LIPMAN, ARISTOTELE, IL DINOSAURO, IL CAFFÈ DEI FILOSOFI SCOMPARSI, LA TERRA DEGLI UNICORNI, LE CILIEGIE INDIGESTE E ALTRE STORIE. COMMENTI, RIFLESSIONI SU TESTI DI FILOSOFIA CON BAMBINI E ADOLESCENTI di Alessandro Volpone L’idea di Lipman di fare filosofia con bambini e adolescenti ha funzionato e funziona con sempre maggiore successo e diffusione, ma a distanza di qualche decennio rimanere strettamente ancorati al suo materiale strutturato può farci soffrire – dice qualcuno – della cosiddetta “lipman-mania”. Lipman stesso, si argomenta, in realtà non è mai stato rigido nell’uso dei suoi materiali-stimolo – soprattutto se si tratta della fase avanzata di una comunità di pratica. Tenendo ferme dunque le indicazioni metodologiche del curricolo, ben consolidate e imprescindibili per chiunque voglia formarsi in philosophy for children e operare con essa, numerose storielle originali e composizioni di vario genere sono state imbastite in questi anni, soprattutto da parte di practitioner europei di vecchia data – molto fecondi da questo punto di vista. Questo accenno di discorso riguarda ovviamente dinamiche interne allo sviluppo storico della pratica in questione, tuttavia non c’entra niente con ciò di cui qui si vuol parlare. L’attenzione infatti verrà posta su talune presenze in varia misura “autonome” rispetto a ciò di cui si è appena detto, reperibili nella letteratura italiana concernente le “esperienze filosofiche” (reali o virtuali) di adulti con bambini e adolescenti. Ne prenderemo in considerazione tre, di cui due alquanto note e l’altra appena arrivata. Esse saranno commentate mediante riflessioni ad alta voce. Il fine è semplicemente quello di inquadrare un po' le cose, razionalizzare in qualche senso ciò che queste opere rappresentano. Cominciamo con il dire che «la filosofia è una pratica, non una teoria: qualcosa che si fa, non qualcosa che si dice». Messa così la frase pare un pochino esagerata, se non altro perché sembra tagliar fuori dal settore almeno (a voler essere ottimisti) la metà degli autori che hanno fatto la storia del pensiero occidentale. Ma il senso diviene più chiaro successivamente, poiché «quel che si fa in filosofia lo si fa soprattutto parlando e scrivendo; e stando così le cose è naturale pensare che la filosofia si riduca al contenuto di quanto si dice o si scrive». Le affermazioni sono di Ermanno Bencivenga, docente di filosofia presso l’Università della California di Irvine, USA, il quale da oltre un decennio compone/ pubblica riflessioni, racconti e favole di vario genere (es. Il primo libro di logica 1984; Giochiamo con la filosofia 1990; La filosofia in trentadue favole 1991; Filosofia: istruzioni per l'uso 1995; ecc.) con cui, nelle sue intenzioni, illustrare, trasfigurare, far vivere i temi-chiave della filosofia, quelli su cui da sempre l’uomo si interroga. Altrove egli presenta il pensiero di alcuni filosofi classici (es. Platone, amico mio 1997) in maniera diversa, «al di fuori degli schemi scolastici». L’idea di base è proprio quella espressa in precedenza, cioè che la filosofia non si riduce ai contenuti né alle forme tradizionali di comunicazione e pratica disciplinare. Si può anche partire dal quotidiano, magari quello più spicciolo, per poi giungere ad astrazioni di più ampio respiro. Oppure si può iniziare adoperando storielle fantastiche, in cui gli oggetti costruiti dall’uomo si animano, si ribellano, le macchine non si rompono mai, la magia regna sovrana, le scuole insegnano solo cose false, gli unicorni sono reali, due gemelli sono costretti a scambiarsi un’unica faccia, ecc. Tra le forme comunicative possibili troviamo appunto la favola, ma anche la recitazione, la drammatizzazione in generale o qualunque altro tipo di rappresentazione. Il Bencivenga afferma provocatoriamente che la filosofia può essere considerata in qualche senso un «gioco» ed è in genere consigliabile lasciarsi un po’ di tempo per giocare alla filosofia, «attività ludica straordinariamente seria», poiché comunque, da qualunque punto e in ogni modo essa cominci, si giunge in ultima istanza ad aver a che fare con cose come la vita e la morte, il bene e il male, il tempo e l’eternità. Essenzialmente Bencivenga propone il "libro della filosofia" in modo diverso, alternativo, ridiscute i termini stessi della riflessione umana (etica, politica, estetica, ecc.), riconducendola a qualcosa di corrente, confidenziale, certamente più