La responsabilità precontrattuale (o culpa in contrahendo), secondo

La responsabilità precontrattuale (o culpa in contrahendo), secondo la nozione accolta da autorevole
dottrina civilistica, indica la responsabilità per lesione dell’altrui libertà negoziale, realizzata mediante un
comportamento non conforme ai canoni di lealtà, correttezza e serietà in sede di trattative e formazione
del contratto.
Il referente normativo della responsabilità precontrattuale è l’art. 1337 c.c., che, dettando un generale
criterio di comportamento delle parti contraenti, stabilisce “Le parti, nello svolgimento delle trattative e
nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.
In particolare, il concetto di buona fede in senso oggettivo, che rileva agli effetti dell’art. 1337 c.c.,
esprime una regola di condotta secondo lealtà e correttezza, che deve essere intesa in una duplice
accezione: negativa, come dovere di astenersi da qualsiasi condotta lesiva dell’interesse altrui; e positiva,
come dovere di collaborare al fine di promuovere o soddisfare le reciproche aspettative.
L’affermazione di tale principio di buona fede in senso oggettivo ha introdotto nel nostro ordinamento un
criterio di valutazione della condotta delle parti, nell’ottica di una visione solidaristica del rapporto
giuridico, ricomprendendo questa il concetto di lealtà (ovvero, il contraente si deve comportare
correttamente) e di “salvaguardia” (ovvero, nei limiti di un “apprezzabile sacrificio” il contraente si deve
attivare per salvaguardare gli interessi della controparte).
Con la sentenza n. 4674 del 2014 il Consiglio di Stato torna a occuparsi dei profili attinenti alla
violazione, ad opera della Amministrazione, dei doveri di lealtà e correttezza nella fase formativa del
contratto.
La vicenda sottoposta all'attenzione della sezione quarta del Consiglio di Stato è la seguente: l'Anas
Spa - Compartimento della viabilità per il Molise - ai fini dell'affidamento dei servizi di ordinaria
manutenzione per la sistemazione delle opere in verde e pulizia delle pertinenze lungo le strade statali
del Molise, aveva indetto due gare da attribuirsi con il criterio del massimo ribasso.
In punto di fatto, era avvenuto che un’impresa dopo aver partecipato vittoriosamente ad una
procedura di gara, si era vista privata dell’utilità conseguita in quanto la stazione appaltante si era
determinata nel senso di esercitare il potere discrezionale di cui all’art. 81 del d.lgs 163/2006 di non
aggiudicare la gara, ritenendo l’offerta della ditta non conveniente.
Non essendo riuscita a raggiungere alcun accordo con l’ANAS, la società aggiudicataria aveva
impugnato il provvedimento dell’amministrazione ritenendo che una tale discrezionalità fosse
esercitabile solo in ipotesi di gara con il criterio dell’offerta economicamente più conveniente, e non
ipotesi di affidamento al massimo ribasso.
Il TAR si era pronunciato accogliendo in sede cautelare tale prospettazione e sospendendo, quindi,
l’efficacia dell’atto.
L'Anas, in via di autotutela, aveva disposto l'annullamento dell’intera procedura di gara, adducendo
come motivazioni che siccome i requisiti previsti nella lex specialis erano troppo stringenti ne era
derivato un limitazione del confronto concorrenziale.
L'aggiudicataria, con motivi aggiunti, aveva impugnato tale provvedimento il provvedimento, e
proposto, altresì, domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale della amministrazione.
Il Tar Molise, con sentenza 96/2010, aveva dichiarato improcedibile il ricorso principale e respinto i
motivi aggiunti, ritenendo corretto l’esercizio del potere di autotutela dell’amministrazione.
Proposto ricorso in appello, il Consiglio di Stato, pur confermando la legittimità dell’operato della
stazione appaltante (ANAS) sotto il profilo della legittimità amministrativa, aveva accolto risarcitoria,
per danno da responsabilità precontrattuale da liquidarsi ex articolo 34 del cpa.
