Premessa Gli autori considerano moderno il sistema economico vigente a Roma. Gli argomenti trattati sono: Ruolo dello Stato nell’economia Metodologia di riscossione delle imposte e livelli di tassazione Peso dell’esercito Sviluppo dell’agricoltura e artigianato Ruolo della schiavitù La storiografia moderna sull’economia Romana Il significato originario di Economia è “amministrazione, governo dell’oikos, della casa intesa come famiglia allargata comprendente anche gli schiavi”. Totalmente diverso dalla nostra concezione quantitativa dell’economia. Pertanto vi è un problema di fonti. Lo studio si è avviato a partire dal XVII e XVIII secolo per merito di eruditi, antiquari, epigrafisti e numismatici. L’interpretazione economica di Roma riguarda una società pre-statistica, quindi è complesso lo studio delle fonti. Primitivisti e modernisti Dopo le pubblicazioni di August Boeckh (Economia politica degli Ateniesi) e Dureau de la Malle (Economia politica dei Romani) si aprì il dibattito intorno all’ “economia antica”. Si contrappongono due visioni, una “primitivista” e l’altra “modernista” e danno vita al Bucher-Meyr Controversy. Primitivisti Modernisti Bucher (Die Enstehung der Meyer sostiene la comparabilità delle Volksschaft: La nascita dell’economia economie antiche a quella moderna: 𝐸𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑉𝐼𝐼 𝑒 𝑉𝐼 𝑎. 𝐶. = nazionale) sostiene periodizzazioni 𝐸𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑋𝐼𝑉 𝑒 𝑋𝑉 𝑚𝑜𝑑𝑒𝑟𝑛𝑎 rigide: 1)Economia domestica-antica 2)Economia cittadina-medievale 3)Economia nazionale-moderna Per Rostovtzeff vi è uno sviluppo quantitativamente ottimistico ma non qualitativamente. La visione di Marx, invece, è di individuare dei “modi di produzione” delle dverse epoche storiche: 1. 2. 3. 4. Antichità e Schiavismo Medioevo e Feudalesimo Età Moderna e Capitalismo Futuro e Comunismo Marx asseriva una bassa produttività del sistema schiavista. Primitivisti (Sostantivisti) Inserimento della sfera economica nelle relazioni sociali Produttiività limitata, autosufficienza, sostentamento quotidiano, esigenze primarie (Non ci sono transazioni commerciali) Privo di tensioni (ricomponibili sul piano pubblico) Modernisti (Formalismo) Indipendenza dell’economia dai rapporti sociali Vendita di mercato, guadagni, gioco della domanda e dell’offerta, sviluppo “quasi industriale” e commercio Manifestazioni di lotte di classe (Robert von Poehlmann): ispirato dai conflitti sociali contemporanei L’interpretazione di Max Weber, invece, ha un’impostazione comparativista (fra antichità e Medioevo). Gli sviluppi italiani Il giurista Giuspe Salvioli indica le economie antiche (sia di Roma sia di Atene) come “capitalistiche”, data la forte ascendenza di commercio e agricoltura sulle ripercussioni politiche e sociali. È un’interpretazione di forte polemicità con l’ordine vigente. La Biblioteca di Storia Economica di Pareto e Ciccotti è piena di osservazioni critiche, punti di apertura a nuove entusiasmanti ricerche. Ciccotti offre spunti inerenti alla schiavitù (ad esempio non è essenziale il discorso di “liberalizzazione” cristiana) e alla guerra terminate in assenza di forze produttive. Corrado Barbagallo applicava la categoria di capitalismo alle attività produttive e di commercializzazione, soprattutto ai ceti benestanti del mondo antico (considerati come “spiritualmente” borghesi). Fra i due Conflitti Mondiali Lo studioso americano T. Frank indagò su basi obiettive e sistematiche. Innovative sono le visioni dello svedese Persson e il finlandese Gunnar Mickwitz (inerente allo studio di economia naturale e monetaria nel mondo tardo romano). Johanes Hasebroek ha subito, invece, l’influenza comparativistica di Max Weber. Max Weber e Polany Per Max Weber le caratteristiche della città antica sono: 1 Mancata differenziazione fra città e campagna 2 Società su base schiavistica 3 La città ha una natura essenzialmente consumatrice Weber individuerebbe “idealtipi” per indicare i vari stati successivi di città. Weber individua le premesse capitalistiche nella città medievale non in quella antica. Quindi per Weber A L’uomo antico è homo politicus B L’uomo medievale è già homo oeconomicus Un libro interessante è La grande trasformazione di Karl Polany. È fortemente critico del modello economico liberista (capitalismo e libero mercato), ideologicamente non marxista. Per Polany la civilità del 19° secolo (equilibrio del potere, base aurea internazionale, mercato autoregolato, stato liberale) è crollata. Polany ci induce a pensare che è inutile pensare il funzionamento dell’economia in base al modello di mercato, così trasportiamo indebitamente i principi della nostra economia alle società antiche. Per Polany la competizione e economia e la ricerca di profitto è una molla essenziale del carattere umano. L’ uomo è da sempre homo oeconomicus. L’analisi di Polany si rivolge all’agire umano, all’antropologia, etnologia e sociologia. Il suo obiettivo è “antropologia economica”. Il mercato è naturale all’essenza dell’uomo, è irrinunciabilmente insito nella sua teoria economica. Moses Finley Nella società greco-romana per Finley ci troviamo di fronte alla mancanza di un concetto specifico di “economia”. Non è possibile l’applicabilità di modelli di investimenti contemporanei alle società antiche. Se Polany individuava embedded (incorporato) alla natura umana l’economia, allora Finley considera “sradicata” l’economia dalla società (era l’economia a definire la società). La storia dell’economia di Roma, è storia rurale e di autosufficienza. Quindi nel mondo antico predominando l’ideologia civica in cui le potenzialità economiche sono inibite proprio dal potere politico prevalente. È lo status il discrimine