1 Il giudice delegato Decidendo sull’istanza ex art. 669 bis – 700 cpc promossa da ------, rappresentato e difeso dagli avv.ti----------, nei confronti dell’Agenzia delle Dogane rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato e dei chiamati in causa Ministero della salute (Usmaf), rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale di Bari e Ser.port., rappresentata e difesa dall’avv. -------; letti gli atti; a scioglimento della riserva in data 10.2.2014; PREMESSO Con ricorso promosso da -------i n data 5 febbraio 2013, il ricorrente, gravemente ammalato di una neoplasia maligna, esponeva che nel corso del dicembre 2011 decideva autonomamente di sottoporsi un ciclo di assunzione di un prodotto naturale omeopatico, noto come “Vidatox – 30 – CH”, disponibile presso la Pharmatrix SH con sede in Tirana. Tale prodotto veniva acquistato e portato in Italia dalla figlia, che a seguito di controllo doganale all'aeroporto di Bari, subiva un sequestro per il reato di cui all’art. 147 d.lgs. n. 219/2006. Detto sequestro veniva, tuttavia, posto nel nulla dal tribunale del riesame di Bari, in data 30 gennaio 2012, e l'indagine a carico della figlia del ----- veniva archiviata, alla luce della natura omeopatica e della obiettiva destinazione personale del prodotto. Successivamente, in data 12 gennaio 2013, il ricorrente richiedeva per la prosecuzione della cura di altre due confezioni di tale farmaco, e tuttavia, veniva informato dall'agenzia Stea& Stea incaricata dello sdoganamento, dell'impossibilità di effettuare la consegna del prodotto ordinato, perché bloccato alla dogana di Bari per presunta mancanza di autorizzazione ex art. 2 DM 11 febbraio 1997. Il ricorrente chiedeva, dunque, che fosse ordinata alla parte resistente Agenzia delle dogane l’immediata consegna del prodotto Vidatox commissionato dal ricorrente alla Pharmamatrix sh, e l’adozione di ogni misura idonea a consentire così il suo accesso alle cure e terapie per effetto della libera assunzione del prodotto, nonché l'imposizione, ai sensi dell’art. 614 bis cpc di una sanzione pecuniaria per eventuale ritardo nell'esecuzione dell'ordine di consegna. Si costituiva in giudizio la controparte Agenzia delle dogane, che chiedeva invece il rigetto del ricorso, assumendo che il richiedente non avesse esibito la prescritta dichiarazione doganale, di cui all’art. 56 DPR n. 43/1973, previo nulla osta dell'Ufficio di sanità marittima. Nel corso della procedura, atteso che il medicinale risultava non essere nella disponibilità dell'agenzia doganale, veniva autorizzata l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Usmaf e Ser.port. s.a.s. All'udienza del 10 febbraio 2014, il giudice si riservava la decisione. OSSERVA Preliminarmente, appare ammissibile il presente ricorso ex art. 700 cpc, in quanto, a tutela dei diritti fondamentali della persona come quello alla salute, mira ad assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie 2 ed eventualmente risarcitorie del ricorrente, il quale deduce di essere danneggiato dal comportamento dell'Agenzia delle dogane, che ha trattenuto e ha rifiutato la consegna al ricorrente del prodotto omeopatico Viadatox acquistato a proprie spese in Albania e importato in Italia (cfr. Cass. civ., sez. un. 28/12/2007 n. 27187). Dal ricorso introduttivo e dalla documentazione prodotta, si desume che la vicenda è stata preceduta, nel gennaio 2012, da analogo episodio, avendo il ricorrente acquistato presso la sede della Pharmamatrix di Tirana, per conto del ricorrente, quattro flaconi da 30 ml. ciascuno di Vidatox 30 CH. Al rientro in Italia, in data 5 gennaio, la figlia del medesimo, a seguito di controllo doganale all'aeroporto di Bari, subiva il sequestro ex art. 355 cpv. cpp di questa merce, per presunta violazione dell’art. 147 d. lgs. n. 219/2006, in assenza della prescritta autorizzazione all'immissione in commercio. La citata ordinanza di accoglimento del riesame avverso la convalida del sequestro, quanto al Vidatox, argomentava che trattasi estratto di veleno