CAPITOLO 1_ LA DIVISIONE SOCIALE E TECNICA DEL LAVORO_ La divisione del lavoro è stata concepita come una variabile continua tra due estremi,la differenziazione del lavoro e la divisione tecnica del lavoro. Possiamo avere due tipi di lavoro: orizzontale -agricoltura,industria,servizi- verticale –scomposizione di un dato mestiere o professione. La scomposizione di un lavoro ha generato vincoli tecnici di riduzione o ampliamento dei links di competenze e delle routine organizzative specifiche. Divisione del lavoro come separazione verticale tra lavoro creativo e lavoro esecutivo; dipendenza del secondo dal primo come gerarchie di potere che produce effetti sulle conoscenze,l’attribuzione del lavoro creativo a individui diversi. Queste forme le troviamo dalle riv. ind. in poi; esse assumono la denominazione di divisione tecnica del lavoro. Invece per la divisione del lavoro parcellare o parcellizzato si intende la frammentazione delle mansioni con forte contenuto manuale. Ferguson sottolinea che la divisione del lavoro si esplica nelle professioni e nelle arti, Smith analizza la divisione del lavoro attraverso l’articolazione delle mansioni parcellizzate,inoltre sostiene che il lavoro frammentato produca individui incapaci di svolgere altri ruoli al di fuori del proprio. Marx introduce nell’analisi sociologica tre elementi fondamentali: -il concetto di alienazione: il mondo degli oggetti prodotti dall’uomo si costituisce come modello delle merci che si sviluppa come valore di scambio;il soggetto non è più l’uomo ma il mercato da cui la vita dell’uomo dipende,è altro da se,la vita dell’uomo è alienata. -il concetto di dominio di potere: si spiega nella possibilità attribuita alle classi superiori di prelevare e utilizzare ai propri fini il surplus prodotto dalla classe lavoratrice. - l’identità tra divisione del lavoro e proprietà privata: non vi può essere l’una senza l’altra. Per Spencer il termine sta ad indicare la specializzazione delle funzioni che riguardano la soddisfazione dei bisogni materiali e la produzione di mezzi materiali per la soddisfazione di bisogni sociali,psicologici. Per Schmoller essa è la causa della formazione delle classi sociali che emergono dalla massa del popolo come espressione della separazione tra lavoro superiore e manuale. Per Durkheim essa è un fattore che distingue le società primitive da quelle avanzate. Per Marx essa si onda sulla produzione di plusvalore che implica forme di dominio o di potere da parte di coloro che detengono i mezzi di produzione. 1.2 Aspetti generali e storici della divisione del lavoro Le più evidenti forme di diffusione del lavoro sono: -il sesso: alle differenti funzioni dell’uomo e della donna sono riconducibili le prime orme di organizzazione del lavoro; - l’età e la struttura psicofisica: le differenze di forza,di abilità,di esperienza tra il giovane, ’uomo maturo ed il vecchio favoriscono l’attribuzione all’uno o all’latro di compiti che sfruttino al meglio le loro capacità. Una discriminazione fondamentale è fondata sulle conoscenze,cioè i lavoratori maturi si trovano impotenti di fronte ai cambiamenti tecnologici che sono al di fuori della loro storia professionale; -lo spazio e il tempo: la più antica divisione topografica del lavoro è tra città e campagna; -la necessità di organizzazione di un gruppo di qualsiasi dimensione che non sia effimero aprono tutta una gamma di linee di differenziazione a cui deve far fronte un gruppo. La divisione tecnica del lavoro ha proceduto lungo due assi,verticale e orizzontale: il primo è l’asse controllo-esecuzione tra attività di concezione-progettazione e l’attività pratica. Sull’asse orizzontale l’insieme delle produzioni necessarie per fabbricare un singolo prodotto è stato suddiviso in operazioni semplici e brevi che possono essere apprese anche senza possedere esperienze specifiche. 1.3 Divisione del lavoro e assetti sociali La specializzazione orizzontale fa capo alla valutazione sociale e all’interesse che ogni membro d’una società reca alle eccellenze delle prestazioni lavorative altrui. Del tutto ignorato nelle più o meno recenti polemiche contro la divisione del lavoro è che il tutte le società la quasi totalità degli individui ricerchino un livello superiore a quello di cui loro stessi sarebbero capaci se si impegnassero e si chiama ricerca dell’eccellenza delle prestazioni altrui. 1.4 La divisione del lavoro dalla manifattura alla factory system L’analisi di Adam Smith può essere riassunta ne seguente modo: -i miglioramenti osservati nella produttività del lavoro erano sicuramente effetti della crescente divisione del lavoro (mano visibile); -la divisione del lavoro è un fenomeno tipico della manifattura ovvero della capacità di trasformare industrialmente le precedenti attività artigianali; - l’aumento della produttività conseguente alla divisione del lavoro è in relazione a tre fattori: 1)aumentata destrezza in ogni tipo di lavoro attraverso la parcellizzazione delle mansioni; 2)economia del tempo ottenibile con un ciclo lavorativo sequenziale ed ininterrotto; 3)uso di macchine la cui convenzione è stata stimolata dalla divisione del lavoro. -la divisione del lavoro per svilupparsi richiede una fase preliminare di accumulazione del capitale necessario per coprire anticipatamente i costi del lavoro specializzato degli operai,delle materie prime fino al momento in cui le merci sono vendute; -la divisione del lavoro è limitata dall’astensione del mercato:se il mercato è molto ristretto nessuno può sentirsi incoraggiato a dedicarsi soltanto ad una attività perché gli manca la possibilità di scambiare tutta la parte in più del prodotto del proprio lavoro con la parte del prodotto degli altri uomini che gli serve. La razionalizzazione del lavoro,per Babbage, è generata da due conseguenze:la riduzione dei costi di apprendimento e la riduzione dei tempi di aggiustamento e di attrezzagio delle macchine generata dalla bassa varietà delle operazioni che l’operaio compie. La divisione del lavoro viene ora concepita come un processo progettabile e quindi calcolabile. L’oggetto di analisi della URE è il factory system contrapposto alla manifattura fondata sulla divisione del lavoro. Il factory system è frutto di progressi scientifici realizzatisi all’indomani della rivoluzione industriale soprattutto nel campo dell’ingegneria meccanica e nello sfruttamento delle fonti di energia. È solo con Marx che si identifica il progresso del capitalismo con la crescita dimensionale dell’impresa. Marshall affronta il tema delle economie interne di scala associate alle dimensioni delle singole imprese;i problemi tipici delle singole imprese sono: -la specializzazione manageriale; -il potere contrattuale di