non solo politico ma anche economico: Alcuni uomini liberi avevano lo status quasi di servi, visti i debiti da pagare Lo schiavo possidente“peculium” poteva affrancarsi e divenire imprenditore, negoziante, artigiano La tesi è sostenuta anche dalla profonda svalutazione del lavoro manuale, meccanico e artigiano. La decisione concreta in ambito economico nel mondo antico era determinata dallo status o ideologia civica (non dalla legge della domanda e dell’offerta). La risposta a Finley Carandini (famoso per il sito archeologico delle Settefinestre) disputa accesamente con Finley, sostenendo che i calcoli dell’agronomo Columella coesisteva con il settore monetario. Carandini, inoltre, evidenza la vivace competitività delle aree provinciali e la penisola italica. Hopkins rappresentava ironicamente tutti i punti di vista sull’economia romana come una “sorta di campo di battaglia”. Frederiksen ha un approccio, invece, neopositivista e si pone in contrapposizione con la visione di Finley. Frederiksen concepisce il modello della “città consumatrice” come inevitabilmente statico. Leveau sulla stessa scia propone un modello di “città organizzatrice”, configurane e organizzante il proprio territorio. Duncan-Jones, tuttavia, propose un modello primitivista inserendo Roma oggi in uno dei “paesi in via di sviluppo” (livello basso qualitativamente e scarsa tecnologia). Le tendenze odierne Il superamento delle posizioni di Finley è ottenuto tramite accorti studi sul commercio, sui mercati,sul ruolo dello Stato nell’economia, nell’innovazione tecnica (ci sono 5 aspetti determinanti: ecologia, demografia, forme di gestione domestica, diritto e istituzioni economiche e tecnologia) Oggi si valuta il concetto di “crisi”: Crisi dell’Italia rispetto alle province Crisi riguardo al III d.C. (vedi Lo Cascio) Si valuta anche l’espressione di Fabio Pittore, inerente alla scoperta della “ricchezza” di Roma (Fabio Pittore) quando conquistarono i territori sabini. Quando si ha una “crescita estensiva” o “crescita intensiva”? Quali sono i fattori endogeni o esogeni dell’economia romana? Scheidel ha indagato la relazione dei prezzi in base al potere d’acquisto dipendente dal “carrying capacity” (ossia la relazione fra ambiente e risorse e numero di persone). L’elemento demografico è alquanto condizionate lo sviluppo economico del mondo antico. Lo Cascio individua il fattore demografico come uno dei fattori determinanti nella produzione e distribuzione e strutturazione della stessa società. Solitamente includiamo anche categorie di analisi presente con quella dell’antica Roma, come il Pil. Per quanto riguardo l’ultimo periodo dell’impero si utilizza il modello dello “Stato dirigista” influente nelle “regole del gioco”. La crescita e il declino di statuti economici in epoca antica quindi si determinerebbe in lunghi periodi di stabilizzazioni. Emergono nuovi studi non solo sull’analisi quantitativa ma sull’interpretazione quantitativa come ad esempio l’incremento della produttività nei primi scoli dell’Impero Romano testimoniato dall’inquinamento atmosferico. Bang ritorna a un’interpretazione di tipo primitivista data la debole posizioni dei mercanti e dei poteri dello Stato. Il suo modello è quello del “bazar”. Le forme della produzione La base produttiva del mondo antico è l’agricoltura. L’agricoltura romana è in forte simbiosi con processi di trasformazione del territorio e di organizzazione. L’Italia (pur con tutte le differenze ambientali) si presenta come un’economia “mondo” a partire dal II secolo a.C. Mercantilizzazione e monetazione sono fondamentali nel commercio agricolo, determinando nuove forme gestionali e nuove attività agricole e nuove distribuzioni. Momenti di discontinuità Vi sono due momenti di discontinuità: Espansione in Italia e nel Mediterraneo La colonizzazione come “una volontà cieca di vincere a ogni costo la natura e la storia” Crisi politica e sociale nel III d.C. Netto declino demografico causato dall’epidemia della “peste antonina” Sistema monetario in oro e argento Flussi del mercato si restringono Notevole afflusso di schiavi La transumanza dei pascoli ha un’organizzazione economica atta a favorire investimenti e distribuzioni Urbanizzazione e abbandono dei terreni Irreversibilità della crisi con le invasioni barbariche del V secolo La Megalopoli Roma necessita di approvvigionamenti Il vino Il vino è il simbolo della trasformazione dell’economia agraria di Roma durante la sua evoluzione. La prima innovazione è dovuta all’importazione di nuovi attrezzi agricoli e nuove tecniche grazie ai coloni della Magna Grecia in Italia meridionale e Sicilia. I greci importarono l’uso della falx vinitoria per sfrondare gli alberi. Le viticolture si stabilizzano in Etruria, già dal VII e dal VI secolo a.C., gestite da un’aristocrazia terriera per lo scambio con materie prime, metalli e schiavi (attrattiva per i Celti). La produzione del vino e la sua commercializzazione sono identificabili in base al tipo di anfora, indicati il luogo di produzione e di provenienza. Questa è la più antica anfora romana conosciuta con il nome di Dressel 1. La più antica è risalente dalla fine del III secolo. Difficile è la ricostruzione delle più antiche produzioni vinicole. In età repubblicana il Lazio e la Campania erano le regioni più floride nell’esportazione di vino. Vi erano tre tipi di vino: 1. Vino di autoconsumo, difficile da indagare 2. Vino di pregio: destinato all’invecchiamento, al trasporto, alla clientela ricca e alla concorrenza (il successo del vino campano era il modello per le altre viticulture) 3. Vino di massa, di qualità ordinario e reperibile (1/3 del costo di quello pregiato, era prodotto soprattutto fra il Piceno e la foce del Po e