di scorpione, prodotto a Cuba dalla Labiofam, di cui la Pharmamatrix e distributore in Europa, con sede a Tirana. Aggiungeva, dunque, che in assenza di specifici sul punto, non è certo se tali sostanze possano essere annoverate tra i medicinali, alla luce dell'art. 1 n. 2 della direttiva CEE 2001/1983 (di cui il d.lgs. n. 219/2006 costituisce attuazione) che definisce come ‘medicinale’, in primo luogo, “ ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative profilattiche delle malattie umane”, e in secondo luogo, “ogni sostanza o composizione da somministrare all'uomo allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell'uomo è altresì considerata medicinale” (cfr. Corte di giustizia delle comunità europee 9 giugno 2005, cause riunite 211/2003, C. 299/2003, C 316/2003, C- 318/2003, che evidenzia la sussistenza della direttiva di una duplice accezione di medicinale, rispettivamente per “presentazione” e per “funzione”, a seconda che lo stesso appaia dotato di proprietà curative, ovvero sia funzionale al ripristino o alla modifica della funzionalità fisiologica umana). Il tribunale del riesame inoltre, al di là della dubbia qualificazione come medicinali di queste sostanze, argomentava soprattutto che i prodotti sequestrati risultavano prescritti dal medico albanese e distribuiti da un'azienda farmaceutica albanese, e destinati all'uso personale di un solo paziente, e non già alla commercializzazione. La vicenda ha avuto un ulteriore sviluppo, che ha condotto all'odierno ricorso, in quanto, in data 12 gennaio 2013, il ricorrente richiedeva per la prosecuzione del trattamento due confezioni di Viadatox 30CH alla Pharmamatrix, la quale, confermando l'ordine, indicava al ricorrente la documentazione necessaria per la spedizione dei prodotti. Il successivo 15 gennaio 2013, il prodotto ordinato veniva bloccato la dogana di Bari per “ mancanza di autorizzazione ex art. 2 DM 11 febbraio 2007”, assumendo la necessità di altra documentazione e, in particolare di nulla osta del Ministero della salute. Con riferimento alla nozione di “medicinale”, come si è detto, occorre fare riferimento, nell'ambito della legislazione nazionale, al d.lgs. n. 219/2006. Nell'art. 1, vi è una chiara distinzione tra la già configurata nozione di “ medicinale”, nella duplice accezione “ per presentazione” e “per funzione”, e quella di “ medicinale omeopatico” di cui alla lett. d), che recita: 3 “medicinale omeopatico: ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla farmacopea europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunita' europea; un medicinale omeopatico puo' contenere piu' sostanze”. Invero, la considerazione della minore pericolosità del farmaco omeopatico rispetto a quelli tradizionali, è insita nel fatto che per la immissione in commercio di tali prodotti, vige una disciplina speciale e semplificata, regolata dalle norme del titolo III, capo 2° del suddetto decreto. Ciò è legato alle caratteristiche peculiari di tali prodotti, quali il bassissimo tenore di principi attivi e la difficoltà di applicare loro la convenzionale metodologia statistica relativa alle prove cliniche, che impone l'adozione di una procedura semplificata di registrazione, ovvero in assenza di particolari indicazioni terapeutiche e di una forma farmaceutica e un dosaggio che non presentino alcun rischio per il paziente (cfr. sul punto, il considerando bella direttiva 92/73 CEE). In applicazione di tali principi, l’art. 16 del citato d. lgs n. 219/2006 recita: “Un medicinale omeopatico e' soggetto, ai fini dell'immissione in commercio, ad una procedura semplificata di registrazione, soltanto se il medicinale: a) e' destinato ad essere somministrato per via orale od esterna; b) non reca specifiche indicazioni terapeutiche sull'etichetta o tra le informazioni di qualunque tipo che si riferiscono al prodotto; c) ha un grado di diluizione tale da garantirne la sicurezza”. Va inoltre ricordato l’art. 5 d. lgs. n. 219/2006, ai sensi del quale: “Le disposizioni del titolo III (n.d.r.: autorizzazione