mercato nei confronti dei fornitori e del sistema finanziario; -le spese pubblicitarie che permettono una più forte penetrazione sui mercati. All’analisi interna dell’impresa,Marshall accompagna altre due posizioni di estremo interesse:l’enfasi sull’economie esterne ed il ciclo di vita biologico dell’impresa. Egli afferma che la crescita dell’impresa logora la spinta propulsiva dell’imprenditore. Il logoramento della spinta propulsiva avviene per le seguenti ragioni: -perché le grandi organizzazioni hanno procedure e routine macchinose; -perché i costi delle imprese che crescono più rapidamente sono aggravati da livelli crescenti di spese legate alle vendite,che possono in certi settori controbilanciare le economie di scala nella produzione; -perché gli imprenditori invecchiano biologicamente e la loro vicenda personale si intreccia a quella dell’impresa. La produzione di massa è una forma di organizzazione complessa del rapporto tra tecnologia e produzione industriale che entra a far parte dei comportamenti e della logica d’azione di tutti gli operatori industriali. Le condizioni sono: -la possibilità di disporre di una rete energetica altamente distribuita e modulabile capace di supportare una pluralità di movimenti automatizzati e autonomi delle macchine operatrici; -la progettazione della moderna fabbrica come insieme di macchine interconnesse capaci di assolvere a funzioni successive o disgiunte; -la tecnica della parcellizzazione che permette la semplificazione delle operazioni complesse con un insieme di operazioni semplici in sequenza. Attraverso la parcellizzazione la tecnologia industriale non è più confinata alle operazioni più semplici, ma diventa compatibile con i vari livelli della complessità dei processi. 1.5 Divisione del lavoro ed estensione del mercato Adam Smith traeva esempi da entrambe:la produzione degli spilli è quella che possiamo chiamare verticale del lavoro ma spesso nei contesti sociali e produttivi assistiamo a una crescente divisione orizzontale del lavoro. Marx distinsi due forme fondamentali:la produzione eterogenea e la produzione di serie. Quest’ ultima era illustrata dall’esempio della fabbricazione di A. Smith e rendeva possibile una divisione verticale del lavoro;la produzione eterogenea può essere effettuata col lavoro a domicilio o con la piccola dimensione ad elevate competenze tecniche. Il tentativo di Stiglerè quello di mostrare che lo sviluppo dell’impresa verso la crescita dimensionale ha un percorso complesso e più lento che gli sarebbe assegnato dalla curva decrescente dei costi di lungo periodo. Se l’impresa viene vista come un insieme di funzioni elementari non tutte seguiranno la legge degli orientamenti crescenti. I fattori che hanno una più diretta influenza sugli assetti organizzativi efficaci ed efficienti possono essere raggruppati in tre classi: 1)le economie generate dalla divisione del lavoro hanno delle fonti specifiche, la prima è l’apprendimento. La specializzazione su una sola attività porta ad allenamento permette la costruzione di un repertorio di routine e procedure efficaci ed efficienti che hanno caratteristiche di problem solving. Le economie di specializzazione sono in gran parte dipendenti dalla specializzazione degli impianti e del macchinario. Si pensi ai vantaggi di produttività derivanti dal passaggio degli attrezzi di impiego universale alle macchine dedicate ad una classe di operazioni ai sistemi di macchine specializzate per un solo processo di trasformazione e output. 2)è definita economia di scala la diminuzione dei costi unitari di produzione di beni o sevizi al crescere del numero di unità prodotte;implica rendimenti crescenti ed è considerata un fattore di espansione dei confini delle unità produttive: le economie di scala possono presentarsi a livelli diversi:possono essere specifiche della fase o manifestarsi su più fasi. Questa distinzione è importante dal punto di vista organizzativo infatti qualora vi siano economie su un insieme di fasi ,si genera una spinta all’integrazione in un’unica unità economico-organizzativa. Al contrario,qualora le economie di scala fossero interne a una fase esse generano spinte all’espansione di quella attività come attività specializzata. Nel caso di economie di raggio d’azione (o di scope) accade che i costi unitari di produzione diminuiscano allorché più tipi di beni o servizi siano prodotti congiuntamente,cioè utilizzando le stesse risorse. Le economie di raggio d’azione non escludono la compresenza di economie di specializzazione nelle singole attività. Spesso è proprio l’apprendimento in un’attività a permettere l’accumulazione di risorse e competenze applicabili ad altre attività. Queste risorse però debbono avere caratteristiche flessibili,universali,di base potenzialmente comuni a più attività. La presenza di economie di scope non è di per se sufficiente a spiegare l’espansione di unità economico-organizzative su più attività direttamente possedute e svolte. Non solo il risultato dell’utilizzazione dell’economica delle risorse deve essere appropriabile,ma le risorse non devono nemmeno essere facilmente trasferibili tramite il mercato delle unità. L’insostituibilità delle risorse deriva da qualche cosa di più dell’unicità di risorse e competenze,sono risorse critiche. Le principali forme di monopolio nelle attività economiche che generano insostituibilità sono:il monopolio naturale(petrolio),il monopolio economicofinanziario,il monopolio da innovazione e differenziazione del proprio output da quello dei propri concorrenti. L’ insostituibilità costituisce una base di potere solo se associata alla presenza dell’incertezza che è un ulteriore attributo delle attività economiche che ha esiti importanti in relazione all’efficacia e all’efficienza delle organizzazioni. CAPITOLO 2_L’AUTOMAZIONE INDUSTRIALE E IL PROGRESSO TECNOLOGICO_ È definito meccanizzato ogni processo che sostituisce procedimenti lavorativi basati su fonti di energia inanimata a operazioni compiute dall’uomo. Il termine fu introdotto dall’inglese Diebold per descrivere i primi impieghi,in epoca contemporanea,di apparecchiature automatiche nell’industria automobilistica. Solitamente l’automazione implica anche qualche tipo di autoregolazione in misura automatica che possiamo definire automazione: - l’impiego di un insieme di apparecchiature e procedimenti tecnici che assicurano lo svolgimento automatico di un processo o di una fase produttiva; - la tecnica stesse e le metodiche che studiano il funzionamento degli impianti e i relativi layout al loro impiego e alla loro realizzazione. L’automazione rappresenta quella specie ristretta di processi meccanizzati nei quali le macchine sono capaci di accumulare e di