LAICI: VOCAZIONE E MINISTERI Introduzione Non sono passati molti anni da quando una delle figure più luminose del laicato italiano, Giuseppe Lazzati, scriveva: «Personalmente sono convinto che il problema del laicato cristiano sia il problema principe della Chiesa di oggi» (G.Lazzati, Il laico, Roma 1986). Sembra accogliere questa intuizione la Chiesa di Prato che, riunita in Convegno Pastorale, si raccoglie stasera attorno al tema: Laici in Diocesi: dalla collaborazione alla corresponsabilità. Cercherò di percorrere con voi questo tema fermandomi su tre punti fondamentali: 1) Laici consacrati nel Battesimo; 2) Laici sotto il segno della Comunione; 3) Laici sotto il segno della Missione. Quanto potremo dire sarà certamente sommario e poco più che accenno, ma tenteremo comunque di dare una percorrenza, almeno schematica, su un tema tanto ampio. 1) Laici consacrati nel Battesimo Il Nuovo Testamento ha una ricca terminologia per indicare l’evento battesimale: esso è chiamato “lavacro, illuminazione, sigillo” ma soprattutto “immersione”. Battezzare significa immergere, sommergere: questo è il termine base e l’immagine sorgiva da cui il Nuovo Testamento parte quando vuole esprimere cosa avvenga nella vita di una persona a seguito dell’incontro di fede con Cristo. Essere battezzati vuol dire essere immersi in Cristo: da qui partirà il testo classico per la teologia battesimale del Nuovo Testamento (Rom 6, 1-14). Da qui occorre partire se vogliamo dirci con serietà e profondità, non in maniera solo funzionale, chi è il laico cristiano e qual è la specificità del suo tracciato nella vita della Chiesa e del mondo. Lo faremo in tre momenti. 1.1 Il battesimo come consacrazione 1.1.1 Immersione; sigillo Quell’essere immersi in Cristo che la terminologia e l’immagine sorgiva del Nuovo Testamento trasmette, ha una valenza ed una traduzione importante ed immediata: il laico è un consacrato nel sacramento battesimale. Poiché essere battezzati, cioè immersi, vuol dire che tu non sei più tuo, che non ti appartieni più, che non te ne vai più a percorrere tue autonome geografie, a respirare in tue autosufficienti atmosfere, ma Cristo è divenuto il tuo mondo, Lui è ora la tua vita, Egli è come l’habitat nel quale ti muovi, respiri e vivi. Tu sei cioè un consacrato, vale a dire un appartenente, un “non più tuo” poiché Egli, in senso forte ed esigente, ti ha reso Suo. Lo scriveva con toni marcati la 1° lettera di Pietro: «Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili come l’argento e l’oro foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma a prezzo del sangue di Cristo, agnello senza difetto e senza macchia» (1, 18-19) mentre Paolo esprime questa appartenenza radicale con una concisione estrema che diventa quasi un grido «Noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,22-23). Nella stessa direzione va anche l’altra immagine del Battesimo presente nel Nuovo Testamento, quella del sigillo. Scrive Paolo nella 2 Cor: «E’ Dio stesso che … ci ha impresso il sigillo ed ha posto nei nostri cuori la caparra dello Spirito» (1,22) ed in Ef 4,30 esorta: «Non vogliate rattristare lo Spirito di Dio col quale foste segnati col sigillo per il giorno della redenzione». L’intero libro dell’Apocalisse, poi, presenta i salvati come coloro che hanno ricevuto il sigillo di Dio sulla loro fronte (cfr. Ap 7). Questo sigillo è un segno di appartenenza e di una appartenenza indelebile che entra a marcare in radice l’identità ed il cammino della persona. In questo senso, dicevamo, il laico è un consacrato nel 1 Sacramento battesimale. Cristo ha preso un radicale possesso della sua vita ed egli non è se stesso se non nella misura in cui accoglie questa presenza e le permette di diventare pervasiva della propria esistenza, sino a rimanerne colmato e significato. 1.1.2 Lo Spirito, vincolo unitivo E’ lo Spirito il vincolo di questa appartenenza, l’olio fluente di questa consacrazione. Per lo Spirito il Cristo è consacrato dal Padre ed inviato nel mondo: in Gv 10, 36 Gesù si presenta come Colui che «il Padre ha consacrato e inviato nel mondo» e nella sinagoga di Nazareth, in quell’episodio che è per Luca il portale d’ingresso nella vita pubblica, Gesù si presenta con le parole dell’antica profezia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha inviato per annunziare l’evangelo ai poveri» (Lc 4, 18). Lo Spirito segna la consacrazione di Gesù, cioè la Sua radicale appartenenza al Padre, lo Spirito è il vincolo personale di quella unità di natura che vi è tra Padre e Figlio. Questo stesso Spirito, nel Sacramento Battesimale diventa il vincolo personale di quella unità di grazia che vi è tra il Figlio e noi. Così il Battesimo ci consacra a Cristo attraverso l’effusione unitiva dello Spirito, come Cristo è consacrato al Padre attraverso l’effusione unitiva dello Spirito stesso. Nella centralità di Cristo e dell’appartenenza a Lui il dinamismo dell’amore trinitario si riverbera e si riversa nel cuore del battezzato: «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che ci è stato dato» (Rom 5,5). 1.1.3 La Santità Se il Battesimo è la tessera-base per comprendere il dono che ciascuno ha ricevuto e per intendere la consacrazione laicale, esso è anche il tracciato, la grande strada aperta che segna il cammino e l’approdo di tutta la vicenda cristiana: la Santità. Pronuncio quasi con trepidazione questa parola, Santità, perché uno strano percorso teologico e spirituale della Chiesa nella storia ha finito per renderla antipatica o almeno una parola-sbadiglio: non più immediatamente affascinante e travolgente, come doveva suonare alle sorelle e ai fratelli delle prime generazioni cristiane. Essi quando dovevano darsi un nome, indicarsi, si chiamavano “santi”. Ed in questa parola rimaneva segnata la novità da vertigine che con la persona di Gesù aveva fatto irruzione nella loro vita, ciò che li distingueva in profondità dal mondo e dai pagani, ciò che li univa in maniera inconfondibile tra di loro, ed anche l’inaudita speranza che ciascuno di loro custodiva nel cuore: l’incontro imperdibile con il volto svelato del Signore. Ecco, dobbiamo ridircele questa parola stasera: Santità, e dobbiamo risignificarla dentro noi stessi, gli uni davanti agli altri ed insieme dinanzi al mondo. Il Battesimo consacrandoci a Cristo ci destina, vorrei dire ineluttabilmente, ad essere santi. La Santità è l’esperienza vissuta di quella appartenenza, è il cammino che ci espropria e ci consegna a Lui, è questo continuo lasciarci escasare nella forza dello Spirito dall’egoismo, dall’indifferenza, dalla mediocrità, dal peccato e dalla lontananza, per progressivamente trovar casa nella persona di Gesù e nel suo Vangelo. La santità è la vocazione del Cristiano, è la comune vocazione di ogni persona nella Chiesa, secondo l’espressione del cap. V della Lumen Gentium. E’ come dire che battezzati si diventa, dentro il battesimo si entra, in Gesù Cristo ci si immerge con