Faenza, la sua domanda era cresciuta durante l’epoca imperiale) Importante è la fonte di Cicerone inerente alla produzione di vino negata alla Gallia Meridionale intorno al 150 a.C. a scopo protezionistico: << e noi poi che abbiamo in così alta considerazione la giustizia non permettiamo alle popolazioni transalpine di coltivare l’olivo e la vite, per impedire il deprezzamento dei nostri oliveti e delle nostre vigne >> Albina in Etruria era uno dei centri rifornitori di vino nell’oppidum di Biracte, degli Edui e degli Alverni, pertanto si può tracciare il percorso del commercio (dall’Albegna alle coste tirreniche, poi risalendo il Rodano e verso le destinazioni). Il folto numero di bolle e di anfore indicava non solo grande vitalità di commercio ma anche complessità fra la produzione vinicola, l’officina, la qualità del prodotto, la destinazione. La presenza in Alina di Dressel 1 e Dressel 2/4 (prodotti molti all’inizio dell’epoca imperiale) indica una produzione esercitata dal II secolo a.C e il I secolo d.C. La differenza fra Dressel 1 e Dressel 2/4. Il Dressel 1 è più antico del Dressel 2/4. La differenza temporale indica la durata commerciale dell’azienza agrigola La villa schiavistica Le conquiste romane, la crescita economica e la schiavizzazione permisero il sorgere della nuova realtà produttiva: la villa “schiavistica”. La gestione della villa “schiavistica” era agevolata dalla centuriazione e dalla rete viaria. La villa Settefinestre fu edificata nel 40 a. C. nei pressi di via Aurelia, nell’entroterra di Cosa e abbandonata nel III seecolo d.C. quando l’area era ritenuta insalubre. La malaria causò lo spopolamento dalle campagne, inoltre, la villa si modificò molto nel corso del tempo. Il massimo splendore è raggiunto in epoca chiastica fino a raggiungere la produzione commerciale non solo di autoconsumo. Rappresenta la crisi fondiaria della seconda metà del II secolo a.C. (proprio l’Etruria fu il luogo visto da Gracco, che gli permise di riflettere sulla condizione di immiserimento del piccolo proprietario fondiario. Vi è una separazione fra l’Etruria meridionale e l’Etruria settentrionale. L’Etruria meridionale fu destinata alla gestione senatoria fondata su proprietà “schiavistiche” andate in crisi in epoca imperiale. L’Etruria settentrionale vede il coesistere di villaggi e schiavi, pertanto i centri avranno una maggiore stabilità economica. La crisi del I secolo d.C. I secolo d.C. è il periodo di un evidente crisi della viticoltura. Il simbolo è l’editto domizianeo: per una scarsità di grano in Italia, si sradicarono molti viti e trapiantate nelle province. Non ebbe seguito. Per comprendere la crisi della viticoltura è fondamentale la relazione fra l’area di produzione e l’esportazione della relativa anfora (il Dressel 2/4). Il ruolo di protagonista dell’Italia nell’esportazione di vino incominciava a deteriorarsi, ma si deve tenere conto dei diversi ambiti regionali di sviluppo. Nell’Etruria Meridionale diverso fu il destino delle ville “centrali” e le ville “periferiche”. Le periferiche durarono di più data la minore presenza di schiavi e la produzione estensiva dei territori. Lavoro libero e lavoro servile De agri coltura di Catone è un’operetta fondamentale. È il risultato della funzione di parti indipendenti. Il libro contiene non solo la gestione del terreno ma anche ricette, formule religiose. Catone non indica un’ideal-tipo di tenuta, ma è preciso geograficamente, indicando il Lazio Meridionale e la Campania. Vigneto di 100 iugeri a cui lavoravano 16 persone: Il fattore, la fattrice, il bovaro, l’asinaio, il porcaio, saliceto 10 operarii (si occupavano sia del vigneto sia di altri prodotti) Oliveto di 250 iugeri a cui lavoravano 13 lavoratori: Il fattore, la fattrice Fondi diversi con una coltura predominante Diversamente da quanto si pensi Catone si riferisce agli operaii a uomini liberi non agli schiavi: molto probabile la presenza di schiavi che si offrivano per lavorare. Operaius, mercenarius e politor sono tre figure intercambiabili ed esterne. Il politor dovrebbe essere un trebbiatore. Inoltre Catone differenzia nella produzione della produzione dell’olio due mansioni di chi raccoglie a terra e chi sull’albero. La brevità dell’ingaggio era ottenuta per ottenere il massimo impegno. Il mercenarius probabilmente riceveva un compenso in natura, era di status libero. Varrone convalida questa tesi. Lo Cascio afferma che è “la rappresentazione più vivida del carattere integrato del lavoro servile e di quello libero nell’azienda agraria”. Agli schiavi, essendo un patrimonio, erano evitati i lavori insalubri. Sono i liberi salariati a compiere i lavori più duri. Catone invita alla benevolenza con i vicini sia per una vendita più veloce dei prodotti sia per una agevolezza nell’assumerli nella proprietà. Ad esempio il nonno di Vespasiano appaltava i propri terreni ai contadini stagionali. Operarii probabilmente era lavoratori di condizione libera e provenivano dal vicinato. Un riscontro è offerto da Gellio e Ennio, ad esempio padre e figlio aspettano invano l’aiuto del vicinato. Addirittura il trattato di Catone apre a forme di colonie parziarie (condivisa fra detentore e affittuario). La piccola proprietà, indicato soprattutto riguardo all’episodio di Attilio Regolo (di salvaguardare il podere in sua assenza), è indice dall’elevato grado di instabilità e della gestione estremamente mutabile. In seguito l’apporto esterno nel lavoro della proprietà della villa si andò a specializzare sia nel vigneto che nell’oliveto (bestiame). Il lavoro era poliedrico e la forza-lavoro utilizzata in maniera differente. Innovazioni nel lavoro agricolo Finley offriva un’immagine dell’agricoltura senza cambiamenti, innovazioni, aratro, raccolta, irrigazione ma non è così. È il caso del mulino. 