etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 KANT HEGEL etica nel contesto “idealistico” trascendentale e assoluto Kant – tesi per un’etica autonoma (1724 – 1804) 1. il contesto etico dell’Illuminismo 1.1. “sapere aude”, la valenza etica del sapere: L’illuminismo è l’età in cui l’uomo accetta il rischio del pensiero; «il coraggio di far uso del proprio intelletto». «L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’illuminismo.» (Kant 1784 Che cos’è l’Illuminismo) 1.2. non età illuminata ma età illuministica (il carattere infinito del sapere) «Se ora si domanda: — Viviamo noi attualmente in una età illuminata? — dobbiamo rispondere: — No, bensì in un’età di illuminismo—. Come stanno ora le cose, la condizione in base alla quale gli uomini presi in massa siano già in grado, o anche solo possano esser posti in grado di valersi sicuramente e bene del loro proprio intelletto nelle cose della religione, senza la guida di altri, è ancora molto lontana. Ma abbiamo evidenti segni che essi abbiano aperto il campo per lavorare a emanciparsi da tale stato e che gli ostacoli alla diffusione del generale illuminismo o all’uscita da una minorità a loro stessi imputabile diminuiscano a poco a poco» (ivi) 1.3. la ricerca critica dei fondamenti è la definizione delle possibilità e dei limiti (la colomba leggera o lieve) «La matematica ci dà uno splendido esempio di quanto possiamo spingerci innanzi nella conoscenza a priori, indipendentemente dall'esperienza. È vero che essa ha che fare con oggetti e conoscenze solo in quanto si possono presentare nell'intuizione: ma questa circostanza vien facilmente trascurata, perché l'intuizione stessa può essere data a priori, e perciò difficilmente si può distinguere da un concetto puro. Eccitato da una siffatta prova del potere della ragione, l'impulso a spaziare più largamente non vede più confini. La colomba leggiera, mentre nel libero volo fende l'aria di cui sente la resistenza, potrebbe immaginare che le riuscirebbe assai meglio volare nello spazio vuoto di aria. Ed appunto così Platone abbandonò il mondo sensibile, poiché esso pone troppo angusti limiti all'intelletto; e si lanciò sulle ali delle idee al di là di esso, nello spazio vuoto dell'intelletto puro. Egli non si accorse che non guadagnava strada, malgrado i suoi sforzi; giacché non aveva, per così dire, nessun appoggio, sul quale potesse sostenersi e a cui potesse applicare le sue forze per muovere l'intelletto. Ma è un consueto destino della ragione umana nella speculazione allestire più presto che sia possibile il suo edifizio, e solo alla fine cercare se gli sia stato gettato un buon fondamento. Se non che, poi si cercano abbellimenti esterni di ogni specie per confortarci sulla sua saldezza, o anche per evitare del tutto tale tardiva e pericolosa verifica.» L’obiettivo dichiarato dell’intera esplorazione critica delle facoltà dell’uomo è quello di “Erigere un tribunale, che garantisca [la ragione] nelle sue pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno fondamento, non arbitrariamente, ma secondo le sue eterne ed immutabili leggi. (Kant 1781, 1787, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000). L’esame che la ragione svolge su se stessa è preliminare a qualsiasi indagine sulla realtà e condizione per uno sviluppo regolare e sistematico della ricerca scientifica. La completezza della ragione in tale direzione di analisi è insieme individuazione di ciò che è conoscibile e l’indicazione Sergio Gabbiadini 1 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 di ciò che risulta in conoscibile per definizione. L’individuazione del limite, dell’ambito di corretto esercizio della ragione, non è un’attestazione di debolezza ma la premessa per l’uso della ragione; eloquente in tal senso la metafora della “colomba leggera”. 2. l’impostazione trascendentale della filosofia 2.1. trascendentale come metodo, come obiettivo e come oggetto. La corretta impostazione del completo piano di indagine sulle facoltà dell’uomo si deve fondare, secondo Kant, su una distinzione preliminare, che egli pone al centro di tutta la sua riflessione, tra le possibilità e la realtà delle cose. La ragione critica non indaga la realtà delle cose, ma le possibilità della mente: bisognerà allora stabilire fin dove essa possa spingersi ed entro quali limiti debba arrestarsi. «Conoscere qualcosa a priori significa conoscerla per la sua più pura possibilità» (Kant, Principi primi metafisici della scienza della natura) Kant definisce trascendentale l’indagine che egli intende condurre: si occuperà infatti «non tanto di oggetti, quanto invece del nostro modo di conoscere gli oggetti, nel senso che un tale modo di conoscenza deve essere a priori». La strategia dell’indagine trascendentale mira a isolare e studiare analiticamente quelle forme del soggetto che, in quanto a priori (non derivate dall’esperienza, anche a loro si applica il termine trascendentale: si tratta di forme trascendentali della mente) rendono possibile al soggetto l’esperienza conoscitiva (non derivano dall’esperienza, ne sono la condizione); naturalmente in quanto tali forme sono proprie del soggetto, l’universo delle conoscenze che ne deriva sarà tale per il soggetto umano e non pretenderà di svelare l’essenza del mondo, di descrivere la realtà quale essa è in sé o agli occhi di un’altra ipotetica intelligenza non umana. 2.1.1. note al termine trascendentale e differenze. L’indagine che studia i principi a priori della conoscenza e segnala «che e come certe rappresentazioni vengono applicate, o sono possibili, esclusivamente a priori» è chiamata da Kant «trascendentale». La filosofia è dunque trascendentale quando si presenta come teoria della possibilità a priori dell’esperienza in generale. La filosofia medievale denominava «trascendentali» tutte quelle nozioni destinate a esprimere le specificazioni dell’essere considerato al livello di massima universalità, prima della sua articolazione in modi dell’essere, in categorie. Trascendentali erano dunque, secondo la sistemazione scolastica: essere, cosa, uno, altro, vero, buono; essi costituivano le specificazioni generalissime dell’essere, i generi supremi della riflessione metafisica. Anche in Kant l’espressione trascendentale indica la capacità di andare oltre l’esperienza, ma la direzione di questo superamento è totalmente cambiata: il trascendentale supera l’esperienza non perché indichi essenze oltre il dato sensibile o l’essere in sé, ma perché indaga gli elementi a priori della conoscenza, le condizioni formali dell’esperienza. Trascendentale è dunque la natura delle forme che appartengono al soggetto e lo studio di come esse rendono possibile una conoscenza sintetica a priori. Il termine trascendentale definisce una filosofia la cui indagine conoscitiva verte sull’uomo in quanto soggetto autonomo, a livello di definizione formale dell’esperienza, fonte e artefice dei processi che riguardano la conoscenza, le decisioni morali, il sentimento avvertito nella prospettiva di in un fine. 2.2. i tre ambiti dell’indagine trascendentale: «Ogni interesse della mia ragione (così lo speculativo, come il pratico) si concentra sulle tre domande: che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare?». Le tre “critiche” delle tre “facoltà”: della ragion pura (conoscenza), della ragion pratica (volontà), del giudizio (sentimento). 3. la morale: la filosofia pratica alla ricerca dei principi della ragione pratica «La ragione da se stessa determina la condotta» La rivoluzione copernicana che ha condotto Kant a porre il soggetto al centro del mondo delle conoscenze di cui è ordinatore e legislatore fa da supporto anche alle ricerche etiche condotte dopo la pubblicazione (1781) della Critica della ragion pura; anche queste indagini seguono l’obiettivo Sergio Gabbiadini 2 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 di porre in evidenza l’autonomia dell’uomo nei limiti e nei mezzi delle proprie facoltà esplorando il campo delle possibilità a priori della ragione nel suo aspetto pratico. 