all’immissione in commercio) non si applicano ai medicinali preparati industrialmente su richiesta, scritta e non sollecitata, del medico, a ciò ritenuto idoneo dalle norme in vigore, il quale si impegna ad utilizzare i suddetti medicinali su un determinato paziente proprio o della struttura in cui opera, sotto la sua diretta e personale responsabilità; a tale ipotesi si applicano, ai fini della prescrizione, le disposizioni previste per le preparazioni magistrali dall'articolo 5 del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94”. Quest'ultima legge, recante disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico, fu promulgata in relazione alla sperimentazione del cosiddetto multitrattamento Di Bella a base di somatostatina. La richiamata norma stabilisce: “Fatto salvo il disposto del comma 2, i medici possono prescrivere preparazioni magistrali esclusivamente a base di principi attivi descritti nelle farmacopee dei Paesi dell'Unione europea o contenuti in medicinali prodotti industrialmente di cui e' autorizzato il commercio in Italia o in altro Paese dell'Unione europea. La prescrizione di preparazioni magistrali per uso orale puo' includere principi attivi diversi da quelli previsti dal primo periodo del presente comma, qualora questi siano contenuti in prodotti non farmaceutici per uso orale, regolarmente in commercio nei Paesi dell'Unione europea; parimenti, la prescrizione di preparazioni magistrali per uso esterno puo' includere principi attivi diversi da quelli previsti dal primo periodo del presente comma, qualora questi siano contenuti in prodotti cosmetici regolarmente in commercio in detti Paesi. Sono fatti in 4 ogni caso salvi i divieti e le limitazioni stabiliti dal Ministero della sanita' per esigenze di tutela della salute pubblica”. Invero, la preminenza dell'interesse alla libera autodeterminazione rispetto all'assunzione di un farmaco omeopatico, sui requisiti particolarmente stringenti limitativi delle procedure autorizzazione all'immissione, si desume dalla giurisprudenza comunitaria in materia. Si segnala, con particolare riferimento ai medicinali ricavate piante vegetali, la sentenza della CEDU (Prima Sezione) del 5 marzo 2009 (Commissione delle Comunità europee contro Regno di Spagna), la quale dispone che per stabilire se un prodotto rientri nella definizione di medicinale per funzione ai sensi della direttiva 2001/83, come modificata dalla direttiva 2004/27, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, le autorità nazionali, che agiscono sotto il controllo del giudice, devono decidere caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto, tra le quali, in particolare, la sua composizione, le sue proprietà farmacologiche, immunologiche e/o metaboliche, quali identificabili allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, le sue modalità d’uso, l’ampiezza della sua diffusione, la conoscenza che ne hanno i consumatori e i rischi che possono derivare dalla sua utilizzazione. Tuttavia, il semplice fatto che una o più piante medicinali entrino nella composizione di un prodotto, non basta per concludere che quest’ultimo consente di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, o di stabilire una diagnosi medica, ai sensi dell’art. 1, punto 2, lett b), della direttiva 2001/83. Infatti, è possibile che, tenuto conto in particolare della scarsa quantità di principio attivo in esso contenuto e/o delle sue modalità di impiego, un prodotto a base di piante medicinali non abbia alcun effetto sulle funzioni fisiologiche ovvero produca effetti insufficienti per essere un medicinale per “funzione”. Pur se riferita alla diversa fattispecie dei rapporti fra Stati membri, va altresì menzionata riguardo ai medicinali omeopatici la sentenza della Corte giustizia Comunità europee, n. 212 del 26/05/2005 (Commissione contro Francia), secondo cui viene meno agli obblighi che ad esso incombono in forza dell’art. 28 CE uno Stato membro che applica una procedura di previa autorizzazione sproporzionata alle importazioni