Sheratan - Rete Civica di Milano

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Dedicato ad Antonella Bersani.
Grazie di cuore. Senza di te
questa storia non sarebbe mai nata.
Sheratan
SOLA.
La ragazza stava correndo disperatamente lungo quella salita di ghiaia interminabile.
Il respiro affannoso creava delle piccole e ritmiche nuvole di condensa che
s’innalzavano solenni verso il cielo.
Il vento freddo e pungente le scivolava sul viso scompigliandole a tratti i capelli neri
dal taglio maschile.
Il collo, arrossato per lo sforzo fisico, mostrava con chiarezza la mappatura delle vene
che in quel momento stavano eseguendo alla perfezione il loro compito, pompando
sangue al cervello.
I suoi occhi, di uno splendido verde amazzonite, erano carichi d’acqua. Lucidi.
In quel momento non stava piovendo.
Il rumore dei suoi passi affrettati, unito a quello ansimante del suo respiro, creava
un’insolita e piacevole melodia. Lei era la voce principale, mentre il crepitio della
ghiaia serviva unicamente da accompagnamento.
La ragazza si voltò di scatto per vedere se ciò che la stava inseguendo era ancora
sulle sue tracce. Vide con sconforto crescente che nonostante tutti i suoi sforzi non
era ancora riuscita a seminare quella strana entità. L’essere, che da ormai molto
tempo la stava braccando con l’intenzione di ucciderla, non avrebbe allentato
facilmente la presa sul suo bersaglio. Questa era semplicemente la sua missione.
Il cacciatore non avrebbe mai rinunciato alla vita della sua preda.
La preda non poteva permettersi di rinunciare alla propria vita.
Uno dei due, quella notte, ne sarebbe uscito inevitabilmente sconfitto.
La salita, totalmente insensibile al suo sforzo, proseguiva.
Il cielo notturno sembrava stendere un enorme mantello nero sulla sua fatica, le stelle,
dal canto loro, davano l’impressione di mostrarle la strada, di condurla con
benevolenza alla fine di quello sforzo. La ragazza riceveva chiaramente la sensazione
che ci fosse una strana forza che la volesse aiutare, che parteggiasse per lei in quella
impari lotta contro l’essere.
La ragazza non riusciva più a ricordare come fosse nata quella disperata corsa per la
vita, sicuramente quella fuga aveva avuto un inizio. Come tutto. Sfortunatamente ora
tutti i suoi ricordi scivolavano lungo le grigie pareti della sua memoria.
Purtroppo tutta la sua concentrazione attuale era rivolta unicamente a come fuggire
da quell’essere. Fin dall’inizio di quel viaggio, il mostro era riuscito ad annullare a
poco a poco la parte razionale della sua mente.
I suoi unici pensieri erano: correre, correre ed ancora correre.
1
Qualcun altro stava osservando quel quadro da lontano. Qualcun altro stava
osservando con attenzione una ragazza mora che fuggiva disperatamente da una
creatura composta interamente di nitida oscurità. Qualcun altro riusciva chiaramente
a percepire, nonostante l’enorme distanza, l’aura di pura malvagità che trasudava da
quel mostro. I lunghi artigli colore del basalto ghermivano l’aria cercando di afferrare
inutilmente la ragazza che correva a perdifiato davanti a lui.
La creatura, frustrata dai continui insuccessi, ringhiava rabbiosamente morte e
distruzione all’indirizzo della sua preda.
La creatura era totalmente dominata dall’istinto animale di inseguire ciò che non si
lascia prendere. Un istinto ancestrale, sopravvissuto attraverso miliardi d’anni.
La creatura stava guadagnando implacabilmente terreno.
Sheratan, quarta stella della costellazione dell’ariete, osservava tutto ciò dalle
rassicuranti profondità del cosmo. L’astro voleva disperatamente aiutare la ragazza a
sfuggire da quella creatura, ma non ne aveva il potere, non ne aveva la forza. Non
sarebbe mai riuscito a contrastare tutto il male albergato in quella creatura.
Sheratan sapeva benissimo che cosa rappresentava quel mostro, non era altro che la
materializzazione del passato della ragazza che ora ritornava da lei per esigere
vendetta.
Sheratan non sapeva con chiarezza quale fosse il motivo scatenante di quella furia
distruttrice, purtroppo non riusciva a comprendere perché il passato di quella ragazza
volesse vendicarsi così rabbiosamente di lei.