3.1. una constatazione e una distinzione: morale eteronoma e morale autonoma «Per assolvere il nostro compito è di estrema importanza astenersi dal pretendere di trarre la realtà del principio del dovere da una particolare proprietà della natura umana. Infatti il dovere dev’essere una necessità praticamente incondizionata dell’azione e deve pertanto valere per tutti gli esseri ragionevoli (come i soli a cui è possibile in generale che si applichi un imperativo) e soltanto in conseguenza di ciò deve valere come legge per ogni volontà umana. Al contrario, ciò che consegue dalla particolare disposizione naturale dell’umanità, da determinati sentimenti e tendenze e anche, se possibile, da un particolare indirizzo proprio della ragione umana non necessariamente valido per la volontà di ogni essere razionale, può certamente fornirci una massima ma non una legge, un principio soggettivo secondo il quale possiamo agire in base a tendenze e inclinazioni, non un principio oggettivo secondo il quale siamo comandati di agire anche se ogni nostra tendenza, inclinazione o disposizione naturale fosse contraria; sicché la sublimità e la dignità intrinseca del comando del dovere si manifesta tanto più quanto meno le cause soggettive sono favorevoli ad esso, anzi quanto più gli sono contrarie, senza che ciò determini il minimo indebolimento della necessità della legge o ne sminuisca in qualche modo la validità.» (Kant 1785 Fondazione della metafisica dei costumi) Nel 1785 Kant affida alle stampe la Fondazione della metafisica dei costumi. L’opera non rappresenta il suo primo intervento su temi etici, ma è il primo, dopo la pubblicazione della Critica della ragion pura, in cui il tema etico viene affrontato nella prospettiva della filosofia critica. Seguendo tale prospettiva Kant ricerca i principi a priori dell’agire morale, le forme universali che guidano la volontà umana nella vita pratica, orientandola verso azioni morali. Il problema morale viene qui affrontato non a partire dall’esperienza dei comportamenti e dalle norme esteriori, ma attraverso la ricerca delle condizioni ideali della perfezione morale dell’uomo: Kant non intende descrivere la realtà di fatto dell’agire morale, i suoi moventi psicologici e particolari, ma le forme universali del «dover essere», i principi a priori secondo i quali si deve agire. In queste analisi si impone quindi, ancor più pressantemente di quanto non fosse nella ricerca dei fondamenti gnoseologici, la necessità di prescindere dall’esperienza per definire le possibilità della ragione e della volontà; la dipendenza della ragione dall’esperienza o da autorità esterne impedirebbe all’uomo di essere autonomo e libero artefice della propria moralità e renderebbe soggettiva ogni ricerca dei fondamenti dell’etica. 3.1.1. morali eteronome (al plurale). Nelle opere in cui Kant affronta, secondo la prospettiva critica, il problema morale (la Fondazione della metafisica dei costumi del 1785, la Critica della ragion pratica del 1788, la Metafisica dei costumi del 1797) si fa sempre più netto il rifiuto delle filosofie morali elaborate dalla tradizione di carattere religioso, politico, consuetudinario: 3.1.1.1. esse si risolvono tutte, a giudizio di Kant, in elenchi di precetti sentiti come obblighi esterni cui l’uomo si piega solo per garantirsi la salvezza, la felicità, l’accettazione, il successo, riconoscimento, plauso ecc.; esse prospettano infatti comportamenti orientati verso fini (quali il piacere, la felicità, la salvezza ecc.) che vanno oltre l’azione stessa; 3.1.1.2. nelle loro radici storiche sono tra loro inconciliabili, spesso contraddittorie; difficilmente sono riportabili a condizioni di moralità generale; non trovano nella coscienza e nella libertà del soggetto la propria fondazione, ma si giustificano sul comando di autorità esterne al soggetto: sono morali “eteronome”; 3.1.1.3. non trovando il loro fondamento etico nella volontà dell’uomo e nella sua ragione, ma in autorità, comandi premi e fini esterni, condannano l’uomo alla dipendenza, lo conservano nella minore età. Principale ostacolo alla ragione pratica, nei vari campi del suo impegno di ricerca e proposta, è, secondo Kant, la convinzione che essa trovi le proprie forme non in se stessa, ma in elementi esterni, quali possono essere l’educazione o l’esperienza di vita, o in tavole di norme ispirate da una divinità trascendente. Una simile impostazione conduce l’uomo a rinunciare alla Sergio Gabbiadini 3 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 propria ragione e a restare perennemente sotto tutela; ogni atteggiamento servile ha qui la sua premessa. L’agire dell’uomo che si ispira a simili presupposti ed è determinato unicamente da leggi e valori esterni, da inclinazioni, abitudini, passioni, non può dirsi morale in quanto non trova origine e giustificazione nella sua libera volontà e in scelte guidate dalla sola ragione. 3.1.2. morale autonoma (al singolare). Kant progetta, invece, di rifondare la scienza etica sulla sola ragione umana, l’unica fonte di principi che conferisce all’azione i caratteri di universalità e di autonomia indispensabili a ogni azione morale; a tale scopo la riflessione morale non parte dall’analisi dei contenuti delle azioni morali, ma delle condizioni della moralità, poste dal soggetto, del tutto a priori o trascendentali, poste cioè dalla ragione nella sua destinazione pratica. Anzi, occorre mettere al bando l’esame dei modi in cui la conoscenza empirica influenza il formarsi di una teoria etica normativa. Come la ragion pura trova nelle proprie forme a priori le regole della sua attività conoscitiva, così la ragion pratica (la ragione in quanto guida all’azione) trova nei propri imperativi formali (si tratta di una ragion pura pratica) i criteri ispiratori di ogni comportamento etico. «La volontà — afferma Kant — non è dunque esclusivamente sottoposta alla legge, ma vi è sottoposta in modo che essa debba essere considerata come istituente essa stessa la legge.» La ragione, oltre a un uso teoretico, ha infatti un uso pratico: essa fornisce all’uomo non solo conoscenze, ma anche indicazioni generali di comportamento; è la ragione, infatti, che determina la volontà ad agire moralmente: «la sua vera destinazione può essere solo quella di produrre una volontà buona, non come mezzo per qualche altro scopo, ma come buona in se stessa». 3.2. la ragion pura pratica, la volontà sommamente buona In quanto mira a restituire alla morale una piena autonomia e all’uomo la caratteristica di soggetto libero e responsabile, la riflessione filosofica di Kant sul problema etico ha come obiettivo l’indicazione dei principi e dei concetti specifici dell’etica: il fondamento di una morale autonoma è costituito dalla «ragion pratica» o dalla «volontà sommamente buona». Con queste due espressioni Kant indica un unico e identico principio, considerato nel primo caso a partire dalla funzione regolativa generale della ragione, nel secondo caso a partire dalla libertà come condizione imprescindibile di una scelta morale. Si tratta dell’analisi del modo di essere a priori, trascendentale, e quindi formale che caratterizza la ragione nella sua destinazione pratica o la volontà come fonte e principio dell’agire etico dell’uomo. Una simile impostazione, che tende a fornire con completezza le condizioni a priori dell’agire umano, ha il chiaro obiettivo di dimostrare l’assoluta autonomia della ragione umana in campo pratico. 3.2.1. La ragione umana, considerata come principio e regola dell’azione, fonda una morale universalmente valida, basata su leggi e tuttavia libera, poiché ha la propria origine in ogni individuo in quanto soggetto razionale; per lo stesso motivo Kant indica, a fondamento di una morale autonoma, la volontà definita come «sommamente buona»; essa è tale perché, considerata come principio attivo di un essere razionale, decide e genera comportamenti ispirandosi ai criteri universali propri della ragione (assunta come unico principio del volere) e non a fini esterni al soggetto razionale. 3.2.2. La volontà è buona, non in virtù dei suoi risultati o delle sue attitudini, ma in virtù della sua natura interiore (e rimane tale anche quando non è in grado di fatto di attuare le sue intenzioni buone). Il valore di un’azione morale risiede pertanto nel motivo determinante della volontà: «un’azione compiuta per dovere riceve il suo valore morale non dallo scopo che si deve raggiungere per suo mezzo, ma dalla massima in base alla quale è stata decisa: quindi tale valore non dipende dalla realtà dell’oggetto dell’azione, ma esclusivamente dal principio della volontà in base al quale l’azione è stata compiuta». 3.2.3. Anche dal punto di vista oggettivo, considerata cioè nella sua finale e definitiva realizzazione, la volontà morale implica per sé l’assoluta bontà, identificandosi con la ragione stessa nella sua finalità pratica; volontà e ragione costituiscono il solo e unico principio e fondamento di una morale autonoma. Sono così poste le basi per un’etica filosofica; fondata sulla sola ragione, essa indica le Sergio Gabbiadini 4 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 condizioni, i concetti e i principi a priori che rendono possibile la scienza, l’azione e il giudizio morale. 3.3. condizioni di autonomia della morale: la libertà espressa nei principi a priori dell’agire morale (imperativi categorici) L’autonomia della ragione nel determinare l’azione secondo propri principi oggettivi e universali si fonda sulla libertà; quest’ultima è infatti una condizione a priori della ragione pratica e della volontà etica, il presupposto indispensabile dell’azione morale. Intesa come capacità di determinarsi secondo la sola ragione, indipendentemente da desideri, inclinazioni, sensazioni e passioni, la libertà della ragione e della volontà permette all’individuo di assumere comportamenti scelti per se stessi e non condizionati da sollecitazioni esterne; la volontà è libera in quanto obbedisce al proprio imperativo etico (ricorda Spinoza: libertà – necessità della propria natura) che prescrive a ciascuno di giudicare la sua azione come morale solo se la massima che la ispira può valere come legge universale della ragione. 