progressività; lungo il tracciato della vita. Allora dall’immersione battesimale all’inizio dell’esistenza nasce quel progressivo immergersi nella vita nella persona di Gesù e del Suo Vangelo che è la vita cristiana, il cammino del discepolato, fino a quell’essere immersi con Lui nella morte per risorgere, trasfigurati con Lui, alla Vita: «Se infatti siamo stati completamente uniti a Lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua Resurrezione» (Rom 6,5) Così l’approdo ultimo del cammino cristiano è ancora la Santità, come misura colma del nostro battesimo, della nostra consacrazione, della nostra immersione in Cristo: in Lui saremo battezzati, cioè immersi nella visione e nella comunione di Vita Trinitaria. E’, in sintesi, quella scansione della Santità cristiana che segna l’inizio, la strada, la meta: la santità ontologica, la santità etica, la santità escatologica. Ecco, abbiamo fin qui detto due cose che parrebbero ovvie, ma che si sono lungamente ottenebrate 2 ed eclissate nella memoria della Chiesa attraverso i secoli. Veniamo da un recente e, per certi aspetti, perdurante passato in cui il laico era, ecclesialmente, un amorfo, quasi un apolide nella Chiesa. La consacrazione e la vocazione alla santità appartenevano per definizione e per appropriazione al clero e ai religiosi, i laici erano solo i non-preti, i non-frati, le non-suore. I laici erano i “non”, definiti per negazione, individuati dal loro” non essere” qualcuno o qualcosa di significativo. Scrive con un certo humor Giuseppe Lazzati: «Alla Chiesa risultavano appartenenti due popoli: quello degli eletti, costituito dal papa, dai vescovi, dai sacerdoti, dai religiosi e quello comune, il popolo di coloro per i quali bisognava accontentarsi che non combinassero il peggio, i laici» (Op.cit., 12). Da questa impostazione risultava una figura di laico come esecutore, come forza-lavoro dentro la vicenda pastorale della Chiesa. Era già grande azzardo pensare al laico come ad un “collaboratore” cioè come a uno che lavora, che fatica, magari che pena con te. Su questo angusto orizzonte davvero il Concilio ci ha spiazzati e per certi aspetti “convertiti” tutti. Esso ci ha condotto in una terra più biblica e più vicina alla poderosa riflessione teologica dei primi secoli, riconsegnandoci quelle due elementari ma fontali affermazioni che stasera noi abbiamo percorso biblicamente: il laico non è un amorfo nella Chiesa: egli trae la sua identità ed il suo specifico percorso dalla consacrazione battesimale, in forza di essa il laico, come ogni altro stato di vita nella Chiesa, è un chiamato alla santità con quelle specifiche modalità di realizzazione che gli competono e che avremo modo di precisare. 1.2 Il Battesimo come appartenenza ecclesiale 1.2.1 Comunità di eguali La consacrazione battesimale, mentre da un lato determina l’appartenenza a Cristo, dall’altro la specifica e la concretizza in quell’evento di comunione che è la Chiesa. Non si tratta di due diverse appartenenze, ma dell’unico “noi siamo di Cristo” che ci costituisce suo corpo e sue membra. La lettera ai Romani scrive: «Noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo» (12,5) e, più articolatamente la 1 Cor: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un Corpo solo» (12, 12-13). E’ dunque l’azione dello Spirito, vincolo unitivo nella Trinità e nella storia, che ci concorpora a Cristo, attraverso il Sacramento del Battesimo e dell’Eucarestia. Il laico cristiano trova perciò nella Chiesa quaggiù, la sua casa e la sua patria. E poiché questa appartenenza è fondata sull’agire personale dello Spirito nel Sacramento battesimale ed eucaristico ne consegue che la Chiesa è essenzialmente e definitivamente un evento di unità, cioè una comunità di eguali. Ribaltando classiche impostazioni “piramidali” e discensionali la Lumen Gentium, dopo aver parlato della Chiesa come “Mistero”, pone come suo secondo capitolo la Chiesa come “popolo di Dio”, cioè come evento di comunione e di unità e solo successivamente (cap. 3) viene a trattare della sua articolazione gerarchica. Nella Chiesa si è dunque per origine, per ontologia e per destinazione degli eguali, in dignità ed in valore, si è tutti senza eccezione od intensificazione “figli nel Figlio” di Dio. Ogni altra diversificazione tra laici e chierici, laici e ministeri ordinati è successiva, funzionale e finalizzata a rimanere e costruirci come “comunità di eguali”. Ciò che con la Chiesa sorge, ciò che in essa permane, ciò che essa compiutamente diverrà è questo evento di unità e di comunione che supera, precisa e motiva ogni successiva diversificazione, l’esser chierici o laici. Non per niente nel Nuovo Testamento il termine “laikos” non esiste, mentre gli appartenenti alla comunità cristiana sono chiamati i Santi, eletti, discepoli e, soprattutto, fratelli. Non per niente sappiamo che, nella Gerusalemme del cielo verso la quale peregriniamo, non vi sarà più una gerarchia di ordine (vescovi, presbiteri, laici) ma solo e per sempre una gerarchia di amore, di agape: l’ultimo ordine di grandezza che rimane è quello della Santità. 3 1.2.2 Pluralità di carismi e ministeri Questo evento di unità che la Chiesa è, questa basilare uguaglianza di cui abbiamo parlato non significa confusione di ruoli, intercambiabilità di ministeri, o ripetitività di carismi. Questo vorrebbe dire, in ultimo, insignificanza ed irrilevanza di ruoli, ministeri e carismi. L’unità cristiana, che è originalissima, ad immagine della comunione trinitaria, sa coniugare eguaglianza e distinzione, unità e diversificazione, a servizio e per la promozione della Comunione. Perciò il Nuovo Testamento parlandoci della Chiesa come unico corpo, e corpo di Cristo, non ci parla di un organismo uniforme e indifferenziato, ma piuttosto di una molteplicità di funzioni, di ministeri, di carismi nell’unità del corpo: «Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito, vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore, vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti. Ed a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune» (I Cor 12, 4-6). Su questa pluralità di ministeri nel Nuovo Testamento vorrei sottolineare cinque aspetti, poiché essa ci dà il quadro referenziale e la situazione paradigmatica cui dovremo riferirci quando, più avanti, parleremo della ministerialità laicale. a) Il ministero di Cristo Al centro del Nuovo Testamento è l’immagine di Cristo-Servo e del Suo ministero reso al Padre ed al mondo in ordine alla Salvezza. E’ questa la Sua diaconia, per certi aspetti irripetibile, inarrivabile, per altri consegnata alla Chiesa e vigente nella sua vita attraverso i secoli. Il ministero di Cristo, il suo servizio, è essenzialmente la vita donata per la nostra salvezza: «Voi sapete che i capi delle nazioni le dominano ed i loro grandi esercitano su di esse il potere. Tra voi però non sia così: chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi si farà