conservata.
Chi vuole imparare a filosofare deve invece considerare tutti i sistemi della filosofia solo come
storia dell'uso della ragione e come oggetti di esercizio del suo talento filosofico.
Il vero filosofo deve dunque, in quanto pensatore in proprio, fare un uso libero e autonomo
della propria ragione e non un uso servilmente imitativo. Ma non deve farne nemmeno un uso dialettico,
un uso cioè che miri soltanto a dare alle conoscenze una parvenza di verità e saggezza. Questo è il
mestiere di chi non è che un sofista, non è invece assolutamente compatibile con la dignità del filosofo,
in quanto conoscitore e maestro della saggezza.
14
La scienza, infatti, ha un vero valore intrinseco solo in quanto organo della saggezza. Ma come
tale essa le è anche assolutamente necessaria, cosicché si può ben affermare che la saggezza senza
la scienza non è che l'ombra di una perfezione alla quale non giungeremo mai.
Chi odia la scienza, ma tanto più ama la saggezza, è detto misologo. La misologia scaturisce di
solito da un vuoto di cognizioni scientifiche col quale si combina una certa specie di vanità. Talvolta,
però, cadono nel difetto della misologia anche coloro che all'inizio si erano dedicati alle scienze con
gran diligenza e fortuna, ma che alla fine non hanno trovato nessun appagamento in tutto il loro sapere.
La filosofia è l'unica scienza che sa procurarci quest'intima soddisfazione, perché essa chiude
per così dire il cerchio scientifico e solo grazie ad essa le scienze acquistano così ordine e
connessione.
Al fine di esercitarci a pensare in proprio, ossia a filosofare, dovremo dunque fare attenzione più
al metodo del nostro uso della ragione che non alle proposizioni stesse alle quali siamo giunti grazie a
quel metodo.
15
La costruzione del pensiero filosofico
B. CROCE, Breviario di estetica. Quattro lezioni, Bari 19273, 11-12.
«Ecco, dunque, dove soltanto può essere collocato l'orgoglio del filosofo: nella coscienza della
maggiore intensità delle sue domande e delle sue risposte: orgoglio che non va scompagnato dalla
modestia, cioè dalla consapevolezza che, se l'àmbito suo è più largo, o il più largo possibile in un
determinato momento, ha pur tuttavia i suoi limiti, tracciati dalla storia di quel momento, e non può
pretendere a un valore di totalità, o, come suol dirsi, di soluzione definitiva. L'ulteriore vita dello spirito,
rinnovando e moltiplicando i problemi, rende, non già false, ma inadeguate le soluzioni precedenti,
parte delle quali cadono nel numero di quelle verità che si sottintendono, e parte debbono essere
riprese e integrate. Un sistema è una casa che, subito dopo costruita e adornata, ha bisogno (soggetta
com'è all'azione corroditrice degli elementi) di un lavorio, più o meno energico, ma assiduo, di
manutenzione, e che a un certo momento non giova più restaurare e puntellare, e bisogna gettare a
terra e ricostruire dalle fondamenta. Ma con siffatta differenza capitale: che, nell'opera del pensiero, la
casa perpetuamente nuova è sostenuta perpetuamente dall'antica, la quale, quasi per opera magica,
perdura in essa. Come si sa, gl'ignari di codesta magia, gl’intelletti superficiali o ingenui, se ne
spaventano; tanto che uno dei loro noiosi ritornelli contro la filosofìa è che essa disfaccia di continuo
l'opera sua, e che un filosofo contraddica l'altro: come se l'uomo non facesse e disfacesse e rifacesse
sempre le sue case, e l'architetto seguente non fosse il contraddittore dell'architetto precedente; e come
se da questo fare e disfare e rifare delle case, e da questo contraddirsi degli architetti, si potesse trarre
la conclusione, che è inutile costruire case !»