3.3.1. imperativi categorici. Kant presenta questo principio con l’espressione «imperativo categorico» non perché esso si imponga come un’autorità esterna o in forma coercitiva, ma in quanto si presenta come condizione ideale che non ha altri presupposti e fini all’infuori di quelli rappresentati dalla realizzazione della natura libera e razionale dell’uomo. Gli imperativi categorici forniscono criteri generali di comportamento, non determinano azioni specifiche, non impongono una precisa condotta; sono principi a priori della ragione nella sua destinazione pratica. 3.3.1.1. Si tratta di imperativi definiti categorici in quanto esprimono un’azione oggettivamente necessaria per se stessa, senza altro fine; sono direzioni o comandi della ragione che si impongono di per sé alla volontà, suggerendole criteri di comportamento e non precetti concreti o azioni definite. 3.3.1.2. Poiché impongono alla volontà di assumere come massima di comportamento quei criteri che possono valere come norme universali, estensibili a tutti gli uomini, sono formali: prescindono dalle concrete situazioni contingenti, si limitano a suggerire i principi etici generali cui l’uomo dovrà uniformare la sua condotta se vorrà agire moralmente. 3.3.2. le tre formule dell’imperativo categorico. Nelle diverse situazioni del vivere quotidiano, l’uomo dovrà agire (ma si tratta di una forma non cogente di dovere) ispirandosi alle indicazioni dell’imperativo categorico. 3.3.2.1. Esso propone di agire seguendo principi universali (il primo comanda: «agisci come se la massima della tua azione dovesse essere elevata dalla tua volontà a una legge universale di natura»), 3.3.2.2. trattando se stessi e gli altri uomini come fine e mai come mezzo dell’azione che si intende compiere (la seconda formula dell’imperativo categorico enuncia: «agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo»), 3.3.2.3. in piena autonomia, come se ciascuno fosse legislatore di sé (la terza formula ricorda: «agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale»). 3.3.3. i caratteri dell’imperativo categorico e la natura formale dell’etica. Formulati in modo imperativo, i principi della morale kantiana sembrano appartenere a un’etica costrittiva, incapace di rispettare la condizione prima di ogni agire morale: la libertà. In realtà essi sono soltanto la traduzione in forma operativa della ragione pratica. Con essi la ragione pone le condizioni di eticità e non vincola ad alcun contenuto preciso, non presentano all’uomo leggi definite e prescrittive o norme di comportamento e tanto meno precise azioni; se così fosse verrebbe a crearsi una morale eteronoma, in cui il soggetto non è principio, in senso morale, del suo agire ma si limita ad eseguire leggi e precetti considerati validi e morali per se stessi. Proprio in quanto formali, gli imperativi della ragione non contrastano con la libertà, ma esprimono l’essenza della volontà dell’uomo per natura e definizione tesa a sviluppare con pienezza l’intero campo delle azioni etiche; dunque è Sergio Gabbiadini 5 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 proprio la natura formale dell’imperativo categorico ad esprimere la libertà dell’uomo e della ragione in termini di autonomia. 3.3.4. incrocio: imperativo, massima, azione. Kant indica con il termine «massima» i principi soggettivi dell’agire. Il termine non designa né decisioni concrete, né regole pratiche particolari, né norme oggettive secondo le quali agire, ma regole generali che il singolo decide di seguire nelle proprie azioni e che determinano concretamente le sue scelte (ad esempio, aiutare in ogni circostanza chi è nel bisogno, non seguire mai la regola dominante del momento ecc.). 3.3.4.1. cerca la massima. Anche se la massima è il movente prossimo di ogni azione non sempre risulta evidente allo stesso soggetto che agisce quale sia la massima effettiva che determina la sua azione, solo la riflessione sul proprio agire consente all’uomo di individuare le massime e i principi soggettivi del comportamento; spesso infatti questi non vengono professati, restano sottintesi e abitudinari e solo con difficoltà l’uomo riesce a cogliere e formalizzare in modo esplicito e pieno i principi direttivi delle proprie azioni; (il mio gesto di elemosina a quale massima si ispira? voglio aiutare chi è nel bisogno, spero che gli altri facciano altrettanto con me, avverto una gratificazione emotiva, posso parlare della mia generosità, segnalo una distanza sociale a mio vantaggio ecc.). 3.3.4.2. la massima è considerata da Kant come fonte immediata dell’eticità soggettiva delle azioni umane. Sono gli imperativi categorici a decidere della moralità in quanto forniscono criteri universali per valutare la moralità delle massime con le quali ogni persona tende a regolare le proprie condotte individuali (ad esempio la massima della solidarietà, dell’amicizia, dell’indifferenza, della competizione ecc,). Ma è la massima a tradurre in agire etico soggettivo, personale, individuale (non lasciandolo nella forma generale universale) l’imperativo categorico. 3.3.4.3. la verifica del ruolo dell’imperativo categorico. L’imperativo categorico afferma il criterio: l’azione è morale se la massima che la ispira è universalmente estendibile. La strada di verifica (di tipo sbrigativamente utilitaristico) è la contraddizione: è morale quella massima la cui estensione universale non crea una contraddizione di cui lo stesso soggetto che agisce sarebbe vittima (se la mia azione è ispirata dalla massima “odia sempre il tuo prossimo”, qualora la massima venisse universalizzata io stesso ne verrei colpito diventando vittima e mezzo dell’odio altrui). 3.3.4.4. nella massima la volontà è principio. I principi formali della ragion pratica, che costituiscono le condizioni supreme e assolute dell’eticità (gli imperativi categorici), si rivolgono alla volontà operante nelle massime perché la massima è il principio che rende attribuibile al singolo (e quindi moralmente a lui imputabile) l’azione; solo così la volontà è principio dell’agire morale. 3.3.5. la distinzione tra mezzi e fini e il concetto eticamente indispensabile e fondante di una realtà fine a se stessa: «Ogni essere razionale esiste come fine in se stesso» La seconda formula dell’imperativo categorico si fonda sull’esistenza di una realtà fine a se stessa, che non potrà mai, moralmente, essere considerata come un mezzo. «L’imperativo pratico sarà pertanto il seguente: agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.» (Kant, Fondazione) Con queste parole Kant introduce e spiega questo imperativo. «Ma se si suppone che ci sia qualcosa la cui esistenza in se stessa abbia un valore assoluto, qualcosa che, in quanto fine in se stesso, possa essere il principio di leggi determinate, in esso e soltanto in esso può consistere il principio di un imperativo categorico possibile, cioè di una legge pratica. Ora, io dico: l’uomo e, in generale, ogni essere ragionevole, esiste come fine in se stesso, non semplicemente come mezzo per essere usato da questa o quella volontà; ma in tutte le sue azioni, sia quelle che lo concernono in proprio sia quelle che concernono gli altri esseri ragionevoli, deve sempre essere considerato nello stesso tempo come fine.» (Kant, Fondazione) La seconda formula dell’imperativo categorico ribadisce come al centro dell’etica si collochi l’umanità (non il singolo uomo), proclamata come fine a sé. 3.3.5.1. Servendosi del concetto di realtà fine a sé espresso da kant nella terza formula dell’imperativo categorico le nuove sensibilità etiche, contemporanee (ad esempio Hans Jonas), estendono in concetto di “realtà fine a sé” ad ambiti diversi e più vasti di quelli della sola umanità, Sergio Gabbiadini 6 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 allo scopo di scongiurare una (totale) riduzione a mezzo, senza diritti, di ciò che non è umano come gli animali, le piante, le risorse, l’ambiente ecc. 3.3.5.2. La formula espressa da Kant sembra attenuare l’idea di una appartenenza e definizione assoluta dell’uomo come fine a sé, sia perché l’attenzione dell’imperativo verte non sull’uomo inteso nella sua singolarità specifica ma sull’umanità, sia perché introduce espressioni che attenuano il legame uomo-fine (anche, semplicemente: «sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo»). 3.4. fondamento e postulati dell’imperativo categorico 3.4.1. il fondamento nella libertà (o come la legge e la libertà, componenti imprescindibili della morale, apparentemente antitetiche ma altrettanto coerentemente poste in stretta e essenziale relazione - Spinoza, Rousseau…- si compongono per definizione nella teoria etica di Kant) . In un mondo fisico nel quale l’uomo riconosce relazioni necessarie, leggi universali che determinano ciò che accade (tali le conclusioni della Critica della ragion pura sulla natura del mondo fenomenico), si prospetta per l’uomo uno spazio di scelta, una sfera di autonomia che può avere il suo fondamento solo nella libertà di agire; si tratta della legge morale, cioè non eteronoma, che si fonda sulla libertà dell’uomo come principio, in forza della caratteristica della ragione umana che è legislatrice e luogo di necessità a priori in campo teoretico (nella ragione scientifica) e in campo pratico (nella ragione etica). La libertà si presenta come un postulato della ragion pratica: benché non possa essere dimostrata, la libertà dell’uomo deve essere accolta come una realtà oggettiva sulla base di due ragionamenti (solo analiticamente distinguibili): 1. la legge morale postula la libertà al fine di rendere possibile un agire morale che, come tale, può essere fondato solo sulla scelta; 2. la legge e i principi morali esprimono la ragione umana pratica nelle sue proprie condizioni di azione; condizioni trascendentali, a priori e universali e quindi libere. L’autonomia della ragione nel determinare l’azione secondo propri principi oggettivi e universali si fonda cioè sulla libertà; quest’ultima è una condizione a priori della ragione pratica e della volontà etica, il presupposto indispensabile dell’azione morale. Intesa come capacità di determinarsi secondo la sola ragione, indipendentemente da desideri, inclinazioni, sensazioni e passioni, la libertà della ragione e della volontà permette all’individuo di assumere comportamenti scelti per se stessi e non condizionati da sollecitazioni esterne; la volontà è libera in quanto obbedisce al proprio imperativo etico; esso prescrive a ciascuno di giudicare la sua azione come morale solo se la massima che la ispira può valere come legge universale della ragione. 