Dojo Mokusho – Torino Mattinata di zazen – domenica 22 settembre

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Dojo Mokusho – Torino
Mattinata di zazen – domenica 22 settembre 2013
Kusen di Ezio Tenryu Zanin
Zazen h 8.30
Il kyosaku va dato senza fare differenze, va dato bene e in modo energico anche alle
donne.
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All’inizio di ogni Zazen, per favore, stiamo molto attenti ad assumere una buona
postura. Buona vuole dire stabile, la migliore possibile, in modo da non doversi
muovere durante Zazen; non dimenticare i gesti, fare effettivamente i gesti che ci
accompagnano nella posizione di Zazen. Sedersi bene sulla parte centro-anteriore
del cuscino in modo da non scivolare, oscillare bene a destra e a sinistra cinque-sei
volte, con i pollici chiusi all’interno delle dita, i palmi rivolti verso l’alto, fermarsi
bene in verticale, respirare profondamente, rilassare le tensioni, fare gasho. Le dita
della mano sinistra sovrapposte alle dita della mano destra, pollici orizzontali,
rivolgere lo sguardo tranquillamente davanti a sé con le palpebre socchiuse. A quel
punto lasciarsi guidare da Zazen e non seguire i propri pensieri.
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Nella Via dello zen si insegna sempre – qui ed ora – e questo è molto importante,
qui in questo dojo, il luogo dove siamo venuti a praticare la Via insieme. Qui –
significa il nostro corpo in Zazen, la nostra postura, il luogo in cui si esiste
totalmente sullo zafu, concentrati sulla postura; - qui- dove non ci manca nulla, il
corpo ritrova la sua condizione normale, la postura giusta che influenza
completamente la condizione mentale; questo “qui” questo luogo del nostro corpo
completamente in armonia collegato con il cosmo intero ne riceve l’energia senza
alcuna separazione fra sé e gli altri esseri. Adesso è il tempo in cui pratichiamo
Zazen e a poco a poco diventa il nostro modo di vivere, naturale, senza ansia, senza
accanimenti .
Un mese fa una persona mi ha chiesto di parlare dei precetti e dunque sono
l’argomento di questa mattinata di Zazen.
I precetti KAI, JO la concentrazione, E la saggezza, questi tre elementi sono
l’essenza stessa della pratica della Via del Buddha, sono inclusi in Zazen. Non si
pratica Zazen allo scopo di realizzarli, Zazen non ha nessuno scopo di per sé perché
la pratica stessa di Zazen è la realizzazione dei precetti. Il senso dei precetti è
quello di evitare l’errore, smettere di compiere il male, cioè non creare sofferenza
agli altri, agli altri esseri e a sé stessi.
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Dojo Mokusho – Torino
Mattinata del 22.9.2013
In Zazen impariamo a vivere con tutto il corpo in una condizione di non dualità,
lasciamo da parte tutte le altre attività, le preoccupazioni … la persona che fa Zazen
non si occupa né del buddismo né del mondo, senza negare, senza afferrare, senza
né bene né male.
Che cosa c’è da evitare o da afferrare? La vita è così com’è. I precetti sono senza
forma, fondati sullo spirito e corpo; spirito e corpo non sono separati in Zazen,
nella vita quotidiana lo sono spesso: il corpo è qui, la mente naviga lontano … si
perdono un sacco di cose e la vita passa come un sogno.
Il primo precetto è non uccidere nessuna forma vivente. Non uccidere vuol anche
dire che nessuna vita può essere recise se si pratica veramente Zazen nessun male
può essere commesso. Continuare la propria vita, realizzare la nostra vera natura è
praticare Zazen nel dojo e anche nella vita quotidiana; è la vita di un Buddha, la
stessa che insegna Shakyamuni indicando il Dharma. Non uccidere il Buddha,
significa dare vita a questa natura di Buddha che esiste dentro di noi e significa
realizzare la più alta dimensione della vita umana.
Il M°. Nangaku aveva detto una volta: “la vostra pratica di Zazen significa uccidere il
Buddha!” non vuol dire uccidere qualcuno ma superare ogni differenza tra il
Buddha e noi; in pratica non essere “separati in casa”, da qui sorgono la saggezza e
la compassione, ed è la vera pratica di Zazen, mushotoku, senza oggetto, non più
vittime dei tre veleni: avidità, collera, ignoranza.