servo di tutti. Il Figlio dell’Uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per le moltitudini» (Mt 20, 25-27). b) Il ministero della Chiesa La diaconia di Cristo al Padre e al mondo è raccolta, custodita, continuata nella Chiesa che, nel suo insieme, prolunga il servizio messianico, il ministero profetico, regale e sacerdotale per la salvezza dell’uomo. Al ministero di Cristo risponde dunque e fa seguito il ministero della Chiesa e solo conseguentemente e dipendentemente il ministero ed i ministeri nella Chiesa. c) I ministeri nella Chiesa Questo evidenzia che nessun ministero è un percorso privato, sia pure supportato da buona volontà e disponibilità, nelle sue origini come nel suo compiersi. Ogni ministero sorge nel tessuto vivo di una comunità cristiana, con essa rimane in connessione vitale nel suo formarsi, da essa attende di essere chiamato, riconosciuto, accolto e inviato. A vantaggio della Chiesa ed a suo servizio ogni ministero si compie, da essa rimane anche disciplinarmente e pastoralmente normato. d) Distinzione tra ministeri diversi Un altro elemento che risalta con chiarezza nella ricchezza di ministeri e carismi che il Nuovo Testamento conosce è che essi non sono tutti sullo stesso piano di valore e attengono in maniera diversa alla vita ed alla presenza della Chiesa. Così, nelle comunità paoline talora esuberanti di ministeri e carismi, si nota come vi sia tra di essi una gerarchizzazione e composizione (cfr. I Cor 12, 27-28): il primo dei Ministeri è quello apostolico, insostituibile per il sorgere ed il permanere della Chiesa, altri ancora gli si affiancano come la profezia e la didascalia, mentre ulteriori doni e ministeri sembrano più occasionali, eccezionali, o, per così dire, di “rifinitura” e perfezionamento del vissuto ecclesiale. Ma tutti sono doni, tutti da riconoscersi e da accogliere per non “contristare o non spegnere lo Spirito” (Ef 4,30; I Tess 5, 19). e) Subordinazione dei ministeri all’agape Un elemento che viene con forza ribadito, soprattutto da Paolo, è che la norma suprema cui ogni 4 ministero e carisma deve sottoporsi e rispondere è quella dell’agape, quella dell’amore: qui basta ricordare l’inno alla carità in I Cor 13 che fa proprio seguito alla trattazione sui carismi e ministeri del cap. 12. Così il ministero, ogni ministero o carisma, non è spicchio di potere, posto al sole, afferente al culto della personalità e neppure strada individualistica di realizzazione, di santificazione, esso è sempre ed essenzialmente gesto di amore verso Cristo e verso i fratelli, esercitato nello spazio del riconoscimento apostolico, della legittimazione ecclesiale e della effettiva costruzione dell’unità nella comunità. 1.3 Il Battesimo abilitazione alla Missione Secondo la lettura del IV Vangelo c’è una diretta connessione tra la consacrazione messianica di Cristo e il Suo invio nel mondo: è il testo già citato di 10, 36 dove Gesù indica se stesso come «Colui che il Padre ha consacrato e inviato nel mondo». Ma sarà anche opportuno notare come nei Vangeli sinottici la vita pubblica di Gesù, la sua vicenda missionaria potremmo dire, è preceduta ed introdotta dal Battesimo di Giovanni al fiume Giordano, con la discesa dello Spirito in forma di colomba. Dunque nella vicenda di Gesù la consacrazione messianica non è una specie di “privativa” che il Padre pone su di lui, ma piuttosto una “consegna” del Figlio, il Suo invio per la predicazione e la realizzazione del Regno. Anche nella vicenda cristiana si pone lo stesso dinamismo. Il Battesimo, segnando la configurazione ontologica, cioè profonda, radicale, della persona a Gesù e l’inamissibile appartenenza a Lui, rende il cammino cristiano un cammino di discepolato e perciò apre ed avvia al credente il vasto campo della missione. Essa, come vedremo, riceve specificità di percorsi e di stile nella vicenda laicale, ma realizza caratteristiche e contenuti che sono propri alla missione di Gesù e perciò paradigmatici della missione cristiana. Vorrei evidenziarne tre. 1.3.1 Missione universale Questa missione cristiana ha latitudine universale. Potremmo dire che la Consacrazione Battesimale ci volge ad una missione aperta su tutta l’ampia geografia umana. Anzi, il fatto che Gesù, nel Vangelo di Giovanni, si presenti come mandato dal Padre nel “mondo”, con le implicazioni che tale termine ha nel IV Vangelo, che nella sinagoga di Nazareth, Gesù si presenti come l’inviato per «annunziare il Vangelo ai poveri» e che la quadruplice tradizione evangelica sia concorde nell’indicare come primo e precipuo campo dell’annuncio del Regno la Galilea, ci dicono che il cammino missionario deve volgersi elettivamente a quegli spazi della geografia umana che sono spiritualmente più lontani e forse anche umanamente più degradati. Dobbiamo stare attenti a certe “timidezze” spirituali e pastorali che ci fanno sempre navigare sottocosta, aggirandoci in ambienti ecclesiali, paraecclesiali o dove siamo comunque conosciuti e riconosciuti: la parola di Gesù e la Sua strada non hanno remore: «duc in altum», ed il Papa ce lo ripete: «uscite al largo»! 1.3.2 Missione solidale Questa missione accade nel gesto e nel contesto della piena solidarietà con l’ambiente di vita da evangelizzare. La più grande figura missionaria che la storia della Chiesa abbia conosciuto, San Paolo, scriveva: «Mi sono fatto giudeo con i giudei e greco con i greci». Non si tratta di sfiorare le situazioni, di intercettarle momentaneamente o strumentalmente in vista della proposta del Vangelo. Si tratta di prendere sul serio la legge dell’Incarnazione e della compassione di Dio che non salva e non si rivela “sfiorando” ma “assumendo” la situazione dell’uomo: « Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2, 6-7). 1.3.3 Missione crocifissa Infine la consacrazione battesimale ci deputa ad una missione “crocifissa”. Essa ha cioè come unico 5 scopo e contenuto: la persona di Gesù ed il Suo Evangelo. Non possiamo e non dobbiamo nutrire sogni di messianismi intramondani, di accomodamenti con le potenze di questo mondo, siano esse politiche, economiche, culturali, mass-mediali o quant’altro. L’evangelo deve entrare realmente dentro le situazioni e gli ambiti, ma insieme deve realmente rimanere “altro” per costituire sempre un paradigma di giudizio su ogni umana realizzazione e per continuamente aprire il cammino al “di più” del Regno e di Dio. E’ quanto spinge Gesù a dire: «Il mio regno non è di quaggiù» e ad avvertire i discepoli: «voi siete nel mondo ma non del mondo». Così il cammino della missione ci chiede il difficile equilibrio di chi entra totalmente dentro senza cessare di essere totalmente “oltre” ed “altro”. E’ per questo che la missione è non occasionalmente ma strutturalmente crocifissa, perché non può mai omologarsi, non può mai cessare di essere conversionale e perciò inquietante ed esigente. Conclusa questa lunga e fondante riflessione sulla consacrazione battesimale, vediamo come essa si specifica nell’identità e nel percorso laicale, proprio traendo ad applicazione quanto il dettato biblico e la riflessione teologica ci hanno fin qui indicato. 