3.4.2. l’oggetto dell’imperativo categorico: il sommo bene. 3.4.2.1. come premessa di metodo generale (più volte comparsa). L’efficacia di un sistema teorico si misura anche a partire dalla idea della sua completa realizzazione; la versione oggettiva di una teoria completamente attuata e, con ciò, l’idea di perfezione e quindi di uno scopo, fanno sorgere la teoria come realtà e come oggetto. Come Kant ha ampiamente dimostrato nella sezione della Critica della Ragion pura, la Dialettica trascendentale, presentando le tre idee a priori della ragione, anche nel campo pratico, come in campo teoretico, non si tratta di dimostrare l’esistenza di tale realtà completa (situazione che porterebbe a distruggere ogni movimento nel settore) ma di delinearne il modello con completezza e individuare, come processo ulteriore di ricerca, le condizioni e i postulati (perciò non dimostrati) su cui la teoria si deve fondare per raggiungere proprio quella completezza che il sistema teorico richiede per potersi considerare “scientificamente” legittimato. «Se si vuol definire che cosa sia uno scopo secondo le sue determinazioni trascendentali (senza presupporre niente di empirico, come sarebbe il sentimento di piacere), esso è l’oggetto di un concetto, in quanto questo è considerato come la causa di quello (il fondamento reale della sua possibilità); e la causalità di un concetto rispetto al suo oggetto è la finalità (forma finalis). Così, quando non si pensa semplicemente la conoscenza di un oggetto, ma l’oggetto stesso (la sua forma o la sua esistenza) come un effetto, possibile solo mediante un concetto dell’effetto medesimo, allora si pensa uno scopo.» (Kant, Critica del Giudizio, p.63) Sergio Gabbiadini 7 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 3.4.2.2. applicazione etica del metodo generale. Tale è il concetto di “sommo bene” in Kant: non la descrizione di una situazione etica oggettiva, ma la versione oggettiva della teoria etica, l’oggetto di un concetto indicante il fine immanente e la definizione della legislazione morale in piena attuazione; la situazione che si delinea nell’ipotesi di una piena realizzazione degli imperativi categorici e non è un fine che si collochi all’esterno dell’azione etica e dei suoi principi. Il sommo bene (come ogni versione oggettiva delle teorie) ha una funzione euristica: l’analisi del sommo bene porta infatti alla scoperta e indicazione di tutte le condizioni di cui l’etica ha bisogno per la sua piena pensabilità e ideale realizzazione (sempre concettuale); condizioni che vengono indicate come postulati del sommo bene, cioè postulati dell’oggetto dell’imperativo categorico (o postulati della teoria etica in generale definita con completezza sistematica). 3.4.3. postulati dell’oggetto (della versione oggettiva) dell’imperativo categorico (del sommo bene): l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima (il tema del limite e del suo trascendimento nell’etica) Con i due altri postulati — dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio — si chiude la riflessione etica di Kant: anch’essi non dimostrabili quanto alla loro fisica esistenza, costituiscono il necessario presupposto perché l’uomo possa sperare di raggiungere in una dimensione etica che raccoglie e supera le esperienze storiche individuali, quel sommo bene, unione di felicità e virtù, precluso alle singole persone. In tale prospettiva Dio si presenta come il garante assoluto di tale unione, l’immortalità dell’anima come la condizione oggettiva di tale possibilità. 3.4.3.1. Dio è un’esigenza morale ma non è fonte dei principi che determinano la moralità dei precetti e delle azioni morali. «La certezza della legge morale è per noi legata immediatamente con la certezza di un nesso di diversa natura fra le nostre azioni, un nesso come quello che si offre nella successione empirico – temporale delle cause e degli effetti. Ammettere l’“essere” di Dio vuol dire nient’altro che affermare la certezza incondizionata di questo nesso intelligibile. [non si tratta dunque di una dimostrazione di esistenza] Dio non è un essere dato per sé il quale debba tradurre in realtà l’ordine morale, ma è semplicemente un altro nome per indicare l’interiore e incondizionata certezza di quest’ordine medesimo.» (E. Cassirer) «Un’elaborazione maggiore di idee morali, che fu resa necessaria dalla legge morale estremamente pura della nostra religione … senza che né più ampie conoscenze della natura, né giuste e sicure vedute trascendentali vi conferissero, esse produssero un concetto dell’Essere divino, che noi oggi teniamo per vero, non perché la ragione speculativa ci convinca della sua verità, ma perché esso s’accorda perfettamente coi principi morali della ragione. … Nella misura in cui la ragion pratica ha diritto di guidarci, noi non riterremo le azioni obbligatorie perché sono comandi di Dio, ma le considereremo comandi di Dio perché ad essi noi ci sentiamo internamente obbligati. … La teologia morale è, dunque, soltanto di uso immanente, cioè per adempiere la nostra missione qui nel mondo…)» (Critica della ragion pura,o.c. p.620-621) 3.4.3.2. L’affermazione dell’immortalità dell’anima, presentata nel campo dell’indagine morale (non nel campo della analisi dimostrativa e deduttiva delle forme a priori della ragione), non si presenta come una affermazione metafisica (o fisica) di esistenza né dell’anima, né della sua immortalità, ma è la versione etica della teoria e delle convinzioni diffuse circa l’immortalità. Il sommo bene, non raggiungibile dai singoli individui (ma a cui nessun individuo intende moralmente rinunciare nelle proprie aspirazioni e, soprattutto, in coerenza con la logica della propria ragione espressa dagli imperativi categorici, secondo «il fine, che per ogni essere ragionevole è, naturalmente e dalla stessa ragion pura, determinato a priori, e necessario.») ha un contesto di realizzazione se l’azione etica degli uomini non cessa con la loro esistenza, li supera, sopravvive alla loro vicenda personale e diventa costitutiva di una umanità veramente etica in cui l’azione degli uomini e dei popoli si ispira agli imperativi pratici della ragione. Da qui parte il sogno kantiano di una civiltà mondiale ispirata alla pace. «È necessario che tutta intera la nostra vita sia subordinata a massime morali; ma è insieme impossibile che ciò accada, se la ragione non unisce con la legge morale, che è una semplice idea, una causa efficiente, che per la condotta a norma di quella determini un esito esattamente corrispondente ai nostri fini supremi, sia in questa, sia in un’altra vita. Senza dunque un Dio e senza Sergio Gabbiadini 8 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 un mondo per noi ora invisibile ma sperato, le idee sovrane della moralità sono bensì oggetti di approvazione e di ammirazione, ma non motivi di proposito e di azione, poiché esse non adempiono tutto il fine, che per ogni essere ragionevole è, naturalmente e dalla stessa ragion pura, determinato a priori, e necessario.» (Kant, Critica della ragion pura, 617) 3.5. la ragione etica e la politica: per una società illuminata La realizzazione delle potenzialità della ragione, che Kant descrive nelle tre «critiche», esige particolari condizioni politiche e un lungo processo storico che egli studia in numerosi scritti e articoli di agili dimensioni: Idea di una storia dal punto di vista cosmopolitico (1784), Che cos’è l’illuminismo? (1784), Congetture sull’origine della storia (1786), Per la pace perpetua (1795), Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio (1798). La tesi di fondo di queste opere è che il fine ultimo della storia sia la completa esplicazione delle disposizioni razionali degli uomini; questa crescita della ragione e della cultura è il frutto di un «disegno della natura», una sorta di «provvidenza», di forza storica che agisce dolcemente sugli uomini spingendoli a promuovere «quell’avanzamento che essi stessi ignorano e al quale, anche se lo conoscessero, non farebbero un gran caso». 