1 mulini di Barbegal in Provenza 2 Mulini del Gianicolo III secolo 3 Scoperta dei mulini ad acqua ville del Var II secolo Esistono documentazioni anche in Frigia e Dalmazia. La nuova tecnologia forse fu assoldata per rispondere alla necessità di forza lavoro, assai insufficiente nel tardo antico. Il vallus ad esempio è una sofisticata macchina mietitrice, quindi contraddice le tesi di Finley. È importante distinguere fra “invenzione” e “innovazione”: Invenzione indica un atto di intelligenza non legato a una finalità immediata Innovazione modifica i modi di produzione, rendendoli efficienti Però è da riconoscere che l’agronomia romanica non pone mai al centro l’efficienza dello strumento, dell’utensile o il risparmio di fatica. Il torchio richiede sforzo muscolare e peso, ed è soggetto a evoluzione. Le invenzioni sono poche ma le innovazioni sono importanti. Il più grosso fattore di innovazione è legato all’estensione dell’impero con uno sviluppo tecnico nei trasporti (navi) e comunicazioni (strade). La produzione artigianale La produzione artigianale è parallela all’agricoltura e ai traffici commerciali, per il vino ad esempio abbisognava di contenitori adatti. Per il buon funzionamento di un’officina era essenziale la presenza di un corso d’acqua sia come via di comunicazione sia come disponibilità in loco. L’artigianato e l’agricoltura stabilivano rapporti commerciali e funzionali. L’argilla e i lavori di vasellame sono complementari alla definizione dell’autosufficienza economica di una piccola famiglia terriera (il riferimento sono i Saserna espressi nel dialogo di Varrone). Ma la sfera di competenza dell’artigianato assolve a un ruolo più specifico alla stessa condizione economica fondiaria, avendo anche forme di organizzazione complessa e settori autonomi. Le migliaia anfore di Dressel dimostrano l’omogeneità del lavoro dei vasai e un’articolazione organizzativa su vasta scala. L’officina è divincolata dall’organizzazione del fundus. Le fornaci artigianali sorgono in una posizione interna al borgo e lontane dalle ville. L’organizzazione articolata delle fornaci indica piena autonomia lavorativa e locativa. La standardizzazione dei prodotti, le forniture e la manodopera inducono a presumere a un’autonomia gestionale. I produttori-finanziatori sono 1)il piccolo proprietario o 2) il grande proprietario ammaliato dall’investire sia nell’attività artigianale che agricola. Presumibilmente l’attività fittile viene svolta nei periodi in cui i lavori agricoli non vengono compiuti. L’attività in loco dei dipendenti comporta avanzamento “imprenditoriale” dell’attività agricola. Le officine rifornivano di vasellame, tegole, mattoni la stessa villa al cui interno il fattore aveva compiti gestionali, organizzativi e di vendita. “L’imprenditorialità” era fornita non solo da rapporti giuridici esistenti fra il committente e il produttore ma anche dalle marche da bollo indicanti la provenienza. Si ipotizza anche la presenza di “succursali” gestite da un “institor” cioè un gestore. I papiri egiziani dimostrano i contratti di affitto delle fabbriche. Affittante del terreno metteva a disposizione le materie prime, l’affittuario il personale e il prodotto. Veniva stabilito un certo quantitativo di vasellame da produrre, tuttavia, la produzione generale poteva riguardare anche forni “succursali” o minori. Il modello dell’officina non era un’unità centralizzata ma ben articolata e frazionata. Si differenzia però dalle corporazioni medievali. Pochi era i reali artigiani-proprietari orchestratori dell’organizzazione, si prediligeva l’affitto o la vendita. La ceramica aretina Prestigiosa era la produzione della ceramica aretina. Arezzo già dal IV vantava una produzione di vasi a “vernice” nera. Coppa di terra sigillata aretina dal Museo archeologico di Arezzo Dalla metà del I a.C. il processo tecnologico passa una copertura rossa brillante. Ebbe un vastissimo successo e divenne fonte di imitazione Molto diffuso però anche il vasellame destinato al consumo e alla produzione di massa, insomma, un vasellame liscio da mensa. La produzione aretina cessa fra il 60 e il 70 I d.C. dovuta alla concorrenza e iitazione delle officine galliche specialmente della Gallia sudoccidentale a La Graufesnque Molto nota era la produzione di Pernnius, di cui si conoscono 4 fasi. 1)Perrenius e 4 artigiani di alto livello tecinco 2)Nel I secolo il nuovo proprietario un libero protende verso una produzione di massa e abbassa la qualità, apertura di una succursale a Cincelli 3)Il nuovo proprietario abbandona Cincelli 4)Cessazione dell’attività Altri proprietari erano Ateius, Anni, Rasinius. Per il dislocamento delle truppe Ateius ampliò la sua attività in Gallia. Il sistema monetario I Romani incominciarono a coniare moneta dall’età repubblicana e nel dibattito contemporaneo è aperta la discussione inerente allo scopo di una società “monetarizzata”. Oggi si ridimensiona la posizione di chi tende a sminuire il possesso di beni monetari delle classi inferiori. I rinvenimenti archeologici mostrano la presenza di monete di piccolo taglio e l’assenza delle monete è considerata caratteristica delle popolazioni barbariche: << è proprio dei Dalmati il non usare moneta ed è in rapporto a molti altri barbari >> (Strabone) La monetizzazione sembra crescere con le conquiste e la romanizzazione, addirittura aumentando durante l’età tardo antica. Diversi sono i modelli indicanti la stima della quantità di moneta coniata e dei prezzi. Le tre funzione della teoria economica della moneta sono presenti a Roma, e sono mezzo di scambio, mezzo di valutazione del valore e mezzo di tesaurizzazione. La storia del