Essere in unità con tutti gli esseri, senza accanirsi con i propri desideri egoisti che
creano sofferenza. Essere solidali con tutti gli esseri è il senso di questo precetto:
non uccidere! Perché se si è solidali, e questo lo percepiamo anche in questo
momento qui, c’è la benevolenza e non possiamo fare del male o uccidere, perché è
come uccidere sé stessi e la Via del Buddha è rispettare tutte le forme di vita.
Il secondo precetto non rubare, non è complicato: lo spirito e le cose sono una
sola cosa, tutte le esistenze sono una, è una delle grandi porte del satori; se
comprendiamo che nessuna esistenza ci può appartenere, che non è nostra ma
appartiene all’universo intero, allora non possiamo più rubare, se si impara l’arte e
lo spirito dolce del donare; donare è il contrario di ottenere e nel caso peggiore,
rubare, è impossibile.
In Zazen le nostre mani sono aperte ma è la nostra mente, il nostro spirito che non
deve stringere niente nelle sue mani.
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Zazen h 10.30
La Via del Buddha ci indica il modo con il quale possiamo facilmente rispettare tutti gli
esseri e tutte le forme di vita, e se comprendiamo il principio di questo precetto
attraverso la postura di Zazen, ogni crimine, ogni forma di astio, di odio, diventa
impossibile.
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Mattinata del 22.9.2013
Ed è veramente sviluppare lo spirito di Compassione, non per seguire un precetto ma
come un’autentica realizzazione, una liberazione come un frutto naturale della pratica.
Volere male a qualcuno e poi fare del male, non ci rende né liberi, né felici. Sono molti i
governi che diffondono intenzionalmente idee e mezzi per fare del male a scopo di
profitto. Molto difficile liberarsi dall’avidità, dalla collera e dall’ignoranza senza una
pratica profonda, sincera.
E nessuna pratica può avere come frutto il Risveglio, la Saggezza e la Compassione,
attraverso il potere e il denaro.
Gli altri due precetti che seguono sono: “non desiderare avidamente” e poi “non
mentire, non dire falsità”.
Il Maestro Keizan dice: “Colui che agisce, colui che riceve e l’azione stessa, sono
completamente puri, non ci sono desideri ed è la stessa azione del Buddha”.
Nello Zen non si insegna che bisogna eliminare o recidere i desideri, non si dice che
sono cattivi. I desideri sono una forma di energia che può essere rivolta al bene.
E’ necessario osservare come si formano i desideri e controllarli, non lasciarsi
travolgere, in modo che non ci facciano uscire poi dalla pratica di Zazen. E’
continuando Zazen che l’energia mantiene la sua purezza. E’ possibile, anche se non
tutti riescono ad arrivare all’estinzione naturale del desiderio in questa vita, per lo meno
ad avere un amore meno egoista.
Se l’oggetto dei nostri desideri è limitato al proprio ego, tutta la vita diventa limitata. Si
possono usare persino i desideri per coprire dei malesseri più profondi, ma questo
atteggiamento non è liberazione. Il nostro desiderio più profondo, in realtà, è illimitato.
Se ascoltiamo la voce segreta, intima, di Zazen lo scopriamo e possiamo realizzarlo, ma
se non scopriamo quale è il vero oggetto profondo della nostra vita continueremo ad
inseguire, a correre dietro ad altre cose.
Zazen ci invita ad allontanarci da questa agitazione e sederci tranquillamente per
realizzare il più alto oggetto della nostra vita, al di là di tutti gli oggetti concreti.
Realizzando questo si può essere completamente felici, se no si continua a soffrire, a
vagare eternamente. Quando appaiono dei desideri possiamo canalizzarli in una buona
direzione, non c’è bisogno di sopprimere nulla.
In quanto al precetto di “non dire cose false”, è un precetto che, se approfondito e
praticato porta alla verità della propria esistenza, proprio come Zazen, permette di non
mentire a sé stessi, permette di esporre il vero Dharma in silenzio.