3.5.1. In questa visione negativa Kant riprende la tesi cristiana dell’esistenza nell’uomo di un «male radicale», di una predisposizione verso il male che si riproduce nell’interiorità dell’uomo; essa viene contrastata non da una religione che si fonda sul culto della rivelazione, ma da una religione che trova espressione nella ragione e fondamento nella morale (La religione nei limiti della ragione, 1793). Così intesa la religione dà vita a una repubblica morale, una «chiesa invisibile» e non istituzionale, fondata sulla virtù e composta da tutti gli uomini giusti. 3.5.2. Perché si compia l’età della ragione, Kant ritiene necessario che si realizzi un nuovo assetto politico internazionale: l’antagonismo («insocievole socievolezza») che è stato nella storia degli uomini uno stimolo a progredire, a superarsi, deve essere controllato, regolato da costituzioni che perseguono, mediante il diritto, l’ordine, la pace e la giustizia. Kant prospetta, in proposito, una federazione di stati con governi repubblicani i cui reggitori esercitino il potere in conformità con la legge espressa dalla volontà generale; un parlamento sovranazionale si assumerà il compito di dirimere i conflitti, mediare gli antagonismi, orientando il suo impegno e le sue disposizioni verso la pace. Nella cornice di questa comunità internazionale di stati che propugnano come più alto valore la pace, l’umanità potrà dispiegare la propria razionalità, realizzando simultaneamente le proprie potenzialità e quelle della storia, i fini della cultura e quelli della politica. Questo è il regno dei fini in cui culmina l’agire etico degli uomini, oltre la loro vicenda personale. Hegel - distinzione e legame dialettico tra morale ed etica (1770 – 1831) In polemica con il criticismo kantiano che al filosofo affida il semplice compito di inventariare le forme della conoscenza, Hegel rivendica per il filosofo una ben più alta missione: egli deve cogliere il principio che fonda la realtà, individuare la legge (il lògos) che regola il suo svolgersi nella realtà fisica, umana, storica. Tale principio assoluto si presenta come attività razionale infinita che si manifesta nelle forme finite della natura e della storia. 1. il viaggio dell’anima verso l’Assoluto (Fenomenologia dello Spirito) L’opera che Hegel, docente all’Università tedesca di Jena, pubblica nel 1807 con il titolo Fenomenologia dello spirito racconta «la storia particolareggiata della formazione (Bildung) della Sergio Gabbiadini 9 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 coscienza stessa a scienza». L’impianto dell’opera richiama quei «romanzi di formazione dell’anima (Bildungsromane)» (composti tra la fine del ‘700 e i primi anni dell’800) nei quali soggetti eroici, passando attraverso drammatiche esperienze sentimentali ed esistenziali, maturano nella sofferenza una piena consapevolezza di sé e della condizione umana. Nella Fenomenologia dello Spirito (e fenomenologia indica qui l’apparire, il manifestarsi del principio razionale cui ogni realtà è riconducibile) Hegel ricostruisce infatti la via che la coscienza ha dovuto percorrere per giungere alla piena autocoscienza e al principio razionale e sistematico dell’intera realtà, lo Spirito; da un'altra prospettiva, l’opera è anche l’esposizione (fenomenologia) delle tappe che lo Spirito ha percorso, anche attraverso la coscienza umana, per giungere alla propria piena manifestazione e realizzazione. La vicenda narrata nella Fenomenologia sembra dunque avere un triplice soggetto: la coscienza individuale in cammino verso il sapere assoluto, la cultura dell’umanità come soggetto collettivo nelle sue diverse forme storiche, lo Spirito assoluto nelle tappe e figure del suo sviluppo sistematico-storico. Al termine del cammino descritto dalla Fenomenologia compare dunque il principio del movimento, il soggetto dell’intero processo storico razionale e reale: lo Spirito assoluto; le determinazioni individuali, concrete e le forme storiche della cultura vengono comprese filosoficamente e scientificamente solo quando risultano essere momenti dello sviluppo sistematico dello spirito. Solo collocandosi dal punto di vista dello spirito, infatti, la filosofia assume la forma di sapere oggettivo, scientifico e sistematico. 2. il sistema dell’Assoluto (Enciclopedia delle scienze filosofiche) Se nella Fenomenologia dello spirito Hegel ha rappresentato, secondo una prospettiva plurale, antropologica (che muove dalla coscienza umana), storica (che si svolge nel tempo), filosofica (che nelle figure storiche presenta le tappe di un sapere filosofico che si dispone in forma scientifica secondo una logica di tipo dialettico) la via che conduce la coscienza al sapere assoluto, nella Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817) descrive invece l’ordinamento del sapere nella sua totalità organica. L’enciclopedia hegeliana mostra infatti come le diverse scienze non siano forme isolate e successivamente aggregate in sistema e in enciclopedia di conoscenze, ma parti di un tutto organico, proprio come le membra di un organismo fisico. Distinte, ma solidali, le scienze del sistema hegeliano si compongono in unità secondo l’immagine del circolo (richiamato dall’etimologia greca del termine enciclopedia, «dottrina in circolo»): esse rappresentano i momenti del processo dialettico che muovendo dalla razionalità pura (l’idea in sé, indagata dalla «Logica»), si aliena nelle forme della natura (l’idea nella forma dell’essere altro, studiata dalla «Filosofia della natura»), per realizzarsi pienamente nello spirito (l’idea in sé e per sé, descritta nelle forme «soggettiva», «oggettiva» e «assoluta» dalla «Filosofia dello spirito»). Idea, Natura, Spirito sono i momenti logico-dialettici del sistema scientifico filosofico. 3. lo Spirito oggettivo: diritto, morale, etica Descrivendo le determinazioni dello spirito (nella terza e ultima parte dell’Enciclopedia, dedicata appunto alla filosofia dello spirito), Hegel mostra l’universo delle conoscenze in cui lo spirito si è espresso: dalle forme «soggettive» dell’antropologia, della fenomenologia e della psicologia, attraverso le forme «oggettive» del diritto, della moralità e dell’eticità, sino al pieno compimento che si realizza nelle forme «assolute» dell’arte, della religione e della filosofia. Il nesso che lega tutte queste determinazioni è, ancora una volta, dialettico. Lo spirito può compiere il proprio processo di affrancamento dalle necessità naturali non solo quando diventa pensiero nella conoscenza scientifica e filosofica dell’uomo, in questo caso l’uscita dalla necessità naturale inconsapevole è di tipo solo soggettivo, ma quando questa consapevolezza di libertà, presente nell’uomo, si fa oggettiva; diventa cioè concreta realizzazione della libertà eleggendo a proprio luogo di realizzazione il mondo delle relazioni sociali; in esse la libertà si concretizza come diritto, morale ed eticità, forme che costituiscono i momenti della triade dialettica dello spirito oggettivo. Ad essi Hegel dedica, oltre che una sezione dell’Enciclopedia, una specifica trattazione composta a Berlino e pubblicata nel 1821 con il titolo Lineamenti della filosofia del Sergio Gabbiadini 10 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 diritto. Quest’ultima opera pubblicata da Hegel affronta un tema che la tradizione filosofica faceva rientrare nella «filosofia pratica»: l’agire storico dell’uomo nell’ambito del diritto e della moralità, della famiglia, della società civile e dello stato. Collocati nel quadro sistematico della filosofia hegeliana come momenti dello spirito oggettivo, questi temi sono definiti a partire dal concetto di «eticità» con cui Hegel indica la situazione, insieme oggettiva e ideale, in cui la volontà e la libertà degli individui trovano piena attuazione storica nelle strutture di uno stato razionalmente ordinato. 3.1. diritto L’individuo, considerato astrattamente come entità singola, afferma la propria libertà rivendicando diritti universali che garantiscano, grazie alle leggi, la piena espressione della sua libertà. In particolare al diritto egli chiede di tutelare la proprietà, manifestazione concreta e tangibile della libera espressione della sua volontà. 3.2. morale Nella proprietà la libertà è concreta, ma limitata all’ampiezza del possesso e dalla volontà degli altri uomini. Per contrasto dialettico questa libertà concreta ma finita rimanda al concetto di libertà infinita, illimitata e assoluta, ma, come tale, interiore;è questa la sfera della moralità (quella illustrata sistematicamente da Kant). Nella morale, secondo momento dello spirito oggettivo, Hegel colloca l’eterno conflitto tra coscienza e legge, finito e infinito, possibilità e realtà; la morale si presenta dunque come aspirazione al dovere, impulso interiore che rimane chiuso nella dimensione della coscienza, non si compone con la realtà sociale. 3.3. etica L’etica si contrappone alla morale, al suo tentativo di confinare la libertà nella sfera interiore, dove è condannata a restare astratta e inefficace, assumendo e portando a realizzazione il tema della libertà infinita ; l’etica si definisce infatti come la realizzazione concreta della libertà infinita dello spirito nell’oggettività delle istituzioni sociali e politiche: la famiglia, la società civile e lo stato. A giudizio di Hegel non esiste infatti alcuna istituzione oggettiva che non sia espressione e realizzazione della volontà del soggetto e nessuna libertà soggettiva che non sia visibile e concretamente realizzata nelle forme oggettive dell’ordine sociale. 