sistema monetario romano Le prime monete sono coniate in elettro (una lega naturale di oro e argento presente in Asia minore nel fiume Pattolo) Elettro, 1/3 di statere (4,71 g). Inizio Vi secolo a.C. La moneta era già diffusa in Persia e in Grecia e nelle polis della Magna Grecia e della Sicilia. Note sono le monete di emissione di argento etrusco di Vulci nel V secolo, poi diffusione a partire dal III secolo a.C. Le Monete battute a Vulci testimoniano già la presenza di intesi scambi commerciali esistenti fra le varie popolazioni dell’interno Lingotti a “pelle di bue” ritrovati in Sardegna, prodotti durante l’età del Bronzo e diffusi su tutto il mediterraneo anche se privi di un marchio indicano un processo di standardizzazione e regolarità finalizzato allo scambio commerciale Aes rude erano i blocchi di rame di grandi dimensioni utilizzati a scopo monetario. La sua evoluzione si riscontra con l’aggiunta di elementi impressi, sempre più particolari come una stella o un’asta. Erano prodotti in Etruria e nel Lazio. Non hanno un peso regolare. Aes signatum è un blocco di rame, del peso oscillante fra 1,150 e 1,850 kg (5 libbre romane). Quindi aveva un peso standard e usato negli scambi commerciali, anche frazionato. Non era solo utilizzato come denaro ma era un vero e proprio sistema di monetazione. Sono indicati con ROMANOM o ROM (indicano l’autorità emittente). L’apparizione è datata intorno al 289 a.C. L’aes signatum del maiale del porcello indicano lo socntro con pirro. Oggi si tende a pensare l’istituzione monetaria connessa ai “triumviri monetales” e alla definizione della libbra romana intorno al 250 a.C. Aes grave è la “prima vera moneta” di Roma. Il peso è un’unità di asse o 12 once. La pecunia (simbolo del bestiame sulle monete) fu introdotta da Servio Tullio, ma erano ancora i blocchi di “rame secco”. Le fonti attestano un primo “marchio” dell’autorità come unità di pagamento poi per le XII Tavole. Il grafico illustra la produzione della metà del III secolo condizionata dalla crisi della 1° guerra punica Quantità Asse Semisse Triente Quadrante Sestante Oncia Valore 12 once 1/2 asse 1/3 asse 1/4 asse 1/6 asse 1/12 asse Peso 273 g 136,5 g 91 g 68,25 g 45,5 g 22,75 g Già dal 320/300 a.C. circola la moneta d’argento. Quindi vi fu una separazione del sistema “monetario” italico. Al nord si fondevano blocchi di rame. Al sud, invece, erano presenti già le prime monete argentee. La prima moneta argentea era il didracma della Campania (le monete “romanocampane”), utilizzate nei commerci con le colonie greche. Esempio di didracma neapolis Plino Il Vecchio riporta: l’argento è coniato nel 269 (denario era di 10 libbre di bronzo, il quinario di 5, il sesterzio di 2 e mezza). La data della fissazione della moneta di argento come denario è ritenuta il 269-268, con la serie della Lupa. L’introduzione riconosce il denario come moneta specifica, quindi un “autentico numerario”. Alla vigilia della prima guerra punica i due metalli, rame e argento, sono agganciati in un sistema bimetallico complesso ed evoluto. A partire dal 312 a.C. la produzione monetaria si lega al censimento (calcolo del patrimonio monetario) e dal 310 a.C. alle tabernae veteres come botteghe di cambio. L’evoluzione economica di Roma richiede una completa definizione delle strutture monetarie. Durante la 2° guerra punica per la scarsità di reperibilità delle materie grezze fu introdotto l’aure (1/48 di libbra). Entra il sistema trimonetario (omogeneità di peso fra argento e oro). Durante la 1° guerra punica la crisi monetaria fu dettata dalla sopravvalutazione del valore nominale rispetto a quello intrinseco. L’asse fu ridotto di peso e di percentuale d’argento (dal 97 al 91 % e fino a 1/6 di libbra). La libbra era 327, 168 g e l’asse originario era 273g, poi ridotto nel III secolo a.C. a 163,5 g fino alla demonetizzazione del 212-211 a.C. fino a 1/72 di libbra. Quindi un asse pesava nel III secolo a.C una mezza libbra. Il denario ebbe dei sottomultipli: il quinario e il sesterzio. Moneta Valore sul denario Valore sull'asse Marca Denario 1 denario 10 assi X Quinario 1/2 denario 5 assi V Sesterzio 1/4 di denario 2,5 assi IIS e successivamente HS La 2° emissione di oro portava le diciture di 60, 40 e 20 assi (6, 4 e 2 denari). L’oro entra a far è parte di un sistema trimetallico. Dalle conquiste macedoniche furono eliminate per non procurare una svalutazione del metallo. Dopo le guerra annibalica il denario era la moneta più diffusa, imponendosi sulla Sicilia e la Spagna. Agli inizi del II secolo le monetazioni locali introdussero le unità di valore romano o sostituirono quelle locali oppure mantenevano cambi monetari provinciali (Quinario = moneta argentea gallica; Sesterzio = Diobolo). Questa espansione si blocca dall’età di Silla e prosegue in età imperiale, ma permane un struttura monetaria integrata fra i sistemi monetari locali e romani. Le uniche aree chiuse erano Pergamo ed Egitto, già preesistenti. A Pergamo cessò dal 133 a.C. e ripresa dal 50 a.C. Tutte le monete provinciali erano legati a cambi prefissati con quelle romane (dimostrato dal tesoro di Hieraptyna). La coniazione della moneta locale era un privilegio politico e ne testimoniava l’autonomia della città (il caso di Marsiglia, revocata la libertà da Cesare). Il denario si riduce ancora nel 187 a.C. a 1/84 di libbra (3,89 g), l’asse è pari a 1/12 di libra (27,25 g). Fu introdtto anche il vittoriato (3/4 di denario) usato per i militari poi decaduto nel II secolo d.C. La Lex Clodia introdusse di nuovo il quinario, la Lex papiria (92-90) introdusse di nuovo il sesterzio. Il bronzo raggiunse una amplissima diffusione. Intorno al 140 a.C. 1 Denario = 16 assi (aumento di 6 assi), dovuta a una