2. Il Laico sotto il segno della Comunione Ci occupiamo anzitutto della identità e della specificità della presenza laicale all’interno della Comunità Cristiana. 2.1. I criteri della responsabilità Il Convegno Pastorale di questa Chiesa di Prato sui Laici in Diocesi sottotitola: dalla collaborazione alla corresponsabilità. Parlando della Chiesa come comunità di eguali abbiamo già avuto modo di accennare a questo passaggio. Vorrei qui limitarmi ad una breve anatomia di questa corresponsabilità dando nome ad alcuni elementi costitutivi che la realizzano e la specificano in senso cristiano. 2.1.2 Relazioni da assumere Responsabilità vuol dire anzitutto capacità di assumere relazioni, di viverci dentro, di crescervi e di farle crescere, di “portarle” anche negli spazi di opacità e pesantezza che hanno. Il laico vive all’incrocio di tre tipi di relazioni: quella con Dio, quella con la comunità civile, quella con la comunità cristiana. Queste relazioni nel loro intrecciarsi e reciproco sostenersi sono per lui non opzionali ma vitali. Esse perciò costituiscono un fatto di coscienza, non sono semplicemente circostanze o ambiti di vita e di operazione, ma dimensioni di vita dentro le quali il laico cresce e fa crescere, assume responsabilità verso Dio e verso gli altri; fa dilatare il tasso di umanità e l’apertura a Dio dentro la vita delle persone. Corresponsabilità vuol dire anzitutto, laicamente, capacità di assumersi la responsabilità e il peso delle relazioni interpersonali. 2.1.2 Competenze La corresponsabilità chiede anche acquisizione di conoscenza e di competenza. A nessuno oggi è più concesso il lusso dell’improvvisazione e la sanatoria della buona volontà. Quando in una Chiesa i laici chiedono di essere corresponsabili devono avere prima conosciuto le persone, capito i problemi, individuato le risorse e le risposte. E quando una Chiesa, come quella di Prato, chiede ai suoi laici di diventare corresponsabili deve aver offerto e continuare ad offrire possibilità di formazione organica, luoghi di riflessione e di studio, momenti di verifica e di confronto. Non si entra nella responsabilità senza preparazione ed organica formazione. 6 2.1.3 Composizione di responsabilità Corresponsabilità vuol dire essere responsabili insieme ad altri, comporre il proprio apporto con quello altrui, differenziato e complementare. In questo senso la corresponsabilità si guarda dall’essere invasiva, conosce la discrezione e i limiti dell’essere propositiva e non impositiva, cerca di articolarsi con altre letture, proposte ed apporti nell’orizzonte ricco e motivante della comunione ecclesiale. La corresponsabilità non è né monotona né monocratica: non sopporta la mentalità e lo stile del “so tutto io”, del “faccio tutto io”. 2.1.4 Espressione di comunione La corresponsabilità, nel vissuto ecclesiale, è dimensione ed espressione della comunione, essa non percorre perciò vie concorrenziali o rivendicative e si compone in quella gerarchizzazione dei ministeri e dei carismi che già abbiamo rilevato presente nel Nuovo Testamento. Ministero costitutivo e normativo nella Chiesa è quello dell’Apostolo: esso permette alla Chiesa di rimanere e diventare continuamente tale. La ministerialità laicale non è pertanto una specie di esuberanza anarchica, ma si compone e si sottopone al ministero apostolico dal quale riceve discernimento e riconoscimento nella Chiesa. Questo comporsi di ministeri e di carismi attorno al ministero dell’Apostolo è caratteristica e specifica della corresponsabilità ecclesiale. Non può pertanto non sorprendere la vicenda di diocesi o parrocchie dove si incontra un alto tasso di litigiosità tra presbiteri e laici. In alcune parrocchie non appena i laici si affacciano alla corresponsabilità, litigano con i preti. Siamo dinanzi ad una composizione di poteri più che al comporsi dei diversi ministeri sotto il segno della comunione. E’ vero che portiamo tutti sulle spalle una pesante eredità di mentalità e di prassi ecclesiale proveniente dal nostro passato, ma tanto più e a maggior ragione dobbiamo tenerci lontani dal clericalismo dei preti e, cosa assai peggiore, dal clericalismo dei laici, e continuamente tornare alle motivazioni ed alla prassi di comunione che oggi la Chiesa ci indica per ricostruire il clima e lo stile della corresponsabilità. 2.1.5 Amore alla Chiesa Un ultimo elemento, già più volte emerso, che occorre richiamare parlando di corresponsabilità dei laici nella Chiesa, è l’amore. Non c’è corresponsabilità laicale né ci potrà mai essere se non nasce e non si esercita in un intenso clima di amore alla Chiesa. Potrà essere intelligente spartizione di potere, potrà essere prepotenza di laici o debolezza di pastori, potrà essere organizzazione eccellente o calcolo di furbizia, potrà essere culto della personalità, ma non potrà mai essere corresponsabilità di laici nella Chiesa se dentro le persone che siamo, dentro le idee che portiamo, dentro le cose che facciamo non c’è un amore alla Chiesa più forte delle persone, delle idee e delle cose stesse. In ultimo la corresponsabilità, come espressione di comunione, è una germinazione dell’amore. 2.2 Una Chiesa tutta ministeriale Parlando della ministerialità e dei carismi nel Nuovo Testamento abbiamo detto come alla centralità della persona di Gesù-Servo e del ministero/diaconia che Egli rende al Padre ed al mondo in ordine alla Salvezza, risponde la Chiesa che raccoglie, custodisce, prolunga nel tempo il gesto ed il valore del servizio messianico. Una Chiesa che custodisce il ministero di Cristo significa nei fatti una Chiesa tutta ministeriale, cioè «tutta dotata e preparata, tutta compaginata e mobilitata con la molteplicità delle sue membra al servizio della propria missione nel mondo. Solo una Chiesa tutta ministeriale è capace di un serio e fruttuoso impegno di evangelizzazione e di attuazione di tutte le possibilità evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nella realtà del mondo» (Evangelizzazione e Ministeri, 18). Sotto il tema dei ministeri si possono infatti affrontare i gravi problemi che una Chiesa locale oggi vive, problemi di edificazione della comunità cristiana, di vitalizzazione dello spirito di 7 appartenenza, problemi di formazione e di crescita, problemi di missione e di annuncio al mondo. Ma sotto il tema dei ministeri, una Chiesa locale riconosce anche con gioia le sue risorse, le disponibilità al servizio che sorgono dentro di lei ed attorno a lei, le strade che il Signore le apre dinanzi, le potenzialità, a dire il vero non sempre attuate, di coinvolgimento e di crescita. Il tema della ministerialità e della ministerialità laicale ci riconduce intanto ad accorgerci come la vocazione non sia uno specifico dono a qualcuno riservato, ma componente ordinaria dentro