3.3.1. la forma logica dello Spirito oggettivo. Il concetto, nella logica di Hegel, di natura dialettica, indica non l’universale astratto, ricavato per generalizzazione dal particolare, l’idea separata (esterna a ciò cui suole essere riferita), ma l’universale concreto, l’idea che ha in sé il particolare, il principio da cui le determinazioni si sviluppano secondo un processo necessario. La forma oggettiva dell’Assoluto realizza, nel suo determinarsi in concretezza, il convergere delle forme sociali in cui gli individui attuano la propria libertà nei momenti di uno sviluppo organico e sistematico dello Spirito che si oggettiva. Nel prospettare la sua filosofia politica, Hegel infatti spiega le forme storiche del diritto, della morale e dell’etica riconducendole al realizzarsi dello spirito oggettivo nella dimensione storica; egli nega dunque la presunzione dell’individuo a porsi come fonte ultima dei diritti politici e dei valori etici (che finirebbero per coincidere con gli interessi egoistici privati o si presenterebbero come valori morali interiori incapaci di realizzarsi) ma, con la stessa negazione, conferisce ai diritti e alle libertà individuali una realtà oggettiva e pubblica: essi sono espressione dello stato razionale etico e non semplice prerogativa della ragione o della volontà dell’individuo, destinata ad un esito precario. 3.3.2. famiglia, società civile, stato. Le forme della famiglia, della società civile e dello stato rappresentano le forme concrete del processo dialettico nel quale il bene soggettivo particolare diventa bene oggettivo universale; si tratta perciò di forme ora non più solo storiche, e quindi conflittuali e considerate come se fossero poste a caso, capitate senza un piano; sono espressione razionale dell’assoluto. Nella famiglia il superamento dell’individualità nelle relazioni interpersonali si fonda sull’impulso naturale; nella società civile sull’interesse alla convivenza (non priva di conflittualità) dei vari nuclei familiari, dei ceti e delle corporazioni; nello stato, espressione sovrana e autonoma della ragione, gli interessi individuali e sociali si compongono e si realizzano nello spirito universale oggettivo e storico in forma logica e necessaria. 3.3.3. lo stato “etico”. «Lo stato — afferma Hegel — è il razionale in sé e per sé»; è dunque Sergio Gabbiadini 11 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 razionale per definizione, mentre il pensiero di uno stato privo di razionalità è un non senso. Questa tesi non nasce da un atteggiamento servile nei confronti dell’autorità politica, ma deriva dalla struttura logica che sottende l’intera filosofia di Hegel: se la riflessione politica vuole presentarsi in forma scientifica deve affrontare il tema dello stato a partire dal concetto (cioè dall’idea di stato come unità razionale delle volontà individuali) e non dalle motivazioni accidentali che lo avrebbero generato (come paura e fiducia, forza e debolezza, ricchezza e povertà, variamente attribuite dagli studiosi moderni all’uomo considerato nello stato di natura). La conoscenza filosofica presenta quindi il concetto di stato come «unità assoluta compenetrantesi dell’universalità e dell’individualità»; lo stato non è autorità assoluta in quanto separato dalla società civile, contrapposto ed esterno agli interessi particolari; non impone con la forza e con il timore una legge universale, ma è la totalità organica degli individui. Anzi, per natura propria, lo stato attua la propria manifestazione sostanziale e dialettica nel portare a piena realizzazione «l’individualità personale e gli interessi particolari di essa», gli opposti momenti del diritto e della moralità, le forme etiche della famiglia e della società civile, negandone, nell’armonia razionale dello stato, l’astratta unilateralità. 3.3.4. lo stato assoluto. Hegel presenta lo stato come espressione oggettiva dello spirito. Assumendo queste posizioni egli si pone in contrasto con le teorie politiche del giusnaturalismo, del liberalismo e del contrattualismo: esse infatti avevano presentato lo stato come istituzione nata a difesa dei diritti individuali, come armonia spontanea degli egoismi privati, come frutto di un contratto tra i singoli; in ogni caso, comunque, come risultato, come punto di arrivo di un processo; Hegel invece presenta lo stato come realtà etica originaria e assoluta. La pretesa degli individui e delle corporazioni sociali di costituirsi come originari e assoluti è fonte dei conflitti senza fine che interessano la società civile, ed è fonte della convinzione che la legge dello stato costituisca per loro un obbligo esterno, un vincolo, una costrizione. Lo stato nega queste posizioni individualistiche delle componenti materiali della società (individui, famiglie, ceti, corporazioni) che si arroccano nel proprio diritto privato e oppongono i propri interessi particolari alla legge razionale dello stato come se lo stato nascesse da quelle realtà. Questa negazione è il primo momento di un progetto dialettico, il cui fine consiste non nel costringere, anzi nel rimuovere ogni autoesclusione dei privati, chiusi nei propri interessi, dalla ragione universale. Solo uno stato assoluto, che non deriva dalla somma delle esigenze individuali, ma è espressione storica oggettiva dello spirito e ha la forza di collocare le individualità private e sociali in determinazione razionali, ad un tempo logiche e libere. 3.3.5. concludi: nello stato la libertà etica. Sui concetti di «eticità» e di «spirito oggettivo» costruisce dunque una nuova filosofia politica che presentando lo stato come espressione oggettiva dello spirito e come razionalità concreta lo indica come sede capace di garantire agli individui una piena e armonica realizzazione dei propri diritti e delle libertà personali. Lo stato, forma suprema in cui si esprime lo spirito oggettivo, con le sue norme consente all’uomo di sentire il dovere non come un’imposizione esterna, ma come la realizzazione piena, nella legge razionale, dei suoi diritti. Scoprendosi determinazioni e momenti dello stato non più considerato come una universalità astratta e quindi esterna, ma come una universale concreto (cioè come concetto (Begriff) la cui essenza consiste nell’unità organica e sistematica delle determinazioni sociali che in lui trovano il proprio inizio giuridico e razionale), gli individui e tutte le forme associative civili portano alla piena realizzazione, pubblica e concreta, la propria libera volontà. Perciò lo stato viene definito da Hegel «la realtà dell’idea etica». «Lo Stato, in quanto è la realtà della volontà sostanziale, che esso ha nell’autocoscienza particolare, elevata alla sua universalità, è il razionale in sé e per sé. Quest’unità sostanziale è fine a se stessa, è un assoluto, immoto, nel quale la libertà giunge al suo diritto supremo, così come questo scopo finale ha il più alto diritto di fronte ai singoli, il cui dovere supremo è di essere componenti dello Stato. Se si scambia lo Stato con la società civile, e la sua destinazione è posta nella sicurezza e nella protezione della proprietà e della libertà personale, l’interesse del singolo come tale, è il fine ultimo, Sergio Gabbiadini 12 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 in vista del quale gli individui sono unificati; e segue, appunto da ciò, che esser componente dello Stato è una cosa a capriccio. Ma esso ha un rapporto del tutto diverso con l’individuo; poiché esso è spirito oggettivo, l’individuo esso medesimo ha oggettività, verità ed eticità, soltanto in quanto è componente dello Stato. L’unione, come tale, è essa stessa il vero contenuto e il vero fine, e la destinazione degli individui è di condurre una vita universale; l’ulteriore loro particolare appagamento, attività e comportamento ha per suo punto di partenza e per risultato questa sostanzialità e validità universale. […] Il diritto statale interno. Lo Stato è la realtà della libertà concreta; ma la libertà concreta consiste nel fatto che l’individualità personale, e gl’interessi particolari di essa, hanno tanto il loro pieno sviluppo e il riconoscimento del loro diritto per sé (nel sistema della famiglia e della società civile) quanto, in parte, si mutano, da se stessi, nell’interesse della generalità, e in parte, con sapere e volontà, riconoscono il medesimo (lo Stato), in quanto loro particolare spirito sostanziale, e sono atti al medesimo, in quanto loro scopo finale; così che né l’universale ha valore ed è compiuto senza l’interesse, il sapere e il volere particolare, né gli individui vivono come persone private semplicemente per quest’ultimo, e, senza che vogliano, in pari tempo, nel e per l’universale, e abbiano un’attività cosciente di questo fine. Il principio degli Stati moderni ha quest’immensa forza e profondità: lasciare che il principio della soggettività si porti a compimento in estremo autonomo della particolarità personale, e, insieme, riportarlo all’unità sostanziale, e, così, mantenere questa in esso medesimo. Di fronte alle cerchie del diritto privato e del benessere privato, della famiglia e della società civile, lo Stato, da una parte, è una necessità esterna ed esercita nei loro confronti la più alta forza, alla cui natura le loro leggi, come i loro interessi, sono subordinate e da essa dipendenti; d’altra parte, però, esso è il loro fine immanente e ha la propria forza nell’unità del suo scopo finale universale e degli interessi particolari degli individui, nel fatto che essi hanno doveri di fronte ad esso, in quanto hanno, in pari tempo, diritti.» (Hegel, Lineamenti della filosofia del diritto) 3.4. la distinzione dialettica tra morale ed etica Morale ed etica, termini fino ad ora considerati per lo più come sinonimi, nella filosofia di Hegel non solo si differenziano e disgiungono ma si oppongono in una contrapposizione di carattere dialettico; opponendosi diventano però momenti di rimando in una sintesi che negando le unilateralità conserva ciò che analiticamente oppone. 