riduzione dell’asse di 2/3 di oncia (18,16 g). La lex Papiria (92-90) porta all’asse semionciale: 1/2 oncia nell'89 a.C. (13,625 g). Ma la legge di Graatidiano (86 a.C.) ristabilì 1 denario = 16 assi, introducendo il reato di falso in moneta e imponendo il valore nominale. Riportò 1 asse = 1 oncia =27,25 g. Ma la produzione scarseggiò e il tentato rimedio fu la diffusione di monete “semiufficiali”. Il denario rimase assai stabile fino a Marco Antonio (ma al di sotto del 92 %) e nell’ultima epoca repubblicana vi è una forte romanizzazione monetaria anche del bronzo. Per quanto riguarda l’oro non era coniato per motivi di prestigio. Una prima onorificenza fu concessa nel 196-194 a.C. a Tito Quinzio Flaminino, ma Silla fu il primo a farsi rappresentare sull’emissione aurea. Prima di Silla l’emissione aurea non aveva valore economico. Con Pompeo (trionfo africano) e Cesare vi è una produzione abbondante l’aureo. <<L’aureus dimostrò l suo valore come moneta che vinse le guerre civili”. Augusto lo normativizza. L’aureo fu una produzione esclusiva e produsse una quantità notevole di denaro in circolazione. 300 a.C. 1 aes signatum = 5 assi 1 asse = 1 libbra = 2 semiassi = 3 Trienti = 4 Quadranti = 6 Sestanti = 12 Once 210 a.C Aurei grandi = 6 Denari = 60 assi Aurei medi = 4 Denari = 40 assi Aurei piccoli = 2 Denari = 20 assi 1 Denario = 27,25 g = 2 Quinari = 4 Sesterzi = 10 assi 1 asse = 2 Once 120 a.C. 1 Denario = 3,89 g = 2 Quinari = 4 Sesterzi = 16 Assi 1 Asso = 1 Oncia Da Augusto ai Severi Il denario rimase stabile per 400 anni. Nerone applica una riduzione del denario da 1/84 di libbra a 1/96 (3,40 g). Riduzione del fino (Nerone 90%, Vespasiano Tito 80 %, Domiziano 93 %, Traiano 89 %, Antonino Pio 84 %, Marco Aurelio 80 %, Pertinace 87 %, Settimio Severo 50 %). Caracalla portò il peso del denario a 1/104 di libbra (3,14 g). La svalutazione del denario comportò una riforma monetaria di Caracalla nel 215 d.C. e l’introduzione dell’ “antoniniano”. La parola antoniniano è un termine moderno basato sul nome di Caracalla (Marco Aurelio Antonino), che è stato il primo ad emettere questo tipo di moneta; il nome antico della moneta non è conosciuto. La moneta è anche definita radiato, dalla corona radiata indossata dall'imperatore, anche se il termine è meno preciso. Il valore metallico è di 1,5 rispetto al denario. Antoniniano = 1/64 di Libbra = 5,10 g. Antoniniano portò alla sparizione del denario. Per quanto riguarda il valori bronzei, Augusto tentò di imporre la moneta romana, ma si tornò alle monete provinciali. Augusto introdusse due metalli l’ottone e il rame: Gli assi in rame (asse poco più di ½ oncia) I Semiassi e sesterzio in ottone La riforma era dovuta a carenze di materiale e la produzione delle monete era opera della sola zecca di Roma. Con Marco Aurelio il progressivo aumento dei prezzi portò all’abbandono dei nominali più bassi. I divisionali portavano l’indicazione di Senato (ciò significava la distanza fra imperatore e Senato), in epoca Neroniana anche l’oro e l’argento portano questa indicazione forse indice del quinquennio felice neroniano. Nerone, forse la prima produzione radiata La produzione della moneta provinciale sopravvisse in Asia (Pergamo, Siria e Cappadocia). La riduzione di fino (sia di Nerone, sia di Commodo, sia di Traiano) ebbero delle ripercussioni nelle province, abbassando la quantità di fino per permettere uno scambio equo fra la moneta provinciale e moneta romana. Sistema “attico” Sistema “rodio” Sistema “egiziano” 1 Denario = 1 Dracma 1 Dracma = ¾ Denario 4 Dracma = 1 Denario Solo in Egitto circolava moneta locale (il cambio poteva avere dei profitti per le casse imperiali). La moneta è il tetradracma. L’area era organizzata in prefettura e governata da un prefetto di rango equestre (gli imperatori vi accedevano solo con il permesso imperiale). Sotto Diocleziano si conclude la monetazione speciale. Ma anche se l’Egitto conservava uno statuto monetario particolare era comunque compresa nel sistema unitario nominale romano con i relativi cambi indicati. La contabilità a Roma era tenuta in denari. L’unica moneta circolante in tutto l’impero era l’aureo, vera eccezione del sistema monetario romano. Il rapporto con il denario era: 1 aureo : 25 denari (Nerone passò da 1/40 di libbra a 1/45 di libbra; Caracalla 1/50). 1 Aureo = 25 Denari 1 Denario (1/96 con Nerone) = 4 sesterzi = 16 Assi 1 Sesterzio (ottone) = 2 Dupondi = 4 Assi 1 Asso (1/2 oncia) = 2 Semiassi = 4 Quadranti Il III secolo e il sistema monetario tardo antico Il sistema monetario entra in una fase convulsa e confusa. Fra Decio e Claudio II si verificò una breve riduzione di fino. Si verificò intorno al 275 d.C. una rinuncia al cambio nominale fissato e vi era un’evidente oscillazione del prezzo di cambio dell’oro fino ad arrivare a un “prezzo del giorno”. Aureliano cercò di ricomporre la purezza metallica dell’aureo (1/50 di libbra). Moneta aurea di Aureliano Abbandono dei divisionali bronzeo (270). L’antoniniano scalzò il denario a partire da Gordiano III, perse sempre di più la quantità in argento (2% o 3%). La coniazione avveniva anche nelle province (perdita del primato di Roma e fine della coniazioni provinciali, rimaneva solo l’Egitto, ma permaneva la circolazione delle monete provinciali). Aureliano provò a sostituire l’antoniniano con l’ “aureliano” (5 % argento), non richiedeva la scomparsa però dell’antoniniano. L’indicazione XX è ipoteticamente più vicina all’interpretazione del fino metallico. Importantissime furono le riforme di Diocleziano: Aureo 1/60 di libbra (286) Ma introdusse questo sistema monetario a partire dal 295, imponendo il denario come moneta base del sistema Il sistema monetario dioclezianeo 1 Aureo = 1.200 