Che cosa aveva fatto di così riprovevole da meritarsi l’ira furiosa del suo passato?
Sheratan sapeva che l’unico modo che aveva la ragazza per salvarsi era di
raggiungere indenne la cima della salita.
Solo così l’essere avrebbe finalmente rinunciato alla sua vita.
Solo così la ragazza avrebbe definitivamente ucciso il suo passato.
Solo grazie a questa estrema prova di forza e di volontà, la ragazza avrebbe
dimostrato alla creatura di essere lei la più forte.
Solo correndo a perdifiato lungo quella salita purificatrice lei avrebbe potuto
riconquistare finalmente la pace perduta.
Solo lei era in grado di salvare la sua stessa vita.
Sheratan, impotente, non poteva fare nulla oltre che osservare in disparte e sperare.
Sheratan ascoltava inerme il respiro affannoso della ragazza.
Sheratan ascoltava inerme le urla rabbiose del mostro che stava per ghermire la preda
con i suoi sanguinari artigli d’ombra.
La ragazza era stremata, distrutta nel fisico e nella volontà. Per allentare la pressione
che sentiva sulla sua mente, rivolse la propria vista velata dal pianto all’intermittente
luce dei lampioni.
La luce accendeva le ombre allungando la sua strada.
La ragazza cercò di riprendere coraggio.
Se c’è la morte non ci siamo noi, se ci siamo noi non c’è la morte.
Cazzo, lei non poteva assolutamente essere sconfitta dal suo passato.
Solo lei aveva creato il suo passato, solo lei aveva avuto il comando sulla sua vita.
Solamente lei, poteva far scomparire o ricomparire il suo ieri.
2
Lei era la padrona assoluta dei propri pensieri e non concepiva nessuna intromissione
da parte di un lontano ricordo che ormai era sbiadito dalla sua memoria.
Dopotutto il tempo non è altro che una mera convenzione creata dagli uomini. Se è
vero che il passato non esiste più, e che il futuro non esiste ancora, è logico che il
presente nel momento stesso in cui viene vissuto diventa già passato, quindi
inesistente.
La ragazza non poteva lasciare che un’entità dimenticata da tanto tempo si prendesse
la sua vita.
Lei era viva, reale. La creatura era unicamente uno scarto della sua memoria.
La ragazza diede fondo alle ultime forze che aveva in corpo, sapeva chiaramente che
se voleva salvarsi doveva dare tutto quello che aveva lungo quella salita.
Doveva eseguire il suo personale canto del cigno.
La ghiaia riprese a crepitare velocemente sotto i suoi piedi.
Il respiro era diventato cortissimo. Le guance arrossate andavano su e giù tenendo il
ritmo della sua corsa frenetica.
Non si voltò per osservare l’essere. Doveva concentrare la propria attenzione
unicamente sulla pochissima strada che aveva davanti e non su quella che aveva già
percorso. Le mancava solo un piccolissimo sforzo, e poi avrebbe finalmente
riacquistato la pace.
Un tuono attraversò il silenzio.
Alla sua sinistra riposava placido un burrone.
Alla sua destra, i tronchi irregolari di alcuni alberi scorrevano velocemente oltre la
sua corsa affannosa. Gli alberi parteggiavano chiaramente per l’IDEA, loro volevano
che il passato della ragazza la raggiungesse e che le strappasse nel modo più doloroso
ed inumano possibile la vita. Loro ragionavano in modo semplice, elementare: lei
aveva commesso un errore, non importa quale, ed ora doveva pagare. Non
ricordavano quale fosse stata la colpa, ma avevano bene impressa nella loro grinzosa
mente centenaria la sola pena che le avrebbero inflitto: la morte. Nessun’attenuante
per lei. Le loro radici traevano linfa vitale direttamente dalla terra imbevuta del
sangue delle loro vittime, e tra non molto, anche la ragazza dagli occhi verde
amazzonite avrebbe raggiunto le centinaia di persone che gli alberi avevano giudicato
incapaci di vivere, degne di morire. Con fredda arroganza la osservavano passare,
trincerati nella loro inutile ed immobile tranquillità.
Dopo pochi istanti, di ognuno di essi non rimaneva altro che una vaga ombra marrone
che scorreva oltre il suo campo visivo. La loro presenza ed il loro giudizio venivano
cancellati dalla sua perseveranza nel continuare. La loro sentenza di morte veniva
rinnovata ed inesorabilmente distrutta ogni volta che uno di essi si presentava a lei
per poi scomparire mestamente.
