COMPRENDERE LE RAGIONI DEI MUTAMENTI

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ORIENTAMENTI
FORMALISTI
E
ORIENTAMENTI
STORICO
VALUTATIVI NEL COSTITUZIONALISMO E CORRISPONDENTI VISIONI
DELLA “COSTITUZIONALIZZAZIONE” EUROPEA
DA «COMPRENDERE LE RAGIONI DEI MUTAMENTI»: IL COSTITUZIONALISMO, LA NEW GOVERNANCE E L’ASCOLTO DELLA
DIFFERENZA DI GENERE in corso di pubblicazione in M. Barbera (cur.), Governare il lavoro e il welfare attraverso la democrazia deliberativa,
Giuffré, Milano, 2008, Di Silvia Niccolai* PAGINE ESTRATTE AD USO DEGLI STUDENTI DEL CORSO DI DIRITTO COSTITUZIONALE
AVANZATO, A.A. 2007/2008
SOMMARIO : 1. Costituzionalismo formalista 2. «Comprendere le ragioni dei mutamenti». La
proposta ermeneutica di un costituzionalismo storico e valutativo
«E’ necessario in definitiva riferirsi soggettivamente alle opinioni di coloro che in una determinata
collettività vivono, faticano, soffrono perché venga realizzato il loro sentimento del giusto: il modo in cui si
determinano le norme giuridiche non è diverso da quello in cui si determinano le norme morali.»
Alessandro Giuliani
1. Costituzionalismo formalista.
Chiamerò formalista l’idea che la dimensione propria del costituzionalismo è quella che concerne
meccanismi giuridici che assicurano superiorità ad un complesso di norme, tra le quali caratteristicamente
quelle relative ai diritti e quelle relative alla organizzazione dei poteri, meccanismi che consistono
principalmente nella rigidità di un testo o di un insieme di testi di carattere fondamentale e nella presenza di
una Corte con poteri di sindacato sugli atti espressivi delle manifestazioni di governo. Questa concezione del
diritto costituzionale, che oggi, specialmente in Italia, si è ampiamente spogliata di rigidi tratti positivisti, che
spesso si presenta come attenta alla storia, e partecipe alle vicende sociali e politiche, e che è di solito
innervata da una forte attenzione alla dimensione dei valori, dei principi e dell’interpretazione, è quella
probabilmente maggioritaria tra i costituzionalisti e quella tenuta per corrispondente a costituzionalismo da
parte di giuristi non costituzionalisti e di esperti di altre discipline, come sociologi, scienziati della politica,
economisti.
Questa concezione del costituzionalismo ha certamente dominato nel dibattito costituzionale intorno
all’Europa: lo stesso processo di costituzionalizzazione della esperienza comunitaria è stato individuato,
riconosciuto e fatto consistere nel diffondersi di momenti di irrigidimento di norme e principi e nell’attivismo
della Corte di giustizia. intesa nei termini che ho appena detto (processo di irrigidimento di norme e principi
presidiati da una Corte), la costituzionalizzazione della Ue, da una parte, è apparsa e appare come una
vicenda positiva, per la carica garantista di cui il costituzionalismo è considerato intrinsecamente portatore,
dall’altra parte, come una vicenda problematica, e, questo, per almeno due ordini di motivi, collegati ad
altrettanti connotati che, tradizionali del costituzionalismo, divengono fonte di interrogativi in considerazione
delle caratteristiche del processo di integrazione comunitaria. Si tratta in primo luogo della attitudine antimaggioritaria del costituzionalismo: il costituzionalismo è un correttore delle possibili distorsioni delle
democrazie e del loro naturale andamento maggioritario, ma in un contesto come quello comunitario, dove i
contrassegni abituali dei modelli democratici sono deboli, l’introduzione di forti elementi di costituzionalismo
rischia di rafforzare il tema classico del deficit democratico, se non di legittimare, rivestendole delle insegne
del costituzionalismo, scelte di merito, in ordine all’assetto della società, alle prerogative della persona, alla
*
Ordinario nell’Università di Cagliari, Cattedra Jean Monnet di diritto europeo
1
dinamica tra economia e indirizzo politico, che cozzano con i valori depositati nei testi costituzionali
nazionali. In secondo luogo, si tratta del legame che storicamente si è instaurato in Europa continentale tra
costituzionalismo e statualismo, per cui il costituzionalismo si lascia pensare anche come il carattere che
contrassegna la creazione di un soggetto sovrano, il che crea non pochi problemi di compatibilità tra lo
sviluppo del processo di integrazione e le prerogative della dimensione nazionale.