Non mentire significa mostrare la pratica giusta, osservare noi stessi senza cercare di
decorarsi o farsi illusioni.
Nel momento in cui vediamo chiaro in noi stessi Zazen diventa una confessione che non
ha bisogno di essere esposta a nessun altro ed è la luce di Zazen che permette di vedere
chiaro l’attività, spesso sottile, subdola, del nostro ego che reclama sempre i suoi diritti,
e se cessiamo di alimentarlo allora non sarà più possibile mentire né a sé né agli altri.
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Infine, la pratica di Zazen è al di là, sia della verità che dell’illusione.
Il precetto successivo, il quinto: “non intossicarsi”, “non vendere il vino
dell’illusione”. Il Maestro Keizan non dice mica che non bisogna bere, dice: “non
vendere il vino dell’illusione”, e poi aggiunge, “non c’è niente su cui farsi illusioni.
Se siete senza illusioni le vedete come vuote, avete il Satori, bisogno di niente, anzi non
abbiamo più bisogno neanche del Satori... è la condizione perfetta di Zazen.
Vediamo che i precetti visti con un occhio autentico sono al di là della morale corrente,
ordinaria. E’il vero spirito di Zazen, tornare alle condizioni normali di corpo e mente,
non intossicarsi lo spirito con le estasi, le cose straordinarie, ricerche inutili, e non
intossicarsi neanche di sé stessi con l’egoismo o con una religione sbagliata.
"Essere intossicati da una religione” diceva Keizan, “significa non potersi risvegliare
alla vita, diventa un’intossicazione eterna”. Non intossicarsi vuol dire praticare
semplicemente Shikantaza, semplicemente la postura completamente seduta, essere
insieme nel dojo, in sesshin e vivere la vita quotidiana alla luce naturale dei precetti
senza usare i precetti per scopi inadeguati, per sé stessi, per sembrare più buoni,
migliori...
Se usiamo i precetti in questo senso è come mentire di nuovo a sé e agli altri.
Anche quando capita di infrangere dei precetti bisogna esserne consapevoli, ma non è
una colpa, sono degli errori, ma sono errori che impediscono il Risveglio.
I precetti sono una guida e Zazen li racchiude tutti.
Quando andiamo in autostrada a 150 all’ora e vediamo il cartello del limite di velocità,
allora il precetto è come il cartello che ci dice di rallentare.
In definitiva, poiché non sono dei comandamenti ma qualcosa di più profondo, se
impariamo a vivere con lo spirito di Bodaishin di Zazen, non abbiamo bisogno dei
precetti.
Zazen h 13.30
In origine, i precetti dello Zen sono stati creati semplicemente per proteggere Zazen, per
creare l’atmosfera armoniosa nel Sangha, per evitare che certi comportamenti, o anche il
comportamento di una sola persona, potesse disturbare la propria pratica e quella degli
altri. Ma profondamente, questo insegnamento dei precetti non è altro che l’espressione
dello Zazen. Anche se ogni precetto comincia con “non” (non fare …), in realtà non è
per proibire alcunché. Significa comprendere che a partire dallo spirito di Zazen non si
può commettere alcun male se quello spirito dirige la nostra vita quotidiana. Tutto ciò
che possiamo fare è fare del posto dentro di noi a questo spirito. Facciamo spazio al
Dharma.
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I precetti nello zen non sono del formalismo. Non è cercare di conformarsi a un modello
morale. Piuttosto è realizzare profondamente i veri valori dell’esistenza a partire dalla
pratica e armonizzare il proprio comportamento e la propria vita con lo spirito di Zazen.
I precetti vengono trasmessi dal maestro con il quale si pratica, al quale si chiede
l’ordinazione, e dal momento dell’ordinazione inizia la nostra pratica più profonda. È
infatti dall’ordinazione che si considera l’anzianità di pratica. Se qualcuno trasgredisce
gravemente i precetti, può anche chiedere la ripetizione della trasmissione dei precetti. E
poi vengono trasmessi ancora all’atto della trasmissione del Dharma, Shihō.
I cinque ultimi precetti, anche se relativamente meno importanti dei primi cinque, sono
comunque assai difficili da rispettare.