elaborare diversi gradi di informazioni,imputati a d hoc dagli operatori o acquisiti direttamente dagli apparati nella loro storia operativa. Casi di automazione si erano già verificati agli albori della rivoluzione industriale,forme di automazione embrionale si erano realizzate sfruttando l’energia elettrica coi tapis roulant,intorno alla prima guerra mondiale,in funzione della produzione di massa per scopi bellici. Questo processo di medio periodo fu significativamente sostenuto della forza lavoro in gran parte nuovo e privo di quelle capacità o abilità professionali che avevano caratterizzato la cultura e le procedure produttive delle generazioni precedenti. Da questo momento inizia la rottura dell’equivalenza abilità-mestiere che comportava uno sconvolgimento nelle gerarchie e una frantumazione delle qualità della prestazione lavorativa che si ricomponeva in un diverso disegno organizzativo. In epoca più recente l’introduzione degli apparati elettronici nelle apparecchiature di produzione ha permesso l’uso crescente di forma di automazione che implicano: - la riprogrammabilità delle operazioni secondo istruzioni imputabili ad hoc; - varie forme di retroazione tra le condizioni dell’ambiente,l’estensione di tecniche produttive automatizzate anche ad operazioni che precedentemente richiedevano un qualche intervento discrezionale dei lavoratori. Parecchi sistemi produttivi elettronici sono in grado di riconoscere alcuni manufatti sui quali devono operare operazioni appropriate,infine gli apparati di produzione elettronici permettono di codificare e standardizzare ampie classi di operazioni precedentemente basate sulle capacità dei singoli lavoratori. 2.1TENDENZE GENERALI DELLA MECCANIZZAZIONE E DELL’AUTOMAZIONE Prima tendenza:riguarda l’uso crescente di energia per unità di prodotto(sfruttamento dei corsi d’acqua,fissione nucleare all’uso intensivo dei segnali,ecc.); Seconda tendenza:riguarda l’aumento secolare di attività per addetto in special modo nell’industria manifatturiera; Terza tendenza:concerne l’aumento nella quantità e nel valore del capitale fisso in rapporto a ciascun lavoratore; Quarta tendenza:la produttività del lavoro è aumentata anche nella produzione delle macchine stesse;inoltre continue innovazioni produttive incorporate in tali beni di produzione hanno determinato una crescita della loro produttività fisica. Questi due fenomeni hanno fatto si che il rapporto capitale/prodotto sia rimasto relativamente stabile nel corso del tempo; Quinta tendenza:i processi di meccanizzazione/automatizzazione sono spesso molto correlati a un crescente sfruttamento di economie di scala nella produzione; Sesta tendenza:un ulteriore fonte potenziale di aumento di efficienza dei processi produttivi meccanizzati e automatizzati risiede in aumento della standardizzazione sia dei prodotti sia dei processi produttivi. La standardizzazione delle operazioni produttive tende a generare specializzazione inoltre,la meccanizzazione di un processo produttivo basata su tecnologie elettromeccaniche richiede una definizione accurata delle richieste di prodotto;inoltre si basa su macchine dedicate cioè costruite appositamente per particolari operazioni. Un importante conseguenza di questi elementi tendenziali è che nelle economie contemporanee di specializzazione e standardizzazione hanno indotto una divisione tecnica del lavoro tra singoli lavoratori. Da un lato la specializzazione delle produzioni,dall’altro la de-specializzazione di un importante frazione della forza-lavoro,dovuta alla meccanizzazione delle produzioni e all’incorporazione delle abilità professionali delle macchine stesse. Nel caso italiano possiamo notare un fenomeno di ampia rilevanza economica e sociale:l’abilità professionale incorporata nell’operaio di mestiere con l’avanzare delle forme rudimentali di meccanizzazione perde all’interno della composizione della classe operaia gran parte della sua importanza;l’innovazione tecnologica e la pressione del mercato del lavoro corrodono le forme della composizione forza-lavoro. Questo processo conduce a economie di scala,stabilità occupazionale,accrescimento dei consumi di massa. Settima tendenza: qualsiasi apparato produttivo meccanizzato/automatizzato implica specifici scarti o alternative tra flessibilità ed economie di scala;meccanizzazione ed automazione richiedono standardizzazione di prodotto e procedure produttive che implicano che macchine e apparati siano in vasta misura dedicati. Gli apparati di produzione hanno un avita fisica ed economica molto maggiore di un singolo periodo produttivo. Ottava tendenza: qualsiasi forme di meccanizzazione/automatizzazione della produzione richiede un correlativo mutamento delle forme di organizzazione delle imprese stesse. Nona tendenza: a livello microeconomico è l’intero modo di lavorazione che viene mutato:si passa da un sistema di lavoro in cui l’attività produttiva è fondata su macchine singole,che richiedono processi di apprendimento costituiti da un lento accumulo di mestiere ad un altro in cui questo mestiere non è più indispensabile. Particolari processi di meccanizzazione /automatizzazione si approfondiscono anche attraverso forme di apprendimento,tale apprendimento riguarda i produttori delle macchine stesse tendenti a migliorare le loro prestazioni e gli utilizzatori che molto spesso tendono ad apprendere per esperienza (learning by doing)l’utilizzazione efficiente degli apparati. 2.2 DALL’AUTOMAZIONE ELETTROMECCANICA AI PROCESSI ELETTRONICI Le prime forme di automazione erano basate su processi elettromeccanici di lavorazione,nelle condizioni meccaniche la precondizione dell’automazione era il taylorismo. La parcellizzazione del lavoro e la ripetitività di singole mansioni molto semplici eliminano buona parte delle precedenti professionalità operaie. La spersonalizzazione della produzione in regime di automazione fa sì che il nuovo regime sia fondato sull’aumento del lavoro preparatorio a cui corrisponde la diminuzione del lavoro di esecuzione. Inoltre avviene una totale separazione tra le figure che svolgono i compiti di preparazione e quelli di esecuzione. L’insieme delle procedure e delle innovazioni organizzative determinate dal nuovo regime ha prodotto un vero e proprio sistema di pensiero:scientific management basato sui problemi generali dell’organizzazione del lavoro e dell’impresa. L’automazione elettromeccanica è storicamente parte fondamentale di ciò che spesso viene chiamata un regime fordista di organizzazione della produzione. Caratteristiche fondamentali del regime fordista sono: - forme di automazione elettromeccaniche; - forte tendenza verso lo sfruttamento delle economie di scala; - forme di collegamento della retribuzione