2. «Comprendere le ragioni dei mutamenti». La prospettiva ermeneutica di un costituzionalismo storico e
valutativo.
Le concezioni valutative e storiche del diritto costituzionale - tra le quali tengo specialmente presente la
dottrina dell’esperienza giuridica, attraverso una linea che lega il pensiero di un costituzionalista come
Antonio Cervati a un filosofo del diritto come Alessandro Giuliani - si distaccano dalla visione della
dogmatica formalista su alcuni punti vistosi: i percorsi di riconoscimento del diritto, la nozione di
costituzione, il ruolo del giurista.
A una visione normativista della produzione del diritto – cui le visioni formaliste non rinunciano mai - si
contrappone, da un lato, l’idea che «i percorsi del riconoscimento del diritto possono essere svariati ed occorre
non perdere di vista i profili valutativi, etici ed umani delle diverse controversie sulle quali il giurista è
chiamato costantemente a riflettere»1 e, dall’altro lato, l’idea che nell’attività di riconoscimento del diritto
sono in questione «operazioni valutative», la «dialettica delle opinioni», il dibattito sui valori. La nozione di
costituzione è sganciata da quella di rigidità e superiorità affidate alla forma del testo2
«Il diritto costituzionale, inteso come un diritto riguardante i principi dell’ordinamento, può
assumere diversi gradi di ‘rigidità’ o di ‘flessibilità’ a seconda dell’intensità dei principi ed in
ultima analisi dell’importanza delle ragioni che si fanno valere con riferimento ai diversi valori
costituzionali»
ed il diritto costituzionale è nozione aperta: si muove sul piano della concretezza, dell’attenzione ai termini
in cui si pongono i conflitti sociali e le controversie giuridiche, è interessata ai rapporti tra diritto
costituzionale e società e dunque è aperta nel senso häberliano per cui «la lista dei temi costituzionali è
aperta»3. Il ruolo del giurista è quello, prima di ricomporre, di conoscere i conflitti: quelle di diritto e di
costituzione sono «esperienze conflittuali».
«Il diritto costituzionale… presenta un alto grado di conflittualità ed il continuo mutare delle
regole è frutto, oltre che di interventi del legislatore, di una lotta per il diritto che non cessa
mai di animare la vita degli ordinamenti giuridici. Il riconoscimento del carattere aperto del
diritto costituzionale … equivale all’affermazione che questa disciplina tende a svilupparsi
sempre di più sul piano della concretezza e della attenzione ai termini in cui si pongono i
conflitti sociali e le controversie giuridiche, non della astrattezza o della irrazionalità»4
Queste visioni aprono e problematizzano il campo di competenza, di pertinenza del diritto costituzionale:
1 A. Giuliani, Droit, Mouvement et réminescence, in Archives de philosophie du droit, tomo 29, 1984, p. 101 ss.; A. A. Cervati, A
proposito di metodi valutativi nello studio del diritto costituzionale, in Dir. Pubbl., 2005, p. 707 ss
2, A.A. Cervati, A proposito di metodi valutativi, cit., p. 734.
3 A.A. Cervati, A proposito di metodi valutativi, cit., p. 731.
4: A.A. Cervati, A proposito di metodi valutativi, cit., p. 731. «Carattere conflittuale dell’esperienza giuridica», ivi, p. 745.
2
«Il diritto costituzionale non si presenta più agli occhi del giurista solo come un settore del
diritto che prende in considerazione lo studio delle “fonti del diritto”, l’organizzazione dello stato e
il catalogo dei diritti fondamentali, ma come una disciplina che ha ad oggetto soprattutto i principi
dell’intero ordinamento giuridico nel suo insieme»5.
Al riguardo, va detto che anche nel discorso dommatico formalista si fanno, ovviamente, e in ogni
momento valutazioni di contesto, che sono inerenti, per esempio, alle premesse che possono essere chiamate
come spiegazione dell’emergere dei processi di governance e di metodi di coordinamento.