ogni vicenda cristiana. Nella comune vocazione alla Santità che appartiene ad ogni membro del popolo del Signore, si specifica la chiamata con cui ciascuno percorre il proprio tracciato di realizzazione e di risposta, sostenendo e realizzando in questo un servizio al cammino degli altri e della comunità tutta. Allora una Chiesa tutta ministeriale e, specificatamente, ministeri laicali, rimanda ad una Chiesa tutta vocazionale e, specificatamente, vocazioni laicali. Sotto questo aspetto sarebbe certo necessario che nelle nostre parrocchie i cristiani capissero la loro chiamata, si aprissero ad una lettura vocazionale della vita. Però in vista di questo bisognerebbe che noi stessi ci facessimo più intraprendenti, quasi raccogliendo e facendosi strumenti della chiamata del Signore, dovremmo noi stessi prendere l’iniziativa ed invitare, creare spazi di presenza e di servizio, riconoscere e promuovere le ministerialità già in atto, incoraggiare molti cristiani spettatori a scendere in campo e ad assumersi responsabilità e compiti. Ricordate la citazione biblica che il Vescovo Gastone ha posto a titolo del programma pastorale per il biennio 2000-2001: «mandò i suoi servi a chiamare gli invitati» (Mt 22,2). Questa ministerialità laicale nella Chiesa ha alcune connotazioni che non si possono dimenticare: 1. il ministero è dono di Dio, nasce cioè da una vocazione, e da una disponibilità ad offrire le proprie risorse e la propria fatica per la Comunità Cristiana; 2. il ministero è, di sua natura, ecclesiale: è un servizio per la crescita della Chiesa e per la sua missione; 3. il ministero ha una certa stabilità nel tempo: non è gesto sporadico né episodio fugace dentro la vita; 4. il ministero è riconosciuto ed accolto dalla comunità attraverso la persona del Presbitero che esercita il servizio del discernimento, dell’autorità ed il carisma della sintesi; 5. occorre infine ricordare quanto recentemente detto, cioè come ogni ministero richieda attitudine e competenza specifica, lontano da ogni improvvisazione e faciloneria. Non intendo qui entrare nella precisazione di singoli ministeri, già ben noti secondo la loro classificazione solita: ministeri ordinati, istituiti e di fatto. Vorrei solo limitarmi a porre in luce un ministero, forse il più diffuso nell'ambito laicale: il ministero familiare o ministero dei coniugi. Scrive il documento CEI Evangelizzazione e ministeri: «In forza del Sacramento gli sposi sono consacrati per essere ministri di santificazione nelle famiglie e di edificazione nella Chiesa … In una società che emargina o labilizza sempre più la famiglia … ci si deve impegnare a promuovere il ministero dei coniugi anzitutto nei confronti della crescita di fede nei figli, nei confronti poi dell'evangelizzazione delle coppie e delle famiglie deboli nella fede, con le quali esse hanno quotidiani contatti di vicinato, di lavoro, di situazioni spesso totalmente chiuse ad altre presenze ecclesiali; nei confronti infine dei fidanzati che si preparano al matrimonio» (Evangelizzazione e ministeri, 74). 2.3 Gli organismi di comunione Occorre dire qualche parola anche sugli organismi di comunione e di partecipazione ecclesiale, che appaiono talora come campi di raccolta delle tensioni e delle pesantezze che affliggono il cammino di una Chiesa, ma sono anche luoghi privilegiati di esperienza di Chiesa e di costruzione della comunione. In particolare i Consigli per gli affari economici e i Consigli pastorali sono organismi di presenza e di servizio laicale oltre che di incontro e di dialogo tra presbiteri e laici. Questi organismi sono talora avvertiti, specie dai sacerdoti, come delle inutili complicazioni ed appesantimenti alle scelte pastorali o amministrative; dai laici sono talora sentiti come spazi di potere di piccolo cabotaggio o sperimentati come semplici organismi di comunicazione di decisioni prese altrove o cinghie di trasmissione e di informazione. 8 Come sempre si tratta di mantenere un organismo ecclesiale in contatto vitale con il principio della Comunione e con la vicenda viva della comunità, oltre che di accettare personalmente e convintamene lo stile della corresponsabilità. Bisogna dire molto chiaramente che questi organismi non vivono al di fuori di una effettiva ecclesiologia di comunione. Pensare di inserirli come aggiunte a vecchi schemi o stili ecclesiali significa snaturarli e deludere. Non bisogna invece stancarci di riproporre la fatica della comunione e del sottometterci tutti al criterio dell'unità e del reciproco servizio. Occorre essere insistenti e coraggiosi nel motivare questi organismi, nel costituirli e ricostituirli, nel renderli un punto fermo ed effettivamente significativo nella vita della comunità, sapendo che questa è la fatica grigia e prolungata per la generazione di un nuovo stile di Chiesa. 2.4 Le Aggregazioni laicali Una parola devo spendere anche per le Aggregazioni laicali dove certa parte del nostro laicato vive la propria appartenenza ecclesiale. Occorre dire che esse sono un luogo importante in cui l'esperienza di Chiesa si specifica e si intensifica. Questo avviene almeno in tre forme: 1) le aggregazioni laicali costituiscono un ambito di intensificata esperienza di comunione ecclesiale. La limitatezza del numero, la reciproca conoscenza, la condivisione di specifiche motivazioni, metodi ed obiettivi, aiutano e sostengono quella comunione che è la vita della Chiesa e la sua forza; 2) esse, anche in conseguenza di quanto ora detto, possono avere significative risorse e valore per la missione. In particolare le associazioni di ambiente mediano e raccordano le specifiche problematiche o situazioni di vita con la proposta evangelica; 3) le aggregazioni laicali costituiscono un ambito valido di formazione alla crescita ed alla maturità della fede. Allo scopo valgono i metodi pedagogici che le singole aggregazioni possono proporre. Accanto a queste risorse le Aggregazioni non possono dimenticare che esse non sono la Chiesa né sono una raccolta di cristiani migliori o addirittura perfetti. Occorre molto insistere perché le singole associazioni accordino il loro cammino con quello della Chiesa locale, che sola è veramente Chiesa, e, nel suo interno, con il cammino delle comunità parrocchiali. E' assolutamente deprecabile che aggregazioni ecclesiali di laici si pensino o di fatto si comportino come Chiese parallele, prescindendo concretamente dal cammino della Chiesa locale o della parrocchia o riducendole soltanto a luoghi da cui ci si attendono prestazioni, disponibilità e servizi. Ancora una volta non dobbiamo dissipare i doni che lo Spirito reca alla vita della Chiesa ed al suo cammino di missione. occorre perciò avere "il chiodo" della Comunione che si articola poi in una vita di comunità; in modo da saper valorizzare le specificità, sollecitare le chiusure, correggere gli individualismi, sempre pazientemente e possibilmente ricondurre all'incontro ed al confronto con il cammino della Chiesa locale. 