personali, non effettuate con trasporto personale, di medicinali regolarmente prescritti in tale Stato membro e non autorizzati in quest’ultimo, ma esclusivamente nello Stato membro in cui sono acquistati, ossia la stessa procedura di autorizzazione dei medicinali importati a fini commerciali. Appare interessante la considerazione svolta, nel caso appena citato, nella memoria della Commissione, nella parte in cui osserva che, nella disciplina dell'importazione eventuali ostacoli devono trovare la loro giustificazione nella tutela della salute e della vita delle persone, secondo un principio di proporzionalità, sicché per i farmaci omeopatici non deve essere esaminato l'effetto terapeutico del prodotto. Invero, la semplificazione dei controlli relativi all'immissione di tali prodotti trova la sua giustificazione nel fatto che, stante la loro natura omeopatica e l'estrema diluizione che li caratterizza, essi non comportano reali rischi per la salute umana, sicché l'assoggettamento dell'importazione personale di tali 5 medicinali a particolari limitazioni, contrasterebbe con il principio della libera circolazione delle merci nel mercato comunitario. Va poi menzionata la sentenza Corte giust. UE, sez. II, 12/05/2005, n. 444, Meta Fackler c. Rep. fed. Tedesca, a mente della quale, ai sensi degli art. 14 e 15, direttiva Parlamento e Cons. Ce 6 novembre 2001 n. 83, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, non è ammissibile una disposizione nazionale che, ai fini dell'immissione in commercio, escluda dalla procedura speciale semplificata di registrazione un farmaco composto di più sostanze omeopatiche note quando il suo uso come medicinale omeopatico non è di generale conoscenza, essendo garantita l'innocuità di un simile medicinale in particolare dal suo grado di diluizione. Quanto alla prova dell'effetto terapeutico, l'art. 14, n. 3, della citata direttiva stabilisce espressamente che non è richiesta per i medicinali omeopatici registrati in conformità del n. 1 dello stesso articolo. Se un regime di maggiore tolleranza e di semplificazione vige, in relazione all'immissione in commercio dei farmaci omeopatici nella comunità europea, a maggior ragione tale considerazione deve valere per la mera importazione di tali farmaci, per uso personale. Orbene, nel caso di specie, non è in contestazione la natura omeopatica del farmaco Vidatox C 30, che, oltre ad essere stato oggetto di risonanza mediatica e di polemiche in ordine alla sua efficacia terapeutica per patologie neoplasiche, è stato anche discusso in sede di audizione parlamentare davanti al Senato in data 12 giugno 2012. Dal resoconto degli esperti (prof.ssa M. Ziche il gruppo di lavoro “farmacologia oncologica”), emerge che si tratta di “un prodotto omeopatico, che si presenta in soluzione alcolica, ed è un derivato di origine naturale, estratto dal veleno di uno scorpione, che è endemico ed è presente soltanto a Cuba, il cui nome è Rophalurus junceus”. Le limitazioni terapeutiche relative a tale principio, lo definiscono come farmaco complementare del trattamento e della sintomatologia collegata al cancro, attraverso una di tipo analgesico, antinfiammatorio ed immunostimolante. La diluizione del principio attivo è nell'ordine di 1:10, e dunque si tratta di una concentrazione minima e chimicamente non apprezzabile. In particolare, se inizialmente il principio veniva somministrato in forma non omeopatica con il nome di Escozul, in tempi più recenti è stato fatto oggetto di diluizione e di derivazione, che ha portato alla realizzazione del prodotto omeopatico registrato a Cuba come Viadatox 30 CH. La preparazione, estremamente diluita del principio originario (“ una goccia in un grande volume”), ha dato luogo a un farmaco complementare, mirato ad una migliore tolleranza da parte del paziente dei sintomi della patologia legati al processo infiammatorio e alla tossicità delle sostanze chemioterapiche e radioterapiche, commercializzato e brevettato dalla compagnia cubana Labiofam. Recentemente, la compagnia ha dato una delega alla distribuzione del prodotto alla Pharma Matrix, con sede a Tirana in Albania. Tale prodotto è stato sperimentato al governo cubano, con elaborazione di un protocollo di somministrazione tramite gocce sublinguali, ed è stato oggetto un unico studio scientifico. Pertanto, non esistono ad oggi dati studi scientifici controllati su riviste accreditate. D'altra parte, non sono stati mai riferiti effetti tossici del prodotto, né come Escozul, né tanto meno come Viadatox. 