La dimensione storica cui la dottrina dell’esperienza giuridica suggerisce di guardare è una che riguarda
perciò direttamente la comprensione dell’integrazione europea come esperienza giuridica, e cioè che tiene
conto della storicità del diritto, compreso il diritto costituzionale, e non solo della storicità dei fattori che
stanno attorno al diritto e cioè appunto dei fattori di contesto (es.: esiste la globalizzazione o: si fanno sentire i
problemi dell’allargamento).
E’ una interrogazione che mette in primo piano l’esigenza, ma anche la possibilità, di «elaborare categorie
concettuali più adeguate alle situazioni reali», e di «comprendere i profondi legami esistenti tra le costruzioni
giuridiche e la realtà dei conflitti sociali, tra la cultura politica e l’innovazione costituzionale, tra i contenuti
essenziali del diritto costituzionale e gli orientamenti dell’opinione pubblica», nella assunzione del fatto che
«il discorso giuridico muta di significato nel corso del tempo e che taluni percorsi argomentativi rafforzano o
perdono le loro potenzialità persuasive per effetto del mutare degli orientamenti valutativi e della sensibilità
etica e politica della società»; e nella consapevolezza che il diritto costituzionale è un linguaggio che, come
tale, muta: «il linguaggio del diritto costituzionale rispecchia anche il livello di pluralismo proprio delle
società cui si fa riferimento, e in proporzione ad esso presenta i rapporti umani come facenti parte di una realtà
dinamica, aperta a nuove esigenze, in costante rapporto con l’opinione pubblica» 6.
«Per recuperare una visione critica del divenire e non restare imprigionati in prospettive
esclusivamente tecniche, occorre uno studio del diritto che rivolga la propria attenzione alla
valenza comunicativa del linguaggio giuridico, ai suoi rapporti con altri linguaggi e soprattutto
con le concezioni valutative presenti nelle società contemporanee»7.
Per gli orientamenti valutativi la «cultura» è uno dei percorsi attraverso i quali emergono le immagini con
cui un tempo pensa se stesso. Ma la «cultura» non è un dato che il giurista debba limitarsi a registrare come
fonte di orientamenti da calare passivamente nella applicazione e nella interpretazione del diritto. Quello che
le dottrine dell’esperienza giuridica ricordano è che il giurista può trovare spazi argomentativi propri e
dialettici anche e specialmente quando manca, o declina, un imperio legislativo, avvalendosi delle risorse
offerte dalla logica giuridica e dall’argomentazione, e grazie all’esercizio della propria competenza nella
conoscenza dei problemi della realtà. Un orientamento ermeneutico si assume così la questione della
responsabilità del giurista in un modo molto forte e che potrebbe essere descritto come dovere di trovare il
modo di esprimere in un linguaggio, secondo una logica e una struttura del discorso riconoscibile come
giuridica le esigenze di giustizia sempre nuove nascenti dalla realtà, o come ricerca del modo di mettere in
connessione esigenze di giustizia della realtà e prestazioni di giustizia del diritto. Questo significa aprire il
giurista agli orientamenti valutativi presenti nella società, essere interessati a far parlare i diversi interessi di
volta in volta coinvolti in un conflitto, perché sono essi a prospettare i sentimenti del giusto diversi e in
5 A.A. Cervati, A proposito di metodi valutativi, cit., Cfr. altresì Id., In tema di percorsi per il riconoscimento del diritto
costituzionale, in Diritto romano attuale, n. 9/2003, p. 199 ss.; P. Ridola, Il costituzionalismo: itinerari storici e percorsi concettuali,
in Scritti in onore di G. Ferrara, Giappichelli, Torino, 2005, vol. III, p. 293 ss.
6 Per le parole tra virgolette in questo capoverso cfr. sempre A.A. Cervati, A proposito di metodi valutativi, cit., p. 746.
7 A.A. Cervati, A proposito di metodi valutativi, cit., p. 747.
3
cambiamento che danno il senso di un conflitto e modificano il modo in cui il diritto lo aveva già sistemato e
valutato8.
