L`infezione da HIV: la gestione neonatale e in età

Board Scientifico Multidisciplinare
L’infezione da HIV: la gestione neonatale e in età pediatrica
Clinica Pediatrica dell’Università di Milano - AO Luigi Sacco
Nel mondo vivono circa 2 milioni di bambini con infezione da HIV, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e
circa 15% dei nuovi casi di infezione è dovuta alla trasmissione dalla madre al feto (la cosiddetta
trasmissione verticale). In assenza di interventi preventivi adeguati il rischio di trasmissione dell’infezione
da mamma a bambino è variabile dal 13% al 25%, tuttavia oggi è possibile mettere in atto delle strategie
efficaci che riducono tale rischio a meno del 2%, rendendo la gravidanza un momento fondamentale e
sempre più sereno anche nella vita della donna HIV-positiva.
Poiché la trasmissione verticale dell’infezione può avvenire sia durante la gravidanza, sia al momento del
parto, sia durante l’allattamento, devono essere messi in atto degli interventi preventivi in ognuna di
queste tre fasi. Nel corso della gravidanza la donna HIV-positiva deve essere trattata con una terapia
antiretrovirale che viene impostata sulla base delle condizioni cliniche, dello stato immunitario, della carica
virale e delle terapie effettuate. La scelta terapeutica implica quindi un confronto multidisciplinare tra
Infettivologo, Ginecologo e Pediatra.
Un altro momento cruciale è rappresentato del parto. E’ ormai ampiamente dimostrato che il parto per via
vaginale è associato ad un aumentato rischio di trasmettere l’infezione al nascituro, pertanto è oggi parte
della strategia preventiva routinaria effettuare il taglio cesareo elettivo. Questo viene programmato
generalmente tra la 37a e 38a settimana di gestazione, prima che sia iniziato il travaglio di parto e che
avvenga la spontanea rottura delle membrane. Durante l’intervento viene effettuata la somministrazione di
terapia antiretrovirale per via endovenosa, generalmente con zidovudina (AZT).
Lo stesso farmaco, disponibile anche in formulazione pediatrica sottoforma di sciroppo, viene
somministrato anche al neonato per le prime sei settimane di vita con l’obiettivo di ridurre ulteriormente il
rischio di trasmissione dell’infezione. Il farmaco è generalmente ben tollerato, l’effetto collaterale più
frequentemente osservato è l’anemia, cioè la riduzione dei valori di emoglobina nel sangue, peraltro
completamente reversibile entro la 12a settimana di vita.
Il neonato da madre HIV-positiva non deve essere allattato al seno: il virus è infatti presente nel latte
materno che può quindi rappresentare un ulteriore veicolo di infezione. Proprio in considerazione
dell’importanza dell’allattamento con latte adattato nella prevenzione della trasmissione dell’infezione, in
Italia è prevista per legge un’esenzione per ottenere gratuitamente la fornitura necessaria di latte artificiale
fino al sesto mese di vita del bambino.
La gestione del bambino nato da madre HIV-positiva implica un follow-up della durata di 18-24 mesi presso
un centro di Infettivologia Pediatrica altamente specializzato. Il bambino deve infatti essere valutato
periodicamente dal punto di vista clinico, e devono essere effettuati prelievi ematici per poter escludere
con certezza la trasmissione dell’infezione. La positività degli anticorpi anti-HIV alla nascita e per i
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successivi 15-18 mesi di vita non deve allarmare i genitori relativamente alla possibilità che il loro bambino
sia infetto: come avviene infatti per molte altre malattie della donna, la positività anticorpale neonatale
deriva dal passaggio di anticorpi materni attraverso la placenta e non è conseguenza del passaggio del
virus. Dopo circa 18 mesi infatti questi anticorpi non sono più riscontrabili nel sangue del bambino e la
negatività della loro ricerca permette pertanto di escludere definitivamente la trasmissione dell’infezione e
di concludere il follow-up. La presenza di anticorpi a 24 mesi è invece diagnostica di infezione in quanto è
espressione di una produzione propria che avviene solo nel caso in cui sia effettivamente avvenuta la
trasmissione dell’infezione. Sebbene la negativizzazione degli anticorpi rappresenti un dato fondamentale
per poter escludere con certezza la trasmissione dell’infezione, è attualmente possibile eseguire una ricerca
diretta del virus anche nel sangue del neonato (HIV-DNA PCR) che viene effettuata alla nascita e a cadenza
mensile nei successivi primi tre mesi di vita: la negatività di tre dosaggi permette di escludere con una
probabilità di circa il 98-99% la trasmissione dell’infezione e permette di rassicurare rapidamente i genitori
che potranno quindi proseguire i restanti mesi di follow-up con maggior serenità. Quando tutte queste
misure di prevenzione vengono scrupolosamente messe in atto come avviene oggi normalmente nei paesi
industrializzati, il rischio di trasmissione dell’infezione è come già accennato molto basso. Nei rari casi in cui
questa avvenga ugualmente o se la trasmissione avviene poiché non sono state messe in atto le adeguate
strategie preventive, il bambino con infezione da HIV deve essere preso in carico presso un Centro di
Infettivologia Pediatrica. Attualmente, come accade per il paziente adulto, la disponibilità di una terapia
antiretrovirale di combinazione (terapia antiretrovirale altamente efficace, HAART) ha significativamente
ridotto la mortalità e la morbilità per AIDS anche nei bambini, prolungando la vita e migliorandone la
qualità.
Secondo le linee guida internazionali, la terapia antiretrovirale deve essere iniziata in tutti i bambini con
infezione da HIV di età inferiore a 12 mesi, nei bambini che presentino sintomi di malattia, nei bambini di
età inferiore a 4 anni se la percentuale di CD4+ (le cellule immunitarie bersaglio del virus) è inferiore a 20%
o in bambini di età superiore a 4 anni se la percentuale di tali cellule è inferiore a 15%. Attualmente sono
disponibili farmaci antiretrovirali registrati per l’uso in età pediatrica con adatte formulazioni. Il bambino
sottoposto a terapia antiretrovirale deve essere periodicamente monitorato, sia per quanto riguarda la
valutazione dei parametri di crescita, sia per la sorveglianza e la precoce identificazione degli eventuali
effetti collaterali. Fondamentale è inoltre il mantenimento dell’aderenza alla terapia: la scelta della
strategia terapeutica deve tener conto di diversi fattori (età, situazione clinica, storia familiare) per
garantire la migliore aderenza possibile ed evitare così il fallimento terapeutico per inappropriata
assunzione di farmaci. E’ inoltre importante garantire al bambino e alla sua famiglia un appropriato
sostegno psicologico, attraverso la costante presenza di una figura professionale di riferimento che
collabori con il personale medico nell’ambito di un team multidisciplinare.
Come osservato nel paziente adulto, nei paesi in cui i farmaci antiretrovirali sono ampiamente disponibili e
dove è garantita un’assistenza medica adeguata anche in età pediatrica la storia naturale della malattia si è
sostanzialmente modificata. Attualmente il bambino con infezione da HIV adeguatamente trattato e
monitorato mostra parametri di crescita nella norma, ha un rischio di sviluppare infezioni gravi nettamente
ridotto rispetto all’epoca pre-HAART con un significativo miglioramento della sopravvivenza e della qualità
della vita.