operaia alla dinamica della produttività; - una relatività stabilità nella crescita economica; - l’accesso massiccio dei lavoratori stesso all’acquisto dei beni di consumo durevoli prodotti dall’industria manifatturiera automatizzata. L’automazione elettronica si distingue da quella elettromeccanica per la programmabilità dei compiti delle singole macchine o di interi sistemi. La forma più semplice di automazione elettronica si basa sull’utilizzazione di singole macchine programmabili,infine i flexible manifacturing-system automatizzano intere fasi di produzione gestite da un calcolatore centrale. Il processo di diffusione di automatizzazione appare orientato a pervadere la quasi totalità delle attività produttive con influenze sull’economia generale. L’introduzione dell’elaboratore elettronico ha influenzato in modo profondo anche l’organizzazione del lavoro nel settore amministrativo del sistema produttivo (servizi amministrativi, settore del traffico, autostrade automatiche,banche,vendite,ecc.). 2.3LA MICROECONOMIA DELL’AUTOMAZIONE: OPPORTUNITA’ ,INCENTIVI,VINCOLI In economia si definisce frontiera profitti-salari, la relazione tra il livello dei profitti e il livello dei salari,che ciascuna tecnica permette. In effetti si può dimostrare che la frontiera profitti salari di una tecnica produttiva non interseca la frontiera della tecnica inferiore e pertanto un profitto più alto o di controverso sarà associato ad un salario più alto. Le tecnologie particolarmente nuove hanno come condizione necessaria per il loro sviluppo avanzamenti scientifici spesso generati in istituzioni extraeconomiche. Nel caso dell’automazione elettronica è fondato sui risultati dell’esplorazione scientifica delle proprietà dei semi conduttori; tipicamente nelle economie contemporanee, i livelli di capacità tecnologica e i tassi di apprendimento dei produttori di apparati industriali influenzano fortemente la dinamica innovativa nei beni di investimento automatizzati. Varie imprese caratterizzate da tecniche e livelli di automazione diversi competono continuamente sui mercati nazionali ed internazionali. Tutte apprendono sia dalle proprie esperienze passate che dai concorrenti. Complessivamente le interazioni concorrenziali selezionano la molteplicità degli agenti. In tutto questo processo l’incentivo microeconomico a forme crescenti di automazione e a innovazioni di prodotto è molto spesso un correlato fondamentale dell’esigenza di rimanere competitivi o di aumentare la propria competitività. 2.4 AUTOMAZIONE E DINAMICHE MACROECONOMICHE Una tradizione di pensiero sostiene che il sistema economico tende ad autoequilibrarsi, indipendentemente dalle caratteristiche specifiche del progresso tecnologico, a livelli vicini al pieno impiego di tutte le risorse produttive. Tale ipotesi è formalmente giustificata sulla base di altre ipotesi: i prezzi di ciascun fattore produttivo o bene finale reagiscono con sufficiente flessibilità alle domande di offerta; in qualunque momento sono disponibili insieme abbastanza ampi di piani produzione; i pensieri di consumo finale sono discretamente reattivi alle variazioni dei prezzi relativi delle merci finali. I mercati sono spesso caratterizzati da varie forme di oligopolio, i prezzi tendono ad essere rigidi rispetto a variazioni della domanda e viene meno un fondamento macroeconomico. Le variazioni macroeconomiche dell’occupazione seguono la seguente relazione: • • • N=YDove rappresentano rispettivamente l’occupazione, il reddito aggregato e la produttività di lavoro e i puntini stanno a rappresentare i tassi di variazione per unità di tempo. La questione se un’automazione in estensione produca tassi di crescita del reddito crescenti o meno all’occupazione concerne allora le implicazioni dell’automazione stessa rispetto ai tassi di accumulazione, ai modelli di consumo e all’intensità ed alla ripartizione del lavoro sociale complessivo. Il nascente regime di automazione elettronica della produzione definisce un campo importante di opportunità, di incentivi, e vincoli sull’insieme delle configurazioni socioeconomiche potenzialmente realizzabili; nello stesso tempo questo è anche un periodo di grande sperimentazione socio-istituzionale. 2.5 GLI EFFETTI SOCIALI DELL’ AUTOMAZIONE La diffusione dell’automazione nell’industria fu considerevolmente più lenta ed i suoi effetti molto più complessi di quanto si potesse prevedere. L’effetto reale dell’automazione sul sistema telefonico è stato quello di accrescere in modo elevato il numero delle comunicazioni telefoniche sicché il processo dell’automazione si accompagna a un’accresciuta divisione internazionale del lavoro, per cui certi paesi tendono a specializzarsi in definiti tipi di produzione industriale. Laddove l’automazione è stata introdotta, ha cambiato il lavoro umano, così come le abilità e l’istruzione richieste per eseguirlo. Essa ha determinato un aumento relativo del numero degli impiegati e di tutti coloro collegati a tale processo; i lavori si sono ridotti a tre tipi: sorveglianza alla macchina, manutenzione della stessa, lavori no qualificati di pulizia e simili. L’automazione comporta spesso una diminuzione del bisogno di istruzione; la conseguenza più rilevante dell’automazione sulla forza lavoro è il mutamento della sua composizione in termini di impiegati,tecnici, e operai. Infatti una quantità sempre crescente del contenuto di conoscenza e di abilità relative al processo di produzione viene trasferito dall’operatore alla macchina, all’elaboratore e ai suoi sorveglianti. Drucker ha sottolineato che la crescente concentrazione di lavori intellettuali ha avuto influenza assai grave nello sradicare le trazioni dei mestieri. La tendenza dell’organizzazione industriale è di considerare molto simili le diverse capacità professionali. Ames e Rosenberg hanno osservato che tanto più un uomo è specializzato meno compiti può eseguire. CAPITOLO_3 PRODUZIONE, ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO E ORGANIZZAZIONE DELL’IMPRESA L’economia della produzione, nelle versione standard, ha al proprio centro d’analisi i processi di ottimizzazione degli impianti, i costi medi unitari del prodotto, le convenienze determinate dai layout, la matrice prodotto-processo. La teoria standard della produzione ha accompagnato la teoria delle contingenze strutturali in economia. 