«Il linguaggio, come il diritto, come il mercato, vive in definitiva in virtù di quei molteplici
atti singoli che non permettono mai una situazione di equilibrio stabile: se è pur vero che queste
istituzioni, frutto di storia e tradizioni, forniscono all’individuo singolo i binari su cui svolgere la
propria attività, è nondimeno vero che è l’individuo con la sua iniziativa, con le sue preferenze,
con le sue interpretazioni a modificare continuamente e inconsapevolmente l’istituzione. E’ stata
a lungo tempo sottovalutata nel campo del diritto l’importanza che hanno proprio questi fatti
individuali nel trasformare l’istituzione»
La richiesta (o l’offerta) che gli orientamenti antiformalisti storico-valutativi fanno al giurista di guardare la
realtà implica pertanto una presa di posizione che non consiste nello scegliere un punto di osservazione
privilegiato tra altri, tanto meno nel compiere un gesto di schieramento, ma nel mettersi nella posizione
dell’ascolto9.
«Il compito preliminare della ricerca pura nel diritto deve essere quindi limitato alla conoscenza
della realtà, alle opinioni e alle azioni individuali assunte come dati di ricerca… Ogni azione, ogni
opinione, ogni scelta individuale subisce l’influsso e influisce a sua volta sulle azioni, opinioni,
decisioni e scelte degli altri individui appartenenti alla stessa comunità. Il risultato è che il diritto,
al pari della lingua, ci appare, se sottoposto a tale indagine, il risultato proprio di quella serie
infinita di attività, anche se modeste: è frutto di cooperazione e collaborazione».
Quando si dà rilievo alla ricchezza del linguaggio del diritto costituzionale e si sottolinea come in esso
«compaiono richiami alle libertà, ai diritti delle minoranze, alle esigenze dei soggetti più deboli e ai valori
umani» e si nota che queste espressioni hanno significati «che non si lasciano racchiudere in formule troppo
strette, dai confini tecnicamente definibili, perché fanno appello ad esigenze di equità e di giustizia nei
rapporti umani che non sono riconducibili a un sistema chiuso di concetti normativi»10 si sta dicendo, a me
pare, che il significato di ciascuna di quelle parole suggestive è debitore dell’apporto di senso che gli stessi
esseri umani, nella loro vicenda, svolgono.
«E’ necessario che lo scienziato del diritto cerchi soprattutto una tecnica della ragione più
comprensiva e più duttile, la quale gli permetta di tener conto di quel quid non riportabile ad
una attività puramente logica e razionale. Una scienza giuridica che riesca ad adempiere tale
compito, respingendo una concezione puramente artificiale della tecnica giuridica,
implicante la riduzione dell’attività del giurista a quella dell’esegeta, ed affrontando
adeguatamente il problema del valore e dell’irrazionale nel diritto, implica una rivalutazione
dei valori sottintesi nella esperienza giuridica, che è esperienza “umana” nel suo aspetto più
generale».11
8,
A. Giuliani, Contributi, cit., p. 152.
A. Giuliani, Contributi, cit., p. 177.
10 A. Giuliani, Ricerche in tema di esperienza giuridica, Milano, Giuffrè, 1957, p. 100.
11 A.A. Cervati, A proposito di metodi valutativi, cit., p. 746. Corsivo mio.
9
4
. Oltre il «doppio movimento»: l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, premessa del cedimento
dell’opposizione simbolica tra mercato e società. 2.2. Costituzione e persuasione. La retorica Omc
come fondazione di una Menschenbild diversa rispetto a quella presupposta dal costituzionalismo
novecentesco. 2.3. Radici, prospettive e limiti di una «politica che apprende». Criticare la qualità
procedimentale dell’Omc tenendo conto delle trasformazioni delle forme e delle funzioni della
politica che esso stesso esprime. 2.4. Per destrutturare le metafore che legittimano il mercato:
ridiscutere l’uguaglianza tra i sessi. L’importanza della narrazione.
Oltre il «doppio movimento»: l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, premessa del cedimento
dell’opposizione simbolica tra mercato e società.
Scegliere di indagare le «ragioni dei mutamenti» richiede dunque di tornare a ragionare, sia pur
brevemente, su quella costituzione economica europea che tra mercato e società si colloca.
Basterà a questo scopo un richiamo alle celebri pagine di Polanyi12 sulla teoria del doppio movimento:
davanti al mercato distruttore dei legami sociali, lo stato – lo stato liberale tra la rivoluzione industriale e la
crisi degli anni ‘30 - interviene proteggendo la società, e la protezione della società passa attraverso la
protezione di alcuni soggetti, di alcuni nessi. Ed in effetti è noto a tutti che le legislazioni protezionistiche
hanno tutelato dal mercato specialmente due soggetti, i bambini e le donne13, hanno assimilato le seconde ai
primi e hanno realizzato la propria spinta protettiva creando una tendenziale esclusione di questi soggetti, e
dunque delle donne, dal mercato, rendendo più difficile il loro ingresso sul mercato, ponendo condizioni.