3. Il laico sotto il segno della Missione Parlando della consacrazione battesimale abbiamo visto come essa necessariamente si connette e si specifica nella missione. Il laico è un inviato, un annunciatore di Vangelo in forza della sua identità battesimale. Certo il mandato missionario si realizza nel laico con specificità di forme e di ambiti. 3.1 Costruire la città degli uomini Luogo caratteristico della presenza e dell'azione laicale è la città dell'uomo. Troppe volte le nostre chiese sono tentate di pensare al laico, alla sua presenza, al suo servizio solo dentro il "recinto 9 sacro", più precisamente nell'ambito intraecclesiale. Così parliamo del laico-catechista, dell'animatore di liturgia, dell'operatore della Caritas, dei membri del Consiglio pastorale, degli operatori pastorali in genere. Ma l'albero non può impedirci di vedere la foresta, e la foresta è il mondo, è la storia, è, appunto, la città dell'uomo: quella è in senso forte e proprio la "casa" del laico, il luogo della sua presenza, della sua vita, della sua santificazione. Non c'è profanità in questo, non c'è irrilevanza del valore religioso. E' pur vero che noi indichiamo abitualmente come profane o secolari queste realtà, ma esse sono in verità la materia prima con cui dobbiamo costruire il regno di Dio. La storia è il tempio, la vita è il culto, la testimonianza è forma di annuncio. Se prescindiamo da un forte riferimento a queste coordinate cadiamo invincibilmente nel clericalismo di una chiesa chiusa, di ragione a se stessa, dimentica dell'orizzonte della missione e della latitudine del Regno. Così il laico, per la sua specifica vocazione è posto in mezzo al mondo, dentro i compiti temporali più svariati, adempiendo in questo, nel modo che gli è proprio, il compito dell'evangelizzazione e della Missione. Scrive Paolo VI nell'Evangelii nuntiandi: «Il compito primario e immediato del laico non è l'istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale – che è il ruolo specifico dei pastori – ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti ed operanti nelle realtà del mondo» (n.70). Cerchiamo schematicamente di focalizzare alcuni di questi ambiti e di questi compiti tipici della vocazione e della missione laicale. 3.1.1 Assoggettare il cosmo E' compito e ambito che acquista sempre maggiore importanza nella cultura contemporanea, grazie ad una nuova sensibilità ecologica che deve essere molto seriamente considerata, ed anche a causa di non poche né lievi ambiguità e pericoli che vengono coagulandosi in quell'arcipelago che potremmo chiamare "l'ideologia verde". In questo campo il laico cristiano deve testimoniare quanto una lettura biblica del creato sia rispettosa e promuovente delle creature, della loro finalizzazione all'uomo, dell'obiettivo di umanizzare il cosmo senza che questo voglia dire diventare violentatori o predatori delle risorse naturali. Ma la presenza cristiana deve anche impedire l'approdo ad un neo paganesimo che in un certo senso assolutizza e deifica la natura stessa, le sue forze, le sue leggi, finendo col ridurre l'uomo a puro ingranaggio del sistema-natura, e riducendolo nuovamente schiavo di forze e di paure ancestrali da cui il cristianesimo lo ha liberato. 3.1.2 Ordinare le realtà temporali secondo Dio L'impegno del laico nel mondo è a duplice titolo: perché è uomo e perciò, come ogni altro, cittadino del mondo e responsabile del suo destino; perché è cristiano e perciò capace, per grazia, di costruire nel mondo quell'ordine di valori conosciuto dalla Rivelazione ed attuato dalla Redenzione. Il laico cristiano non può perdere di vista questo suo compito, che solo lui può realizzare: «redimere dal loro interno le realtà che sono nel mondo. Infatti non è sufficiente redimere gli uomini. Occorre poi che gli uomini … redenti a loro volta redimano le realtà del mondo, liberandole dalla schiavitù del peccato. Ossia liberandole dal modo di usarle ed assoggettarle che è proprio del capriccio umano, dell'orgoglio, dell'avarizia, della lussuria» (G.Lazzati, Il laico, p.27). Per sapere e potere fare questo bisogna essere redenti da Cristo e, con Lui, redentori. 3.1.3 Realizzare l'umanità dell'uomo E' anzitutto la propria umanità che il laico cristiano deve realizzare e la realizza a misura del suo impegno nel redimere la realtà del mondo e nel costruire la città dell'uomo. «Talora noi cristiani siamo accusati di non essere uomini nel senso pieno del termine. Se questa accusa dovesse significare che i cristiani non accettano il mondo nella sua espressione deteriore, di cui Gesù scrive: "tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, e la superbia della vita, non viene dal Padre ma dal mondo" (I Gv 2,16), … allora per i cristiani l'accusa sarebbe un titolo di onore, significherebbe che sono cristiani sul serio. Ma se invece l'espressione dovesse indicare che i cristiani, perché attendono alle cose del cielo, non sono 10 impegnati nelle cose della terra, allora sarebbe un'accusa che colpisce un punto nel quale, invece, dovremmo essere un modello… Se non si "impegna" nel senso vero della parola, che è quello di realizzare i valori che Dio ha posto nel mondo, il laico non realizza in maniera piena la sua umanità … Naturalmente questo impegno deve essere permeato, animato dai valori di grazia, senza mai separare i valori naturali da quelli soprannaturali, ma custodendo il senso della loro distinzione» (G.Lazzati, op.cit., pp 28-29). Questo chiede al laico cristiano di saper riconoscere ad accogliere i valori da qualunque parte vengano e di saper realizzare con ogni parte una collaborazione dialogica e critica. E' quanto spesso i laici cristiani non sanno fare o perché troppo "catturati" dalle appartenenze e dalle passioni di parte, o perché non sufficientemente fidenti nella forza e nell'universalità della Grazia. 3.1.4 Non separare la fede dalla vita E' compito arduo quello dei laico ed è difficile ed impegnativo il luogo in cui la propria vocazione lo colloca: il mondo, la storia. Occorre che egli viva intensamente la propria consacrazione battesimale a Gesù Cristo, l'esperienza forte e convincente di appartenere a Lui, per non appiattirsi nel modo di vivere del mondo, contentandosi di intonacare cristianamente una struttura di vita pagana o mondana. Il Vaticano II ha indicato in questo distacco tra fede e vita il più grave errore che i cristiani commettono e che spenge la presenza efficace del cristianesimo nel mondo (cfr. Gaudium et spes, 43). Se attraverso la coerenza della fede nella vita, il laico non segna la sua diversità dal mondo, non vi è efficacia della sua presenza. Egli cessa di essere sale e luce; cessa, secondo l'espressione della Lettera a Diogneto, di essere "l'anima del mondo". 