6 Orbene, pur se il prodotto in esame è stato oggetto di registrazione in un paese extracomunitario, si ritiene che possano applicarsi anche in tal caso i principi affermati dalla CEDU sulla base delle direttive di settore, tenuto conto della natura omeopatica dello stesso, basato su una diluizione del principio attivo che lo rende chimicamente non apprezzabile. Dunque, pur se non ne è stata scientificamente provata l'efficacia terapeutica, certamente esso non è produttivo di danni per la salute umana. Neppure viene proposto e utilizzato in alternativa rispetto ai trattamenti chemioterapici e radioterapici, bensì come farmaco complementare, funzionale alla riduzione degli effetti collaterali delle malattie tumorali. Non vi è dubbio, peraltro, che nel caso di specie, non viene in considerazione un'attività di messa in commercio di tale prodotto, che dev'essere preceduta da tutte le procedure di registrazione di autorizzazione necessarie a garantire la salute pubblica, essendo incontestabile la sua destinazione ad una sola persona, ovvero al ricorrente. In generale, con riferimento all'importazione di medicinali ad uso personale in ambito comunitario, si applica il trentesimo “considerando” della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, che così recita: “Chiunque si sposti all'interno della comunità, ha il diritto di recare seco per il proprio uso personale una quantità ragionevole di medicinali lecitamente acquisiti”. Non vi è, dunque, ragione per ritenere che tale principio non si applichi anche in relazione all'importazione di medicinali da un paese extracomunitario, tenuto conto che agli atti vi è una prescrizione del prodotto, registrato a Cuba e distribuito in Europa dalla sola azienda albanese, a firma di un medico albanese, con l'indicazione delle modalità di assunzione dello stesso. Tale considerazione è alla base dell'esibito provvedimento del tribunale del riesame, che ha concluso per l'insussistenza del reato di cui all’art. 147 d.lgs n. 219/2006. Conclude sul punto il provvedimento del riesame: “ Alla luce di queste considerazioni, la condotta della ricorrente, che ha acquistato il prodotto in uno stato in cui lo stesso legalmente distribuito e lo ha introdotto nel territorio italiano al solo scopo di farlo assumere dal padre, paziente oncologico come documentato in atti, non integra la gravità indiziaria in relazione al reato contestato, di importazione senza autorizzazione, che presuppone l'ulteriore diffusione nel territorio dello Stato”. Nell'odierna memoria di costituzione, l'Avvocatura dello Stato per l'Agenzia delle dogane, chiedeva il rigetto del ricorso, opponendo che invece la mancata restituzione del farmaco si fondava sulla mancanza della dichiarazione doganale, prevista dall’art. 56 - 57 dpr n. 43/1973, che rinvia all’art. 64 del regolamento CEE n. 2913/1992. Tale dichiarazione, ai sensi dell’art. 55, è finalizzata alla destinazione doganale della merce. In definitiva, l'Agenzia delle dogane lamenta la il mancato adempimento delle formalità doganali prescritte dalla legge. Nel caso di specie, peraltro, viene più specificamente in considerazione l’art. 2 del decreto 11 febbraio 1997, contenuto è stato recepito nel citato art. 5 legge n. 94/1998, relativo alle “modalità d'importazione di specialità medicinali registrati all'estero”, che così recita: 7 1. Qualora il medico curante ritenga opportuno sottoporre un proprio paziente al trattamento terapeutico con un medicinale, regolarmente autorizzato in un Paese estero ma non autorizzato all'immissione