3.4.1. l’infinito dall’astratto al concreto. La morale è coscienza e impulso pratico verso una libertà infinita; nascendo dalla coscienza essa è destinata a restare un’aspirazione infinita ma astratta e interiore. L’etica è il passaggio dalla coscienza della libertà alla libertà reale ma in modo che la libertà conservi quella stessa infinità da cui era contrassegnata quando si presentava nella forma della moralità. L’etica è l’ambito in cui la libertà nella sua forma infinita, scoperta e vissuta solo come aspirazione nel sentimento morale, non resta astratta e nella condizione del desiderio, ma diventa concreta e fattivamente operante nella sua dimensione infinita. Questo è possibile nella concretezza oggettiva delle trame sociali che nello stato trovano fondamento sistematico in un principio di sviluppo organico in quanto lo stato è principio assoluto, oggettivazione storica dello Spirito. Lo stato quindi è la realtà dell’etica e suo momento supremo. Ed è una «totalità etica» in quanto attua la sintesi dialettica dei concetti, prima opposti, di libertà e di legge, di privato e di pubblico, di naturale e di positivo. 3.4.2. armonie etiche ma non conciliazioni. Poiché nelle sue leggi lo stato ideale e assoluto esprime la razionalità in forme storiche e crea le condizioni per la realizzazione concreta e universale della libertà, allora l’obbedienza alla legge perde l’aspetto coercitivo che normalmente le viene attribuito si inserisce in una condizione suprema di armonia: è il contesto in cui l’individuo compone armonicamente diritti e libertà individuali, equilibra la propria natura pienamente realizzata con le forme universali della ragione, porta a compimento l’unità etica con il destino storico, razionale di un popolo. Il senso e l’opportunità di una distinzione tra morale ed etica come distinzione tra due poli irrinunciabili: risultano esigenze imprescindibili la libertà come aspirazione interiore infinita Sergio Gabbiadini 13 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 (morale) così come la libertà infinita nella concretezza delle forme di vita individuali e sociali (etica). Le due esigenze entrano in relazione, negando la propria unilateralità e realizzandosi nella sintesi concreta: l’aspirazione morale si confronta con le forme reali dell’etica e la concretezza dell’etica conserva nella relazione alla morale la forza di un progetto infinito di libertà. 4. temi in dibattito e questioni aperte, contesti di relazione Kant - Hegel (diversità di posizioni su temi ricorrenti) 4.1. il metodo dialettico 4.1.1. le aperture della logica oltre un sistema deduttivo geometrico. La dialettica è termine che accompagna l’esposizione della logica soprattutto nelle filosofie tra 1700 e 1800 e compare con centralità nella Critica della Ragion pura di Kant e nella Scienza della Logica di Hegel. In entrambi la dialettica ha il compito di evidenziare e sostenere la naturale tendenza della ragione alla sistematicità e introduce strumenti non compatibili con un modello logico rigorosamente geometrico deduttivo: le idee come principi trascendentali (Kant), la contraddizione come condizione di identità (Hegel). 4.1.1.1. Kant: dialettica e idee. Tendenza della ragione è trovare per la conoscenza condizionata dai dati dell’esperienza quell’incondizionato con cui la catena dei concetti formulati dall’intelletto trova una unità compiuta e sistematica. In tale compito di sistematicità la ragione guarda alle idee come ai propri punti focali: si tratta di principi propri della ragione, e quindi a priori, che indicano la completezza incondizionata nei tre campi di possibile sistematicità: cosmo, io, Dio. In quanto principi propri della ragione svolgono un compito regolativo che consiste nel prescrivere e guidare l’intelletto verso la composizione dei propri concetti in una unità sistematica e assoluta. La rilevanza del compito proposto dalle idee sembra trovare ulteriore forza nei tentativi della ragione di dimostrare l’esistenza metafisica di questi principi, di presentare cioè le idee come realtà trascendenti e non solo principi trascendentali, indicatori di realtà e non indicatori di progetto. In questo sforzo di autosuperamento, di dimostrazione dell’esistenza e definizione di quella totalità che è nella ragione come principio ordinativo, la mente umana si avvolge in contraddizioni, paralogismi, antinomie, sofismi…in una selva di errori dai quali viene salvata solo attraverso una implacabile attenzione critica che la ragione stessa, come antidoto interno, è in grado di attivare, restituendo così alle idee il loro specifico ruolo di principi logici di sistematicità. «I concetti della ragione…sono semplici idee, e non hanno certamente nessun oggetto in un’esperienza qual sia, ma non perciò essi designano oggetti immaginati e insieme ammessi come possibili. Essi sono pensati soltanto problematicamente per fondare in relazione ad essi (quali funzioni euristiche) i principi regolativi dell’uso sistematico dell’intelletto nel campo dell’esperienza.» (Critica della ragion pura, p. 590) 4.1.1.2. Hegel: dialettica e contraddizione, movimento logico della realtà e del pensiero. Per giungere alla piena conoscenza filosofica dei modi in cui l’attività infinita dello Spirito assoluto si svolge in sistema reale e razionale Hegel propone, come unico strumento di metodo, la «dialettica». A differenza della semplice sofistica «la cui essenza consiste nel far valere nel loro isolamento le determinazioni unilaterali e astratte, secondo quanto è di volta in volta richiesto dagli interessi dell’individuo e dalla sua situazione particolare», la dialettica è in grado di mostrare «il movimento razionale superiore in virtù del quale termini in apparenza separati passano l’uno nell’altro... determinazioni opposte sono considerate non per ciò che ciascuna di esse ha di unilaterale, ma in quanto hanno la loro verità nella loro soppressione, nell’unità del loro concetto». Alla dialettica Hegel affida il compito di ricondurre le molteplici e contrapposte determinazioni in cui prendono forma il pensiero, la natura, la società, la storia all’unità dei concetti della ragione nei quali ciascuna di esse perde quanto ha di unilaterale, immediato, relativo, per manifestarsi come momento necessario di un processo razionale. La verità non risiede, infatti, in ciò che è isolato e parziale e non può perciò essere svelata dall’intelletto, che divide e contrappone, che considera ogni Sergio Gabbiadini 14 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 determinazione in se stessa, al di fuori di qualunque relazione con il processo dialettico di cui è un momento; la verità è colta dalla ragione nell’intero, nello svolgimento complessivo del movimento logico dialettico. È uno sviluppo che si presenta come un superamento; in esso sono presenti sia il togliere sia il conservare (significati entrambi del termine Aufhebung, usato a questo proposito da Hegel): ogni determinazione è negata nella sua unilateralità e insieme conservata come momento parziale nella nuova figura in cui si trasforma; quest’ultima, proprio per la caratteristica di presentarsi non come un risultato esterno al rimando tra i due opposti, ma come la loro stessa relazione sempre in atto, ha il nome specifico di “concetto” (Begriff) di “universale concreto”. In questo sviluppo ogni determinazione dice rimando essenziale e necessario all’altro che determina e da cui è determinato e all’insieme organico del sistema. 4.1.2. nella dialettica, diversamente intesa, un impulso comune: si tratta di una logica del movimento per la trascendenza e l’alterità in vista di un universale che non si separa come elemento generale e per via di astrazione dal particolare, ma come “universale concreto” (concetto) che include in sé gli elementi particolari e ne costituisce la comprensione unitaria e sistematica. «Solo quando sono stati spinti all’estremo della contraddizione, i molteplici diventano attivi e viventi l’uno di fronte all’altro, e nella contraddizione acquistano negatività, che è la pulsione immanente del muoversi e della vitalità.» (Scienza della logica, 493). 