3.1.5 Redimere l'amore Nel quadro dell'assunzione dei valori umani e della loro redenzione come compito del laico, occupa il primo piano il valore dell'amore. Questo si presenta in due forme caratteristiche: 1) L'amore di amicizia: esso è chiamato ad essere la base di ogni convivenza in una civitas che voglia essere pienamente umana. In forza di questo amore gli uomini si riconoscono eguali, si promuovono reciprocamente nella libertà e nei diritti, si aiutano secondo un principio di solidarietà e sussidiarietà, tutelano più decisamente il diritto del più debole. E' quel tipo di amore che dà qualità ad una società e stabilisce il livello di una civiltà. La lettura biblica della storia e, ancor più tragicamente, la lettura della nostra storia nel secolo XX, ci rendono avvertiti che l'uomo è, con le sole sue forze, bisognoso, desideroso, ma incapace a produrre questo amore di amicizia. La tragedia del peccato ha colpito l'uomo nel suo essere immagine di Dio e perciò, precisamente, nella capacità di amare come Dio ama. Occorre allora la redenzione dell'amore; occorre cioè che l'uomo redento, accogliendo il valore e l'ampio anelito all'amore di amicizia, lo renda presente nella propria vita, lo educhi, lo testimoni, lo comunichi alla vita del mondo. E questo è compito formidabile e peculiare del laico. 2) L'amore coniugale. Anche questo è sfida e compito del laico cristiano, cioè del laico che da Cristo riceve la capacità di riconoscere il progetto di Dio nell'amore nuziale e la forza per realizzarlo. Di fronte ad un tempo che ha paura dell'amore e delle sue esigenze, che si rifugia o si difende in un progetto di famiglia effimera e indistinta, il laico deve porre, con la vita, la solarità dell'amore coniugale redento che ha i suoi tratti distintivi nell'unità, nell'indissolubilità, nella fedeltà, nella fecondità. Di questo amore secondo il progetto di Dio è capace solo un uomo ed una donna che abbiano ricevuto il dono del "cuore nuovo". E' perciò compito del laico cristiano vivere l'amore redento e redimere l'amore, nella concretezza della propria situazione familiare e nell'irradiarsi di questa nell'ambiente umano prossimo, nella città, nella società. 11 3.2 Condizioni basilari dell'essere laico Ci sarebbero molti altri ambiti della presenza del laico nella storia e nel mondo che meriterebbero di essere evidenziati. Ricordo solo, tra gli altri, l'ambito socio-politico come uno dei più difficili, dei più alti e dei più trascurati. Purtroppo il tempo non mi consente di dilungarmi oltre. Preferisco perciò spendere quest'ultimo spazio nell'enucleare il metodo della presenza laicale nella costruzione della città dell'uomo, o, più precisamente, le condizioni basilari di questa presenza del laico: 1) La fedeltà all'essere cristiano, per non tradire e non scolorire la fonte e la motivazione ultima di quanto siamo venuti dicendo. Questa fedeltà segna il nostro apporto specifico, il nostro insostituibile dono alla città dell'uomo, custodisce la nostra alterità e la nostra irriducibilità agli orizzonti di questo mondo e di questa storia, annuncia "la vita del mondo che verrà" come nostro obiettivo e nostra speranza, quella che alcuni teologi, con espressione non brillante, chiamano la "riserva escatologica". 2) La competenza come capacità di rendere conto di se stessi, delle proprie scelte e motivazioni, degli obiettivi che intendiamo raggiungere. Ma competenza anche come conoscenza adeguata dell'ambito nel quale si agisce, rispetto delle sue leggi e dei suoi metodi, conoscenza delle persone con le quali interagiamo e della loro identità culturale. Una conoscenza positiva, capace di stima e simpatia. 3) L'amore critico al proprio tempo: non si riesce a servire l'uomo secondo il progetto di Dio se, come Dio, non siamo capaci di amare ciò che vogliamo servire. Ovviamente non si tratta di un amore qualunquista o indifferenziato, ma critico, cioè capace di porre discernimento e giudizio, di saper diagnosticare e districare l'intricata matassa tra bene e male dentro le persone e la loro storia. 4) L'autonomia responsabile nell'esercizio delle proprie attività di laici cristiani nel mondo. Questo chiede che nella Chiesa sia corretto il rapporto tra gerarchia e laicato, avendo presente che il compito globale è quello di redimere con Cristo il mondo e che le realtà proprie del mondo si redimono attraverso l'opera dei laici, dentro quell'evento di unità e di comunione tra fedeli e pastori che è la Chiesa. 3.3 Vocazione alla Santità Vorrei concludere questa relazione, in cui ho detto molte, forse anche troppe cose, in maniera sommaria e poco più che enunciativa, riproponendo un'affermazione che più volte è emersa nel corso di questa relazione, perché potentemente affermata dal Vaticano II: la chiamata di ogni cristiano, sia egli laico, presbitero o Vescovo, la chiamata di ogni discepolo del Signore è alla Santità. Possiamo però dire che c'è una specificità di modi, una tipicità di volti della santità nelle diverse stagioni della storia. Appartiene alla fedeltà di Dio aderire alla storia dell'uomo, appartiene alla fedeltà dell'uomo questo rispondere, con la propria cangiante storia, al dono di Dio. Allora c'è un tipo di santità che è caratteristico di questo nostro tempo, una Santità che è tipica di questa stagione della storia. E' la Santità feriale, la Santità dentro i luoghi comuni della vita, la santità come redenzione e trasfigurazione del quotidiano che la gente vive e spesso misconosce o evade. La Santità di questo nuovo millennio è, a mio avviso, mostrare che il Vangelo è possibile, che il Vangelo è vivibile, dentro la vita normale della gente normale. E' davvero, fino in fondo, la logica del lievito dentro la massa. In questo senso la Santità caratteristica del III Millennio sarà, a mio avviso, dominantemente, una Santità laicale, un cammino di radicalità evangelica nei luoghi e nelle forme che sono la vita di tutti, il quotidiano della gente. E credo che questa santità laicale abbia una potenzialità testimoniale e missionaria di altissimo profilo. Non ho timore ad affermare che se la prima evangelizzazione 12 dell'Europa pagana fu soprattutto una impresa della Santità monastica, la nuova evangelizzazione di un'Europa post-cristiana sarà soprattutto un'impresa della Santità laicale. Questo è anche il mio augurio per la Chiesa di Prato. 