in commercio in Italia, è tenuto ad inviare al Ministero della sanità - Ufficio di sanità marittima, aerea, di confine e di dogana interna, nonchè al corrispondente ufficio doganale, ove sono espletate le formalità di importazione, la seguente documentazione ai fini dell'importazione in Italia del medicinale medesimo: a) nome del medicinale, sua forma farmaceutica; b) ditta estera produttrice; c) titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio; d) dichiarazione che il medicinale in questione è regolarmente autorizzato nel Paese di provenienza; e) quantitativo di cui si chiede l'importazione nel territorio nazionale, con la precisazione che lo stesso corrisponde a un trattamento terapeutico non superiore a trenta giorni; f) indicazione delle generalità del relativo paziente; g) esigenze particolari che giustificano il ricorso al medicinale non autorizzato, in mancanza di valida alternativa terapeutica; h) consenso informato del paziente a essere sottoposto a tale terapia; i) dichiarazione di utilizzazione del medicinale sotto la propria diretta responsabilità; Il successivo art. 3, in ordine all'importazione di medicinali da paesi extracomunitari, recita: “La dogana ove sono espletate le formalità di importazione, acquisito il parere favorevole del Ministero della sanità - Ufficio di Sanità marittima, aerea, di confine e di dogana interna, consente l'importazione nel territorio nazionale del quantitativo del medicinale di cui all'art.2, proveniente da Paese non appartenente all'Unione europea”. Invero, dette disposizioni vanno lette in combinato disposto con l’art. 1 del d.lgs. n. 219/2006, che distingue la sopra riferita nozione di “medicinale”, da quella di “medicinale omeopatico”, applicando solo alla prima categoria la procedura di autorizzazione all'importazione prevista nel titolo III, capo I e prevedendo per i medicinali omeopatici la sola procedura semplificata registrazione. Nel merito, deve ritenersi, comunque, che il ricorrente abbia sufficientemente ottemperato alle formalità previste dalla legge per l'importazione del prodotto. Oltre alla suindicata prescrizione medica relativa al farmaco e al mandato speciale per importazione dall'Albania del medicinale, per uso dichiaratamente personale, è stato anche compilato e presentato un modulo intitolato “importazione alimenti ad uso personale”, in cui il richiedente ha descritto la tipologia del farmaco, il quantitativo, il paese di origine e le modalità di consumo. Quanto alla deduzione formulata dall'Agenzia delle dogane, per cui ai fini dell'esito doganale della merce, occorre un nullaosta all'importazione dell'ufficio di sanità marittima nella specie mancante, vale quanto dedotto dall'interventore Ministero della salute, che ha precisato che l'importazione di alimenti di origine vegetale per uso personale non prevede il rilascio di alcun nulla osta da parte del Ministero della salute. Specificamente, in caso di importazione per uso personale di specialità medicinali prive di autorizzazione alla libera immissione in commercio nel territorio nazionale, ma commercializzati all'estero, le modalità di importazione sono disciplinate dal richiamato DM 11 febbraio 1997, che prevede la presentazione di un'istanza redatta dal medico che ha prescritto l'assunzione del farmaco e, ove l'importazione venga effettuata direttamente dal passeggero che 8 trasporta il farmaco nei bagagli al seguito, è sufficiente la certificazione anche di un medico straniero. In conclusione, deve ritenersi che il prodotto in questione non sia qualificabile come “medicinale” nell’accezione del d.lgs. 219/2006, e che in ogni caso il ricorrente ha ottemperato sufficientemente alle formalità necessarie per l'importazione del predetto farmaco omeopatico per uso personale. Appare dunque integrato il requisito del fumus boni iuris a sostegno del ricorso. La sussistenza del periculum in mora, si desume dalla natura stessa dei diritti personalissimi e di rilevanza costituzionale che sono in gioco. Il ricorrente ha correttamente invocato