familiare. Ben venga ogni nuova ri-scrittura della tradizione, soprattutto se feconda, o almeno utile da un punto di vista educativo. Non mi sono chiare tuttavia alcune cose relative al caso in questione. Non capisco ad esempio quale sia l’età della “utenza filosofica” cui il Bencivenga si riferisce. Probabilmente non esiste un'utenza privilegiata, e proprio questo è il punto. Mi pare che la decisione sia demandata all’educatore-divulgatore di volta, che, data la versatilità della letteratura a sua disposizione, può scegliere di aver a che fare con chiunque sia in grado di intendere e volere, tra 0 e 100 anni. Il problema principale è la mancanza di indicazioni metodologiche precise sull’uso da farsi della letteratura in esame. (Niente a che vedere con le rigorose e metodiche procedure pratico-operative della philosophy for children.) Ciò che si può notare soltanto, per esempio, confrontando tra loro testi come La filosofia in trentadue favole (1991) e Filosofia: istruzioni per l’uso (1995), cui vanno aggiunte le Nuove istruzioni per l’uso (maggio 2000), è che di recente nel corso dei racconti vengono inseriti di tanto in tanto “help-in-line” di meta-discussione, cioè, con le parole stesse del Bencivenga, «considerazioni in corsivo che indicano dove trovare, nella letteratura filosofica, riscontri e approfondimenti per quel che si è appena detto». L'effetto risultante è quello di partire da lontano e agganciarsi comunque alla tradizione non appena possibile. Chissà se sia opportuno al riguardo citare le parole di Paolo Citran, che, commentando qualcosa di analogo contenuto nella ormai nota proposta SFI per i primi due anni della secondaria riformata, racchiusa nell’affermazione «un insegnamento filosofico di tipo propedeutico, pur salvaguardando lo specifico disciplinare», ha l’impressione che si voglia dare «un colpo al cerchio e uno alla botte, mantenendo insieme la botte piena e la moglie ubriaca (P.CITRAN, “Testi e contesti”, Insegnare, n. 10, ottobre 2000). Un’altra cosa infine non mi è chiara a proposito delle opere del Bencivenga, e cioè quali siano le motivazioni profonde per cui voler/dover riscrivere la filosofia a scopo educativo-divulgativo, se mai sia questo il fine e non magari uno più squisitamente filosofico. Tutto considerato, l’estrema “genericità”, o “vaghezza” dei propositi dichiarati lascia alquanto perplessi. Il secondo caso che verrà qui menzionato è quello del testo Aristotele e il dinosauro. La filosofia spiegata a una ragazzina, di Vittorio Hösle. Il lavoro riporta lo scambio epistolare avvenuto tra un professore universitario di filosofia, Hösle, e una bambina undicenne, Nora K., molto intelligente. Nel corso del carteggio Hösle inventa il Cafè der toten philosophen, dove filosofi d’ogni tempo si incontrano, chiacchierano, scambiano opinioni. Nora sfoglia manuali di filosofia con grande interesse e voglia di conoscere, interrogando e costringendo l’adulto a rispondere con semplicità e rigore a interrogativi e riflessioni. Un gran bel libro, sia nel suo contenuto specifico, che è essenzialmente quello di «racchiudere la filosofia di una bambina», e sia per il breve saggio di Hösle, intitolato “Infanzia e filosofia”, che conclude il tutto. In esso l’autore commenta innanzitutto il proprio lavoro, soffermandosi su alcune caratteristiche dell’interazione con Nora e discutendo di possibili connessioni tra il mondo dell’infanziaadolescenza e quello della filosofia. Per il bambino, ad esempio, niente è ancora ovvio, o dato per scontato, la fantasia si sovrappone spesso alla realtà, e la meraviglia e la curiosità sono cose molto sentite. Anche l’ingenuità va considerata; non a caso – osserva Hösle – nella fiaba di Andersen solo un bambino può esclamare: «Il re è nudo!». Si discute poi di alcuni risultati empirici della psicologia dell’età evolutiva e vi sono richiami alla teoria e pratica della «filosofia infantile» in M.Lipman, G.B.Matthews e in altri autori – soprattutto tedeschi. Viene infine affrontato il tema del ruolo della filosofia nell’educazione, adoperando vari rimandi, tra cui, cosa certamente interessante, troviamo anche un riferimento a un paio di lavori di Hegel su L’insegnamento della filosofia nei licei (1812, 1822). Per Hösle la filosofia mette soprattutto in relazione le differenti sfere del sapere e ciò può essere molto importante se si pensa al fatto che l’uomo ha di sé una coscienza unitaria, e forte è avvertita