4.2. la questione dello stato etico e il rapporto mezzi - fini 4.2.1. Poiché lo stato è oggettivazione dello Spirito nella forma di un universale concreto, non ha nulla da spartire con forme di stato espressione della volontà e dell’arbitrio del monarca di turno che si proclami assoluto; la razionalità che per definizione metafisica, logica e storica lo caratterizza si traduce in denuncia preliminare di quei regimi in cui l’arbitrio e la violenza di parte prevalgono sulla razionalità oggettiva e sistematica. L’opposizione tra etica e morale, inoltre, è di tipo dialettico, si fonda su di un contrasto che mantenendo gli estremi come tali li lega strettamente (la sintesi è rimando: «il togliere è insieme conservato il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è annullato» Scienza della logica, 100). Lo stato per Hegel, realtà dell’etica, è il luogo in cui la morale diventa struttura oggettiva della società, realizza il proprio fine; nella realtà delle sue strutture sociali storiche trova oggettività il concetto di libertà in vista del bene; lo stato può essere considerato come l’attuazione storica del “sommo bene” indicato da Kant, ma qui ripreso non solo come scopo interno, trascendentale, non solo come oggetto di un concetto, ma come universale concreto e quindi in realizzazione storica, ad impedire che ciò che la morale proclama si fermi all’ambito di una soggettività interiore. In tale contesto l’umanità non è trasformata in mezzo, ma nello stato resta il fine. 4.2.2. Nella filosofia politica di Hegel è in atto una riduzione dell’etica a politica: poiché lo stato è proclamato assoluto, in quanto oggettivazione dello spirito, è l’etica a derivare dalla politica e non viceversa. Si tratta di una teoria politica che mette in luce, con rigorosa consapevolezza teorica, la ripresa, nella riflessione politica generale, della concezione positiva dello stato. Il potere non è soltanto un’istanza negativa che per urgenze di carattere sociale e di bene generale pone dei limiti alle libertà individuali, creando però così il contesto per la loro realizzazione, è invece, positivamente, una strategia che impone norme di comportamento, si spinge a regolamentare ogni aspetto del vivere sociale e individuale (fino al controllo, catalogazione e organizzazione del desiderio?); affianca al quadro del proibito e del non lecito il progetto di essere fonte unica e programmata del consentito e di ciò che libera e realizza l’uomo. La morale, espressione della libertà individuale, e quindi la soggettività, la persona viene collocata in un sistema di finalità a lei superiore e trasformata in momento del sistema razionale concreto (in mezzo?). Si tratta, nella concezione di Hegel, di una trasformazione che è realizzazione, è “condurre vita dell’universale” e così realizzare l’aspirazione e la natura intrinseca di ciascuno sottraendo la persona al suo, altrimenti inesorabile destino di finitudine e tramonto. L’uso storico della teoria dello Stato Assoluto ha finito per attribuire alla teoria etica di Hegel e dello Stato etico i tratti di uno Stato – dittatura in cui la razionalità non solo si è fatta astratta e quindi negata nella sua essenza e natura Sergio Gabbiadini 15 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 dialettica, è stata cioè separata dai suoi momenti concreti (lo Stato dai cittadini), ma è stata completamente negata come anima di un sistema armonico e completo. Di fronte al totalitarismo politico che una simile diffusa e distorta interpretazione finisce per sostenere e, senza troppi distinguo, contro le tesi dello Stato etico formulate da Hegel ritorna storicamente il richiamo di Kant nella seconda formula dell’imperativo categorico: «agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.» poiché «Ogni essere razionale esiste come fine in se stesso». 4.3. determinatezza, finitudine e il tema della morte nella dialettica logica generale e nella dialettica dell’agire umano (la dialettica del finito, della finitudine e del suo interno trascendersi [presente nei postulati etici indicati da Kant e nella logica del determinato elaborata da Hegel] 4.3.1. Kant: il tema del limite come opportunità e definizione. La filosofia critica di Kant affida al limite la chiarificazione delle possibilità della ragione, della volontà e del sentimento, la definizione delle rispettive forme a priori, la correttezza nell’esercizio delle tre facoltà dell’uomo, la possibilità di controllarne riflessivamente il comportamento e risolvere errori ed aporie. Il limite dunque diventa definizione e fondamento di un uso della ragione che permette all’uomo di muoversi verso un’età illuminata, sorretta dal coraggio del far uso delle proprie facoltà. 4.3.2. Hegel: il tema del finito nella logica del determinato. Il determinato, il finito, ha nella propria logica (di tipo dialettico) l’estinguersi e il perire; il finire e il rimandare ad altro, il togliersi della mestizia della propria finitudine. «La finità. L’esserci è determinato. Il qualcosa ha una qualità, e in questa qualità non è soltanto determinato, ma ha un limite. La sua qualità è il suo limite, come affetto dal quale esso riman dapprima un esserci affermativo, quieto. […] Quando delle cose diciamo che son finite, con ciò s’intende che non solo hanno una determinatezza, che non solo hanno la qualità come realtà e determinazione che è in sé, non solo son limitate, così da avere poi un esserci fuor del lor limite, — ma che anzi la lor natura, il loro essere, è costituito dal non essere. […] Il pensiero della finità delle cose porta con sé questa mestizia, perché una tal finità è la negazione qualitativa spinta al suo estremo, perchè alle cose nella semplicità di cotesta determinazione, non è più lasciato un essere affermativo distinto dalla lor destinazione a perire. La finità […] è la categoria cui sta più ostinatamente attaccato l’intelletto. […] L’intelletto persiste in questa mestizia della finità, facendo del non essere la destinazione delle cose e prendendolo insieme come imperituro e assoluto. […] Se non che tutto sta a vedere se in questo modo ci si ferma all’essere della finitezza, se la caducità, cioè, persiste, oppure se la caducità e il perire perisce. Ora che questo non avvenga, ciò si ha di fatto appunto in quella veduta del finito, la quale suppone che il finito abbia il perire per suo ultimo. È affermazione espressa che il finito sia incompatibile e incongiungibile coll’infinito, che il finito sia assolutamente opposto all’infinito. […] Se il finito non deve persistere di fronte all’infinito, ma perire, allora, come già fu detto, l’ultimo è appunto il suo perire, e non l’affermativo, che sarebbe solo il perire del perire. […] Questo è da portare alla coscienza; e lo sviluppo del finito fa vedere che, essendo questa contraddizione, il finito si distrugge in sé, ma risolve effettivamente la contraddizione, non già ch’esso sia soltanto caduco e che perisca, ma che il perire, il nulla, non è l’ultimo, ossia il definitivo, ma perisce.» Hegel G.W.F. 1812-1816 Scienza della logica, ed. Laterza, Bari 1968, pp. 128-130 (passim) Osserva Marcuse «Il continuo morire delle cose è dunque anche una continua negazione della loro finitudine. Questa è l’infinità. … L’infinito è dunque proprio l’intrinseca dinamica del finito compreso nel suo significato reale. Esso consiste solo nel fatto che la finitudine “esiste solamente nel suo passare oltre”» (H.Marcuse, Ragione e rivoluzione, 166). 4.3.3. Come bilancio tematico finale. Il tema della morte incide fortemente sull’etica in quanto interferisce con i progetti e gli scopi del vivere umano; ma ad incidere ed essere determinante non è la morte in sé ma il tipo di rapporto che il singolo conserva con la certezza del morire. La rimozione della certezza della morte di fronte al desiderio dell’immortalità o alla scelta della sola dimensione presente, oppure, al contrario, il mettere in conto la morte come tratto che delinea il tempo dato a Sergio Gabbiadini 16 etica in modelli storici TU 2009 Kant Hegel incontro 6 ciascuno si traducono in una diversa assunzione di responsabilità etica nei confronti del presente; le due prospettive immettono nei progetti e nell’agire etico una dimensione temporale di lunghezze ben diverse quando nello scegliere e nell’agire si ragiona anche intorno agli effetti possibili e prevedibili, e di lunga durata, delle nostre azioni. La dialettica del superare e conservare attribuisce alla “finità” e al suo necessario perire (il togliersi della finità, il suo negarsi) la caratteristica di quella immortalità etica che Kant poneva a postulato del concetto di sommo bene. Si tratta di riflessioni che pongono all’etica, come finalità interna, il concetto del convergere delle azioni, necessariamente finite, verso quella realizzazione etica infinita e sistematica nella quale la loro stessa finità trova attuazione e scopo e trova quindi il proprio termine e il proprio perire (la finità viene eticamente tolta, come negazione della negazione), per procedere nella direzione di «un mondo per noi ora invisibile ma sperato»: «… senza un mondo per noi ora invisibile ma sperato, le idee sovrane della moralità sono bensì oggetti di approvazione e di ammirazione, ma non motivi di proposito e di azione, poiché esse non adempiono tutto il fine, che per ogni essere ragionevole è, naturalmente e dalla stessa ragion pura, determinato a priori e necessario». (Kant, Critica della ragion pura, 617). Sergio Gabbiadini 17