3.2 LA PRODUZIONE La produzione è l’attività di acquisizione di determinate risorse(input) disponibili in natura allo scopo di ottenere altre risorse(output) richieste dagli utilizzatori finali di altre produzioni. La tecnologia con la quale avviene la produzione è concepita come un bene acquisibile sul mercato. Le forme di organizzazione della produzione che osserviamo nella realtà industriale sono il frutto del passaggio fondamentale che si ha con l’abbandono della produzione di massa e l’abbandono della produzione artigianale come sistema prevalente di produzione. La produzione di massa presenta: standardizzazione dei processi, standardizzazione delle parti, intercambiabilità delle parti, economie di scala. A fianco del modello della produzione di massa è cresciuto un nuovo modello fondato sulla varietà dei prodotti, cioè un modello fondato nell’ampliamento della varietà di prodotti attraverso la flessibilità dei sistemi produttivi e l’adozione di brevi intervalli di risposta alle richieste di mercato. 3.3 TIPOLOGIE DI PROCESSI PRODUTTIVI La tipologia dei processi produttivi segue l’analisi classica della Woodward che è stata costruita sulla base dei seguenti elementi: differenziazione dei prodotti, dimensione di flussi che sono collocati sul mercato, modalità con cui si manifesta la domanda. Queste tre variabili determinano almeno quattro tipologie di sistemi produttivi che sono indicate: -su progetto: cioè fondato sull’unicità del prodotto; -su modello: cioè prevede un numero più o meno ampio di prodotti che possono essere ripetuti in piccola serie su modelli predisposti dall’utilizzatore; -processo intermittenti a grandi lotti: cioè i prodotti sono differenziati, ma le varianti vengono realizzate per mezzo della standardizzazione delle parti componenti delegando in tal modo la variabilità ottenuta alla fase finale dell’assemblaggio; -per processo: è tipica del prodotto unico avente poche varianti, ottenuto con flussi continui e a tempi indeterminati. In questa tipologia vi è l’apporto capitale/lavoro. Una volta che è stato scelto il prodotto, l’impresa deve definire il ciclo produttivo che si colloca a monte di tale prodotto e ciò che essa deve produrre, come organizzare tale produzione, con quale livello di integrazione o di specializzazione. La specializzazione su pochi processi si traduce nei seguenti vantaggi: focalizzazione dell’impresa su pochi obiettivi; acquisizione i risorse omogenee; opportunità di aumentare il livello emergente; possibilità di estendere tecnologie a processi situati a monte e così via. Il rapporto integrazione/specializzazione è legato alle dimensioni e alla variabilità dei flussi che l’impresa soddisfa o acquisisce. Nell’ultimo decennio la rigidità crescente dei costi ha spinto le imprese a ridurre sempre più il grado di integrazione a quelle lavorazioni per le quali l’impresa ha una superiorità specifica. La standardizzazione ottiene risultati significativi nel rendere compatibili produttività e flessibilità. È una condizione necessaria in quanto comporta ripetitività ma anche rigidità. A fronte di tale inconveniente si può porr l’attenta pianificazione delle numerose varianti, concependole come un insieme di parti standardizzate per aderire meglio alle richieste di differenziazione da parte del mercato. Il coordinamento organizzativo rappresenta un costo più o meno rilevante che cresce in funzione dell’aumento della divisione del lavoro e della parcellizzazione delle fasi produttive. Una volta caratterizzati la produzione e il prodotto si prospettano le diverse soluzioni nella progettazione dei layout da assumere: - a catena, cioè le macchine vengono disposte secondo la sequenza temporale delle operazioni; - layout, cioè la disposizione del reparto prevede che le macchine siano riunite in gruppi per omogeneità di funzione adottando in tal modo uno schema funzionale. Versatilità ed autonomia determinano anche la capacità di effettuare diversi cicli di lavorazione sullo stesso prodotto o su diversi prodotti. Si ha quindi la possibilità do produrre lotti diversi con produzione intermittente in relazione alla combinazione. 3.4 LA CAPACITA’ PRODUTTIVA E LE ECONOMIE DI SCALA TECNOLOGICHE Le economie di scala si manifestano anche in altri settori dell’impresa. Normalmente vengono distinte in: - economie di scala di tipo tecnologico; - economie interne di gestione; - economie esterne; le economie di scala tecnologiche sono quelle che danno origine alla diminuzione del costo medio unitario di produzione. Le maggiori fonti di risparmio sono: le immobilizzazioni tecniche, le immobilizzazioni immateriale, il lavoro, i materiali, le fonti di energia. Le economie di scala sono la relazione esistente tra aumento della scala di produzione e diminuzione del costo medio unitario di produzione. L’integrazione verticale può realizzarsi in due modi: - a monte,verso gli stadi della produzione antecedenti il proprio prodotto; - a valle, verso il mercato dei prodotti finiti. 3.5 L’INTEGRAZIONE A MONTE E A VALLE L’integrazione verticale descrive uno stile di possesso e di controllo. Le economie integralmente verticali sono unite sono una gerarchia. Lo sviluppo verticale si può realizzare anche in altri modi, oltre a quello dell’integrazione produttiva,cioè usando la leva finanziaria. Una politica che viene considerata alternativa all’integrazione totale è rappresentata dalla cosiddetta quasi integrazione, che consiste nella costituzione di rapporti verticali fra imprese in varie forme che si collocano tra la stipulazione di contratti a lungo termine e la proprietà. Le principali motivazioni che inducono le imprese all’integrazione verticale e discendente sono. Evitare il dominio di mercato delle imprese acquirente;necessità di collocare la propria produzione sui mercati; esistenza di liquidità significative che inducono l’impresa a integrarsi a valle, in relazione alla maggiore redditività delle fasi successive di lavorazione. Il fenomeno del decentramento non ha origini recenti,questo fenomeno ha indotto gli imprenditori ad interessarsi sempre più delle funzioni gestionali e ad affrontare il problema dell’innovazione concentrando le risorse sul set dei prodotti principali esternalizzando ad altre imprese componenti non fondamentali e produzioni accessorie. Le forme e le modalità del decentramento produttivo possono essere ricondotte al seguente schema di riferimento: decentramento di tipo tecnico, di tipo economico, economico sostanziale, economico formale. Afferma di Nardi che la divisione del lavoro all’interno della fabbrica si estende sotto la specie di divisione del lavoro tra le industrie,nel senso che si moltiplicano gli impianti industriali. Già Caselli avevo rilevato che il decentramento può configurarsi in due modi: - termini addizionali e cioè il fenomeno investe la crescita dei mercati di fase con la parallela crescita delle piccole unità produttive; - in termini sostitutivi cioè il decentramento produttivo è il risultato della ristrutturazione e del ridimensionamento di imprese già esistenti che si sono frantumate per aver incontrato dei limiti allo sviluppo aziendale. I fattori determinati il decentramento produttivo si sono distinti in esogeni ed endogeni alle imprese. Le caratteristiche di fondo sono le seguenti: graduale e sistemica scomposizione dei cicli produttivi; riallocazione delle risorse finanziarie e organizzative da parte delle imprese terminali; specializzazione in senso verticale delle imprese committenti; la nascita e lo sviluppo delle aziende subfornitrici. 