13 Appendice Messaggio inviato da Paola Bignardi, Presidente nazionale dell'Azione Cattolica, nella seconda sera del convegno (11 settembre 2001) Ai partecipanti al Convegno pastorale della diocesi di Prato Desidero innanzitutto rivolgere a S. E. Mons. Vescovo e a tutti i partecipanti al Convegno il mio saluto cordiale, presentando anche le scuse per la mia assenza di questa sera: serie ragioni di salute mi impediscono di tener fede a un incontro che avevo accettato con gioia, anche per l'interesse che ha per me il tema della parrocchia; essa, infatti, è il luogo nel quale ho vissuto ordinariamente la mia esperienza di fede, dove sono cresciuta, dove sempre ho cercato di tornare, anche negli anni in cui il servizio alla Chiesa o gli impegni professionali mi hanno chiesto di vivere altrove. L'incontro che idealmente vivo comunque con voi questa sera mi dà modo di ricordare, di raccogliere dentro di me le tante ragioni di gratitudine verso la mia parrocchia, verso le tante persone che vi ho incontrato e che, con la loro fede e la loro testimonianza mi hanno aiutata a crescere da cristiana e ad amare la Chiesa, La mia esperienza parrocchiale si identifica con la mia vita cristiana. Nella mia piccola comunità – che conta 850 abitanti – mi sono abituata ad avere familiarità con la Chiesa. Credo che sia nella mia parrocchia che ho imparato a vivere come naturale il legame con la Chiesa, a considerare naturale il farne parte, a sentirmi responsabile di essa. La mia parrocchia mi ha insegnato ad amare la Chiesa come la mia famiglia e al tempo stesso mi ha insegnato a viverla come un mistero, che non si poteva capire tutto e che si doveva semplicemente accogliere. Come vivere, altrimenti, le dimensioni universali della Chiesa in una comunità poco più grande di una famiglia? Come credere che la Chiesa è la vita del Risorto che continua accanto a noi quando la comunità in cui viviamo ha il nostro stesso volto, quello delle nostre fatiche, delle nostre incertezze, delle nostre speranze e delle nostre sofferenze? Proprio questo carattere apparentemente contraddittorio della vita della Chiesa nella semplicità dell'esperienza parrocchiale apre al mistero: ad una Chiesa che è mistero. Nella parrocchia si fa un'esperienza di Chiesa molto umana: nel dialogo, nelle relazioni ravvicinate di ogni giorno... ci si può lasciar isterilire nell'abitudine oppure si può dare profondità alle dimensioni del quotidiano. Credo che la mia parrocchia mi abbia insegnato a lasciarmi prendere per mano e al tempo stesso ad assumermi delle responsabilità; a lasciarmi aiutare e a dare tutto agli altri con quella concretezza che quando si vive molto vicini non consente illusioni, ma chiede una dedizione vera e gratuita; mi ha fatto gustare la gioia di essere dentro una famiglia e mi ha chiesto di saper soffrire senza meravigliarmi. Vengo dalla Chiesa di don Primo Mazzolari, che nella sua Lettera sulla parrocchia scrisse che "in parrocchia la Chiesa fa casa con l'uomo". Sono cresciuta con questa idea della familiarità della Chiesa e della familiarità di Dio con la nostra umanità, proprio dentro la parrocchia. Per questo ho imparato ad amare tutte le dimensioni dell'umanità e a credere che il linguaggio dell'umanità – fatto di calore, di cordialità, di accoglienza, di attenzione alla vita, di partecipazione alla vicende degli altri... – sia una delle parole più belle attraverso cui si può dire oggi il Vangelo. La mia parrocchia mi ha insegnato ad amare la vita: la mia, quella degli altri, la vita in sé, come segno della presenza di Dio in ciascuno di. noi. Mi ha insegnato ad amarla la vita, non a giudicarla, né a sentirla un guscio inevitabile in cui stare, ma a pensarla come lo spazio in cui si incontra Dio nella bellezza delle cose e nell'intensità delle relazioni; in cui si incontra la croce nel dolore e negli scacchi dell'esistenza quotidiana; in cui si diventa capaci di rendere testimonianza alla risurrezione proprio 14 credendo che i nostri fallimenti e il nostro dolore non sono l'ultima parola sulla vita. Non solo: credo di aver imparato, proprio nella mia parrocchia di gente semplice, a riconoscere la santità; a non cercarla negli esempi eroici e straordinari, ma nella vita delle persone umili, che hanno vissuto e vivono con intensità, con amore, con disinteresse; che sanno voler bene anche in situazioni difficili, e affrontano con pazienza – non con rassegnazione, ma con pazienza – le durezze dell'esistenza; persone che hanno accolto la vita con riconoscenza, comunque essa sia; persone che hanno saputo stare accanto agli altri non solo in maniera generosa, ma soprattutto umile e semplice; persone che hanno saputo cogliere con spontaneità la relazione tra il mistero della loro vita e quella del Signore... Queste persone ci hanno abituato a pensare che la santità è possibile; è possibile dentro le condizioni ordinarie della famiglia, del lavoro, delle relazioni sociali e politiche...: che anzi è un modo di affrontare e di vivere ciò che è comune ad ogni persona del nostro tempo. La mia parrocchia mi ha insegnato il gusto di stare con tutti e la capacità di lasciarmi sorprendere dal mistero delle persone, mi ha insegnato il valore di una comunione che non si fa a basso prezzo: quando si vive una familiarità che realizza una vicinanza quotidiana che permette di sapere tutto di tutti (pregi e difetti, problemi e fatiche), quando la vicinanza si fa così stretta, o si finisce con il non sopportarsi più, oppure si scopre che c'è una comunione, che ci viene donata dal Risorto, celebrata insieme ogni domenica nell'Eucarestia, che ci permette di rigenerare nel perdono, nella comprensione, nella misericordia... le relazioni tra noi. In parrocchia ho incontrato l'Azione Cattolica: non saprei dire se ciò che ho detto della parrocchia vale proprio per la comunità parrocchiale o vale soprattutto per l'azione Cattolica che mi è stata via per vivere intensamente la parrocchia e per amarla: forse valgono entrambe le cose. So di certo che se amo l'Azione Cattolica è perché mi è stata tirocinio di Chiesa e scuola dove ho imparato ad amarla e a servirla nella semplicità. Che il Signore benedica i vostri lavori di questa sera e di questi giorni. 15 Sommario 1 Laici consacrati nel Battesimo p. 1 1.1 1.1.1 1.1.2 1.1.3 Il Battesimo come consacrazione Immersione; sigillo Lo Spirito, vincolo unitivo La Santità p. 1 1.2. 1.2.1 1.2.2 Il Battesimo come appartenenza ecclesiale Comunità di eguali Pluralità di carismi e ministeri a) Il ministero di Cristo b) Il ministero della Chiesa c) I ministeri nella Chiesa d) Distinzione tra ministeri e) Subordinazione dei ministeri all’agape p. 3 1.3 1.3.1 1.3.2 1.3.3 Il Battesimo abilitazione alla Missione Missione universale Missione solidale Missione crocifisso p. 3 2 Il Laico sotto il segno della comunione p. 6 2.1 2.1.1 2.1.2 2.1.3 2.1.4 I criteri della missionarietà Relazioni da assumere Competenze Composizione di responsabilità Amore alla Chiesa p. 6 2.2 2.2.1 2.2.2 2.2.3 Una Chiesa tutta ministeriale Una Chiesa tutta vocazionale Connotazione dei ministeri laicali Il ministero coniugale p. 7 2.3 Gli organismi di comunione p. 8 2.4 3 Le Aggregazioni laicali Il Laico sotto il segno della Missione p. p. 9 9 3.1 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.1.4 Costruire la città degli uomini Assoggettare il cosmo Ordinare le realtà temporali secondo Dio Realizzare l’umanità dell’uomo Redimere l’amore p. 9 3.2 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 Condizioni basilari dell’essere laico Fedeltà all’essere cristiano Conoscenza e competenza Amore critico al proprio tempo Autonomia responsabile p. 11 3.3 Vocazione alla santità p. 12 Appendice 16 Intervento di Paola Bignardi (Presidente A.C.) 17