16
Il gioco filosofico
E. BENCIVENGA, Filosofia: istruzioni per l’uso =Container, Milano (Arnoldo Mondadori) 20072,19-22.
«Ho già chiarito l'importanza della diversità culturale per la nostra forma di vita: avere tante
strategie a disposizione è la nostra maggiore ricchezza, la nostra più vera e inesauribile fonte di
energia. In tempi andati, questa diversità era favorita dall'isolamento. Un terzo delle lingue pariate al
mondo sono parlate in Nuova Guinea, mi è stato detto, e il motivo è che lì ciascuna tribù (e si tratta
spesso di poche decine di individui) può passare interi periodi della propria storia senza incontrarne
un'altra: in assenza di influsso reciproco, ogni tribù si sviluppa (culturalmente) in modo diverso. Nel
mondo che risulta da questo isolamento, ogni individuo può essere del tutto privo di fantasia,
completamente ancorato alle proprie consuetudini, senza che ne nasca un problema: la "fantasia" è
data dalla contemporanea presenza di tante consuetudini diverse. Ma questo mondo (a parte qualche
tribù in Nuova Guinea) è finito: la monocultura dell'uomo a una dimensione regna indisturbata ovunque,
e si parla sempre meno dei problemi che ne derivano - gli anni Sessanta sono passati da un pezzo, si
sente dire nei momenti decisivi, salvo poi recuperarli come pezzi di un nostalgico museo. Negli
sciagurati anni Ottanta si è parlato soprattutto di come funzionare meglio, di come produrre, vendere e
guadagnare di più, di come espandere un modello culturale. Se ho ragione, però, una simile
espansione finirà per distruggere se stessa: sempre maggiore integrazione vorrà dire sempre maggiore
funzionalità a condizioni sempre più restrittive, e quindi una fragilità sempre maggiore del modello.
L'alternativa a questa fragilità è un "addestramento" più flessibile, un costante confronto con ciò che è
diverso. Ma il diverso non lo troveremo là fuori: non basterà salire su un bastimento o una diligenza.
Alla fine del viaggio, ci troveremo di fronte lo stesso supermercato, gli stessi programmi televisivi, lo
stesso McDonald's e probabilmente (a lungo andare) anche la stessa lingua. Quindi il diverso bisogna
cercarlo dentro, in uno spazio privato in cui condurre i giochi più sfrenati, tentare le ipotesi più folli e
vedere dove ci portano. Il diverso cioè sarà la filosofia a darcelo: non solo la filosofia, intendiamoci,
perché ci sono anche la letteratura e il mito e il cabaret, ma certo anche la filosofia. Mai come adesso
questa valvola di sicurezza ci è stata necessaria.
Questo vuol dire che faremo bene a finanziare dipartimenti e professori e studenti di filosofia
(che cosa vi aspettate che vi dica, uno di quei professori?), ma vuol dire anche qualcos'altro.
L'esplorazione del possibile è un gioco pericoloso: per quanto ci sforziamo di limitarlo a un
gioco di parole la sua tendenza più naturale è quella di estendersi anche al resto, alle cose.
Possiamo insistere sulla strategia della limitazione e dell'isolamento e rinchiudere i filosofi in
un'università che ha ben poco di "universale" perché i suoi mèmbri parlano soprattutto fra loro. Ma
neanche questa strategia è sicura. E come "giocare" con un virus in un laboratorio: tutto va bene finché
il virus non scappa. Quale soluzione propongo allora? La stessa che con il virus: immunizzare tutti, cioè
inocularlo a tutti, cosicché tutti imparino ad averci a che fare.
Si è pianto parecchio sui "cattivi maestri" negli ultimi anni. Probabilmente molti di loro facevano
soltanto il proprio mestiere: un mestiere che è sfida, protesta e provocazione. E solo che gli altri non
erano pronti, non erano capaci di trattarlo come un gioco che (chissà?) in un qualche possibile futuro
potrebbe anche tornare buono, e così l'hanno preso sul serio. La risposta alle catastrofi che ne sono
risultate è stata quella solita della limitazione e dell'isolamento: limitazione della libertà personale,
17
isolamento in un carcere. La risposta che propongo io, per le catastrofi che non sono ancora capitate
ma che verosimilmente capiteranno se non facciamo qualcosa in proposito, è quella di allargare il
gioco. E un gioco troppo importante per buttarlo via, potrebbe essere la nostra carta migliore per non
diventare obsoleti, ma allo stesso tempo è giocare col fuoco e quindi vogliamo che tutti imparino a non
scottarsi. Invece della divisione del lavoro, dunque, propongo una divisione nella vita di ciascuno:
propongo che ciascuno si lasci un po' di tempo per giocare al filosofo.
Questo è quanto. Abbiamo parlato abbastanza; è ora di fare qualcosa. Allacciatevi le cinture (o
meglio, slacciatele) perché si parte».
Buon Anno Scolastico
Il prof.
“I filosofi studiati sul manuale diventano tutti odiosi. Sono troppi e
hanno detto troppe cose.
Il nostro professore non si è mai schierato. Non s’è capito se gli
vanno bene tutti o se non glie ne importa di nessuno.
Io tra un professore indifferente e un maniaco preferisco il maniaco.
Uno che abbia o un pensiero suo o un filosofo che gli va bene. Parli solo
di quello, dica male degli altri, ce lo legga sull’originale per tre anni di
seguito. Sortiremo di scuola convinti che la filosofia può riempire una vita”.
SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Ed. libreria editrice fiorentina, Firenze 1996, p. 119.
Scarica