3.7 PRINCIPALI TIPI DI CONFIGURAZIONE ORGANIIZZATIVA La scelta di ulteriori strumenti di coordinamento di tipo organizzativo completa il disegno dell’organizzazione. La struttura funzionale è il tipo ancora oggi più diffuso, in imprese di tutte le dimensioni e di tutti i settori di attività. La struttura è caratterizzata dall’adozione di criterio di divisione del lavoro per funzioni, l’obiettivo che porta all’adozione di questo tipo di struttura è la ricerca della competenza specialistica rispetto alle risorse da utilizzare e alle attività specifiche. Vantaggi: - favorisce il raggiungimento degli obiettivi di efficienza tramite la competenza specialistica; - favorisce il controllo centralizzato; - consente il controllo dei costi a livello delle singole funzioni; - consente una gestione rapida delle funzioni organizzative. Svantaggi: - lo sviluppo dimensionale comporta la verticalizzazione della struttura e quindi un aggravio di ordinamento; - si tende a resistere allo sviluppo dimensionale basato sulla diversificazione prodotti/mercati; - solo al vertice si hanno esperienze di responsabilità e profitto. La scelta della struttura polifunzionale tende a mantenersi a lungo nel tempo. Crescendo l’esigenza di attenzione ai prodotti si è sviluppata la tendenza a integrare la struttura funzionale con strumenti del tipo: comitati di prodotto, gruppi di lavoro per prodotti, product manager. Quando tale esigenza supera quella relativa alle funzioni si opera la scelta opposta: viene adottata una struttura per prodotto, integrata da strumenti che coprono la residua necessità di coordinamento rispetto alle funzioni: comitati di funzione,gruppi di lavoro per funzione. L’obiettivo primario è quello di concentrare l’attenzione sui singoli prodotti. Qualora la variabile critica non sia la diversificazione dei prodotti ma la diversificazione geografica si ricorre alla suddivisione geografica delle unità organizzative; la struttura è del tutto simile a quella per prodotto,con l’unica differenza che il criterio di aggregazione al primo livello non è più il prodotto ma la zona, il mercato, la nazione o qualunque variabile territoriale. Una simile struttura che privilegia l’attenzione ed il coordinamento a livello locale può consentire un buon livello di decentramento fino alla responsabilità di profitto. La struttura per progetto nasce dal fatto che spesso le imprese oltre alle attività di routine debbono talvolta svolgere attività non ripetitive e specifiche. Le soluzioni organizzative possibili per far fronte alle attività di progetto si basano sulla creazione di ruoli di coordinamento dei singoli progetti e si differenziano tra loro per quanto riguarda il tipo di autorità sulle risorse assegnato al project manager. 1) Struttura per progetto debole: in questo caso al capo progetto è affidato un ruolo di pianificazione, coordinamento e controllo dello specifico progetto, in tal caso il project manager è responsabile dei tempi di avanzamento dei lavori, dei costi, e della qualità del progetto. 2) Struttura per progetto forte: in questo caso le risorse necessarie sono assegnate in modo stabile ai diversi progetti e quindi sotto la responsabilità diretta del capo progetto, essi hanno responsabilità autonoma nell’uso delle risorse. 3) Struttura per progetto matrice: si basa sull’incrocio delle due responsabilità; tale struttura è permanente. I responsabili funzionali hanno la responsabilità del reperimento, mantenimento e sviluppo delle risorse, nonché il compito di garantire la loro responsabilità dell’uso di tali risorse, della programmazione e del controllo dei progetti. Gli stadi di sviluppo dell’impresa assumono due dimensioni: una quantitativa espressa dalla percentuale di fatturato da attribuire alla linea dei prodotti principali, e una qualitativa espressa dal collegamento tra le diverse linee di prodotti. A tal proposito sono emerse due strutture: una holding che si differenzia per l’assenza di una direzione centrale che svolga funzioni di elaborazione di strategie e politiche per l’impresa nel suo complesso e coordinamento;e quella funzionale-holding che si collega con la strategia a prodotto dominante, essendo il prodotto dominante gestito attraverso una soluzione funzionale ai prodotti che completano la gamma con soluzioni holding. 3.8 UNA TASSONOMIA DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE Numerose spiegazioni sono avanzate nella letteratura economica per spiegare l’emergere e la persistenza delle Pmi all’interno dei settori manifatturieri contemporanei: - la spiegazione dualistica che ipotizza la permanenza di un settore arretrato a bassi salari, funzionale alla costituzione di blocchi sociali conservatori o alla segmentazione dei mercati del lavoro; - il modello della specializzazione flessibile che vede nello sviluppo delle Pmi il concretizzarsi di un’alternativa al sistema capitalistico tradizionale dominato dal paradigma fordista della grande fabbrica; - il ruolo del Pmi nella teoria del ciclo del prodotto secondo la quale ogni nuova ideazione di un prodotto manifatturiero con potenzialità commerciali tende ad essere sviluppata nei paesi avanzati da piccole e medie imprese flessibili che possono facilmente attivare solidi rapporti con le istituzioni di ricerca. Le Pmi statistiche sono quelle imprese che la letteratura definisce marginali in quanto presentano connotati di arretratezza e inefficienza. Operano sui mercati locali o in taluni settori delle fornitura di secondo o terzo livello. La loro capacità competitiva è rappresentata dal basso costo di lavoro e dall’evasione contributiva e fiscale. I profitti aziendali non vengono reinvestiti ma utilizzati spesso per il consumo vistoso. Le Pmi tradizionali operano prevalentemente nei settori maturi dove prevale la piccola dimensione. A differenza di quelle statistiche sono guidate da imprenditori particolari . in questo tipo di imprese non esiste una gestione e uno sviluppo delle risorse umane e l’accesso alle competenze è determinato dall’area sistema in cui l’impresa opera. Le Pmi dominate o trainate si caratterizzano per il fatto di operare per conto di aziende di grandi dimensioni alle quali sono legate da rapporti di committenza, in settori in cui la caratteristica più rilevante è