La ragazza voleva dimostrare di essere più forte di quegli insignificanti alberi. Lei
sarebbe sopravvissuta, mentre loro sarebbero morti lentamente nella loro inutile ed
immobile esistenza.
Purtroppo tra lei e la salvezza c’era ancora il suo passato.
3
La creatura non desisteva, la distanza si era assottigliata. Il suo ringhio rabbioso le
giungeva vicinissimo. Aveva persino percepito il fiato caldo e mefitico del mostro
scorrergli lungo il collo.
La ragazza non poteva voltarsi per misurare lo spazio che ancora li separava, non
poteva permettersi di buttare via anche un solo, piccolo, insignificante secondo.
La sua vita dipendeva anche da questo. La sua salvezza ormai dipendeva unicamente
dai dettagli.
Le sue gambe, rese ormai insensibili dalla stanchezza, si muovevano con un ritmo
incessante, inarrestabile. Sembrava che l’essere non le terrorizzasse, che non sortisse
il minimo effetto su di loro. Avevano un compito da svolgere e qualunque cosa fosse
successa, lo avrebbero eseguito.
Il vento gelido scorreva lungo tutto il suo corpo, esaltando la sua fatica.
Le lacrime si erano asciugate sulle sue guance. Di loro, come degli alberi inquisitori,
non era rimasta più alcuna traccia.
Era quasi arrivata, ancora pochi passi e tutto questo sarebbe finito.
Alla sua destra gli alberi avevano ceduto il posto ad una parete rocciosa. Rocce
fredde, grigie, immobili. Non si interessavano minimamente né a lei, né alla sua
corsa, né tantomeno alla creatura che la stava inseguendo. Quelle rocce erano in
quella posizione da miliardi d’anni ed avevano visto passare lungo quella strada le
cose più improbabili.
Ormai non si lasciavano più stupire da nulla. Non ne erano più in grado.
Avevano perso la capacità di lasciarsi coinvolgere. L’unico sentimento che riuscivano
a provare era l’indifferenza. Nient’altro che indifferenza era riservata a tutto ciò che
non toccava stricto sensu la loro persona. Ai loro occhi, meritava attenzione
solamente il loro adiacente mondo privato, meritava attenzione solamente la loro vita,
e che tutti gli altri andassero pure a farsi fottere.
Tutto sommato, erano semplicemente morte dentro.
La ragazza riceveva direttamente nella corteccia celebrale dei lampi di colore, la
stanchezza faceva girare la sua testa senza tregua: nero, grigio, nero, verde, marrone,
grigio. I colori non avevano più alcun senso per lei. L’unica cosa importante erano la
sua vita ed il suo passato che voleva strappargliela.
Ancora pochissimi passi alla salvezza.
La ragazza ebbe un sussulto. Sentì gli artigli della creatura che le sfioravano la
schiena. Una sensazione disgustosa, era come se per un tempo infinito la sua spina
dorsale avesse ricevuto una scossa di gelo. Un brivido freddo le si era propagato
velocemente per tutto il corpo.
La creatura era vicinissima.
Le gambe della ragazza persero per un attimo la concentrazione. Inciamparono.
Lei cadde a terra rovinosamente, sollevando una piccola nuvola di terra e rotolando
sulla ghiaia.
La creatura, in un istante le fu sopra, mettendole violentemente un piede sullo
stomaco. La bloccò con la schiena a terra.
La ragazza non riusciva più a respirare, ansimava disperatamene in cerca d’ossigeno.
4
Il cacciatore aveva puntato i suoi occhi rosso fiammeggiante in quelli verde
amazzonite della preda. Quegli occhi freddi ed inespressivi contenevano una piccola
traccia di umanità, la ragazza ricevette nitidamente la sensazione di aver già
incontrato in un altro tempo ed in un altro luogo ciò che si nascondeva dietro le
sembianze di quella creatura nera come un’eclissi. Lei distolse lo sguardo e lo rivolse
per un attimo alla cima; era maledettamente vicina, bastava solamente allungare un
braccio e l’avrebbe toccata.
Purtroppo la creatura le impediva anche il minimo movimento.
Non poteva finire così, cazzo, lei non poteva morire dopo tutto lo sforzo che aveva
fatto. Non era giusto, non era così che voleva morire. Era troppo vicina alla salvezza,
bastava un semplice gesto e sarebbe sopravvissuta. Provò con un ultimo tentativo.