Il sesto precetto dice: “Non parlare male degli altri o contro gli altri”. In molti Sangha
- ma questo succedeva anche all’epoca di Shakyamuni - certa gente non può fare a
meno di criticare o parlar male di qualcuno.
A proposito di questo precetto, Keizan diceva: «L’insegnamento del Buddha è che tutti
gli esseri sono identici». La legge stessa, il risveglio stesso e lo stesso comportamento.
Nel dojo infatti siamo attenti a vivere seguendo le stesse regole. Non bisogna permettere
che si parli male o a sproposito dei difetti o degli errori degli altri e non permettere
nemmeno che ci siano degli errori a proposito dell'insegnamento del Buddha.
Il vero praticante di Zazen, che sia principiante o anziano, si concentra sui propri errori
per non ripeterli, per evitarli. È molto meglio che stare a criticare gli errori degli altri.
Dogen dice che verità, Dharma e tutti gli esseri sono identici, ma non è mica tanto
evidente che sia così. Praticando, tuttavia, proprio nella continuità della lunga pratica, lo
si realizza proprio quando riusciamo a dimenticare lo spirito di discriminazione,
sottolineare le differenze, giudizi.
L’insegnamento del sesto precetto equivale al primo verso dello Shin jin mei:
«Praticare la Via non è difficile ma non deve esserci né amore né odio, né scelta né
rifiuto». Non è difficile, ma nemmeno tanto facile. È facile da capire, ma ci vuole del
tempo per realizzare questo precetto. È il vero koan della nostra vita, l’essenza stessa
dello spirito di Zazen.
Il settimo precetto, “Non essere orgogliosi, non essere fieri di sé per abbassare gli
altri”, è più o meno il seguito del sesto precetto. Questa realizzazione nella quale non
c’è differenza tra sé e gli altri esseri dev’essere viva, attiva nella vita quotidiana. Non
serve a niente pensare, come si ripete continuamente, che Zazen ci mette in unione con
tutto l’universo se poi, usciti dal dojo, si dice: «Solo io pratico bene, gli altri non
capiscono niente». Sembra ridicolo ma purtroppo si verifica spesso.
L’ottavo precetto è “Non essere avari". Soprattutto non essere avari nell’offrire il
Dharma, nel dare. Il vero dono è l’apertura dello spirito. Dare oggetti o denaro è più
facile, non ci coinvolge veramente. Molti restano chiusi nel proprio spirito anche se
hanno uno spirito generoso perché hanno paura del cambiamento. Lasciarsi coinvolgere
dalla generosità, dal dono a livello di cambiamento fa stare bene.
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Dare il proprio tempo allo Zazen, alle persone, al dojo, alle sesshin. Non c’è niente che
ci impedisce questa generosità.Si ha paura in fondo di esporsi ma non c’è niente di cui
essere avari. Una frase, una parola, un gesto, un dharma, un satori, fili d'erba, ogni
Buddha. Ognuna di queste cose esiste nell'esserci senza difese, nessuna di queste cose
esiste per sé, da sola. Questo precetto ci apre la porta di come seguire l'ordine cosmico.
Il Maestro Deshimaru una volta aveva detto ai discepoli intimi: «Va bene mostrare la
postura di Zazen anche in un sex shop!», cioè non conservare la pratica solo per sé
stessi… Anche le quote che possiamo versare per mantenere la pratica comune al dojo è
non essere avari, non essere solo per sé. Un grande fusé.
Il nono kai (precetto): “Non arrabbiarsi, non incollerirsi”. “Bisogna soltanto, talvolta,
mettere in piedi il teatro della collera” – diceva il Maestro Deshimaru – “per aiutare un
discepolo a progredire nella Via, ad abbandonare un attaccamento pericoloso”.
Arrabbiarsi momentaneamente è necessario per risvegliare qualcuno a non ripetere lo
stesso errore, indicare la giusta direzione.
Il decimo precetto, "Non calunniare i tre tesori", cioè non criticare malamente, non
calunniare il Buddha, il Dharma e il Sangha. Se non ci piace, a tutti è permesso di
andarsene. Keizan ancora ci insegna: «Praticare individualmente senza imitare gli altri
è diventare un esempio per il mondo. Allora il merito di questa pratica è la fonte di ogni
saggezza».
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