Il legame sociale essenziale che lo stato ha protetto davanti al mercato è stato così il legame familiare che
vedeva l’uomo, il maschio, dotato almeno di un contrappeso davanti alla solitudine in cui lo gettava la
contemporaneità, il contrappeso di avere almeno una donna che, dipendendo da lui, era dedicata alla sua cura
e al suo servizio.
Lo schema di Polanyi suggerisce in altri termini che le legislazioni protezionistiche liberali e le
disposizioni di molte costituzioni nazionali, come la nostra, che continuavano a radicare le donne
specialmente nella sfera della cura e delle relazioni familiari, rendevano, col far ciò, elemento ordinamentale
quel patto sociale tra i sessi che assegnava agli uomini la vita pubblica e il lavoro e alle donne la cura e il
lavoro riproduttivo, in quanto esso aveva assunto, nel corso dei secoli XIX e XX, il ruolo di pedina centrale
nell’equilibrio tra politica e mercato: il destino femminile nella casa e nella famiglia doveva essere difeso
perché non si riusciva letteralmente a immaginare che fine avrebbe fatto la società (e cioè: il mondo degli
uomini) senza almeno quello spazio di cura, di potere e di senso assicurato dalla relazione asimmetrica con la
donna che non aveva accesso al lavoro, all’indipendenza economica14.
L’integrazione comunitaria è partita invece inserendo le donne nel Trattato istitutivo come soggetti del
mondo del lavoro.
Di un patrimonio costituzionale nazionale che riconosceva alle donne l’uguaglianza dei diritti, compresa in
alcuni casi la parità nella retribuzione, ma che al tempo stesso puntava sulla collocazione delle donne in un
mondo a parte rispetto ai commerci maschili (dalla «funzione familiare» della donna di nostrana memoria al
divieto del GG per le donne di esercitare mestieri che implicano l’uso delle armi), il Trattato ha preso solo il
frammento che concerneva il lavoro. Nell’universo comunitario, le donne sono entrate come parte di una forza
lavoro, oggi risorsa umana, che non ha sesso (e volendo, per il mercato, nemmeno età) e che non dispone di
12
C. Polanyi, La grande trasformazione, 1944, trad. it. Einaudi, Torino, 1974.
Per l’Italia, sulla prima legge a tutela del lavoro dei fanciulli, 1886 e la prima legge sul lavoro delle donne, 1907, v. sempre
importantissime le pagine di M.L. Ballestrero, Dalla tutela alla parità, Il Mulino, Bologna, 1979.
14 Sto sviluppando, sia pure in una prospettiva diverso, una serie di strumenti di lettura che risalgono alla proposta interpretativa di
C. Pateman, Il contratto sessuale (1988), trad. it. Editori Riuniti, Roma, 1997. E’ evidente come la concezione ordinamentale del patto
sociale tra i sessi che sto tratteggiando corrisponda a quella visione della famiglia che alla metà degli anni ’50 è stata razionalizzata in
sociologia dagli studi di Talcott-Parsons.
13
5
alcuna collocazione simbolica, di alcun alimento di senso che non provenga dal fatto di essere parte del
mercato.
L’impegno, a tutti noto, della Comunità ad abbattere le legislazioni nazionali protezionistiche o
paternalistiche, l’impegno grazie al quale ogni legislazione a tutela della donna che non si radichi nel fatto
biologico della maternità e parto è indubbiata di avere carattere discriminatorio, la lotta contro gli stereotipi e
per la promozione di un nuovo patto sociale tra i sessi15 non hanno fatto e non fanno che svolgere col massimo
rigore pensabile questa sola premessa. La donna è un soggetto del mercato; e i soggetti del mercato non
hanno sesso.