il diritto alla salute, che è strettamente connesso al diritto all'autodeterminazione terapeutica del paziente. Esso comprende, oltre alla libertà di rifiutare le cure offerte dai protocolli vigenti, anche il diritto a far ricorso a terapie non convenzionali. Detto diritto è stato peraltro esercitato nel caso di specie, ad esclusive spese del paziente e con l'utilizzazione di un farmaco relativamente al quale, pur non essendo provata l'efficacia terapeutica, non vi è alcun pericolo di effetti dannosi, stante l'estrema diluizione. Proprio l'accezione dinamica e ampia del diritto costituzionale alla salute di cui all’art. 32 Cost., non consente di valutare il periculum in relazione alla comprovata efficacia curativa del prodotto che, nel caso di specie, viene sottratto alla disponibilità del paziente. Il bene salute è un “valore primario” dell’ordinamento costituzionale, che comprende un fascio di situazioni soggettive, strutturalmente riconducibili tanto allo schema della libertà negativa (libertà da: come nel caso dei c.d. trattamenti sanitari obbligatori),quanto a quello della libertà positiva (libertà di: come nel caso della libertà di cura). Uno dei valori connessi al diritto alla salute è la libertà nella scelta della cura, che si pose al vaglio della Corte costituzionale nella la famosa sentenza sul c.d. multitrattamento Di Bella, che il legislatore aveva ritenuto di somministrare gratuitamente, in via d’urgenza e per finalità di sperimentazione, solo ad alcuni malati terminali. La Corte intervenne con una sentenza additiva con un’additiva parziale e condizionata, riscontrando nella disciplina una violazione degli artt. 3 e32 della Costituzione, non potendo ammettersi, in forza del principio di uguaglianza, che il concreto godimento di tale diritto fondamentale dipenda, per i soggetti interessati, dalle diverse condizioni economiche. La sentenza limita gli effetti della declaratoria di incostituzionalità quanto all’oggetto, ai soggetti e ai tempi della sperimentazione, proprio al fine di escludere che dal riconoscimento della garanzia del contenuto minimo del diritto alla salute potesse derivare automaticamente un’assoluta libertà di cura, gravando i relativi oneri economici sulle finanze dello Stato (Corte cost. 27 luglio 2003 n. 273). Nel caso di specie, come si è detto, tale problema non si pone, atteso che il paziente ha acquistato il farmaco all'estero, a sue esclusive spese, sicché il diritto alla scelta della cura trova la massima espansione. Invero, la salute e il benessere psicofisico del paziente, affetto nel caso di specie da grave neoplasia, non si riduce a meri effetti biochimici valutabili secondo i principi alla base della sperimentazione scientifica tradizionale, ma involge anche profili psichici ed etici attinenti alla libera esplicazione della personalità del soggetto, con riferimento alla possibilità di scegliere rimedi diversi da quelli tradizionali, che possano alimentare un atteggiamento di fiducia e alleviare dunque le sue sofferenze psicofisiche. Nel caso di specie, peraltro, non vi è alcuna indicazione in senso contrario, atteso che il farmaco è chimicamente privo di 9 principio attivo e la sua efficacia terapeutica deriva, secondo la teorica della omeopatia di Hahnemann, dal "principio di similitudine del farmaco" (similia similibus curantur), secondo il quale il rimedio appropriato per una determinata malattia sarebbe dato da quella sostanza che, in una persona sana, induce sintomi simili a quelli osservati nella persona malata. Tale sostanza, detta anche "principio omeopatico", una volta individuata viene somministrata al malato in una quantità fortemente diluita; le dosi da utilizzarsi devono infatti essere il minimo indispensabile a produrre una indicazione percettibile dell'azione del rimedio, in modo da minimizzare o annullare gli effetti avversi. Al di là delle polemiche, anche nelle riviste specializzate, sull'efficacia curativa di questo medico e sul suo carattere para – scientifico, trattasi comunque di un metodo ampiamente