Denari 1 Argento = 50 denari poi dal 1° Settembre, 100 Denari 1 Laureato grande = 12,5 denari poi dal 1° Settembre 301, 25 Denari 1 Fladiato = 2 denari poi dal 1° settembre del 301m, 4 denari 1 Laureato piccolo = 1 Denario poi dal 1° Settembre, 2 denari 1 Argento era un richiamo alla politica neroniana (1/96 di libbra in argento). Il laureato grande rispettava la divisione neroniana (rapporto 1 Denario = 4 Sesterzi). Nell'ambito della riforma economica, di particolare importanza fu l'Editto dei prezzi emanato da Diocleziano nel 301 d.C., che stabiliva il prezzo massimo al quale potevano essere venduti alcuni beni: 1 libbra di maiale - 12 denari 1 libbra di manzo - 8 denari 1 modius di sale - 100 denari 1 sextarius d'olio d'oliva - 40 denari 1 modius di frumento - 100 denari 1 modius d'avena - 60 denari 1 sextarius di vino Falerno - 30 denari 1 paio di scarpe alla moda - 150 denari 1 paio di scarpe da donna - 60 denari Lana da Tarentum - 175 denari alla libbra seta bianca - 12,000 denari alla libbra Diocleziano pose fine a ogni frammentazione monetaria nell’Impero (zecche erano una per Diocesi). L’impero coniava tutte le stesse monete. L’Italia e l’Egitto perdono i loro statuti privilegiati. All'inizio del III secolo, l'imperatore Costantino riorganizzò il sistema monetario romano sfruttando maggiormente il valore dell'oro; in quest'ottica introdusse il solido, una moneta che nell'impero occidentale durò fino al V secolo, mentre nell'impero bizantino durò quasi fino alla caduta dello stesso. Sottomultipli erano il semisse ( ½ di solido) e tremisse ( 1/3 di solido). Oro conservò il suo valore intrinseco. Convulsi cambiamenti ebbe il nominale bronzeo dopo Costantino. Il sistema era solo nominale non aveva aderenza con il valore intrinseco. Giuliano provò l’inserimento di più tagli (un pezzo da 1/36 di Libbra, 1/96 senza argento). In epoca valentinianea fu definitivamente abbandonato l’argento per i divisionali. L’inflazione era galoppante e la moneta si svalutò al punto da non permettere l’acquisto di beni con le monete divisionali. Il Denario non aveva più senso. Il Denario dioclezianeo si svalutò al punto da essere dimezzato di libra sotto Costanzo II (1/444 e poi 1/156 di libra) e sotto Onorio (1/216 di Libbra). Non coincidevano valore nominale e valore intrinseco. Il valore nominale e il valore intrinseco Le monete romane avevano sempre una determinata quantità di metallo, quindi un coefficiente o valore metallico o intrinseco (di oro, argento e bronzo). Il valore intrinseco variava in base al prezzo del mercato, alla reperibilità e alla apertura di miniere. Il rapporto fisso è dettato dall’autorità emittente. Questo è il valore nominale. Il valore nominale deve essere superiore a quello intrinseco. La valutazione della moneta si applica sul quantitativo di metallo presente nella moneta (controllo se la moneta è più leggera del pezzo standard). La coniazione delle monete non avveniva per pezzo ma per marco (numero standard di monete da una libbra di metallo). È importante la “forchetta” fra pezzo e marco. Quindi si sceglie una materia a cui si imprime un segno pubblico per quanto riguarda la quantità e non la sostanza. Il metallo è una merce, la moneta ha un valore nominale (d’autorità e di prezzo). La moneta, in quanto nomos ossia legge (da qui nomisma), ha un valore nominale, imposto simbolo di un valore sopravvalutato dalle autorità emittente. Si spiega quindi l’imposizione di Silla sull’accettare le monete di Roma e la repressione alle officine egiziane. Diventano merci le monete demonetizzate o svalutate in quanto hanno solo valore quantitativo ossia del metallo in esso presente. Ad esempio il Vittoriato ( ¾ di Denario fra il 220 e il 170 a.C.) si svalutò fino alla lex Claudia del 101 riconoscente un pari valore con il quinario. L’oro mantenne sempre il valore intrinseco molto alto, ma era comunque prezzo (25 Denari) in età imperiale però nel tardo-antico perse ogni valore di cambio (torna come merce). Il bronzo e l’argento ebbero sempre un valore nominale. Complesso è il caso dell’argento soprattutto in epoca tardo antica, poiché ebbe sia una sopravvalutazione nominale e sia una vendita a peso. In età dioclezianea 100 argentei valevano 9.600 denari invece una libbra di metallo corrispondeva 6.000 denari. Il tasso di sopravvalutazione era del 60 %. I prezzi dei Metalli e i loro rapporti Qual è il valore esistente fra i metalli? Questa è una questione dirimente e fondamentale. I metalli sono posti a “tariffe variabili”: è dimostrato dal “prezzo” dell’oro nel periodo tardo antico. Le variazioni dipendono da intensità e durate differenti. Le variazioni determinate sono dovute a sollecitazioni di eventi o momenti temporali. Ad esempio l’afflusso di oro dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme causò la riduzione del prezzo del metallo in Siria. Il metallo quindi è dedito all’accumulo non al bisogno. La modifica dei prezzi dei metalli determina effetti dirompenti. Le oscillazioni di mercato del prezzo dei metalli possono comportare un ribassarsi del “valore nominale”. Gli unici procedimenti validi a riattivare il valore nominale sono: Riduzione di fino (demonetizzazione o ritiro delle monete precedenti) Ritariffazione Questo sistema monetario è molto instabile: infatti, a causa delle fluttuazioni del valore commerciale dei metalli, quello con valore superiore al valore della valuta tende ad essere utilizzato come metallo, sparendo dalla circolazione come denaro (legge di Gresham, banalmente espressa dal famoso detto: la moneta cattiva caccia quella buona). Gresham fu tra i primi a osservare e descrivere la tendenza della moneta cattiva "a scacciare" la moneta buona, ovvero la tendenza degli operatori