Confrontare la teoria del doppio movimento di Polanyi con le mosse dell’integrazione comunitaria mostra
che l’abbandono dell’atteggiamento protezionistico verso le donne è ben lungi dall’aver rappresentato un fatto
che ha riguardato solo le donne. Esso ha certamente significato rinuncia a vedere nella famiglia e nella cura un
destino delle donne che teneva insieme la società, ma perciò stesso ha anche operato lo sfondamento della
antinomia simbolica tra mercato (solo distruttore di legami sociali) e società (sede dei legami sociali) e aperto
la possibilità/necessità per gli esseri umani di basare il proprio senso di sé su legami che non fossero quelli
familiari. Fondazione del mondo come lo conosciamo, dove fare parte del mercato, essere nel mondo del
lavoro, è una condizione normale di pensabilità della vita.
Questo permette di ipotizzare che, se è vero che tutta l’esperienza europea è stata apprendimento delle
capacità del mercato di farsi dimensione di senso e di applicarsi a campi dell’esperienza diversi da quelli che
corrispondono strettamente al mercato (gli scambi economici concorrenziali)16, ciò ha potuto avvenire anche e
soprattutto per effetto della trasformata composizione soggettiva delle società europee e del mercato del
lavoro, e per effetto del mutare degli investimenti simbolici che le persone hanno indirizzato nei confronti
delle relazioni economiche. Oggi si riconosce espressamente che l’ingresso delle donne sul mercato del lavoro
ha influito in modo determinante sulla possibilità stessa del passaggio da una economia fordista al postfordismo e che «lo scambio tra uomini e donne e si trova al centro stesso della trasformazione capitalistica»17;
15 Esemplare il fraseggio della Raccomandazione del Consiglio dei Ministri in tema di uguale partecipazione di uomini e donne
alla vita privata e alla vita pubblica, 2000/C 218/02, dove si auspica per il XXI secolo «un nuovo patto sociale tra i sessi». Una recente
rilettura della giurisprudenza comunitaria in materia di non discriminazione è compiutamente offerta da O. Pollicino, Discriminazione
sulla base del sesso e trattamento preferenziale nel diritto comunitario, Un profilo giurisprudenziale alla ricerca del nucleo duro del
new legal order, Giuffrè, Milano, 2005.
16 Generalmente questi punti sono condivisi, ma in termini di denuncia del modello sociale europeo, da una riflessione critica della
quale una summa è reperibile in G. Bucci, L. Patruno, Riflessioni sul cd modello sociale europeo, sull’Europa sociale dei capi di
governo e sul mutato rapporto tra Costituzione ed economia, in Costituzionalismo.it e L. Patruno, Il modello istituzionale, cit. Altra
importante dottrina ha sostenuto di recente la tesi che viceversa, nel momento in cui, con Maastricht, viene meno l’accordo
ordoliberale su cui si reggeva l’integrazione e l’Europa si espande nel campo sociale va in crisi l’insieme coerente di nessi che
reggevano l’integrazione, cfr. C. Joerges, Che cosa resta, cit., p. 35 ss.; C. Joerges, C. Roedl, Social market economy as European
Social Model? Istituto Universitario Europeo, Law Department, WP No. 8/2004. Pur riconoscendo la grandissima importanza delle
tesi di Joerges, mi pare invece, come suggerisco in queste pagine, ma v. se vuoi amplius S. Niccolai, I rapporti di genere nella
costruzione costituzionale europea, in Pol. del Dir., n. 4/2006 (in corso di stampa), che il disegno del Trattato originario di istituire una
nitida separazione tra economico e sociale fosse impossibile da perseguire e che ciò fosse dimostrato proprio dalla previsione sulla
parità di retribuzione, che era, consapevolmente o meno, assunzione del sociale e attraverso la quale l’Europa ha sempre governato la
società tramite l’economia, ciò che, mi pare, non viene abbastanza evidenziato dalle letture consolidate in base alle quali l’Europa solo
da un certo punto in poi si è occupata del sociale e dei diritti, e cioè da quando ha usato queste parole e questi obiettivi, dall’Atto Unico
in poi ma specialmente da Amsterdam. Queste visuali non aiutano a cogliere l’importanza costitutiva della interlocuzione che l’Europa
ha avuto con la società tramite il passante del lavoro femminile, il quale ha collocato le trasformazioni dei rapporti tra i sessi dentro i
rapporti economici come tali. Per queste letture cfr. riassuntivamente G. De Búrca, The Role of Equality in European Community Law,
in A. Dashwood, S. O’Leary (eds), The Principle of Equal Treatment in EC Law, Sweet&Maxwell, London, 1997, p. 13 ss.; B. De
Witte, The Trajectory of Fundamental Social Rights in the European Unione, in G. De Búrca, B. De Witte (eds), Social Rights in
Europe, OUP, Oxford, 2005, p. 153 ss. Sulla bridging function dell’art. 119 v. invece il fondamentale lavoro di C. Hoskyns,
Integrating Gender. Women, Law and Politics in the European Union, Verso, London, 1996. Per una comprensiva lettura delle teorie
ordoliberali nella costruzione simbolica della contemporaneità v. M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corsi al College de France
1978-1979, trad.it. Feltrinelli, Milano, spec. p. 124 ss.