utilizzato, i cui prodotti sono oggetto di disciplina e di considerazione da parte della normativa comunitaria e interna testé esaminata. Si ritiene, pertanto, che la privazione della possibilità per il paziente di utilizzare questo rimedio oggetto della sua fiducia, oltre che del suo impegno economico, personale e familiare per procurarselo da un paese extracomunitario, sia certamente lesiva del suo diritto alla salute.. È appena il caso di precisare che l'urgenza provvedere si desume in rapporto alla estrema gravità della patologia che affligge l'istante e quindi dallo stato di necessità terapeutica dell'ammalato in pericolo di vita; in considerazione di tanto, non può dubitarsi che in mancanza di una tutela d'urgenza il diritto dell'istante sia suscettibile di un pregiudizio grave, imminente e non risarcibile per equivalente. Del resto in questo senso si sono pronunziati altri giudici di merito secondo i quali " il diritto alla salute è in altri termini non soltanto il diritto a poter curare il proprio male ma anche il diritto a ridurre al minimo, ovvero a non dover subire necessariamente, gli effetti collaterali anche di semplice mantenimento, e di poter scegliere il quadro terapeutico che assicura il minor danno emergente per l'equilibrio psico-fisico e biologico dell'ammalato", con il chiarimento che "la norma costituzionale sul diritto alla salute non può non essere letta in armonia con altri principi costituzionali che tutelano l'individuo quali l'obbligo di tutelare la dignità della persona e adempiere ai doveri di solidarietà " (cfr. Trib. Bari, sez. lav., 14 febbraio 2012). Nel caso di specie, va anche valorizzato il profilo della salute psichica del paziente, il quale si vede ingiustamente privato della possibilità di utilizzare un farmaco, che il medesimo si è procurato all'estero, attraverso un viaggio della figlia a Tirana, dove ha sede l'unica azienda autorizzata a diffondere il prodotto in Europa, e affrontando anche un considerevole esborso economico. Pur se, allo stato, non vi è alcuna certezza sull'efficacia terapeutica del metodo omeopatico, è comunque generalmente attribuita una valenza positiva sul benessere psicofisico della persona al cosiddetto effetto placebo, che indica la misura di tutti quei cambiamenti benefici, sia fisici che psicologici, che avvengono nelle persone, causati delle loro aspettative consce o inconsce di guarigione, a prescindere dall'intervento di farmaci o procedure terapeutiche attive. Alla luce di quanto argomentato, va dunque ordinata la restituzione in favore del ricorrente l'immediata consegna dei prodotti acquistati presso la Pharmamatrix SH e che attualmente sono in custodia presso il depositario Ser. Port. sas, e vanno inibite all'Agenzia delle dogane ulteriori condotte volte a impedire l'importazione del medesimo farmaco 10 omeopatico in favore del ricorrente, previa allegazione di una certificazione medica e di una dichiarazione che espliciti le caratteristiche del prodotto. Non si ritiene invece di accogliere l'ulteriore domanda formulata dal ricorrente ex art. 614 bis cpc, attesa la delicatezza della questione sottesa, rispetto alla quale non è dato ravvisare alcun comportamento sanzionabile a carico dell'agenzia delle entrate. Per la medesima ragione, in considerazione della peculiarità della questione che coinvolge argomenti sensibili come il diritto alla salute, sussistono ai sensi dell'art. 92 cpc eccezionali ragioni per compensare integralmente le spese tra le parti. PQM Visto l’art. 700 cpc, ordina all’Agenzia delle dogane e al custode Ser.port. sas l’immediata restituzione al ricorrente dei quattro flaconi di Vidatox 30 CH per conto del medesimo importati dall’Albania, secondo le modalità che verranno concordate tra e parti; inibisce all’Agenzia delle Dogane di impedire ulteriori importazioni del medesimo farmaco per conto dello stesso ricorrente, con le modalità esplicitate in motivazione; rigetta ogni altra richiesta. Compensa integralmente le spese tra le parti. Bari, Il giudice Valeria Montaruli