economici a disfarsi delle monete cattive, rifiutandole per essere pagati, ma cercando di usarle per pagare. Se l'autorità monetaria continua a battere moneta senza modificare né peso né lega, dopo poco tempo le monete di nuova emissione scompaiono dalla circolazione. La legge di Gresham è anche all'origine del fallimento dei sistemi monetari bimetallici. In tali sistemi, lo stato fissa una parità tra oro e argento, parità che, tuttavia, può non essere accettata dal mercato, ad esempio se viene immessa una gran quantità di uno dei due metalli. L’impegno di Augusto dopo l’immissione sul mercato di un grande afflusso di metallo in Egitto fu quello di compiere una ritariffazione. La riduzione ad esempio di fino dell’oro in epoca traianea è dettata dall’ingente afflusso di oro durante la campagna dacica. Tutto per mantenere inalterato il rapporto di 1:25. La ritariffazione è presente nella riforma diocleziane soprattutto dal passaggio della riforma del 294 a quella dell’Editto sui prezzi (argento raddoppiato nominalmente a 200 denari). L’oro era svincolato da questo sistema. Politica monetaria e sistemi di emissione Roma ha adottato decisioni politiche consapevoli con precisi scopi economici? Questo dibattito è connesso al ruolo dell’Editto di Prezzi di evitare un’inflazione dilagante. L’Editto dei Prezzi non è una risposta immediata e innescata dal raddoppio dei prezzi a cui bisogna porre rimedio con un calmiere, ma è frutto di operazioni di raccolta dati e di rielaborazione. I due provvedimenti (Editto di Afrodisia e Editto dei Prezzi) devono essere interpretati unitariamente, dove il secondo è una risposta preventiva al primo. Le risposte del valore nominale sono la ritariffazione, la demonetizzazione, la riduzione di fino. Nella Roma antica quindi mancava una scienza economica supportata da una metodologia matematica ma vi erano risposte empiriche ai fenomeni monetari tali da permettere l’adozione di politiche economiche. La riduzione di fino fu il provvedimento più usuale alla risposta di difficoltà finanziaria per fronteggiare impegni bellici e distribuzioni di denaro in momenti di emergenza. La politica di emissione era dovuta solo a motivi emergenziali (di stipendi o distribuzioni)? Oppure era indirizzata a finalità future? La prima domanda non risponde alla stabilità della repubblica e dell’impero. La seconda domanda risponde alle esigenze di tassazione a Roma. Il finanziamento delle opere pubbliche come la via Appia va inteso in questo senso (ricorda i Commerci di Appio Claudio il Cieco per i suoi traffici con la Magna Grecia). Strabone, infatti, indicava la moneta come essenziale per il pagamento delle spese. Gli stessi metalli avevano un potere di acquisto differente (l’argento era scambiato con le popolazioni germaniche; l’oro verteva sugli stipendi; la divisionale alle esigenze di mercato quotidiane). La moneta pertanto permeava tutte le operazioni economiche, sociali e politiche. Un altro motivo per sostenere la lungimiranza dei progetti monetari sono le “coniazioni semiufficiali”. Le maggiori spese affrontate dallo Stato furono senz’altro spese militari (approvvigionamento di suppellettili, vettovagliamento, donativo, foraggiamento, trasporti) fino ad arrivare a metà o più dell’erario , a cui si aggiunge i approvvigionamenti gratuiti alla plebe. Altre spese erano quelle burocratiche (Adriano e le procuratele da 60.000 sesterzi a 300.000 sesterzi). Gli introiti dello stato erano tasse sia dirette sia indirette, bottini di guerra e tributi Fenomeni monetari antichi: inflazione, deflazione L’inflazione è la crescita generalizzata dei prezzi e la perdita di potere d’acquisto monetario. Enunciazione della legge di Fisher: 𝑀𝑉 = 𝑃𝑇 M moneta corrente V velocità di circolazione P livello dei prezzi T transazione monetaria P= MV/T l’aumento dei prezzi è dato dalla stabilizzazione della transazione monetaria e dall’aumento di moneta circolante. Questo modello è molto valido per il mondo antico (da Bodin a Svetonio fino al Digesto). Pagamento dell’indennità di Cartagine probabilmente apri una piccola inflazione (cambio di unità del sesterzio nel censimento) Fra V e II secolo caduta del potere d’acquisto, dimostrato fra la distanza dei 25 assi delle XII tavole riguardo ai danni arrecati a una persona con i 25 assi nel II d.C. (Un tale Verazio sfruttò questa legge per schiaffeggiare gli altri e le autorità cercarono di porre rimedio alla distanza inflativa con l’arbitrariato) La legge di Robertson ci può aiutare M = kPY K è la percentuale di risorse possedute Y è il reddito Il prezzo salgono in base alla quantità di moneta o se scende il reddito. Quindi la moneta è operata per transazione, per precauzione o tesaurizzazione o per speculazione Hollander applicò queste nozioni, ritenne che la quantità di moneta essendo cresciuta appurò sia la presenza molto alta di percentuale di risorse possedute e di reddito (K e Y). Quindi l’inflazione dei primi secoli dell’impero non fu così brutale come avvenne a partire dal III, fino a divenire drammatica nel IV. La riduzione di fino non fu l’unica causa di remissione economica, ma anche manovre “statali” potevano compromettere la situazione (come l’editto sui prezzi aveva previsto il tasso di inflazione). La perdita di fiducia nella moneta però non è sempre razionale, ad esempio, la morte di un imperatore portava al rifiuto di utilizzare la moneta di un dato imperatore recanti il suo volto, questo ad esempio è il caso di Nerone. Una volontà spesso combattuta spesso dalla classe dirigente. L’inflazione ci aiuta a capire come i divisibili e i sottomultipli dell’asse a un certo punto non vennero coniati poiché non avevano potere di acquisto, e non ebbero fortuna nell’epoca del tardo antico.