in genere l’esigenza di conferire ordine, sistemazione alla molteplicità delle esperienze che si compiono e delle informazioni che si raccolgono. Il terzo e ultimo caso che qui sarà considerato è quello del testo, recentissimo, Le domande sono ciliege. Filosofia alle elementari (settembre 2000), di Maurizio A. Iacono e Sergio Viti. Esso è impostato come “testimonianza” di una esperienza svolta in una scuola elementare della Toscana, organizzata e gestita da un maestro elementare (Viti) e un professore universitario (Iacono). Si tratta fondamentalmente della trascrizione degli «incontri filosofici» tenuti in una classe quinta. Interessanti le conversazioni adultobambino/ bambino-bambino riportate, sebbene ve ne siano in giro di migliori – e sicuramente meglio commentate/ analizzate. Risulta alquanto anomala, invece, in entrambi gli autori, l’assoluta mancanza di cognizioni di fatto su quanto accade in Italia e nel mondo da lungo tempo, con inevitabili ingenuità e uno spontaneismo che, seppure sano e fatto di buoni principi, risulta davvero molto difficile da mandar giù allo stato attuale delle cose. Tra le motivazioni di questi incontri, ad esempio, troviamo l’appello a generici ideali politici, civili, il richiamo retorico alla lotta contro «l’appiattimento mass-mediale», oppure la voglia di cambiamento di «maestri disincantati, spesso a ragione a causa dello scarso riconoscimento del loro ruolo sociale e culturale». Vengono in mente in proposito le parole di Lipman contenute in un articolo di una decina d’anni fa: «Ci sono educatori oggi i quali pensano che la filosofia per i bambini prefiguri una totale rivalutazione dell’educazione, e che sono ansiosi di enumerare le caratteristiche della filosofia della scuola elementare: ritengono il processo educativo come un insieme. Questo è indubbiamente un approccio interessante, ma dovrebbe essere accompagnato da una giustificazione logica esauriente. Di solito non si tenta di riprogettare qualche cosa, se non si sa prima che cosa ci si attenda da essa, o che cosa si stia cercando di realizzare per mezzo di essa». (M.LIPMAN, “Pratica filosofica e riforma dell’educazione”, Bollettino SFI, n. 135, 1988). Sarò completamente sincero: i commenti fin qui esposti, alcuni forse troppo severi da un certo punto di vista, sarebbero stati sicuramente diversi se non fosse per la preoccupazione attuale concernente il futuro prossimo della scuola italiana riformata, soprattutto per l'allargamento dell'insegnamento filosofico. Credo si debba evitare la mera "filosofizzazione" della scuola, cioè in essa l’insegnamento filosofico va esteso, sì, ma rifilosofizzando il filosofare – a livello epistemologico-fondativo. In questa sede spero emerga almeno il dato che per filosofare in modo nuovo in ambito scolastico-educativo non basta riscrivere il pensiero filosofico in termini più semplici, quotidiani o magari fantastici, proporre versioni soft, edulcorate della filosofia tradizionale, avventurarsi in pseudo-divulgazioni guidate o in altre operazioni culturali affidate al buon senso e all'abilità personale. L'evoluzione della philosophy for children di cui si diceva in apertura, cioè il superamento della (presunta) “lipman-mania” senza alcun danno per il curricolo, nelle comunità di pratica di mezzo mondo, dimostra proprio questo: non è il materiale-stimolo – qualunque esso sia – che fa la pratica, ma è l'esatto contrario. Ciò che resta è una metodologia ben consolidata, rigorosa, con profonde istanze teoriche di base – forse anche più importanti del metodo stesso. La philosophy for children non è semplicemente il curricolo di Lipman, ma è anche parte integrante e zoccolo duro di una nuova-vecchia modalità d’esistenza della filosofia stessa: il modus vivendi, la pratica filosofica. In essa la filosofia è Weltanshauung, e non Wissenshaft, avrebbe detto Husserl, cioè visione-delmondo, sistemica, trasversale, personale, e non scienza o dottrina. A mio parere, qualunque nuova prossima indicazione ministeriale o di associazioni disciplinari di settore che, a proposito di estensione dell'insegnamento filosofico nella scuola, sottovaluti un simile aspetto e ignori la philosophy for children pensando ad essa come a qualcosa di troppo specifico, o peggio ancora come al curricolo proprio di uno o pochi autori (i.e. un curricolo con copyright), beh, avrà probabilmente trascurato il cambiamento epocale attualmente in atto nella filosofia.