17 C. Borderias, Femminilizzazione del lavoro e postfordismo: suggerimenti per un dibattivo, in Tre donne e due uomini, cit., p. 26.
«A metà degli anni Settanta… l’ingresso nel mercato del lavoro si tradusse per molte donne nell’indisponibilità ad accettare senza
6
si avverte che il comportamento delle donne disponibile a ricercare nel mercato e nel lavoro condizioni utili,
importanti, per non dire necessarie18 ha fatto sì che la proposta del mercato di farsi dimensione di senso
trovasse e trovi accoglimento, convalida e credibilità; la «femminilizzazione del lavoro» è guardata come uno
dei principali passanti su cui si fonda la «rivoluzione capitalistica» della nostra epoca, attraverso la quale il
mercato ha potuto dimostrare una propria capacità di ascoltare la società, prenderne movimenti e progettualità
e riferirli a sé e in tal modo farsi società19. Ciò è come dire che il fatto che non più solo uomini ma anche le
donne e le donne in massa sono effettivamente andate sul mercato, nei luoghi di lavoro, ha offerto una trama
interamente nuova su cui ridisegnare il rapporto tra istituzioni, economia e società: le tessere di una identità
costituzionale in trasformazione.
2.2. Costituzione e persuasione. La retorica Omc come fondazione di una Menschenbild diversa da quella
presupposta dal costituzionalismo novecentesco.
Il lavoro che il processo di integrazione comunitaria ha svolto sulle identità sessuate o di genere e che ha visto
l’Europa porsi come attore globale di interlocuzione con la presenza femminile nel mercato20, vuoi con le
direttive degli anni ’70 vuoi con la giurisprudenza della Corte di giustizia vuoi con gli action programmes
mostra in effetti soprattutto un fatto: che una certa visione di mercato implica una visione della persona e dei
nessi sociali che le stanno attorno.
Le evidenti, metonimiche ricadute costituzionali di questo percorso (ben sintetizzate in decisioni come
Commission vs France, 1988, Kalanke, 1996, Tania Kreil, 2000), si sono espresse su due direzioni principali,
tra loro connesse ed entrambe fondative. La prima, quella della invenzione, tramite la sottolineatura che sia
uomini che donne possono trovarsi reciprocamente in posizioni discriminatorie di vantaggio/svantaggio, di
una soggettività sessuata fungibile che viene posta alla base delle relazioni tra società, istituzioni e mercato al
posto di quell’universale maschile che forniva l’implicito riferimento della «normalità e della norma» ancora
delle esperienze costituzionali post-belliche; la seconda, quella che ha visto sempre più crescere il ruolo del
principio di non discriminazione/parità, una forma della relazione tra poteri e soggettività dove il parametro
di confronto e di misura è offerto dal contesto (concreto e parziale per definizione, il luogo di lavoro,
riconoscimenti tutto il carico del lavoro di riproduzione; molte scelsero, per esempio, di non avere figli rifiutando di accettare per sé
una destinazione decisa altrove. E, soprattutto, produssero già da allora un proprio modo di stare dentro al mercato del lavoro.