Il Giudicante in sostanza ha evidenziato come la violazione di cui all’art. 1337 c.c. fosse da rinvenire
nel fatto che il bando inizialmente emanato era illegittimo (e dunque legittimamente annullato in via di
autotutela).
Oltre ad avere bandito una gara illegittima, l’ANAS aveva, inoltre, atteso oltre un anno prima di
rendersi conto della illegittimità della stessa, causando così un ulteriore pregiudizio alla controparte
contrattuale.
Ed infatti, a parere del Consiglio di Stato la legittimità dell'atto di autotutela della stazione appaltate
(ANAS), sebbene fondata su di un nuovo contemperamento degli interessi coinvolti, non può eliminare
l'illiceità della condotta dell'amministrazione, essendo la stessa risultata idonea a ingenerare in capo
alla società ricorrente la legittima aspettativa in ordine all'aggiudicazione definitiva della gara e alla
stipula del contratto.
È noto, infatti, come il principio del «legittimo affidamento» si traduce nella affermazione secondo cui
una situazione di vantaggio - assicurata al soggetto dall'ordinamento giuridico - non possa essere
successivamente rimossa, salvo indennizzo della posizione acquisita (Corte di giustizia, sezione II,
cause riunite C-182/03 e C-217/03).
Il principio del legittimo affidamento trova sostegno normativo nell’art. 21-quinquies della legge n. 241
del 1990 che sostiene «Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento
della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione
dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere
revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca
determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta
pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere
al loro indennizzo. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su
rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo
danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti
della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale
concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con
l'interesse pubblico>>.
Allo stesso modo il successivo articolo 21-nonies che afferma «il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell'art. 21-octies, (…) può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di
interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Rimangono ferme le responsabilità
provvedimento illegittimo».
connesse
all’adozione
e
al
mancato
annullamento
del
Orbene, le motivazioni che hanno condotto il Consiglio di Stato a ritenere sussistente, nel caso
concreto, la violazione delle regole di correttezza e buona fede trovano fondamento proprio sulle
ragioni addotte a sostegno del provvedimento di annullamento del bando di gara oltre che nel
considerevole lasso di tempo (un anno) utile al fine di ravvisare l'illiceità del comportamento della
medesima
amministrazione.
Ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della amministrazione non si deve tener
conto, infatti, della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento
amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dalla stessa
durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di
comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 c.c.(Consiglio di Stato 662/2012).
In sostanza, sussiste la responsabilità precontrattuale della amministrazione che ha legittimamente
annullato/revocato in autotutela l’aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto, come nel caso de
qua, per insostenibilità dell’impegno economico, nel caso in cui la mancanza di buona fede derivi dal
fatto che le condizioni di criticità economica, che hanno reso legittimo il recesso dalla gara, in realtà
preesistevano ed erano conosciute o quanto meno conoscibili impiegando la dovuta diligenza; sicché
una gestione più accorta avrebbe risparmiato all’amministrazione l’indizione della gara e la
pubblicazione del bando, e ai concorrenti i costi inerenti alla presentazione delle offerte.
La lesione del principio di affidamento e la violazione delle regole di correttezza, quindi, possono aversi
anche in presenza di una legittimità formale dell'atto di autotutela.
La responsabilità precontrattuale non presuppone, come sinora esposto, un illegittimo esercizio dei
poteri autoritativi piuttosto sorge anche in presenza di provvedimenti di per sé pienamente legittimi se
non doverosi (l’annullamento in autotutela di una procedura di gara per mancanza della relativa
copertura finanziaria costituisce, ad esempio, un atto imposto dall’ordinamento). La giurisprudenza è
infatti costante nell’affermare che il legittimo esercizio da parte della amministrazione dei suoi poteri
(ad esempio quello di revoca) in contrasto con l’interesse del privato alla conclusione del contratto se,
da un lato, pone al riparo l’interesse pubblico, dall’altro, non esclude l’eventuale responsabilità ex. art.
1337 c.c. ove sia riscontrato un comportamento della stessa amministrazione, complessivamente
inteso, contrastante con le regole di correttezza e buona fede (in tal senso anche TAR Piemonte,
sentenza 04/03/2011, n. 230).