Diede un disperato colpo di reni per girarsi ed allentare la pressione del piede della
creatura quel poco che bastava per toccare la cima con una mano.
Non riuscì nemmeno a muoversi. Aveva sottovalutato la forza brutale del mostro.
Fu colpita dallo sconforto. Sentiva sopra di se i grugniti animaleschi della creatura,
l’odore di foglie morte che proveniva da essa, riusciva persino a vedere delle piccole
venature rosso sangue all’interno del suo corpo nero come il basalto.
Gli alberi, fermi nella loro immobile esistenza, avevano osservato tutta la scena con
immenso piacere. Il loro campione aveva vinto. La loro inestinguibile sete di sangue
stava per essere affievolita, non placata, perché una volta che la ragazza dagli occhi
verdi fosse morta, loro avrebbero cercato qualcun altro su cui sfogare la loro atavica
vendetta. Per loro era diventato un circolo vizioso. Il sangue chiamava sangue.
Le rocce millenarie, fredde e grigie, avevano già rivolto la propria attenzione altrove.
Lo sguardo era perso all’indirizzo del loro domani, non gli interessava nient’altro che
la loro stessa vita. Ricercavano solamente la loro quiete. E se qualcosa minava anche
solo leggermente la loro tranquillità, non facevano altro che girarsi dall’altra parte.
Semplicemente non era un problema loro.
Sheratan, perso nelle immensità del cosmo, piangeva il destino della ragazza. L’unica
possibilità che rimaneva alla stella per salvarla, era quello di sacrificare la propria
vita per lei. Solamente abbandonando per sempre l’accogliente ed eterna
costellazione dell’ariete, sarebbe potuto intervenire.
Solamente diventando una cometa avrebbe potuto salvare la vita della ragazza.
Solamente morendo poteva uccidere la creatura infernale che aveva bloccato contro
la ghiaia quegli splendidi occhi verde amazzonite.
Sheratan, in quel preciso istante capì che cosa doveva fare. Se c’era anche una sola
remotissima possibilità che la ragazza potesse salvarsi, allora lui doveva coglierla.
Sheratan decise di immolarsi per lei.
Con determinazione, ma con un velo di pianto negli occhi, la stella abbandonò tutto
quello che gli era stato caro per miliardi di anni, tutto quello che lo aveva accolto con
amore per miliardi di anni.
Si diresse verso la Terra.
Verso il mostro.
Verso la ragazza.
Verso la morte.
5
Sulla ghiaia, la ragazza guardava terrorizzata la materializzazione del proprio passato.
Sapeva di non avere più scampo e con rassegnazione nella voce, disse alla creatura
che la stava inchiodando a terra:
“Hai vinto, mi arrendo non opporrò resistenza, ma almeno dimmi chi sei? Perché mi
stai inseguendo?”.
La creatura disse con voce roca, glaciale:
“Ora mi riconosci?”.
Il mostro cominciò piano piano a mutare. Gli artigli divennero mani, il corpo nero
basalto prese a poco a poco una colorazione rosa carne ed il volto cominciò a
prendere lentamente delle fattezze umane.
Quando la trasformazione fu completata, la creatura si rivolse nuovamente alla
ragazza, questa volta con un tono di voce più dolce, quasi protettivo. Una voce
familiare, conosciuta tantissimi anni prima le disse:
“Ora hai capito chi sono? Hai finalmente capito chi si prenderà la tua vita?”.
La risposta della ragazza fu sovrastata dal rumore assordante di una cometa che
proveniva a velocità spaventosa verso di loro. La luce era talmente intensa che
dovette coprirsi gli occhi con le mani. L’aria intorno a lei tremava.
Il mostro, incuriosito da quel rumore e da quella luce improvvisa, si voltò di scatto,
allentando la pressione sullo stomaco di lei. La ragazza, astuta, ne approfittò
rotolando improvvisamente verso la parte interna della gamba della creatura. Il
mostro non si aspettava una reazione simile e perse l’equilibrio, vacillando
leggermente, ma quel tanto che bastava a lei per liberarsi della sua presa.
La ragazza, voltandosi, toccò con una mano la cima della salita, toccò con una mano
la propria tanto agognata salvezza. Improvvisamente fu colpita da un onda di
rassicurante e dolcissimo torpore. Si sentiva rilassata, serena. Aveva ricevuto tutto
d’un tratto la pace da così tanto rincorsa. Le palpebre si mossero di loro iniziativa, si
chiusero. La ragazza si abbandonò completamente a quella sensazione di quiete.