l’esistenza di elevate barriere all’entrata derivanti da economie di scala. Le Pmi imitative sono quelli imprese che adottano strategie innovative definibili come imitative. Il loro ruolo è determinante nella diffusione del progresso scientifico che riescono a supportare grazie alla presenza di elevate competenze tecnico-ingegneristiche. Le Pmi basate sulla tecnologia si realizza il modello della piccola impresa innovativa. Queste imprese operano in settori di rapida crescita dove la tecnologia non è ancora assestata e in grado di generare opportunità tecnologiche che le imprese possono sfruttare. Le strategie possono essere di tipo offensivo, imprese che sorgono per lo sfruttamento di un’innovazione il cui ingresso sul mercato avviene in condizioni di leadership. Le Pmi alla frontiera tecnologica hanno un ruolo fondamentale nell’introduzione di nuovi paradigmi tecnologici fondati su innovazioni di tipo radicale. CAPITOLO_4 L’ANALISI DELL’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO NELLA SOCIOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI La sequenza abilità-gestione- mestiere ci sembra la più adatta a interpretare un asse di ricerca che va da Taylor ai post- taylorismi. Taylorismo e tecnologia rappresentano due facce della stessa medaglia pur articolandosi in posizioni assai diverse tra loro. Queste teorie affermano che vi è una sovraesposizione di efficienza rispetto ad efficacia soddisfacimento. Esse dal punto di vista dell’analisi delle competenze non si discostano dai principi generali organizzativi di Taylor e Fayol, proprio perché riconoscevano il carattere esogeno della tecnologia e trascuravano la non identità tra lavoro umano e fini dell’organizzazione. Si può affermare che la teoria classica dell’organizzazione nelle sue forme americane ed anglosassoni non considerava il comportamento umano come reale problema. Gli atteggiamenti e i comportamenti dissonanti che venivano accertati erano fatti risalire a strutture di lavoro e organizzative mal gestite e realizzate. Il modello organizzativo americano si stenderà rapidamente in tutti i paesi sviluppati e regnerà incontrastato fino a qualche decennio fa. Come ha sottolineato Locke la fabbrica taylorista-fordista si basava sull’organizzazione scientifica del lavoro, su un sistema di gestione gerarchizzato e disattento verso i dipendenti, nonostante le human relations e su una istruzione centrata sulla ricerca operativa e impartita da scuole di management fin troppo tecnicizzate. Tralasciando il filone d’analisi relativo al conflitto operaio, gli studi di Taurine hanno dato luogo a due principali interpretazioni: la prima consisteva in una sequenza irreversibile che avrebbe determinato la crescita di una nuova classe operaia tecnicizzata che avrebbe co- gestito le imprese. La seconda, fondata sul determinismo tecnologico faceva derivare gli atteggiamenti,la professionalità del lavoro e la coscienza di classe dalle variabili tecnologiche. Anche Blauner descriveva l’operaio dei processi continui come un nuovo soggetto prodotto dalle altre tecnologie la cui personalità sociale poteva essere assimilata a quella della nuova classe media. Friedman sostiene che per aggirare la resistenza operaia al cambiamento il management ha fatto leva sull’abbassamento della qualificazione operaia che si era verificato nei decenni precedenti agitando il mito dell’adattamento al cambiamento in cambio dello status, dell’autorità e della responsabilità, chiamando tutto questo l’autonomia responsabile. Edwards si sofferma sugli strumenti di controllo e di consenso che sono esercitati sullo strato di classe operaia che ha maggiori qualifiche e competenze. Secondo Edwards si è passati dal controllo diretto della burocrazia di fabbrica sul lavoro operaio al controllo tecnico e tecnologico incorporato nella struttura materiale del processo lavorativo. Negli anni ottanta Buroway decide di fare osservazione partecipante passando circa un anno in una fabbrica di motori. Per Buroway lo stato di diritto nell’impresa è una sorta di prolungamento dei giochi di making out. La prova maggiore viene trovata nella contrattazione aziendale che può essere interpretata come un nuovo gioco che verte sulle regole e i prodotti derivanti dai giochi di produzione organizzati in fabbrica. L’avvento dell’automazione nella produzione industriale ha messo in crisi le spiegazioni di Buroway sul consenso operaio. Le quantità prodotte sono prestabilite e cadenzate dal macchinario industriale e l’organizzazione del flusso produttivo non permette più di giocare sugli accumuli informali di tempo. Il contributo più importante di Roy è sui giochi di making out che Bonazzi ha definito: i giochi di produzione nascono all’interno dell’autonomia operaia. Essi sono una spontanea iniziativa operaia all’interno degli spazi di libertà guadagnati a scapito delle regole formali. I giochi di produzione esulano dai contenuti della mansione. Essi sono possibili anche nei lavori non qualificati e ripetitivi purché gli operai possano ricorrere a microiniziative ed astuzie che li possano coinvolgere in un operazione di senso. Kern e Shumann sostengono che le innovazioni tecnologiche favoriscono una riqualificazione professionale tendenzialmente generalizzata che genera quasi automaticamente un nuovo modo di lavorare. Il filone della specializzazione flessibile ha basato la propria valutazione degli esiti a medio termine della specializzazione flessibile su una vasta e sofisticata analisi delle ampie trasformazioni macroeconomiche e macrosociali. Amin e Robins affermano che alla fine si ha un complesso sincretismo teorico che parte dalle idee di Poire e Sabel per arrivare alla geografia economica di Scott e Storper. Un tema interessante è la concezione che gli autori hanno della specializzazione flessibile. Essi sottolineano che la specializzazione flessibile è una conseguenza della crisi della produzione di massa: i mercati sono diventati saturi e i consumatori richiedono beni specializzati e differenziati, a questa domanda il sistema produttivo di massa non sa rispondere. Gli autori sottolineano l’importanza delle reti industriali e sociali che portano ai vantaggi di apprendimento dei sistemi produttivi reticolari come organizzazione industriale. Piore e Sabel affermano che la base della crescita della specializzazione flessibile è costruita attorno alle considerazioni strategiche degli attori sociali e delle loro tattiche in casi particolari attorno a variabili quali la fiducia, la solidarietà, la fedeltà alla comunità. Essi tentano di eludere il determinismo tecnologico o economico per giungere ad esaltare un approccio intriso di altrettanto determinismo e volontarismo. Il secondo gruppo è costituito