Cominciava così ad incrinarsi quel “patto sociale” che affidava alle donne gran parte del lavoro di riproduzione e su cui si fondava
l’intero sistema produttivo e sociale fordista. Un sistema, evidentemente, fatto a immagine e somiglianza dell’uomo ma realizzato solo
grazie all’”opera di civiltà” delle donne: ‘è il modello sociale della riproduzione domestica e familiare separata dalla produzione di
merci che consente alla società di fabbrica di estendersi e conservarsi”… La rottura di questo patto rappresenta… una delle cause che
hanno determinato la crisi (irreversibile) della società fordista. Quando le donne hanno cominciato a chiedere lavoro e non solo
reddito, quando hanno espresso la volontà di “portare al mercato” le proprie capacità, intelligenze e professionalità, quando insomma
la libertà femminile ha reso visibile un senso indipendente dello stare al mondo (e nel mondo del lavoro) da parte delle donne, lì il
patto si è rotto e la ‘crisi’ ha avuto inizio.» Così I. Vantaggiato, Quel che resta del tempo, in La rivoluzione inattesa, cit., pp. 43-44. La
frase citata da Vantaggiato è di Adele Pesce, Il valore del lavoro delle donne. L’esplicitarsi del conflitto tra i sessi dentro la società,
Quaderno n. 1, Reti, 1988, p. 12.
18 Perché sono le donne, più degli uomini, che ricercano nel lavoro una condizione di realizzazione della personalità, come analisi
sociologiche, pur di diverso orientamento, dimostrano, e tra le quali v. in particolare quella proposta da M.L. Pruna, Le opinioni sulle
pari opportunità, relazione al Convegno di Studi Nel segno dell’Empowerment femminile, donne e democrazia politica in Italia e nel
mondo, Cagliari, 7-9 novembre 2006, i cui Atti sono in corso di pubblicazione, a cura di C. Novelli, per i tipi di Jovene, Napoli.
19 Cfr. Tonia De Vita, Imprese d’amore e di denaro, Guerini&Associati, 2004, p. 44 ss. sul rapporto tra il decennio 1968-1978 e il
decennio 1985-1995: «Nel giro di qualche decennio si è ristabilito l’ordine. Come è potuto succedere in un tempo così breve? Grazie
all’ascolto e alla assimilazione da parte dei capitalisti delle istanze critiche che vengono seriamente considerate. Così il desiderio di
luoghi di lavoro non gerarchici, con maggior spazio per l’autonomia e la creatività, bisogno di vite cariche di senso, non alienate dalla
routine, aperte al cambiamento e con un’impostazione democratica diventano nel giro di pochi anni una nuova cultura di impresa,
innovativa tanto e forse più dei movimenti che l’hanno generata… La storia degli anni successivi al 1968 è una prova in più che le
relazioni tra l’economico e il sociale non si riducono al dominio del primo sul secondo, ma che al contrario il capitalismo si sente
tenuto a proporre forme di investimento compatibili con lo stato del mondo sociale in cui è inserito e con le aspirazioni dei suoi
membri che riescono ad esprimersi con maggior forza.»
20 C. Hoskyns, Integrating Gender, cit., p. 75.
7
l’azienda), a fianco e a discapito di un principio di uguaglianza davanti alla legge sempre meno predicabile in
un quadro di pluralizzazione degli ordini politici, giuridici e normativi e nel prevalere delle visioni
aziendalistiche dell’arte del governo. A questo, bisogna aggiungere che, a partire dalle movenze della
giurisprudenza sull’art. 119, ora 141, è stata la dimensione femminile sul lavoro a permettere alla Ue di
asserire una propria competenza sul sociale e sui diritti, per lo meno in modi ampiamente visibili sul piano
della pubblica opinione.
Questi cenni possono forse bastare a suggerire le implicazioni che hanno avuto, per il processo di
integrazione comunitaria come esperienza costituzionale, due fattori: l’avere disposto di un materiale
completamente nuovo e diverso da quello di cui su cui si erano costruite le categorie dello stato nazionale
novecentesco, il materiale fornito dall’accesso in massa delle donne nel lavoro; e l’aver potuto trattare quel
materiale a partire da una impostazione ereditata dalla tradizione novecentesca, e cioè in chiave di condizioni
di svantaggio da rimuovere e di trattamenti irragionevolmente differenziati da bandire, una impostazione che
al tempo stesso l’operare dell’integrazione progressivamente modificava. Grazie all’intreccio di questi due
fattori, il processo di integrazione si è costruito, nel suo svolgersi, una immagine della persona da individuare
come riferimento valoriale della propria azione; ha potuto dare a se stesso, col principio di non
discriminazione/parità, un criterio di legittimazione più adatto alla propria struttura e alle proprie finalità, ai
propri obiettivi, che pongono al centro l’economia di mercato; ha potuto progressivamente ampliare le basi
della propria competenza.
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