Attraverso le ragnatele del sonno, la sua mente, finalmente libera dalla morsa
dell’essere, le trasmise un unico, semplicissimo e lineare pensiero: vittoria. Stremata
perse i sensi.
Dietro di lei, uno schianto.
Un’esplosione.
Un inferno di fuoco.
Le grida disperate del mostro che stava morendo avvolto dalle fiamme.
Gli alberi abbracciati da implacabili lingue di fuoco.
Le rocce che franavano a causa dell’onda d’urto dell’esplosione.
Dietro di lei solamente morte e distruzione.
Tutto quanto era circondato dal fuoco.
La ragazza, dopo alcune ore, riprese conoscenza dall’altro lato della collina. Ancora
indolenzita per l’immane sforzo che aveva compiuto, si sollevò con fatica e rivolse lo
sguardo ancora appannato dalla stanchezza in direzione del crepitio che proveniva
dall’alto. Riusciva chiaramente a vedere le fiamme che ricoprivano la cima, il
bagliore rischiarava la notte come se fosse stato giorno. Uno spettacolo stupendo.
6
La ragazza si sedette nuovamente a terra e cominciò silenziosamente a piangere senza
coprirsi il volto con le mani, lasciando che le lacrime le solleticassero le guance.
Non sapeva come aveva fatto a salvarsi.
Non sapeva del sacrificio di Sheratan.
Non sapeva che ne fosse stato del mostro che l’aveva inseguita.
Non sapeva che cosa fosse accaduto agli alberi inquisitori.
L’unica cosa che sapeva era di essere ancora viva.
La ragazza si rialzò e si allontanò per sempre da quella collina, camminando con
decisione. I suoi piedi avanzavano lentamente attraverso uno splendido sentiero in
terra battuta affiancato da rovi in fiore, che lasciavano intravedere i germogli delle
future more. Un inconfondibile e trillante cinguettio accompagnava il suo cammino,
rallegrandolo. I suoi occhi verde amazzonite erano diventati due enormi pozzi in cui
andare a cercare qualche promessa di pace in un mondo disastrato, qualche esile
soffio di speranza. La ragazza, ora risplendeva di vitalità ed il suo volto, non più
contratto dalla fatica, era un inno alla gioia. La sua vita ricominciava da lì. Lei aveva
visto in faccia la morte ed era sopravvissuta. Lei aveva visto in faccia quello che il
suo passato non era riuscito a perdonarle ed aveva trovato una via di fuga. Come
un’araba fenice lei era risorta dalle proprie ceneri.
Una stella era morta.
Una nuova stella era nata.
Massimiliano liberò faticosamente i suoi occhi da quello splendido quadro. Una tela
semplice, con un fondale scuro, in cui era stata dipinta una ragazza dai tratti appena
accennati che correva scomposta lungo una salita che non aveva né un inizio né una
fine. La parte superiore della tela era costellata di moltissimi piccoli puntini bianchi,
mentre uno solo, grande il triplo degli altri e di colore giallo, era posto esattamente in
posizione perpendicolare rispetto alla ragazza. Il quadro trasmetteva una grande
angoscia. Era inquietante l’atmosfera che la pittrice era riuscita ricreare: la ragazza
dipinta sulla tela sembrava dotata di vita propria, la sua sofferenza era talmente
manifesta che lo spettatore occasionale non poteva esimersi dal domandarsene il
motivo. Massimiliano riconquistò la sua attenzione e la lasciò scorrere intorno a lui,
accorgendosi immediatamente di essere rimasto solo nella galleria d’arte. Di tutte le
persone che c’erano prima, ormai, non era rimasto più nessuno a guardare i quadri
della pittrice milanese. Comprese subito il motivo. Sfortunatamente entro pochissimi
minuti gli addetti, che erano già impegnati a rassettare, avrebbero chiuso la galleria.
L’orologio appeso al muro sopra l’entrata lo avvisò che erano già le sette e venti di
sera, pertanto era rimasto imprigionato davanti a quella tela per ben quattro ore e
mezzo. Incredibilmente non si era reso conto del trascorrere impietoso del tempo, il
potere evocativo di quel quadro era immenso. Massimiliano, controvoglia, decise di
uscire dalla pinacoteca, ripromettendosi comunque, carico d’attesa, di ritornare il
giorno dopo per farsi nuovamente rapire da quella stupenda opera d’arte.
Non è mai tardi per tentar l’ignoto.
Non è mai tardi per andar più oltre.
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