da studiosi italiani che hanno indagato le origini e lo sviluppo dei distretti industriali in Italia. Essi sottolineano il ruolo delle economie esterne, i vantaggi derivanti dall’agglomerazione territoriale. Per gli autori citati la spiegazione marshalliana è la più appropriata per indagare la dinamica economica di alcune aree della Terza Italia, in cui ogni rete interrelata di piccole imprese si specializza nella produzione di un bene particolare. Lo studio di Camagni e Capello mostra che in Toscana la flessibilità è determinata dall’elevata divisione del lavoro tra le piccole imprese e da una struttura regionale altamente integrata. Il futuro dei distretti industriali sembra in parte condizionato dalla staticità delle competenze d’origine. Molti studiosi hanno enfatizzato che le nuove tecnologie non erano semplici artefatti tecnologici ma piuttosto sistemi complessi che contengono artefatti, skills, desideri e regolazione politica. L’autonomia della tecnologia è limitata, esse possono svilupparsi solo con l’aiuto complementare delle strutture manageriali, legali, sociali ed economiche. L’approccio convenzionale neoclassico alla tecnologia è consistito nel fatto che le invenzioni individuali e le innovazioni venivano lette come esogene e talvolta come fortuite. La diffusione dell’innovazione tecnologica costituisce un secondo ambito d’indagine per gli economisti interessati al cambiamento. Il modello di base parte dall’idea di imitazione e si propone di studiare la propagazione di una novità. Alla sua origine c’è il trasferimento nelle scienze sociali del modello epidemiologico della propagazione per contatto. Il modello standard della diffusione può essere criticato in diversi punti: ignora la questione del lancio dell’innovazione e la questione della concezione dell’oggetto tecnico. Quest’ ultimo non ha alcuna consistenza. È stato messo a punto definitivamente prima della sua diffusione e in seguito non sarà più modificato. All’origine del modello c’è l’idea di imitazione: questo implica sia un’ulteriore esteriorizzazione tecnica sia l’incapacità di fornire spiegazioni sull’apertura di mercato. Il modello si rivela piuttosto statico, esso definisce ex ante la popolazione potenziale dell’innovazione mentre l’ambito di diffusione si modifica in seguito alle trasformazioni dell’oggetto. Le differenti forme di evoluzione tecnologica rimettono in questione una delle forme standard della diffusione: la redditività costante dell’adozione della nuova tecnologia. L’idea della rete d’influenza costituisce il cuore della teoria sociologica della diffusione d’innovazione: Everett Rogers è il principale esponente di questa corrente. Per lui sono cinque le caratteristiche che determinano l’eventuale adozione di una nuova tecnica: - il vantaggio relativo; - la compatibilità con i valori del gruppo di appartenenza; - la complessità d’innovazione; - la possibilità di sperimentarla; - la visibilità d’innovazione. Allo stesso modo il processo decisionale si snoda in 5 tappe (la conoscenza, la persuasione, la decisione, la messa in opera, e la conferma). Rogers distingue differenti tipologie che permettono di seguire l’evoluzione del tasso di adozione che è la variabile descrittiva essenziale della diffusione e ha l’andamento di una curva sigmoide. Il consenso intorno all’evoluzione tecnologica fra organizzazioni industriali e fra organizzazioni sindacali ha come conseguenza il fatto che entrambe le parti considerano che la divisione del lavoro non possa essere modificata. 4.3 LA TEORIA DELLE CONTINGENZE STRUTTURALI COME NORMAL SCIENCE All’interno degli studi organizzativi la teoria delle contingenze ha dato un paradigma coerente con l’analisi delle strutture organizzative. Il paradigma ha strutturato un quadro d’analisi in cui le ricerche sono progredite verso la costruzione di una base di conoscenza fortemente organica. Per la teoria delle contingenze il ricorrente set di relazioni tra i membri dell’organizzazione può essere considerato l’essenza della struttura dell’organizzazione stessa. Il set include: l’autorità relazionale, il reporting relazionale, come struttura di significato dell’organizzazione, e tutti i comportamenti che caratterizzano l’organizzazione. Un merito della scuola delle relazioni umane è stato quello di aver portato in primo piano i bisogni sociali e psicologici individuali e di gruppo come fondamento dell’organizzazione, in quanto relazioni dinamiche tra individui e gruppi. In consonanza con la scuola delle relazioni umane, le teorie delle contingenze si sono sviluppate negli anni 50 e 60 su argomenti come le microdecisioni nei gruppi e la leadership. Verso il 1970 la Woodward sviluppa una tipologia scalare fondata sulla complessità tecnica, vengono individuati tre tipi di produzioni distinte e ordinate secondo la loro complessità: produzione di piccola serie, di grande serie e di massa, e di processo. 4.4 IL MODELLO OPERATIVO FONDATO SULLA TEORIA DELLE CONTINGENZE STRUTTURALI Lo scopo primario delle organizzazioni aziendali è l’ottenimento di obiettivi produttivi attraverso l’uso efficiente delle risorse. Le organizzazioni aziendali, a livelli più o meno elevati di complessità sono considerate come sistemi aperti, quindi parzialmente indeterminati e soggetti a incertezza di scelte e di comportamenti e nello stesso tempo soggetti soggetto con certezze per operare in modo efficiente. Non è necessario per diagnosticare il funzionamento di un organizzazione analizzare tutte le possibili variabili che la influenzano e tutte le relazioni tra di loro: basta analizzare un numero di variabili e alcune interrelazioni tra di loro. Le variabili chiave più usate sono: l’ambiente delle organizzazioni, il task dell’organizzazione, la struttura organizzativa, il comportamento organizzativo, cioè il modo in cui i gruppi e gli individui si comportano nell’organizzazione. Il task e la struttura organizzativa sono considerati come le due variabili fondamentali d’intervento, poiché l’ambiente non è mai sotto il completo controllo del management, e il comportamento è considerato per certi aspetti non predeterminabile e per altri come una conseguenza del sistema organizzativo. Le caratteristiche della struttura organizzativa sono date dal modo con cui il lavoro è distribuito tra individui, gruppi, unità organizzative e dal modo con cui sono determinate le relazioni fondamentali tra mansioni individuali e compiti di unità semplici e complesse. Essa è anche caratterizzata dai meccanismi operativi, cioè da quelle variabili strutturali che sono utilizzate per chiarire ai membri dell’organizzazione ciò che è loro richiesto, qual è la funzione del loro lavoro e per spingerli a migliorare la loro collaborazione.